I
l Seicento aveva rappresentato il punto più alto del modello assolutistico monarchico e di quell’assetto particolare della società e dei poteri che gli storici
chiamano Ancien régime. Il suo crollo sarebbe avvenuto alla fine del Settecento. L’età delle rivoluzioni si aprì, paradossalmente, a spese dell’Inghilterra, la
nazione che aveva anticipato tutte le altre nel cercare e trovare la sua strada verso
la modernità. La ribellione delle sue colonie nell’America del Nord non fu solo la
nascita di una nazione destinata, nei secoli successivi, a diventare la più grande
potenza mondiale, ma anche il trionfo degli ideali illuministici. La Francia, il paese
che invece aveva negato ogni ipotesi di riforma, conobbe direttamente l’esplosione della furia rivoluzionaria. La grande paura scaturita dalle esaltanti giornate del
1789 si sarebbe trasformata presto in un incubo per altri gli Stati assoluti europei.
Specialmente quando Napoleone, il figlio prediletto della Rivoluzione francese, la
esportò con la forza dei suoi cannoni. Nel giro di un quarto di secolo il mondo non
fu mai più uguale a quello che era stato in precedenza.
Il Settecento: l’età
delle rivoluzioni
Per orientarti
1750
1800
1756-1763
1756-1763
C3
Guerra dei Sette Anni
C3 C 4
fase popolare
Guerra dei Sette Anni
1789-1792
Da ricordare
C 3
70
1789-1796
1775-1783 C 3 Guerra di indipendenza americana
1764-1765
C 3
La madrepatria impone nuove
tasse ai coloni americani
© Loescher Editore – Torino
1776
Dichiarazione di indipendenza
delle colonie americane
1770-1789
1774
C 4 Primo Congresso respinge i
Ripetute carestie
e aumento dei prezzi 1773 provvedimenti del Parlamento inglese
in Francia
C 3 Protesta del Boston Tea Party
C 4
C 3
C 3
1789-1799
C4
Washington primo presidente degli Stati Uniti
C4 C 5
Rivoluzione francese 1799-1815
fase
1792- 1795-1799
borghese 1794 C4 Direttorio
C4 C 5
1787
1793-1794
ostituzione degli
C
C4 Terrore giacobino
Stati Uniti
1789
1792
C 4 5 maggio: si aprono
C4 Colpo di Stato giacobino
gli Stati Generali
14 luglio: presa della Bastiglia
1789
17 giugno:
si apre l’Assemblea nazionale
C 4
C 4
1793
E secuzione
di Luigi XVI
1797
C 5
1799-1804
C 5
Età napoleonica
C 5
Napoleone primo Console 1804-1815
Trattato di Campoformio
1796-1799
C 5
C 5
Impero napoleonico
1808-1815
C 5 Declino del predominio
napoleonico in Europa
1804
1815
C 5 Battaglia di
C 5 Napoleone imperatore
Waterloo
1804
C 5
odice
C
napoleonico
R epubbliche giacobine
Costituzione: la Francia diventa una monarchia costituzionale
1791
C 4
1815
C 3
1812
ampagna di Russia
C
di Napoleone
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71
L’indipendenza americana
e la nascita degli Stati Uniti
3.1 Le colonie inglesi
a
d
in America
a
Lago
Michigan
Lago
Huron
L. Ontario
Boston
New York
L. Erie
Détroit
Sa
Vermont
New Hampshire
nL
ore
Montréal
Lago
Superiore
nzo
Québec
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n
sach use
a
New York
Pennsylvania
Filadelfia
Baltimora
Washington
Le prime fasi della
colonizzazione in America
settentrionale
M as
C
Rhode Island
Connecticut
New Jersey
Delaware
Maryland
Virginia
io
Oh
North Carolina
South
Carolina
Georgia
Oceano
Atlantico
Charleston
Florida
Le tredici colonie inglesi in America settentrionale
Esploratori inglesi di fronte a un villaggio indiano dell’Illinois, XVII secolo.
All’inizio del Seicento, l’America settentrionale era abitata da circa un milione di
quelli che gli europei chiamavano «indiani»
o «pellirosse». Essi erano divisi in diverse
tribù, in prevalenza nomadi: a seconda del
territorio in cui erano insediate, traevano il
loro sostentamento dalla pesca (soprattutto
del salmone) nei fiumi e nei laghi settentrionali, dalla caccia al bisonte nelle immense
praterie centrali e dalla coltivazione del
mais nelle aree meridionali. Agli occhi degli
europei lo stile di vita di queste popolazioni
era piuttosto primitivo: non conoscevano la
scrittura, non costruivano città e adoravano
gli spiriti della natura e degli antenati.
Se già gli spagnoli e i portoghesi non avevano esitato a impadronirsi delle ricchezze
e delle terre delle evolute civiltà del Centro
e Sud America, a maggior ragione mercanti
e coloni francesi, spagnoli, olandesi e inglesi
consideravano un loro diritto naturale fondare basi mercantili e avamposti militari lungo le coste atlantiche del continente. E, a differenza di quanto era accaduto per l’America
meridionale, spartita tra Spagna e Portogallo
con il trattato di Tordesillas del 1494, per tutto il XVI secolo queste terre non furono dichiarate proprietà esclusiva di nessuno Stato
europeo. Tra 1590 e 1620 europei di diverse
nazionalità si insediarono sulle coste nordamericane e ampliarono i loro possedimenti
nell’entroterra. Nel 1607 alcuni mercanti
inglesi fondarono una colonia che prese il
nome di Virginia (in onore della regina Elisabetta I, conosciuta anche con il soprannome
di Regina Vergine). Nel 1626 gli olandesi fon-
darono sul fiume Hudson la città di Nuova
Amsterdam: presto conquistata dagli inglesi, in onore di Carlo Stuart – duca di York e
re d’Inghilterra dal 1685 – venne ribattezzata
New York. In quegli anni i francesi occuparono territori sempre più vasti del Canada,
mentre gli spagnoli, risalendo dal Messico, si
impadronirono di alcune regioni interne.
La nascita delle tredici
colonie inglesi
Per un lungo periodo gli europei cercarono semplicemente di incrementare i propri
scambi con gli indiani: si trattava di un commercio molto vantaggioso per i mercanti,
che in cambio di semplici prodotti delle
industrie del nostro continente ricevevano
pellicce, legname, oro e argento.
Nel corso del Seicento, invece, francesi e
inglesi cominciarono a emigrare in America
in gruppi sempre più numerosi in cerca di
terre in cui trasferirsi e iniziare una nuova
vita. Dall’Inghilterra partirono intere famiglie di contadini o borghesi che fuggivano
verso il Nuovo Mondo per sottrarsi alla povertà o alle tormentate vicende politiche del
loro paese. L’11 novembre 1620 sbarcarono
sul suolo americano dalla nave Mayflower 102 cittadini inglesi: sono considerati
i primi veri coloni americani (chiamati per
questo i Padri Pellegrini), poiché fino a quel
momento si erano creati solamente avamposti governativi e militari o puramente
commerciali. Tra 1620 e 1630 giunsero in
America settentrionale dall’Inghilterra molti puritani, cioè protestanti calvinisti che in
patria avevano sofferto la supremazia della
Chiesa anglicana e volevano ora creare in
America delle comunità basate sulla propria
fede religiosa. Costoro erano alla ricerca di
una terra di completa libertà dove costruire un mondo nuovo basato sulla giustizia e
sull’autentico spirito religioso.
L’emigrazione crebbe nel periodo del
dominio di Cromwell sull’Inghilterra (cioè
verso la metà del secolo): ai puritani e agli
esponenti più estremisti della contestazione
anti-episcopaliana (spesso animati da sentimenti antimonarchici e repubblicani) si
unirono infatti molti cavalieri filomonarchici
sconfitti nella guerra civile. Questa umanità
composita, organizzata inizialmente in comunità chiuse, ciascuna delle quali caratterizzata dall’appartenenza a un movimento
Il predicatore quacchero inglese William Penn firma con gli indiani irochesi il trattato che
sancisce la nascita della colonia della Pennsylvania, seconda metà del XVII secolo.
religioso o a una comune ideologia politica,
fondò le colonie del cosiddetto New England
(«Nuova Inghilterra»): Massachusetts, New
Hampshire, Connecticut e Rhode Island.
[Testimonianze  documento 1, p. 148]
Non si trattava dunque di coloni guidati
e assistiti nei loro nuovi insediamenti dalle Compagnie commerciali o dalle autorità
dello Stato inglese: anzi, l’interesse del governo nei confronti di queste colonie crebbe
solo in un secondo tempo, cioè man mano
che esse si strutturarono. Solo nella seconda
metà del XVII secolo Londra fece davvero valere la propria autorità su queste comunità.
Da allora altri immigrati si insediarono
più a sud e sorsero altre colonie abitate in
grande prevalenza da inglesi. Alla metà del
Settecento esse erano diventate tredici: a
quelle del New England si erano aggiunte
New York, Pennsylvania, New Jersey, Delaware, Maryland, Virginia, North Carolina,
South Carolina e Georgia.
I rapporti con la madrepatria
I sovrani inglesi si limitarono a riconoscere
di volta in volta la nascita delle diverse colonie. Essi concessero agli abitanti il privilegio
© Loescher Editore – Torino
72
1750
pp. 60, 218
© Loescher Editore – Torino
XVII-XVIII sec. Colonie nordamericane al centro della tratta degli schiavi
XVIII sec. Finanze francesi in grave difficoltà
1773 Thomas Paine pubblica Common Sense
1796 Jenner scopre il vaccino contro il vaiolo
1815
73
2
3
Il Settecento: l’età delle rivoluzioni
notabile: termine
che indica una persona
importante e autorevole,
generalmente benestante.
dell’appartenenza alla comunità dei sudditi
sottoposti alla corona. Perciò, almeno formalmente, i cittadini inglesi che vivevano
in America erano titolari degli stessi diritti
giuridici dei sudditi che continuavano a vivere nelle isole britanniche. A rappresentare
gli interessi della corona e del Parlamento
inglese in ciascuna colonia era un governatore, nominato da Londra. Ciascun governatore nominava propri consiglieri e formava con uomini di sua scelta un’assemblea di
notabili in rappresentanza dei coloni.
Non si poteva, tuttavia, ignorare l’autonoma organizzazione che gli emigranti si erano dati nel fondare le loro nuove comunità.
Essi, infatti, si ispiravano allo stesso principio che trionfò in patria con la Gloriosa rivoluzione del 1689: la giusta forma dello Stato
deve essere stabilita attraverso un accordo
tra i cittadini e un «contratto» con i loro governanti, che esercitano i propri poteri con
il consenso dei governati. Perciò le colonie
si erano date, sul modello parlamentare,
delle autonome assemblee rappresentative
(dette «Camere basse» per distinguerle dalle
«Camere alte», quelle composte da notabili
scelti dal governatore). Queste assemblee,
di gran lunga le più influenti, erano elette
democraticamente dai coloni stessi. Qui si
esercitava il vero potere legislativo: i rappresentanti che vi sedevano venivano eletti dai
coloni più ricchi, come avveniva per la Camera dei Comuni del Parlamento inglese. La
percentuale di abitanti che avevano diritto
di voto nelle colonie era tuttavia più ampia
di quella prevista in patria: costituivano, infatti, nelle diverse colonie, tra il 50 e il 70%
della popolazione adulta maschile. Ogni colonia si dava quindi le proprie leggi e godeva
di una certa libertà politica. Questa veniva
rispettata da Londra, dove tuttavia non era
prevista l’elezione di rappresentanti dei coloni americani nel Parlamento inglese.
La maggiore democraticità e la più intensa
partecipazione politica che si registrava nelle colonie americane si basavano su modelli
che risalivano ai tempi della prima fase delle
emigrazioni dalla madrepatria. I Padri Pellegrini, per esempio, avevano stipulato tra
loro un libero patto tra eguali detto Mayflower Compact («accordo del Mayflower»), nel
quale dichiaravano la loro unione per motivi
religiosi, la loro fedele appartenenza al regno inglese, la loro volontà di creare (nella
colonia che fu poi detta Massachusetts) una
società libera fondata sull’accordo e sulla
partecipazione di tutti al bene comune. Un
analogo patto era fissato nei Fundamental
Orders («Ordinamenti fondamentali») sottoscritti dagli emigranti che nel 1639 avevano
fondato la colonia del Connecticut.
Questi liberi patti federativi erano l’anima ispiratrice delle istituzioni e delle tradizioni politiche delle colonie americane. E
Londra non poteva che riconoscere le libere
istituzioni che traevano ispirazione da questi principi.
Nel corso del Settecento, quindi, l’America settentrionale sottoposta alla corona
inglese era una società quasi del tutto priva della divisione in classi tipica dell’Ancien
régime : ordinamenti e consuetudini riconoscevano pari diritti e doveri a tutti i cittadini,
ciascuno dei quali doveva a se stesso la pro-
pria fortuna (una concezione fortemente
motivata dall’etica del lavoro calvinista )
e si vedeva riconosciuta dalle autorità locali pari dignità con qualsiasi altro cittadino
della colonia.
Dinamismo sociale
e demografico
Sfruttando le straordinarie risorse naturali
del territorio e facendo leva sullo spirito di
intraprendenza degli abitanti, l’economia
delle tredici colonie inglesi registrò un costante progresso. Basti pensare che all’inizio del Settecento gli abitanti erano circa
250.000, mentre intorno al 1775 erano diventati quasi due milioni e mezzo. Questa
crescita impressionante era in parte dovuta
al costante flusso di immigrazione proveniente dall’Europa (ancora inglesi, ma anche irlandesi, tedeschi e ugonotti francesi,
e non bisogna dimenticare i circa 500.000
schiavi deportati dall’Africa, concentrati
quasi esclusivamente nelle colonie più meridionali), ma era ormai sostenuta soprattutto dall’incremento naturale della popolazione residente.
L’economia della regione, insomma, poteva sostenere una popolazione in continuo
aumento, e garantire alla classe sociale più
agiata, cioè ai medi e grandi proprietari di
terre e di aziende, livelli di benessere molto
elevati. Numerosi erano gli individui di più
recente immigrazione, spesso molto poveri e disposti a ogni impiego, che in America occupavano nuovi appezzamenti negli
sconfinati territori ancora da conquistare
Colonia inglese di Jamestown con costruzioni che richiamano il modello inglese, Jamestown, National Historic Park.
L’indipendenza americana e la nascita degli Stati Uniti
o trovavano lavoro salariato nelle città, per
poi cominciare a salire una scala sociale ben
più mobile di quella che si erano lasciati alle
spalle in Europa.
All’élite dei grandi proprietari e imprenditori si affiancava inoltre un’attiva classe
media cittadina di artigiani, mercanti e
professionisti e una orgogliosa classe media di contadini liberi che con il loro lavoro
avevano conquistato la proprietà della terra
che lavoravano. Nelle città vi erano poi i ceti
più poveri (dai salariati a chi viveva ancora
di espedienti), ma anche chi apparteneva
a questa classe poteva aspirare ad arrivare
con il proprio lavoro a un miglioramento e
persino alla completa trasformazione della propria posizione sociale. Non era raro
che persone di umile nascita e senza mezzi riuscissero a risparmiare, ad avviare una
propria attività, a sviluppare una propria
idea per diventare protagonisti nella produzione di beni, nel commercio, nel mondo
della cultura e nella politica. Nella mentalità
americana, il merito personale e l’etica del
lavoro costituivano la vera fonte della dignità di ogni persona.
L’economia delle colonie
Mentre la particolare storia delle colonie
giustificava il rispetto dell’Inghilterra per la
loro autonomia politica, la madrepatria interveniva con molta più decisione in campo
economico: i coloni potevano vendere le
merci più preziose (tabacco, pelli, legname,
cotone, ferro) solo alla madre patria e non
potevano sviluppare industrie che facessero
Una piantagione di tabacco, XVIII secolo.
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74
1750
etica del lavoro
calvinista: per
i calvinisti il lavoro
ha un valore religioso
e il successo in questo
campo è indicazione
della grazia divina.
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XVII-XVIII sec. Colonie nordamericane al centro della tratta degli schiavi
XVIII sec. Finanze francesi in grave difficoltà
1773 Thomas Paine pubblica Common Sense
1796 Jenner scopre il vaccino contro il vaiolo
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2
3
Il Settecento: l’età delle rivoluzioni
p. 60
concorrenza a quelle inglesi. D3 Tuttavia,
i coloni non pagavano tasse e potevano
incrementare liberamente le proprie attività. L’economia della regione era suddivisa
grosso modo in tre diverse aree:
3.2 La guerra
• al Nord (New Hampshire, Massachusetts,
Connecticut, Rhode Island) si coltivavano cereali e legumi in aziende agricole
piccole e medie – di proprietà di agricoltori liberi – dove la maggioranza della
popolazione produceva soprattutto per
il proprio sostentamento. Vi era tuttavia
una grande disponibilità di pelli e soprattutto di legname, che aveva permesso di
sviluppare nelle città della costa numerosi cantieri navali. I commerci con l’Inghilterra (pelli, metalli, legname) erano
molto sviluppati e davano lavoro a una
classe di attivi mercanti;
Nel corso del Seicento in Inghilterra era
stata combattuta una guerra civile tra Parlamento e monarchia. Successivamente si era
svolta la Gloriosa rivoluzione, che nel 1689
aveva definitivamente stabilito in quel paese una monarchia parlamentare. I sovrani
inglesi, in conseguenza di ciò, non potevano stabilire leggi e imporre tasse senza il
consenso dei rappresentanti del popolo.
I coloni inglesi dell’America settentrionale erano considerati sudditi della corona
inglese, ma, mentre eleggevano i propri rappresentanti nelle Camere basse di ciascuna
colonia, non eleggevano nessun rappresentante nel Parlamento di Londra. Questa
situazione tuttavia non creava problemi,
perché l’Inghilterra non imponeva tasse ai
sudditi delle colonie. La situazione cambiò
improvvisamente nel 1763, al termine della
Guerra dei Sette Anni. Infatti, per sconfiggere la Francia, l’Inghilterra aveva utilizzato
tutte le proprie risorse e le casse dello Stato
erano ormai vuote. Per risolvere la situazione il Parlamento inglese fu costretto a introdurre nuove tasse, ma per la prima volta le
impose anche ai coloni che vivevano oltre
oceano. Nel 1764 fu imposto il così detto
Sugar Act, che prevedeva il pagamento di
tasse su prodotti che le colonie importavano dall’estero, come zucchero, caffè, vino
• al Centro (New York, Pennsylvania, New
Jersey, Delaware) l’agricoltura poteva essere ancor più sviluppata in grandi aree
coltivabili, divise tra un gran numero di
piccoli e medi proprietari e un certo numero di aziende più vaste e organizzate
con criteri industriali, dove si producevano ed esportavano cereali, frutta e verdura in partenza dai porti della costa;
• a Sud (Maryland, Virginia, North Carolina,
South Carolina, Georgia) erano diffuse le
grandi piantagioni di tabacco e cotone.
Per coltivarle si importavano in gran numero schiavi provenienti dall’Africa, che
nel 1775 costituivano un quinto della popolazione complessiva delle colonie. D4
per l’indipendenza
I motivi della ribellione
P.A. Basset, La distruzione della statua del re britannico Giorgio III a New York, 1776 circa, Washington, Library of Congress.
e tessuti lavorati. Nel 1765 fu introdotto lo
Stamp Act  , con tasse sui documenti legali e sui giornali. Di fronte a queste imposizioni, i coloni cominciarono a protestare
proprio nel nome del principio che aveva
ispirato le ribellioni del Parlamento inglese
contro i sovrani: «no taxation without representation» (nessuna tassa se non approvata
dai propri rappresentanti).
Non avendo propri rappresentanti nel
Parlamento di Londra, i coloni americani,
che ora si voleva trattare come sudditi anche dal punto di vista fiscale, non potevano
godere dello stesso diritto fondamentale
conquistato dai sudditi inglesi: approvare
preventivamente, o respingere, in Parlamento, le tasse che poi avrebbero dovuto
pagare. I coloni, dunque, reagivano in nome
di una acquisita libertà inglese.
Le prime azioni contro
l’Inghilterra
Di fronte alle prime proteste, nel marzo 1766
il Parlamento di Londra sospese l’applicazione dello Stamp Act, ma i contrasti con i
coloni proseguirono, perché la madrepatria
non intendeva rinunciare al proprio diritto
di ricavare dalle stesse colonie i fondi che
si riteneva dovesse spendere per garantire
la loro sicurezza. Negli anni successivi una
nuova serie di imposizioni toccarono sia
l’aspetto fiscale sia l’amministrazione delle
colonie. Per esempio fu imposta l’autorità di
giudici inglesi, che avrebbero dovuto sostituire nei principali tribunali i giudici americani, furono aumentati i poteri dei gover-
Dossier 3 p. 332
Dossier 4 p. 334
L’indipendenza americana e la nascita degli Stati Uniti
Protestanti del Boston Tea Party versano casse di tè nel mare.
natori e dei funzionari nominati da Londra
e diverse città americane dovettero ospitare
a proprie spese guarnigioni di truppe al comando degli inglesi. Inoltre, con il Tea Act
del 10 marzo 1773 si conferì alla Compagnia
delle Indie Orientali il monopolio del commercio del tè con le colonie nordamericane,
danneggiando sia i commercianti sia la popolazione (dato il conseguente rincaro del
prezzo del tè). Inoltre il porto di Boston fu
sottoposto a rigidi controlli per limitarne il
volume dei commerci, che facevano concorrenza a quelli gestiti dalle Compagnie
inglesi.
Il 16 dicembre 1773, a Boston, alcuni
coloni ribelli protestarono contro questo
provvedimento gettando in mare il carico di
tè di una nave della Compagnia inglese delle Indie Orientali. Questo episodio, passato
alla storia come il Boston Tea Party, segnò
l’inizio di uno scontro sempre più aperto
tra coloni e madrepatria.
Il governo inglese non volle trattare con
i coloni e cancellare tasse e leggi che essi
rifiutavano perché non avevano propri rappresentanti in Parlamento. A quel punto i
coloni cominciarono ad armarsi. Il fronte
dei ribelli comprendeva diverse posizioni.
Alcuni di essi erano molto radicali: sostenevano che le assemblee rappresentative elette dai coloni dovevano essere considerate la
loro unica legittima autorità, perciò concludevano che le colonie dovevano affermare
al più presto e con pieno diritto la propria
totale indipendenza. Una decisione, questa,
che alcuni ritenevano affidata da Dio agli
americani come una missione. Nel 1776,
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1750
 Tweet Storia p. 358
© Loescher Editore – Torino
XVII-XVIII sec. Colonie nordamericane al centro della tratta degli schiavi
XVIII sec. Finanze francesi in grave difficoltà
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Il Settecento: l’età delle rivoluzioni
Nell’aprile del 1775, nei pressi di Boston,
centro simbolo della rivolta, si verificarono
i primi scontri armati tra esercito inglese e
milizie di volontari americani. Per l’intransigenza di Londra, che decise di inviare nelle colonie un forte esercito e una flotta, lo
scontro aperto sembrava ormai inevitabile
e il fronte degli indipendentisti si andava di
conseguenza imponendo.
La Dichiarazione
d’indipendenza
Il massacro di Boston,
stampa popolare
settecentesca. In un clima
di tensione esasperata i
soldati inglesi uccisero
cinque coloni.
pp. 146, 316
lealista: colui che ha
un atteggiamento di lealtà
politica nei confronti del
potere costituito.
 Tweet Storia p. 358
quando già lo scontro con l’Inghilterra era
avviato, Thomas Paine, un pastore quacchero, scrittore e attivista politico, pubblicò
un opuscolo, dal titolo Common Sense, nel
quale sosteneva che l’America doveva diventare indipendente per essere il «rifugio
naturale» della libertà, che soffriva in Europa violenza e soprusi da parte dei governi
assolutistici.
Le posizioni a favore dell’indipendenza
non erano tutte espresse con altrettanto fervore: personaggi in vista e stimati come Thomas Jefferson, figlio di un coltivatore della
Virginia, e Benjamin Franklin  , uomo di
umili origini che aveva avuto successo come
giornalista, scrittore, scienziato e uomo politico (sedeva come rappresentante nell’assemblea della Pennsylvania), sostenevano
il diritto all’indipendenza ricorrendo ad argomenti legali fondati sui diritti universali e
naturali dell’uomo.
Accanto a questi ribelli indipendentisti,
vi era anche un buon numero di «lealisti »,
cioè coloro che non volevano rompere con
la madrepatria. I più moderati tra essi concordavano con i motivi della protesta, ma
ritenevano possibile e doveroso cercare un
accordo con Londra.
Mentre la posizione di Londra si faceva
sempre più rigida, nel settembre del 1774, a
Filadelfia, si riunì il primo Congresso continentale: un’assemblea dei rappresentanti
delle tredici colonie che respinse, dichiarandoli illeciti, tutti i provvedimenti del Parlamento di Londra.
Mentre cominciava la guerra, i coloni americani avevano ormai raggiunto nella loro
maggioranza la convinzione che il proprio
futuro passava attraverso la piena indipendenza.
Nel maggio del 1775 a Filadelfia si riunì
il secondo Congresso continentale. Si decise anzitutto di formare un esercito che
riunisse tutte le milizie di volontari delle
diverse colonie. Il comando delle truppe
fu affidato a George Washington, un ricco proprietario terriero della Virginia. Egli
dovette affrontare prima di tutto un enorme sforzo organizzativo, perché i soldati
disposti a combattere per la libertà erano
spesso privi di esperienza militare e divisi in gruppi che era difficile coordinare tra
loro. Sul fronte opposto, invece, gli inglesi misero in campo truppe disciplinate e
addestrate (arrivarono a schierare circa
50.000 effettivi), rafforzate da un contingente di mercenari tedeschi. La nascita di
un vero Continental Army, cioè di una forza
armata ordinata e unita, schierata a difesa
non di una singola colonia, ma di tutte insieme, rappresentò per Washington e per il
Congresso nello stesso tempo un successo
militare e un vero atto politico, anche perché fu necessario sostenere questo nuovo
esercito comune con fondi e rifornimenti
assicurati con una apposita tassazione su
ciascuna colonia.
Mentre le prime fasi della guerra facevano registrare inevitabili vittorie inglesi, il
Congresso incaricò una commissione, presieduta da Thomas Jefferson, di stendere
una Dichiarazione di indipendenza che fu
poi votata e approvata da tutti i rappresentanti delle colonie il 4 luglio 1776.
Questa data è considerata la data di nascita degli Stati Uniti d’America (e ancora
oggi negli Stati Uniti il 4 luglio è giorno di
festa nazionale, l’Independence Day) anche
se la definizione della struttura politica del
nuovo Stato era rimandata al termine del
conflitto.
La Dichiarazione di indipendenza costituisce un documento di grande interesse non
tanto perché esprimeva la contestazione nei
confronti dell’Inghilterra dei coloni americani, ma per i principi in nome dei quali
questa contestazione veniva avanzata. Nel
documento, infatti, erano espressi con fermezza i diritti fondamentali dell’uomo  ,
a cominciare da quello alla libertà e all’uguaglianza civile e politica, che sono «fondamentali» proprio perché nessun governo
ha diritto a esercitare i suoi poteri se tenta
di negarli. La libertà, dunque, veniva proclamata non come una conquista da parte
di cittadini disobbedienti, ma come parte integrante della dignità di ogni essere
umano. Nella Dichiarazione diventavano
evidenti per i ribelli americani gli obiettivi
della loro lotta e questi erano espressi in frasi di questo tipo: «tutti gli uomini sono stati
creati uguali e sono stati dotati dal loro Creatore di alcuni diritti inalienabili, fra questi
ci sono la vita, la libertà e la ricerca della felicità». Inoltre, il documento fondava l’idea
L’indipendenza americana e la nascita degli Stati Uniti
dello Stato al servizio della libertà dei cittadini su una visione contrattualistica del
potere politico: «[…] allo scopo di garantire
questi diritti sono creati fra gli uomini i governi, i quali derivano i loro giusti poteri dal
consenso dei governati».
Gli stessi principi che nel corso del Seicento avevano trionfato nella ribellione del
Parlamento inglese contro i progetti assolutistici della monarchia venivano ora posti al
centro della nascita e della costruzione di
un nuovo Stato, non più basato su un difficile equilibrio tra potere monarchico e potere rappresentativo, ma interamente fondato
sui principi giusnaturalistici e illuministici
della politica.
Con la Dichiarazione di indipendenza il
conflitto tra coloni e madrepatria non era
più un confronto per giungere a un accordo sulle questioni fiscali, ma diventava una
vera rivoluzione in difesa della propria visione della libertà e del diritto. [ I NODI DELLA STORIA p. 84]
La vittoria degli americani
Dopo che gli inglesi ebbero messo a segno
una serie di successi, le colonie riuscirono
J. Trumbull, La Dichiarazione d’indipendenza, 1817 circa, Yale University Art Gallery.
 Tweet Storia p. 358
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XVII-XVIII sec. Colonie nordamericane al centro della tratta degli schiavi
XVIII sec. Finanze francesi in grave difficoltà
1773 Thomas Paine pubblica Common Sense
1796 Jenner scopre il vaccino contro il vaiolo
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Gli Stati Uniti dopo la pace di Parigi (1783)
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Connecticut
N ew York
Lago
Michigan
Lago Erie
New York
Fort Pontchartrain
Pennsylvania New Jersey
(Détroit)
Filadelfia
Fort Duquesne
Baltimora
T e r r i t o r i d i (Pittsburgh)
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Washington
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Nord-Ovest
Virginia
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Richmond
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Fort Chiswell North Carolina
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Mississ
Delaware
Maryland
South
Carolina
Nashville
Territori del
Mississippi
Georgia
Charleston
Oceano
Atlantico
Savannah
St. Augustine
Nuova
Spagna
New Orleans
Florida
Gli Stati Uniti dopo
il trattato di Versailles (1783)
Territori inglesi
Territori spagnoli
L. Couder, La resa di Yorktown, 1836 circa, Parigi, Galerie des Batailles, Château de Versailles.
a cambiare lentamente le sorti della guerra grazie alla migliore organizzazione del
Continental Army e a importanti aiuti provenienti dall’Europa. Il paese che si schierò
più apertamente con i ribelli fu la Francia,
che vedeva in una sconfitta dell’Inghilterra
in America la possibilità di riequilibrare i
rapporti di forza in quell’area dopo le perdite territoriali subite con la Guerra dei Sette Anni. Nel 1777 gli americani ottennero
la loro prima vittoria a Saratoga. Nel 1778
la Francia riconobbe l’indipendenza delle
colonie e firmò con i ribelli un’alleanza militare. L’anno successivo anche la Spagna
si schierò a favore degli insorti. Il conflitto
assumeva quindi una dimensione internazionale sfavorevole agli inglesi, che videro
schierata contro di loro anche la maggioranza dell’opinione pubblica europea (ci furono persino voci di dissenso dalla linea del
Parlamento nella stessa Inghilterra).
I piani di guerra di Londra fallirono l’uno
dopo l’altro. Dapprima gli inglesi cercarono
di occupare le colonie del Nord per staccarle
dal resto del fronte dei ribelli e rafforzare con
i propri successi i lealisti che indebolivano lo
schieramento della rivoluzione. In seguito
dovettero concentrare i propri sforzi a Sud,
anche per bloccare l’arrivo di aiuti dall’Europa. Nel frattempo, tuttavia, l’unione di
diversi Stati rendeva impossibile sferrare
contro di essi un colpo decisivo: per esempio l’importante occupazione di New York o
di una colonia del Sud non rappresentavano
per i ribelli una perdita irreparabile né dal
punto di vista simbolico né dal punto di vista organizzativo. Costretti a combattere su
più fronti e indeboliti non solo dalle azioni
dell’esercito di Washington, ma anche dal
sostegno popolare alla rivoluzione in quasi
tutto il territorio, gli inglesi furono sconfitti
nel 1781 a Yorktown, in Virginia, dove una
parte importante delle loro truppe fu accerchiata da americani e francesi sia sulla terra
che sul mare.
La guerra era ormai a una svolta. Essa proseguì ancora, ma il Parlamento inglese si trovò sempre più diviso al suo interno sull’opportunità di proseguirla ad oltranza e furono
quindi avviate delle trattative che portarono,
nel 1783, alla pace di Parigi. L’Inghilterra
riconobbe la piena indipendenza delle sue
tredici colonie, che ora potevano essere considerate tutte come Stati riconosciuti nella
loro autonomia e nelle loro istituzioni.
L’indipendenza americana e la nascita degli Stati Uniti
H.C. Christy, George Washington presiede alla firma della Costituzione, 1789, Washington, US Capitol Historical Society.
3.3 La Costituzione degli
«Stati Uniti d’America»
La Convenzione costituzionale:
federalisti e antifederalisti
Appena divenute indipendenti, le ex colonie
dovettero decidere del proprio futuro. Nel
1777, dunque, mentre era in corso la Guerra d’indipendenza, i diversi Stati avevano
approvato una Costituzione provvisoria, gli
Articoli di confederazione, che prevedeva
che decisioni del Congresso continentale,
per esempio in materia fiscale, dovessero
essere approvate dalle assemblee di ciascuno Stato.
Una volta raggiunta l’indipendenza, il
dibattito sulla forma da dare alla confederazione tra i tredici Stati fu molto acceso.
Esso si sviluppò in tutto il paese e portò a intensi confronti nella Convenzione
costituzionale – costituita da 55 delegati
provenienti dai tredici Stati americani e
presieduta da Washington – convocata a
Filadelfia nel 1787 per dare una Costituzione definitiva al paese.
Da una parte vi erano i federalisti, che
sostenevano la necessità di rafforzare la
confederazione con un forte governo centrale, al quale i diversi Stati dovevano cedere
ampi poteri in materia di politica estera, di
difesa, di accordi commerciali con l’estero e
di dazi doganali per i commerci tra gli Stati
americani. All’indomani della vittoria sugli
inglesi, infatti, si erano subito manifestate
differenze e conflitti tra gli Stati americani:
in alcuni di essi (come la Pennsylvania) la
partecipazione popolare alla guerra aveva
fatto sì che le Camere basse venissero elette
da un numero di cittadini ancora più ampio di quello previsto prima del conflitto.
Di conseguenza, nelle Camere basse si discuteva di ogni aspetto della politica dello
Stato: dalle tasse da imporre alle merci provenienti da un altro Stato ad accordi separati con Stati stranieri fino alle concessioni
per l’occupazione di nuovi territori a ovest
sui quali anche gli altri Stati avevano delle
rivendicazioni. In altri Stati, in genere tutti
quelli del Sud, il potere era rimasto fondamentalmente in mano ai grandi proprietari
terrieri, che dominavano le Camere basse e
imponevano leggi a difesa dei loro privilegi,
oltre che stringere accordi commerciali autonomi con l’estero per vendere i prodotti
delle loro piantagioni.
A difesa di questo forte spirito di autonomia e delle forme di «democrazia diretta»
che si andavano diffondendo in alcuni Stati
si schierarono gli antifederalisti. Essi non
vedevano nelle differenze tra Stato e Stato
un motivo di disordine, o almeno ritenevano tollerabile questa situazione perché, affermavano, un governo centrale troppo forte avrebbe privato i cittadini delle proprie
© Loescher Editore – Torino
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1750
© Loescher Editore – Torino
XVII-XVIII sec. Colonie nordamericane al centro della tratta degli schiavi
XVIII sec. Finanze francesi in grave difficoltà
1773 Thomas Paine pubblica Common Sense
1796 Jenner scopre il vaccino contro il vaiolo
1815
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3
Il Settecento: l’età delle rivoluzioni
The Federalist (frontespizio), il più importante
commentario alla Costituzione americana
scritto da A. Hamilton e J. Madison.
Ritratto di
Alexander Hamilton.
pp. 62, 144
libertà. Tra i federalisti c’erano soprattutto
i borghesi impegnati nell’industria e nel
commercio, per i quali un governo centrale
forte avrebbe garantito stabilità e forza del
nuovo Stato nel commercio mondiale. Tuttavia non mancavano esponenti federalisti
anche tra i grandi proprietari terrieri, che
non amavano le spinte democratiche troppo radicali e pensavano di poter meglio resistere alle pressioni della base popolare con
un governo centrale autorevole. Antifederalisti erano soprattutto i ceti più deboli e
i piccoli proprietari terrieri, che avrebbero
mantenuto maggior rappresentanza se i poteri più importanti fossero rimasti a livello
delle assemblee locali. A
Il contributo di due autorevoli
federalisti: Hamilton e Madison
Album p. 86
Alexander Hamilton, un convinto federalista, sostenne la necessità di dare vita a
uno Stato federale forte, in cui le decisioni
più importanti per il bene comune fossero affidate a assemblee di rappresentanti
qualificati scelti tra le loro personalità più
eminenti e rispettate dai diversi Stati. Non
il disordine delle autonomie locali, né l’improvvisazione cui andavano soggette le assemblee democratiche alla continua ricerca
del consenso popolare potevano, secondo
lui, dare stabilità, pace e prosperità alla confederazione.
James Madison, un influente delegato
della Virginia, sostenne invece con successo
la tesi che i cittadini dovevano comunque
sentirsi rappresentati nelle nuove istituzioni
e in particolare nel potere legislativo centrale. Egli fu dunque il fautore di un compromesso che definì l’importante questione
della rappresentanza: la confederazione
avrebbe avuto, sì, un forte potere centrale, ma all’interno di esso ci sarebbero state
due Camere che avrebbero avuto insieme
il potere legislativo: una Camera «alta», con
delegati scelti dagli Stati, e una «bassa», con
delegati eletti direttamente dal popolo.
In questo modo si potevano convincere
tutti gli Stati a entrare a far parte di una vera
«unione» (e non una semplice e quasi solo
simbolica federazione, come chiedevano gli
antifederalisti), garantita da un forte potere
centrale, senza che per questo i cittadini si
sentissero tenuti a distanza ed esclusi da un
vero controllo su questo potere. A
I principi della Costituzione
americana
Nel 1787 i lavori della Convenzione costituzionale ebbero termine con la stesura di
una Costituzione che fu poi approvata da
ogni Stato ed è ancora oggi in vigore. Con
questa legge fondamentale nascevano gli
«Stati Uniti d’America».
Il paese strutturato dalla Costituzione,
infatti, era una forte federazione (meglio
indicata con il termine «unione») di Stati:
essi conservavano una certa autonomia
amministrativa (erano guidati da un governatore eletto dal popolo e le loro assemblee di rappresentanti legiferavano in materia di ordine pubblico, di istruzione, di
organizzazione interna dei commerci), ma
delegavano importanti poteri a un sistema di autorità centrali. Queste avrebbero
esercitato – con un sistema di divisione dei
poteri e quindi di controllo ed equilibrio
tra di essi – le supreme funzioni legislative,
esecutive e giudiziarie indispensabili alla
stabilità e alla forza in campo internazionale del nuovo Stato.
Ancora oggi, dunque:
• il potere legislativo è affidato a un’assemblea di rappresentanti (il Congresso) unica e superiore a quelle statali. Il
Congresso è diviso in due Camere: una
Camera dei rappresentanti e un Senato.
Nella prima siedono rappresentanti eletti
ogni due anni dal popolo in ciascuno Stato (il numero dei rappresentanti di ogni
Stato è fissato in base alla popolazione).
Essa è competente in particolare per le
questioni interne (per esempio in materia fiscale). Nel Senato, invece, siedono
due rappresentanti per Stato, eletti ogni
sei anni. Il Senato ha piena competenza
sulla politica estera;
• il potere esecutivo, e quindi il governo
dell’unione, è affidato a un Presidente
della Repubblica eletto ogni quattro anni
da un’assemblea di «elettori» eletti a loro
volta dai cittadini. Il Presidente ha dunque l’autorevolezza di una carica eletta
dal popolo e il mandato può essergli rinnovato per un secondo mandato. Egli ha
la facoltà di proporre leggi al Congresso e
può opporre il veto a una legge approvata dal Congresso. Quando questo accade,
la legge può essere riapprovata dal Congresso, ma ha bisogno dei due terzi dei
voti dei rappresentanti. Il Presidente è
anche il capo supremo delle forze armate
e rappresenta l’unione nei rapporti con
gli Stati esteri;
• il potere giudiziario è affidato a una Corte
suprema federale. I membri della Corte
sono scelti e nominati a vita dai presidenti e vigilano sul rispetto della Costituzione: se una legge appena approvata non
è conforme alla Costituzione la Corte la
dichiara incostituzionale e la respinge. Lo
stesso controllo viene esercitato sugli atti
del potere esecutivo.
Ciascuno dei tre poteri ha le sue competenze e nello stesso tempo controlla ed è
controllato dagli altri due:
L’indipendenza americana e la nascita degli Stati Uniti
• il Congresso può annullare il veto del
Presidente su una sua legge, conferma
le sue nomine (di ministri del governo e
di giudici della Corte suprema), ratifica i
trattati internazionali e può porre in stato
di accusa il presidente che si sia macchiato di gravi reati contro lo Stato.
• Il Presidente ha diritto di veto nei confronti delle leggi del Congresso e propone leggi
e nomina i giudici della Corte suprema.
• La Corte suprema è formata da membri eletti dal Presidente e confermati dal
Congresso, e può dichiarare incostituzionali i provvedimenti del Presidente o le
leggi del Congresso.
Nel 1789, a seguito dello svolgimento
delle prime elezioni presidenziali, George
Washington divenne il primo Presidente
degli Stati Uniti (carica che mantenne per
due mandati, fino al 1796).
Gli «emendamenti» della
Costituzione, la Corte suprema
e i diritti fondamentali
1750
pp. 146, 314, 316
Fondato sulla Costituzione e obbligato per
sua natura a rispettarla e farla rispettare, il
nuovo Stato nasceva come «Repubblica costituzionale» al servizio dei diritti e doveri
dei cittadini. La centralità della Costituzione nella vita pubblica degli Stati Uniti è tale
che i difensori delle libertà individuali – a
partire dai molti antifederalisti, che avevano
temuto che un governo troppo forte avrebbe
oppresso i cittadini – vollero assicurarsi che
essa fosse da una parte rigida e immutabile
(per essere davvero autorevole), ma dall’altra che fosse possibile emendarla, cioè arricchirla di nuove norme quando le circostanze
La Costituzione americana del 1787
Potere esecutivo
Potere legislativo
Potere giudiziario
Governo centrale, guidato
da un Presidente degli
Stati Uniti
Congresso, formato dalla
Camera dei rappresentanti
e dal Senato
Corte suprema, composta
da giudici nominati a vita
dal presidente
© Loescher Editore – Torino
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Alexander Hamilton.
© Loescher Editore – Torino
XVII-XVIII sec. Colonie nordamericane al centro della tratta degli schiavi
XVIII sec. Finanze francesi in grave difficoltà
1773 Thomas Paine pubblica Common Sense
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Il Settecento: l’età delle rivoluzioni
Riproduzione della prima
copia a stampa della
Costituzione degli Stati
Uniti d’America.
storiche o i cambiamenti della società nel
tempo avessero reso necessario affermare e
difendere nuove libertà individuali.
Il potere di integrare, quando necessario, la Costituzione fu attribuito alla Corte
suprema. Essa, come abbiamo visto, vigila
sulla costituzionalità delle leggi (e quindi
difende la rigidità del testo), ma può anche
pronunciarsi su casi legali sollevati dai cittadini arricchendo con le sue sentenze e con
degli «emendamenti» la stessa Costituzione
in difesa dei diritti civili.
I primi dieci emendamenti della Costituzione furono tuttavia introdotti già dal
primo Congresso nel 1789, cioè poco dopo
la sua entrata in vigore. Questi dieci articoli
aggiuntivi costituivano la Carta americana
dei diritti fondamentali, a cominciare dal
diritto alla libertà religiosa, alla libertà di
parola e alla libertà di stampa. Tra i diritti
fondamentali vi era poi quello al giusto processo, alla detenzione di armi per la difesa
personale, alla proibizione di pene crudeli
(anche se non si escludeva la pena di morte).
Altri emendamenti alla Costituzione furono
introdotti dalla Corte suprema in epoche
successive. Celebre fu il XIII emendamento,
del 1865, che abolì la schiavitù.
1620
I Padri Pellegrini stipulano il
Mayflower Compact, libero patto
federativo
1626
Gli olandesi fondano Nuova
Amsterdam, poi chiamata
New York
1764-1773
L’Inghilterra impone gravose
tasse ai coloni
1774
Il primo Congresso continentale
respinge le imposizioni fiscali
1775-1783
Guerra d’indipendenza
I NODI DELLA STORIA
Quali sono le radici teoriche della Dichiarazione
di indipendenza americana?
La nascita degli Stati Uniti d’America ha rappresentato, per
certi versi, il trionfo dell’Illuminismo e l’inizio della crisi irreversibile dell’Ancien régime. Anche se questo può sembrare un
paradosso, la Gran Bretagna era l’unica nazione europea che
aveva da tempo scelto la strada del costituzionalismo. Tuttavia,
la politica inglese era stata di assoluta chiusura a qualsiasi
rivendicazione dei coloni americani. I personaggi che la tradizione patriottica americana chiama Padri Pellegrini erano
profondamente legati alla cultura dei Lumi. Il loro pragmatismo di uomini di affari, di proprietari terrieri aperti alle prospettive della nuova trasformazione dei modelli produttivi, di
scienziati, di giornalisti e liberi professionisti, li aveva spinti
a simpatizzare per le idee veicolate dall’Encyclopédie e dagli scritti di Voltaire e Montesquieu. La stessa Dichiarazione
d’indipendenza, votata dai delegati del secondo Congresso
continentale a Filadelfia, il 4 luglio 1776, specificava i fondamenti universali dei diritti degli uomini e dei popoli, partendo
dal principio, tipicamente illuministico, «che tutti gli uomini
sono stati creati uguali, che essi sono dotati dal loro Creatore
di alcuni Diritti inalienabili». Tra questi c’era la libertà, il diritto
alla salvaguardia della propria vita, quello a ribellarsi contro un
potere sovrano ingiusto e non più condiviso. Ma, aggiungevano gli estensori della Dichiarazione, tra i diritti fondamentali
c’era anche quello della ricerca della felicità. Era la prima
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volta che questo era specificato così chiaramente. Per secoli il
diritto individuale ad aspirare alla felicità era stato subordinato
all’esigenze dei rapporti sociali e giuridici verticali tra governati
e governanti. I primi, avendo garantita la propria sicurezza dai
secondi, dovevano rinunciare a molti dei loro diritti naturali e
accettare gli assetti tradizionali del potere. Eppure era stata
propria la Gran Bretagna, nel corso delle sue tumultuose rivoluzioni seicentesche, a codificare per prima il principio del
governo costituzionale, espressione della volontà della nazione
e non dell’assolutismo monarchico. Come si ricorderà, proprio
nel Parlamento controllato dai puritani era nata quella rivolta
che ebbe come primo atto il rifiuto di votare le leggi di spesa
richieste dal sovrano inglese per finanziare le proprie guerre.
Ora, come in una sorta di nemesi storica, i coloni americani
si ribellarono innanzitutto alla pressione fiscale del governo di
Londra. Lo fecero in nome di un principio che alle orecchie dei
governanti inglesi non avrebbe dovuto suonare estraneo: «no
taxation without representation», secondo cui non ci può
essere tassazione senza una legittima rappresentanza politica.
Per i delegati del Congresso di Filadelfia questo diritto alla rappresentanza doveva necessariamente passare dalla riappropriazione del proprio destino e dalla nascita di una nazione che
sapesse farsi garante del desiderio di ciascuno di progredire,
di fare fortuna e di sviluppare i propri talenti.
1775
Formazione di un esercito di
coloni agli ordini di Washington
1776
Dichiarazione d’indipendenza
1783
Pace di Parigi: l’Inghilterra
riconosce l’indipendenza delle
colonie americane
1787
La Costituzione di Filadelfia
definisce la forma istituzionale
degli Stati Uniti d’America
1789-1796
Washington primo Presidente
degli Stati Uniti d’America
L’indipendenza americana e la nascita degli Stati Uniti
1 A metà del Settecento le tredici colonie inglesi in America hanno un particolare spirito pubblico e autonome istituzioni rappresentative. Intorno alla
metà del Settecento, in America settentrionale si erano sviluppate tredici colonie
abitate in prevalenza da inglesi. Esse si basavano su diverse attività economiche:
agricoltura, commerci e cantieri navali a Nord, piantagioni estensive (coltivate da schiavi) a Sud. Ciascuna colonia aveva un governatore nominato dall’Inghilterra, ma godeva di forte autonomia amministrativa; considerevole era il livello di
partecipazione politica della numerosa classe media e alta, che eleggevano propri
rappresentanti nelle Camere basse di ciascuna colonia. La convivenza era basata sugli ideali che avevano animato i primi coloni: libertà personale, tolleranza
religiosa, etica del lavoro e del merito, dignità della persona indipendentemente
dal lignaggio familiare. L’Inghilterra imponeva una forte tutela economica: le colonie
non potevano fare concorrenza alle industrie della madrepatria e potevano commerciare solo con essa; tuttavia, esse erano esentate dal pagamento delle tasse.
2 Quando l’Inghilterra cerca di imporre tasse ai coloni senza garantire loro
la possibilità di discuterle in Parlamento comincia la ribellione. Al termine
della Guerra dei Sette Anni (1763) il Parlamento inglese tentò di imporre alcune
tasse alle colonie americane. I coloni le contestarono, sostenendo che non era possibile imporre tasse a chi non aveva rappresentanti in Parlamento (il principio del «no
taxation without representation»). Londra reagì con forza ai primi atti di ribellione
e inviò in America un esercito. Nel 1775 i rappresentanti delle colonie, riuniti in un
Congresso, affidarono il comando delle loro truppe a George Washington. Il 4 luglio
1776 il Congresso approvò la Dichiarazione di indipendenza, con la quale nascevano gli Stati Uniti d’America, basati sui diritti umani naturali e inalienabili.
3 Le colonie americane raggiungono l’indipendenza con una guerra difficile
ma vittoriosa. La guerra tra Inghilterra e coloni americani durò otto anni, dal
1775 al 1783. Dopo una serie di successi inglesi, a fianco dei ribelli si schierò anche
la Francia, desiderosa di indebolire la potenza rivale. Gli inglesi non riuscirono a imporsi: la rivolta fu sempre sostenuta da ampio consenso popolare e nessuna conquista
territoriale riuscì mai a piegare la resistenza degli avversari. Alla fine l’Inghilterra dovette arrendersi e riconoscere, con la pace di Parigi, l’indipendenza delle colonie.
4 Da un acceso dibattito tra federalisti e antifederalisti prende corpo la
Costituzione degli Stati Uniti d’America, unione di Stati con un forte ed
equilibrato potere centrale. Raggiunta l’indipendenza, i rappresentanti delle colonie discussero a lungo su che forma dare al nuovo Stato. I «federalisti» ritenevano
necessario creare autorevoli istituzioni centrali e limitare l’esercizio della democrazia popolare. Gli «antifederalisti» erano invece sostenitori della piena autonomia
dei singoli Stati e della difesa delle libertà individuali. Nel 1787 venne approvata
la Costituzione: nasceva uno Stato federale, composto da diversi Stati autonomi
nelle loro politiche interne ma uniti e rappresentati da un governo centrale legittimato
dal consenso popolare.
Il potere esecutivo faceva capo a un Presidente della Repubblica, eletto ogni quattro
anni; il potere legislativo fu affidato a un Parlamento con due Camere, chiamato Congresso. Infine, il supremo potere legislativo risiedeva nelle mani della Corte Suprema.
La Costituzione, in vigore ancora oggi, fissava anche una serie di diritti e doveri dei
cittadini. Anche se non veniva ancora data la libertà agli schiavi neri, gli Stati Uniti
nacquero quindi come una grande democrazia, dove il diritto di voto era più ampio di
quello al tempo stabilito in Inghilterra.
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Il Settecento: l’età delle rivoluzioni
Uno Stato, molti Stati: gli USA
L’indipendenza americana e la nascita degli Stati Uniti
Le carte costituzionali
L’unità istituzionale e politica degli Stati
Uniti d’America fu realizzata attraverso
la Costituzione federale, il documento
fondativo entrato in vigore nel 1789 con
l’elezione presidenziale di George Washington. La Costituzione federale, in
realtà, si sovrappose, senza cancellarle,
alle carte costituzionali locali che i tredici
Stati originari avevano precedentemente
adottato, attorno al 1776, per regolare la
vita delle loro istituzioni.
Le ex colonie avevano tutte scelto di
diventare delle repubbliche dotate di assemblee parlamentari. Vi erano, tuttavia,
delle differenze perché alcuni Stati avevano preferito un sistema bicamerale e
altri quello monocamerale, oppure alcuni
Stati avevano voluto il suffragio universale maschile mentre altri il suffragio maschile ristretto in base al reddito.
La Repubblica degli Stati Uniti d’America nacque dall’unione di tredici Stati che presentavano molte differenze dal punto di vista politico, sociale, economico, religioso e culturale. Proprio per rispettare le specificità di
ogni realtà locale, i Padri fondatori elaborarono un nuovo modello di convivenza istituzionale: la federazione.
In questo sistema di governo due o più Stati (gli Stati federati) si fondono in un unico Stato (lo Stato federale)
senza però rinunciare completamente alle loro particolarità e a una parte della loro sovranità. La differenza
tra i due livelli risiede nelle competenze: gli Stati federati si occupano di alcune materie (per esempio l’istruzione, le strade, la giustizia per i reati locali), mentre lo Stato federale è sovrano su altre materie (difesa,
politica estera, commercio internazionale, poste).
Prima pagina della Costituzione americana.
Una moneta unica
La prima bandiera degli Stati Uniti d’America.
A differenza dei sigilli di Stato,
delle bandiere o delle carte costituzionali, tutti simboli presenti
tanto a livello locale quanto a
livello federale, l’unità indivisibile dello Stato americano trovò
massima espressione nel dollaro, unica moneta valida per tutto
il territorio nazionale e per tutti gli
scambi con i paesi esteri. Proprio
per questo motivo è tradizione ritrarre sulle banconote i volti dei
presidenti della Repubblica
federale.
I simboli istituzionali
Il principio fondamentale alla base di una federazione,
ossia l’unione e la collaborazione fra Stati diversi, trovò
chiara rappresentazione nei due simboli fondamentali
della nuova Repubblica degli Stati Uniti d’America, il
sigillo e la bandiera. Nel primo è presente un’aquila,
simbolo della federazione, che stringe tredici frecce e un ramo d’ulivo con tredici foglie; nella parte
superiore vi è inoltre un cerchio con tredici stelle e
il motto latino che sintetizza il progetto federalista:
e pluribus unum, da molti uno. In base allo stesso criterio, la prima bandiera statunitense fu costruita, in omaggio ai tredici Stati federati, con un corrispondente numero
di bande orizzontali e di stelle bianche in campo blu. Accanto
a questi due fondamentali simboli della Repubblica federale,
ognuno degli Stati federati mantenne però il diritto di conservare
un proprio sigillo e una propria bandiera, per dimostrare il profondo
rispetto della sovranità e della singolarità di ognuno di loro.
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Il sigillo degli Stati Uniti d’America.
Banconote con le effigi dei presidenti degli Stati Uniti: George Washington (1 dollaro), Abraham Lincoln (5 dollari),
Alexander Hamilton (10 dollari), Andrew Jackson (20 dollari), Ulysses S. Grant (50 dollari) e Benjamin Franklin (100 dollari).
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Il Settecento: l’età delle rivoluzioni
Ragiona sul tempo e sullo spazio
Impara il significato
1
4
2
Osserva le cartine alle pp. 72 e 80 e descrivi il cambiamento avvenuto tra i due assetti territoriali.
ATTIVITÀ
1 XVII secolo 2 XVIII secolo 3 XIX secolo
a
b
c
d
e
f
g
h
i
l
m
n
L’11 novembre
i Padri Pellegrini sbarcano sul suolo americano dalla nave Mayflower
Il 16 dicembre
alcuni coloni ribelli protestano contro il Tea Act rovesciando in mare il carico
di tè di una nave inglese; questo episodio è passato alla storia come il «Boston Tea Party»
Il 4 luglio
i rappresentanti delle colonie votano unanime la «Dichiarazione di indipendenza»
Nel
l’Inghilterra impone alle colonie il Sugar Act
Nel
il XIII emendamento introdotto dalla Corte Suprema abolisce la schiavitù
Nel
alcuni mercanti inglesi fondano una colonia che prende il nome di Virginia
Nel
si riunisce a Filadelfia il secondo Congresso continentale, nel quale si decide di formare
un esercito che raccoglie tutte le milizie di volontari delle diverse colonie
Nel
viene introdotto lo Stamp Act, che impone tasse su documenti legali e giornali
Nel
gli olandesi fondano sul fiume Hudson la città di Nuova Amsterdam, successivamente ribattezzata
dagli inglesi con il nome di New York
Nel
George Washington diventa il primo presidente degli Stati Uniti
Nel
la Convenzione costituzionale stila la Costituzione degli Stati Uniti d’America, tuttora in vigore
Nel
la pace di Parigi sancisce la fine della guerra d’indipendenza e il riconoscimento da parte
dell’Inghilterra dell’indipendenza degli Stati Uniti d’America
Scrivi quale significato assumono i seguenti concetti nel Settecento.
1
2
3
4
5
Completa le frasi scrivendo l’anno esatto in cui accade l’evento, poi collega ciascun fatto al secolo in cui
avviene.
5
L’indipendenza americana e la nascita degli Stati Uniti
Diritto naturale
Umanità composita
Etica del lavoro
Quacchero
Vivere di espedienti
Prova a riflettere sui significati di «federazione» e «confederazione»: a volte questi due concetti sono usati come
sinonimi, sapresti spiegare la loro differenza?
Osserva, rifletti e rispondi alle domande
6
Osserva la mappa concettuale relativa alla Costituzione degli Stati Uniti d’America. Poi rispondi alle domande.
Le caratteristiche fondamentali della Costituzione degli Stati Uniti d’America
1 Cos’è uno Stato federale?
2 Perché la Costituzione prevede gli emendamenti?
3 Quali sono le libertà individuali fondamentali?
Esplora il macrotema
3
Completa il testo.
Nel corso del Settecento le tredici colonie inglesi sono oggetto di una pesante tassazione da parte della
madrepatria, che ha bisogno di rimpinguare le (1)
statali svuotate dalla Guerra dei
Sette anni. Di fronte a queste imposizioni, quali il Sugar Act, lo Stamp Act e soprattutto il Tea Act (che
conferisce alla compagnia delle Indie Orientali il (2)
del commercio del tè), i coloni
cominciano a protestare proprio nel nome del principio che aveva ispirato le ribellioni del Parlamento
(3)
contro i sovrani: «no taxation without representation»; le colonie americane, infatti,
non avevano alcun rappresentante al Parlamento di Londra.
La questione fiscale, dunque, si trasforma in una questione politica: di fronte al rifiuto del governo di
cancellare le nuove leggi, gli abitanti delle (4)
cominciano ad armarsi, rivendicando
la totale autonomia dall’Inghilterra. Scoppia così la Guerra di indipendenza che, grazie all’aiuto degli
Stati europei e soprattutto della (5)
, si conclude con la vittoria delle colonie. La
Dichiarazione di Indipendenza, approvata dal Congresso di Filadelfia, fonda il nuovo Stato sui principi
giusnaturalistici e illuministici della politica e ribadisce i (6)
fondamentali dell’uomo.
Ben presto, però, si presenta il problema della forma da dare alla confederazione: da una parte vi sono
i federalisti (borghesia e grandi proprietari terrieri), che sostengono la necessità di (7)
il potere centrale per garantire stabilità e forza al nuovo Stato; dall’altra gli (8)
(ceti più
deboli e piccoli proprietari terrieri), secondo i quali un governo centrale troppo forte avrebbe privato i
cittadini delle proprie libertà. I lavori della Convenzione si concludono nel 1787 con la stesura di una
che fa degli Stati Uniti una federazione: gli Stati conservano una certa autonomia
(9)
amministrativa, ma delegano importanti poteri a un sistema di autorità centrali, le quali esercitano le
supreme funzioni legislative, esecutive e giudiziarie attraverso un sistema di (10)
dei
poteri e quindi di controllo ed equilibrio tra di essi.
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Osserva le immagini alle pp. 76 e 77 e, alla luce di quello che hai letto nel capitolo, contestualizza gli episodi che sono
raffigurati.
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