La Rivoluzione russa

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La Rivoluzione russa
1. Situazione della Russia
Il vastissimo impero russo della prima Guerra Mondiale era solo in apparenza una grande potenza in quanto il paese era ancora
governato da un monarca assoluto (lo zar) che aveva ricevuto il potere direttamente da Dio. Nel 1905 venne istituita la DUMA (camera
dei deputati) con poteri di controllo sulla politica del governo, ma in realtà mai interpellata dall’imperatore (autocrazia).
L’attività produttiva comprendeva per l’80% il lavoro dei campi con un’agricoltura estremamente arretrata: i contadini lavoravano alle
dipendenze di aristocratici latifondisti. Le poche industrie erano concentrate in poche zone, prima fra tutte San Pietroburgo.
2. La Rivoluzione del Febbraio 1917
La guerra mise l’economia alle corde, i disertori continuavano a crescere e la Germania aveva di fatto già vinto sul fronte orientale.
Inoltre mancavano beni di prima necessità (pane, legna, carbone) e la fame e il freddo si facevano sentire.
A Pietrogrado il 23 febbraio 1917 si ebbero le prime manifestazioni di malcontento.
Ricorda che il calendario russo era sfasato di 13 giorni rispetto a quello occidentale/gregoriano, e che solo nel 1918 esso venne
adeguato a quello del resto d’Europa.
L’iniziativa della protesta partì dagli stabilimenti tessili, ma ben presto si trasformò in un gigantesco sciopero generale. Le autorità
fecero ricorso all’esercito, ma i soldati si rifiutarono di sparare sulla folla, solidarizzando con gli operai. Lo zar Nicola II che si trovava
sul fronte cercò di far arrivare sul luogo alcuni soldati, ma i ferrovieri si rifiutarono di collaborare, e il 1 marzo (che corrisponde al 14
marzo nel calendario gregoriano) nacque a Pietrogrado un governo provvisorio che ottenne l’abdicazione dello zar (2 marzo/15 marzo).
Il governo provvisorio era espressione della DUMA (il cui gruppo politico prevalente era quello dei liberali moderati, chiamati
CADETTI). Fuori dalla DUMA tuttavia, fra operai e soldati erano sorti degli organi di autogoverno non ufficiali, detti SOVIET
(consigli). Ogni fabbrica aveva un certo numero di delegati che concorrevano a formare il soviet cittadino, cioè un consiglio che
rappresentava il popolo ed aveva poteri decisionali.
Il problema, ora, era quello di decidere se concludere oppure portare avanti il processo rivoluzionario, la cui sorte sarebbe stata decisa
dal prevalere di uno dei due poteri sull’altro (quello ufficiale del governo provvisorio o quello dei soviet).
3. Le forze politiche
Il partito Social-democratico russo di ispirazione marxista era diviso dal 1903 in due correnti: quella minoritaria (MENSCEVICA) e
l’agguerrita maggioranza (BOLSCEVICA):
sdf
MENSCEVICHI
- erano convinti che la costruzione di uno stato
borghese dovesse comunque precedere qualsiasi
tentativo di rivoluzione socialista
- volevano dare alla Russia un governo democratico
moderato, basato su elezioni a suffragio universale
- volevano un grande partito di massa
BOLSCEVICHI
- volevano procedere immediatamente alla seconda
fase prevista da Marx: abbattimento dello Stato
borghese e costruzione dello Stato socialista (primo
passo verso la fondazione della società comunista)
- sostenevano la necessità della rivoluzione
immediata per arrivare alla gestione diretta del potere
attraverso la “dittatura del proletariato”. Questa si
sarebbe impossessata dello Stato sino alla completa
estinzione di quest’ultimo, sostituito dal partito e dal
Comitato Centrale dei Soviet
- volevano un partito elitario, fatto da rivoluzionari di
professione
Nell’Aprile del 1917 Lenin, leader dei Bolscevichi rientra in Russia, e diffonde un documento in 10 punti (le tesi di aprile) in cui
poneva la sua attenzione sulla diretta presa del potere nell’arretrata Russia, rifiutando così il carattere “borghese” della fase
rivoluzionaria che, come sosteneva Marx, prevedeva che la rivoluzione scoppiasse prima nei paesi più sviluppati.
L’obiettivo immediato era quello di conquistare la maggioranza nei Soviet e lanciare le parole d’ordine della pace immediata, della
terra ai contadini poveri, del potere ai Soviet.
Approfondimento:
La concezione dello Stato
Fra gli scritti importanti di Lenin c’è “Stato e rivoluzione”, di ispirazione Marxista. Secondo Marx infatti, lo Stato è un sistema in cui
una classe dominante subordina quella antagonista. Il fatto stesso che esista uno Stato è il segnale della divisione in classi e della lotta
di classe.
Il proletariato, se vuole instaurare il Socialismo, deve prima di tutto conquistare lo Stato: la prima tappa della Rivoluzione è quindi
questa. Per indicare lo Stato proletario dei lavoratori divenuti classe dominante, Marx usava l’espressione DITTATURA DEL
PROLETARIATO.
Lo Stato proletario dovrà fare uso della violenza, perché è un’entità che agisce per la tutela dei lavoratori.
Lenin, così come Marx, sosteneva che, una volta raggiunto il Socialismo, lo Stato si sarebbe estinto e così anche le classi sociali. I
Socialisti erano convinti inoltre che con l’abolizione della proprietà privata e dei mezzi di produzione lo Stato proletario avrebbe finito
il suo compito repressivo; le masse stesse si sarebbero autogovernate secondo i principi di democrazia diretta dei soviet.
Lenin diceva che il Socialismo avrebbe portato libertà e giustizia ed armonia nella natura umana.
Si parla di UTOPIA, che comunque ha affascinato milioni di persone, perché non si limitava a promesse per il futuro, ma agiva
nell’immediato.
(vedi schema pag.112)
4. La Rivoluzione d’Ottobre
Lenin conquistò la maggioranza all’interno dei Soviet e decise di agire a Pietrogrado. Il 25 ottobre 1917 gruppi armati bolscevichi
assaltarono la sede del governo e arrestarono i Ministri. Fu creato un Consiglio guidato da Lenin con funzioni di governo, in attesa di
un’assemblea costituente. Fu lanciato un appello ai popoli per una pace giusta e democratica per le Nazioni belligeranti.
Lenin, per avere l’appoggio dei contadini (la maggioranza della popolazione) sottopose ai Soviet il decreto sulla terra: ogni proprietà
privata è abolita, tutti i terreni sono di proprietà nazionale e messi a disposizione di chi desidera coltivarli.
Venne istituita la parità tra uomo e donna, con il diritto di voto, diritto al divorzio, all’aborto.
Venne decretata la giornata lavorativa di otto ore, la separazione Stato-Chiesa, il diritto alle nazionalità non russe di chiedere
l’indipendenza (avvenuto per la Finlandia nel 1918).
Le banche vennero nazionalizzate e fu decretato il controllo operaio su tutte le imprese commerciali e industriali.
Venivano insomma gettate le basi per la costruzione del SOCIALISMO, un sistema di vita armonico e privo di ingiustizie.
5. Dittatura e Terrore rosso
Il compito di gestire il nuovo potere si dimostrò molto difficile anche perché nessuno, fra le altre forze politiche o fra gli
stati sociali più elevati, volle sostenere i bolscevichi.
In Stato e Rivoluzione Lenin disse: “nel periodo della transizione, in un’epoca di dure lotte, priveremo dei loro diritti quei
cittadini che ostacolano la rivoluzione socialista”. Questa concezione di gestione del potere fece nascere i primi campi di
concentramento e, nel 1917, istituì la CEKA (Commissione straordinaria per la lotta contro la controrivoluzione e il
sabotaggio) incaricata di eliminare i nemici del proletariato e del socialismo.
Nel 1918 si parla di clima del TERRORE ROSSO in cui vennero uccisi non solo esponenti del vecchio regime politico e i
capitalisti ma anche tutti quei proletari o organizzazioni di lavoratori (partiti socialisti, menscevichi, anarchici) considerati
come elementi controrivoluzionari.
6. Scioglimento della Costituente e guerra civile
Nel 1918 si votò per l’Assemblea Costituente (che doveva scrivere la Costituzione).
Le elezioni furono le prime a suffragio universale e, essendo gran parte della popolazione formata da contadini, la
maggioranza non andò ai bolscevichi:
- 58% ai socialisti rivoluzionari (nonostante il nome, erano moderati, difendevano la piccola proprietà, condannavano la
Rivoluz. D’Ottobre)
- 13% ai Cadetti (vedi sopra)
- 25% ai Bolscevichi
- 4% ai Menscevichi (vedi sopra)
Lenin decise quindi di far disperdere l’assemblea e ogni dissenso dalla sua linea sarebbe stato considerato un gesto
controrivoluzionario.
L’obiettivo su cui si concentrava ora era giungere il più presto possibile e a qualunque costo alla pace con la Germania. Il
trattato di Brest-Litovsk venne firmato nel 3 Marzo 1918; Lenin accettò di firmarlo per godere di una condizione
favorevole al suo progetto, ma ciò comportò gravissime amputazioni: gli Stati baltici, la Polonia, alcuni bacini petroliferi,
l’intera Ucraina.
Lenin organizzò un esercito comunista, l’ARMATA ROSSA, comandata da Lev Trockij, atta a sconfiggere gli eserciti
controrivoluzionari.
Il tratto più singolare che caratterizzò i nemici dei Comunisti (chiamati BIANCHI, in opposizione ai ROSSI Bolscevichi)
fu l’adozione di un feroce antisemitismo.
Nell’800 l’Impero russo ospitava la più grande colonia ebraica del mondo, che ingiustamente e falsamente era stata
considerata la responsabile delle correnti di opposizione allo zarismo.
Durante la guerra civile le truppe bianche compirono numerosi pogrom (massacri) di ebrei.
7. Il comunismo di guerra
Il governo per far fronte alle carestie del periodo della guerra civile (1917-1923) attuò il comunismo di guerra, cioè
organizzò su vasta scala la requisizione dei raccolti che causò rivolte contadine. Per riportare l’ordine, il regime mise in
atto una spietata politica di repressione con l’uso di campi di concentramento.
Nel 1920, pensando di approfittare della debolezza russa, la Polonia ne invase la parte occidentale. L’Armata rossa entrò
fino alle porte di Varsavia: Lenin sperava che i lavoratori polacchi considerassero l’esercito una sorta di liberatore contro i
capitalisti. In realtà gli operai polacchi non solidarizzarono con i “compagni” rossi e quindi i sovietici furono costretti a una
ritirata veloce. Lenin venne sconfitto.
8. NEP
Economicamente Lenin lancia, nel 1921, la Nuova Politica Economica (NEP). La scelta fu obbligata: la comunistizzazione
integrale dell’economia aveva, infatti, portato a condizioni di vita disastrose e i contadini, in particolare, avevano dato
sfogo a pesanti rivolte. Occorreva risolvere le pesanti questioni sociali: la guerra civile aveva ulteriormente aggravato le
condizioni di vita degli abitanti; le requisizioni delle eccedenze agricole avevano ampliato ancor più il divario tra città e
campagna. Inoltre non era scattata, come sperato, la rivoluzione in tutti i paesi industrializzati e la produzione e la
distribuzione dei prodotti non si erano organizzate a pieno su base comunista. Lenin passò quindi al comunismo
gradualistico (dopo la prima fase, quella del «comunismo di guerra»): venne rilanciata l’iniziativa privata instaurando
l’imposta sui prodotti agricoli e ristabilendo meccanismi di differenziazione sociale. Lenin stesso definì la NEP una
«ritirata» transitoria «in vista di un ulteriore attacco».
9. Lo stalinismo
Dal 1922 Lenin inizia a soffrire di emorragie cerebrali e a uscire dal palcoscenico nazionale. Nella postilla al suo
testamento politico, il leader si preoccupa della sua successione e avverte il partito di quanto Stalin, con la sua rozzezza e le
sue tendenze dittatoriali, possa essere pericoloso per il futuro della Russia. Lenin invita esplicitamente a non fidarsi di
Stalin. Quest’ultimo, nel frattempo, ha, però, invertito le posizioni rispetto a Trockij: Stalin è, infatti, diventato fortissimo,
all’interno del partito, e ha dalla sua parte proprio quei nuovi burocrati che Lenin intendeva combattere: tra questi,
Cherminskij, il capo della CECA (la polizia politica), una sorta di “monaco del terrore” capace di vivere nel palazzo della
CECA al freddo, coperto solo da un pastrano, mangiando pane e bevendo the verde.
Le posizioni tra i due aspiranti alla successione si sono, si diceva, invertite.
Lenin muore nel 1924. Sono emersi, nel frattempo, i forti limiti della NEP; in particolare, appare chiaro come vi sia un
netto primato della politica (il PCUS, il Partito Comunista dell’Unione Sovietica) sulla società e sull’utopia rivoluzionaria
delle origini.
Grande importanza aveva preso l’ateismo scientifico, la volontà, cioè, di camminare senza Dio.
Il successore designato di Lenin, lo abbiamo già detto, è Trockij, convinto assertore del principio di “socialismo fuori dai
confini”. Ma Stalin, capo della segreteria del Partito, è molto forte.
Ma chi erano i due uomini in corsa per la successione al ruolo di leader? Trockij fu uomo colto, grande oratore, capace di
costruire la sua forza sulle capacità retoriche. Negli anni della rivoluzione egli attraverserà l’immenso territorio russo con il
suo treno blindato, dipinto dai futuristi e, quindi, simbolo viaggiante dello sposalizio tra intellettuali socialisti e
combattenti, tra arte nuova e progresso tecnologico. Egli sarà in prima linea a combattere e a spronare le truppe. D’altro
lato, Stalin, rozzo, volgare, meno preparato e incapace di reggere il confronto sulla scena pubblica, saprà muoversi tra le
seconde linee del partito e far suo l’appoggio dei burocrati. Dal 1922 egli assumerà l’incarico di Segretario del partito
comunista; il ruolo, sino ad allora del tutto secondario, si trasformerà nel trampolino di lancio da cui Stalin spiccherà il
volo verso quella “dittatura del capo” che Lenin aveva paventato.
I due uomini avevano una visione diametralmente opposta di ciò che il comunismo avrebbe dovuto rappresentare per
l’Europa. Trockij era convinto che l’organizzazione a socialismo reale avrebbe dovuto attecchire nei paesi occidentali più
sviluppati; solo così avrebbe evitato di trasformare la Russia in una sorta di dittatura burocratica. Stalin, invece, sosteneva
che occorresse rafforzare la rivoluzione nel solo paese sovietico (il “comunismo di un solo paese”, appunto, recitava una
sua formula propagandistica) e continuare con la tradizione autocratica, auto-isolazionista, a sé stessa bastante, che aveva
caratterizzato il dominio che era stato degli zar. Lo scopo reale era quello di trasformare la Russia in una dittatura
personale basata su terrore e burocrazia. Già nel 1925 egli elimina, nel corso del congresso del PCUS, due avversari
interni, Kamenev e Zinov’ev, che tanto avevano contribuito alla sua ascesa.
Nel 1927 la lotta tra i due uomini raggiunse il suo apice. Non va dimenticato che Trockij era un uomo malato, affetto
com’era da coliche e febbre. Stalin, forte dell’appoggio dei burocrati del partito, si farà forte di questa posizione di
vantaggio per obbligare l’avversario a prolungati e ripetuti riposi forzati in sanatorio. Il 14 novembre 1927, a dieci anni
dallo scoppio della rivoluzione, Trockij, uno dei suoi più significativi protagonisti, veniva espulso dal partito con l’accusa
di aver organizzato manifestazioni controrivoluzionarie. L’anno successivo sarà la volta del soggiorno obbligato in
Kazakistan. Dal 1929 inizieranno le peregrinazioni tipiche dell’uomo condannato all’esilio. In Mexico, verrà ucciso da un
fanatico staliniano. Trockij rappresenterà, per tutti gli anni Trenta, il simbolo vivente dell’opposizione comunista al
dittatore georgiano.
La presa del potere da parte dei comunisti può essere divisa in tre fasi successive: si passa dalla dittatura del proletariato
(1917) alla dittatura del partito comunista (1918 – 1927), per terminare, infine, con la dittatura di Stalin (1927 – 1953). La
fase che seguirà prenderà il nome di destalinizzazione.
Le dichiarazioni del nuovo leader diventano via via più perentorie: i nemici sono il capitalismo, la borghesia ed i
socialdemocratici (vengono messi sullo stesso piano dei fascisti). Sede ideale per queste prese di posizione diviene il
Comintern (Terza Associazione Internazionale dei Lavoratori o Internazionale Comunista; sorta, su iniziativa di Lenin,
dalla trasformazione della corrente bolscevica della Seconda Internazionale, nel 1919, raccolse sotto diretto controllo del
Partito Comunista dell’Unione Sovietica, i partiti comunisti sorti, tra gli anni Venti e Trenta, in Europa e nel Terzo Mondo.
Fu sciolta nel 1943 e sostituita da un semplice ufficio di collegamento, il Cominform, che doveva curare i rapporti tra
URSS ed alleati occidentali).
Dal 1928 inizia il regime staliniano. Queste alcune delle caratteristiche di tale regime:
• eliminazione dei kulaki (i contadini che si erano arrichhiti grazie alla NEP e si rifiutavano di consegnare il grano allo
Stato): Stalin e Molotov, ministro degli esteri, stringeranno un patto di alleanza incernierato attorno al concetto di
meccanicizzazione della Russia come sola strada verso il futuro. Ciò varrà per la produzione industriale e, data la
vocazione agricola del paese, anche e soprattutto per l’attività contadina. Occorre, quindi, forzare la produzione agricola.
Nascono, così, i kolkoz, grandi unità produttive contadine che consentono allo Stato di controllare i ritmi di semina e
raccolto e definiscono l’ufficiale collettivizzazione delle terre. Nel 1929 Stalin stesso pubblica un articolo in cui definisce i
kulaki, i piccoli proprietari terrieri, come peggiori nemici del popolo. Inizia così lo sterminio dei kulaki. Il popolo, dice
Stalin, prospererà. Ad essere traditi saranno, proprio, i contadini. Raddoppieranno le confische e le deportazioni di masse
di popolazione verso diversi luoghi di produzione. Saranno circa dieci milioni i contadini che moriranno.
• raddoppio della produzione industriale pesante (e la Russia diviene, così, un paese industrializzato in cui, però, non
crescono i consumi; esempio di industrializzazione non dovuta al capitalismo)
• dittatura feroce: deportazioni (in qualche caso di intere popolazioni; circa 10 milioni di contadini furono oggetto di
repressione tra il 1929 ed il 1933; un terzo venne eliminato), eliminazione degli oppositori politici, antisemitismo,
eliminazione di collaboratori (1935 – 1939: le “purghe”, uccisione di molti dei protagonisti della rivoluzione d’ottobre del
1917), eliminazione di ogni forma di religione (deportazione ed uccisione di religiosi, abbattimento di strutture religiose,
chiese, monasteri). Il totale delle vittime delle repressioni supera i 20 milioni.
• culto della personalità di Stalin: ad essere eliminati non furono solo gli oppositori della dittatura del proletariato, ma
anche coloro che, via via, andarono criticando i provvedimenti di Stalin. In URSS l’amore per Stalin divenne obbligo di
Stato.
Perché la Rivoluzione non scoppiò in tutta Europa? Ecco alcuni motivi individuati dagli storici:
- le condizioni di vita dei contadini, in Europa, non erano così disastrose come di fatto era in Russia
- in Russia erano estremamente deboli i ceti medi mentre, nel resto d’Europa, quest’ultimi seppero gestire le rivolte di
piazza (scioperi) – in Italia pensiamo alle reazioni di Pelloux e, soprattutto, di Giolitti
- In Russia non vi era una radicata tradizione di partiti socialdemocratici (in parte identificabili con quella aristocrazia
operaia che tanto preoccupava Lenin e che fu massacrata da Stalin).
Approfondimento:
I termini repressione, conformismo, burocrazia permettono di capire i caratteri delle dittature totalitarie del XX sec.
La repressione si indirizzava verso colore che non tenevano un comportamento conforme a quello indicato dal partito; non
esisteva la libertà di opinione: tutti devono pensare allo stesso modo, impegnarsi per stessi obiettivi.
Nello stesso tempo, per far funzionare l’immenso meccanismo statale, si rese necessario l’esistenza di un grande numero di
funzionari fedeli al partito, che nell’insieme si chiamano burocrazia. Nessuno di questi poteva prendere iniziative ma
dovevano essere meri esecutori del volere proveniente dall’alto.
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