Relazione della Dott.ssa Silvana Salerno

DONNE, LAVORO SALUTE:
CAMBIA LO STILE DI VITA, CAMBIANO LE CONDIZIONI DI SALUTE
Intervento del 6 marzo 2014
Dott.ssa Silvana Salerno
Medico del lavoro-ricercatrice, Enea casaccia
[email protected]
Sono felice ed onorata di essere qui. Voglio raccontarvi una storia che è anche la storia del cuore
delle donne, perché se oggi siamo qui a parlare di donne, lavoro e salute è perché nel passato ci
sono state tante donne che ne hanno parlato per noi ma le loro parole sono state clamorosamente
dimenticate. Parte del mio tempo l‟ho dedicato dunque alla ricostruzione storica del loro contributo.
Maria Montessori (1870-1952) si era occupata per prima, nella sua tesi di dottorato in antropologia,
delle caratteristiche fisiche delle donne del Lazio. Analizzò le caratteristiche antropometriche di 200
donne [1] sottolineando, contro le teorie antropologiche vigenti sulla presunta inferiorità femminile,
che sì il cervello femminile è più piccolo ma è in rapporto al corpo della donna. Il tema di questo
incontro è il cuore ma, ricordiamoci sempre che il cuore è collegato a tutti gli altri apparati e che
corpo e mente sono in costante relazione.
In passato, agli inizi del secolo, la condizione femminile era la condizione di donne che avevano
un‟età media molto bassa. La speranza di vita è progressivamente migliorata, nel primo „900
l‟aspettativa di vita media era di 43 anni, oggi è di 85 e auspichiamo di arrivare a 100 ma, questa è
una media riferita a tutta la popolazione, certe condizioni socio-economiche determinano una
speranza di vita drasticamente più bassa. Era quella un‟Italia in via di sviluppo, metà della
popolazione era costituita da fanciulli e fanciulle che svolgevano il loro mestiere nelle condizioni
peggiori, legate al lavoro industriale, in agricoltura, o nei servizi, come il lavaggio degli indumenti,
e la prostituzione legale. Prima dell‟Unità d‟Italia ci furono diverse riunioni di scienziati (18391847) che si adoperavano per l‟unificazione e nei loro studi cercarono di approfondire anche la
condizione femminile [2]. Tra loro non c‟era nessuna donna, questo perché l‟istruzione era per
pochi e quei pochi erano solo maschi. Queste riunioni ebbero luogo in tutti gli stati tranne lo Stato
della Chiesa, dove una forte opposizione impediva la realizzazione di incontri tra scienziati che si
interessavano anche alle malattie della popolazione (mala-aria, clorosi, un tipo di anemia frequente
nel sesso femminile, pellagra, ecc.) nelle campagne e negli opifici. Furono anche quegli studiosi a
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portare a conoscenza del mondo scientifico, dialogante con il resto d‟Europa, la condizione del
lavoro femminile in Italia, dove il duro lavoro dei campi non era solo maschile e le condizioni di
vita pessime: 16 ore di lavoro al giorno, e si poteva cominciare a lavorare già a 4 anni! Condizioni
queste che lasciavano il loro segno nei corpi di fanciulli/e con una crescita sproporzionata.
Posizione scomoda, carenza di istruzione, tristezza, alcolismo e promiscuità, gerarchia, percosse e
lavoro notturno, tutto questo dovevano affrontare i ragazzi/e negli opifici [3]. Negli stessi anni il
grande studioso Charles Darwin, purtroppo per il sesso femminile, sosteneva nella teoria
dell‟evoluzione della specie (1859), che la donna è inferiore, perché nella lotta per la sopravvivenza
vince il maschio “l’uomo supera la donna non solo nel fisico ma anche nella mente”. La femmina è
un punto intermedio tra fanciullo e uomo; femminilità e infantilismo, donne e fanciulli sono sempre
trattati insieme perché considerati elementi di crescita verso una maturità che magari non
raggiungeranno mai [4]. Il maschio avrebbe una potenza fisica, mentale che pone la donna in
condizioni di inferiorità. Darwin ricorda tuttavia che il cervello deve essere messo in relazione con
le dimensioni del corpo. Alla base della teoria antropologica dell‟epoca era il presupposto che il
cervello della donna, essendo più piccolo, era incapace di poter elaborare una normale cognitività (e
moralità!) [5]. Questo precedente darwiniano peserà molto nel processo di emancipazione
femminile e nella posizione della scuola romana di Antropologia, una scuola importante della nostra
città.
Giuseppe Sergi (1841-1936), antropologo direttore della scuola romana di antropologia, scrive un
saggio per argomentare che non ci sono donne di genio perché la donna è un “uomo arrestato nello
sviluppo senza intelligenza e senza morale”. Giuseppe Sergi è un grande antropologo, perché è
convinto di questo? Perché fa parte di un gruppo di antropologi di scuola darwiniana come Paolo
Mantegazza, Cesare Lombroso, antropologi che continueranno a sostenere l‟inferiorità della donna,
come accadeva anche negli Stati Uniti d‟America (USA) con William Alexander Hammond.
Controcorrente tuttavia si muoveranno alcune donne, le prime donne che avranno accesso
all‟istruzione universitaria, le prime donne medico (come Maria Montessori, o donne avvocato
come Lidia Poet) o semplicemente autodidatte come Ersilia Majno Bronzini. Donne che faranno
della condizione femminile e dei fanciulli/e il loro intervento prioritario. Maria Montessori (18701952), ad esempio, allieva di Giuseppe Sergi, si preoccupa dei fanciulli/e abbandonati a loro stessi
considerati “ritardati” e ne scopre l‟intelligenza; Gina Lombroso (1872-1944), figlia di Cesare
Lombroso, medico, ragionerà su questo argomento distanziandosi dalla teoria paterna e ancora,
Anna Fraentzel Celli (1878-1958), quasi medico moglie del medico malarialogo Angelo Celli
(1857- 1914), ebbe un ruolo importante nello studio della malaria e nel miglioramento delle
condizioni di vita delle donne contadine del Lazio, mentre Anna Kuliscioff (1855-1925) dopo
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essersi laureata in medicina, fece la ginecologa e venne chiamata “la dottora dei poveri” a Milano.
Anna Kuliscioff ebbe a sottolineare, nel testo “Il monopolio dell‟uomo” (1890) tre aspetti di enorme
importanza: 1) le donne, a parità di lavoro rispetto agli uomini avevano un salario inferiore, quindi
minori possibilità, 2) le donne erano più tranquille rispetto agli uomini, più plasmabili, non
ricorrevano all‟arma dello sciopero e non avevano rappresentanti politici o sindacali che portassero
in alto le loro istanze, 3) nessuna legge proteggeva le donne. Anna Kuliscioff spenderà tutte le sue
energie per ribadire le sue convinzioni esponendo dati statistici a dimostrare la prevalente presenza
femminile nell‟industria dell‟Italia e il suo sfruttamento [6]. Le donne, e spesso le fanciulle, erano
prevalenti nell‟Italia del nord nel settore tessile, nelle manifatture dei tabacchi e in tutte le attività
lavorative dell‟Italia post unitaria. Maria Montessori a Roma, contrasterà, come donna, medico,
antropologa, l‟inferiorità femminile e dei bambini riportando all‟ambiente sociale la deprivazione
fisica e intellettuale.
Un aspetto di grande importanza era, già all‟epoca, la segregazione lavorativa. Le donne sono
segregate, ancora oggi, in settori di lavoro specifici. La segregazione delle maestre nasce in quel
periodo, l‟insegnamento era un‟attività maschile perché l‟istruzione era esclusivamente maschile,
successivamente si aprirono le porte dell‟istruzione anche per le donne ma spesso esclusivamente
per la professione di maestre. Maria Montessori doveva essere una maestra, così avrebbe voluto suo
padre, ma volle andare all‟Università, e divenne la prima donna laureata in Medicina a Roma, non
senza problemi. Ancora oggi, a distanza di più di un secolo, il lavoro di maestra è un lavoro
femminilizzato al 98%. Un‟altra donna fece un lavoro importante a livello romano e laziale, Anna
Fraentzel Celli, moglie del grande malariologo che studiò il plasmodio della malaria e la zanzara
veicolo della malattia. Oltre al successo scientifico si deve ad Angelo Celli, deputato parlamentare,
il grande passo sociale: chiedere al Parlamento di distribuire gratuitamente il chinino, che era
l‟unico farmaco efficace nel limitare i danni della malaria. Anna Frantzel Celli fu aiutata in questa
campagna da un movimento femminile esteso e competente che nasceva in quegli anni in forma
organizzata e del quale faceva parte anche Sibilla Aleramo (pseudonimo di Rina Faccio) [18761960], autrice del libro Una donna, manifesto di quel movimento di emancipazione. Il movimento
delle donne italiane, attraverso l‟Unione femminile (1899), fondata a Milano da Ersilia Majno
Bronzini e il Consiglio Nazionale delle donne italiane (1903) lavorerà intensamente per intervenire
sulle condizioni di vita e sull‟istruzione dei bambini/e e delle donne dell‟agro romano attraverso
scuole orientate al nascente metodo montessori (1909). Nel Lazio i contadini/e vivevano nelle
capanne di paglia, e nell‟agro romano andava affrontato il problema della malaria e delle zanzare
che si alzavano numerose nel pomeriggio-sera esponendo la popolazione tutta alla malaria [7].
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Ersilia Marino Bronzini e Anna Kuliscioff ebbero il riconoscimento del loro impegno
nell‟approvazione del Parlamento della prima legge di tutela della salute della donna del „900
(Regio Decreto 242/1902). Gli obiettivi raggiunti furono il limite di 8 ore di lavoro per bimbi/e e 12
ore per le donne. La legge prevedeva anche i primi Ispettori. Santa Gigliola Volonteri fu la prima
ispettrice donna su questa legge di tutela (1907). A Milano in quegli stessi anni si realizzava il
primo congresso internazionale sulle malattie del lavoro (1906), al congresso Ersilia Majno
Bronzini benché non laureata, interveniva per il divieto del lavoro notturno, per dire che il lavoro
notturno è antifisiologico e per chiedere che tutte le donne e i fanciulli/e ne fossero
permanentemente esclusi [8]. L‟Italia fu anche la prima nazione ad avere una clinica per le malattie
del lavoro (Clinica del lavoro Luigi Devoto, 1910). Oggi sul lavoro notturno abbiamo fatto un passo
indietro perché le donne non ne sono più esentate, per un‟errata interpretazione delle pari
opportunità. Oggi le donne turniste di notte pagano con un incremento del cancro della mammella
questa scelta organizzativa [9].
A Roma nel 1908, c‟era un grande fermento di filantrope e donne laureate che portò alla
realizzazione del primo congresso nazionale femminile, ispirato all‟International Council of women
americano, e fu proprio qui accanto, nella Sala degli Orazi e Curiazi del Comune di Roma, che un
migliaio di donne affrontarono insieme argomenti quali: lavoro, istruzione e voto. Era l‟epoca della
Giunta di Ernesto Nathan (1845-1921), gli anni della nascita del primo piano regolatore e i giornali
riportarono con ironia l‟evento: faceva scalpore la presenza di 1000 donne, con i loro grandi
cappelli, riunite in Campidoglio per rivendicare l‟obbligo del riposo festivo, l‟abolizione del divieto
di matrimonio per le lavoratrici, la parità del salario con quello dei maschi a parità di lavoro,
l‟abolizione dell‟autorizzazione maritale per le donne che erano obbligate a chiedere il permesso al
marito per spostarsi. L‟autorizzazione maritale verrà abolita nel 1919, dopo la prima guerra
mondiale! Il voto alle donne venne riconosciuto nel 1946 quasi mezzo secolo dopo dopo due guerre
mondiali!
Dopo il primo congresso del 1908 del Consiglio Nazionale delle Donne italiane, sempre a Roma fu
organizzato il IV congresso per le malattie da lavoro (1913) dal medico abruzzese Aristide
Ranelletti. In quell‟occasione la presenza organizzativa delle stesse donne fu determinante per
ragionare di malattie professionali delle donne e di altri problemi tipici della condizione femminile.
Irene De Bonis De Nobili (1869-?), non laureata ma certamente istruita, espose un lavoro,
pubblicato negli atti del convegno, in cui osserva come cucito, ricamo, tessitura, cucina, modisteria
e telegrafia, lavori considerati “minori” perché comuni tra le donne, anche per le emigrate negli
USA, danno luogo a problemi di postura, cefalee, infezioni, nevrastenia tra gli altri aspetti. La De
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Bonis De Nobili esorta i medici del lavoro a non ignorare le malattie generate dai lavori delle donne
e quelle che possono essere definite malattie professionali femminili [10]. Questo è il primo
documento che “sulle malattie professionali delle donne” e sono state le donne a parlarne per prime
in un contesto maschile senza una professione specifica. Irene De Bonis De Nobili parlava di
lavorazioni monotone e ripetitive tipiche del sesso femminile e ricorda come in quell‟epoca molte
erano le donne migranti, specie verso gli Stati Uniti d‟America, tra i milioni di italiani.
A New York, infatti, viene ricordato, come elemento determinante nella storia della lotta per la
salute di quel paese, un tragico giorno, il 25 marzo 1911, quando scoppiò un incendio in una
fabbrica di indumenti e le donne che vi lavoravano, per salvarsi, dovettero gettarsi dalle finestre. Lo
storico Alessandro Portelli ci dice che molte di quelle donne erano italiane e lavoravano in
condizioni di schiavitù, una di loro si chiamava Francesca Caputo, aveva 17 anni era emigrata e
senza diritti, come lei morirono 145. Le emigrate erano povere, non istruite, per sopravvivere
accettavano i lavori più umili spesso a domicilio.
Le donne italiane oggi
La situazione italiana oggi per quanto riguarda il genere femminile, anche se numerosi sono i passi
avanti fatti, è ancora negativa. L‟Italia si colloca al 71° posto nell‟indicatore chiamato “Gender
gap” (Differenza di genere) [11]. Noi parliamo di lavoro femminile ma in Italia, in particolare per le
donne, non c‟è lavoro. La percentuale di lavoratrici oggi è al di sotto del 50% mentre nei paesi
scandinavi supera l‟80%. L‟Italia, inoltre, non è tutta uguale, ci sono regioni virtuose come l‟Emilia
Romagna, il Lazio in una situazione intermedia, la Campania la situazione peggiore. Il lavoro è
anche un modo per migliorare la salute. Chi non lavora si trova in condizioni peggiori di chi lavora.
Le donne che lavorano guadagnano circa il 20% in meno, una delle ragione per cui siamo al 71°
posto, insieme al ridotto tasso di occupazione femminile e al fatto che le donne non sono presenti
nei ruoli apicali, non ci sono responsabili di genere femminile nei quadri intermedi, nemmeno
quando il lavoro è femminilizzato, sebbene le donne abbiano superato percentualmente gli uomini
nell‟istruzione. Noi donne studiamo di più, siamo più brave, l‟eccellenza scolastica viene
soprattutto dalle donne, le donne studiano e si laureano di più [12], tanto è vero che nel comparto
della sanità, prima eravamo solo infermiere, oggi anche medici. Le donne hanno un‟elevata
aspettativa di vita alla nascita (85 anni) circa 5 anni maggiore rispetto agli uomini, l‟aspettativa di
una buona qualità di vita è però inferiore: infatti, le donne che riescono a sopravvivere hanno
disabilità pari a 2 o 3 malattie croniche pro-capite quali malattie osteoarticolari, cardiovascolari e
depressione tra le prevalenti. Questo è un dato che presenta un gap di genere importante e crescente
[13]: le donne sono più esposte a disabilità rispetto ai maschi che vivono meno a lungo ma hanno
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una disabilità inferiore. Bisogna intervenire con la prevenzione proprio per poter garantire oltre alla
quantità di vita delle donne anche la qualità di vita.
Negli ultimi due anni abbiamo avuto un lieve incremento delle donne occupate ma si tratta di donne
costrette, dopo la riforma delle pensioni, a rimanere al lavoro per raggiungere i nuovi limiti di età
pensionistici obbligatori. Le donne lavorano in maggioranza a tempo parziale (part-time), hanno più
contratti precari, mantengono la differenza retributiva e il tipo di lavoro richiesto, specie al sud, è
meno qualificato a fronte della maggiore qualificazione femminile. Alla nascita del primo figlio
diminuisce drasticamente la presenza nel mondo del lavoro e, con l‟arrivo del secondo figlio, sono
poche le donne che mantengono il lavoro. Il lavoro di cura e i servizi in casa sono stimati per la
donna italiana in media a più di un‟ora al giorno. La donna è segregata a livello orizzontale per
comparto produttivo e anche a livello verticale per le basse posizioni gerarchiche [cit.12]. Non
vanno dimenticate, infine, le donne immigrate perché sono impegnate in tante attività di cura e
servizi che noi possiamo delegare grazie al loro lavoro, ancora meno retribuito delle italiane e meno
tutelato. Le donne immigrate in Italia sono più di 2 milioni. La popolazione immigrata femminile è
in aumento, ha un tasso di occupazione più elevato proprio per il lavoro che svolge, ha inoltre
un‟età inferiore e contratti più precari, guadagna di meno. L‟80% del lavoro domestico è svolto da
donne immigrate. Le donne immigrate sono spesso coinvolte tristemente nella rete della
prostituzione, invisibili alle statistiche e agli interventi sociali.
Ora parliamo del nostro cuore
Annika Harenstam, ricercatrice svedese, ha svolto un lavoro di ricerca sui determinanti di rischio
per le donne svedesi [14] esaminando i seguenti parametri: salute, bilanciamento casa/lavoro,
retribuzione, occupazione, soddisfazione al lavoro. Ha preso in esame gruppi di donne (cluster) che
hanno determinate caratteristiche e ne ha studiato i rischi per la salute. Donne con elevata
istruzione, elevata domanda al lavoro, con poco tempo per ricrearsi, poca attività fisica, si trovano
in una zona grigia : il loro equilibrio potrebbe sbilanciarsi. Ha rilevato uno stress molto alto con
rischio cardiovascolare in donne che hanno elevata domanda di lavoro e poco controllo sull‟attività
che svolgono, scarse possibilità di carriera, elevata istruzione, responsabilità di linea ma non
gerarchica. Avere tante cose da fare e non poter controllare il proprio lavoro rappresenta, per i
parametri di salute al lavoro, uno dei concetti cardine del rischio anche cardiovascolare. Le donne
che lavorano con elevata domanda emotiva, tempi ristretti, lavoro insicuro si occupano di bambini,
anziani, malati presentano maggiore rischi.
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Un‟altra ricercatrice, Karen Messing, canadese, ha scritto definendo la scienza: “la scienza ha un
occhio solo” [15] perché quasi tutti i lavori scientifici non analizzano le differenze di genere, anche
gli studi epistemologici e gli studi di ergonomia; inoltre i lavoratori maschi sono più indennizzati
per infortuni e malattie professionali. In Italia si conferma questo dato, le malattie cardiovascolari
sono poco denunciate e indennizzate (circa 1 % di tutte le malattie professionali indennizzate, banca
dati statistiche, Inail 2013). A parità di denuncia, le malattie professionali delle donne, muscoloscheletriche e i tumori delle donne, risultano meno denunciate e meno indennizzate. Il conflitto tra
genere e uguaglianza ha portato in evidenza i problemi legati al lavoro notturno che le leggi europee
hanno aperto anche alle donne.
E‟ opportuno anche portare all‟attenzione gli infortuni mortali sul lavoro oltre alle malattie
professionali. Le donne risultano avere meno infortuni mortali rispetto agli uomini, si tratta quasi
esclusivamente di infortuni in itinere dovuto al tragitto casa-lavoro con la propria automobile.
Ebbene, questi infortuni andrebbero studiati proprio per capire, visto che le donne hanno una guida
più sicura, il perché di tanti infortuni mortali. Forse il doppio carico? I tempi limitati? Il dover
pensare di essere contemporaneamente in più posti? Questo è un aspetto che andrebbe approfondito.
Così come andrebbe anche studiato il motivo per cui il centro Italia presenta un numero di infortuni
sul lavoro maggiore rispetto alle altre regioni con una componente femminile relativamente elevata:
il dato dichiarato dall‟Inail è 33,4% (2009). Anche l‟incidenza di malattie professionali e infortuni
nel Lazio è maggiore rispetto alle altre regioni. Di che cosa si ammalano le donne?
Il cuore. Le malattie del cuore sono poco presenti nelle malattie professionali ma noi sappiamo che
invece esiste una questione di cuore. Prima di arrivare a riconoscere le malattie del cuore come
malattie da lavoro avremo bisogno di tempo, perché lo stress è una sindrome di adattamento non
specifica e creare il nesso causa/effetto tra il lavoro, la pressione arteriosa e l‟infarto è complicato.
Tuttavia per le donne tutto é più complicato infatti anche le malattie osteoarticolari, prima grande
causa per le donne di malattie professionali, sono poco riconosciute, così come poco riconosciute
sono anche le malattie da esposizione ad amianto. Le condizioni di rischio delle donne sono meno
studiate e la loro esposizione è diversa da quella maschile [16].
Ricordiamo sempre che ci sono donne che non solo si ammalano ma muoiono di malattie
professionali e aumentano il numero delle morti per infortunio. Tra queste ci sono anche le
lavoratrici straniere che denunciano più infortuni rispetto alla forza lavoro che rappresentano, pari al
6% di malattie professionali definite nel 2012 e 13% degli infortuni mortali sul lavoro. Per gli
infortuni delle donne occorre segnalare come la casa rappresenti un luogo importante di rischio
legato al lavoro domestico e al doppio-lavoro.
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Le malattie legate al lavoro di cura, come il burn-out (sindrome del bruciarsi) e la depressione, non
hanno un riconoscimento adeguato come malattie professionali (solo l‟1.3 % delle malattie
professionali da “distrubi psichici” riconosciute dall‟INAIL, 2012). Sono tanti i lavori della
Pubblica Amministrazione che espongono a questi rischi e la sorveglianza sanitaria è utile se mirata
a rilevare queste malattie da lavoro dovute al depauperamento emotivo e fisico.
Ersilia Maino Bronzini già nel 1906 aveva affrontato il problema del lavoro notturno
considerandolo anti-fisiologico. Il lavoro notturno è oggi considerato fattore di rischio per il tumore
alla mammella, grazie ad alcuni grandi studi internazionali sulle infermiere che hanno guardato alle
differenze di genere.
Un altro grande ostacolo alla salute delle donne è la depressione.
La depressione è femminile, l‟Organizzazione Mondiale della Sanità rileva che questa è la prima
malattia sulla quale è urgente intervenire [17]. Il lavoro più coinvolto nel rischio di depressione è
quello di donne che hanno basso controllo sul lavoro e anche poco sostegno dei superiori. Uno
studio americano rileva, tuttavia, che anche le donne che hanno un lavoro molto attivo e un elevato
controllo presentano un maggior rischio di malattie coronariche [18]. Uno studio italiano molto
importante ha rilevato un raddoppio di malattie coronariche in donne esposte al doppio lavoro senza
partner fisso. Nel recente Congresso dell‟Associazione Italiana di Epidemiologia uno studio, degli
stessi autori, ha rilevato un maggior rischio cardiovascolare nelle donne occupate che hanno tre
figli, in particolare se maschi, a causa del maggiore carico di conciliazione casa-lavoro [19].
Da una ricerca condotta presso il pronto soccorso di un policlinico universitario romano abbiamo
evidenziato: elevato numero di ore di straordinario, elevato numero di infortuni, elevato numero di
aggressioni, insicurezza sul lavoro, elevato stress percepito e, infine, elevata abitudine al fumo di
sigaretta. In quel pronto soccorso una donna su due fuma sigarette. Bisogna combattere il fumo fin
dall‟adolescenza femminile perché è lì che inizia la vera esposizione. Ma per combattere il fumo di
sigaretta bisogna prendere in considerazione le condizioni di lavoro, perché l‟abitudine al fumo di
sigaretta è fortemente connessa allo “stress lavoro correlato” come lo sono l‟uso di alcool e di
farmaci [20].
Altro rischio emergente è legato alla necessità di fare due cose contemporaneamente (esempio:
rispondere al telefono e aiutare a compilare moduli, scrivere al computer e parlare al telefono, etc.),
essere “multitasking” (fare più cose contemporaneamente) sta diventando quasi un obbligo
organizzativo. Qualche ricercatore vorrebbe dimostrare il miglioramento della salute ma noi
riteniamo che questa contemporaneità rappresenti un decadimento delle condizioni di vita a causa di
un‟esposizione continua percettiva che genera fatica cronica. Le infermiere curano il malato
fisicamente ma lo supportano anche psicologicamente, questo supporto emotivo, spesso per
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mancanza di tempo programmato specificamente, è fornito come doppio compito e può condurre al
burn-out se non viene adeguatamente organizzato il lavoro di cura.
L‟agenda dei bisogni di genere, elaborata dal prof. Giuseppe Costa, medico epidemiologo di
Torino, impone di lavorare sulla dicotomia del lavoro delle donne (lavoro pagato e lavoro di cura),
sulla vulnerabilità nell‟invecchiamento, anche perché le donne lavoreranno molto di più nei
prossimi anni e non sono tutelate, sulla lotta alle dipendenze da fumo, alcool ecc, e sul sostegno alle
donne sole [21].
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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(200 soggetti). Atti della Società Romana di Antropologia 12:37-120, 1906
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Traduzione di Valentina Besi e Cinzia Di Barbara , 2008 Einaudi Storia pp. XXII - 320
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www.unionefemminile.it/wp.../Ersilia-Bronzini-Majno-Silvana-Salerno.pdf
[9] IARC- Shiftwork that involves circadian disruption-2A Possibile cancerogeno per l’Uomo, vol.
98 in: http://monographs.iarc.fr/ENG/Publications/techrep42/TR42-20.pdf
[10] Atti del IV° Congresso Nazionale per le malattie da lavoro (Malattie professionali). Roma 811 giugno 1913 (a cura del Dott. Aristide Ranelletti). Tipografia Editrice Nazionale, Roma, 1913.
9
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[12]www.istat.it/it/files/2012/03/Il-lavoro-femminile-in-tempo-di-crisi.ppt (a cura di Linda Laura
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[17] www.who.int/mediacentre/factsheets/fs369/en/
[18] Eaker ED1, Sullivan LM, Kelly-Hayes M, D'Agostino RB Sr, Benjamin EJ. Does job strain
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[19] D'Ovidio Fabrizio, Scarinzi Cecilia, Costa Giuseppe, D‟Errico Angelo. Effetto della
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torinesi. XXXVII Congresso Dell‟associazione Italiana Di Epidemiologia. Roma 4-6 Novembre
2013 (abstract).
[20] Salerno Silvana, Lucilla Livigni, Andrea Magrini, Irene Figà Talamanca. Gender and
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[21] Costa G., Spadea T., Cardano M. “Diseguaglianze di salute in Italia”, Epidemiologia e
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10