le sindromi paraneoplastiche: definizione e dati

LE SINDROMI PARANEOPLASTICHE: DEFINIZIONE E DATI
COMPARATIVI CON LA MEDICINA UMANA
Chiara Brachelente, DVM, PhD, Dipl. ECVP
Dipartimento di Scienze Biopatologiche e Igiene delle Produzioni Animali e Alimentari - Perugia
Le sindromi paraneoplastiche (SPN) comprendono una serie di manifestazioni indotte dagli
effetti indiretti o “remoti” di una neoplasia. Per essere definite tali, queste sindromi non
devono essere imputabili alla diffusione locale o metastatica del tumore e, secondo i criteri di
classificazione più restrittivi, neppure alla elaborazione di sostanze prodotte in condizioni
fisiologiche dal tessuto di origine della neoplasia. Nella pratica clinica, e soprattutto in
medicina veterinaria, tuttavia, si considerano sindromi paraneoplastiche anche quelle
patologie indotte “a distanza” da sostanze ormonali prodotte in eccesso in corso di neoplasie
di organi endocrini come si verifica, ad esempio, nell’iperadrenocorticismo per adenomi
corticali. Le sindromi paraneoplastiche possono colpire qualsiasi organo o tessuto, con
meccanismi diversi, e possono essere classificate in sindromi di ordine generale (febbre,
proteine di fase acuta, etc.) o di ordine specifico (ematologico, endocrinologico, neurologico,
dermatologico, gastroenterologico, renale, etc). Altri criteri classificativi delle SPN si basano
sui meccanismi patogenetici all’origine delle alterazioni tissutali. L’importanza clinica delle
SPN risiede nel fatto che la comparsa delle manifestazioni patologiche può precedere la
manifestazione di una neoplasia, che può quindi essere diagnosticata precocemente, o può
corrispondere ad una disseminazione od estensione della malattia stessa. Inoltre le SPN
seguono un decorso parallelo a quello del tumore che le ha determinate: si risolvono se il
tumore viene rimosso e ricompaiono se il tumore recidiva o metastatizza. Per questo motivo,
vengono sfruttate come markers diagnostici di recidive tumorali o per monitorare l’andamento
di una terapia antineoplastica. Un altro fattore da considerare, in sede clinica, è che le SPN
sono spesso causa di morbidità e mortalità, richiedendo di frequente specifici trattamenti,
indipendenti dalle terapie antineoplastiche stesse.
Per spiegare la patogenesi delle varie SPN sono state formulate diverse teorie: nella maggior
parte dei casi si pensa che le cellule neoplastiche siano in grado di sintetizzare o liberare
molecole attive che, direttamente o indirettamente, causano i sintomi; tuttavia, per avere una
sindrome paraneoplastica, non è sufficiente che le cellule tumorali sintetizzino una sostanza
particolare ma è necessario che la sostanza prodotta abbia un’attività biologica rilevante
(ormoni, citochine, fattori di crescita, etc.). In alternativa, la presenza del tumore potrebbe
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essere responsabile della deplezione di fattori fisiologici, la cui mancanza porta alla sindrome
paraneoplastica. Infine, una terza teoria spiega le SPN come manifestazioni su base
autoimmunitaria. Secondo questa teoria, le cellule tumorali sarebbero in grado di esprimere
antigeni che presentano epitopi in comune con antigeni normalmente espressi dagli organi e
tessuti dell’ospite, scatenando quindi una risposta immunitaria nei confronti del tumore e dei
tessuti non neoplastici.
In medicina umana sono conosciute numerose sindromi paraneoplastiche cutanee e si stima
che circa il 30-50% dei pazienti oncologici manifesti una SPN nel corso della malattia
neoplastica. Al contrario, in medicina veterinaria, sebbene le SPN vengano riportate sempre
più spesso, rimangono limitate le descrizioni di patologie specifiche riconosciute. Il motivo di
questa discordanza tra i dati della medicina umana e veterinaria potrebbe essere dovuto ad una
minore incidenza di queste malattie nelle specie domestiche o piuttosto alla incapacità di
ascrivere ai sintomi clinici una relazione con la presenza di una neoplasia. A complicare il
quadro vi è la considerazione che, anche in medicina umana, non tutte le sindromi
paraneoplastiche sono associate in maniera consistente con una neoplasia; esistono infatti
SPN cosiddette facoltative in cui l‘associazione con un tumore è possibile, ma infrequente. In
effetti, in questa categoria dovrebbero esser comprese soltanto quelle malattie la cui frequenza
di associazione è sufficientemente alta da giustificare ulteriori accertamenti per la presenza di
un tumore.
In medicina umana, tra le sindromi paraneoplastiche più frequentemente descritte si
annoverano l’acanthosis nigricans, il segno di Leser-Trélat, la sindrome di Bazex, l’ittiosi
acquisita, la dermatomiosite, il pemfigo paraneoplastico, l’eritema gyratum repens, l’eritema
migratorio necrolitico, la sindrome di Sweet e l’ipertricosi lanuginosa acquisita.
Tra le sindromi paraneoplastiche meglio riconosciute in medicina veterinaria si ricordano, nel
gatto, la dermatite esfoliativa e l’alopecia paraneoplastica; nel cane, la sindrome da
femminilizzazione, la dermatofibrosi nodulare, la necrosi metabolica dell’epidermide ed il
pemfigo paraneoplastico.
Bibliografia
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TIMOMA NEL CANE E NEL GATTO: DIAGNOSI E TRATTAMENTO
Giorgio Romanelli
Indirizzo per corrispondenza [email protected]
Fra i tumori mediastinico riportati nel cane e nel gatto, i più comuni sono il timoma, il linfoma
e i carcinomi tiroidei ectopici. Il timoma è il tumore primario del timo più comune e la
chirurgia è il trattamento di scelta per i tumori mediastinico, eccetto che per il linfoma.
I timomi possono essere ben incapsulati come invasivi e metastatici a polmone, linfonodi e,
raramente, a fegato, reni e milza.
L’aspetto istologico dei timomi mal si correla con la prognosi e, dal punto di vista
strettamente prognostico, sono meglio divi in “invasivi” e “non invasivi”.
Segnalamento e segni clinici
I timomi si presentano solitamente in pazienti anziani e l’età medi di presentazione è di 10.5
anni nel cane e 10 nel gatto.
I segni clini dipendono dalla dimensione e dall’invasività del tumore e possono essere non
specifici (letargia, anoressia e perdita di peso), correlati alla lesione occupante spazio
(intolleranza all’esercizio, dispnea e disfagia) o causati da una sindrome paraneoplastica.
I timomi invasivi possono produrre una sindrome della vena cava (edema del collo e della
testa), versamento pleurico, chilotorace, chilopericardio o pneumotorace.
Occasionalmente un timoma è scoperto per caso ad una radiografia del torace.
All’esame fisico, l’apice cardiaco può essere spostato a destra o caudalmente ed il torace è
scarsamente compressibile manualmente.
Le sindromi paraneoplastiche associate a timoma nel cane e nel gatto includono ipercalcemia,
miastenia grave con megaesofago e debolezza muscolare, polimiosite e malattie cutanee
immunomediate (gatto).
Ci può anche essere un aumento dell’incidenza di neoplasie non tipiche in pazienti con
timoma, che possono essere causate da una diminuzione dell’immunosorveglianza
timodipendente.
Diagnosi
I parametri ematici sono solitamente nella norma anche se sono stati riportati linfocitosi ed
ipercalcemia.
Nei pazienti con sospetta miastenia grave è necessario ottenere la misurazione degli anticorpi
antiacetilcolina.
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La diagnosi di timoma si basa sulle radiografie toraciche e sui risultati dell’ago aspirazione
e/o della biopsia.
Le radiografie toraciche rivelano una massa dei tessuti molli, solitamente ben circoscritta, a
carico del torace cranioventrale. Inoltre, possono essere evidenti elevazione della trachea,
versamento pleurico, megaesofago, polmonite ab ingestis, metastasi polmonari e spostamento
caudale dell’ombra cardiaca.
L’esame ecografico può essere utile per definire l’ecogenicità della lesione che nel timoma è
solitamente ad aspetto misto e cistico, al contrario del linfoma che solitamente si presenta
ipoecogeno ed omogeneo.
Un esofagogramma può essere utile per meglio valutare la motilità esofagea.
La TC è al momento l’indagine diagnostica di scelta per evidenziare l’aspetto della neoplasia,
il grado di invasione dei tessuti circostanti e dei grossi vasi (vena cava) e la presenza di
metastasi linfonodali e polmonari.
La biopsia è necessaria per una diagnosi definitva e per differenziare un timoma da tutte le
altre neoplasie del mediastino anteriore (linfoma mediastinico, carcinoma timico, tumori della
tiroide o della paratiroide ectopica, tumori neuroendocrini e tumori metastatici) e da lesioni
non neoplastiche (cisti brachiali)
L’esame citologico di timoma solitamente rivela linfociti, cellule epiteliali e mastociti. La
proporzione fra linfociti e cellule epiteliali varia in aree differenti della neoplasia e
solitamente si richiedono campioni multipli, da più punti.
E’ molto importante eliminare la possibilità di un linfoma mediastinico che deve essere
trattato chemioterapicamente o radioterapeuticamente e non chirurgicamente.
Il linfoma è più comune negli animali giovani e l’ago aspirato rivela linfoblasti e linfociti
immaturi ed i gatti con linfoma mediastinico solo solitamente FeLV positivi.
Nei casi dubbi si può ricorrere all’immunofenotipizzazione: in caso di timoma il numero di
cellule che coesprimono positività CD4 e CD8 è superiore al 10%; in caso di linfoma invece
la positività è generalmente inferiore al 2%
Terapia
L’exeresi chirurgica è il trattamento di scelta per tutti i tumori timici tranne che per il linfoma.
L’approccio chirurgico è solitamente tramite sternotomia mediana. Se possibile, la porzione
caudale dello sterno e lo tifoide non devono essere incisi per aumentare la stabilità dello
sterno dopo la ricostruzione che deve essere eseguita mediante l’uso di filo d’acciaio
ortopedico, tranne nei pazienti molto piccoli nei quali può essere usato un filo di polipropilene
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di grosse dimensioni.
In casi selezionati può essere usta una toracotomia intercostale che offre però un approccio
molto più limitato.
L’esplorazione chirurgica può essere necessaria, nonostante tutti gli esami preoperatori, per
determinare se un timoma è invasivo o non invasivo e quindi resecabile. E’ importante
ricordare che la dimensione non è collegata alla resecabilità.
I timomi non invasivi hanno aderenze limitate con gli organi intratoracici e possono essere
asportati mediante dissezione smussa, ponendo particolare attenzione alle strutture dorsali,
soprattutto vena cava e nervo frenico, ed alla vascolarizzazione propria della neoplasia che
solitamente deriva dai vasi toracici interni che devono essere allacciati. In alcuni casi è
necessario sacrificare un nervo frenico ed eseguire una lobectomia parziale di un polmone
adeso alla neoplasia.
I timomi invasivi possono talvolta essere asportati comprendendo parte del pericardio, i lobi
polmonari craniali ed seguendo una venotomia cavale in caso di trombizzazione.
E’ stato riportato l’uso di un impianto giugulare per la ricostruzione cavale in un caso in cui
non è stato possibile mantenere un diametro vascolare adeguato.
Ci sono informazioni limitate sull’utilità di una terapia adiuvante in caso di timoma ma il
prednisone può essere usato per ridurne la componente linfocitica.
La radioterapia può essere usata in pazienti con timomi invasivi non operabili o dopo una
exeresi chirurgica incompleta.
Uno studio retrospettivo nel quale sono stati usati vari trattamenti ha riportato una risposta del
75% (15/20) in cani e gatti trattati con una combinazione di chirurgia e radioterapia
Prognosi
Il fattore prognostico più importante in pazienti con timoma trattato chirurgicamente è la
presenza di megaesofago poiché tale malattia pone i pazienti a elevato rischio di polmonite ab
ingestis nell’immediato postoperatorio.
In uno studio, la sopravvivenza media di cani con megaesofago è stata di 4 giorni mentre
quella di pazienti senza megaesofago non è stata raggiunta con una sopravvivenza ad 1 anno
del 87%.
Il trattamento ottimale di animali con megaesofago associato a miastenia grave secondaria a
timoma non è chiaro anche se solitamente si suggerisce una terapia a base di
anticolinesterasici e cortisonici.
E’ satto riportato un miglioramento del megaesofago dopo timectomia, ma si consiglia
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comunque una terapia medica postoperatoria.
In uno studio retrospettivo, la sopravvivenza media è stata di 248 e 720 giorni in pazienti
trattati rispettivamente con sola radioterapia e chirurgia e radioterapia combinate.
Letture consigliate
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Atwater SW, et al. Thymoma in dogs: 23 cases (1980-1991). JAVMA 205:1007-13, 1994
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Bellah JR & Smith AN. The thymus. In: Slatter D (ed) Textbook of Small Animal Surgery, 3 edition, WB
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Carpenter JL & Holzworth J. Thymoma in 11 cats. JAVMA 181:248-51, 1982
Hunt GB, et al. Excision of a locally invasive thymoma causing cranial vena caval syndrome in a dog.
JAVMA 210:1628-30, 1997
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Smith AN, et al. Radiation therapy in the treatment of canine and feline thymomas: A retrospective study
(1985-1999). JAAHA 37:489-96, 2001
Lana S, Plaza S, Hampe K, Burnett R, Avery AC Diagnosis of Mediastinal Masses in Dogs by Flow
Cytometry J Vet Intern Med 2006;20:1161–1165
rd
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DERMATITE ESFOLIATIVA FELINA SECONDARIA A TIMOMA.
QUADRO CLINICO E DERMATOPATOLOGICO.
Silvia Colombo* & Francesca Abramo**
*Libero professionista, Milano; **, Dipartimento di Patologia Animale dell’Università di Pisa
Definizione
La dermatite esfoliativa secondaria a timoma è una sindrome di recente identificazione nel
gatto, la cui natura “paraneoplastica” è stata dimostrata con la completa remissione dei segni
clinici in seguito all’asportazione del tumore. Nell’uomo, il timoma può essere associato a
pemfigo foliaceo o volgare, pemfigo paraneoplastico, epidermolisi bollosa acquisita e
raramente a dermatite esfoliativa.
Patogenesi.
La patogenesi è ancora poco conosciuta: la teoria più accreditata suggerisce che le lesioni
cliniche siano la conseguenza di un processo di autoimmunità cellulomediata. Il timo, infatti,
è un organo deputato alla maturazione e alla selezione dei linfociti T, nel quale le cellule che
reagiscono contro antigeni “self”, in condizioni normali, vengono eliminate (selezione
negativa). Nel timoma, alcuni linfociti T immaturi potrebbero sfuggire a questa selezione ed
entrare in circolo come cellule T autoreattive, responsabili dell’attacco diretto contro i
cheratinociti.
Segni clinici sistemici e dermatologici
Si tratta di una sindrome paraneoplastica rara, in cui spesso i segni clinici cutanei precedono
quelli sistemici (anoressia, letargia, calo ponderale, tosse, dispnea) dovuti alla presenza di una
massa toracica. Si osserva in gatti di età media o avanzata e può essere associata anche a
miastenia gravis, polimiosite e miocardite. I segni clinici dermatologici sono rappresentati da
eritema ed esfoliazione inizialmente localizzati alla testa, al collo e alle orecchie, che si
estendono progressivamente a tutto il corpo. L’esfoliazione è tipicamente a scaglie di grosse
dimensioni, ed è causa di alopecia secondaria. Possono in seguito comparire lesioni ulcerative
e crostose, e può essere presente materiale cheratoseborroico di colore marrone nelle pieghe
ungueali, nei condotti uditivi e negli spazi interdigitali. Questo materiale contiene lieviti del
genere Malassezia in grande numero. Il prurito è assente, a meno che non siano presenti
infezioni batteriche o da lieviti come complicanze secondarie.
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Diagnosi differenziale.
Le malattie da prendere in considerazione nelle diagnosi differenziale sono la cheyletiellosi, la
demodicosi, la dermatofitosi, il lupus eritematoso sistemico, l’eritema multiforme, la reazione
avversa ad un farmaco, la sovracrescita di Malassezia secondaria a malattie sistemiche nel
gatto anziano (iperadrenocorticismo, diabete mellito, ipertiroidismo) ed il linfoma cutaneo
epiteliotropo.
Esami collaterali.
La diagnosi richiede un esame istopatologico delle biopsie cutanee e metodiche di diagnostica
per immagini (radiologia, TAC, ecografia) allo scopo di accertare la presenza di una massa
toracica.
Esame istopatologico della cute.
L’esame istopatologico consente il rilievo di lesioni caratteristiche di una dermatite
dell’interfaccia. Queste sono rappresentate da degenerazione idropica delle cellule basali e
apoptosi dei cheratinociti sia basali che soprabasali, talvolta accompagnate da satellitosi.
L’infiltrato mononucleare, che si distribuisce a banda nel derma superficiale, può essere
scarso o abbondante e pertanto riferibile a dermatite “cell-poor” o “cell-rich”.
Contestualmente può essere riscontrata una drastica riduzione o assenza delle ghiandole
sebacee. E’ la presenza di linfociti CD3 nell’infiltrato infiammatorio che fa ipotizzare un
attacco immunomediato ai cheratinociti come meccanismo patogenetico.
Esame citologico e istopatologico del timo.
L’esame citologico per aspirazione ecoguidata con ago della massa individuata in torace o
l’esame istologico del tumore dopo exeresi chirurgica confermano la diagnosi. La citologia
del timoma può essere di difficile interpretazione in quanto la neoplasia è spesso costituita da
aree cistiche, necrotiche ed emorragiche. Solo il rilievo di cellule di aspetto epiteliale (spesso
definibile solo dopo indagini di immunocitochimica) consente di differenziare con certezza un
linfoma timico da un timoma. Il quadro citologico è comunque caratterizzato dal rilievo, in
numero variabile, anche di mastociti, eosinofili, macrofagi, melanociti, plasmacellule e
neutrofili. Nel timoma la componente linfociaria può essere inoltre preponderante rendendo
dubbia l’interpretazione del preparato. Istologicamente sono infatti riconosciute forme
prevalentemente linfocitarie, prevalentemente epiteliali e miste. Le cellule epiteliali (positive
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alle citocheratine) sono di forma allungata e meno frequentemente rotonde o poligonali, i
nuclei pallidi e vescicolosi con nucleolo prominente e il citoplasma a margini indistinti. I
linfociti infiltranti sono per lo più piccoli ed eterogenei per morfologia ma in un terzo circa
dei casi sono di grandi dimensioni. In alcuni casi sono evidenziabili i corpi di Hassal.
Terapia.
Il tumore primario è solitamente benigno e in alcuni dei casi descritti l’exeresi chirurgica del
timoma ha condotto alla completa risoluzione dei segni clinici dermatologici. Nella maggior
parte dei casi, però, i gatti sono stati sottoposti ad eutanasia per l’identificazione tardiva o
mancata del tumore o per il rifiuto del proprietario di procedere con l’intervento chirurgico.
Bibliografia
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SINDROMI PARANEOPLASTICHE DERMATOLOGICHE “RARE”
Luisa Cornegliani, DMV, Dipl. ECVD
Libero Professionista, Milano
Definizione
La sindrome paraneoplastica (SPN) è un’alterazione fisica non tumorale secondaria alla
neoplasia, che si verifica in un distretto differente da quello del tumore primario e/o dalle sue
metastasi; causa segni clinici che riflettono gli effetti remoti del cancro piuttosto che quelli
diretti indotti dalla crescita tumorale stessa o dalla sua invasione tissutale. La SPN si presenta
con gravi alterazioni endocrine, ematologiche, gastrointestinali, neurologiche, renali o cutanee
e spesso può rappresentare il primo segno clinico della neoplasia, essendo così correlabili a
specifici tumori. E’ difficile definire quali siano le sindromi paraneoplastiche “rare”, visto che
in veterinaria non esistono elaborazioni statistiche in merito; in medicina umana invece si
stima che circa il 50% dei pazienti con tumore possano manifestare una SPN nel corso della
malattia. Le SPN rare in veterinaria sono: il pemfigo paraneoplastico, il prurito
paraneoplastico, l’amiloidosi, la vasculite e la dermatomiosite.
Pemfigo paraneoplastico (PPN) (nuova terminologia: variante epiteliale della sindrome
paraneoplastica autoimmune multiorgano)
Nell’uomo è una sindrome ben conosciuta, considerata poco comune, ma non rara. In
veterinaria sono stati segnalati pochi casi nel cane e nel cavallo. Nel cane è stato descritto in
modo completo almeno un caso. L’animale presentava inizialmente anoressia e depressione,
associate a gravi lesioni erosive ed ulcerative orali; successivamente sono apparse lesioni
vescicolobollose sul capo, sulle estremità e sul tronco. Alla necroscopia si evidenziava il
tumore primario, un linfoma mediastinico. Il caso riportato nel cavallo era invece secondario
ad emangiosarcoma splenico. Nell’uomo il PPN è stato correlato a neoplasie quali linfoma,
leucemia linfocitica cronica, sarcomi, carcinoma squamocellulare e timoma. In medicina
umana la diagnosi di PPN deve soddisfare i seguenti criteri: 1) presenza d’eruzioni cutanee
con vescicole e/o erosioni; 2) caratteristiche istologiche caratterizzate da acantolisi
epidermica, necrosi dei cheratinociti, dermatite d’interfaccia vacuolare; 3) deposizione
d’immunoglobuline
G
e
del
complemento
tra
epidermide
e
membrana
basale
(immunofluorescenza diretta); 4) presenza d’autoanticorpi serici reattivi nei confronti
dell’epidermide normale (immunofluorescenza indiretta); 5) immunoprecipitazione con
anticorpi serici. Il caso descritto nel cane da White (1998), soddisfava tutti i criteri riportati in
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medicina umana. L’esame istopatologico, l’immunofluorescenza indiretta, il Western blot
soddisfacevano i criteri. L’analisi ematica rivelava la presenza di autoanticorpi nei confronti
di due proteine: 230, 210 e 190 kDa. L’istopatologia delle lesioni cutanee comprende le
lesioni classiche dell’eritema multiforme e quelle del pemfigo volgare. I rari casi segnalati
hanno avuto tutti un esito fatale e la diagnosi eziologica è stata solo effettuata in sede
necroscopica. Mancano quindi i dati per ipotizzare un’adeguata terapia.
Prurito paraneoplastico
Il prurito è una sensazione cutanea sgradevole che provoca il desiderio di grattarsi, strofinarsi,
mordicchiarsi; è sintomo di molte malattie. In medicina umana esiste una forma di prurito
paraneoplastico associato a neoplasie sistemiche e più comunemente in pazienti con il linfoma
di Hodgkin. In circa il 10% dei malati può addirittura rappresentare il primo segno clinico
della malattia, mentre circa il 50% lo sviluppano durante la neoplasia. Anche negli animali è
stato segnalato questo sintomo associato al linfoma (cavallo, gatto). Il meccanismo preciso di
sviluppo del prurito in corso di linfoma non è chiaro, ma sembra essere causato dal rilascio di
istamina associato al disordine linfoproliferativo. Esistono anche altre neoplasie umane che
possono indurre prurito quali tumori cerebrali (prurito parossistico), colestasi estraepatica
maligna, tumore squamocellulare. Nel cane il mastocitoma sistemico può indurre prurito
incoercibile, ma attualmente non è ben chiaro se si tratti di una vera sindrome paraneoplastica.
La diagnosi può essere talvolta indaginosa, ma se precoce consente di affrontare la neoplasia
in modo adeguato. L’eliminazione del tumore comporta la risoluzione del prurito.
Amiloidosi, vasculite e dermatomiosite
Nell’uomo, sono segnalate anche lesioni e/o malattie dermatologiche associate alla neoplasia
difficili da correlare ad essa. La dermatomiosite per esempio è associata al timoma,
l’amiloidosi al linfoma e la vasculite a differenti altri tumori. Difficile capire quale sia
l’incidenza di tali manifestazioni cliniche in veterinaria.
Bibliografia
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IPERCALCEMIA MALIGNA NEL CANE.
DIAGNOSI, TRATTAMENTO E NEOPLASIE AD ESSA
COLLEGATE
Laura Marconato, Giorgio Romanelli, Paolo Buracco
Per sindrome paraneoplastica s’intende un gruppo di disordini associati alla presenza
di una neoplasia, ma non correlati a dimensioni o localizzazione della lesione,
metastasi o attività fisiologica del tessuto maturo di origine. Le sindromi
paraneoplastiche producono dei segni che riflettono l’effetto remoto del tumore e non
quello diretto dovuto alla crescita o invasione neoplastica.
La sindrome paraneoplastica può precedere, seguire o coincidere con la scoperta del
tumore connesso, inoltre può fungere da marker di risposta del tumore alla terapia o
di recidiva dopo la remissione.
L’ipercalcemia è un’anomalia biochimica, caratterizzata da un aumento persistente
della calcemia (> 12 mg/dl nel cane e 11 mg/dl nel gatto) ed i tumori (linfoma,
timoma, adenocarcinoma delle ghiandole apocrine dei sacchi anali, mieloma
multiplo, carcinomi metastatici all’osso, neoplasie ossee primitive) ne rappresentano
la causa più comune nel cane e nel gatto.
I normali meccanismi omeostatici lavorano per mantenere i livelli di calcio sierico in
un range stretto, dal momento che l’omeostasi del calcio interviene in numerosi
funzioni vitali intra- ed extracellulari, tra cui formazione ossea e riassorbimento,
trasmissione neuromuscolare, contrazione muscolare, conduzione nervosa, reazioni
enzimatiche, trasporto trans-membranario e stabilità di membrana, coagulazione del
sangue, secrezione ormonale, controllo dei depositi epatici di glicogeno, crescita
cellulare e divisione.
La normale omeostasi del calcio è mantenuta grazie all’azione integrata di PTH,
calcitonina e metaboliti di vitamina D (soprattutto calcitriolo). Mentre PTH e
metaboliti di vitamina D intervengono per aumentare la calcemia, la calcitonina
interviene in caso di ipercalcemia per ridurre i livelli di calcio sierico. PTH è prodotto
dalle paratiroidi e regola la calcemia minuto per minuto, al contrario il calcitriolo
(metabolita più attivo della vitamina D) è importante per la regolazione quotidiana
della calcemia. La calcitonina è invece prodotta dalle cellule parafollicolari © della
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tiroide. Gli organi bersaglio di PTH, calcitriolo e calcitonina sono: piccolo intestino,
reni ed ossa.
I principali meccanismi fisiopatologici all’origine dell’ipercalcemia maligna sono:
1. ipercalcemia umorale: produzione da parte delle cellule neoplastiche di fattori
ad attività ipercalcemizzante, tra cui PTHrP, IL-1, IL-6, TNF-, TGF-,
TGF-, PGE2, fattore attivante gli osteoclasti e calcitriolo.
2. ipercalcemia osteolitica: secondaria a metastasi ossee di tumori solidi o a
neoplasie emopoietiche con interessamento midollare
I sintomi correlati all’ipercalcemia si ripercuotono sul sistema neuromuscolare,
gastroenterico,
renale
e
cardiovascolare.
Nel
gatto
ipercalcemico
sono
particolarmente evidenti letargia e anoressia.
E’ molto importante differenziare l’ipercalcemia maligna dall’ipercalcemia non
indotta dai tumori. Le principali diagnosi differenziali devono essere poste con:
iperparatiroidismo primario, insufficienza renale acuta o cronica, ipervitaminosi D,
ipoadrenocorticismo, crescita negli animali giovani, osteomielite.
Per diagnosticare la causa all’origine dell’ipercalcemia sono indicati: anamnesi
dettagliata, esame clinico, esame emocromocitometrico, ematochimica (in particolare
calcemia totale e calcio ionico, azotemia a creatininemia, concentrazione di fosforo),
esame delle urine, radiografia di torace e addome, citologia di linfonodi palpabili. Se
tutti questi esami non consentono di identificare la causa, si ricorre a: ecografia
addominale con citologia ecoguidata di fegato, milza e linfonodi megalici, citologia
midollo osseo, dosaggio di PTH, calcio ionizzato, e PTHrP. In alcuni casi selezionati
si procede con test di stimolazione con ACTH oppure a trial terapeutici con
glicocorticoide o chemioterapici (L-asparaginasi).
La terapia dell’ipercalcemia maligna può essere sintomatica (per stabilizzare il
paziente) o d’elezione (per rimuovere la neoplasia responsabile). La terapia
sintomatica deve essere garantita al paziente in attesa della diagnosi eziologica e
dell’istituzione di una terapia d’elezione.
La terapia sintomatica prevede: fluidoterapia con soluzione fisiologica, furosemide, e
glicocorticoidi (soltanto se la causa è stata identificata). Particolarmente utili sono
15
alcuni farmaci che consentono di ripristinare abbastanza velocemente la calcemia,
soprattutto se refrattaria ai trattamenti precedenti: calcitonina, difosfonati,
plicamicina e agenti alcalinizzanti (bicarbonato di sodio).
Diagnosi e trattamento del carcinoma dei sacchi anali
L’adenocarcinoma dei seni paranali (o sacchi anali o seni anali) deriva dalle ghiandole
apocrine del è la neoplasia più frequente a carico di queste strutture, sembra prevalere nelle
femmine sterilizzate di età media di 10,8 anni (range 5-17) anche se lavori più recenti
indicano una uguale possibilità in maschi e femmine. Non sembra esserci un’evidente
predisposizione razziale. Rarissimo nel gatto.
Eziologia e comportamento biologico
Al contrario delle neoplasie benigne di derivazione circumanale, per l’adenocarcinoma del
seno paranale non è dimostrata alcuna ormonodipendenza.
L’adenocarcinoma dei seni paranali è un tumore particolarmente aggressivo, difficile però da
evidenziare clinicamente nelle fasi iniziali a causa della sua localizzazione occulta.
Se di ridotte dimensioni (2-5 mm) la lesione può, infatti, passare inosservata ed essere
incidentalmente rilevata all'esplorazione digito-rettale. Secondo uno studio il tumore sarebbe
clinicamente evidente solo nel 69% dei casi. La lesione può essere bilaterale e l’ulcerazione è
rara. L’animale è in genere condotto a
visita solo quando la neoplasia ha raggiunto
dimensioni ragguardevoli, con conseguenti disturbi funzionali della defecazione (nel 34% dei
casi), e/o quando compaiono i segni clinici associati all’ipercalcemia paraneoplastica che si
determina fino all’80-90% dei casi. La disseminazione metastatica ai linfonodi iliaci (o
sottolombari) è frequente e può essere già presente al momento della prima presentazione
(fino al 72% dei soggetti); è comunque più frequente nelle femmine rispetto ai maschi
(metastasi in genere più tardive). La linfoadenopatia sottolombare può esacerbare il tenesmo
defecatorio per compressione dorsale di colon-retto; le stazioni linfatiche successive sono i
linfonodi lombo-aortici. Sono inoltre possibili metastasi epatiche e, seppur raramente,
spleniche, polmonari od ossee (vertebre lombari).
Approccio diagnostico e stadiazione
EMATOLOGIA
Gli esami ematologici sono solitamente nella norma tranne il valore del calcio ematico che
può essere elevato in una percentuale che varia dal 50 al 90%
ESPLORAZIONE
RETTALE:
aumento di volume dei
per valutare l’estensione del processo neoplastico e l’eventuale
linfonodi sottolombari. I linfonodi iliaci, localizzati alla
16
quadriforcazione dell’aorta addominale, sono apprezzabili al loro polo caudale come masse
ovoidali al di sotto della colonna.
ESAME
ECOGRAFICO:
per la linfoadenopatia sottolombare (soprattutto in soggetti di grossa
taglia nei quali il dito esplorante non raggiunge l’area del linfonodo), linfonodi lomboaortici,
fegato e altri organi addominali. Nel corso dell’ecografia, su tali strutture, è possibile
effettuare anche biopsie ad ago sottile ecoguidate
ESAME TC per misurare in modo accurato la linfoadenopatia e le eventuali metastasi
polmonari .
BIOPSIA: nei soggetti con adenocarcinoma del seno paranale, l’esame citologico è in genere
diagnostico e la biopsia incisionale trova poche indicazioni.
Sindromi paraneoplastiche
Per le neoplasie di questa regione la più significativa è l’ipercalcemia, frequente in caso di
adenocarcinoma del seno paranale e che è dovuta alla produzione da parte del tumore di una
sostanza paratormone-simile; non necessariamente la sua presenza implica ipercalcemia ma
sicuramente essa gioca un importante ruolo nella patogenesi di questa alterazione metabolica.
Si ricordi che l’ipercalcemia, a seguito dell’asportazione chirurgica del tumore e delle sue
eventuali metastasi, si risolve per poi ricomparire con lo sviluppo della recidiva o di altre
metastasi (marker tumorale).
Terapia
Si basa su escissione chirurgica (sempre bilaterale), linfoadenectomia (quando indicato) e
chemioterapia adiuvante.
L’escissione chirurgica è in genere marginale considerato che, nella maggior parte dei casi, la
disseminazione linfatica è già avvenuta rendendo inutile la rimozione “en bloc”.
I linfonodi iliaci e/o lomboaortici, anche se molto ingranditi, sono esplorati e, se possibile,
escissi per via celiotomica. I linfonodi asportati, al pari della lesione primaria, sono sottoposti a
esame istologico.
L'uso della chemioterapia a base di doxorubicina, mitoxantrone, ciclofosfamide, cisplatino o
carboplatino può risultare utile; anche nel gatto l’uso del carboplatino o della doxorubicina
può prolungare la sopravvivenza. Recentemente è stato proposto l’uso adiuvante, nel cane,
del solo melphalan: la sopravvivenza mediana nei cani con lesioni anche metastatiche è
risultato di 20 mesi, in quelli con tumore solo a livello dei seni di 29,3 mesi, senza differenze
significative fra i due gruppi (7 cani in ciascuno). L'irradiazione della parte, oltre che della
regione retroperitoneale, è un’ulteriore opzione. In uno studio, a seguito di escissione
17
chirurgica e irradiazione adiuvante, si è registrata una sopravvivenza media di 12,7 mesi
(mediana 8,3; range 1,5-39 mesi); la maggior parte dei cani colpiti è stata poi sottoposta ad
eutanasia per recidiva e/o metastasi.
Fattori prognostici
I fattori prognostici negativi sono il coinvolgimento metastatico dei linfonodi regionali e
l’ipercalcemia; in uno studio recente, comunque, l’ipercalcemia non avrebbe influito in modo
significativo sulla sopravvivenza. La sopravvivenza mediana varia da 6 a 16 mesi a seconda
che la disseminazione metastatica sia presente o meno al momento della diagnosi. Recidiva
locale, dopo escissione, si rileva in almeno metà dei casi.
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Modificato da “Oncologia del cane e del gatto” ed. Elsevier Masson con il permesso dell’editore
18
DERMATOFIBROSI NODULARE
Luisa Cornegliani, DMV, Dipl ECVD
Libero professionista, Milano
Definizione
Il Cistoadeno(carcino)ma renale multifocale e la dermatofibrosi nodulare (RCND)
rappresentano una rara malattia ereditaria, che si manifesta come una sindrome tumorale
prevalentemente nei cani di razza pastore tedesco. Fu descritta per la prima volta nel 1983. La
sindrome è caratterizzata da tumori bilaterali multifocali dei reni, numerosi noduli di
consistenza solida sulla cute e sottocute. I cani di sesso femminile presentano leiomioma nel
50% dei casi.
Eziopatogenesi
La RCND è una malattia genetica, autosomica dominante, causata dalla mutazione del
cromosoma 5 (Canis familiaris 5 o CFA5) e dalla mutazione dell’exone 7. Nell’uomo la
sindrome di Birt-Hogg-Dubè (BHD), secondaria ad una mutazione genetica del cromosoma
17p12-q11.2 che codifica la folliculina (FLCN), è clinicamente simile alla RCND; è inoltre
segnalata nel ratto Eker la sindrome del carcinoma renale indotta dalla mutazione del gene tsc
2. La causa genetica della RCDN pone in discussione se chiamarla sindrome paraneoplastica
o se la si può classificare tra le malattie ereditarie. L’alterazione del CFA5 comporta un
aumento del TGF-beta. Quest’ultimo normalmente stimola la fibrosi e l’espressione di: ECM
(extra cellular matrix), collagene I, III, IV, fibronectina, trombospondina, tenascina,
osteopontina, osteonectina e proteoglicani; mentre inibisce l’espressione di proteasi quali
collagenasi, stromelisina, attivatori del plasminogeno. La sovra-espressione del TGF-beta1
comporta l’attivazione dei leucociti, l’aumento della loro capacità adesiva e l’accumulo dei
fibroblasti, stimolando la produzione di matrice (ECM). A livello dermico la dermatofibrosi
nodulare sembra essere dovuta alla produzione di citochine piuttosto che essere il risultato di
un processo paraneoplastico secondario al tumore renale. D’altra parte, esistono comunque
teorie a favore dell’ipotesi di un processo paraneoplastico: le cellule neoplastiche regolano il
rimodellamento della matrice inducendo l’angiogenesi e le metastasi, tramite la produzione di
catepsina, tronbospondina e plasmina, attivano il TGF-beta.
Razze
Classicamente è descritta nel Pastore Tedesco, tuttavia è stata segnalata anche nel golden
retriever, nel boxer, nel German Shorthaired Pointer e in alcuni meticci.
19
Manifestazioni cliniche
I primi sintomi compaiono a partire da 6-7 anni di età. Gli animali vengono portati alla visita
clinica per la presenza di lesioni dermatologiche. Queste sono rappresentate da noduli multipli
di consistenza soda, ben circoscritti, dimensioni variabili da 2-3 mm a 4 cm diametro. La cute
può essere di colore normale e/o iperpigmentata, ispessita ed a volte alopecica nelle aree di
frizione. Le lesioni dermatologiche sono localizzate prevalentemente sulle estremità degli arti.
Le alterazioni più gravi si riscontrano a carico dei reni: cisti multifocali renali bilaterali di
dimensioni variabili, seguite o associate spesso ad iperplasia e fibrosi del tessuto renale; con il
progredire della malattia si sviluppano cistoadenomi e/o cistoadenocarcinoma. Se le
alterazioni cistiche sono gravi il paziente può presentare dolore e distensione addominale,
depressione e perdita di appetito; in corso di rottura delle cisti renali si ha anche ematuria e
febbre. In generale però il paziente presenta progressivamente insufficienza renale e segni
clinici legati ad essa (anoressia, emaciazione, poliuria-polidipsia e disidratazione). Oltre
all’insufficienza renale cronica, si possono avere, nel 20% dei casi, metastasi ai linfonodi
sternali, fegato e milza. I cani di sesso femminile possono sviluppare leiomioma uterino e/o
leiomiosarcoma. In rari casi è segnalato anche l’interessamento del piccolo intestino per la
presenza di polipi iperplastici ed associata ipertrofia del collagene della parete intestinale.
Nell’uomo con sindrome di Birt-Hogg-Dubè si riscontrano fibrofolliculomi, neoplasia renale
(15% dei pazienti), polipi al colon e cisti polmonari.
Diagnosi
La diagnosi di RCND si basa sull’esclusione di altre cause. Gli esami complementari
dermatologici sono rappresentati da esame citologico per apposizione, a partire da lesioni
ulcerate, e per agoinfissione, dai noduli cutanei. Se i noduli sono ulcerati il quadro citologico
sarà simile a quello della piodermite superficiale vs profonda. La citologia delle lesioni
integre nodulari spesso non è cellulare. L’esame istopatologico evidenzia ispessimento
dermico locale secondario all’incremento di fibre collagene a fasci, noduli sottocutanei ben
circoscritti formati da collagene maturo in continuità con il collagene dermico profondo,
atrofia degli annessi secondaria a proliferazione delle fibre di collagene. L’esame ecografico
addominale è eseguito secondariamente al referto istopatologico nei cani senza altri segni
clinici compatibili con una malattia neoplastica renale, mentre nei pazienti con manifestazioni
sistemiche della malattia spesso precede l’esame istopatologico o è contemporaneo.
L’ecografia addominale evidenzia reni con lesioni cistiche, in parte sedimentate, con aggetti
solidi
iperecogeni
eterogenei.
L’esame
istopatologico
20
renale
è
diagnostico
per
cistoadenocarcinoma o cistoadenoma. In corso di necroscopia, i reni sono aumentati di
volume ed irregolari nella forma, con tumori multipli solidi e/o cistici. E’ possibile eseguire la
diagnosi precoce in pastori Tedeschi cuccioli tramite ecografia addominale: i reni mostrano
cisti multiple di 1-3 mm, reni di dimensioni normali, normale ecogenicità della corticale e
differenziazione corticomidollare conservata. L’esame delle urine può mostrare proteinuria e
bacteruria, ma spesso i valori risultano nei range di riferimento. Anche i profili biochimici ed
ematologici possono essere da normali ad alterati. Le femmine non sterilizzate possono
mostrare calori anomali e infezioni ricorrenti all’utero dovute al tumore uterino (leiomioma).
In questi casi l’esame ecografico, radiografico ed istopatologico confermano il sospetto
diagnostico.
Terapia
Non esiste un trattamento standard della malattia, che è fatale nella maggior parte dei casi per
la grave insufficienza renale e per il tumore. Il tempo di sopravvivenza medio dalla diagnosi è
di circa un anno. Nei casi meno gravi con funzionalità renale parzialmente conservata si può
intervenire chirurgicamente. I noduli cutanei dolenti o ulcerati possono essere asportati, come
pure si può eseguire l’isterectomia per il tumore uterino. Ben più complessa rimane la
gestione terapeutica delle lesioni cistiche o neoplastiche renali. Se solo un rene è affetto in
modo grave si può optare per l’asportazione del medesimo, ma in caso di lesioni simmetriche
resta solo la terapia di supporto. Ovviamente la chirurgia è necessaria se uno dei reni è affetto
da cisti multiple vicino alla rottura e/o neoplastica.
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21
OSTEOPATIA IPERTROFICA
Paolo Buracco
Indirizzo per corrispondenza [email protected]
L’osteopatia ipertrofica (OI), anche definita morbo di Cadiot, è una sindrome paraneoplastica
caratterizzata da proliferazione periostale (in origine dallo strato cambiale del periostio) che si
sviluppa lungo le diafisi delle ossa lunghe in risposta alla presenza di lesioni maligne e non.
Tali proliferazioni sono a palizzata, disposte cioè perpendicolarmente alla corticale diafisaria.
La loro progressione è disto-prossimale e possono essere coinvolte, seppur di rado, anche
coste e pelvi. Il termine osteoartropatia ipertrofica è più corretto per la specie umana in quanto
nei nostri animali il coinvolgimento articolare non è segnalato.
Nell’uomo la prima descrizione è di Ippocrate (c.d. “dita di Ippocrate,” poi anche definite
“dita a bacchetta di tamburo”, con tumefazione soprattutto periungueale).
E’ per lo più dovuta a tumori polmonari primitivi ma, nel cane, l’OI è anche stata associata a
metastasi polmonari, rabdomiosarcoma vescicale, tumori esofagei, schwannoma maligno (in
partenza dal nervo vago intratoracico), mesotelioma, Sertolioma maligno, carcinoma
vescicale o renale a cellule transizionali, nefroblastoma, fibrosarcoma da Spirocerca lupi, etc.
e, nel gatto, a carcinoma renale papillare e adenocarcinoma surrenalico. Condizioni non
maligne descritte in associazione ad OI sono filariosi, malattie cardiache (comprese le
endocarditi batteriche e shunt destra-sinistra associato a dotto arterioso pervio), atelettasie
polmonari focali, megaesofago congenito, gravidanza, ascessi, granulomi, corpi estranei,
cirrosi epatica e polmoniti da agenti diversi (Eikenella corrodens, tubercolosi, etc), etc.
L’eziologia è sconosciuta. Dal punto di vista patogenetico è evidente l’aumento del flusso
ematico a livello degli arti, forse per stimolo neurogenico (nervo vago, nervi intercostali), con
esito in ipossia a livello capillare locale e attivazione dello strato cambiale del periostio.
Questa teoria è supportata dal fatto che la vagotomia (vago solo sensitivo) esita nella
risoluzione dei segni clinici. Alcune ricerche suggeriscono anche un aumento del releasing
factor per l’ormone della crescita (GHRH).
Segni clinici: dal punto di vista anamnestico il proprietario riferisce spesso di una zoppia
migrante o di una riluttanza al movimento se tutti gli arti sono colpiti. Questi ultimi sono
caldi, dolenti e tumefatti (non si lascia però l’impronta, segno questo di edema passivo).
La diagnosi è radiografica, con visualizzazione della caratteristica periostosi a palizzata.
L’esame radiografico va esteso al torace e alla cavità addominale; quest’ultima è meglio
22
indagata con l’esame ecografico. L’obiettivo è rilevare una lesione espansiva in uno od in
entrambi i settori.
Il trattamento prevede l’eliminazione della causa scatenante (escissione della lesione primaria
toracica e/o addominale, metastasectomia polmonare, quest’ultima anche in toracoscopia) a
cui segue la remissione dei segni clinici già nelle prime 24 ore nella maggior parte dei casi. Se
ciò non è possibile (come nel caso di metastasi diffuse), il trattamento palliativo è operato con
corticosteroidei (prednisone, 1-2 mg/kg al giorno), FANS od oppioidi. In un caso di
mesotelioma in un beagle, il trattamento con cisplatino è esitato in remissione della
sintomatologia; in altri 4 cani precedentemente operati per osteosarcoma appendicolare, la
metasectomia polmonare è esitata in remissione dei segni clinici per un periodo di 50-294
giorni. Una possibile ulteriore opzione è l’irradiazione della lesione primaria. Altri trattamenti
suggeriti in medicina umana sono: toracotomia intercostale (“apri e chiudi”), vagotomia
bilaterale cervicale, analgesici e resezioni costali subperiostali. In veterinaria questo non è mai
stato comprovato. In medicina umana, ed in parte anche in veterinaria, sembra promettente
l’uso dei bifosfonati (ad attività antiosteoclastica), specie nei riguardi del controllo del dolore
resistente ad altri trattamenti.
Bibliografia
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LE NEOPLASIE PANCREATICHE. INSULINOMA ED IPOGLICEMIA.
CARCINOMA PANCREATICO. DIAGNOSI E TRATTAMENTO
Buracco Paolo
e-mail [email protected]
TUMORI DEL PANCREAS ENDOCRINO
Le isole di Langerhans (2% di tutto il pancreas) sono formate da cellule (20% circa)
deputate alla produzione di glucagone, le (60-75%) dell’insulina, le della somatostatina e
le F (o P) del polipeptide pancreatico. Il tumore più frequente è l’insulinoma; molto più rari
sono glucagonoma, somatostatinoma, carcinoidi e gastrinoma.
INSULINOMA Il quadro clinico distintivo è quello della neuroglicopenia. Per quanto raro,
prevale in cani di taglia medio-grande (boxer, pastore tedesco, Labrador, Setter irlandese,
collie, etc). L’età dei soggetti colpiti è di 9-10 anni ma la neoplasia può presentarsi anche in
soggetti più giovani o più anziani. Nel gatto è meno frequente che nel cane.
La maggior parte degli insulinomi è maligna (carcinomi), con metastasi (linfonodi regionali e
fegato, più raramente duodeno, mesentere, omento, milza, etc) alla presentazione in quasi
metà dei soggetti. La produzione di insulina da parte del tumore è parzialmente o
completamente autonoma. In risposta a tale endocrinopatia sono prodotti catecolamine e
glucagone prima e cortisolo e ormone della crescita poi. I due lobi del pancreas sono colpiti in
egual misura. Tali neoplasie possono essere anche di alcuni millimetri di diametro; le
metastasi sono spesso più voluminose. I segni clinici causati dall’ipoglicemia sono di tipo
neurologico (convulsioni, debolezza, collasso, atassia, etc), e si accentuano con l’esercizio, il
digiuno e, talvolta, con l’assunzione di cibo (stimolazione postprandiale). Questi segni
possono essere preceduti da fascicolazioni, agitazione e fame (da catecolamine).
Successivamente, adattandosi il SNC all’ipoglicemia (anche a valori di 20-30 mg/dl), i segni
clinici divengono meno gravi. Possibili, seppur rare, le neuropatie periferiche (nervo facciale,
deficit propriocettivi, etc), forse su base autoimmune.
La diagnosi presunta si basa sui segni clinici e sul rilievo di ipoglicemia associata a
insulinemia alta o anche normale (valore estremo alto del range di normalità; normalmente, in
nessun cane con insulinoma si rilevano valori al di sotto di tale range). La somministrazione
di glucosio risolve i segni clinici (terzo segno della triade di Whipple, oltre a ipoglicemia e
iperinsulinemia). E’ importante escludere altre cause di ipoglicemia: artefatti, ipoglicemia dei
cani da caccia, altri tumori (epatoma, tumori della muscolatura liscia dell’intestino,
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adenocarcinoma salivare, etc), epatopatie (comprese quelle da shunt porto-sistemico), morbo
di Addison, deficienza di ormone della crescita, etc.
Il prelievo di sangue va eseguito nel soggetto a digiuno (che deve essere controllato a vista,
con monitoraggio della glicemia almeno ogni ora) per la valutazione contemporanea di
glicemia e insulinemia (quando la glicemia è inferiore a 60 mg/dl); gli altri parametri sono in
genere nella norma. Se la glicemia è normale e il sospetto di insulinoma è fondato, si è
segnalato che la determinazione delle fruttosamine e dell’emoglobina glicosilata può essere di
aiuto (entrambe ridotte in caso di insulinoma). La valutazione del rapporto glucosio:insulina o
insulina:glucosio (anche corretto) può fornire risultati falsamente positivi. Piuttosto, è
preferibile procedere a più prelievi nell’arco della giornata. L’esame ecografico dell’addome:
è utile solo per masse di una certa dimensione e per eventuali metastasi e per identificare altre
potenziali cause di ipoglicemia. CT e RNM sono utili per lesioni di oltre 1 cm e per le
metastasi. L’esame radiografico del torace (proiezioni standard) è opportuno per la ricerca
delle metastasi ma in genere è negativo. Il ricorso alla laparotomia esplorativa, con rilievo del
tumore primario e delle metastasi mediante ispezione e palpazione è per ora il sistema più
affidabile. La diagnosi definitiva è istopatologica (anche immunoistochimica, cromogranina
A, utile anche ai fini diagnostici, e enolasi neurospecifica) e la la stadiazione TNM è postchirurgica.
Il trattamento delle crisi ipoglicemiche si attua somministrando zucchero in forma di sciroppo,
tavolette o miele oppure, in clinica, per infusione endovenosa. In alternativa, è descritta
l’infusione continua di glucagone (5-15 ng/kg/min). Per i fenomeni convulsivi sono indicati il
diazepam e eventualmente i barbiturici. Necrosi cerebrale sottocorticale responsabile di
fenomeni convulsivi non responsivi alla terapia dell’edema cerebrale
(mannitolo e
glucorticoidi) e alla somministrazione di glucosio si può produrre a seguito di intense crisi
ipoglicemiche. La glicemia va stabilizzata prima dell’intervento chirurgico. Dopo l’apertura
dell’addome, il pancreas e tutto l’addome sono esaminati mediante ispezione e palpazione
(con particolare attenzione alle sedi di più frequente disseminazione). Ogni area sospetta va
rimossa o biopsiata; per quanto riguarda il pancreas, se le lesioni sono a livello del corpo, si
procede a escissione marginale, se a carico del lobo destro o sinistro a pancreatectomia
parziale. L’infusione di liquidi nel corso della e dopo la chirurgia è importante per prevenire
la pancreatite iatrogena, così come il digiuno postchirurgico per 1-2 giorni. Dopo l’intervento
la glicemia deve essere controllata per 2-3 volte al giorno nei primi 4-5 giorni. Il successo
dell’intervento è in genere documentato dalla iperglicemia postoperatoria ma questa è in
26
genere transitoria (da alcuni giorni ad alcuni mesi e solo in rari casi è necessario
somministrare insulina). La persistenza dell’ipoglicemia indica una non completa escissione
del tumore e/o delle sue metastasi; se ciò accade il soggetto è gestito con terapia medica.
Quest’ultima è usata come singolo presidio o in associazione alla chirurgia. Il primo passo,
oltre a mantenere il soggetto in ambiente tranquillo, è alimentarlo frequentemente (3-5 volte
al giorno) con diete ricche in carboidrati complessi. Il secondo consiste nella
somministrazione di prednisone (da 0,3 a 2,5-3 mg/Kg per os.), alla dose minima utile a
mantenere il soggetto in uno stato neurologicamente normale. Farmaci più specifici per
constrastare l’ipoglicemia sono il diazossido somatostatina e octreotide (analogo della
somatostatina) i cui risultati sono però incostanti. Farmaci più specifici contro le cellule
dell'insulinoma sono streptozotocina e allossano, entrambi caratterizzati da notevole
tossicità.
La giovane età e l’entità dell’iperinsulinemia sembrano giocare un ruolo negativo sulla
sopravvivenza. La chirurgia è difficilmente curativa per il fatto che non tutte le lesioni
metastatiche sono identificate; la maggior parte dei soggetti, dopo la chirurgia, diventa
progressivamente euglicemica ma alcuni sviluppano diabete mellito e/o insufficienza
pancreatica esocrina (dopo rimozione di gran parte della ghiandola o per resezione di
entrambi i dotti). La sopravvivenza media dei cani trattati in forma medica è di circa 1 anno.
Per quelli trattati chirurgicamente, la sopravvivenza mediana è più lunga per quanto
influenzata dallo stadio clinico, quindi dal rilievo o meno di metastasi al momento
dell’intervento: in particolare da 6 mesi (stadio III) a 18 mesi (stadi I e II). Le sopravvivenze
di oltre 2 anni sono comunque possibili anche nei soggetti già metastatici alla presentazione.
Tratto da: Buracco P. Tumori endocrini. In Oncologia del cane e del gatto, a cura di Romanelli G., Elsevier
Masson 2007, pp. 396-401 con il permesso dell’editore
TUMORI DEL PANCREAS ESOCRINO
I primari, per lo più adenocarcinomi, sono molto rari sia nel cane sia nel gatto. L’organo può
essere anche coinvolto per contiguità da tumori gastrointestinali o essere sede di
metastatizzazione secondaria. I cani e i gatti colpiti sono anziani, con prevalenza dei soggetti
di sesso femminile.
Sono per lo più adenocarcinomi di origine duttale o acinare, più spesso localizzati al corpo
dell’organo; sono caratterizzati da comportamento aggressivo, sia in termini di invasione
locale sia di disseminazione metastatica (linfonodi regionali, fegato, peritoneo, etc).
27
I segni clinici sono più spesso aspecifici e associati a debilitazione e disidratazione
progressive. Più significativo è l’ittero da occlusione/coinvolgimento diretto del coledoco
(carcinomi del corpo del pancreas; possibile inoltre il versamento addominale da diffusione
tumorale peritoneale o da disturbo emodinamico da compressione della vena cava caudale.
Nel gatto si segnala la possibilità di alopecia paraneoplastica (diffusa o localizzata ad arti,
muso e cute addominale).
Nella maggior parte dei casi il tumore non è palpabile. Gli esami di laboratorio sono spesso
alterati ma poco significativi ai fini della diagnosi; iperbilirubinemia si osserva in caso di
ostruzione biliare. L’esame radiografico dell’addome è poco significativo, specie in caso di
versamento. L’esame ecografico dell’addome può fornire alcune indicazioni sia sulla malattia
primaria sia sulla disseminazione metastatica; se quest’ultima è assente la diagnosi
differenziale si impone con le pancreatiti e le pseudocisti pancreatiche. Consigliabile, quando
possibile, il prelievo ecoguidato di campioni bioptici ad ago sottile e/o la centesi del liquido
delle pseudocisti (in cui l’attività lipasica è elevata e più alta di quella sierica). In quest’ultimo
caso l’affidabilità diagnostica è elevata ma si segnala la possibilità di risposte falsamente
negative in caso di malignità associata a pancreatite. L’esame citologico sul liquido ottenuto
per centesi addominale in caso di versamento può essere diagnostico per malignità. La
diagnosi definitiva è ottenuta mediante esplorazione chirurgica o laparoscopica grazie alla
quale è poi possibile stadiare il tumore.
La chirurgia rappresenta al momento l’unica opzione valida ma è possibile solo in un
limitatissimo numero di pazienti (tumore non invasivo localizzato ai lobi sinistro o destro tale
da rendere possibile la pancreatectomia parziale. La pancreatectomia totale è discutibile.
Fattori prognostici sono localizzazione, invasione e metastasi, spesso già presenti alla
diagnosi; anche la chirurgia palliativa (by-pass dell’ostruzione) ha poco significato e il tasso
di mortalità perioeratoria è molto elevato. Anche nell’uomo si tratta di un tumore frequente,
particolarmente aggressivo e difficile da curare.
Tratto da: Buracco P. Tumori del pancreas esocino. In Oncologia del cane e del gatto, a cura di Romanelli G.,
Elsevier Masson 2007, pp. 345-6 con il permesso dell’editore
28
ALOPECIA PARANEOPLASTICA FELINA. QUADRI CLINICI E
DERMATOPATOLOGICI.
Rosario Cerundolo* DVM, Dipl. ECVD & Chiara Brachelente** DVM, PhD, Dipl. ECVP
*University of Pennsylvania, Philadelphia, USA; ** Dipartimento di Scienze Biopatologiche e Igiene delle
Produzioni Animali e Alimentari - Perugia
L’alopecia paraneoplastica felina (APF) è una forma di alopecia drammatica, estesa a livello
addominale, del collo e della faccia interna degli arti, caratterizzata da un aspetto lucido della
cute. Si manifesta in gatti anziani ed è associata allo presenza di un adenocarcinoma
pancreatico, epatico o dei dotti biliari.
Segnalamento
Sono colpiti i gatti anziani (10-17 anni) di entrambi i sessi e di varia razza.
Anamnesi
C’è una progressiva alopecia, spesso accompagnata da prurito che può precedere l’insorgenza
dell’alopecia, con inappetenza e perdita di peso.
Esame obiettivo generale
Sono quasi sempre presenti segni clinici sistemici quali dimagrimento, inappetenza, vomito,
diarrea e letargia. La palpazione dell’addome potrebbe far rilevare la presenza di una massa
nell’area pancreatica.
Esame dermatologico
C’è una acuta, progressiva, caduta del pelo, spesso simmetrica, limitata alla parte mediale
degli arti ed alla regione ventrale del corpo, dal mento all’inguine. La cute delle aree
alopeciche è lucida e liscia. Nella regione ventrale possono essere presenti comedoni . I
polpastrelli possono essere dolenti con presenza di cute secca, croste, fessurazioni e/o lesioni
eritematose. Il colore del mantello può diventare leggermente più chiaro o scuro.
La lucentezza cutanea è probabilmente dovuta alla perdita dello strato corneo in seguito al
continuo leccamento e successiva esposizione dello strato granuloso. La patogenesi
dell’alopecia non è chiara ma potrebbe essere legata all’atrofia follicolare indotta da citochine
prodotte dalla neoplasia. La patogenesi del prurito potrebbe essere legata alle infezioni
29
secondarie quali i lieviti, anche se spesso l’insorgenza del prurito precede la comparsa delle
altre lesioni cutanee.
Diagnosi differenziali
Le
diagnosi
differenziali
da
considerarsi
per
l’alopecia
simmetrica
sono:
l’iperadrenocorticismo, la dermatofitosi, la demodicosi, il deflusso telogeno e l’alopecia
areata.
Esami collaterali
Le routinarie indagini dermatologiche andrebbero effettuate per escludere la presenza di
ectoparassiti e dermatofiti. In particolare:
Tricogramma: mostra peli facilmente asportabili alla periferia dell’area alopecica.
Citologia cutanea: presenta spesso una sovrapopolazione di lieviti (Malassezia spp.).
Esami del sangue: (profilo ematologico e biochimico) sono di solito nella norma.
Nelle forme tumorali epatiche, AST e ALT possono essere elevate. Nella forma
pancreatica, sono stati riportati una modesta anemia, leucocitosi con neutrofilia e
monocitosi, iperproteinemia con iperglobulinemia ed un aumento della ALP, AST e
CK.
Diagnostica per immagini: possono essere presenti una massa pancreatica o lesioni
nodulari nel fegato. È possibile effettuare un agoaspirato o una biopsia ecoguidata per
unesame citologico o istologico. Se la neoplasia pancreatica è piccola, potrebbe non
essere visualizzata da un ultrasonografista poco esperto.
Esame istologico
Cute – Il quadro istopatologico è caratterizzato da una atrofia diffusa e grave delle
strutture follicolari con telogenizzazione e miniaturizzazione follicolare. L’epidermide
può essere variabilmente iperplastica e lo strato corneo è spesso assente.
Occasionalmente è possibile osservare paracheratosi multifocale o diffusa, o più
raramente ipercheratosi ortocheratosica e, nel derma superficiale, possono essere
presenti modici infiltrati perivasali, prevalentemente mononucleati.
Neoplasia pancreatica – I casi riportati in letteratura sono rappresentati da
carcinomi/adenocarcinomi del pancreas esocrino,
con descrizioni variabili di
metastasi ad altri organi quali fegato, linfonodi meseraici, peritoneo e pleura.
30
Neoplasia epatica – I tumori epatici più frequentemente correlati ad alopecia
paraneoplastica sono rappresentati da carcinomi colangiocellulari. Recentemente,
tuttavia, è stato descritto un caso in un gatto con carcinoma epatocellulare.
Evoluzione clinica
L’evoluzione dell’alopecia può essere rapida (un paio di settimane) o lenta (6-10 mesi). Il
tumore pancreatico metastatizza e spesso le metastasi sono già presenti al momento della
diagnosi clinica. La maggior parte dei gatti affetti è sottoposto ad eutanasia nell’arco di un
paio di mesi dall’insorgenza dei segni clinici dermatologici.
Terapia
L’asportazione del tumore pancreatico può risolvere la sintomatologia clinica e dermatologica
ma, se vi sono già presenti metastasi, il miglioramento è solo temporaneo.
Conclusioni
Una alopecia quasi generalizzata, ad insorgenza rapida, in gatti anziani, che colpisce le
regioni ventrali del corpo dovrebbe far sospettare questa sindrome che può essere causata da
un tumore pancreatico o epatico. L’indagine ecografica è fondamentale per confermare il
sospetto clinico. La prognosi è di solito infausta.
Bibliografia
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31
SINDROMI PARANEOPLASTICHE EMATOLOGICHE
Laura Marconato
Indirizzo per corrispondenza [email protected]
Le sindromi paraneoplastiche ematologiche, abbastanza frequenti in medicina
veterinaria, possono interessare tutte le linee: linea eritroide (anemia e policitemia),
mieloide (leucocitosi, leucopenia ed eosinofilia), megacariocitica (trombocitopenia,
trombocitosi, trombocitopatia). Tra le sindromi paraneoplastiche ematologiche si
includono inoltre: pancitopenia aplastica e coagulazione intravasale disseminata.
Per eritrocitosi s’intende un aumento dei globuli rossi a livello ematico,
dell’ematocrito e dell’emoglobina, secondario all’aumentata sintesi di eritropoietina
da parte del tumore. I tumori riportati che danno eritrocitosi sono: neoplasie renali,
linfoma, neoplasie epatiche ed ovariche, fibrosarcoma nasale, tumore venereo
trasmissibile, emangioma cerebellare, feocromocitoma, leiomioma uterino e
leiomiosarcoma intestinale. I sintomi sono riferibili all’aumentata massa circolante.
La terapia d’elezione prevede la rimozione della neoplasia sottostante, in alternativa
si può ricorrere al salasso.
Per anemia s’intende riduzione di globuli rossi oppure di emoglobina o di entrambi.
L’anemia da malattia cronica è molto comune; è comunemente normocromica,
normocitica e non rigenerativa. Si possono osservare: ridotta emivita degli eritrociti,
ridotta capacità di legare il ferro o iposideremia. L’anemia da perdita di sangue è
microcitica e ipocromica, può essere rigenerativa o non rigenerativa. L’anemia
emolitica microangiopatica compare a seguito di emolisi nel circolo arteriolare, ed è
secondaria a danno all’endotelio di arteriole o a deposito intravascolare di fibrina.
L’ipersplenismo può causare una o più citopenie periferiche; i tumori più
comunemente associati sono linfoma, mastocitoma e leucemie. In corso di anemia
emolitica immunomediata si ha distruzione prematura dei globuli rossi per la
presenza di autoanticorpi sulla superficie degli stessi. È tipicamente macrocitica,
marcatamente rigenerativa e caratterizzata da policromasia e sferocitosi. L’anemia
secondaria a mielosoppressione può essere indotta da chemioterapia, essere
secondaria a mielottisi, associata ad iperestrogenismo o ad aplasia pura dei globuli
rossi. Inizialmente asintomatica, con l’aggravarsi l’anemia dà sintomi di malessere
generale (debolezza, inappetenza, letargia). La terapia d’elezione prevede la
32
rimozione della causa scatenante. Terapie palliative comprendono: trasfusione di
sangue, stimolazione midollare con eritropoietina.
La leucocitosi paraneoplastica è secondaria ad infiltrazione neoplastica di midollo
osseo, infezioni, necrosi tumorale o disordini immuno-mediati ed è legata a
produzione da parte delle cellule neoplastiche di fattori di crescita emopoietici. I
tumori che più frequentemente si associano a leucocitosi sono nel cane: linfoma,
emangiosarcoma, fibrosarcoma metastatico, polipo rettale adenomatoso, carcinoma
polmonare e carcinoma renale; e nel gatto: adenocarcinoma delle ghiandole
sudoripare. La leucocitosi è caratterizzata da neutrofilia matura (> 110,000 GB/l)
con o senza monocitosi, che non può essere attribuita ad infiammazione o ad un
tumore emopoietico primitivo.
L’eosinofilia paraneoplastica è raramente riportata in medicina veterinaria: nel cane
si associa a fibrosarcoma del cavo orale, carcinoma mammario anaplastico, leucemia
mieloide cronica, linfoma T, mastocitosi disseminata, timoma, polipo rettale, e nel
gatto a carcinoma uroteliale di vescica, mastocitoma, linfoma, e linfoma LGL.
Possibili meccanismi eziopatogenetici sono: produzione da parte di cellule
neoplastiche di fattori eosinofilotattici in grado di richiamare eosinofili, rilascio di
fattori eosinofilotattici da parte di aree tumorali necrotiche, e formazione di
complessi immuni che rilasciano istamina.
Tra le anormalità emostatiche, la coagulazione intravasale disseminata (CID) è la più
importante. Per CID s’intende una coagulopatia da consumo in cui le proteine della
coagulazione e le piastrine sono attivate in modo anomalo e incontrollabile, ed è
caratterizzata da microtrombosi ed emorragie diffuse, che paradossalmente
coesistono. I tumori che nel cane più comunemente si associano a CID sono:
emangiosarcoma, carcinoma infiammatorio, linfoma e leucemia linfoblastica acuta. Il
trattamento di CID prevede: localizzare a trattare la causa scatenante, fluidoterapia,
sostituzione delle componenti ematiche consumate, eventualmente eparina se i fattori
trombotici sono predominanti.
Per trombocitopenia s’intende alterazione quantitativa delle piastrine, secondaria a
mielottisi, sequestro, aumentato consumo, aumentata distruzione, perdita attraverso
emorragie. La trombocitopatia è invece caratterizzata da alterazione funzionale delle
piastrine. La terapia d’elezione prevede la rimozione della causa scatenante, in
33
alternativa è possibile trasfondere l’animale, somministrare fattori di stimolazione
midollari o alcuni farmaci (prednisone, vincristina).
Referenze bibliografiche
Bergman PJ: Paraneoplastic syndromes. In: Withrow SJ, Vail DM, Withrow & MacEwen’s Small Animal
Clinical Oncology. Saunders, Filadelfia, 2007, pp 83-86.
34
SINDROME DA FEMMINILIZZAZIONE ASSOCIATA A NEOPLASIA
TESTICOLARE. QUADRI CLINICI E DERMOPATOLOGICI.
Federico Leone* & Luca Mechelli**
*Clinica Veterinaria Adriatica, Senigallia (Ancona); **Dipartimento di Scienze Biopatologiche Veterinarie,
Università degli Studi di Perugia
Introduzione
I tumori del testicolo rappresentano circa il 15-20% delle neoplasie canine e circa il 90% dei
tumori dell’apparato urogenitale maschile. Le neoplasie testicolari sono raggruppabili in tre
principali istotipi: le neoplasie delle cellule del Sertoli (sertoliomi), quelle della linea seminale
(seminomi) e quelle delle cellule interstiziali (interstiziomi o Leydigomi) che si verificano con
una frequenza pressoché sovrapponibile.
L’incidenza delle neoplasie testicolari è molto più elevata nei testicoli criptorchidi tanto che
gli animali affetti da criptorchidismo presentano un rischio di sviluppare una neoplasia 14
volte più elevato rispetto ai soggetti normali. Tra i tumori a carico di testicoli criptorchidi
l’incidenza dei sertoliomi è stimata intorno al 60% e dei seminomi al 40%; gli interstiziomi, al
contrario, si sviluppano quasi esclusivamente a carico di testicoli eutopici.
La maggior parte dei tumori testicolari del cane, a differenza di ciò che si verifica nell’uomo e
nel cavallo, hanno un basso potenziale metastatico e quindi, in generale, una buona prognosi.
Molti cani con neoplasia testicolare possono essere asintomatici e il tumore può passare del
tutto inosservato. In altri casi il proprietario può richiedere una visita clinica per un aumento
di volume del testicolo, per lo più unilaterale, con conseguente asimmetria scrotale o
testicolare. Altre volte il motivo della visita può essere dovuto all’insorgenza di una sindrome
da femminilizzazione legata all’attività endocrina della neoplasia.
Sindrome da femminilizzazione
La sindrome da femminilizzazione è una sindrome paraneoplastica da iperestrogenismo
correlata ad una neoplasia testicolare secernente.
La sindrome è descritta nel 24-57% dei cani con sertolioma e occasionalmente in soggetti con
seminoma o interstizioma. E’ stata dimostrata una correlazione tra sindrome da
femminilizzazione
e
localizzazione
extrascrotale
del
testicolo
neoplastico.
La
femminilizzazione è presente infatti in circa il 70% dei soggetti con testicoli neoplastici
ritenuti in cavità addominale, nel 50% dei soggetti con testicoli neoplastici localizzati in sede
inguinale e solo nel 17% dei soggetti con testicoli neoplastici in sede scrotale.
35
Interessa preferibilmente cani di età compresa tra gli 8 e i 12 anni di età e sembra che il
Boxer, il pastore dello Shetland, il bracco di Weimer, il Cairn terrier, il Pechinese e il Collie
possano essere predisposti.
Manifestazioni cliniche
E’ caratterizzata da segni dermatologici e da segni sistemici.
I segni clinici dermatologici, quando presenti, sono caratterizzati da alopecia simmetrica
bilaterale che spesso progredisce dalla regione posteriore delle cosce e dal perineo
interessando i fianchi, l’addome, il torace e il collo. In qualche soggetto l’alopecia è
circoscritta ai fianchi mentre raramente si verifica un’alopecia generalizzata. Il pelo, nelle
zone interessate, è facilmente epilabile ed è soggetto a mancata ricrescita (ad esempio dopo
tosatura). Altri segni clinici dermatologici sono rappresentati da iperpigmentazione cutanea,
anomalie di colorazione del mantello, presenza di comedoni e alterazioni della
cheratinizzazione. La dermatosi lineare del prepuzio, con cui viene indicata una lesione
circoscritta, lineare, eritematosa, iperpigmentata o con comedoni, che si estende dall’orifizio
prepuziale allo scroto, viene da molti Autori considerata un riferimento diagnostico
importante per le neoplasie testicolari secernenti estrogeni.
I segni clinici sistemici sono rappresentati da ginecomastia, galattorrea, prepuzio pendulo,
comportamento sessuale modificato (attrazione feromonica da parte di altri maschi),
atteggiamento femminile all’atto della minzione e, raramente, presenza di tumori mammari.
Altri segni di femminilizzazione possono essere rappresentati dalla riduzione della libido e
della spermatogenesi.
Nello
Schnauzer
nano
è
descritta
una
sindrome
ereditaria
caratterizzata
da
pseudoermafroditismo, criptorchidismo, sertolioma e femminilizzazione.
Manifestazioni cliniche quali disuria, ematuria ed infezioni urinarie ricorrenti sono legate al
coinvolgimento della prostata (prostatiti, ipertrofia prostatica con metaplasia squamosa
dell’epitelio prostatico).
Le alterazioni ematologiche legate agli estrogeni, di gran lunga le più gravi, si traducono in
un’ipoplasia del midollo osseo emopoietico e sono simili a quelle che si verificano nella
femmina in seguito a somministrazione di estrogeni per interrompere una gravidanza
indesiderata. L’azione tossica degli estrogeni sul midollo osseo stimola inizialmente la
granulocitopoiesi, con transitoria leucocitosi neutrofilica, per poi determinare un’ipoplasia di
tutte le linee cellulari con gravi fenomeni di pancitopenia. I segni clinici che ne derivano sono
36
caratterizzati da debolezza, pallore delle mucose, petecchie, emorragie ed infezioni
secondarie.
Diagnosi
La diagnosi di sindrome da femminilizzazione si basa sulla presenza dei segni clinici e sul
contemporaneo riscontro di una neoplasia testicolare. La neoplasia testicolare può essere
facilmente sospettata in presenza di aumento di volume di un testicolo o di tumefazione non
dolente in sede inguinale ma talvolta i testicoli si presentano eutopici e apparentemente
normali. La diagnosi di neoplasia testicolare non può quindi basarsi solo sull’aspetto clinico e
sulla palpazione. Di grande aiuto ai fine diagnostici è l’esame ecografico associato all’esame
citologico ecoguidato che permette di evidenziare testicoli neoplastici in cavità addominale o
svelare microneoplasie in testicoli apparentemente normali.
I dosaggi degli ormoni sessuali sono incostanti e in letteratura sono presenti dati
estremamente contrastanti sia per la scarsità di analisi quantitative ormonali sia per i risultati
conflittuali esistenti tra i vari studi in cui sono stati misurati i livelli di estrogeni. Mentre in
alcuni casi si è evidenziato un aumento dei livelli ematici di estrogeni, in altri tali livelli erano
perfettamente normali. Un recente lavoro suggerisce che le variazioni del rapporto tra
testosterone e estradiolo possano essere più importanti del livello assoluto di estradiolo.
La valutazione dermatopatologica dovrebbe essere effettuata su campioni bioptici cutanei
provenienti da aree con alopecia prolungata al fine di ricavare informazioni adeguate sullo
stato delle strutture follicolari.
L'epidermide può esprimere gradi variabili di ipercheratosi ortocheratosica, acantosi ed
iperpigmentazione, mentre le porzioni ostio-infundibolari possono mostrare una cheratosi
ortocheratosica. Nel derma possono essere rilevati occasionali infiltrati cellulari perivasali di
elementi mono e polimorfonucleati. I follicoli piliferi evidenziano una condizione
estremamente variabile di atrofia a cui si associa una costante prevalenza della fase telogen ed
una totale assenza di peli nei canali pilari. Le altre strutture annessiali non sempre esprimono
fenomeni regressivi conclamati, sebbene le ghiandole sebacee possano andare incontro, non
raramente, ad eventi atrofici.
Terapia
La terapia si basa sull’asportazione chirurgica dei testicoli che, in assenza di metastasi, risulta
risolutiva. In genere i segni clinici associati all’iperestrogenismo regrediscono in circa sei
37
settimane eccezion fatta per le alterazioni legate all’ipoplasia midollare che richiedono tempi
più lunghi (mesi). La mancata risoluzione dei segni clinici deve far sospettare la presenza di
metastasi ormonosecernenti.
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ERITEMA NECROLITICO MIGRANTE:
PATOGENESI, QUADRI CLINICI, DIAGNOSI E TERAPIA
Francesco Albanese* & Luca Mechelli**
*Cinica Veterinaria “L’Arca” – Napoli; ** Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi - Perugia
Introduzione
L’eritema necrolitico migrante (ENM) è una rara dermatopatia correlata con la presenza di
neoplasie pancreatiche delle cellule alfa (glucagonoma), riconosciuta nell’uomo, cane e nel
gatto. Nel corso degli anni questa condizione è stata indicata con numerosi sinonimi quali
dermatopatia diabetica, necrosi metabolica dell’epidermide,
dermatite necrolitica
superficiale e sindrome epatocutanea.
L’ENM nell’uomo è considerato una sindrome paraneoplastica dal momento che circa il 90%
dei pazienti affetti da glucagonoma sviluppa lesioni cutanee; inoltre, l’associazione tra lesioni
dermatologiche e glucagonoma viene anche definita Sindrome del Glucagonoma (SG).
L’ENM è stato osservato anche in concomitanza di altre malattie quali epatopatie, enteriti,
pancreatiti, sindromi da malassorbimento (morbo celiaco) e nel corso di altre neoplasie
viscerali; in tutti questi casi la sindrome è stata definita Sindrome dello pseudoglucagonoma
(SPg). Nel cane l’ENM è più comunemente associato ad epatopatie e solo in rarissimi casi a
glucagonoma; per questo motivo si parla più di frequente di Sindrome epatocutanea e solo in
rari casi può essere considerata una vera sindrome paraneoplastica. Nel gatto sono segnalati
quattro casi e solo uno in associazione a carcinoma pancreatico.
Patogenesi
La patogenesi dell’ENM, sia nell’uomo che nel cane, non è ancora del tutto chiarita. Sono
state ipotizzate quattro diverse teorie legate all’azione diretta o indiretta del glucagone.
TEORIA DELL’ECCESSO DI GLUCAGONE SIERICO: è stato ipotizzato che gli elevati
livelli di glucagone nel sangue, osservati in uomini e cani affetti da glucagonoma, siano la
causa diretta dell’ipoaminoacidemia (effetto neoglucogenetico dell’ormone). La carenza di
aminoacidi porterebbe ad una deplezione di proteine e conseguente necrosi dei cheratinociti.
TEORIA DELLA MALNUTRIZIONE MULTIFATTORIALE: in molti pazienti umani affetti
da glucagonoma si riscontra malassorbimento e diarrea e questo potrebbe produrre un ridotto
assorbimento di aminoacidi e proteine. La teoria si basa quindi sull’ipotesi di una carenza di
zinco, acidi grassi ed alcuni aminoacidi, fondamentali nel metabolismo dei cheratinociti.
TEORIA DELLA DISFUNZIONE EPATICA: questa teoria si basa sull’ipotesi che, in
condizioni patologiche, il fegato non sia in grado di degradare il glucagone; tuttavia, alcuni
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autori ipotizzano che un'alterazione funzionale epatica possa causare ENM anche per una
liberazione diretta, da parte dello stesso organo, di sostanze tossiche per i cheratinociti.
TEORIA DELLA PRODUZIONE DI MEDIATORI INFIAMMATORI: l’eccesso di
glucagone si espleterebbe attraverso un'azione indiretta con elevata produzione di acido
arachidonico e suoi metaboliti quali prostaglandine e leucotrieni, con ripercussioni cutanee.
Quadri clinici
Le lesioni cutanee nell’uomo e nel cane, pur evidenziando notevoli analogie circa le
localizzazioni topografiche, presentano alcune differenze morfologiche ed evolutive.
Nell’uomo le lesioni sono caratterizzate da aree eritematose con margini irregolari a cui si
associano lesioni bollose centrali che esitano nella formazione di croste; tali lesioni sono
spesso confluenti assumendo aspetti anulari e policiclici con un caratteristico andamento
ricorrente di insorgenza improvvisa e remissione spontanea. Nel cane le lesioni si presentano
prevalentemente con eritema ed erosioni che in tempi brevi evolvono verso lesioni
desquamativo-crostose, spesso complicate da batteri e lieviti. In entrambe le specie le lesioni
tendono a localizzarsi in regioni topograficamente simili: estremità distali degli arti, natiche,
perineo, genitali, punti di pressione, regioni perilabiali e periorifiziali. Infine, nel cane è
sempre evidente un coinvolgimento dei cuscinetti plantari, spesso sede primaria di sviluppo di
ENM. Nel gatto le lesioni sono diverse da quelle osservate nel cane e caratterizzate da
eritema, alopecia e scaglie diffuse su ascelle, inguine, arti e dorso.
Diagnosi
In medicina veterinaria, i dati anamnestici ed il quadro clinico sono spesso suggestivi per una
diagnosi di ENM. Nei pazienti con glucagonoma gli esami ematochimici possono essere
spesso silenti, mostrando invece gravi alterazioni della funzionalità epatica in corso di SPg.
L'esame dermatopatologico dei campioni bioptici cutanei evidenzia a piccolo ingrandimento
l’aspetto stratificato dell'epidermide con una caratteristica distribuzione di color rosa, bianco e
blu. Lo strato eosinofilico si riferisce alla porzione epidermica più superficiale ed è
caratterizzato dalla presenza di una ipercheratosi paracheratosica associata a croste sierocellulari neutrofiliche di vario spessore; lo strato intermedio mostra un marcato pallore dei
cheratinociti per la presenza di un edema intra- ed intercellulare, definito da alcuni autori
come 'degenerazione reticolare'; infine, gli strati basale e soprabasale delineano la giunzione
dermo-epidermica attraverso una condizione di iperplasia ed una basofilia citoplasmatica
accentuata. In alcune lesioni croniche si rileva una netta prevalenza della porzione crostosaparacheratosica a discapito dello strato intermedio (reticolare) a cui si associano distacchi
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intraepidermici (necrolisi) complicati da fenomeni ulcerativi o da infezioni batteriche
secondarie; i follicoli piliferi mostrano un coinvolgimento comunque delimitato alle porzioni
ostio-infundibulari. L’infiammazione dermica è generalmente superficiale e di tipo misto con
linfociti, plasmacellule, macrofagi, mastociti, granulociti neutrofili ed eosinofili.
Una volta prodotta la diagnosi dermatopatologica, si procede utilizzando tecniche di
diagnostica per immagini, come l’esame ecografico dell’addome o la TC, per valutare la
presenza di neoplasie pancreatica o di altre alterazioni viscerali correlabili alla dermatopatia.
Terapia
In presenza di una neoplasia pancreatica asportabile, la chirurgia è la terapia elettiva. Sia
nell’uomo sia nel cane l’asportazione del glucagonoma ha consentito una rapida remissione
dei sintomi cutanei, anche se nell’uomo, al momento della diagnosi, circa il 50% dei pazienti
ha già metastasi epatiche. L’uso di Somatostatina o di Octreotide, sostanze inibenti l’attività
del glucagone, è efficace nel trattamento dell’ENM e risultati variabili si sono ottenuti con
l’utilizzo di Zinco, acidi grassi, aminoacidi endovena e diete iperproteiche. La chemioterapia
in medicina umana, basata sull’utilizzo di protocolli a base di Dacarbazina, Streptozotocina e
5-fluorouracile su pazienti affetti da glucagonoma si è dimostrata poco efficace.
Bibliografia
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41
COMUNICAZIONI
LIBERE
DEI SOCI SIDEV
E SIONCOV
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SINDROME DA FEMMINILIZZAZIONE ASSOCIATA A
SERTOLIOMA IN UN CANE
Federica Schiavi, Enrica Rossetti*
Clinica Veterinaria Privata “San Marco”, Padova
*Laboratorio Privato d’Analisi Veterinarie “San Marco”, Padova
Segnalamento
Cane meticcio, maschio intero, 11 anni di età, 13.1 Kg di peso.
Anamnesi
Mancata ricrescita del pelo associata a prurito, secondariamente ad una tosatura. Il problema è
insorto un anno prima e la distribuzione alopecica ha coinvolto inizialmente l’addome ed il
perineo, per poi diffondersi al collo ed alla regione caudale delle cosce. La somministrazione
di una terapia antibiotica (marbofloxacina) per venti giorni aveva determinato una temporanea
riduzione del prurito. Alimentato con una dieta commerciale, la profilassi vaccinale e
parassitaria erano praticate regolarmente.
Quadro clinico
I segni fisici di rilievo erano costituiti da: addome dilatato, prepuzio pendente, assenza del
testicolo destro e cataratta bilaterale.
L’esame dermatologico mostrava un mantello secco, opaco e lanoso con scaglie puntiformi
diffuse sul tronco. La cute appariva assotigliata, fredda, anelastica ed iperpigmentata in
particolar modo nelle aree glabre. L’alopecia simmetrica coinvolgeva i fianchi, ed una
ipotricosi era evidente a carico del collo e del margine posteriore delle cosce. Erano presenti
acnhe un eritema lineare prepuziale, comedoni ventrali, collaretti e lesioni pustolo-crostose.
Quadro riassuntivo del problema
Alopecia simmetrica, dermatite esfoliativa, piodermite superficiale.
Diagnosi differenziali
Sindrome da
femminilizzazione secondaria
a neoplasia testicolare,
ipotiroidismo,
ipogonadismo ed alterazione degli ormoni sessuali, iperadrenocorticismo e malattie
parassitarie (demodicosi e dermatofitosi).
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Esami collaterali
I raschiati, la lampada di Wood, l’esame colturale del pelo sono risultati negativi
rispettivamente per la ricerca di Demodex e dermatofiti. Il tricogramma presentava la maggior
parte delle radici in fase telogen. L’esame citologico di pustole integre metteva in evidenza
una flogosi neutrofilica con cocchi intracitoplasmatici.
Gli esami di base hanno evidenziato una risposta di fase acuta di intensità lieve (PLT, CRP,
HPT e Fibrinogeno). La funzione tiroidea era nella norma (TSH TT4 FT4). L’ecografia
addominale metteva in evidenza una massa di 7 cm localizzata nella regione mesogastrica
craniale alla vescica e riferibile a testicolo destro ritenuto.
Diagnosi e terapia
Una celiotomia terapeutica con asportazione della neoformazione testicolare identificata in
sede ecografica ha messo in evidenza, al successivo esame istologico, un sertolioma. L’esame
istologico del parenchima testicolare mostravo inoltre una popolazione di elementi colonnari
disposti perpendicolarmente alla membrana basale tubulare, con ampio citoplasma
debolmente eosinofilo a margini sfumati, con vacuolizzazioni otticamente vuote, nucleo
ovalare centrale vescicolare con 1-2 nucleoli evidenti. Nello spessore dell’interstizio
connettivale si osservano aggregati infiammatori mononucleati. Nella medesima seduta
chirurgica veniva asportato anche il testicolo controlaterale, il quale istologicamente
evidenziava una atrofia della linea germinale.
Evoluzione clinica
A distanza di 2 mesi dall’intervento, il paziente presentava già una parziale ricrescita del pelo
che aveva perso l’aspetto lanoso iniziale. A 4 mesi dall’intervento la ricrescita era completa.
Discussione
Le neoplasie testicolari più frequenti nel cane sono il sertolioma , il seminoma e il tumore
delle cellule interstiziali. Il tumore delle cellule di Sertoli (SCT) ha una crescita lenta e non è
invasivo. Le sue dimensioni che vanno da 0.1 a 5 cm di diametro. Tuttavia, qualora il SCT
derivi da un testicolo criptorchide intra-addominale, come nel nostro caso, può raggiungere
anche 10 cm di diametro (1). Infatti che la condizione di criptorchidismo aumenta fortemente
i rischi di sviluppo di forme neoplastiche come il Sertolioma e il Seminoma (2). Il 24-57% dei
cani con Sertolioma presenta una sindrome da femminilizzazione (6). I segni clinici rilevati
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sono: alopecia simmetrica bilaterale, a partire dalla regione del collo, fino ad arrivare alla
zona perineale e genitale, ingrossamento dei capezzoli, scarso interesse per le femmine,
prostatomegalia, ipoplasia-aplasia midollare e prepuzio pendente, talvolta con dermatite
lineare, che sembra costituire un marker della neoplasia testicolare secernente estrogeni (5).
Soggetti con Sertolioma e femminilizzazione presentavano inoltre livelli di estrogeni più alti
rispetto a cani con la medesima forma tumorale testicolare ma senza segni clinici della
sindrome (3). Il livello plasmatico di estrogeni nei soggetti con Sertolioma oscillano da 10 a
150 pg/ml (1). Nel nostro caso era alto: 38.3 pg/ml se confrontato con il livello medio pari a
11.1 pg/ml di tre soggetti sani, maschi, interi e della medesima età. La diagnosi della
sindrome si basa sui segni clinici, sull’esame istologico del testicolo neoplastico, sulla
determinazione dei livelli plasmatici degli estrogeni (6). L’uso dell’immunoistochimica può
facilitare l’identificazione dei tumori testicolari se il quadro istologico e la patogenesi della
femminilizzazione sono poco chiare (4). Per tumori testicolari non metastatici, come nel
nostro caso, l’orchiectomia è terapeutica; bisogna invece fare ricorso alla chemioterapia in
caso di metastasi. Il caso descritto presenta segni clinici e alterazioni ormonali sovrapponibili
a quelle descritte sopra e, unitamente all’istologia del testicolo neoplastico, sono suggestive di
sindrome da femminilizzazione paraneoplastica.
BIBLIOGRAFIA
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UN CASO DI SINDROME PARANEOPLASTICA ASSOCIATA AD
IPERESTROGENISMO IN UN ENGLISH BULLDOG
Nicla Furiani*, Laura Ordeix**
*Clinica Veterinaria Pirani, Reggio Emilia; **Studio Dermatologico Veterinario, Milano
Segnalamento
Bulldog inglese, femmina, di 3,5 anni
Anamnesi
Riferito per un problema di prurito e perdita di pelo che si protraeva da circa 6 mesi.
Quadro clinico
L’esame obiettivo generale dell’animale era nella norma. L’esame dermatologico rivelava
otite esterna eritematosa-ceruminosa bilaterale, pododermatite eritematosa ed alopecia
multifocale con eritema e scaglie su testa, dorso e coscie. Fu effettuata una diagnosi di
follicolite batterica, dermatite ed otite da Malassezia probabilmente secondarie ad una
malattia allergica. Dopo il trattamento antimicrobico le lesioni si ridussero notevolmente con
persistenza della alopecia e di un moderato prurito podale e facciale. Dopo l’attuazione di un
protocollo diagnostico per le malattie allergiche, fu diagnosticata una dermatite atopica e
iniziata una terapia immunomodulatrice allergene-specifica sulla base delle reazioni positive
al test di intradermoreazione. Due mesi dopo il cane fu portato a controllo per recidiva del
prurito podale e ventrale, mancata ricrescita del pelo nelle zone di alopecia multifocale in cui
era stata diagnosticata una follicolite batterica e nella zona tosata per eseguire il test
intradermico, persistenza del calore e presenza di perdite vulvari biancastre negli ultimi due
mesi. All’esame fisico fu riscontrata alterazione dei genitali esterni, con iperplasia ed
iperpigmentazione vulvare, ipertrofia delle ghiandole mammarie e scolo vulvare mucoso.
All’esame dermatologico fu evidenziata assenza di ricrescita del pelo con iperpigmentazione
nell’area tosata per il test intradermico e di aree multifocali alopeciche distribuite su dorso e
coscie. Collaretti epidermici erano inoltre presenti sulla cute addominale.
Quadro riassuntivo del problema
Alopecia multifocale ed alopecia post-tosatura associate ad iperpigmentazione, prurito
podale e ventrale con collaretti epidermici in sede addominale ed alterazioni delle ghiandole
mammarie e dei genitali esterni associate a estro persistente.
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Diagnosi differenziali
Vennero considerate una dermatite atopica cronica associata o meno ad un iperestrogenismo,
secondario a cisti ovariche o a neoplasia ovarica secernente.
Esami collaterali
L’esame tricoscopico del pelo rivelò presenza di peli in telogen e l’esame citologico della
cute ventrale confermò la presenza di piodermite. Biopsie cutanee, effettuate dalle zone di
alopecia multifocale, rivelarono un quadro compatibile con dermatite endocrina. L’esame
ematologico mostro’ anemia, neutrofilia ed un aumento degli enzimi epatici. L’ecografia
addominale rivelò la presenza di una massa ovarica e di una iperplasia endometriale.
Diagnosi e terapia
L’esame istopatologico della massa ovarica permise la diagnosi definitiva di tumore delle
cellule della granulosa estrogeno-secernente. L’animale fu sottoposto ad ovarioisterectomia.
Evoluzione clinica
Tre mesi dopo l’intervento le lesioni dermatologiche e genitali erano quasi risolte.
Discussione
Il tumore delle cellule della granulosa rappresenta circa il 30-35% delle neoplasie ovariche
nel cane ed il 50% di essi è funzionale, secernendo principalmente estrogeni e solo
secondariamente progesterone. Le alterazioni dermatologiche osservabili in corso di
iperestrogenismo sono normalmente caratterizzate da alopecia bilaterale simmetrica,
inizialmente distribuita sulla regione perineale, postero-mediale delle coscie e sui fianchi. A
queste alterazioni si associano quelle genitali di iperplasia vulvare e ginecomastia. Questo
caso è stato caratterizzato inizialmente dalla persistenza della alopecia multifocale nelle sedi
dove la follicolite batterica era stata precedentemente trattata, e solo secondariamente dalla
alopecia dopo tosatura. Questa inusuale presentazione clinica, ha portato a diagnosticare la
malattia endocrina solo quando anche le alterazioni mammarie e genitali divennero evidenti.
Bibliografia
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47
EPITELIOMA SEBACEO: NEOPLASIA BENIGNA O MALIGNA?
G. Bettini(1), M. Morini(1), L. Mandrioli(1), O. Capitani(2), G. Gandini(2)
Università di Bologna – Facoltà di Medicina Veterinaria
(1)
Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria e Patologia Animale
(2)
Dipartimento Clinico Veterinario
Corrispondenza: [email protected]
L’epitelioma sebaceo è un tumore cutaneo piuttosto comune nel cane (l’incidenza stimata è
intorno al 3% delle neoplasie cutanee) e raro nel gatto. L’aspetto clinico è solitamente quello
di un nodulo solitario rilevato ed alopecico, spesso ulcerato, di dimensioni variabili da pochi
millimetri a parecchi centimetri, più frequentemente localizzato a carico di testa (in
particolare palpebra, orecchio, labbro) e dorso. L’età media di insorgenza è 10 anni ed è
segnalata una certa predisposizione per alcune razze canine (Cocker Spaniel, Lhasa apso,
Shih-tzu, Siberian husky, Setter irlandese e Malamute). Il quadro istologico, molto
caratteristico, è rappresentato da una fitta preponderanza di cellule basaloidi intensamente
basofile in seno alle quali sono riconoscibili in minor numero voluminosi sebociti maturi
finemente vacuolizzati, dispersi come elementi isolati o talvolta come piccoli aggregati nella
massa tumorale. Le cellule basaloidi mostrano intensa attività mitotica, ma scarse atipìe. Altri
aspetti istologici frequenti sono la presenza di aree di materiale amorfo conseguente a
fenomeni di necrosi cellulare, focolai di cheratinizzazione ed il riscontro di melanociti
dendritici fra le cellule neoplastiche. L’esame citologico di preparati ottenuti per
agoaspirazione è altrettanto diagnostico, in quanto ripropone un analogo quadro caratterizzato
da ampi cordoni di piccole cellule basaloidi intensamente colorate nel cui contesto spiccano
come elementi più chiari e finemente vacuolizzati i sebociti maturi.
Nella classificazione WHO1 l’epitelioma sebaceo è definito come tumore a basso grado di
malignità. In particolare è riferita la possibilità di recidiva locale in seguito ad asportazione
chirurgica incompleta; in rari casi sono state osservate metastasi ai linfonodi regionali, mentre
la disseminazione metastatica non è contemplata fra le possibili evoluzioni della malattia.
Il caso presentato riguarda un cane bassotto femmina di 9 anni, presentato per l’evidenza di
un nodulo ulcerato compatto di circa 5 mm a carico del labbro superiore sinistro, che un
campionamento citologico diagnostica come epitelioma sebaceo. Il proprietario si rende
disponibile per l’asportazione chirurgica solo tre mesi dopo, durante i quali il nodulo assume
l’aspetto di un rilievo ulcerato a placca del diametro di circa 2 cm; l’esame istologico del
pezzo asportato conferma la diagnosi di epitelioma sebaceo. Dopo 11 mesi il cane è
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ripresentato per la comparsa di una neoformazione di 1 x 2 cm a carico della faccia dentale
del labbro superiore sinistro in corrispondenza della cicatrice del pregresso intervento di
exeresi, arrossata, ulcerata e di consistenza fibromolle, ancora identifica da un prelievo
citologico come epitelioma sebaceo; è anche riscontrato un lieve aumento di volume del
linfonodo sottomandibolare sinistro in cui l’esame citologico rivela un quadro di
linfoadenopatia reattiva e nessuna evidenza di cellule epiteliali riferibili ad elementi
metastatici. Si procede alla rimozione ad ampio margine della massa labiale e del linfonodo
sottomandibolare, e l’esame istologico conferma la diagnosi di recidiva locale di epitelioma
sebaceo con margini di escissione puliti e l’assenza di metastasi al linfonodo. Dopo ulteriori 5
mesi il soggetto è riferito per la manifestazione di una sintomatologia neurologica,
caratterizzata da atteggiamenti compulsivi di head pressing e di movimenti di maneggio verso
sinistra, e saltuari episodi convulsivi con irrigidimento ed opistotono. Un esame TAC del
cranio evidenzia la presenza di una neoformazione del diametro di circa 1 cm a carico
dell’emisfero cerebrale destro. È anche eseguito un esame radiografico del torace che mostra
in entrambi i campi polmonari una interstiziopatia a focolai, caratterizzata dal riscontro di
aree radiopache a margini netti. Considerate le scarse possibilità di intervento terapeutico il
soggetto è sottoposto ad eutanasia. L’esame post mortem conferma la presenza di una
neoformazione in sede prosencefalica destra e a livello polmonare evidenzia una
neoformazione biancastra compatta del diametro di 3 cm nella porzione più caudale del lobo
basale di sinistra, ed altri numerosi piccoli noduli biancastri di diametro variabile da 2 a 5
mm, sparsi nel parenchima polmonare.
L’esame istologico rivela nei noduli neoplastici da entrambe le sedi i caratteri dell’epitelioma
sebaceo.
L’entità patologica “epitelioma sebaceo” è piuttosto controversa. La definizione di tumore “a
basso grado di malignità” è relativa alla considerazione che l’epitelioma sebaceo, sebbene
abbia nella maggior parte dei casi un comportamento benigno, può mostrare in un numero
molto limitato di casi la tendenza a produrre recidive locali o ancor più raramente metastasi
linfonodali, il che ha portato ad inserirlo, nell’ambito dei tumori a differenziazione sebacea, in
una posizione intermedia fra adenoma sebaceo (ovviamente benigno) e adenocarcinoma
sebaceo (maligno, ma con scarsa tendenza alla metastatizzazione). Il caso capitato alla nostra
osservazione, eccezionale quanto al potenziale maligno sviluppato, sottolinea tuttavia come
l’epitelioma sebaceo possa avere anche un comportamento biologico di elevata malignità.
Questa ambiguità, che si riflette in un’ovvia incertezza prognostica, è stata rilevata anche da
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Gross et al2, che nel loro recente trattato di dermatopatologia hanno suggerito di introdurre la
denominazione “carcinoma sebaceo epiteliomatoso” per gli epiteliomi sebacei dotati di
maggior potenziale di malignità. Al momento i criteri per differenziare le due entità non sono
però ben definiti, ed appare quindi evidente la necessità di eseguire ulteriori studi per
individuare i parametri istomorfologici (pleomorfismo nucleare, numero di mitosi, mitosi
atipiche, aspetti di invasività locale?) o biomolecolari (marker di proliferazione cellulare,
espressione di oncogeni?) utili a separare sulla base del comportamento biologico gli
epiteliomi sebacei benigni da quelli ad elevato potenziale maligno.
Bibliografia
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SINDROME DI CADIOT SECONDARIA A NEOPLASIA DI ORIGINE
COSTALE IN UN CANE
Claudio Giacoboni
indirizzo per la corrispondenza: [email protected]
Nell'uomo ed in diverse specie animali (compresi carnivori, equini e ruminanti) è descritta
una sindrome a genesi ancora non ben conosciuta caratterizzata da osteofitosi periostale.
Questa sindrome è secondaria a processi cronici a carico del polmone di origine sia flogistica
sia neoplastica. Da ciò la denominazione di osteoartopatia pneumica ipertrofizzante. Tra le
principali patologie in grado di scatenare tale sindrome si ricordano: neoplasie primitive e
secondarie polmonari, pleuriti granulomatose, linfoadenopatie peribronchiali e mediastiniche,
morva, adenite equina, granulomi e tumori esofagei, tumori vescicali, nefriti croniche, tumori
epatici, dirofilariosi, e cardiopatie.
Le lesioni, spesso simmetriche e bilaterali, sono confinate agli arti e prevalentemente a livello
di metatarso, metacarpo, carpo e tarso, ma possono interessare anche le estremità prossimali.
La patogenesi è legata ad un aumentato flusso ematico con conseguente abnorme formazione
di tessuto connettivo fibroso riccamente vascolarizzato in corrispondenza di tendini e ossa
della parte distale degli arti, con successiva neoformazione di osso periostale. Contrariamente
all'uomo, non si osserva in genere coinvolgimento artro-sinoviale.
DESCRIZIONE DEL CASO
Viene portato alla visita un cane meticcio femmina intera di 3 anni, di circa 25 Kg, per una
neoformazione sottocutanea comparsa da due mesi e cresciuta nell'ultimo periodo. Alla visita
clinica l'animale presenta una massa voluminosa (10 cm x 10 cm), dura, non dolente, non
glabra in corrispondenza del sottocute della regione del costato sinistro, all'altezza della IX°
costa, in assenza di sintomi sistemici. La citologia per ago-infissione evidenzia una neoplasia
mesenchimale maligna compatibile in prima ipotesi con osteosarcoma. Le tre proiezioni
radiografiche del torace mostrano una neoformazione a carattere litico a partenza dal terzo
prossimale della IX°costa che si espande verso l'interno e l'esterno del torace e che disloca le
coste vicine. Si eseguono esami del sangue (emocromocitometrico ed ematochimica) che
mostrano soltanto aumento di ALP (1191 IU/L). Per la diagnosi definitiva viene eseguita
biopsia incisionale della massa per la valutazione istopatologica, che conferma il sospetto
citologico. Nei giorni successivi compare zoppia e tumefazione a carico di tutti gli arti, che
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appaiono caldi e dolenti e mostrano radiograficamente proliferazione periostale che interessa
ossa metacarpali, metatarsali e tarsali.
Si inizia terapia antinfiammatoria (firocoxib 5 mg/Kg al giorno) che risolve la sintomatologia
algica, e si propone chemioterapia con doxorubicina 30 mg/m2 EV alternata a cisplatino 60
mg/m2 EV con protocollo diuresi.
Quindici giorni dopo la prima somministrazione (e 35 gg dalla prima visita), il cane è
asintomatico in assenza di tossicità chemio-indotta.
DISCUSSIONE
La sindrome di Cadiot è la forma di sindrome paraneoplastica che più frequentemente si
presenta in corso di patologie croniche a livello polmonare. Nel caso specifico però è causata
non da un interessamento diretto del tessuto polmonare ma da una compressione sullo stesso.
La riduzione della massa occupante spazio o la sua rimozione, generalmente, portano alla
scomparsa o alla diminuzione dei sintomi della sindrome stessa. L'obbiettivo terapeutico
primario quindi è quello di eliminare la causa scatenante per portare un miglioramento della
qualità di vita dell'animale.
52
MELANOMA ORALE IN UN GATTO
Angela Marchiori
Indirizzo per la corrispondenza: [email protected]
INTRODUZIONE
Il melanoma è una neoplasia rara nel gatto e rappresenta meno dell’1% delle neoplasie orali in
questa specie1. La prognosi è generalmente infausta per la frequenza di recidive e di lesioni
metastatiche che possono comparire nel 50 % dei casi1.
CASO CLINICO
Salem è un gatto europeo femmina di 7 anni. Viene portata a visita il 12 settembre 2006
perché i proprietari notano una massa in cavità orale cresciuta in poco tempo, nella mucosa
vestibolare della guancia, in prossimità della commissura labiale. Dopo pochi giorni si
provvede ad asportazione chirurgica della neoformazione e a valutazione istopatologica. Al
momento della chirurgia la stadiazione è negativa.
Il 3 ottobre viene confermata
istologicamente la diagnosi di melanoma maligno e si decide di stadiare nuovamente la
neoplasia: i linfonodi sottomandibolari ipsilaterali risultano aumentati di volume (1,00 x 0,5 x
0,5 cm) e presentano invasione metastatica alla citologia. Viene proposto un protocollo
chemioterapico a scopo palliativo a base di carboplatino alla dose di 210 mg/m2 ogni 21
giorni, per un totale di 5 cicli. I proprietari accettano la terapia proposta. Il 30 ottobre inizia la
somministrazione del chemioterapico. Dopo un’iniziale riduzione dei linfonodi, questi
ricominciano ad aumentare di dimensioni a 10 giorni dalla somministrazione del farmaco.
Alla seconda seduta chemioterapica i linfonodi risultano ulteriormente aumentati di
dimensioni, pertanto si decide di aggiungere alla terapia in corso piroxicam alla dose di
1mg/capo/die. Il 14 dicembre i proprietari riferiscono un lieve calo di appetito e viene
eseguita una radiografia al torace, che mostra lesioni metastatiche diffuse a tutto il
parenchima polmonare e modesto versamento toracico. I proprietari sono determinati a
proseguire la terapia che continua in maniera regolare per i 5 cicli previsti, fino all’ultima
somministrazione avvenuta il 25 gennaio 2007. Durante questo periodo le condizioni cliniche
della paziente peggiorano progressivamente e, ad un forte calo ponderale (1.2 kg), si
accompagna una grave compromissione toracica. La paziente subisce 5 toracocentesi e due
ricoveri d’urgenza dovuti alla comparsa di una grave dispnea. Nonostante sia stata proposta
più volte l’eutanasia, i proprietari insistono per proseguire con la terapia. Il 15 febbraio 2007
53
Salem pesa 2,5 kg e le viene praticata un’infusione EV di gemcitabina alla dose di 800
mg/m2. Salem muore “spontaneamente” il 20 febbraio 2007.
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
Nel caso descritto la sopravvivenza della paziente dal momento della diagnosi era di 140
giorni, senza evidenza di recidiva locale nel punto in cui si trovava la massa primaria. Le
lesioni metastatiche sono comparse dopo brevissimo tempo dall’intervento chirurgico e
probabilmente il linfonodo interessato conteneva già cellule neoplastiche al momento
dell’asportazione del nodulo primario.
Il melanoma orale felino è una rara patologia caratterizzata da un comportamento maligno
molto aggressivo, con breve sopravvivenza (60 -224 giorni),2,3 nonostante l’approccio
multimodale (chirurgia, radioterapia, chemioterapia) adottato nei confronti del tumore.2-4 In
genere i soggetti muoiono per le conseguenze dovute alle lesioni metastatiche.
La conclusione che si può trarre è che sebbene sembri possibile ottenere un buon controllo
locale della neoplasia primaria,2-4 sono necessari ulteriori studi per poter ridurre il rischio di
disseminazione sistemica del tumore e aumentare in questo modo la sopravvivenza dei
soggetti colpiti.
BIBLIOGRAFIA
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2003.
54
CITOSINA ARABINOSIDE IN AGGIUNTA A POLICHEMIOTERAPIA
(VCAA) PER IL TRATTAMENTO DI LINFOMA CON
COINVOLGIMENTO MIDOLLARE NEL CANE:
PUÒ FARE LA DIFFERENZA?
Laura Marconato, Ugo Bonfanti, Damiano Stefanello, Maria Rosaria Lorenzo, Giorgio Romanelli,
Stefano Comazzi, Eric Zini
Indirizzo per la corrispondenza: [email protected]
Introduzione e scopo del lavoro: Il linfoma con infiltrazione midollare ha storicamente
prognosi infausta, ed i protocolli chemioterapici attualmente utilizzati danno risultati
insoddisfacenti, con bassa percentuale di risposta e breve durata di remissione. La citosina
arabinoside (ara-C) è un antimetabolita comunemente utilizzato in oncologia umana per il
trattamento di leucemie e linfomi. Scopo di questo studio era verificare in maniera
prospettica l’efficacia di ara-C in regime mieloablativo e in aggiunta a VCAA in cani con
LSA e coinvolgimento di midollo osseo (BM).
Materiali e metodi: i criteri di inclusione prevedevano cani con linfoma V stadio
(coinvolgimento midollare), completamente stadiati ed immunofenotipizzati (CD34-). Criteri
di esclusione erano: trattamenti precedenti con chemioterapici e/o cortisonici, neoplasie o
gravi malattie concomitanti. Per motivi di natura economica, il proprietario decideva quale
protocollo utilizzare (studio non randomizzato).
Risultati: si includevano 17 cani: 8 cani erano trattati con VCAA (gruppo 1) e 9 con ara-C e
VCAA (gruppo 2) in regime mieloablativo. Ara-C era somministrata in infusione endovenosa
continua per 5 giorni consecutivi alla dose di 150mg/m2. Durante il trattamento 2 cani nel
gruppo 1 e 8 nel gruppo 2 ottenevano remissione completa (CR). Il tasso di CR era
significativamente più alto nel gruppo 2 (p<0.01). La sopravvivenza mediana era di 72.5
giorni (range 6-174) per i cani nel gruppo 1, e di 243 giorni (range 73-635) per i cani nel
gruppo 2. La sopravvivenza era significativamente più lunga per i cani nel gruppo 2
(p<0.001). Entrambi i protocolli erano ben tollerati, con bassa incidenza di effetti collaterali.
Conclusioni: Ara-C in aggiunta a VCAA è efficace nel trattamento di linfoma con
infiltrazione BM nel cane.
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ZUDY, LA GATTA CON DISURIA: ALLORA E’ UN TIMOMA !
Pintaldi P.(1), Bettini G.(2), Scarpa F.(2), Barilli M.(3), Vignoli M.(4)
Indirizzo per la corrispondenza: [email protected]
Descrizione del caso
Un gatto europeo femmina di 15 anni e 4.5 kg di peso veniva portata alla visita in regime di
pronto soccorso per disuria insorta da circa 24 ore. L’anamnesi remota non riferiva alcun
disturbo e alla visita clinica il soggetto si presentava in buone condizioni generali;
all’auscultazione del torace si rilevava tuttavia la presenza di un soffio sistolico di 4/6
d’intensità e leggero spostamento a destra dell’itto cardiaco.
Venivano proposti ed eseguiti i seguenti esami d’approfondimento: profilo emato-biochimico,
test FeLV, esame delle urine, studio radiografico del torace ed ecografia dell’addome e del
torace.
L’esame emato-biochimico forniva valori nella norma ed il test FeLV risultava negativo,
mentre l’esame delle urine dimostrava la presenza di un’infezione urinaria sostenuta da
abbondanti batteri coccoidi e filamentosi, pur in assenza di un corrispondente reperto
infiammatorio. L’esame ecografico dell’addome non evidenziava alterazioni. Il quadro
radiografico del torace era invece decisamente alterato per la presenza di una massa radiopaca
a carico del mediastino cranio-ventrale determinante lo spostamento dorsale della trachea.
L’esame ecografico del torace confermava la presenza di una massa ad ecogenicità mista di
ragguardevoli dimensioni, in continuità/contiguità con le strutture cardiache. Le valutazioni
ecocardiografiche rilevavano segni d’ipertensione atriale destra, mentre risultavano normali
cinetica e contrattilità ventricolare.
Sulla base di questi primi riscontri venivano posti in diagnosi differenziale linfoma timico,
timoma, chemodectoma, cisti branchiale, tiroide ectopica, tumori delle paratiroidi, granuloma
e ascesso. In accordo con i proprietari, si procedeva, oltre all’esame colturale delle urine e
relativo antibiogramma, allo studio TC del torace, finalizzato anche al prelievo di eventuali
biopsie, e alla valutazione del profilo coagulativo.
L’esame colturale delle urine dimostrava la presenza di E. coli sensibile a numerosi
antibiotici. Il paziente veniva pertanto sottoposto ad antibiotico terapia con enrofloxacin per
os alla dose di 5 mg/kg ogni 24 ore per 15 giorni, al termine dei quali un nuovo esame delle
urine dimostrava l’assenza d’infezione urinaria.
Lo studio TC del torace evidenziava una massa di 3 cm di diametro nel mediastino craniale
che improntava il bordo craniale del cuore comprimendo atrio e ventricolo destro. La lesione
56
appariva eterogenea prima e dopo la somministrazione di MDC iodato non ionico a 800
mg/kg e.v. Alcune aree ipodense centrali avevano densità del fluido cellulare (30 HU). Si
rilevava la deviazione degli organi mediastinici viciniori, di vasi e bronchi polmonari dei lobi
craniali, mentre non si rilevavano lesioni nelle restanti parti dei polmoni. Venivano eseguite
biopsie TC guidate con ago sottile 22 G e con tru-cut da sottoporre ad esame citologico ed
istopatologico.
L’esame citologico (colorazione May Grünwald-Giemsa) evidenziava scarsa cellularità del
campione e discreta componente ematica. La popolazione cellulare prevalente era
rappresentata da piccoli e medi linfociti, accanto ai quali erano osservabili rari mastociti,
macrofagi ed eosinofili, che, pur nell’assenza di una evidente componente epiteliale,
orientavano la diagnosi verso il timoma piuttosto che verso una neoplasia linfoide.
L’esame istopatologico delle biopsie (colorazione ematossilina – eosina) metteva in evidenza
un tessuto discretamente vascolarizzato costituito dalla proliferazione diffusa di piccoli-medi
linfociti di aspetto maturo, nel cui contesto si rilevavano occasionali aggregati di cellule
irregolarmente poligonali con abbondante citoplasma eosinofilo e granulazioni bluastre,
tendenti alla cheratinizzazione e disposte concentricamente a formare strutture simili ai
corpuscoli timici di Hassal. Veniva formulata la diagnosi di timoma prevalentemente
linfocitico, supportata dalla conferma immunoistochimica della natura epiteliale degli
aggregati concentrici (CKAE1/AE3 +) e dal fenotipo T della componente linfoide (CD3 +).
Sul riscontro di tale diagnosi, pur in assenza di segni clinici riferibili a myasthenia gravis
(debolezza, rigurgito), si procedeva, in vista del probabile intervento chirurgico, a completare
la stadiazione con la determinazione del titolo sierico di anticorpi anti-recettori postsinaptici
per l’acetilcolina (AChRAb); il titolo anticorpale ottenuto (< 0.30 nmol/L ) permetteva di
escludere le complicazioni relative alla sindrome paraneoplastica mioastenica
Gli accertamenti finora condotti permettevano pertanto una diagnosi definitiva di timoma
linfocitico, con stadiazione clinica II, sottostadio P0.
A distanza di 30 gg dal momento della presentazione si procedeva all’intervento di escissione
chirurgica della massa mediastinica. L’intervento chirurgico prevedeva l’accesso laterale
sinistro nel 3° e 4° spazio intercostale con osteotomia prossimale della 4° costola;
asportazione della massa per via smussa con legatura dell’arteria toracica interna di sx e
parziale pericardiectomia dovuta alla presenza di aderenze con la massa stessa (stadio clinico
II – III); osteosintesi della costa con filo di nylon; posizionamento di drenaggio toracico.
57
Il paziente veniva trattenuto in ricovero per 3 giorni dopo la chirurgia, fino al momento della
rimozione del drenaggio toracico, e sottoposto alle opportune terapie (analgesici, fluidi,
antibiotico).
Alla dimissione in 4°giornata il soggetto dimostrava un eccellente recupero. A 2 mesi di
distanza veniva effettuato un monitoraggio completo (profilo ematobiochimico, esame urine,
radiogramma del torace, esame ecocardiografico) che escludeva qualsiasi complicazione
successiva all’intervento.
Discussione
L’interesse del caso presentato risiede nella coesistenza di elementi di tipicità e atipicità. Tra
gli ultimi il motivo di presentazione (disuria per infezione urinaria), verosimilmente in
relazione allo stato di immunodepressione indotto dalla interferenza tumorale con la
funzionalità dei linfociti.
Tra i primi, assai più numerosi, l’età avanzata, il decorso cronico e con scarso corredo di
sintomi, la struttura macroscopica della massa (capsulata / cavitata), il tipo istologico. Si
enfatizza il ruolo della citologia nel fornire un orientamento diagnostico (anche se a mosaico),
la correlazione con il sempre necessario esame istopatologico e la notevole utilità delle
metodiche avanzate di diagnostica per immagini (TC) ai fini della stadiazione clinica e per la
pianificazione della terapia chirurgica.
Bibliografia
•
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58
CASO CLINICO: ANGIOSARCOMA VENTRALE IN UN GATTO
Verganti S. [email protected], Orifici F., Olivero D., Abramo F., Romanelli G.
L’angiosarcoma addominale ventrale felino è una neoplasia rara che colpisce gatti adultianziani, senza predisposizione di razza e sesso, con localizzazione tipica a livello di parete
addominale e mammelle inguinali1. Le metastasi sono rare ma la prognosi è comunque infausta per il carattere infiltrativo e le frequenti recidive post chirurgiche, per cui è indispensabile
una diagnosi precoce per un approccio terapeutico efficace2. La diagnosi si basa sull’anamnesi, sulla localizzazione anatomica, sull’aspetto clinico e sulle caratteristiche istologiche1.
Sebbene sia ancora controversa l’origine delle cellule endoteliali neoplastiche (ematiche/linfatiche) recentemente è stata dimostrata l’origine linfatica di tale neoplasia3. Sia il linfangio che
l’emangiosarcoma risultano positivi per vimentina e Fattore VIII, mentre solo il
linfangiosarco-ma risulta positivo a PROX-1 e LYVE-14-5-6, per cui questi due marker sono
fondamentali per una diagnosi definitiva.
Paco, gatto comune europeo, maschio castrato, 11 anni, viene portato in visita per la presenza
di una lesione cutanea addominale. La proprietaria riferisce la presenza,da più di un anno, di
una piccola neoformazione a livello inguinale che, nell’ultimo periodo, è rapidamente aumentata di volume, con la concomitante perdita di liquido siero-ematico. All’EOG l’animale appare leggermente abbattuto con condizioni del mantello scadenti. All’EOP si evidenzia una neoformazione sessile, a margini indistinti, coinvolgente la cute ed il sottocute delle mammelle
inguinali e addominali (13,5x17x2,1 cm), di consistenza duro-elastica, calda e dolente. La
cute alopecica presenta aree di colore rosso-violaceo ed il pelo alla periferia della lesione
appare umido; è presente, inoltre, una fistola da cui fuoriesce un liquido siero-ematico. Gli
esami del sangue evidenziano un’iperprotidemia mentre i test Felv e Fiv risultano negativi.
Vengono eseguite due biopsie incisionali al centro della lesione per l’esame istologico e viene
iniziata un’antibioticoterapia con Amoxi-clavulanico (20 mg/kg po BID). L’esame istologico
rileva una neoplasia sottocutanea infiltrante localmente, caratterizzata dalla presenza di lacune
e canali irregolarmente anastomizzati, che dissecano il connettivo ed il tessuto adiposo. I canali sono rivestiti da endotelio prominente che appoggia direttamente su tralci di connettivo
ed il lume appare otticamente vuoto. Nelle sedi più profonde la neoplasia assume un aspetto
di proliferazione solida, le cellule assumono maggiori caratteri di atipia e sono evidenziabili
aree emorragiche. Nelle zone periferiche in prossimità dei canali si osservano aggregati multifocali di piccoli linfociti, sono inoltre rilevabili aree di necrosi ed emorragia. I quadri istopato59
logici rilevati sono suggestivi di linfangiosarcoma addominale felino. In seguito a stadiazione
completa (ecografia dell’addome e radiografie del torace in tre proiezioni), che risulta
negativa per la ricerca di metastasi, si aggiunge terapia cortisonica con Prednisone (1 mg/kg
po SID). Le condizioni dell’animale migliorano per qualche settimana poi Paco manifesta
abbattimento ed anoressia sempre più marcati con evidente dimagramento. L’animale è così
sottoposto ad eutanasia ma la proprietaria non autorizza l’esame autoptico.
Nonostante non sia stato possibile effettuare un esame immunoistochimico, l’anamnesi, la
localizzazione anatomica, l’aspetto clinico e le caratteristiche istologiche indirizzano verso
una diagnosi di linfangiosarcoma. Le dimensioni della neoplasia al momento della visita non
hanno reso possibile un’exeresi chirurgica per cui si è potuta effettuare solo una terapia
palliativa. Il tempo di sopravvivenza è stato di 82 giorni dal momento della diagnosi tuttavia,
la presenza da più di un anno della neoformazione e l’apparente mancanza di metastasi al
momento dell’eutanasia, confermerebbero il carattere infiltrativo e la scarsa tendenza alla
metastatizzazione della neoplasia.
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60
LA CACHESSIA NEOPLASTICA – SUPPORTO NUTRIZIONALE
AL PAZIENTE ONCOLOGICO
Liviana Prola
Definizione - La cachessia è una sindrome complessa che esita, come conseguenza di
profonde alterazioni nel metabolismo dei grassi, delle proteine e dei carboidrati, nella perdita
di peso e nello scadimento delle condizioni organiche. Essa è lo stadio finale dell’emaciazione
ed è, di solito, associata a debolezza, anoressia, depressione mentale ed immunitaria.
Patogenesi - La cachessia è la sindrome paraneoplastica più frequente in medicina
veterinaria. Nell’uomo questa sindrome colpisce l’87% dei pazienti con cancro ospedalizzati.
Si stima che l’incidenza sia la stessa negli animali da compagnia. L’incidenza della cachessia
è maggiore nei pazienti affetti da neoplasie del tratto gastro-enterico poiché, oltre al
meccanismo d’azione sistemico, si associa un peggioramento della funzione digestiva (in
medicina umana, è cachettico il 90% dei pazienti colpiti da cancro pancreatico). La cachessia
neoplastica causa diminuzione della qualità della vita, minor risposta alle terapie, aumento
degli effetti collaterali da radioterapia e da chemioterapia ed è pertanto considerata un segno
prognostico fortemente negativo. Le alterazioni che si stabiliscono in corso di cachessia
neoplastica interessano il metabolismo di carboidrati, proteine e lipidi e possono presentarsi
già prima delle manifestazioni cliniche della patologia. In una prima fase della patologia, il
paziente non mostra segni clinici ma sono già presenti alterazioni biochimiche (aumento
livelli di lattatemia ed insulinemia, alterazioni profili sierici di proteine e lipidi).
Successivamente, nella seconda fase, il paziente inizia a manifestare anoressia, perdita di
peso, depressione ed aumento degli effetti collaterali legati alla chemioterapia; infine, l’ultima
fase è caratterizzata da marcata perdita di peso, debilitazione, debolezza. E’ stato evidenziato
che le alterazioni metaboliche permangono anche dopo la remissione della sintomatologia in
seguito a chemioterapia.
Metabolismo dei carboidrati: I meccanismi che portano ad un’alterazione del metabolismo
dei carboidrati si basano sulla capacità della neoplasia di produrre fattori (TNF, IL-6) che
diminuiscono la sensibilità cellulare all’insulina causando perciò iperglicemia ed
iperinsulinemia. La domanda di glucosio, inoltre, è ulteriormente aggravata dal fatto che le
cellule neoplastiche, pur essendo munite di tutti gli enzimi per il ciclo di Krebs, non
producono ATP (ossia energia) attraverso questa via, ma scelgono, preferibilmente, la
glicolisi anaerobia che risulta però essere un processo meno efficiente e che porta alla
formazione di lattato. Questa elevata domanda di glucosio viene soddisfatta, in parte,
convertendo tessuto adiposo e proteine in glucosio.
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Metabolismo proteico: In corso di cachessia neoplastica, il catabolismo proteico eccede la
sintesi venendosi così a creare un bilancio azotato negativo. La crescita neoplastica richiede
aminoacidi per la sintesi di proteine e le riserve dell’ospite vengono intaccate. Tale deficit
proteico provoca un peggioramento della funzione immunitaria (sia umorale che cellulomediata), della funzionalità gastro-intestinale e della guarigione delle ferite. Clinicamente si
evidenziano, perciò, atrofia muscolare, ipoalbuminemia, peggioramento della cicatrizzazione
ed infezioni frequenti. Inoltre, la seconda via (insieme alla glicolisi anaerobia) utilizzata per
soddisfare la domanda di glucosio, è la gluconeogenesi. Questa via utilizza gli aminoacidi
come substrato e perciò possiamo evidenziare una diminuzione dei livelli plasmatici di
aminoacidi gluconeogenetici (treonina, glutammina, glicina, valina, cistina, arginina). E’ stato
dimostrato come l’integrazione con arginina, in animali con bassi livelli plasmatici di questo
aminoacido, possa potenziare la risposta immunitaria e come la supplementazione di
glutammina sia in grado di diminuire la gravità dei sintomi gastro-enterici indotti da
chemioterapia nel gatto.
Metabolismo lipidico: la perdita delle riserve adipose costituisce la principale causa di perdita
di peso nei pazienti afflitti da cachessia neoplastica, nei quali si verifica una spiccata lipolisi
in assenza di una sufficiente lipogenesi. Da ciò risulta un aumento della concentrazione
sierica di acidi grassi, di lipoproteine a bassa densità, di trigliceridi, di aceto-acetato e di ßidrossibutirrato. Dal punto di vista clinico può essere fondamentale conoscere che le cellule
tumorali hanno difficoltà ad utilizzare i lipidi e pertanto questi possono continuare a costituire
una fonte energetica utile per l’ospite.
Supporto nutrizionale al paziente oncologico - La nutrizione non viene spesso considerata
come un problema critico nel trattamento delle neoplasie, ma può essere una variabile
importante che influisce sulla qualità della vita e sui tempi di sopravvivenza. Nei pazienti
neoplastici, in particolare se affetti da forme metastatiche, il problema non è quello di guarire
il paziente, ma come migliorare la sua qualità di vita.. Nel corso degli ultimi 20 anni, si è
andata sviluppando una base di letteratura sul ruolo che certi macronutrienti (grassi, proteine e
carboidrati) e micronutrienti (vitamine, minerali, acidi grassi ed aminoacidi) esercitano sulle
malattie neoplastiche. Benché quest’area di ricerca sia ancora all’inizio, si vanno raccogliendo
sempre più prove del fatto che il trattamento nutrizionale della neoplasia può influire
profondamente sulla vita degli animali e dei proprietari coinvolti in questo processo
patologico.
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