CAPITOLO 31 Fisica atomica In alcune meduse, ad esempio nella Aequorea victoria mostrata nella fotografia, è presente una particolare proteina, la GFP, dall’inglese Green Fluorescent Protein, che consente loro di emettere luce nell’intervallo del visibile. Questa proteina ha una notevole importanza in campo medico, perché può essere utilizzata come marcatore, ed essendo una proteina naturale è totalmente biocompatibile, non è tossica ed è facilmente smaltibile dall’organismo. In questo capitolo esamineremo le conoscenze attuali sulla struttura dell’atomo, grazie alle quali siamo in grado di spiegare non solo il fenomeno della fluorescenza, ma anche le proprietà chimiche degli elementi e la generazione della luce laser. O ggi si dà per scontato che siamo fatti di atomi, e come noi anche ogni altra cosa sulla Terra. Anche se a prima vista può sembrare sorprendente, la fede negli atomi non è stata sempre così salda. Agli inizi del ventesimo secolo, quindi in un’epoca relativamente recente, la controversia sulla natura microscopica della materia era ancora molto accesa. Con l’avvento della nascita della fisica quantistica, tuttavia, e con la conoscenza sempre più approfondita della struttura atomica, il dibattito volse rapidamente al termine. In questo capitolo analizzeremo anzitutto il modello quantistico del più semplice degli atomi, l’atomo di idrogeno. In seguito mostreremo come le proprietà fondamentali dell’idrogeno valgano anche per atomi più complessi, e come ciò ci consenta di capire in maniera dettagliata la disposizione degli elementi nella tavola periodica. La capacità della meccanica quantistica di descrivere la struttura di un atomo e di spiegare le caratteristiche dei vari elementi è uno dei più grandi successi della scienza moderna. Contenuti 1. I primi modelli di atomo 1081 2. Lo spettro dell’atomo di idrogeno 1082 3. Il modello di Bohr dell’atomo di idrogeno 1085 4. Le onde di de Broglie e il modello di Bohr 1092 5. L’atomo di idrogeno quantistico 1094 6. Gli atomi con più elettroni e la Tavola Periodica 7. La radiazione atomica 1097 1102 1 . I p r i m i m o d e l l i d i a t o m o 1081 1. I primi modelli di atomo Le ipotesi sulla struttura microscopica della materia hanno affascinato il genere umano per migliaia di anni. I filosofi greci dell’antichità, come Leucippo e Democrito, si erano chiesti che cosa sarebbe successo se si fosse preso un oggetto di piccole dimensioni, come un blocco di rame, e lo si fosse diviso a metà, poi ancora a metà, e ancora a metà per tante volte di seguito. La loro conclusione fu che alla fine il blocco si sarebbe ridotto a un pezzettino di rame indivisibile. Questa unità fondamentale di elemento fu chiamata atomo, che significa letteralmente “non divisibile”. Fu solo alla fine del diciannovesimo secolo, tuttavia, che la questione degli atomi divenne oggetto di ricerche scientifiche. Analizzeremo ora lo sviluppo dei primi modelli atomici, evidenziando l’importanza che ebbero per raggiungere la conoscenza che oggi abbiamo sull’argomento. Il modello di Thomson: il “panettone” Nel 1897 il fisico inglese J.J. Thomson (1856-1940) scoprì una “particella” più piccola e migliaia di volte più leggera dell’atomo più leggero. Si scoprì anche che l’elettrone, così fu battezzata la particella, aveva una carica negativa, a differenza degli atomi che sono elettricamente neutri. Perciò Thomson ipotizzò che gli atomi avessero una struttura interna e che questa comprendesse, oltre agli elettroni, una certa quantità di materia carica positivamente. Quest’ultima avrebbe rappresentato la maggior parte della massa dell’atomo e avrebbe dovuto possedere una carica uguale in valore assoluto alla carica degli elettroni. L’idea di atomo elaborata da Thomson è quella che lui stesso chiamò “modello a plum-cake” (o “a panettone”). In questo modello gli elettroni sono dispersi in una distribuzione più o meno uniforme di carica positiva, come l’uvetta nel panettone. Il modello è illustrato nella figura 1. Sebbene fosse in accordo con tutto ciò che a quel tempo Thomson conosceva sugli atomi, il suo modello fu messo ben presto in difficoltà da nuovi esperimenti e fu sostituito con un altro che somigliava più al sistema solare che a un panettone. Il modello di Rutherford: un sistema solare in miniatura Ispirati dalle scoperte e dalle ipotesi di Thomson, altri fisici iniziarono a studiare la struttura atomica. Ernest Rutherford (1871-1937) e i suoi collaboratori Hans Geiger (1882-1945) e Ernest Marsden (1889-1970) (quest’ultimo, all’epoca, ventenne e non ancora laureato) decisero di effettuare un test sul modello di Thomson, inviando un fascio di particelle cariche positivamente, note come particelle alfa, su un sottile foglio d’oro. Le particelle alfa, che in seguito furono identificate come nuclei di atomi di elio, sono cariche positivamente e quindi dovrebbero essere deflesse nell’attraversare il “panettone” positivo costituito dagli atomi del foglio d’oro. Questa deflessione dovrebbe avere le proprietà seguenti: • essere relativamente piccola, poiché le particelle alfa posseggono una massa non indifferente e la carica all’interno degli atomi è distribuita in modo omogeneo; • tutte le particelle alfa dovrebbero essere deflesse più o meno allo stesso modo, poiché il panettone positivo riempie virtualmente tutto lo spazio. Quando Geiger e Marsden effettuarono l’esperimento si accorsero che i loro risultati non erano in accordo con le previsioni: la maggior parte delle particelle attraversavano il foglio d’oro come se questo non ci fosse stato. Era come se gli atomi nel foglio fossero costituiti per lo più da spazio vuoto. Dato che i risultati erano piuttosto sorprendenti, Rutherford suggerì di modificare l’esperimento per cercare non solo le particelle alfa con piccoli angoli di deflessione, come ci si aspettava inizialmente che fossero, ma anche quelle con grandi angoli di deflessione. Il suggerimento si rivelò un’intuizione felice. Non solo si osservarono grandi angoli di deflessione, ma si scoprì addirittura che alcune particelle alfa venivano praticamente rimandate indietro. Rutherford rimase sbalordito e commentò: “Fu incre- Carica positiva Carica negativa ▲ FIGURA 1 Il modello atomico “a panettone” Il modello di atomo proposto da J.J.Thomson consiste di una carica positiva uniforme, responsabile della maggior parte della massa dell’atomo, all’interno della quale gli elettroni, piccoli e carichi negativamente, sono distribuiti come l’uvetta nel panettone. 1082 C A P I T O L O 3 1 F i s i c a a t o m i c a Elettrone – Nucleo + – – ▲ FIGURA 2 Il modello dell’atomo a sistema solare Ernest Rutherford propose un modello atomico simile a un sistema solare, con un nucleo pesante carico positivamente intorno al quale orbitano gli elettroni, leggeri e carichi negativamente. dibile, quasi come se avessi sparato una granata contro un foglio di carta e questa fosse tornata indietro, colpendomi”. Per tener conto dei risultati di questi esperimenti, Rutherford propose che l’atomo avesse una struttura simile a un sistema solare, come è illustrato nella figura 2. In particolare, egli immaginò che gli elettroni, leggeri e negativi, orbitassero intorno a un piccolo nucleo positivo nel quale fosse concentrata quasi tutta la massa dell’atomo. In questo modello nucleare, l’atomo è costituito quasi interamente da spazio vuoto e ciò permette alla maggior parte delle particelle alfa di passare indisturbate. Inoltre la carica positiva dell’atomo è concentrata in un piccolo nucleo, anziché essere distribuita in tutto l’atomo. Ciò significa che una particella alfa che urta frontalmente con un nucleo può realmente essere respinta nella direzione incidente, come era stato osservato negli esperimenti. Per calcolare quanto dovesse essere piccolo il nucleo del suo modello, Rutherford combinò i dati sperimentali con calcoli teorici dettagliati. Il risultato fu che il raggio del nucleo doveva essere inferiore al raggio dell’atomo di un fattore 10 000. Per comprendere meglio le proporzioni, immaginiamo di ingrandire un atomo in modo che il suo nucleo sia grande come il Sole. A quale distanza orbiterebbe un elettrone in questo sistema solare “atomico”? Utilizzando il fattore dato da Rutherford, si trova che l’orbita dell’elettrone dovrebbe avere un raggio simile a quello dell’orbita di Plutone; all’interno di quest’orbita ci sarebbero solo il nucleo e lo spazio vuoto. Perciò la frazione di spazio vuoto in un atomo è persino più grande di quella del sistema solare! Per quanto verosimile, il modello di atomo nucleare di Rutherford presenta dei gravi difetti. In primo luogo, un elettrone che orbita è soggetto a un’accelerazione centripeta verso il nucleo: come sappiamo dal capitolo 29, qualsiasi carica elettrica accelerata emette energia sotto forma di radiazione elettromagnetica. Un elettrone che irraggia energia mentre percorre un’orbita è simile a un satellite che perde energia a causa della resistenza dell’aria quando la sua orbita è troppo vicina all’atmosfera terrestre. Come nel caso del satellite, anche l’elettrone dovrebbe percorrere una spirale e finire per cadere sul nucleo. Dato che l’intero processo di collasso dovrebbe avvenire in una frazione di secondo (circa 10⫺9 s), gli atomi del modello atomico di Rutherford non dovrebbero essere stabili, in aperto contrasto con la stabilità degli atomi che si osserva in natura. Anche ignorando per un momento il problema della stabilità, c’è un’altra importante discrepanza tra il modello di Rutherford e le evidenze sperimentali. Le equazioni di Maxwell stabiliscono che la frequenza della radiazione di un elettrone orbitante deve essere uguale alla frequenza della sua orbita. Nel caso di un elettrone che cade a spirale, la frequenza dovrebbe aumentare continuamente: osservando la luce emessa da un atomo, quindi, secondo il modello di Rutherford dovremmo vedere uno spettro continuo di frequenze. La previsione è in forte contrasto con gli esperimenti, in cui si vede che la luce proveniente da un atomo ha soltanto determinate frequenze e lunghezze d’onda discrete, come vedremo nel prossimo paragrafo. 2. Lo spettro dell’atomo di idrogeno ▲ Le nebulose a emissione, come la Nebulosa Laguna nella costellazione del Sagittario qui raffigurata, sono masse luminose di gas interstellare. Il gas è eccitato dalla radiazione di alta energia proveniente dalle stelle vicine ed emette luce con una lunghezza d’onda tipica degli atomi presenti, primo fra tutti l’idrogeno. Molta della luce visibile proveniente da queste nebulose è formata dalla riga rossa di Balmer dell’idrogeno, nota anche come H-alfa, con una lunghezza d’onda di 656,3 nm. Un pezzo di metallo incandescente brilla di una luce rossastra che rappresenta solo una piccola frazione di tutta la radiazione emessa. Come abbiamo visto nel capitolo 30, il metallo emette una radiazione di corpo nero che si estende con una distribuzione continua su tutte le frequenze possibili. La distribuzione, o spettro, di corpo nero di tale radiazione è caratteristica dell’insieme di atomi di cui è fatto il metallo, ma non dello spettro emesso da un singolo atomo di metallo. Per vedere la luce prodotta da un atomo isolato, spostiamo la nostra attenzione da un solido, dove gli atomi sono vicini e interagiscono fortemente, a un gas a bassa pressione, dove gli atomi sono distanti e interagiscono debolmente. Consideriamo quindi un esperimento in cui un gas a bassa pressione viene chiuso in un tubo. Se applichiamo agli estremi di quest’ultimo una tensione elevata, il gas emetterà una 2 . L o s p e t t r o d e l l ’ a t o m o d i i d r o g e n o 1083 Differenza di potenziale elevata Reticolo di diffrazione Spettro a righe V FIGURA 3 Lo spettro a righe di un atomo La luce emessa dai singoli atomi, come nel caso di un gas a bassa pressione, consiste di una serie di lunghezze d’onda discrete corrispondenti a colori diversi. Gas a bassa pressione radiazione elettromagnetica caratteristica dei singoli atomi di quel gas. Facendo passare tale radiazione attraverso un reticolo di diffrazione se ne ottiene la scomposizione nelle sue diverse lunghezze d’onda, come è indicato nella figura 3. Il risultato dell’esperimento è una serie di “righe” luminose, che ricordano i codici a barre utilizzati nei supermercati. Le lunghezze d’onda esatte associate a ognuna di queste righe costituiscono una sorta di “impronta digitale” che identifica un particolare tipo di atomo, proprio come ciascun prodotto in un supermercato ha un suo codice a barre univoco. Questo tipo di spettro, con le sue righe luminose di diversi colori, è detto spettro a righe. La figura 4a ci mostra l’esempio della parte visibile dello spettro a righe dell’idrogeno atomico. L’idrogeno produce ulteriori righe nelle parti infrarossa e ultravioletta dello spettro elettromagnetico. Lo spettro a righe mostrato della figura 4a è uno spettro di emissione poiché mostra le righe che sono emesse dagli atomi di idrogeno. Analogamente, se una luce contenente tutti i colori dello spettro visibile attraversa un tubo di idrogeno gassoso, alcune lunghezze d’onda vengono assorbite dagli atomi, dando origine a uno spettro di assorbimento formato da righe nere (là dove gli atomi assorbono la radiazione) su uno sfondo luminoso. Le righe di assorbimento corrispondono esattamente alle lunghezze d’onda delle righe di emissione. La figura 4b mostra lo spettro di assorbimento dell’idrogeno. Il primo passo verso l’interpretazione quantitativa dello spettro dell’idrogeno venne compiuto nel 1885, quando Johann Jakob Balmer (1825-1898), un insegnante svizzero, giunse per tentativi alla semplice formula che fornisce la lunghezza d’onda delle righe visibili dello spettro: 1 1 1 b = Ra 2 l 2 n2 n = 3, 4, 5, Á (serie di Balmer) n=3 (nm) 400 500 600 700 a) Spettro di emissione dell’idrogeno n=5 n=4 n=3 (nm) 400 500 600 700 b) Spettro di assorbimento dell’idrogeno ▲ FIGURA 4 Lo spettro a righe dell’idrogeno Gli spettri di emissione (a) e assorbimento (b) dell’idrogeno. Si noti che le lunghezze d’onda assorbite dall’idrogeno (righe nere) coincidono con quelle emesse (righe colorate). La posizione delle righe è quella prevista dalla formula di Balmer con i valori appropriati di n. [1] La costante R presente in questa espressione è detta costante di Rydberg. Il suo valore è: ⫺1 R ⫽ 1,097 ⭈ 10 m 7 n=5 n=4 L ABORATORIO Laboratorio 61 Spettro dell’atomo di idrogeno Ogni valore intero di n (3, 4, 5, …) nella formula di Balmer corrisponde alla lunghezza d’onda l di una riga spettrale ben precisa. Ad esempio, se poniamo n ⫽ 5 nell’equazione [1] otteniamo: 1 1 1 = 11,097 ⭈ 107 m-12 a b 2 l 2 52 Risolvendo in funzione della lunghezza d’onda abbiamo: l = 4,341 ⭈ 10 -7 m = 434,1 nm che corrisponde alla riga bluastra (la seconda da sinistra) nella figura 4a. L’insieme di tutte le righe previste dalla formula di Balmer è chiamato serie di Balmer. Nell’esempio svolto seguente analizziamo in dettaglio la serie di Balmer. AT TENZIONE Calcolare le lunghezze d’onda delle serie di Balmer La formula delle serie di Balmer fornisce l’inverso della lunghezza d’onda e non la lunghezza d’onda. 1084 C A P I T O L O 3 1 F i s i c a a t o m i c a 1 . E S E M P I O S V O LT O La serie di Balmer Determina la lunghezza d’onda massima e quella minima nella serie delle righe spettrali di Balmer. DESCRIZIONE DEL PROBLEMA La figura rappresenta le prime righe della serie di Balmer con i loro colori, utilizzando come riferimento i risultati riportati nella figura 4. La serie di Balmer contiene un numero infinito di righe, indicate dai puntini di sospensione a destra della riga corrispondente a n : q. n ∞ n=5 n=4 n=3 434,1 486,2 656,3 … S T R AT E G I A Sostituendo i valori n ⫽ 3, n ⫽ 4 ed n ⫽ 5 nella formula di Balmer, troviamo che la lunghezza d’onda diminuisce al crescere di n. Perciò la lunghezza d’onda massima corrisponde a n ⫽ 3 e quella minima a n : q. 364,6 Lunghezza d’onda, (nm) SOLUZIONE Per determinare la lunghezza d’onda massima nella serie di Balmer sostituiamo n ⫽ 3 nell’equazione [1]: 1 1 1 5 = R a 2 - 2 b = (1,097 ⭈ 107 m-1)a b l 36 2 3 Invertendo il risultato si ottiene la lunghezza d’onda l corrispondente: l = La lunghezza d’onda minima si ottiene facendo tendere n a infinito 1 o, in modo equivalente, a 2 b : 0. Operando questa sostituzione neln l’equazione [1] si ha: 1 1 1 = R a 2 - 0b = (1,097 ⭈ 107 m-1)a b l 4 2 Invertendo il risultato si ottiene la lunghezza d’onda l corrispondente: l = 36 5(1,097 ⭈ 107 m-1) 4 (1,097 ⭈ 107 m-1) = 656,3 nm = 364,6 nm O S S E R VA Z I O N I La lunghezza d’onda massima corrisponde a una luce visibile rossastra, mentre la lunghezza d’onda minima è decisamente nella zona ultravioletta dello spettro elettromagnetico ed è quindi invisibile ai nostri occhi. P R O VA T U Quale valore di n corrisponde a una lunghezza d’onda di 377,1 nm nella serie di Balmer? [n ⫽ 11] Problemi simili: 5 e 6. TABELLA 1 Le principali serie spettrali dell’idrogeno nⴕ Nome della serie 1 2 3 4 5 Lyman Balmer Paschen Brackett Pfund AT TENZIONE Applichiamo correttamente l’equazione [2] Osserviamo che nell’equazione [2] n ed n⬘ sono interi e che l’intero n deve essere sempre maggiore di n⬘. Dalla figura 5 a pagina seguente si vede che la serie di Balmer non è l’unica serie di righe prodotta dall’atomo di idrogeno. La serie con le lunghezze d’onda più corte è la serie di Lyman, nella quale tutte le righe sono nell’ultravioletto. Analogamente, la serie con le lunghezze d’onda appena maggiori di quelle della serie di Balmer è la serie di Paschen. Le righe di questa serie sono tutte nell’infrarosso. La formula che fornisce la lunghezza d’onda per tutte le serie dell’idrogeno è: 1 1 1 = Ra b 2 l n¿ n2 n¿ = 1, 2, 3, Á n = n¿ + 1, n¿ + 2, n¿ + 3, Á [2] Facendo riferimento all’equazione [1], vediamo che la serie di Balmer corrisponde alla scelta n⬘ ⫽ 2. Analogamente, la serie di Lyman è data dalla scelta n⬘ ⫽ 1 e quella di Paschen corrisponde a n⬘ ⫽ 3. Come vedremo nel corso del capitolo, le serie di linee dell’idrogeno sono infinite, e ognuna di queste corrisponde a una diversa scelta di n⬘. I nomi delle più comuni serie spettrali dell’idrogeno sono elencati nella tabella 1. 3 . I l m o d e l l o d i B o h r d e l l ’ a t o m o d i i d r o g e n o 1085 Serie di Lyman Serie di Balmer Serie di Paschen FIGURA 5 Serie di righe spettrali di Lyman, Balmer e Paschen 100 400 Ultravioletto (nm) 1000 Luce visibile Infrarosso Le prime tre serie di righe spettrali nello spettro dell’idrogeno. Le lunghezze d’onda più corte sono nella serie di Lyman. Non c’è un limite superiore al numero di serie dell’idrogeno o al numero di lunghezze d’onda che possono essere emesse. ESERCIZIO 1 Calcola: a) la lunghezza d’onda più corta nella serie di Lyman; b) la lunghezza d’onda più lunga nella serie di Paschen. [a) sostituiamo n⬘ ⫽ 1 e n 0 : q nell’equazione [2]: 1 1 = Ra - 0b = 11,097 ⭈ 107 m-12 : l = 91,16 nm l 12 b) sostituiamo n⬘ ⫽ 3 e n ⫽ 4 nell’equazione [2]: 1 1 1 7 b = Ra b = 11,097 ⭈ 107 m-12 a 2 2 l 144 3 4 : l ⫽ 1875 nm] Per quanto l’equazione [2] riesca a fornire con successo le varie lunghezze d’onda della radiazione prodotta dall’idrogeno, essa è ancora una formula empirica e quindi non fornisce alcuna informazione sul perché siano prodotte tali lunghezze d’onda e non altre. I fisici atomici del primo periodo del secolo scorso cercarono proprio di derivare l’equazione [2] dai principi fisici fondamentali. Il primo passo significativo in questa direzione costituirà l’argomento principale del prossimo paragrafo. 3. Il modello di Bohr dell’atomo di idrogeno Le conoscenze scientifiche sull’atomo di idrogeno fecero un gigantesco salto in avanti nel 1913, quando Niels Bohr (1885-1962), un fisico danese che aveva conseguito il dottorato appena due anni prima, elaborò un modello che gli permetteva di ottenere l’equazione [2]. Il modello di Bohr coniugava elementi di fisica classica con le idee della fisica quantistica introdotte da Planck e da Einstein circa dieci anni prima. Si trattava, di fatto, di un modello ibrido che consentì di passare dalla fisica classica di Newton e Maxwell alla nascente fisica quantistica. Le ipotesi di partenza del modello di Bohr Il modello di Bohr dell’atomo di idrogeno si basa su quattro ipotesi. Due sono specifiche del suo modello e non si applicano alla visione totalmente quantistica dell’idrogeno che verrà presentata nel paragrafo 5. Le altre due ipotesi sono del tutto generali e non si applicano solo all’idrogeno ma a tutti gli atomi. Le due ipotesi specifiche del modello di Bohr sono le seguenti: • In un atomo di idrogeno l’elettrone si muove su un’orbita circolare intorno al nucleo. ▲ Niels Bohr insieme ad Albert Einstein, in una foto del 1930.