gli stili dell`eloquenza - 4Bclasse2-0

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GLI STILI DELL’ELOQUENZA
Le accese lotte civili del sec. I a.C. contribuirono, ancor più che
nell'età arcaica, a dare un peso rilevante all'eloquenza, politica e
giudiziaria, nella vita pubblica romana: ogni personaggio politico
era tenuto a pronunciare discorsi in pubblico. Cicerone
nel Brutus ha tramandato i nomi e le caratteristiche di numerosi
oratori, ma non è pervenuto praticamente nulla delle loro
orazioni, perché la perfezione di quelle ciceroniane le ha
cancellate dalla tradizione letteraria. Due scuole di ispirazione
ellenistica, l'asiana e l'attica, si disputavano l'egemonia nel
campo della retorica.
L'asianesimo
Lo stile asiano, elaborato dal retore greco Egesio di Magnesia nel
sec. III a.C., si impose a Roma dalla fine del sec. II a.C., in
opposizione allo stile sobrio seguito dagli atticisti. La scuola
asiana dava ampio spazio agli elementi patetici e
sentimentali per meglio carpire l'attenzione e l'approvazione del
pubblico, per suscitarne l'emozione e la commozione. Lo stile era
ampolloso ed esuberante, cercava la musicalità delle frasi con
assonanze e parallelismi; l'abbondanza di artifici e di regole
retoriche distraevano in parte gli ascoltatori dal contenuto.
Grande esponente dell'asianesimo fu Quinto Ortensio Ortalo,
vissuto tra il 114 e il 50 a.C., tanto creativo e brillante da
affascinare il giovane Cicerone che ne seguì l'indirizzo nelle sue
prime orazioni, come egli stesso racconta nel Brutus. Soltanto in
un secondo tempo Cicerone si allontanò dall'asianesimo per
indirizzarsi, sotto l'influenza di Apollonio Molone di Rodi, verso lo
stile mediano, detto appunto "rodio".
L'atticismo
Alla corrente asiana si contrapponeva quella dell'atticismo, così
chiamato perché erano assunti come modelli di perfezione
stilistica da imitare gli oratori ateniesi dei secoli V e IV a.C., Lisia,
in special modo, che aveva svolto la sua attività in Attica. I seguaci
dell'atticismo usavano uno stile scarno e severo, attento
soprattutto a chiarire i concetti piuttosto che la forma, il che non
escludeva però la cura dell'eleganza espositiva: essi si limitavano
piuttosto alla scelta dei termini più appropriati perché il discorso
fluisse naturale e i fatti fossero esposti in modo chiaro e
semplice. La corrente atticista ebbe come rappresentanti, tra gli
altri, Licinio Calvo,Marco Giunio Bruto e Giulio Cesare, e alla
lunga essa si impose per il costante mutamento del gusto del
pubblico.
Lo stile rodiese
Con stile rodiese o rodio si intende una prosa più temperata
rispetto all'Asianesimo, ma priva dell'asciuttezza dell'Atticismo.
Cicerone chiama così lo stile della scuola di retorica di Apollonio
Molone da lui stesso frequentata nell'isola di Rodi, durante il suo
soggiorno in Grecia e Asia Minore fra il 79 e il 77 a.C. In seguito a
tale insegnamento, si sarebbe spogliato della sua "frondosità
giovanile" (iuvenilis redundantia) - che lo portava ad un'oratoria
imparentabile con quella degli asiani - per volgersi alla vera
oratoria della "scuola rodiese".
Il vero oratore, infatti, non è l'atticista che punta ad uno stile
scarno e privo di forza, né l'asiano che esagera nel patetismo e
nell'ampollosità. È invece colui che sa usare bene tutti e tre i
diversi livelli stilistici, mescolandoli nella loro varietà anche
all'interno di una stessa orazione, a seconda che occorra
spiegare, dilettare o commuovere il pubblico con forti emozioni.
Questa triplice varietà è stata quella che ha saputo usare il più
perfetto degli oratori attici, che però gli atticisti tendono a
mettere in disparte: Demostene. Ne consegue che la vera
oratoria è quella che guarda a Demostene e alla sua compiuta
padronanza di registri, quella della "scuola rodiese", cioè quella di
Cicerone stesso.
Quintiliano definirà questo stile una via di mezzo fra asianesimo
ed atticismo, non sovrabbondante come il primo, né troppo
stringato come il secondo (Institutio oratoria, XII, 10, 18).
Il Brutus è tuttavia percorso da una fortissima vena di pessimismo
sulle sorti future dell’eloquenza romana, dal momento che la
dittatura di Cesare, secondo C., ormai inibiva la libera espressione
politica e precludeva ogni spazio ai nuovi talenti.
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