Sezione Quarta
Modulazione dell'unico annuncio in situazione di tolleranza (cc 13,1 – 20,38)
La vita di Paolo missionario si estende per dodici anni circa, dal 46 al 58, e comprende tre
viaggi. Il primo può essere datato, con una oscillazione di un anno, dal 46 al 49, il secondo dal 4950 al 53, e il terzo dal 53 al 58: il Concilio di Gerusalemme è dell'anno 49-50. Gli immensi spazi
percorsi con i bagagli stipati su muli e su asini, in lunghe marce piene di pericoli con sbalzi di
temperatura tra l'umida riva del Mediterraneo e il clima continentale dell'interno, con estati torride e
inverni ghiacciati, con oltre 4000 km percorsi fra terra e mare, fanno solo intuire l'amore di Paolo
per il Vangelo.
I viaggi, oltre al valore documentativo, lasciano trasparire un'intenzione teologica degli spostamenti. Essi sono infatti opera dello Spirito Santo (At 13,2; 14,26), già delineata nei profeti (cf Ab
1,5 con 13,41) per condurre i pagani alla salvezza. Sono strumento per «evangelizzare» (16,10), per
la proclamazione della «parola di Dio» (17,13; 18,11) o della «parola del Signore» (15,35.36;
16,32) o semplicemente della Parola (16,6) per l'annuncio di Gesù e della risurrezione (17,18), della
via della salvezza (16,17), della testimonianza su Cristo (18,5).
Vicini anche se non inscindibili per il movimento cristiano che si definisce la «via» (16,17;
19,9.23; 24,22) sono viaggio e annuncio: gli itinerari costituiscono più che una cornice dell'evangelizzazione. Oltre a raggiungere più volte Gerusalemme (11,30; 15,2 e quindi 21,15), Paolo
visita nel primo viaggio Cipro, la Panfilia e la Licaonia (At 13-14). Gli oltre duemila chilometri
della missione che inizia e termina ad Antiochia di Siria, con tappe a Cipro e nei centri
dell'altopiano dell'Anatolia con Antiochia di Pisidia e Listra, offrono il materiale al Concilio di
Gerusalemme che ratifica sul piano dottrinale quanto realizzato sul piano storico: solo dalla
constatazione delle conversioni numerose operate dallo Spirito fu possibile, anche se non indolore,
la svolta più radicale del cristianesimo. La «prassi» paolina infatti trovava ostacoli proprio al centro
della cristianità, Gerusalemme, dominata da ambienti tradizionalisti per cui Paolo deve giustificarsi,
come già fece Pietro; le aperture dello Spirito solo lentamente diventano patrimonio di tutta la
comunità. I convertiti dal paganesimo, liberi da tradizioni invischianti, sono più pronti alla novità
del messaggio, più vicini allo spirito di Antiochia che a quello di Gerusalemme.
Con il secondo viaggio Paolo raggiunge l'Europa, a partire dalla Macedonia, con Filippi e
Tessalonica, e poi Atene, Corinto, Efeso (At 16,40-18,22), mentre nel terzo, oltre a rivisitare la
Galazia, ha come tappa principale Efeso, con la permanenza di più di due anni, per rientrare a
Gerusalemme dove è imprigionato (At 18,23-21,14).
Chiaramente espressa è l'intenzione teologica del terzo viaggio. Paolo ha in animo di salire a
Gerusalemme attraverso la Macedonia e l'Acaia e dice: «Dopo che sarò stato là è necessario che
vada anche a Roma» (19,21). Come il cammino di Gesù verso Gerusalemme termina con la morte
gloriosa (cf Lc 9,51), così il peregrinare di Paolo fino a Roma rivela la natura universale, di diritto e
di fatto, del Vangelo.
Il commento non segue - come di solito - l'aspetto materiale della missione, i tre viaggi cioè, ma
quello formale della testimonianza offerta ai Giudei (a Cipro, Antiochia di Pisidia e Iconio), ai
pagani (dalla decisione del Concilio di Gerusalemme all'attuazione storica nelle varie città) e ai
cristiani (a Troade e a Mileto). L'ampiezza della parte centrale che evidenzia il primato
dell'annuncio ai pagani permette di individuare un ambiente familiare a Filippi, nobile a Tessalonica
e Berea, dotto ad Atene, povero a Corinto, borghese a Efeso. Questa terminologia, pur
approssimativa, coglie tuttavia un dato obiettivo, gli adattamenti che l'unico annuncio deve subire
se vuole farsi intendere da tutti.
SCHEDA 7 - L'annuncio ai giudei (At 13,1-14,7)
Il più esteso discorso ai Giudei è quello tenuto ad Antiochia di Pisidia, preceduto da più breve
intervento a Cipro, un ambiente religiosamente misto e seguito dall'accenno de missione a Iconio: i
Giudei sono invitati a entrare in una nuova famiglia e riconoscerla come propria. Prima di
mostrarci il missionario in viaggio, Luca porta il lettore in quel centro vita spirituale, anima
dell'evangelizzazione, che è Antiochia, dove spiccano i cinque con primo posto Barnaba, l'uomo di
fiducia anche della comunità di Gerusalemme, e all'ultimo Saulo, con al centro tre persone delle
quali non si parlerà più in seguito: il gruppo dei cinque richiama quello dei dodici (1,13) e dei sette
(6,5).
1
La missione che affonda le radici nella vita trinitaria può nascere solo dall'ascolto del voce dello
Spirito: preghiera e digiuno liberano l'uomo da quell'egoismo che lo spinge portare avanti idee
personali e a ricercare i propri interessi, non quelli di Gesù Cristo. Lo Spirito può così farsi sentire
attraverso i carismatici (profeti) e quelle persone più direttamente dedite all'insegnamento
(maestri), che altrove sono identificate con i primi (cf 1 Cor 12-14; Ef 4). La comunità, accertatasi
della volontà del Signore, solidarizza, si sente missionaria con gli inviati, è garante di una
continuità di evangelizzazione, oltre gli individui.
7.1 CIPRO: LA FEDE LIBERA DALLA MAGIA (13,4-12)
La scelta, come prima tappa per l'annuncio, dell'isola di Cipro, punto strategico del Mediterraneo, ricca
di miniere di rame e di una fertile pianura centrale abitata da Giudei fin dal IV sec. a.C, già toccata dal
Vangelo (11,19), è dovuta all'essere patria di Barnaba (4,36). La narrazione prepara così l'introduzione
della Parola nell'Asia minore, patria in senso lato di Paolo, che prende qui la direzione della missione
(13,9.13), ed è chiamato col secondo nome (13,9) dell'area romana, abbandonando quello ebraico di Saulo
(cf Giovanni Marco, 12,25 e Gesù Cristo, Col 4,11).
La missione punta subito su quel centro economico-politico-culturale che è la capitale Pafo,
religiosamente dominata dal sincretismo orientale, ebraico ed ellenistico, impersonato da quell'Elimas che
ricorda Simone di Samaria (8,9-13). Egli infatti è riconosciuto come mago per i prodigi che opera, una
specie di stregone, e come falso profeta per l'occulta dottrina che intendeva annunciare: le sue qualità
coinvolgono l'onesto governatore romano, Sergio Paolo, il primo pagano convertito dall'apostolo e figura
parallela di Cornelio.
Il brano, che tralascia l'informazione sulla predicazione nelle sinagoghe dell'isola, descrive gli effetti di
una Parola che cade su due persone diversamente disposte. Bar-Jesus, che significa figlio di Gesù, meglio
definibile figlio del diavolo (cf Gv 8,44), era convinto dell'origine divina della dottrina di Paolo, pieno di
Spirito (vv. 4.9), portatore della Parola (vv. 5.7) che conduce alla fede (v. 8), capace di smascherare le più
recondite intenzioni cattive (v. 10), riflesse nella tenebra dei suoi occhi (v. 11). Il mago, apostrofato con i
noti testi biblici (Sir 1,29; Gv 8,44) osa sfidare Dio, per non perdere l'influenza sul proconsole. Tenta di
offuscare l'insegnamento apostolico con formule, scongiuri, evocazioni di potenze occulte e giochi di
prestigio. Dinanzi al rischio che anche altri siano coinvolti, la potenza («mano») del Signore si rivela. Si era
spacciato come guida per gli altri e ora ricerca inutilmente una mano che lo sostenga, si era presentato
profeta per illuminare con la sua nascosta dottrina ed è avvolto dalle tenebre, voleva mostrarsi potente ed
esperimenta ora la più ridicola debolezza: è la sorte di chiunque si chiude alla salvezza, una specie di
peccato contro lo Spirito Santo.
Dio ricava il bene anche dal male. L'ostinazione del mago libera l'onesto proconsole dalla fiducia in pure
forze umane, disponendolo al dono della fede. Che questa sia stata autentica e non superficiale spinta
emotiva davanti al prodigio è rivelato dall'uso assoluto del verbo «credere» (v. 12). Se la punizione
temporanea si è trasformata in mezzo di salvezza anche per Elimas, come interpreta Origene, la vittoria
della Parola, manifestatasi nella sua dimensione di potenza, è completa. La conversione del primo pagano da
parte di Paolo rivela anche come l'annuncio cristiano non può confondersi con forze puramente umane che
quando sono refrattarie ad essere trasformate in mezzi di salvezza restano inesorabilmente abbattute.
L'inizio positivo prepara il lettore a non meravigliarsi troppo che «l'aiutante Giovanni-Marco» (v. 5) si
trovi in disaccordo con l'orientamento dato da Paolo alla missione (v. 13), fino a provocare il distacco dello
stesso Barnaba (15,37-39): la debolezza umana, presente anche nei santi, produce sempre tensioni e
sofferenze dinanzi a posizioni contrastanti e diversità di temperamento, superate peraltro in seguito dai
nostri protagonisti (cf Col 4,10). Se è comprensibile Giovanni-Marco che si ritira davanti a un Paolo
convinto della validità della sua presa di posizione e irruente nel dialogo con i suoi contraddittori, è
apprezzabile Paolo che in forza del singolare ministero verso i pagani ricorda a tutti che la disponibilità a
Dio deve far dimenticare meriti personali e diritti acquisiti. Lo Spirito può chiamare un altro quando vuole a
una missione più grande della nostra, come pone al primo posto nel servizio quel Paolo rimasto fino
all'ultimo: ogni ufficio nella Chiesa è puro servizio a Dio e agli uomini. Il bisticcio è in definitiva una felice
colpa che ha permesso ai tre di trovare un proprio ruolo, perfino a Marco che, sacrificato con Paolo, ritrova
se stesso come «segretario» di Pietro.
PER RIFLETTERE INSIEME
1. «Lo Spirito Santo disse: "Riservate per me Barnaba e Saulo per l'opera alla quale li ho
chiamati"» (At 13, 2). Come viviamo nelle nostre storie concrete la fede nello Spirito Santo?
2
Come possiamo intendere, a partire dal nostro vissuto quotidiano, quel "riservare" riferito allo
Spirito? Uno spunto per la riflessione: cosa significa per noi che ci sia un prete "chiamato" ad
operare nella nostra comunità?
2. Il proconsole Sergio Paolo desiderava ascoltare la parola di Dio, ma Elimas, il mago, faceva
opposizione cercando di distoglierlo dalla fede. Dove sta la differenza tra fede e magia? In che
misura la magia è opposizione alla fede? Ed io, a cosa o a chi scelgo di affidare la mia vita, i
miei desideri, le mie aspettative?
3. Come mi pongo personalmente davanti alla Divina Provvidenza? Che considerazione ne ho?
Cosa fare in pratica per aumentare la mia fiducia in essa, approfondirla e viverla nel quotidiano?
Possiamo aiutarci in questo come comunità parrocchiale?
4. «Il proconsole credette, colpito dall'insegnamento del Signore» (At 13, 12). Non era stato Paolo
a parlare? L'uomo e lo Spirito santo: riflettiamo su questa cooperazione. Quando ho avuto
l'impressione che le parole che ho ascoltato, le azioni che ho visto compiere, potevano dirsi
realmente «del Signore»?
7.2. ANTIOCHIA DI PISIDIA. IL DISCORSO DI PAOLO E I SUOI EFFETTI: (13,13-52)
Da Cipro in un attimo Luca fa trovare i missionari al centro dell'Asia minore in Pisidia,
segnalando appena il passaggio attraverso la regione più a sud, la Panfilia, con il suo centro più
importante, la cittadina di Perge, di cui le fonti non offrivano notizie di rilievo, anche se abitata da
numerosi Giudei, ai quali certamente fu rivolta la Parola.
Il discorso (13,16-41)
L'ampio brano costituisce una felice sintesi tra quanto Paolo veramente disse e uno schema di
annuncio per i Giudei degli anni 80, ambedue centrati nella rilettura della storia sacra riscontrabile
all'inizio del discorso. La scelta di Antiochia di Pisidia, importante per la presenza tra l'altro di resti
di un teatro, di un acquedotto romano e di un tempio di Augusto, rivela una costante metodologia,
di iniziare cioè la predicazione dalle città con la convinzione che villaggi e zone sperdute avrebbero
in seguito più facilmente aderito alla fede.
L'articolazione del discorso è riconoscibile nei tre appelli diretti agli ascoltatori, i cui titoli
rappresentano come tre tappe di un cammino spirituale. All’inizio sono qualificati nella loro duplice
condizione religiosa all'interno del giudaismo (Israeliti e timorati: v, 16), quindi come chiamati a
far parte di una nuova famiglia che in Abramo trova l'antenato comune (fratelli è discendenti della
stirpe di Abramo: v. 26) e in Cristo il nuovo capo (sappiate fratelli che per mezzo di Cristo,..: v.
38). L'annuncio (kérygma) trova il suo centro in Cristo risorto, verso cui tendono le fasi salienti
dell'azione salvifica veterotestamentaria, culminante nel Battista e da cui parte la possibilità di una
conversione per l'uomo che deve lasciarsi fare (anzi rifare) da Dio accettandone il misericordioso
perdono.
Tema dominante delle tre parti è la salvezza, una realtà conosciuta dagli ascoltatori nella propria
storia di popolo come promessa, sperimentata dagli apostoli al tempo di Cristo e possibile a
chiunque si converte, ricevendo la remissione dei peccati. Il discorso richiama l'uscita dall'Egitto,
operata con potenza (glorificò il popolo: v. 17), l'amorosa guida nell’impervio deserto (li nutrì: v.
18); i l dono della terra v. 19, dove fu possibile vivere sicuri per l'opera di guide sagge quali
Samuele, Saul, Davide. L'esperienza di una reale anche se imperfetta salvezza vissuta dai Giudei
avrebbe dovuto aprirli a ricevere un dono maggiore.
Infatti la costituzione del pacifico regno di Davide; un uomo secondo il cuore di Dio, di cui
compie i voleri (v. 22) era finalizzata a facilitare l'accoglienza dei figlio prediletto, aggetto della
compiacenza del Padre (cf Lc 3,22), il salvatore (At 13,23), la parola di esortazione (v. 15), il
discorso salvifico (v. 26), la buona notizia (v. 32). Era necessaria comunque sempre la fede per
potersi aprire alla novità di Dio che si rivela di una natura diversa dalle attese. Il testo, infatti,
oppone promessa e compimento, il figlio di Iesse e il figlio di Dio, ricevere una promessa e
realizzarla, uscire e restare nel sepolcro, sfuggire e sperimentare la corruzione, ottenere la
remissione dei peccati e attenderla soltanto, essere giusti e credersi tali: Davide è solo un segno, il
tipo di Cristo. Se per un verso infatti gli Ebrei sono avvantaggiati in forza della promessa e di un
“assaggio” di salvezza trovano più ostacoli nell'accettare che il compimento giunga attraverso la
croce scandalosa.
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Dinanzi alla croce, innegabile è un certo imbarazzo del missionario. Responsabilità dei capi per
la morte, sottolineata nella sua realtà dalla menzione della sepoltura, innocenza di Gesù (Lc 23,28;
At 3,13), ingresso pieno nella vita di Dio (risurrezione) trovano la loro unica prova nella
testimonianza apostolica. I testi biblici citati adempiono a una duplice funzione, di illustrare la
risurrezione come generazione (Sal 2,7), superamento della corruzione (Sal 16,10) e segno della
fedeltà di Dio (Is 55,3) e di evidenziare la continuità tra storia veterotestamentaria e vita di Gesù.
La salvezza è espressa sia nel linguaggio lucano di remissione dei peccati che in quello Paolino di
«giustizia», riscontrabile pure nell'accenno polemico all'impossibilità per la legge di rendere graditi
a Dio: è un anticipo della tematica del Concilio di Gerusalemme.
Questo primo discorso paolino richiama quello di Pietro a pentecoste (2,14-41) per l'appello a
una conversione non più differibile e per la struttura visibile nel triplice invito agli ascoltatori (cf
13,16.26.38 e 2,14.22.29), e quello di Stefano (7,2-53) per l'inquadratura dell'annuncio nella storia
salvifica, ma è differente per più motivi. Paolo infatti in un tono persuasivo si concentra sul periodo
mosaico e su Davide e rilegge la storia come manifestazione della potenza di Dio che fonda un
«discorso di consolazione» (v. 16) l'attesa di un «salvatore»; Stefano invece si sofferma in tono
aggressivo sul periodo patriarcale e su Salomone e vede nei fatti quella ribellione contro gli inviati
di Dio che raggiunge il vertice nell'uccisione di Cristo, la quale giustifica la vibrante accusa finale
(7,51-52); Pietro poi scopre nel giorno di pentecoste "grande e splendido" il compimento di una
promessa.
La meditazione riconoscente e gioiosa delle meraviglie operate da Dio nel passato è la via regia
per conoscere e vivere l'opera di salvezza che il Signore realizza nell'oggi: la mano potente di Dio
che ha liberato dalla schiavitù l'Egitto prepara l'annuncio di una sottrazione di Gesù dalla corruzione
della morte, capace di rendere giusti (v. 39; cf Gal 2,16).
La colpa degli abitanti di Gerusalemme e dei loro capi (v. 27) è vista nel rifiuto cosciente del
salvatore che dà luogo al dramma spirituale più tragico della storia umana. La lettura sabbatica delle
Scritture, la mancanza di qualsiasi motivazione per una condanna, la testimonianza del Battista che
nell'«io non sono» (v. 25) annuncia «Io sono» (Gv 8,24), non trattengono dal «chiedere a Pilato che
Gesù sia ucciso» (v. 28). Eppure questa chiusura non impedisce la realizzazione del piano di Dio,
come non l'impedirono Pilato ed Erode (4,27), Giuda (1,16), i crocifissori (Mt 27,34-35), i
persecutori (At 4,25-27; 7,51-52): la permissione del male da parte di Dio è sempre in vista di un
bene maggiore.
Effetti del discorso (13,42-52)
L'uditorio si divide in due gruppi. Il più numeroso, quello dei credenti Giudei e pagani, esprime
la gratitudine per aver ascoltato l'annuncio di salvezza. Ad esso si contrappone il combattivo mondo
giudaico, «geloso» per il timore di perdere privilegi religiosi e razziali, accanito nell'uso dei mezzi
più violenti di lotta, subdolo nel ricercare consensi nella società «bene».
L'annuncio cristiano, presentandosi come alternativa al giudaismo, rifiuta ogni forma di
integrazione e non ammette altra proposta di salvezza: proclamare Cristo crocifisso come unico
salvatore non è integrismo, che si ha quando un gruppo presume di possedere il segreto di questa
salvezza. «Dovunque si trovano le tracce della grazia che emana da Cristo. Questa grazia l'ha il
mondo intero, perché c'è sempre una relazione con Cristo» (H.U. von Balthasar). Scuotere la
polvere dai piedi (cf Lc 9,5 e 10,11) verso chi rifiuta la Parola equivale a una separazione definitiva.
Il collegamento con la missione universale del Servo di JHWH (Is 49,6), già fatto per Gesù (Lc
2,32; At 3,13.26) e ora esteso agli apostoli (v. 47) sta a indicare che la destinazione a tutti della
Parola in quanto prevista dalle Scritture, rende irrazionale e colpevole la chiusura giudaica. Ad
Antiochia poi si ritrovano i segni della prima comunità cristiana: gioia e dono dello Spirito,
entusiasmo per la Parola, coscienza di poter giungere alla vita attraverso la fede, conforto
dell'esortazione apostolica, supremo valore della grazia di Dio.
PER RIFLETTERE INSIEME
1. Le parole di esortazione di Paolo. Consideriamo nell'insieme il suo discorso: Paolo ricorda fatti.
Proviamo a confrontarci sull'elemento della memoria, ad esempio alla luce di Gv 14, 26. Che
valore diamo al raccontare gli eventi positivi e negativi della nostra vita, in una prospettiva di
fede? Un esercizio pratico: raccontiamoci la nostra storia. Guardiamo alla nostra vita concreta e
ai fatti belli e brutti che ci hanno coinvolto.
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2. «A noi è stata mandata la parola di questa salvezza» (At 13, 26). Siamo consapevoli, come
cristiani, di quale immenso ed impegnativo dono ci è dato per tutta l'umanità? Come lo vivo? E
in particolare, come vivo nei luoghi della mia vita quotidiana il mio essere visitato da questa
parola di salvezza?
3. «E noi vi annunziamo che la promessa fatta ai padri si è realizzata» (At 13, 32). Tutta la storia
della salvezza converge su Cristo, a partire dall'elezione dei patriarchi e dalla liberazione
dall'Egitto. Crediamo che Dio possa compiere le promesse? Come le ha compiute nella storia di
Israele, siamo convinti che possa compierle anche nella nostra storia? E in che modo
sperimentiamo questa sua fedeltà?
4. Gli effetti del discorso di Paolo. I giudei, primi destinatari dell'annunzio, respingono la parola di
Dio, accecati dalla gelosia, e non si giudicano degni della vita eterna (cfr. At 13, 45-46). Come
possiamo superare gelosie ed invidie nella nostra comunità, per permettere a noi stessi e agli altri
di incontrare il Signore?
5. «Paolo e Barnaba con franchezza dichiararono ...» (At 13, 46). Temiamo la franchezza
dell'annuncio? Temiamo che dire con franchezza la nostra fede in Gesù possa avere come
conseguenza l'opposizione di chi ascolta, persino il disprezzo? Più avanti, nello stesso passo si
legge che i giudei suscitarono una persecuzione contro Paolo e Barnaba, eppure «i discepoli
erano pieni di gioia e di Spirito Santo» (At 13, 52). Come è possibile questa gioia in un tempo di
persecuzione? Ho visto questo in persone incontrate o in situazioni vissute? Come leggere i
ricorrenti attacchi alla Chiesa? In quale atteggiamento di fede disporci per aprirci anche noi a
questa stessa gioia? Un possibile confronto: Me 10, 30 e Mt 5, 11-12.
7.3. ICONIO. UN ANNUNCIO CHE DIVIDE: (14,1-7)
La predicazione nell'importante città di Iconio, l'attuale cittadina turca di Konya, ripete metodo e
conseguenze di Antiochia di Pisidia. Il primo annuncio è rivolto ai Giudei, che in gran parte
rifiutano: si formano due gruppi contrastanti, i favorevoli e i contrari che, incapaci di fermare
l'entusiasmo dei credenti, ricorrono alle minacce e ai piani sovversivi, costringendo i missionari a
recarsi altrove.
Le novità della missione sono: piena libertà di annuncio (parrésia), la predicazione vista come
parola della grazia, detta anche «vangelo della grazia» (20,24), «parola di salvezza» (13,26),
«parola della croce» (1Cor 1,28), «parola della riconciliazione» (2Cor 5,19), «parola della
verità» (Ef 1,13), «parola di vita» (At 5,20), «parola del regno» (Mt 13,19). Assieme
all'eccezionale conferimento del titolo di apostolo a Paolo e Barnaba (At 14,4.14), Antiochia
constata l'assistenza divina mediante miracoli e l'intensificazione di una persecuzione che da
espulsione diventa progetto di lapidazione, solo rinviato alla prossima missione, quella a Listra. La
fuga, già prevista e comandata da Gesù (Lc 10,10), ha la funzione di favorire la missione ad altre
regioni e di affrontare - per la prima volta - un ambiente senza fede.
L'annuncio ai pagani (14,8-19,40)
La chiamata dei pagani alla fede è di iniziativa divina, ma trova una occasione nel rifiuto dei
Giudei. Anche se ad essi sarà conservato il privilegio del primo annuncio in ogni città, l'attenzione
si concentra da ora sul mondo grecoromano. Luca svolge il tema della missione alle genti in due
momenti, teorico l'uno, al concilio di Gerusalemme, dove la decisione di non obbligare i pagani a
inserirsi nella struttura giudaica è acquisizione di libertà per tutti anche in futuro, pratico l'altro, con
il riferire delle varie tappe della missione stessa.
PER RIFLETTERE INSIEME
1. All'inizio del capitolo 14 si legge che gli apostoli, giunti ad Iconio, parlavano in modo tale che
molti, tra i giudei e i greci, divennero credenti. Proviamo ad immaginare il modo della loro
predicazione. Proviamo ad immaginarlo sulla base della nostra esperienza: in quali occasioni
pronunciamo parole in una maniera tale che chi ci è vicino, si accosta a Gesù?
2. «E parlavano con franchezza in virtù del Signore» (At 14, 3). Riflettiamo sulla fiduciosa
franchezza di coloro che predicano in virtù del Signore, rileggendo la scena simile in At 13, 46.
Come si concilia questa franchezza con un clima così apertamente ostile e inasprito (At 14, 2)?
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Nella nostra esperienza di comunità sappiamo rimanere sereni nell'annuncio anche di fronte
all'esplicito rifiuto?
3. Ogni azione riferita alla predicazione non ha mai un soggetto singolare: «Essi ... parlavano».
Come sappiamo lavorare insieme per l'annuncio cristiano, nei vari ambiti della nostra vita?
4. «E fuggirono ... e là andavano evangelizzando». Davanti al pericolo dell'aggressione e al
tentativo di lapidazione gli apostoli fuggono, ma non per questo desistono dall'evangelizzare.
Come affrontiamo le minacce della realtà? Siamo disposti ad una "sapiente fuga"? Prova un
confronto con Mt 5, 39; 1 Pt 3, 9; Rm 12, 19.21
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