3 giugno 2015
Zubin Metha e l'Orchestra del
Maggio aprono il Ravenna Festival
2015
Il 4 giugno un avvincente concerto sinfonico al Pala De
Andrè
La ventiseiesima edizione di Ravenna Festival si apre giovedì 4 giugno con un
avvincente concerto sinfonico - alle 21, nell’ormai storico Pala De André – che
vedrà il ritorno di Zubin Mehta sul podio della “sua” Orchestra del Maggio
Musicale Fiorentino che dirige esattamente da trent’anni. In cartellone un
programma classico-romantico che si aprirà con l’Ouverture “Leonore n.3” di
Beethoven; seguiranno il decadente “Preludio e morte di Isotta” di Wagner e la
struggente sinfonia n.6 di ?aikovskij “Patetica”.
Zubin Mehta torna a Ravenna per la sesta volta: la prima partecipazione risale
al 1991, nella seconda edizione del festival, quando diresse il Maggio
Musicale Fiorentino sul palcoscenico allestito alla Rocca Brancaleone; il
programma comprendeva composizioni di Boccherini/Berio, Beethoven e
Berlioz. Tra gli altri appuntamenti va anche ricordata l’edizione del 2009, che
ha propose al pubblico una “diretta” da Valencia, con la proiezione su maxi
schermo del dramma musicale di Wagner “La valchiria”, con Plácido Domingo
e Jennifer Wilson e La Fura dels Baus. In quell’occazione Mehta dirigeva
l’Orquestra de la Comunitat Valenciana.
“Fidelio” è l’unico lavoro teatrale del maestro di Bonn. Viene composta quando
l’autore è al culmine della propria esperienza e maturità artistica; ed è una
conferma del genio creativo di Beethoven. Eppure la prima versione del
“singspiel” fu un insuccesso e furono necessarie due riscritture per arrivare
all’edizione finale del 1814. «Di tutte le mie creature, il Fidelio è quella la cui
nascita mi è costata i più aspri dolori, quella che mi ha procurato i maggiori
dispiaceri. Per questo è anche la più cara; su tutte le altre mie opere, la
considero degna di essere conservata e utilizzata per la scienza dell’arte»:
così Ludwig van Beethoven presentava la sua unica opera, con una trama
incentrata sulla lotta contro la tirannia e la ricerca della giustizia, messa in
scena in una Vienna appena occupata dalla truppe napoleoniche. Il segno più
evidente del lungo travaglio compositivo è costituito dalle quattro ouverture. Fu
Mahler, per primo, ad avviare la tradizione di suonare la “Leonore n.3” come
sontuoso preludio al Finale di “Fidelio”. Beethoven non lo avrebbe mai
immaginato (e forse nemmeno approvato). Perché il gesto era eccentrico, non
conforme al canone teatrale che voleva l’Ouverture (o Sinfonia, in Italia) come
brano messo a cappello di un atto d’opera: come esordio, non per spezzarlo in
due. Eppure Mahler con questa audacia, decisamente non filologica e subito
seguita “in primis” da Toscanini, fece brillare la “Leonore n.3” assai più delle
tre sorelle, le “Leonore n.1, n.2 e n.4”. Collocandola in un contesto non
ortodosso, le consegnò fama e applausi, contribuendo alla pratica successiva
di farla eleggere tra le pagine preferite per aprire il programma di un concerto.
La prima esecuzione del “Preludio e Morte di Isotta” ebbe luogo a Praga, il 12
marzo 1859, sotto la direzione di Hans von Bülow. L’anno dopo, il 25 gennaio
1860, il dittico venne presentato a Parigi, questa volta con Wagner a reggerne
le fila. Per ascoltare il “Tristano e Isotta” completa bisognerà attendere il 10
giugno 1865, a Monaco. Sul podio, anche questa volta, salì ancora von Bülow,
che Wagner riteneva l’unico in grado di dirigere le sue opere. Era stato
proprio lo straordinario compositore e autore di Lipsia a ideare l’accostamento
in un unico pezzo sinfonico dei due brani strumentali che stanno all’inizio e alla
fine del “Tristano e Isotta”, appunto il preludio e la morte di Isotta, per le
esecuzioni in forma di concerto. Di fatto si tratta di due pagine estremamente
rappresentative di tutta l’opera, che ne condensano in modo efficace il
significato più riposto conducendo l’ascoltatore dalle più struggenti sensazioni
di una passione d’amore violenta e totale (l’intensità espressiva del preludio,
con il suo incessante crescendo drammatico, il suo fatale ripiegarsi verso dolci
abbandoni e malinconici presagi) fino al grande finale della trasfigurazione di
Isotta accanto al corpo senza vita di Tristano, con l’inno alla morte che
conclude il dramma. Le tensioni armoniche, la trama febbrile delle polifonie, i
colore acceso dello strumentale, il cromatismo esasperato e il giro
caleidoscopico delle modulazioni, fanno di questo brano un preciso punto di
riferimento per tutta l’evoluzione del linguaggio musicale moderno.
Il 16 ottobre 1893 ?aikovskij sale per l’ultima volta sul podio dell’Orchestra di
San Pietroburgo. Nove giorni dopo, il 25 ottobre, muore, suicida, a 53 anni. Il
programma che aveva scelto per quella che, probabilmente, sapeva sarebbe
stata l’estrema apparizione in pubblico, rappresentava un preciso disegno:
l’addio alla vita, il drammatico racconto di una storia privata, la consegna della
più recente composizione sinfonica accostata a una antologia di danze. Una
scelta non casuale, naturalmente: lui che aveva inventato la musica per
balletto con uno stile erede delle grandi conquiste sinfoniche dell’Ottocento,
qui si inchinava al grande Maestro del teatro del Settecento. Le danze erano
infatti quelle dell’“Idomeneo re di Creta” di Mozart. D’altra parte la “Sinfonia
n.6 in si minore” ha in sé un omaggio al capolavoro del genio di Salisburgo
rimasto incompleto, il “Requiem” appunto. Se ?aikovskij non lo disse
esplicitamente, lo chiarì a se stesso annotando il programma di massima su
un foglio: «Il motivo sotterraneo è la Vita, con la sua antitesi in essa
connaturata: il primo movimento è soltanto passione, fiducia, slancio vitale; il
secondo movimento raffigura l’amore; il terzo la fine delle illusioni per
l’incalzare minaccioso delle forze del male; il quarto è la Morte, cioè
l’annientamento della Vita». Le sconcertanti battute iniziali del primo
movimento, introdotte dal fagotto e dai contrabbassi, ritornano infatti nelle
ultime note, che imitano un cuore che pian piano si spegne. Un finale
clamorosamente diverso da quelli tipici di ?ajkovskij, sempre tendenti al
climax; e così sorprendente e impressionante che il pubblico in sala, durante
la prima esecuzione, non riuscì a sciogliersi in un applauso se non troppo
tardi, decretando un mezzo insuccesso che rinforzò senz’altro le intime
convinzioni del suo autore, forse persuaso che anche il pubblico, da sempre
dalla sua parte, non riuscisse più a capirlo.
Due settimane dopo la morte di ?aikovskij, a Pietroburgo la “Patetica” venne
eseguita per la seconda volta. Sul podio c’era un amico del compositore, il
grande direttore Eduard Nápravnik, e molti del pubblico erano gli stessi che
avevano seguito poche settimane prima il debutto della composizione. In tutti,
a quel punto, fu chiaro il destino di morte che quelle note portavano con sé. La
confessione di una fine consapevolmente accettata e affidata per sempre alla
musica.
Il concerto inaugurale è stato realizzato grazie al contributo di Eni.
Collegamento sorgente: http://www.ravenna24ore.it/news/ravenna/0057679-zubin-metha-elorchestra-del-maggio-aprono-ravenna-festival-2015