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a) Il genere oratorio
In Grecia
Il genere oratorio nasce in Grecia, legato soprattutto alle esigenze giudiziarie e
all’attività dei cosiddetti logógrafi, ovvero scrittori di arringhe su commissione.
Nel mondo greco, infatti, non esisteva la figura dell’avvocato, ma accusato ed
accusatore dovevano difendersi di persona. Stando ad Aristotele che, come
Cicerone nel Brutus, ci ha lasciato nella sua Retorica una sorta di storia
letteraria, i primi a teorizzare le regole dell’oratoria sarebbero stati due retori
siculi, Còrace e il suo discepolo Tísia (V secolo a.C.). Essi introducono la
tradizionale
quadripartizione
dell’orazione
in
esordio,
narrazione,
argomentazione ed epilogo, ammettendo la possibilità di aprire talora
digressioni anche ampie. Sempre a loro spetterebbe l’aver introdotto l’idea della
neutralità morale del genere oratorio: con la sua arte, l’oratore è in grado di
persuadere a qualunque cosa, giusta o ingiusta, vera o falsa.
Ben presto a fianco dell’oratoria giudiziaria si affermano – e si teorizzano – altri
due generi, quello politico o deliberativo, proprio dei discorsi pubblici in
assemblea; e quello epidittico o dimostrativo, proprio degli encomi, degli elogi.
Purtroppo di questi due generi ci restano poche testimonianze dirette; gli
esempi migliori forse sono costituiti dai magistrali discorsi attribuiti da Tucidide
ai vari grandi personaggi storici (Pericle, Temistocle...).
La potenza persuasiva della parola viene pienamente sfruttata dalla sofistica,
ovvero un gruppo di oratori «girovaghi», che si spostavano attraverso le
principali poleis greche e della Magna Grecia, offrendo le loro prestazioni,
impegnandosi in politica e soprattutto insegnando in cambio di laute
ricompense.
Attorno al V secolo a.C. iniziano a venir fatte circolare copie delle orazioni
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ritenute migliori, proprio come fossero testi letterari in senso stretto; in età
ellenistica viene addirittura fissato un canone dei dieci migliori oratori, tutti attici,
operanti fra V e IV secolo a.C. Fra questi spiccano Lisia, Isocrate e Demostene,
che divengono modelli assoluti.
A Roma: prima di Cicerone
Anche a Roma l’oratoria nasce per esigenze pratiche, politiche e giudiziarie;
stando a Cicerone, la prima orazione trascritta e tramandata è stata quella di
Appio Claudio Cieco (280 a.C.), che voleva convincere i romani a non accettare
le proposte di pace di Pirro, re dell’Epiro. Ma i primi documenti importanti
dell’oratoria latina risalgono a Catone il Censore, fatte trascrivere dall’autore
stesso. Cicerone asserisce di conoscerne oltre 150!
Sin dall’inizio molto forte è l’influsso del modello greco, di cui si può dire che
l’oratoria romana è figlia, anche se subito si notano alcune differenze di fondo,
come il prevalere del contenuto sul virtuosismo tecnico. Emblematica è la
definizione dell’orator data da Catone e recuperata poi da Cicerone e
Quintiliano: vir bonus dicendi peritus, cioè un uomo sì dotato di una certa
conoscenza dell’arte oratoria, ma soprattutto ed in primo luogo animato da
solidi valori morali e civili.
Da Catone fino ai suoi giorni, Cicerone ricorda poi Scipione Emiliano, Gaio
Lelio, i due fratelli Gracchi, Marco Antonio e Lucio Licinio Crasso, considerati
dal Nostro suoi modelli e massimi esponenti del genere; Quinto Ortensio Ortalo,
massimo rappresentante del genere asiano.
Età di Cicerone
Si distinguono tre grandi scuole oratorie, i cui tratti fondamentali ci vengono
riferiti sempre da Cicerone nei suoi dialoghi:
•
Asiana: detta così dal luogo di origine e massimo sviluppo, ovvero
Pergamo (IV-III secolo a.C.), era caratterizzata dalla ricerca del pathos,
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ottenuto attraverso uno stile fortemente musicale, fiorito e ridondante,
nonché un’actio molto affettata. Cicerone ne distingueva due tipi1: uno
ispirato alla semplicità lisiana, caratterizzato da una prosa nervosa,
scattante, concentrata, fortemente musicale. Suo massimo esponente fu
Egesia di Magnesia. Il secondo si rifà invece a Demostene e Isocrate, ed
è caratterizzato da un periodare più ampio, spesso però ridondante ed
ampolloso.
•
Neoattica: si afferma a Roma al tempo di Cicerone ad opera di un
gruppo di oratori che appunto si ponevano volutamente contro il Nostro.
Essi ricercavano uno stile semplice e lineare, piuttosto scarno, sul
modello dell’oratoria lisiana. Fra gli atticisti merita menzione Gaio Licinio
Calvo, uno dei più agguerriti rivali di Cicerone; Giulio Cesare e M. Giunio
Bruto (futuro tirannicida).
•
Rodio: da Rodi dove si sviluppò ad opera di Apollonio Molone, è una
sorta di via di mezzo fra le altre due scuole; l’oratore si esprime in modo
molto variato, ricorrendo a tutti i registri stilistici consentiti, sull’esempio
dell’oratoria di Demostene. Massimo esponente a Roma ne fu proprio
Cicerone.
Età imperiale
Tutto il genere entra in una grave crisi, legata soprattutto all’assenza di libertà,
fondamentale per lo sviluppo dell’oratoria (non a caso nata nella «libera»
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Bruto 325, 3 ... genus erat orationis Asiaticum adulescentiae magis concessum quam senectuti. Genera
autem Asiaticae dictionis duo sunt: unum sententiosum et argutum, sententiis non tam gravibus et severis
quam concinnis et venustis [...] Aliud autem genus est non tam sententiis frequentatum quam verbis
volucre atque incitatum, quali est nunc Asia tota, nec flumine solum orationis sed etiam exornato et
faceto genere verborum.
«Il genere di eloquenza asiano era più adatto alla gioventù che a un’età attempata. Sono poi due i generi
di eloquenza asiana: uno concettuoso ed acuto, di una concettuosità non tanto solenne e austera, quanto
aggraziata e fondata su un giuoco di simmetrie [...]. L’altro genere, invece, non è tanto costellato di
formulazioni concettistiche, quanto, piuttosto, rapido e concitato nell’elocuzione, come è ora quello in
voga in tutta l’Asia: lo caratterizzano non solo la fiumana delle parole, ma anche un linguaggio adorno e
raffinato». (Trad. a c. di E. Narducci, Cicerone. Bruto, BUR, Milano 1995, p. 397).
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Atene). All’oratoria attiva, viva, dei tribunali e delle assemblee si sostituisce una
produzione scolastica fittizia, mero esercizio astratto. Ne sono un esempio
altissimo le Controversiae e le Suasoriae di Seneca Padre: le prime sono
orazioni giudiziarie per processi immaginari, in cui le parti erano rappresentate
da studenti; le seconde appartengono al genere deliberativo e sono rivolte a
personaggi mitici o storici.
La decadenza dell’oratoria e l’analisi delle cause del fenomeno diventano un
vero topos letterario, affrontato da tutti i grandi autori dei primi secoli
dell’impero: Quintiliano, Seneca padre e figlio, Tacito. Scarsissime sono le
testimonianze dirette pervenuteci della produzione del periodo.
Tra le opere e gli oratori principali dell’impero, ricordiamo:
•
Plinio il Giovane, Panegirico2: discorso pronunciato in Senato nel 100
d.C. per Traiano;
•
Apuleio, Apologia o De Magia, orazione giudiziaria del II secolo d.C.;
Florida, antologia di brani tratti dalle sue relazioni e conferenze, esempio
di oratoria epidittica;
•
Simmaco: restano 8 discorsi frammentari. È considerato il massimo
oratore del IV secolo d.C.;
•
Ennodio vescovo, Dictiones: raccolta di 28 discorsi, esempio di
declamazione scolastica (V secolo d.C.);
•
Panegirici Latini, raccolta di 12 panegirici del III-IV secolo d.C.;
•
Paolino di Nola, Panegirico per Teodosio, imperatore fra il 408 e il 450
d.C.;
•
Ambrogio, De obitu Valentiniani, orazione funebre per la morte
dell’imperatore Valentiniano II (375-392 d.C.); De obitu Theodosii,
orazione funebre per la morte dell’imperatore Teodosio (379-395 d.C.);
•
Claudiano, panegirici in versi per i tre consolati di Onorio (396, 398, 404
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Tipo di discorso celebrativo che vede rapida diffusione in età imperiale, passando poi nella tradizione
cristiana. Ne esisteva anche una forma poetica, cioè in versi.
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d.C.) e per Stilicone;
•
Flavio Merobaude (V secolo d.C.), panegirico in versi per il generale
Ezio;
•
Sidonio Apollinare (V secolo d.C.), panegirici in versi per vari imperatori;
•
Ennodio (V secolo d.C.), autore sempre di panegirici in versi.
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