Anno Accademico 2005-2006 Facoltà di Medicina e Chirurgia CORSO DI LAUREA IN ODONTOIATRIA E PROTESI DENTARIA CORSO INTEGRATO DI DIAGNOSTICA DI LABORATORIO Biochimica Clinica e Biologia Molecolare DISTURBI DEL METABOLISMO OSTEO-CALCICO E MALATTIA CELIACA Prof. Gianpiero Pescarmona Cimma Alessandra Lorenzatti Maria Paula Tordella Massimiliano LA CELIACHIA (ENTEROPATIA GLUTINE-SENSIBILE) La celiachia è una condizione digestiva attivata dall’ingestione della proteina glutine, la quale si può trovare in alimenti quali il pane, la pasta, i biscotti, la pizza e ogni altra pietanza contenente frumento, orzo o segale. Quando una persona affetta da celiachia ingerisce alimenti contenenti glutine, si provoca una reazione immunitaria nell’intestino tenue risultante in un suo danneggiamento e la conseguente inabilità ad assorbire certi nutrienti dal cibo. L’intestino tenue è la sede principale dell’assorbimento delle sostanze nutritive nel circolo sanguigno. La parete dell’intestino tenue è ricoperta da minuscole sporgenze digitiformi, chiamate villi. Villi intestinali La funzione dei villi è quella di assorbire vitamine, minerali e altri nutrimenti dal cibo che viene ingerito. Un inefficace assorbimento di nutrimenti può privare cervello, sistema nervoso, ossa, fegato e altri organi di nutrimenti e causare deficienze vitaminiche che possono portare ad altre malattie. Questo può essere grave specialmente nei bambini, i quali hanno bisogno di una nutrizione appropriata per svilupparsi e crescere. Alcune teorie suggeriscono che la celiachia si sia manifestata nell’uomo quando esso passò da una dieta a base di carne e frutta secca ad una a base di grassi ad alto contenuto proteico come il grano. Comunque è solo negli ultimi 50 anni che i ricercatori hanno ottenuto una migliore conoscenza delle sue cause e di come trattarla.Ancora oggi però le cause esatte della celiachia sono sconosciute. Quello che si sa per certo è che si tratta di un difetto ereditario legata al complesso maggiore di istocompatibilità o HLA,in particolare alla combinazione allelica HLA-DQ2(essendo però presente anche nel 25%degli individui sani,questa combinazione è sicuramente accompagnata anche da altre caratteristiche genetiche). Se un individuo ce l’ha, normalmente si manifesta anche nel 10 % dei parenti prossimi. Può verificarsi a qualsiasi età, anche se solitamente i sintomi non appaiono finché il glutine è introdotto nella dieta.Spesso, per motivi non molto chiari, questa malattia si manifesta dopo alcune forme di trauma: ad esempio infezioni, maternità, forte 1 stress, danni fisici o operazioni chirurgiche.Inoltre si manifesta soprattutto in individui che hanno già altri disturbi immunitari(per esempio l’alopecia). In Europa si calcola che il rapporto per i casi conclamati di malattia sia di 1:1000 nati vivi, ma se si considerano anche i casi latenti e asintomatici, la frequenza diventa in realtà più elevata, raggiungendo un rapporto di 1:300.In Italia sono più di 60 mila. IL GLUTINE Il glutine è la proteina di riserva delle cariossidi di cereali, ricca in prolina ed in glutammina. Il glutine e la sua componente solubile in alcool, chiamata gliadina, contengono la ripetizione di alcuni peptidi riconosciuti come causa dell’intolleranza alimentare al glutine, in quanto tali sequenze provocano l’infiammazione autoimmune del piccolo intestino cui consegue malassorbimento. Il glutine, o meglio le prolammine dannose, sono contenute in diversi cereali,soprattutto della specie Triticum in quantità differente: SPECIE TRITICUM GLIADINA (g/100g) Frumento invernale 4,92 Frumento esti vo 7,38 Triticale 4,72 Spelta 6,15 Grano duro 6,43 Farro 5,69 Grano monococco 6,47 Trattamenti di denaturazione termica per cottura non distruggono la capacità all’alimento contenente glutine di indurre Celiachia nel soggetto geneticamente predisposto. 2 Struttura chimica Da diversi recenti studi, risulta che la sequenza aminoacidica tossica è risultata la seguente QQPFP (GlnGlnProPhePro, ovvero Glutammina, Glutammina, Prolina, Fenilalanina, Prolina). 3 Variabilità Il diverso grado di tossicità delle prolammine di cereali diversi può collegarsi alle relazioni filogenetiche fra le specie. Le prolammine di frumento, orzo e segale hanno determinanti antigenici simili ed infatti fanno parte della stesa sottofamiglia (Pooideae). L’avena appartiene alla stessa sottofamiglia del frumento, dell’orzo e della segale, ma ad una tribù differente (Avenae). Riso e mais, per antonomasia cereali naturalmente privi di glutine, appartengono ad altre sottofamiglie. Tutti i cereali che appartengono alla tribù dei Triticum contengono glutine, in quantità differenti, ma egualmente tossici per celiaci. 4 Concentrazioni e dosi Il normale introito medio di glutine nella dieta di una europeo adulto è pari a 15/20 g/die.Alcuni studi hanno dimostrato che un apporto quotidiano di 100 mg di gliadina/die sono sufficienti a dare patologia celiaca nel soggetto predisposto; mentre altri studi dimostrano che un apporto giornaliero di 4-14 mg di gliadina non causano danno alla mucosa intestinale. MECCANISMO PATOGENETICO DELL’INTOLLERANZA AL GLUTINE La celiachia si sviluppa in soggetti geneticamente predisposti. La maggiore associazione nota attualmente è con un gene del complesso maggiore di istocompatibilità codificante per la molecola DQ2, (il 90% dei soggetti celiaci esprime tale molecola). Come tutte le molecole MHC, la proteina DQ2 presenta ai linfociti solo particolari porzioni dell’antigene e non altre.Numerose evidenze sperimentali indicano che la lesione mucosale è prodotta da un’alterata risposta immunitaria nei confronti della gliadina .L’analisi di biopsie digiunali prelevate da pazienti celiaci ha messo in evidenza che in queste mucose sussiste una massiva infiltrazione linfocitaria sia nella lamina propria, con prevalenza di cellule T CD4+ helper, sia nell’epitelio soprastante, in larga parte CD8+ “citotossiche”. Un altro importante segno di attivazione immunitaria osservato è l’aumento di cellule esprimenti il recettore per l’interleuchina-2, necessario per il processo di proliferazione linfocitaria. La completa normalizzazione sia del quadro clinico sia istologico che si raggiunge dopo l’eliminazione del glutine dalla dieta, gliadina,quindi, agisce attivando in maniera reversibile i linfociti T infiltranti la mucosa.L’ipotesi è quindi quella di un meccanismo immunologico cellulo-mediato gliadinadipendente. 5 Fig. Nel soggetto che si nutre di glutine Fig. La mucosa intestinale di un la mucosa si presenta atrofica (scomparsa individuo normale e di un celiaco a dieta dei villi) con cripte ipertrofiche senza glutine (in remissione) è caratterizzata da villi intestinali ben sviluppati e da cripte piccole Dal punto di vista istologico la malattia si presenta come una profonda modificazione della mucosa dell’intestino tenue,come si puo osservare in foto. Sintomi Non esistono sintomi tipici della celiachia. La maggior parte delle persone affette hanno problemi generici come una diarrea intermittente, dolori addominali o magari possono anche non manifestare alcun problema gastrointestinale. I sintomi della celiachia possono simulare quelli di altre malattie come colon irritabile, ulcere gastriche, morbo di Crohn, infezioni parassitarie, anemia, disordini della pelle o disturbi nervosi. La celiachia si può manifestare anche in modi meno ovvi, includendo cambiamenti del comportamento come irritabilità o depressione, disturbi allo stomaco, dolori alle giunture, crampi muscolari, eczemi cutanei, ferite alla bocca, disordini ai denti o alle ossa e movimenti delle gambe e dei piedi (neuropatia). Alcuni indizi di malassorbimento che possono derivare dalla celiachia possono essere: Perdita di peso Diarrea Crampi addominali, flatulenza Debolezza generale Feci maleodoranti o grigiastre che sembrano grasse o oleose. Difficoltà di crescita (nei bambini) Anemia 6 A lungo andare il malassorbimento puo prtare anche allo sviluppo di un tumore all’intestino o all’esofago. Nella varietà infantile, la malattia celiaca si manifesta molto spesso tra i 6 e i 12 mesi di età, cioè quando il bambino passa da un’alimentazione esclusivamente lattea ad una dieta con cibi contenenti glutine. Questa forma ha la caratteristica di attenuarsi nel corso degli anni per scomparire del tutto nel secondo decennio di vita (dai 10 ai 20 anni) e poi riprendere nel terzo decennio. Nella forma dell’adulto la malattia può insorgere anche più tardi e manifestarsi senza alcun precedente anamnestico tra il terzo ed il sesto decennio di vita, con massima incidenza nel quarto (età media della diagnosi 36 anni). Si possono così distinguere due varietà della malattia celiaca, una infantile e una dell’adulto. L’esordio della malattia è più grave ed improvviso quando si verifica nell’infanzia: diarrea in genere importante ed accompagnata da vomito, spesso abbondante e incoercibile, con precoce insorgenza di grave disidratazione e acidosi, e progressiva, ma rapida, perdita di peso corporeo, fino a una vera e propria cachessia. Quasi costanti l’arresto dell’accrescimento, lo sviluppo di rachitismo (talora con alterazioni ossee permanenti) e ritardo di comparsa dei caratteri sessuali secondari. Sono descritte anche forme minori monosintomatiche: anoressia ribelle, disidratazione ingravescente, anemia ipocromica, ipoprotidemia inspiegabile, stomatite aftosa; talvolta ansia, depressione, problemi attentivi e di socializzazione con tendenza all’isolamento. Quando un bambino mostra arresto dell’accrescimento non spiegabile, il medico dovrebbe sempre pensare alla malattia celiaca. Nell’adulto la sintomatologia delle forme “classiche” o “tipiche” è simile ma meno grave, con esordio più graduale ed insidioso; la malattia può essere asintomatica anche per lunghissimi periodi. La maggior parte dei casi dell’adulto si esprime in forma paucisintomatica dal punto di vista gastroenterologico (celiachia silente) o con sintomatologia unicamente o prevalentemente extraintestinale (celiachia atipica). Negli anni passati, il 90% dei pazienti veniva diagnosticato in base alla presenza di diarrea e calo ponderale (oggi poco più della metà dei pazienti diagnosticati si presenta con questi sintomi); frequenti il meteorismo e i dolori addominali spesso transitori e periodici attribuiti genericamente a colon irritabile. Anche edemi, crampi muscolari, deficit idroelettrolitici e vitaminici si riscontrano oggi sempre più raramente; maggiore attenzione dovrebbe essere posta invece ad anemia e osteoporosi (dovuta al malassorbimento del calcio): entrambe possono essere l’unica espressione clinica della sottostante enteropatia pur in presenza di un alvo regolare e di stato nutrizionale normale. Oggi il 5% delle anemie croniche ferro-carenziali nasconde una malattia celiaca che va quindi sospettata in assenza di polimenorrea o emorragia cronica digestiva. Altre possibili spie di malattia possono essere la menopausa precoce e la poliabortività (per malassorbimento di nutrienti come l’acido folico). Ulteriori segnali da non sottovalutare: alterazioni criptogenetiche delle transaminasi (il 10% è dovuto a celiachia); atassia idiopatica, neuropatia periferica, leucoencefalopatia necrotizzante e soprattutto una forma di epilessia con calcificazioni occipitali; stomatite aftosa ricorrente; varie alterazioni dermatologiche quali fragilità degli annessi, alopecia, iperpigmentazione e dermatite erpetiforme, una dermopatia bollosa legata alla deposizione di immunocomplessi che risponde alla dieta priva di glutine. 7 Patologie associate: la celiachia predispone ad altre malattie immunologiche: patologie tiroidee autoimmuni, diabete mellito di tipo 1, cirrosi biliare primitiva, dermatite erpetiforme; forme di reumatismo immunologico, alopecia, vitiligine, nefropatia con IgA, colangite sclerosante, sindrome di Sjogren. Complicazioni Una diagnosi tardi va o un trattamento non opportuno della malattia può portare a malnutrizione. Dato che nutrimenti vitali sono persi attraverso le feci piuttosto che assorbiti nel flusso sanguigno, da questa difficoltà di assorbimento può derivare una deficienza di vitamine A, B12, D, E, K e acido folico. Con una perdita continua di grassi nelle feci, anche il calcio può essere perso in quantità eccessive, risultando in altre due complicazioni: un certo tipo di calcoli renali (calcoli di ossalato di calcio) e una malattia delle ossa chiamata osteomalacia, malattia nella quale le ossa diventano molli. La malnutrizione può causare problemi di crescita nei bambini e ritardare il loro sviluppo. Persone che hanno la celiachia e non mantengono una dieta libera dal glutine hanno più alte probabilità di sviluppare una delle tante forme di cancro, specialmente il linfoma intestinale. Altre complicazioni a lungo termine includono anemia, osteoporosi e neuropatie periferiche. Frequenti la sprue collagenosica e la digiuno-ileite ulcerativa caratterizzata dalla presenza di multiple ulcerazioni dell’intestino tenue con retrazioni cicatriziali e stenosi. Il volvolo del sigma potrebbe essere favorito dalla riduzione della motilità intestinale presente nella celiachia. Nei pazienti celiaci è stata osservata un’aumentata predisposizione allo sviluppo di neoplasie, in particolare di linfoma intestinale a cellule T; nei pazienti non trattati si verifica un aumento di incidenza di neoplasie del cavo orale, del faringe e dell’esofago. Terapia Consumare alimenti senza glutine. A questo proposito, gli alimenti senza glutine sono quelli (“gluten free by nature”) che rispondono a queste caratteristiche quantitative: 20 ppm = 20 mg/Kg = 0,002% di glutine 2 mg di glutine i n 100 g 1 mg di Gliadina in 100g 8 Diagnosi Quando i sintomi fanno presupporre di essere in presenza di un caso di celiachia, si devono praticare degli esami specifici che comprendono analisi del sangue e successivamente l’analisi del tessuto intestinale. Le analisi del sangue permettono di individuare se vi sono gli anticorpi antigliadina (AGA):segno che l’individuo ha un sistema immunitario programmato per attaccare il glutine, antiendomisio (EMA):indice che il sist.immunitario è già attivato per danneggiare la stessa mucosa intestinale(in quanto l’endomisio è un costituente dei tessuti), e gli Anticorpi AntiTransglutaminasi, caratteristici della celiachia.Nella fase florida della malattia, questi anticorpi sono presenti nell’organismo in grandi quantità, mentre dopo l’avvio della dieta senza glutine tendono a normalizzarsi nell’arco di alcuni mesi. La positività di questi test rende molto probabile la presenza di Celiachia. Anche la rilevazione nell’organismo del genotipo HLA e DQ2, possibile attraverso degli esami del sangue, testimonia una possibile presenza della malattia. Tuttavia, una diagnosi definitiva è possibile solo effettuando una biopsia intestinale, che permette di rilevare lo stato di atrofia dei villi intestinali. Questa consiste nel prelievo di una piccola parte del tessuto intestinale tramite una sonda introdotta per via orale, da fare però dopo un periodo di dieta priva di glutine. CORRELAZIONE FERRO E MALATTIA CELIACA La deficienza di ferro in presenza di una corretta alimentazione è generalmente causata da emorragia o da malassorbimento intestinale. La malattia celiaca rappresenta una delle più comuni cause di malassorbimento intestinale durante l’infanzia. Come esempio riportiamo lo studio effettuato dai Medici della Univesity of Michigan Medical Center ad Ann Arbor ( Usa ), che hanno descritto il caso di un adolescente diabetico asintomatico con anemia da deficienza di ferro che non rispondeva al trattamento con ferro. La diagnosi di celiachia è stata fatta in base al titolo degli anticorpi anti-endomisiali ed attraverso la biopsia dell’intestino tenue. La dieta priva di glutine ha portato a correggere l’anemia. Gli Autori raccomandano di prendere in considerazione la diagnosi di celiachia nei pazienti che non rispondono al trattamento dell’anemia da carenza di ferro, particolarmente nei soggetti con diabete insulino-dipendente. 9 Assorbimento del ferro Il mantenimento dell'equilibrio corporeo del ferro dipende dalla capacità di fornire il ferro necessario per la crescita e per rimpiazzare quello eliminato con le perdite fisiologiche, quelle mestruali ed in corso di gravidanza. Poiché non esiste, nell'uomo, un sistema efficiente di eliminazione del ferro, né tantomeno la possibilità di esercitare un controllo su di esso, il mantenimento dell'equilibrio dipende strettamente dalla regolazione dell'assorbimento del ferro alimentare a livello intestinale. Esso diminuirà nel caso che il contenuto di ferro nell'organismo aumenti, e viceversa aumenterà nel caso opposto. L'assorbimento del ferro avviene in gran parte nel primo tratto del tubo digerente (duodeno e digiuno) e dipende da diversi fattori. Il ruolo della dieta I due aspetti fondamentali sono il contenuto di ferro nella dieta e la sua assorbibilità. Il ferro è contenuto negli alimenti in una quota strettamente correlata con l'apporto calorico: circa 6-7 mg di ferro per 1000 Kcalorie, con piccole variazioni individuali. Solo una piccola porzione del ferro viene assorbita e questa quantità varia in modo significativo in funzione della composizione della dieta. Sebbene l'argomento sia piuttosto complesso e ben lungi dall'essere chiarito completamente, possiamo distinguere due forme principali di ferro negli alimenti: il ferro cosiddetto eme e quello non-eme. Il ferro eme (l'eme è un componente dell'emoglobina e di altre proteine, che contiene il ferro in una forma particolare) costituisce circa il 40% del ferro contenuto nei cibi carnei. Esso è altamente assorbibile (la quota assorbita varia dal 20 al 40%, nei soggetti normali) e non è influenzato dalla composizione generale della dieta. Tuttavia, il ferro eme costituisce, in genere, una piccola porzione del ferro alimentare, in particolare nelle popolazioni economicamente più povere. La maggior parte del ferro alimentare, infatti, è costituito dal ferro non-eme. Esso costituice il 60% circa del ferro contenuto nella carne ed il 100% del ferro contenuto nei cibi di origine vegetale, nel latte e nei suoi derivati. Il ferro sotto questa forma è poco assorbibile ed è influenzato dalla presenza, negli alimenti, di fattori favorenti o inibenti l'assorbimento. In modo più specifico, l'assorbimento del ferro contenuto nei cereali e nelle verdure è inferiore al 5%, ma può aumentare fino al 10-20% in presenza di cibi carnei o di acidi organici (per es. l'acido citrico contenuto nel limone, l'acido lattico nei crauti e l'acido ascorbico, o vitamina C, contenuto in diversi frutti). Dall'altra parte diverse sostanze contenute normalmente nei cibi non carnei possono inibire ulteriormente l'assorbimento del ferro non-eme (per es. i polifenoli e i tannini, contenuti in proporzioni variabili nelle verdure). La proporzione del ferro assorbito può ridursi fino del 30% con l'aumentare del contenuto di tali fattori inibenti negli alimenti. 10 Il ruolo dell'intestino L'acidità del succo gastrico è importante, anche se non essenziale per un buon assorbimento del ferro. Fondamentale è altresì l'integrità della mucosa del primo tratto dell'intestino. Infatti in tutte le condizioni in cui vi sia una sofferenza della mucosa intestinale, quale per esempio la malattia celiaca (intolleranza al glutine) si sviluppa una carenza di ferro, spesso come prima manifestazione della malattia. Il ferro che arriva con gli alimenti viene captato, con meccanismi vari e in parte ignoti, dal lume intestinale e trasferito all'interno della cellula della mucosa intestinale. Il ferro eme viene assorbito come tale, vale a dire che è l'intera molecola dell'eme a passare dal lume intestinale alla cellula intestinale. Il ferro non-eme deve essere invece staccato dalla molecola originale e legato ad altre sostanze (acidi organici, zuccheri) prima di essere assorbito. L'acidità gastrica facilita proprio quest'ultimo processo. Il ruolo di altri fattori Una volta giunto all'interno della cellula della mucosa intestinale, il ferro deve essere trasferito nel sangue. Peraltro gran parte del ferro assorbito dalle cellule della mucosa non viene ceduta al sangue, ma resta temporaneamente intrappolato al loro interno probabilmente sotto forma di ferritina. La quantità di ferro che viene effettivamente ceduta al sangue è regolata da meccanismi solo in parte chiariti. Essa è proporzionale all'attività del midollo eritroide ed inversamente proporzionale al contenuto di ferro nell'organismo. In altri termini, se il midollo deve produrre più globuli rossi o se i depositi di ferro sono scarsi o assenti, la quota di ferro che entra nel sangue aumenta e viceversa. E' proprio una sregolazione di quest'ultima fase dell'assorbimento che determina lo sviluppo dell'emocromatosi ereditaria. In questa malattia infatti, una proteina, chiamata HFE (da Hemochromatosis e Ferro), che svolge normalmente il ruolo di controllore del passaggio del ferro dalla cellula della mucosa intestinale al sangue, funziona male e lascia passare più ferro del dovuto all'interno dell'organismo. Da ciò, il lento ma progressivo accumulo del ferro nei tessuti che conduce nel tempo allo sviluppo dei danni d'organo. METABOLISMO OSTEO CALCICO Definizione Con il termine di osteoporosi si intende una patologia scheletrica sistemica, caratterizzata da una riduzione della massa ossea e da un deterioramento della microarchitettura del tessuto osseo, con conseguente 11 aumentata sensibilità alle fratture. Le sedi prevalentemente colpite sono il rachide, il bacino, i polsi e le estremità delle ossa lunghe. Dal punto di vista quantitativo, la definizione corrente più accettata di osteoporosi è quella recentemente suggerita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), ovvero quella che si basa sulla valutazione della densità minerale ossea (Bone Mineral Density = BMD). Epidemiologia Numerosi studi dimostrano che l’osteopenia è una condizione di frequente riscontro nei soggetti con Malattia Celiaca all’esordio; tale quadro, in genere, migliora dopo l’avvio della dieta priva di glutine, fino a normalizzarsi completamente in alcuni casi. L’entità del coinvolgimento osseo al momento della diagnosi e la risposta metabolica al trattamento dietetico di esclusione sono assai variabili da individuo ad individuo. Tale fenomeno dipende soprattutto dalle condizioni clinico-metaboliche del soggetto all’esordio, dall’età del paziente, dal periodo di dieta aglutinata seguito e dalla compliance al trattamento stesso, oltre che da fattori genetici ed ambientali (ad es., il sesso, la razza, l’intake giornaliero di calcio, il livello di attività fisica, eventuali terapie a base di corticosteroidi e, negli individui di sesso femminile, la carenza di estrogeni). L’“overlapping” dei fattori sopra esposti rende quanto mai difficile stabilire la reale prevalenza delle problematiche ossee nel soggetto con enteropatia da glutine. Patogenesi L’assorbimento attivo del calcio ha luogo soprattutto nel duodeno e nella parte prossimale del digiuno. È verosimile pertanto ipotizzare che le alterazioni della mucosa intestinale che si osservano nei soggetti con enteropatia da glutine (atrofia dei villi, aumento dei linfociti intraepiteliali, iperplasia della cripte), determinando una riduzione della superficie assorbitiva del piccolo intestino proprio a livello duodenodigiunale, possano interferire negativamente anche con il bilancio del calcio. L’ipocalcemia rappresenta dunque l’evento centrale, al quale poi conseguono una serie di complesse alterazioni metaboliche e, in particolare, l’aumento dei livelli sierici di paratormone (PTH). L’ipersecrezione di PTH, a sua volta, non solo accellera il riassorbimento osseo, ma è in grado anche di modificare il metabolismo della vitamina D. La riduzione della calcemia inoltre determina, direttamente o mediante la secrezione di PTH, una aumentata attività dell’enzima 1-a-idrossilasi, ovvero dell’enzima deputato alla conversione dell’1,25-diidrossicolecalciferolo (1,25-OH2-D3) a 25-idrossicolecalciferolo (25OH-D3). Questo tentativo compensatorio, tuttavia, risulta del tutto inefficace data l’incapacità dell’organo bersaglio, ovvero del piccolo intestino, a rispondere in maniera adeguata all’enzima. Tale condizione di 12 insensibilità, correlata ad un deficit di alcune proteine coinvolte nel trasporto attivo del calcio (ad es., la calbindina), determina un aumento dei livelli sierici di 1,25-OH2-D3, a cui consegue una condizione di ipocalcemia persistente che, a sua volta, mantiene il riassorbimento osseo. La documentata rapida scomparsa nel plasma dei pazienti celiaci del 25-OH-D3 potrebbe anche suggerire l’esistenza di una aumentata conversione di questo metabolita attivo a 1,25-OH2-D3, fenomeno mediato proprio dal PTH o comunque da una condizione di ipocalcemia. I meccanismi fisiopatologici che, accanto alla enteropatia, potrebbero contribuire alla realizzazione di un bilancio negativo del calcio includono anche quanto segue: a. Ridotto intake di calcio con l’alimentazione. Nei pazienti celiaci, l’assunzione di calcio con la dieta può risultare inadeguata, sia per la presenza di una certa anoressia (in particolare nelle forme ad esordio nei primi anni di vita), sia perché spesso coesiste una condizione di intolleranza al lattosio (giustificabile sulla base delle alterazioni mucosali sopra descritte). Entrambi questi fenomeni portano dunque il soggetto a ridurre o addirittura a sospendere l’assunzione di latte e derivati che, come è noto, rappresentano la principale fonte di calcio; b. Ridotto assorbimento di calcio. Tale fenomeno determina, attraverso un meccanismo di feedback a livello delle ghiandole paratiroidi, una condizione di iperparatiroidismo secondario ed una aumentata attività da parte degli osteoclasti con successivo riassorbimento del calcio dal tessuto osseo, in modo tale da mantenere la calcemia nei valori normali; c. Aumentata escrezione fecale di calcio endogeno, secondaria ad un incremento della secrezione intestinale e/o al ridotto riassorbimento ed alla precipitazione del calcio assunto nel lume intestinale sotto forma di saponi; d. Deficit di magnesio. Alcuni studi avrebbero evidenziato che la supplementazione della dieta dei pazienti celiaci con magnesio determinerebbe un aumento della BMD; e. Ridotti livelli sierici di Insulin-like Growth Factor 1 (IGF-1). L’IGF- 1 è una sostanza che media gli effetti anabolici dell’ormone della crescita, intervenendo direttamente a livello del tessuto osseo, le cui concentrazioni sono direttamente correlate allo stato di nutrizione del soggetto. Nei pazienti con MC in fase florida, sia in età adulta che pediatrica, è stata osservata una riduzione dei livelli sierici di IGF-112. Questi ultimi, secondo quanto emerso da studi condotti in bambini celiaci, presentano un aumento significativo durante il trattamento dietetico di esclusione del glutine. Il coinvolgimento del tessuto osseo, osservabile sia in età pediatrica che nei soggetti adulti, può essere non solo parte integrante del quadro clinico-metabolico di esordio della MC ma, soprattutto in età adulta, rappresenta anche l’unica modalità di espressione clinica di tale condizione, in assenza di qualsiasi disturbo gastrointestinale o addirittura prima che questo o altri sintomi divengano evidenti. L’estensione delle alterazioni a carico del tessuto osseo non sembra essere correlata alla presenza di una sintomatologia dolorosa a livello dei segmenti scheletrici interessati od alla severità dei disturbi intestinali. 13 La presenza di un eventuale interessamento del metabolismo osteo-calcico nei soggetti con MC è stata indagata in numerosi studi, sia al momento della diagnosi, che a distanza di un periodo di tempo variabile dall’avvio del trattamento dietetico aglutinato (8 mesi – 17 anni). IL METABOLISMO OSTEO-CALCICO E LA DIETA PRIVA DI GLUTINE Lo sviluppo di alterazioni del tessuto osseo e, in particolare, della osteoporosi, si associa ad un aumentato rischio di fratture, con conseguenze comprensibili in termini di morbilità e di mortalità della popolazione. È dunque importante valutare se nel paziente celiaco la presenza di un processo di demineralizzazione ossea può essere corretto o, comunque, arrestato nella sua evoluzione mediante l’avvio della dieta aglutinata. L’obiettivo principale di un trattamento pertanto è quello di ripristinare una normale mucosa intestinale, in modo tale che i meccanismi che favoriscono l’assorbimento del calcio riprendano la loro piena funzionalità. Età pediatrica Numerosi studi dimostrano che l’avvio della dieta priva di glutine favorisce un rapido aumento della BMD ed il trattamento dietetico a lungo termine assicura una mineralizzazione ed un turnover ossei normali. In particolare, alcuni Autori affermano che soltanto una diagnosi precoce di MC ed una rigorosa aderenza alla dieta priva di glutine avviata fin dall’infanzia o, comunque, da un periodo di tempo almeno superiore ad un anno, consentono ai pazienti celiaci di raggiungere una normale mineralizzazione ossea. Età adulta Sebbene l’avvio del trattamento dietetico di esclusione del glutine sia seguito da una normalizzazione delle concentrazioni sieriche di PTH, della calcemia e da una riduzione dei livelli di 1,25(OH)D, questi ultimi tuttavia restano sempre al di sopra dei valori normali; tale situazione potrebbe spiegare l’incompleto miglioramento della massa ossea che si può osservare nei pazienti trattati; Per quanto riguarda la BMD, a distanza di un anno dall’avvio di un trattamento con dieta priva di glutine, è possibile osservare un suo incremento a livello di tutti i distretti e, in particolare, del rachide. Quindi nella MC l’osteopenia è una condizione reversibile. Conclusioni Le alterazioni della mucosa duodeno-digiunale tipiche della enteropatia da glutine favoriscono lo sviluppo di alterazioni del metabolismo osteo-calcico che, in alcuni casi, possono condurre al progressivo deterioramento del tessuto osseo, fino alla realizzazione di un quadro di osteopenia e/o osteoporosi. 14 L’avvio di una dieta priva di glutine, ripristinando completamente la mucosa intestinale, consente un miglioramento dei parametri bioumorali e densitometrici del metabolismo osseo e, in alcuni casi, anche la normalizzazione completa degli stessi. Per tale motivo e data l’esistenza di una correlazione inversa tra densità ossea e rischio di fratture, è facilmente comprensibile come l’individuazione di una celiachia non trattata rivesta un importante ruolo preventivo. OSTEOPOROSI E MALATTIA CELIACA Malgrado la prima descrizione di alterazioni dell'omeostasi ossea in pazienti affetti da malattia celiaca (MC) risalga a circa 70 anni fa, tale argomento è stato affrontato in maniera sistematica solo di recente. Negli ultimi 5 anni, infatti, nella letteratura internazionale è possibile reperire un numero di studi pubblicati in extenso superiore a 50 e, attualmente, l'integrità morfo-funzionale dell'osso è considerato un problema clinico rilevante in pazienti affetti da questa condizione. Un particolare impulso allo studio dei disordini metabolici a carico dell'osso è stato offerto dalla possibilità di quantificare la perdita di massa ossea in modo preciso e non invasivo mediante la recente introduzione nella pratica clinica della densitometria ossea. Tutti gli studi condotti con le moderne tecniche di indagine dimostrano che la maggioranza dei pazienti celiaci adulti soffrono di osteopatia metabolica. D'altro canto uno studio di screening mediante la ricerca degli anticorpi antigliadina in pazienti con osteoporosi "idiopatica", cioè da causa sconosciuta, ha mostrato un'incidenza di MC maggiore che nella popolazione adulta sana. Infatti, occasionali pazienti con MC ed unica sintomatologia rappresentata da alterazioni a carico del sistema scheletrico sono stati ripetutamente segnalati nel corso degli anni. La prevalenza della osteopenia nei celiaci adulti non trattati può essere dedotta solo da un numero relativamente esiguo di studi, che abbiano utilizzato le moderne tecniche diagnostiche. Sebbene tali studi non siano omogenei per quanto concerne la selezione dei pazienti e dei controlli e sebbene vi siano lievi differenze nei metodi di indagine utilizzati, tutti tranne uno concordano sul fatto che una perdita di massa ossea è presente in più del 75% dei pazienti adulti. 15 Per quanto riguarda la MC dell'infanzia, nonostante un importante studio abbia dimostrato una significativa riduzione del contenuto minerale osseo in pazienti non trattati rispetto a controlli trattati, al momento non sono disponibili dati di prevalenza. Conseguenze cliniche La conseguenza più comune ed importante dell'osteopatia metabolica nella MC è rappresentata dall'aumento del rischio di fratture ossee e dalla conseguente deformità indotta. Poiché nella MC la gravità dell'osteopatia metabolica non correla con la presenza di dolore di tipo osseo, non esistono indicatori clinici che siano predittivi dei livelli di densità minerale ossea e, quindi, la misurazione diretta dei livelli di massa ossea mediante la densitometria è obbligatoria nel predire il rischio di frattura. Tal rischio aumenta di un fattore pari a 2 per ogni diminuzione di densità minerale ossea pari ad una unità. Da tali studi risulta evidente come in pazienti con malattia celiaca le fratture di Colles siano le forme più comuniInoltre, rispetto alla popolazione generale paragonabile per sesso ed età, nei celiaci è evidente un aumentato rischio di frattura solo a livello dello scheletro periferico. Di particolare interesse, anche da un punto di vista fisiopatogenetico, risultano i dati relativi alla maggiore età alla diagnosi ed al maggiore ritardo diagnostico in pazienti con fratture rispetto a quelli che non presentano fratture ed il fatto che la maggior parte di tali eventi avvenga prima della diagnosi o in pazienti con scarsa aderenza alla dieta priva di glutine. Nella MC refrattaria, che richiede non solo una dieta priva di glutine ma anche massicce dosi di steroidi, una ulteriore complicazione dell'osteopatia metabolica può essere rappresentata dall'osteonecrosi ischemica della testa del femore. Infine, l'iperparatiroidismo secondario a MC è stato riportato in associazione con la presenza di tumori bruni dell'osso, rappresentato da lesioni litiche e sclerotiche multifocali considerate patognomoniche di iperparatiroidismo primario o di osteodistrofia renale. Prevenzione e trattamento L'effetto della dieta priva di glutine sulla densità minerale ossea fu inizialmente desunto da una serie di studi eseguiti su celiaci in trattamento. Tali studi presentano differenze fra loro in termini di criteri di inclusione, metodiche utilizzate, durata ed aderenza alla dieta priva di glutine. Tuttavia, essi mostrano una minore prevalenza dell'osteopatia metabolica rispetto ai pazienti non trattati e suggeriscono che la dieta priva di glutine sia in grado di normalizzare la massa ossea in un certo numero di casi. Dati più accurati sono stati ottenuti mediante studi prospettici longitudinali; i risultati di un nostro studio durato due anni confermano ed ampliano il trend positivo osservato in corso di dieta priva di glutine nel breve periodo. Tutti gli studi concordano sul fatto che la dieta priva di glutine migliora il difetto di massa ossea nella maggior parte dei 16 pazienti adulti, ma solo in una minoranza i livelli di densità minerale ossea vengono normalizzati. L'adesione alla dieta e la conseguente regressione delle lesioni intestinali sono ovviamente fattori cruciali nel determinare la risposta metabolica a livello osseo. L'entità del recupero di massa ossea non appare correlato al sesso, all'età del paziente alla diagnosi, alla gravità dell'osteopatia metabolica di base ed alla severità della malnutrizione, ma non tutti gli studi effettuati concordano su questi aspetti. È molto interessante il risultato di un nostro recente lavoro il quale ha mostrato come alti livelli di attività osteosintetica alla diagnosi, suggeriti da elevate concentrazioni sieriche di propeptide del procollagene di tipo I, sono predittivi di un soddisfacente recupero di massa ossea dopo dieta priva di glutine. L'identificazione di un marker predittivo del miglioramento osseo indotto dalla dieta può essere utile nel selezionare alla diagnosi quei pazienti che necessitano, oltre alla dieta priva di glutine, della somministrazione dei farmaci attivi sul metabolismo osteo-minerale. In letteratura esistono scarse informazioni fra l'altro non sufficientemente controllate, relativamente al trattamento farmacologico dell'osteopatia metabolica nella MC e sono riportati risultati conflittuali sull'efficacia delle supplementazioni in calcio o vitamina D. Ovviamente la densitometria ossea rappresenta un utilissimo ausilio nel selezionare quei pazienti in cui una terapia più aggressiva deve essere somministrata. Per quanto riguarda la prevenzione dell'osteopatia metabolica, la dimostrazione che nei pazienti non trattati la densità minerale ossea non correla con l'età alla diagnosi potrebbe condurre alla conclusione errata che la diagnosi precoce ed il trattamento tempestivo della MC non siano utili. Al contrario, la diagnosi e il trattamento dovrebbero essere ancora più precoci di quanto non avvenga attualmente. Infatti, è stato mostrato che nei bambini con MC l'incremento annuale di massa ossea in corso di dieta priva di glutine è significativamente maggiore di quello di bambini sani e che pazienti nei quali la MC è stata diagnosticata nell'infanzia e che da allora seguono una rigorosa dieta priva di glutine, mostrano livelli di densità minerale ossea simili a quella di controlli sani . In conclusione, quindi, le alterazioni del metabolismo osteo-minerale rappresentano un importante problema in pazienti con malattia celiaca. La definizione sul piano scientifico degli aspetti ancora oscuri di tale problema clinico potrà senza dubbio condurre ad una riduzione del rischio di frattura e, conseguentemente, ad un miglioramento della qualità di vita del paziente. ALTERAZIONI DENTARIE E MALATTIA CELIACA Tra le alterazioni dello sviluppo dentale l'ipoplasia dello smalto è il segno perenne di un momento di alterata mineralizzazione dello smalto. Il fenomeno ipoplasico può manifestarsi, a seconda della gravità, da un semplice mutamento del colore verso il bianco gessoso o verso il grigio e il bruno, a zone di perdita di sostanze, fino ai gravi casi di assenza completa dello smalto. Secondo alcuni autori il danno sarebbe legato 17 ad una ridotta mineralizzazione della gemma dentaria legata al malassorbimento di calcio, fosfato e vitamina D (permanenti da 0 a 3 anni) anche se non sono presenti nei pazienti affetti da rachitismo. Secondo altri autori si tratta di una alterazione a patogenesi immuno-genetica in quanto è presente anche in alcune malattie autoimmuni quali la sindrome poliendocrina. Il glutine, correlato a molecole di classe II del sistema maggiore di istocompatibilità, innescherebbe un movimento immunitario a mediazione linfocitaria rivolto contro l'organo dello smalto. Dovrebbe perciò esserci uno specifico back-ground autoimmunitario alla base dei difetti dello smalto legati alla M.C.. Questo sarebbe confermato dal riscontro di una stretta associazione tra le alterazioni dentarie e l'allele HLA-DR3, che è in stretta correlazione di "linkage disequilibrium" con il locus DQ (particolarmente DQW2) che è il principale locus antigenico del morbo celiaco. Una protezione dai danni allo smalto dovrebbe essere legata al fenotipo DR5-DR6, questo spiegherebbe perché non tutti i celiaci sono affetti da ipoplasia dello smalto. In definitiva mentre la malattia celiaca è correlata all'antigene DQ, le lesioni dello smalto nei celiaci sono correlate all'antigene DR. Altri Autori suggeriscono la possibilità che i due meccanismi patogenetici (malassorbimento-ipocalcemia e danno ameloblastico su base genetica ed autoimmuni) rappresentino due vie che si intersecano nel determinare il danno dello smalto. Attualmente comunque non sembra che la carenza di vitamina D e l'eccesso di incorporazione di floruri siano responsabili dell'ipoplasia dello smalto nei soggetti affetti da M.C. Questa patologia è molto comune nei pazienti con malattia celiaca, le lesioni sono solitamente bilaterali e simmetriche, colpiscono principalmente gli incisivi ed i molari. La prevalenza di tale difetto nei celiaci varia dal 24% al 76%. La celiachia può presentarsi accompagnata a segni particolari quali afte ricorrenti o malattiefrancamente autoimmuni di riscontro anche orale. La correlazione tra afte e malattia celiaca è stata studiata negli ultimi anni. Le erosioni sono quelle tipiche della forma “minor” con distribuzione a livello della mucosa orale. Le lesioni aftose presentano caratteristiche sovrapponibili sia nei pazienti affetti da malattia celiaca che nel resto dei pazienti. Srinivasan e coll. suggeriscono che ogni paziente soggetto ad afte ricorrenti dovrebbe essere sottoposto all’esame della concentrazione degli anticorpi anti gliadina ed anti endomisio e successivamente monitorato per valutare l’eventuale sviluppo negli anni della malattia celiaca. Lo studio più interessante è, a nostro parere, quello eseguito da Biel e coll., i quali hanno posto l’attenzione sull’importante ruolo diagnostico delle afte: esse costituiscono traccia di una patologia silente, quale il morbo celiaco, nonché della presenza in forma subclinica della dermatite erpetiforme. Biel e coll. hanno evidenziato come il morbo celiaco si manifesti frequentemente con una sintomatologia atipica, addirittura in molti casi silente. Circa il 4% dei pazienti affetti da aftosi orale ricorrente sono celiaci. Pertanto sottolineamo l’urgenza di effettuare screening serologici in pazienti affetti da aftosi orale ricorrente refrattaria alle comuni terapie, soprattutto se questa si associa a carenza di ferro, acido folico o vit. B12. La mandibola e l’osteoporosi 18 Molti studi hanno suggerito un legame tra osteoporosi e decadimento osseo anche a livello mandibolare. L'osteoporosi è una delle condizioni tipiche anche della menopausa ed è contraddistinta da diminuita massa e densità ossea, con ridotta resistenza scheletrica e maggiore incidenza delle fratture;tutto ciò si presenta anche in quei pazienti affetti da MC. I denti dal canto loro sono radicati in strutture ossee, così il loro deterioramento, porta con sé l'indebolimento del loro ancoraggio. In questo modo, sono più facili infiltrazioni nelle strutture del parodonto che diventano quindi più suscettibili all'attacco batterico, responsabile dei danni gengivali. Per investigare possibili legami tra i problemi ai denti e la fragilità ossea, nel 1998 un gruppo di studio ha riscontrato che le persone con osteoporosi hanno più facilmente problemi ai denti e alle gengive e, in particolare, vedono raddoppiare il rischio di perdere i denti rispetto a quelle che non presentano rarefazione dell'osso. Inoltre, se la perdita dei denti è parte integrante dei processi indotti dall'osteoporosi, con un esame dentale accurato diviene possibile individuare i primi segnali di osteoporosi. Trattamenti Come comportarsi dunque dal punto di vista preventivo? Accurati esami dentali e igiene orale, sempre importanti, lo sono in modo particolare per coloro che abbiano riscontrato alterazioni in bocca. Diventa così importante una visita dentistica almeno due volte l'anno, che è assolutamente obbligatoria qualora subentrino problemi gengivali quali: sanguinamento, infiammazione, alito cattivo, debolezza dei denti, sensazioni fastidiose nel chiudere la bocca. È inoltre importante che il dentista sia informato dei trattamenti farmacologici in corso, nonché di eventuali condizioni di osteoporosi. La mineralometria ossea computerizzata (MOC), unitamente ad indagini radiologiche che consentano di valutare la qualità e la quantità di osso a disposizione, deve essere così nota anche al dentista. Dal punto di vista dell'igiene orale la pulizia dei denti con spazzolino e filo interdentale deve essere quotidiana e accurata dopo ogni pasto.Non sono da escludere infine eventuali interventi dietetici rivolti in particolare ad una maggiore assunzione di calcio. Il corretto quantitativo è compreso tra i 1000 e i 1300 mg al giorno e le fonti principali sono i latticini, preferibilmente a basso contenuto di grassi, i broccoli e le brassicacee in genere, cereali e eventuali integratori di calcio. BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE 19 1. VALDIMARSSON T., TOSS G., ROSS I., STRÖM L., STRÖM M.: Bone mineral density in coeliac disease. Scand J Gastroenterol 1994. 2. 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