App. Cagliari Sez. II, Sent., 20-04-2015 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE DI APPELLO DI CAGLIARI SECONDA SEZIONE PENALE Composta dai Signori 1) Dott. Grazia Corradini - Presidente relatore 2) Dott. Luisanna Melis - Consigliere 3) Dott. Maria Angioni - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA in Camera di Consiglio nella causa contro C.P. nato C. (...), detenuto C. C. C., citato 22.12.2014 a mani proprie, (...) Difeso di fiducia dall'avv. ____ del Foro di Cagliari (...) (...) APPELLANTE avverso la sentenza in data 9.10.2014 del Tribunale Cagliari con la quale fu (...) condannato alla pena (...) SICCOME COLPEVOLE (...) Svolgimento del processo - Motivi della decisione Con sentenza in data 9 ottobre 2014 il tribunale di Cagliari, a seguito di rito abbreviato condizionato a perizia psichiatrica ha dichiarato C.P. colpevole del reato di cui agli artt. 61 n. 10 e 612 bis c.p. perché, con condotte reiterate, minacciava e molestava il sindaco del Comune di ___, in modo da cagionargli un perdurante e grave stato di ansia e di paura, nonché da ingenerare nello stesso un fondato timore per la incolumità propria e dei propri familiari e da costringerlo ad alterare le propri abitudini di vita, in particolare ad usare particolari cautele prima di accedere presso l'ufficio comunale ed a staccare l'utenza telefonica della propria casa di abitazione. Condotte consistite nel pedinare il ___, specialmente sul luogo di lavoro, nell'appostarsi nei pressi della sede del Comune e dell'attenderlo all'interno dei relativi uffici, nel contattarlo reiteratamente al telefono installato presso l'abitazione, rivolgendoli in ogni circostanza frasi di contenuto minaccioso ed offensivo (" sei un ladro...sei un delinquente....sei un bugiardo....ti faccio vedere io" ). Con l'aggravante di avere commesso il fatto contro un pubblico ufficiale a causa dell'esercizio delle sue funzioni. Con la recidiva specifica reiterata ed infraquinquennale. Commesso in ___dall'estate del 2013 fino al 13.9.2014. In considerazione degli esiti della perizia psichiatrica e delle non buone condizioni di vita individuali e sociali dell'imputato, il tribunale ha riconosciuto al C. l'attenuante della seminfermità di mente e le generiche, reputate equivalenti alla recidiva ed alla aggravante contestate. Pertanto, valutati anche gli altri criteri di cui all'art. 133 del cod. pen., lo ha condannato alla pena di mesi dieci di reclusione (p.b. a. 1 e m. 3 - 442 c.p.p.) Stante l'attuale pericolosità sociale dell'imputato, desunta dalle modalità della condotta, dal movente, la cui persistenza era stata confermata dallo stesso C. nel corso del processo, e dai numerosi precedenti penali per reati della stessa specie, il tribunale ha infine disposto, a pena espiata, venga sottoposto alla misura di sicurezza della libertà vigilata per la durata non inferiore ad un anno. C.P. veniva arrestato il 3.9.2014 nella flagranza dl reato di atti persecutori. Il 1 settembre precedente ___, Sindaco del Comune di ___, aveva sporto querela nei confronti del C. lamentando che quest'ultimo, insoddisfatto perché egli non aveva dato seguito alla sua richiesta di spostare davanti alla sua casa la fermata dell'autobus, aveva, da circa un anno, preso a minacciarlo, ingiuriarlo, diffamarlo e perseguitarlo continuamente in altri vari modi, in particolare appostandosi davanti alla Casa Comunale, oppure telefonando con frequenza alla sua abitazione privata e proferendo in ogni caso al suo indirizzo, incurante di chi assistesse alla scena o rispondesse al telefono, frasi tipo: "Stai an dando a rimediare a tutte le ruberie che hai fatto? ... Sei un delinquente, siete un'associazione a delinquere ... ti devi dimettere, sennò vedi ... sei un truffatore ... tu e la tua amministrazione state truffando me e tutta la popolazione, siete una truffa completa ...". Il ___aveva soggiunto che, in conseguenza di tali vessazioni, si era venuto a creare in lui ed in tutti i componenti della sua famiglia (moglie e figlie) un grave stato d'ansia ed addirittura di timore -acuito dall'indole notoriamente violenta del C.- per la loro incolumità fisica, tanto che essi avevano dovuto adottare tutta una serie di cautele, come staccare il telefono o prendere precauzioni prima di uscire di casa. Il successivo 3 settembre i Carabinieri della Stazione di _____, inter venuti nei pressi della Casa Comunale su richiesta del ____, avevano direttamente assistito alle ingiurie rivolte dal C., il quale, incurante del fatto che sul posto vi fossero numerosi cittadini, tra cui anche i dipendenti comunali _____ e ______, e della stessa presenza dei militari, aveva ancora una volta invitato, con tono di voce adirato ed elevato, il Sindaco a dimettersi, in conseguenza di tutte le truffe commesse in danno suo e degli altri amministrati. Pertanto, di fronte alla reiterata manifestazione di volontà del _____di voler procedere penalmente anche per tali fatti e tenuto conto della precedente querela e del fatto che il C. fosse già stato pochi mesi prima segnalato all'Autorità giudiziaria per oltraggio a pubblico ufficiale sempre in danno dello stesso Sindaco, gli ufficiali di polizia giudiziaria operanti avevano proceduto al suo arresto in flagranza di reato. All'udienza di convalida, il C. negava l'addebito, pur confermando la sua doglianza circa il mancato ripristino della fermata dell'autobus davanti alla sua abitazione ed anzi aggiungendo che nel territorio comunale accadevano pure altri fatti sconvenienti, come la conduzione dell'autobus in pantofole da parte dell'autista. Nel corso del giudizio il C. era stato sottoposto a perizia psichiatrica. In estrema sintesi, il perito dott.ssa I.M. aveva sostenuto, con ampia motivazione, che l'imputato era affetto da un grave disturbo della personalità -connotato da profili di carattere delirante e persecutorio, verosimilmente riconducibile a cause organiche ed aggravato dall'abuso di alcol e di sostanze stupefacenti, nonché dalla totale mancanza di cure adeguate, peraltro fermamente rifiutate dal paziente - e che era altresì da considerare socialmente pericoloso in senso psichiatrico ("Vi sono degli aspetti di criticità ... rispetto alla reiterazione dei comportamenti reato"). Su tali basi il tribunale ha ritenuto provati gli estremi del reato contestato. Secondo il tribunale, infatti, alla luce delle querele in atti, riscontrate dalle conformi som marie informazioni rese dai nominati ____ e _____ e dal verbale d'arresto, nel quale si dava atto che il C. non si era astenuto dal porre in essere condotte moleste neppure in presenza dei Carabinieri, ed, in ultima analisi, dalle stesse dichiarazioni dell'imputato, coerenti col quadro delineato dalla persona offesa, doveva ritenersi provato, al di là di ogni ragionevole dubbio, che il C. -convinto del fatto che il Sindaco non svolgesse adeguatamente le sue funzioni e che stesse danneggiando la cittadinanza e conculcando i suoi pretesi diritti, quale quello di avere la fermata dell'autobus sotto casa- avesse preso a perseguitare il Sindaco in vario modo, aspettandolo davanti alla Casa comunale, ingiuriandolo, diffamandolo, minacciandolo e molestando con ripe tute telefonate di analogo tenore lui ed i membri della sua famiglia, in tal guisa determinando nei destinatari delle sue iniziative uno stato di ansia e di paura, viepiù aggravato dalla consapevolezza, in capo ai medesimi, della sua indole violenta, ben evidenziata dai numerosi precedenti penali per reati contro la persona dai quali era gravato, nonché dalle vicissitudini giudiziarie patite dai suoi più stretti congiunti (il fratello, in particolare, era rimasto coinvolto in un grave fatto di omicidio). Siffatte condotte, sempre secondo il tribunale, rientravano nello schema delineato nell'art. 612 bis del cod. pen., il quale prevede come reato anche la condotta di chi, al modo del C. nella specie, ponga in essere una pluralità di atti di minaccia e molestia, i quali, nella loro reiterazione, diano luogo, in capo al soggetto passivo, ad un perdurante e grave stato di ansia o di paura e ad un fondato timore per l'incolumità propria o dei prossimi congiunti, inducendolo ad alterare le ordinarie condizioni di vita nel tentativo di sottrarsi alle azioni di danno provenienti dall'agente ed al pericolo da esse promanante. Ha proposto appello la difesa dell'imputato chiedendo, in via principale la assoluzione ai sensi dell'art. 530 comma 1 c.p.p.; in via subordinata ex art. 530 comma 2 c.p.p.; in via ulteriormente subordinata contenere la pena nel minimo edittale; in ogni caso revocare la misura di sicurezza della libertà vigilata ed in subordine applicarne una meno afflittiva. Ha all'uopo dedotto: - L'imputato era affetto da grave vizio di mente, accertato a seguito di perizia psichiatrica, che aveva evidenziato una "encefalopatia di probabile origine vascolitica", morbo di Basedow, malattia caratterizzata da fasi di depressione ed astenia, nervosismo ed irritabilità, aggravata da una conclamata forma di epilessia connotata da episodi "che si esplicano con crisi vere e proprie di grande male". Consequenziale a tale quadro era il grave disturbo di personalità riconosciuto anche dal tribunale che aveva non solo condizio nato la condotta dell'imputato ma ne era anche l'origine e la causa. Era palese nel C. uno stato mentale delirante, derivante da una condizione di infermità idonea ad incidere gravemente sulla capacità di intendere e di volere. Si trattava di uno stato idoneo ad escludere completamente la imputabilità alla stregua della sentenza delle sezioni unite n. 9163 del 2005, poiché aveva alterato in maniera decisiva i processi cognitivi dell'agente determinando una distorta percezione della realtà. Si trattava quindi di un vizio totale di mente che impediva all'agente di rendersi conto del disvalore sociale della sua condotta e di autodeterminarsi nei suoi comportamenti; - Difettava comunque l'elemento psicologico del reato ovverosia l'animus persecutionis. Il C. non aveva agito nell'intento di creare uno stato d'ansia e di turbamento nella vittima, ma unicamente al fine di vedere accolte le sue istanze come cittadino, tanto è vero che la presenza del C. era stata colta solo davanti al Comune, per cui difettava la volontà persecutoria; - Non sussisteva una condotta di contenuto minaccioso e mancava la prova che nel Sindaco si fosse presentato uno stato di ansia e di paura, anche perché i precedenti penali dell'imputato erano lontani nel tempo ed apparivano ingiustificate le -oltretutto non provate - modificazioni della condotta di vita della vittima e della sua famiglia; - La pena appariva eccessiva alla stregua di tutti gli elementi di cui all'art. 133 c.p.; - non risultava uno stato di pericolosità sociale dell'imputato tale da giustificare la applicazione di una misura di sicurezza; - Infine le conclusioni dell'imputato in primo grado erano state trascritte erroneamente in sentenza poiché la conclusione principale era la assoluzione ai sensi dell'art. 530 comma 1 c.p.p. L'appello è completamente infondato. Quanto alla erroneità della trascrizione delle conclusioni della difesa nella sentenza di primo grado, perché era stata chiesta la assoluzione con formula piena e non per insufficienza della prova (che era stata formulata come subordinata), si tratta all'evidenza di un eventuale errore materiale che peraltro non incide in alcun modo sulla validità della sentenza che si è fatta carico della intera vicenda e della concludenza della prova. Passando al merito dell'appello e partendo dal primo motivo, lo stesso appellante riconosce che l'imputato è affetto da disturbi della personalità e da una condizione di infermità tale da incidere gravemente sulla sua capacità di intendere e di volere, ma poi, partendo da tali esatte pr emesse, ne fa discendere incongruamente che sarebbe completamente incapace di intendere e di volere, pur richiedendosi, per la infermità totale di mente, che la capacità di intendere e di volere sia completamente esclusa e non solo grandemente scemata. Gli artt. 88 e 89 del c.p., nel graduare il vizio di mente,distinguono infatti fra vizio parziale, che fa scemare gravemente la capacità e quello totale che invece esclude in toto tale capacità. La sentenza Raso delle sezioni unite della Corte di cassazione, richiamata dall'appellante, non ha assolutamente stabilito, come vorrebbe fare credere l'appellante, che i disturbi della personalità, anche se deliranti, producano il vizio totale di mente. Tale sentenza ha sicuramente segnato una svolta per quanto attien e al riconoscimento della incidenza anche dei disturbi della personalità, non integranti una vera e propria malattia mentali del tipo di quelle riconosciute tradizionalmente, sulla capacità di intendere e di volere, mentre la precedente interpretazione del le disposizioni citate escludeva che i disturbi della personalità potessero incidere in qualsiasi modo sulla capacità. Le sezioni Unite inserendosi in tale problematica, hanno affermato che "Ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, anche i disturbi della personalità, che non sempre sono inquadrabili nel ristretto novero delle malattie mentali, possono rientrare nel concetto di infermità, purché siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale. Ne consegue che nessun rilievo, ai fini dell'imputabilità, deve essere dato ad altre anomalie caratteriali o alterazioni e disarmonie della personalità che non presentino i caratteri sopra indicati, nonché agli stati emotivi e passionali, salvo che questi ultimi non si inseriscano, eccezionalmente, in un quadro più ampio di infermità". La Corte di cassazione ha perciò annullato con rinvio la sentenza impugnata, che aveva erroneamente escluso il vizio parziale di mente sul rilievo che il disturbo paranoideo, dal qual e, secondo le indicazioni della perizia psichiatrica, risultava affetto l'autore dell'omicidio, non rientrava tra le alterazioni patologiche clinicamente accertabili, corrispondenti al quadro di una determinata malattia psichica, per cui, in quanto semplice "disturbo della personalità", non integrava quella nozione di "infermità" presa in considerazione dal codice penale (v. Sez. U, n. 9163 del 25/01/2005 Ud. dep. 08/03/2005 Rv. 230317). Nel caso in esame il perito nominato dal tribunale si è fatto ampiamente carico del disturbo di tipo persecutorio e delirante, che si innesta su un quadro di abuso di sostanze e di rifiuto di terapie, da cui è affetto l'imputato, ma ha escluso che si tratti di una infermità totale di mente, in quanto l'imputato conserva una buona dose di capacità di intendere e di determinarsi nelle scelte. E la relazione del perito, dottoressa I.M., appare perfettamente in linea con i dettami della sentenza Raso, congruamente motivata ed inattaccabile sul piano medico, tanto è vero che nessuna voce contraria emerge dagli atti di causa ed anche questa Corte ha avuto modo di osservare l'imputato che è comparso in udienza con comportamenti del tutto adeguati, non cogliendo aspetti tali da fare ritenere una totale incapacità, che oltretutto la am ministrazione penitenziaria avrebbe certamente segna(...)o se fosse stata esistente. E non è un caso neppure il fatto che dal certificato penale dell'imputato, il quale ha incominciato a delinquere nel 1987, non risulti alcun cenno a problematiche psichiatriche rilevanti, che pure dovrebbero avere lasciato traccia, qualora esistenti, se si considera che è stato condannato più volte per reati di minacce e di lesioni alla persona e che mai erano sorti in precedenza dubbi sulla sua capacità di intendere e di volere nei numerosi giudizi che lo hanno coinvolti(...) Per escludere la capacità totalmente, la difesa dell'imputato ha addotto la presenza di una forma di epilessia e del morbo di Basedow (disturbi della tiroide), però, a parte il fatto che il perito li h a esaminati ed ha escluso che potessero incidere sulla capacità di intendere e di volere, appare in linea con gli orientamenti psichiatrici consolidati il fatto che si tratta di malattie che non integrano infermità di mente. In ogni caso, la valutazione dell'idoneità del vizio di mente riscontrato in sede peritale a produrre una notevole diminuzione di detta capacità sfugge alle conoscenze tecniche del giudice di merito, sicché essa deve ritenersi implicita nella valutazione clinica operata dal perito. Se, quest'ultimo conclude per l'esistenza di una seminfermità, deve presumersi che il giudizio medico-legale, proprio perché espresso in sede di risposta a quesiti in materia di psichiatria forense, dia per scontato che l'unico vizio di mente di rilievo ai fin i dell'accertamento della seminfermità è quello che comporta una rilevante diminuzione della capacità di intendere e di volere. Ne consegue l'inesigibilità per il giudice di merito di un'indagine volta ad accertare quale sia in termini percentuali il grado di incidenza del vizio mentale sulla complessiva capacità di intendere e di volere, ma anche la possibilità per il giudice, in assenza di errori del perito psichiatra, neppure addotti con l'atto di appello né nel corso del giudizio di primo grado, di pervenire ad un giudizio di totale infermità totale che sarebbe arbitrario, specie se non accompagnato da un rinnovo della perizia (che però nella specie non è stato neppure chiesto e che non appare perseguibile a fronte di una perizia ampiamente motivata e priva di qualsiasi errore logico o medico, come quella della dottoressa M., che è perito altamente esperto e di massima competenza). Il primo motivo è quindi infondato. Con il secondo motivo di appello la difesa del C. adduce il difetto dell'elemento psicolo gico poiché il C. non intendeva perseguitare il Sindaco ma soltanto ottenere il riconoscimento dei suoi diritti come cittadino, tanto è vero che lo cercava soltanto in Comune. Anche tale motivo è infondato. In primo luogo non è vero che il C. perseguitasse il Sindaco solo in Comune, in quanto tempestava di telefonate anche la sua famiglia nel numero privato di casa e lo minacciava ed ingiuriava dovunque riuscisse a trovarlo, mentre è vero soltanto che lo trovava più frequentemente nei pressi del Comune ovve ro all'interno del comune dove il Sindaco era costretto a recarsi per svolgere la sua attività pubblica, mentre per il resto aveva cambiato le sue abitudini di vita, evitando persino di uscire di casa se non dopo avere preso la precauzione di verificare se C. fosse o meno nei pressi. Inoltre è principio consolidato in giurisprudenza quello per cui tra l'imputabilità e il reato corre un rapporto di assoluta indipendenza, nel senso che il reato è configurabile indipendentemente dalla capacità di intendere e di volere del suo autore; dal che consegue la piena autonomia tra le nozioni di imputabilità e colpevolezza (v. Cass. Sez. 1, n. 40808 del 2010 Rv. 248439). Infatti il riconoscimento della diminuente del vizio parziale di mente è pienamente compatibile con la sussistenza del dolo, poichè l'imputabilità, quale capacità di intendere e di volere, e la colpevolezza, quale coscienza e volontà del fatto illecito, costituiscono nozioni autonome ed operanti su piani diversi, sebbene la prima, quale componente natura listica della responsabilità, debba essere accertata con priorità rispetto alla seconda. Chiaramente, anche in ipotesi di reato commesso da un seminfermo di mente, va accertata la sussistenza dell'elemento psicologico, atteso che quest'ultimo non è incompatibile con il vizio parziale di mente, residuando pur sempre, anche nello status di imputabilità diminuita, la capacità di intendere e di volere, la cui diminuzione può però avere rilevanza nei reati a dolo specifico, non in quelli caratterizzati dal dolo generico (v. Cass sez 6 n 9202 del 2000 Rv. 218410). Ma nel delitto di atti persecutori l'elemento soggettivo è integrato proprio dal dolo generico (che consiste nella volontà di porre in essere le condotte di minaccia e molestia nella consapevolezza della idoneità delle medesime alla produzione di uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice, e che, avendo ad oggetto un reato abituale di evento, deve essere unitario, esprimendo un'intenzione criminosa che travalica i singoli atti c he compongono la condotta tipica, anche se può realizzarsi in modo graduale, non essendo necessario che l'agente si rappresenti e voglia fin dal principio la realizzazione della serie degli episodi: v. Cass. Sez. 5, n. 18999 del 2014, Rv. 260411). Non interessa quindi che C. non volesse perseguitare il Sindaco, quando, al di là dei suoi disturbi che non gli impedivano di comprende(...) i suoi gesti, poneva comunque in essere quotidianamente atti di minaccia e di denigrazione nei confronti del Sindaco, per u n lungo periodo di tempo, anche di fronte a cittadini, ad impiegati comunali e persino davanti ai Carabinieri, così da rendersi conto della abitualità della condotta dalla quale non ha desistito neppure davanti agli interventi dei carabinieri. L'appellante contesta ancora la mancanza del reato sotto il profilo materiale della condotta per difetto di prova dello stato di ansia e di paura lamentato dal sindaco e soprattutto di modificazioni della condotta di vita. L'appellante trascura però di considerare che il delitto di atti persecutori cosiddetto "stalking" (art. 612 bis cod. pen.) è un reato che prevede eventi alternativi, la realizzazione di ciascuno dei quali è idonea ad integrarlo; pertanto, ai fini della sua configurazione non è essenziale il mutament o delle abitudini di vita della persona offesa, essendo sufficiente che la condotta incriminata abbia indotto nella vittima uno stato di ansia e di timore per la propria incolumità (v. Cass. Sez. 5, n. 29872 del 2011, rv.250399). Il delitto di atti persecutori è infatti reato abituale, a struttura causale e non di mera condotta, che si caratterizza per la produzione di un evento di "danno" consistente nell'alterazione delle proprie abitudini di vita o in un perdurante e grave stato di ansia o di paura, ovve ro, alternativamente, di un evento di "pericolo", consistente nel fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva (v. Cass. Sez. 3, n. 23485 del 2014, rv. Rv. 260083; v. ancora Sez. 3, n. 9222 del 2015 Rv. 262517). Or(...)bene, il Sindaco ha reso dichiarazioni nelle indagini dove ha spiegato le sue sofferenze e quelle della sua famiglia(...) che, da un certo punto in poi, non aveva più avuto pace e viveva in un clima di grave intimidazione e sofferenza tanto da dovere stare in casa con il telefono staccato e da adottare particolari cautele prima di uscire di casa, evitando di uscire in caso di rischio di impatto con il C.. Non si vede in tale situazione quale altra prova dovesse essere data, considerato che la vittima è certamente teste attendibile ed imparziale, che ha fatto tutto il possibile per evitare l'arresto del C. e che ha reso dichiarazioni coerenti e verosimili, riscontrate dai testi sentiti nelle indagini e dalle stesse veri fiche eseguite dai carabinieri e risultanti dal verbale di arresto. D'altronde il C. ha scelto il rito abbreviato condizionato solo all'espletamento della perizia psichiatrica che ha dimostrato che le caratteristiche di personalità del C. erano coerenti con gli atti persecutori, per cui ha accettato il giudizio nello stato degli atti che consentono di ritenere provato, alla stregua della deposizione di diversi testi attendibili ed imparziali, che il C. abbia perseguitato il Sindaco e la sua famiglia a causa di un banale pretesto, sconvolgendo la sua vita e quella della sua famiglia. Quanto alla dosimetria della pena, essa è stata determinata in misura medio bassa, più prossima al minimo che al massimo edittale, e sono state altresì concesse le attenuanti gen eriche nonostante una rilevante recidiva peraltro già riconosciuta ed applicata in tutte le condanne pregresse anche ai sensi dell'art. 99 comma 4 c.p. E non è vero che si tratti di condanna lontane nel tempo poiché l'ultima condanna definitiva del 2010 riguarda i reati di lesioni e di violazioni di domicilio commessi nel 2005, ma è noto che la lunghezza dei processi non consente un rapido passaggio in giudicato. Inoltre occorre considerare che il C. ha già subito la misura della sorveglianza speciale di pu bblica sicurezza, che peraltro non ha prodotto alcun risultato, così come sono apparsi inutili tutti i benefici che ha ottenuto il C., il quale ha continuato a commettere reati. La pena non è quindi certamente eccessiva ed è stato benevolo anche il giudizi o di equivalenza fra aggravanti ed attenuanti, considerata soprattutto la rilevante recidiva anche specifica. E' infatti noto che in tema di giudizio di comparazione tra circostanze, ove l'imputato sia stato riconosciuto seminfermo di mente, la valutazione comparativa deve prescindere da tale aspetto e dall'alterata percezione della realtà che ha l'agente e deve, invece, tener conto della personalità dell'imputato, espressa nelle modalità comportamentali del reato ed al ruolo rivestito in concreto nella commissione dello stesso (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto legittimo il giudizio di equivalenza tra le aggravanti della premeditazione e dell'aver agito contro l'ascendente con le attenuanti generiche e quella della seminfermità: v. Cass. sez 1 n. 3338 9 del 2013 Rv. 257343) Quanto infine alla richiesta di esclusione della misura di sicurezza, la perizia psichiatrica ha affermato la pericolosità sociale dell'imputato sotto il profilo psichiatrico nel senso di rilevante pericolo che reiteri analoghe condotte criminali. Sussistono quindi i presupposti di cui all'art. 203 c.p. che impongono la applicazione al C. di una misura di sicurezza, che poi è stata applicata dal primo giudice in forma modesta (libertà vigilata), considerato anche che rifiuta le terapie per cui non è neppure ipotizzabile che torni libero nelle stessa situazione anteriore alla detenzione senza alcun controllo di una pericolosità conclamata e già stigmatizzata (prima ancora dell'intervento del perito) attraverso la applicazione della misu ra di prevenzione e del riconoscimento ripetuto della massima recidiva. Ai fini del giudizio di pericolosità sociale, quando si tratti di infermi o seminfermi di mente, il riferimento, contenuto nel comma secondo dell'art. 203 cod. pen., alle "circostanze indicate nell'art. 133" non esclude affatto, ma anzi presuppone che dette circostanze vengano valutate tenendo conto della situazione obiettiva in cui il soggetto, dopo la commissione del reato e l'eventuale espiazione della pena, verrebbe a vivere e ad operare e, quindi, anche della presenza ed affidabilità o meno di presidi territoriali sociosanitari, in funzione delle obiettive e ineludibili esigenze di prevenzione e di difesa sociale alla cui salvaguardia sono finalizzate, ma soprattutto della mancanza di disponibilità del C. a sottoporsi alle terapie di cui ha bisogno per controllare il disturbo di personalità delirante e persecutorio da cui è affetto. L'appello deve essere pertanto respinto perché completamente infondato con le conseguenze di legge sul le spese del grado. P.Q.M. LA CORTE Conferma la sentenza impugnata e condanna C.P. alle spese di questo grado del giudizio. Così deciso in Cagliari, il 8 aprile 2015. Depositata in Cancelleria il 20 aprile 2015.