www.gliamicidellamusica.net Pubblicato il 08 Aprile 2017 Tristan un Isolde nella bella messa in scena del regista Guglielmo Ferro Il Register e la Oakes portentosi servizio di Rossana Poletti TRIESTE, Teatro Verdi - Un successo straordinario corona il nuovo allestimento della Fondazione Teatro lirico Giuseppe Verdi di Trieste: Tristan und Isolde di Richard Wagner in lingua originale. Nessuna nota stonata, nessuna cosa fuori posto, niente interviene a disturbare quel lungo, fragoroso, esaustivo applauso che accompagna la fine dell’opera con la morte dei due innamorati. E allora prima di fare qualche riflessione, analizziamo i singoli dettagli. Abbiamo un direttore d’orchestra giovane, Christofer Franklin, che si cimenta per la prima volta con un’opera del compositore tedesco, eppure ne coglie appieno tutte le sfumature e dirige l’Orchestra del Teatro Verdi con sicurezza ed abilità, quasi che con Wagner si fosse confrontato da sempre. Si nota durante l’esecuzione una sua espressione sempre tranquilla e il gesto sicuro, l’orchestra dal par suo gli risponde con altrettanta abilità, rimandando alle parole di Francesco Bernasconi sul libretto: «... entrando a teatro sappiamo che possiamo dimenticare tutto, affidarci alla mano sicura di Wagner e abbandonarci alla sua musica, ed essa ci condurrà ancora una volta nel suo mondo meraviglioso», grazie, aggiungiamo noi, anche ai suoi mirabili esecutori. Gli artisti in scena a partire da Tristano e Isotta, Bryan Register e Allison Oakes, chiamati ad una vera e propria maratona canora, sfoderano voci potenti e nel contempo raffinate, capaci di agire attraverso le difficili tessiture musicali di Wagner. D’altronde una forte poderosità è imprescindibile con il compositore tedesco che pone l’accento sulla sfolgorante passione, sulla difficile battaglia intima per l’ottenimento di questa condizione “impossibile”, perché amore e morte sono inscindibili. Eccelle nel ruolo di Kurwenal il reuccio di casa, il baritono Nicolò Ceriani, che nel terzo atto è chiamato anche al compito di scrivere gli attimi durante i quali Tristano si risveglia, sopravvissuto alla ferita infertagli da Melot, e assieme aspettano la nave che conduce Isotta al suo amato. Ceriani si esprime con il canto ma anche con la gestualità, con il linguaggio del corpo, con una mimica che deve sottendere all’amore per il suo padrone, alla dolorosa attesa che condivide con lui e che lo porterà alla morte. Ma torniamo ai due protagonisti. Allison Oakes è l’ Isotta cupa del primo atto, quando medita la morte assieme a Tristano, per vendetta, ancora inconsapevole del sentimento verso di lui: l’eroe del Re Marke ha ucciso il suo fidanzato Moroldo; ferito da quest’ultimo è stato curato da lei, che gli ha fatto giurare di non farsi più vedere, ed ora Tristano è tornato per condurla sposa al vecchio re di Cornovaglia. Un filtro magico farà scoppiare l’amore, invece di ucciderli, perché Brangania, la sua ancella, l’avrà nel frattempo sostituito al veleno. La Oakes è poi, nel secondo atto, la ragazza perdutamente innamorata che rincorre l’amante tra i tronchi di un bosco, nella notte che nasconde il loro prepotente amore. Conclude con un inno alla passione e alla morte il terzo atto e l’intera opera, con un’interpretazione che lascia il pubblico senza fiato nell’attesa dell’ultima nota finale che chiuderà il sipario. Bryan Register anch’egli esplode in tutta la sua potenza e straordinaria vis interpretativa quando, nel terzo atto, al risveglio nel suo castello di Bretagna, chiede insistentemente di lei, immerso in un folle e delirante assolo che alterna a brevi dialoghi con Kurwenal, mentre si avvia lentamente a morire attendendo Isotta. Riuscirà a pronunciarne solo il nome tra le sue braccia. Ottimi anche tutti gli altri protagonisti dalla Brangania di Susanne Resmark, ad Alexey Birkus, re Marke, e il Melot di Motoharu Takei, a cui si aggiungono Andrea Schifaudo, Dax Velenich e Hitoshi Fujiyama. Detto della bella regia di Guglielmo Ferro, un’ultima annotazione per le scene di Pier Paolo Bisleri: nel primo atto siamo sul vascello che conduce Isotta in Cornovaglia, l’azione si svolge attorno al grande albero della barca, imponente, mentre sul fondo si staglia il mare, un’immagine reale di mare aperto. Per la scena dei veleni e dei filtri magici cala dal soffitto una piccola stanza dorata su cui troneggia lo scrigno con le pozioni, una piccola cabina di fantasia in un medioevo anch’esso fantasioso. Nel secondo atto l’azione si sposta in un bosco; alti tronchi, di cui non si vedono cime frondose, invadono la scena mentre nell’ultima parte dello spettacolo ci troviamo in un interno di castello sovrastato da scale aeree, sulle quali le vedette scrutano il mare. Su tutto si stende il grigio scuro, la condizione della notte in cui l’amore sprofonda verso la morte. Solo poche luci illuminano i personaggi creando inquieti chiaroscuri. Anche i costumi di Virginia Carnabuci hanno lo stesso colore, solo Isotta veste di bianco e con il drappo del suo vestito si abbandonerà alla morte usandolo per coprire il corpo suo e di Tristano. Difficile in poche parole descrivere Wagner e la sua opera, ciò che lo influenzò e ne determinò musica e testi che lui stesso scriveva: gli strascichi dello Sturm und Drang , che aveva contribuito alla nascita e ai contenuti del Romanticismo tedesco, la visione pessimistica di Schopenhauer, ma anche e forse soprattutto le sue esperienze vive sull’amore, il bisogno di rincorrere una felicità caduca che lo portò ad innamorarsi, sposare e tradire diverse donne, soddisfacendo così la teoria del filosofo amico che vuole l’amore morto nel momento stesso in cui questo si consuma. Tristan und Isolde sarà in scena al Teatro Verdi di Trieste fino a sabato 15 aprile. Crediti fotografici: Fabio Parenzan per il Teatro Giuseppe Verdi di Trieste Nella miniatura in alto: il giovane direttore Christofer Franklin Al centro: Susanne Resmark (Brangane) e Allison Oakes (Isolde); ancora la Oakes e Bryan Register (Tristan) Sotto: una bella istantanea di Fabio Parenzan sull'allestimento triestino