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Eventi Scala Venerdì 7 Dicembre 2007 Corriere della Sera
IN SCENA Waltraud Meier (Isotta) e Gerd Grochowsky (Kurwenal) durante le prove del «Tristano e Isotta» (foto Brescia). La prima sarà trasmessa sul canale Classica di Sky, per l’occasione accessibile a tutti gli abbonati
LA
GENESI
COSÌ IL TEMA DELL’ AMORE PROIBITO IRROMPE ANCHE NELLA
VITA DI WAGNER
TRISTANO E ISOTTA, NON FU SOLO ARTE
DI ENRICO GIRARDI
O
ve si tenga per buona la distinzione tra Opera e Dramma musicale
come Wagner stesso la suggerì — le prime (anche cronologicamente parlando) suddivise in numeri musicali, i secondi concepiti come un tutt’uno —, il
catalogo teatrale dell’autore si compone, lavori d’apprendistato a parte, di tre
«Grandi Opere Romantiche» («Die fliegende Holländer», «Tannhäuser» e
«Lohengrin») e sette Drammi musicali.
«Tristan und Isolde», come terzo «e
mezzo» di questi ultimi, si pone dunque al pieno centro della parabola creativa del Wagner maturo.
Ma perché terzo «e mezzo»? Perché
nel giugno 1857, giunto ormai quasi alla fine del secondo atto di «Siegfried»,
terzo titolo del «Ring des Nibelungen»
dopo «Das Rheingold» e «Die
Walküre», Wagner decise di interrompere la composizione del monumentale ciclo per dedicarsi anima e corpo al
soggetto ricavato dalla leggenda cortese medievale che aveva letto tre anni
prima nella versione di Gottfried von
Straßburg. «Siegfried» rimase poi addormentato sotto un tiglio per ben 12 anni,
durante i quali venne alla luce anche
«Die Meistersinger von Nürnberg».Due
«incontri» in questi anni lasciarono un
segno profondo sulla sua identità di uomo e d’artista. Il primo è quello con il
pensiero di Schopenhauer, di cui lesse
«Il mondo come volontà e rappresentazione» per merito dell’amico Georg Herweg, l’altro è l’incontro assai più concreto con Mathilde, moglie di Otto Wesendonck, un commerciante zurighese
suo ammiratore che per permettergli di
lavorare tranquillo gli aveva messo a disposizione una villetta e considerevoli
prestiti in denaro. Fu il classico amore a
prima vista, una relazione sul cui corso
non v’è biografo che non abbia ricamato ogni sorta di «gossip» immaginabile.
È anche vero però che se l’influenza di
Schopenhauer è ravvisabile in ogni piega dell’opera, l’influenza di tale passio-
ne va sempre filtrata alla luce dell’estetica del tempo. Era infatti Wagner il più
classico degli artisti romantici, uno di
quelli al cui riguardo è sempre bene domandarsi se fosse l’arte a essere influenzata dalla vita piuttosto che questa da
quella. In altre parole, non pare improbabile ipotizzare che il geniale musicista non compose «Tristano» perché innamorato della bella svizzerotta, ma
che si fosse innamorato perché stava
componendo «Tristano».
Certo è che quella era relazione destinata a sublimarsi in sacrificio e rinuncia. Le convenienze sociali — le stesse
che Wagner aveva minato alla base con
l’esaltazione dell’amore incestuoso dei
gemelli Siegmund e Sieglinde in «Walkiria» — avrebbero presto imposto le loro
leggi. Le relazioni con il tema dell’Inno
alla notte, come luogo e tempo dell’assoluto — e della morte, quale sua eternizzazione —, sono evidenti. Arte e vita
LA FILOSOFIA INTERVISTA A MASSIMO
sembrano combaciare. Ma Richard e
Mathilde, diversamente da Tristano e
Isotta, non si rinchiudono in una grotta
per celebrare il rito dell’amore, né aspirano al Nulla, né tantomeno si trasfigurano nella Morte. Lui, anzi, lavora alacremente. Di solito usava un metodo
collaudato in tre tappe: stesura del testo in prosa, versificazione e composizione musicale. Nel caso di «Tristano»
invece lavora atto per atto in tre distinti
Relazione impossibile
Si invaghì di Mathilde, moglie del suo
mecenate. Ma invece che anelare al
Nulla, si gettò anima e corpo nel lavoro
getti creativi. Al primo atto attende a Zurigo dal giugno 1857 all’estate del ’58; al
secondo a Venezia dall’autunno 1858 al
marzo 1859; al terzo a Lucerna dal marzo all’agosto ’59. Poi dovrà dannarsi
per trovare un interlocutore disposto a
finanziare un allestimento. Progetti falliti a Karlsrühe e a Vienna, finché entra
in scena Luigi II re di Baviera, che si dimostra ancora una volta protettore e
mecenate del musicista e il 10 giugno
1865 l’opera va in scena al Teatro di Corte di Monaco sotto la direzione di Hans
von Bulow.
Un’opera semplice e lineare, con pochi personaggi, senza eccessivo ingombro spettacolare, popolare nella sua lirica assolutezza e dunque facile a circolare sul palcoscenico: così Wagner confidava a Liszt che avrebbe voluto «Tristan». Ed è a partire da tale considerazione molto pratica che va letto il processo di semplificazione cui l’autore sot-
topose la leggenda del ciclo arturiano.
Di lì probabilmente l’idea di trasformare buona parte dell’azione in un antefatto che vive tutto nel ricordo dei due
amanti (e dei rispettivi «confidenti» Kurwenal e Brangäne), lungo il primo atto. Un atto dunque, il primo, tutto rivolto al passato: Tristan che ferisce mortalmente in battaglia il promesso sposo
della principessa d’Irlanda, rimanendone ferito a sua volta; Isolde che lo cura
amorevolmente pur riconoscendo in
lui il carnefice; Tristan che torna in Irlanda a prendere Isolde come bottino
di guerra per il suo re. Il presente sarà
poi il tempo del secondo atto: il congresso notturno degli amanti, il desiderio di morte, la corte che li scopre, il
nuovo ferimento di Tristan. Il terzo naturalmente sarà tutto volto al futuro: Tristan che attende, gli amanti che assolutizzano il loro amore nella notte eterna
della morte.
CACCIARI
Con Schopenhauer e Nietzsche una storia di «malintesi»
DI FABIO CUTRI
A
Lipsia, all’università, studia Schelling. Negli anni Quaranta si appassiona a Platone, Aristotele, Hegel. Diventa poi un fervente feuerbachiano. Ma l’incontro decisivo di
Wagner è con Schopenhauer: a lui — ammette — deve
l’ispirazione delle figure di Tristano e Isotta.
Professor Cacciari, che cosa trovò di illuminante il
compositore nella lettura del «Il mondo come volontà e
rappresentazione»?
«Come altri della sua epoca, era particolarmente attratto
dal tema della noluntas , della volontà di vita che arriva al
suo acme proprio nella negazione di se stessa. Il venir meno, la notte, la morte sono i temi più insistiti del "Tristano".
Quello di Wagner è però uno Schopenhauer tutto riletto in
chiave erotico-patetica, mentre nel filosofo l’amore è inteso come compassione».
Anche l’adorazione che Nietzsche prova per Wagner è
legata a Schopenhauer?
«Tutt’altro: in Wagner Nietzsche non coglie l’elemento
estatico-ascetico ispirato da Schopenhauer, vede piuttosto
la rinascita del teatro nell’accezione classico-dionisiaca di
cui parla nella "Nascita della Tragedia". È un’ammirazione
basata su un colossale — e geniale — fraintendimento».
Che cosa scatena il successivo e violento rinnegamento di Wagner da parte di Nietzsche?
«Ecco, Nietzsche si avvede appunto dell’ispirazione schopenhaueriana, cioè della tendenza ascetico-estatica che
permea l’opera wagneriana. Succede man mano che il filosofo matura la sua critica alla metafisica: la volontà di po-
Il misticismo cristiano
Fu uno dei temi che lo
separò dai due pensatori
tenza nicciana sta agli antipodi di una volontà che si nega.
Oltre a ciò, Nietzsche vede emergere in Wagner il misticismo cristiano, altra cosa che detesta profondamente».
Dunque gli atteggiamenti critici del filosofo e del compositore nei confronti del Cristianesimo non hanno nessun tratto in comune?
«Nessuno. Anche perché il Cristianesimo in Wagner si
mescola a mitologie germaniche, e ciò dà a Nietzsche ancora più fastidio. Non c’è infatti nessun altro filosofo che abbia scritto contro i tedeschi cose tanto dure quanto lui. Si
badi, però: la critica nicciana al Cristianesimo è tutt’altro
che semplice "filosofia del martello", non si limita ad essere
distruttiva. È assai più complessa e profonda di quella che
ad esempio continua a intendere papa Ratzinger: basta leggere ciò che Nietzsche scrive di Gesù».
C’è poi la questione dell’antisemitismo a dividerli.
«Una distinzione netta e radicale, semplicemente perché
Nietzsche non ha nulla a che fare con l’antisemitismo. La
sua è una critica all’intera tradizione giudaico-cristiana: se
lui è antisemita, beh, allora anche Simone Weil lo è».