La Rivoluzione americana

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La Rivoluzione americana
Nelle 4 colonie del nord l’economia si basava sulla coltivazione dei cereali e l’allevamento del
bestiame. Ma oltre a questo la presenza di centri portuali come Boston aveva consentito la nascita
di un’industria cantieristica, che produceva il 50% dell’intera flotta inglese. Molto diffusi erano
inoltre la pesca e il commercio. Al centro si trovavano 4 colonie, in parte acquisite da precedenti
insediamenti svedesi e olandesi e quindi caratterizzate da una popolazione più composita e da un
pluralismo confessionale. I ricchi commercianti di legname costituivano la categoria dominante
insieme ai grandi proprietari terrieri. Nelle 5 colonie del sud il clima caldo e umido e la fertilità dei
terreni avevano favorito la nascita di grandi piantagioni di tabacco, riso, e cotone; le attività
industriali e commerciali erano quasi del tutto assenti. La classe dirigente era composta da grandi
proprietari terrieri. Possiamo perciò capire come le colonie americane erano dunque caratterizzate
da notevoli differenze ambientali, economiche e sociali. Tutto questo si traduceva in una mancata
motivazione all’aggregazione di queste colonie. Nonostante le colonie non avevano un rappresentante
nel parlamento inglese esse erano sottoposte all’Inghilterra, questo perché gli inglesi avevano
concesso una notevole possibilità di iniziativa ai gruppi privati che costituivano le colonie.
Tra le cause della Rivoluzione americana possiamo inserire il regime di monopolio imposto
dall’Inghilterra alle colonie. Queste, infatti, erano obbligate a commerciare solo con l’Inghilterra e
con i prezzi che voleva l’Inghilterra. Anche se bisogna affermare che questi divieti non erano
rigorosamente rispettati, infatti, era molto diffuso il contrabbando. Ma le cose non andavano poi
così male, infatti, a volte le colonie potevano trarre vantaggio dall’accesso privilegiato al mercato
inglese, e in più le tasse non erano pesantissime; tutto questo però finì con la guerra dei sette anni,
dopodichè, infatti, le cose cambiarono profondamente. Per risanare il bilancio statale, frantumato
dalla guerra, il Parlamento inglese emanò nuovi provvedimenti fiscali e quindi tasse; queste però
gravavano quasi esclusivamente sulle colonie fondate da inglesi al fine di favorire una migliore
integrazione delle colonie che gli inglesi avevano appena conquistato dalla Francia. Questo
provvedimento generò un malcontento generale delle colonie inglesi che innescò la decisa reazione
dei coloni. Nel congresso dei delegati coloniali si protestò vivacemente a questi provvedimenti
facendo riferimento ad un principio della magna carta, un principio che affermava: nessuna tassa
senza rappresentanza parlamentare. I coloni non manifestavano intenti separatisti, ciò che essi
volevano era solo una rappresentanza parlamentare che sapesse sostenere i loro interessi di fronte
al governo centrale.
Intanto le imposte continuavano a gravare sui coloni, nei quali a loro volta il malcontento era sempre
maggiore. Proprio per questo motivo nacquero associazioni segrete come “i figli della libertà”. La
scintilla che fece iniziare la guerra fu il così detto “massacro di Boston”, dove alcuni soldati inglesi
spararono ad un gruppo di manifestanti uccidendone 5. Quando il Parlamento inglese approvò il “tea
act”, cioè il monopolio del commercio del te solo con l’Inghilterra, la reazione dei coloni fu
istantanea. Un gruppo di “figli della libertà” travestiti da pellirossa rovesciò un intero carico di te
nel mare a Boston, questo evento fu battezzato il “Boston tea party”. Gli inglesi reagirono isolando il
porto di Boston e imponendo il coprifuoco.
Nel 1774 si riunì il primo congresso continentale, formato da 56 delegati nominati dai coloni fra i
quali comparivano nomi come George Washington e Thomas Jefferson. L’assemblea redasse una
dichiarazione dei diritti da cui emergevano tendenze più moderate e dunque una formale
disponibilità ad un accordo con la corona. Ma ormai nelle colonie ci si preparava alla guerra. Di lì a
poco si riunì il secondo congresso continentale che approvò l’istituzione di un esercito al comando di
George Washington, tuttavia si esitava ancora a parlare d’indipendenza. Gli americani all’inizio
subirono alcune sconfitte, ma grazie all’opera di alcuni intellettuali, come Thomas Paine, essi si
rafforzarono cosicché il terzo congresso approvò la dichiarazione di indipendenza redatta da
Thomas Jefferson. Da adesso in poi i rapporti tra le colonie e l’Inghilterra erano avviati ad uno
scontro irreversibile.
La rivoluzione americana però non fu solo una guerra tra le colonie e l’Inghilterra ma anche uno
scontro tra i coloni e i cosiddetti lealisti, fedeli alla monarchia britannica. I lealisti erano a volte
così inamovibili che alla fine della guerra essi emigrarono nella madrepatria o nelle colonie limitrofe.
C’e da affermare che durante la guerra furono decisivi gli appoggi militari ed economici forniti ai
ribelli da francesi e spagnoli, allo scopo di indebolire la presenza britannica nel nordamerica.
La rivoluzione americana fu causa di conflitti interiori negli animi di molti intellettuali europei. Essi,
infatti, erano a favore dei ribelli americani, di conseguenza contro gli oppressori inglesi; la
contraddizione sta nel fatto che ciò che definivano oppressori altro non era che l’Inghilterra, vale a
dire quel paese che era stato considerato un modello di civiltà politica da imitare.
Dopo la vittoria di Saratoga fu stipulata un’alleanza tra francesi e americani. La Spagna e l’Olanda
intervennero l’anno successivo. Da questo momento in poi la guerra prese un andamento nettamente
favorevole agli americani, che ottennero una vittoria decisiva a Yorktown. Le sorti della guerra
erano ormai segnate. Nel 1783 fu firmato il trattato di pace che dichiarava l’indipendenza dello
Stato americano. Quasi da subito, Inghilterra e America intrapresero buoni rapporti commerciali
negli interessi di entrambi.
Durante l’intero conflitto, le colonie non avevano mai tentato di aggregarsi, infatti non si era mai
andati oltre una Confederazione, cioè un patto di amicizia tra entità indipendenti. Questo perché le
colonie costituivano un gruppo molto disomogeneo. Nelle prime elezioni dopo la guerra fu eletto
presidente George Washington; altri uomini importanti di quel periodo furono John Adams, Thomas
Jefferson, Alexander Hamilton. Già da quel periodo c’era una grande differenza tra Nord e Sud. Il
Nord, che era fortemente industrializzato, nel quale c’era un agile economia e una forte tendenza
democratica, trovava il proprio opposto nel Sud, caratterizzato da una mentalità tradizionalista,
dove si viveva ancora di agricoltura e non si poteva fare a meno della manodopera degli schiavi.
Washington era favorevole ad una crescita industriale del Nord, mentre Jefferson era a favore
degli interessi delle zone agricole del sud.
Negli anni successivi alla nascita dello Stato americano l’espansione verso ovest accelerò sempre di
più. Fra il 1792 e il 1819 nacquero Stati come il Kentucky, il Mississippi, l’Alabama, l’Ohio, il
Tennessee, l’Indiana, l’Illinois. La messa in vendita a prezzi accessibili della terra occidentale da
parte del governo federale causò un veloce spostamento della frontiera verso ovest; qui i coloni
vennero a contatto con tribù di pellerossa. Gli scontri divennero sempre più frequenti e questo portò
all’abbattimento di molte di queste tribù di “indiani”, decimate inoltre dalle numerose malattie
epidemiche importate dai coloni. Completata la conquista dell’ultima frontiera americana, dell’antica
civiltà dei nativi americani rimaneva ben poco.
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