LE FRAGILITÀ CHE IL TEMPO LASCIA
NEL CORPO E NELLO SPIRITO
Introduzione del dott. Pietro Lastrucci
Negli uomini e nelle donne esistono tante insicurezze, paure, tensioni, ecc., che sono
invero riconducibili ad uno dei due tipi di fragilità, che si manifesta nelle persone e che
rappresenta anche il motore, la spinta che per tutta la vita ci incalza nel tentativo di superarla,
negandola, oppure cercando di accettarla.
Questa fragilità, si forma nella mente della prole, che già è predisposta ad un primitivo
giudizio valoriale di bene e di male, dall’interazione con la coppia genitoriale nei primi anni di
vita (fino a 3 anni) e non scompare, come limite personale, durante tutta la vita. Ovviamente il
grado di fragilità varia da individuo ad individuo. Quanto maggiore è la fragilità e le
conseguenti paure di ogni membro della coppia genitoriale, tanto più accentuata sarà la fragilità
della prole.
Dal mancato soddisfacimento della pulsione fondamentale della conservazione della vita,
propria di tutti gli esseri viventi, nasce l’insicurezza vitale, cioè la fragilità che genera la paura
di non potersi mantenere in vita, di non poter sfuggire alla morte minacciosa, di non fare
abbastanza per questo pericolo.
Dal mancato soddisfacimento della pulsione della conservazione della specie, l’altra
pulsione fondamentale (pulsione sessuale), che si verifica per un deficit di identificazione del
figlio col padre e della figlia con la madre all’interno della coppia genitoriale, nasce
l’insicurezza sessuale, cioè la fragilità che conduce alla difficoltà a gestire propriamente tale
forza vitale (sessuale).
La pulsione della conservazione di sé può essere un “darsi” reciproco per aiutarsi per la
sicurezza di vita, ma anche, in caso di grave deficit, che non trova gratificazione sufficiente
nella coppia e nelle altre relazioni, uno scontro fratricida.
La pulsione sessuale può essere un darsi reciproco per l’unione procreatrice, ma può anche
essere l’utilizzo della stessa pulsione per un dominio dell’uno sull’altra o viceversa.
La fragilità della personalità è un suo assetto costitutivo e dinamico, è un “male” che non
permette uno sviluppo armonico e completo della persona, è un deficit della sua perfezione ed è
quindi un germe della morte.
Gli uomini e le donne non accettano questo stato di debolezza, che, quanto più è esteso,
tanto più fa crescere la paura o di non sopravvivere o di non saper gestire la propria sessualità.
Tutto questo costringe ogni persona a fare delle scelte, che costituiscono dei tentativi
finalizzati a ridurre od a negare lo stato di debolezza.
Diventa necessaria pertanto la scelta tra l’assunzione di atteggiamenti e di comportamenti
che rispettano e valorizzano l’altro e l’assunzione di atteggiamenti e comportamenti che usano
e avviliscono l’altro. La nozione di male morale designa l’assunzione di atteggiamenti e
comportamenti che usano e avviliscono l’altro.
Gli usuali atteggiamenti e comportamenti, posti in essere “normalmente” per far fronte
alla propria debolezza, diventano, nel tentativo di negarla, senza regola e misura, sono
immorali, e si concretizzano nell’accumulo di beni materiali, di denaro, di potere, di sesso,
senza freni e senza rispetto.
La fragilità è uno stato che è molto difficile riconoscere, perché la vita del soggetto si è
orientata fin dall’inizio per il superamento della stessa. Per cui è necessario che avvenga un
cambiamento profondo che permetta di accorgersi della presenza dentro di sé di questa “ferita”
ed, a seconda della gravità, l’acquisizione di comportamenti che non ripetano compulsivamente
il tentativo di provare, colle consuete strategie, a determinarne la scomparsa.
Si può migliorare, compensare, ma non si annulla del tutto la fragilità, perché è un tratto
umano che si può superare solo riconoscendolo ed accettandolo. Così può diventare una forza,
perché il proprio limite è una condizione dell’esistenza umana, che ci permette di considerare
gli altri, nostri simili, come nostri fratelli.
Si concretizza in questa maniera una scelta etica positiva, che, pur comportando sacrifici,
rinforza, perché fare il bene è fonte di gratificazione e di pace.
Invece la tentazione è attrazione o invito a superare il proprio limite, (la propria
fragilità) illecitamente.
Il riconoscimento della propria fragilità o debolezza, sapendo che è un tratto comune a
tutti, deve ridurre o annullare il senso di vergogna che proviamo verso noi stessi e quelli più
deboli di noi, che ci si avvicinano.
E’ necessario che l’uno con l’altro e nella ricerca personale ciascuno si sforzi di percepire
e conoscere quale è il suo vero limite.
E’ il passo più difficile che, anche con i mezzi più raffinati di analisi ed introspezione, si
riesce a compiere.
Le attività psicoterapiche ricercano la guarigione ed il superamento del proprio limite. Ciò
è utile se questi colloqui psicologici non conducono alla menzogna verso se stessi e gli altri e
quindi alla sopraffazione e sfruttamento del prossimo , per la difesa del proprio Io, che non
consente di accettarsi deboli.
Il limite è un segnale che indica quale è la strada da percorrere e quale è la strada senza
sfondo.
La strada percorribile conduce alla meta e mentre la si segue si riconoscono altri segnali
che indicano che la direzione è quella giusta, che fanno crescere la speranza, la forza di
continuare il cammino, la tranquillità e la pace.
La strada senza sfondo porta ad un susseguirsi di tentativi vani di raggiungere la meta.
Il più delle volte, tuttavia, si instaura un compromesso nei rapporti interpersonali che
stabilizza la fragilità reciproca in una situazione di compenso e di aiuto. L’aiuto reciproco è il
fondamento dell’amore fra le persone che è il pilastro morale della nostra vita, perché questo
scambio di comprensione e di sostegno riduce il fastidio della nostra ferita che può essere
migliorata.
Talvolta la sfida è portata oltre il limite percepito o non percepito e si ricerca la
completezza, per esempio nella coppia, con una donna che assomiglia alla madre o con un
uomo che assomiglia al padre. Questa sfida può essere pericolosa perché non permette di
ritornare indietro senza perdite maggiori di sicurezza, avendo in precedenza camminato per una
strada di compromesso che aveva aumentato la sicurezza fino però a far perdere la cautela
iniziale per il limite percepito eppoi non accettato.
Quindi la nostra fragilità è la sorgente stessa da cui nasce il processo morale. L’affettività,
il pensiero, la coscienza della persona saranno costretti ad una scelta fra l’accettazione di sé con
la propria debolezza oppure la sua negazione con la sopraffazione ed il peccato.
Il Cristo ha mostrato la sua tragica debolezza nella morte in croce, ma, nel solco
dell’obbedienza alla sua missione, anche la forza della risurrezione e della sua Signoria.
La paura, che nasce dalla fragilità, e che tutti gli uomini e le donne naturalmente sperimentano,
quando sono provati dal dolore, può essere mitigata dal riconoscimento dell’impegno di stare
dentro il proprio limite e dall’amore del prossimo.
Don Brunini1 commenta la parabola del buon samaritano e dice che: “il “samaritano” è disposto
a considerare le ferite come parte di se stesso, a riconciliarsi con esse cominciando ad accettare
questa semplice verità: la ferita che mi abita è parte di me. Essa è il luogo dove l’impotenza mi
avvolge, dove il dolore si mostra e si fa sentire; il luogo dove la tristezza mi assale.”
Se poi esaminiamo le ferite che Don Brunini enumera, vediamo che è dalla ferita (fragilità) che
nasce la paura e quindi tutte le altre ferite nominate sono in effetti paure:
- della solitudine per il pericolo della vita o la mancanza di una relazione affettiva,
- della malattia fisica o psichica (apatia, insicurezza dell’Io, impotenza)
- per l’insicurezza vitale e di rapporti soddisfacenti.
Vengono quindi enumerate, e qui riassunte, alcune strategie del sacerdote e del levita per negare
il proprio limite:
- la fuga dalla sofferenza con una anestesia psicologia
- la presunzione di essere invulnerabili
- idealizzare la ferita, per passare oltre
- rimanere schiavi del lamento.
Il samaritano, che si riconosce peccatore e straniero, è un uomo fragile, ma per questo forte,
perché considera l’uomo ferito ed abbandonato sulla strada suo fratello, che non può non
aiutare.
La speranza cristiana è di poter superare le proprie paure, avendo coscienza il più possibile
veritiera del proprio limite e consapevoli dell’importanza fondamentale dell’aiuto dei fratelli e
sorelle, per lenire il dolore della nostra ferita, nella fiducia dell’amore di Dio per noi, fragili, ma
anche figli suoi.
Vittorino Andreoli2, nel suo bel libro: L’uomo di vetro, afferma che “la fragilità non è un
difetto, un handicap, ma la espressione della condizione umana…..E’ semplicemente una
visione del mondo che si lega all’esistenza…..E’ la visione del proprio essere nel mondo, è la
percezione che deriva dal dolore, dal senso del limite…..Insomma, la debolezza è una risorsa,
una strategia di vita che fa apparire il potere e la ricerca del potere come una anomalia, un
incomprensibile errore di prospettiva umana, capace di generare odio e inimicizia tra gli uomini
e tra le nazioni entro cui gli uomini si riconoscono e si identificano. Ecco la forza della fragilità
che tuttavia non può ingenuamente considerare la paura e il dolore come elementi positivi: sono
esperienze terribili, ma misteriosamente presenti e non eludibili……”
Anche il rapporto fra lo psichiatra ed il paziente non può prescindere dalla coscienza della
propria ed altrui fragilità, altrimenti continua Andreoli : “chi considera la malattia di mente un
buco nel cervello e pensa di non averlo, riduce il proprio paziente a un imperfetto di fronte a un
perfetto…..
Del resto chi ha la sensazione della propria fragilità come potrebbe considerarsi grande, vedersi,
anche solo una volta, in maniera sublime?
Ecco ancora la fragilità che aiuta e cura l’altrui fragilità.”
Infine Don Brunini cita nel suo lavoro3 quanto affermato da un monaco del deserto Isacco di
Ninive (secolo VII), che riassume e sintetizza il nostro discorso in una maniera stupefacente,
segno di una verità che è nell’uomo da sempre: “Beato l’uomo che conosce la propria
debolezza, poiché questa conoscenza diviene per lui fondamento, radice e principio di ogni
bontà. Quando infatti uno impara a conoscere la propria debolezza e la percepisce in verità,
Brunini M. Ospitare la vita, EDB, Bologna, 2004.
Andreoli V. L’uomo di vetro, la forza della fragilità, Rizzoli, Milano, 2008
3
vedi nota 1
1
2
allora concentra la propria anima lontano dalla vanità che oscura la conoscenza e tiene in se
stesso, come un tesoro, la vigilanza…..L’uomo che è giunto a conoscere la misura della propria
debolezza, è giunto alla perfezione dell’umiltà.”