Intervista suor Patrizia

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Suor Patrizia: «Occorre ripartire da noi»
Le assemblee del Sinodo diocesano si sono aperte venerdì con una relazione di suor Patrizia
Nocitra, clarissa del monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto e presidente federale
delle monache clarisse d’Italia. Al termine della relazione ha rilasciato una breve intervista su
alcune tematiche riguardanti il ruolo della Chiesa nel mondo odierno.
Come si può attualizzare la vocazione storica della Chiesa in un mondo in cui le realtà sociali,
economiche e politiche sembrano andare in direzione opposta a quello che è l’insegnamento
evangelico?
«Io penso che noi dovremmo cominciare a crederci per primi nella Chiesa e che l’attuazione storica
a volte non avviene perché forse siamo noi a non credere di poter fare qualcosa. Reputiamo il
Vangelo il libro della nostra fede, ma spesso lo consideriamo solo un buon libro da leggere e non da
far entrare nella nostra vita. Dobbiamo cominciare a credere che Cristo si è fatto carne e si fa carne
nella storia anche oggi. Forse la nostra difficoltà è che abbiamo paura di spendere la nostra vita, di
dare la nostra vita: questo è ciò che ci ferma e che impedisce l’attuazione storica. Dobbiamo pagare
con la vita l’affermazione della fede. In questi ultimi tempi, faccio riferimento anche agli ultimi
“martiri” iracheni o anche in Pakistan, i nostri fratelli cristiani non stiano facendo letteratura
religiosa ma stanno dando la vita e affermando la Chiesa nella storia, dove per affermazione non si
intende trionfalismo ma proclamazione di Parola di vita, di Vangelo, della realtà autentica e vera
che Cristo esiste e questo vuol dire dare la vita come Lui e quindi affermare la Chiesa nella storia di
oggi. In questo mondo così strano, in questa politica che è diventata una passerella di mode,
un’espressione di affermazione personale in cui non c’è più la res politica, non c’è più il pensare al
bene comune, ma solo il tornaconto personale, forse la Chiesa dovrebbe essere una realtà che
afferma una comunione di persone, un corpo, quello di Cristo, che afferma che invece è possibile
avere cura gli uni degli altri. È il dare la vita, è l’ultima parte del nostro impegno che a volte
manca».
È questo un momento in cui si segue tutto ciò che va di moda. Come possono la Chiesa e la
comunità cristiana “attrarre”, “essere di moda”, soprattutto per i più giovani?
«La Chiesa se non entra nelle pieghe della storia, se non entra nel desiderio, se non diventa veicolo
di un qualcosa che comunque anima il cuore, veicolo di passione anche nei giovani, rischia
veramente di andare da un’altra parte. Io non parlerei però qui di Chiesa come istituzione, ma dico
che dobbiamo riaccendere dentro di noi la passione per l’uomo. Oggi i giovani cercano un senso e
un significato alla vita, si riempiono di mille cose, o oserei dire ci riempiamo di mille cose, e non
andiamo all’essenziale. Anche noi che siamo nella Chiesa facciamo degli interventi che possono
suonare moralistici ma in realtà non nascono da un moralismo, nascono da una sapienza di vita e
forse dobbiamo cominciare ad entrare dentro non solo ad un linguaggio ma dentro ad una mentalità.
I ragazzi oggi hanno bisogno di trovare qualcosa che li prenda e io mi chiedo spesso perché la fede
di Gesù Cristo fa fatica a volte ad attecchire sulla maggior parte dei giovani. Forse perché non
hanno una testimonianza credibile nostra? Perché non siamo convinti fino in fondo? O forse perché
il conflitto generazionale arriva anche nella chiesa chiaramente. Però io penso che noi dobbiamo
ricominciare a considerare questi giovani, i giovani in genere, tutti quelli che vogliono qualcosa.
Questi ragazzi hanno bisogno di capire che cosa vogliono e noi non possiamo dire ciò che non si
dice, non si fa o non si tocca, noi abbiamo bisogno di ascoltare i loro desideri e leggerli alla luce del
Vangelo. Non si è lontani dalla fede. Bisognerebbe guardare con più positività e chiedersi perché i
giovani pongono alla Chiesa degli interrogativi, perché chiedono qualcosa. E noi dobbiamo capire
cosa senza spaventarci. Forse dobbiamo abbattere le difese corporative che a volte innalziamo di
fronte a certe domande che ci mettono un po’ a nudo, allo scoperto».
Il sinodo promuove la missione come stile ecclesiale: qual è la nostra “terra” di missione ed
evangelizzazione oggi?
«Io individuerei tre luoghi di evangelizzazione. Uno è la nostra realtà personale, il nostro profondo,
la nostra realtà esistenziale di persona che ha bisogno di essere evangelizzata perché a volte la
nostra fede rimane alla superficie, si limita alle cose da fare e a quelle da non fare e non entra
invece nel profondo del nostro essere caratterizzando tutti i movimenti, tutte le emozioni. Abbiamo
bisogno di configurarci a Cristo, di fare in modo che tutta la nostra realtà più profonda sia
illuminata dalla sua presenza, quindi di assumere anche delle categorie diverse. L’altro terreno di
evangelizzazione io penso che sia dentro la Chiesa, perché abbiamo bisogno dentro la nostra Chiesa
di ritrovare quei valori, quei fili che ci siamo perduti. Ma non per trascuratezza, proprio perché
abbiamo sempre guardato la missione come qualcosa da andare a fare a qualcuno, invece forse
abbiamo bisogno di rievangelizzare proprio le nostre comunità parrocchiali, quella diocesana, le
nostre comunità familiari, le nostre comunità religiose. Abbiamo l’occasione con il Sinodo di
ripensare alla nostra vita di fede, a come essere credibili anche nella vita di fede. E infine c’è l’altra
terra di missione che è verso tutti color che ancora non conoscono il Cristo o comunque hanno
un’altra esperienza di un’altra fede. E non si pensi solo a fare proseliti e a convertire, ma a
testimoniare che Cristo è la nostra vita, perché noi diventiamo credibili e missionari solo quando
veramente Cristo è la nostra vita. È impensabile poter andare verso gli altri senza aver evangelizzato
la nostra vita. In altri termini possiamo dire che è una conversione che deve avvenire fra di noi. La
terra di missione è la nostra conversione, la conversione della Chiesa e l’annuncio alle genti perché
possano convertirsi, cioè far marcia indietro e tornare verso il vero autore della vita e il vero senso
di ogni uomo in questo mondo: Dio che è Padre, Figlio e Spirito Santo».
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