Le magistrature e le assemblee romane

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Le magistrature e le assemblee romane
Con il termine magistratura, dal latino magister (maestro), si definiva nell'antica Roma ogni carica pubblica,
per lo più elettiva e temporanea. La medesima espressione ha in seguito designato una specifica funzione
pubblica, quella dei magistrati preposti all'amministrazione della giustizia, ovvero all'esercizio della giurisdizione.
Nell'antica Roma l'ordine sequenziale delle cariche pubbliche era detto cursus honorum.
L'annualità delle cariche deriva dal timore che la gestione di una carica, protraendosi oltre un anno, potesse
indurre chi l'occupava a crearsi, come oggi si direbbe, una situazione di potere, tale da costituire un pericolo per la
libertà degli altri cittadini. Quando, dall'ultima parte dell'età repubblicana, il Senato prolungava l'incarico per un
anno per necessità, si parlava di promagistratura e si anteponeva il prefisso pro- al titolo (p.e. «proconsole»,
«propretore»). Le cariche pubbliche erano chiamate comunemente onori (honores), e la legge non prevedeva
compensi per coloro che le ricoprivano. Il cittadino doveva aspirare alla carica in sé e contentarsi del prestigio che
gliene sarebbe derivato, senza alcun profitto materiale.
Vi erano magistrati curuli e non, ovvero il magistrato poteva sedere o meno sulla sella curulis, poltrona
intarsiata di avorio, che ricordava il currus o carro reale di cui al tempo della monarchia facevano uso i re. I
magistrati non curuli sedevano su un semplice sgabello (subsellium). Infine le magistrature si distinguevano in
straordinarie e ordinarie. Erano magistrati straordinari il dittatore con il maestro di cavalleria, ordinari tutti gli altri. I
consoli, i pretori e i dittatori in quanto occupavano cariche con imperium si facevano precedere da littori portanti
fasci di verghe con la scure, quali simboli del potere; i consoli erano preceduti da dodici littori, i pretori da due in
Roma e da sei fuori; i dittatori da ventiquattro. I magistrati curuli portavano nei giorni comuni una toga orlata da
una striscia di porpora (toga praetexta) che era indossata anche dai bambini, mentre nei giorni festivi indossavano
una toga tutta di porpora; gli altri magistrati non portavano nessun distintivo particolare.
Un magistrato non poteva essere deposto dalla carica prima che scadesse il tempo stabilito per la sua
durata e, sebbene potesse essere processato per comportamento illecito, ciò in pratica non accadeva mai. Uscito
però di carica, il magistrato tornava ad essere un cittadino qualunque e poteva quindi essere chiamato in tribunale
a rendere conto di quanto aveva operato durante la carica.
Si distinguevano, fra i magistrati, due categorie: i magistrati cum imperio, e magistrati sine imperio.
L’imperium aveva natura dinamica, e che conferiva al suo titolare la facoltà di impartire ordini ai quali i destinatari
non potevano sottrarsi, con conseguente potere di sottoporre i recalcitranti a pene coercitive di natura fisica
(fustigazione, e nei casi più gravi, decapitazione) o patrimoniale (multe). Simboli esteriore di questo potere erano i
"fasci littori".
Erano magistrati sine imperii: i questori, gli edili, il censore, il tribuno della plebe, i duumviri, i tresviri
monetales, i decemviri sacris faciundis, i decemviri agris dandis adsignandis, i decemviri stlitibus Iudicandis, i
triumviri capitales, i curatores viarum, i quattuorviri viarum curandarum, i triumviri coloniae deducendae.
Erano magistrati cum imperio: il pretore, il console, il proconsole, il propretore, il dittatore, il magister
equitum, i decemviri legibus scribundis consulari imperio, i tribuni militum consulari potestate,l’ interrex
Il cursus honorum
Il cursus honorum era l'ordine sequenziale degli uffici pubblici tenuti dall'aspirante politico sia nella
Repubblica Romana che nei primi anni dell'Impero romano. Fu progettato per gli uomini di rango senatoriale. Il
cursus honorum conteneva una miscela di incarichi militari e politici. Ogni ufficio aveva un'età minima per
l'elezione. C'erano intervalli minimi per tenere uffici successivi e leggi che proibivano di reiterare un ufficio.
Queste regole furono alterate e ignorate nel corso dell'ultimo secolo della Repubblica.
Presentati ufficialmente come opportunità per un servizio pubblico, gli uffici si sono spesso trasformati in
mere occasioni di auto gratificazione. Dopo le riforme di Lucio Cornelio Silla era richiesto un intervallo di due anni
per un nuovo ufficio o per concorrere un'altra volta allo stesso ufficio.
Il cursus honorum cominciava ufficialmente con dieci anni di servizio militare nella cavalleria romana (gli
equites) o nello staff di un generale che era un parente o un amico della famiglia. Il nepotismo non veniva
condannato; era una parte integrante del sistema. Questi dieci anni erano considerati obbligatori per essere
qualificato ad un incarico politico, ma in pratica la regola non era applicata rigidamente.
A Roma non c'era niente che assomigliasse ad un moderno partito politico. I candidati erano scelti per la
reputazione personale e per quella della loro famiglia. I candidati che provenivano dalle famiglie più anziane erano
favoriti perché potevano usare le abilità dei loro antenati per la loro propaganda elettorale.
I seguenti passaggi del cursus honorum erano realizzati tramite elezioni dirette che si svolgevano
annualmente.
Il primo passo era quello di questore (quaestor). I candidati dovevano avere almeno 30 anni (con la riforma
di Augusto almeno 25 anni). Tuttavia i patrizi potevano anticipare la loro candidatura di due anni, sia per questa,
sia per le altre cariche. Da otto a dodici questori servivano nella amministrazione finanziaria a Roma o come
secondi dei governatori. L'elezione a questore portava con sé, a partire dalla tarda repubblica, l'automatica
ammissione tra i membri del Senato.
A 36 anni, gli ex questori si potevano candidare per l'elezione ad una delle quattro cariche di edile (aedilis).
Gli edili avevano responsabilità amministrative a Roma, principalmente di carattere infrastrutturale, e spesso
organizzavano giochi alla fine della carica. Gli edili erano solitamente due patrizi e due plebei. Questo passaggio
era facoltativo.
Sei pretori (praetor) erano eletti tra uomini di almeno 39 anni (con la riforma di Augusto almeno 30 anni).
Principalmente avevano responsabilità giudiziarie a Roma. Tuttavia potevano anche comandare una legione e
avere l'incarico di governare, alla fine del loro mandato, province non assegnate ai consoli.
La carica di console (consul) era la più prestigiosa di tutte e rappresentava il vertice di una carriera riuscita.
L'età minima era 42 anni (con la riforma di Augusto fu ridotta a 33 anni). I nomi dei due consoli eletti identificavano
l'anno. I consoli erano responsabili dell'agenda politica della città, comandavano eserciti di grandi dimensioni e
governavano, alla fine del loro mandato, province importanti. Un secondo mandato come console poteva essere
tentato solo dopo un intervallo di 10 anni.
L'ufficio di Censore (censor) all'inizio aveva una durata di cinque anni; in seguito la permanenza in carica fu
diminuita a 18 mesi anziché i 12 mesi usuali. La carica di censore, anche se non aveva l'imperium militare, era
considerata un grande onore. I censori erano responsabili dello stato morale della città, avviavano grandi lavori
pubblici e, ultimo ma non meno importante, selezionavano i membri del Senato e potevano decretarne
l'espulsione, la causa più frequente era l'indebitamento eccessivo di un membro del Senato.
La carica di tribuno della plebe era un passo importante nella carriera politica di un plebeo, anche se non
faceva parte del cursus honorum. La sua rilevanza era dovuta all'assoluta inviolabilità della sua persona (tale
norma sacra fu violata solo in occasione dell'assassinio di uno dei Gracchi) ed è questo il motivo per il quale, in
epoca imperiale, l' imperator faceva in modo di farsi attribuire senza soluzione di continuità la tribunicia potestas,
oltre al ruolo ufficiale di difensore della componente più debole della società libera romana.
Aver tenuto ogni carica all'età più giovane possibile era considerato un grande successo politico, poiché
mancare la pretura a 39 anni significava che si sarebbe potuti diventare console solo dopo i 42. Cicerone
espresse il suo estremo orgoglio sia per essere un homo novus (come, prima di lui Gaio Mario), cioè una persona
che era diventata console senza che nessuno dei suoi antenati lo fosse stato in precedenza, sia nell'essere stato
eletto console "in suo anno".
Altre importanti cariche Romane, al di fuori del cursus honorum erano quelle del governatore (gubernator)
(proconsole), del pontefice massimo (pontifex maximus), del princeps senatus (presidente del senato), del
praefectus urbi in origine chiamato custos urbi.
Augusto volle distinguere prima di tutto le carriere superiori dalle inferiori. Egli dettò dei parametri
d'avanzamento che comunque, in particolare per l'ordine equestre, videro la loro completa definizione a partire da
Claudio, se non dai Flavi.
Cariche senatoriali. cariche preliminari: vigintivir, tribuno laticlavio; cariche intermedie: curatore, legato,
proconsole, ecc.. Magistrature: questore, edile o tribuno della plebe, pretore e console;
Sacerdozi.
Cariche equestri: prefetto di coorte, tribuno angusticlavio di legione, triplo tribunato a Roma (vigili, coorti
urbane, coorti pretorie) prefetto d'ala.
Procuratele: di carattere palatino (uffici di Roma) e di diversa natura, cancelleresco o tributario (es. a
studiis, ab epistulis, XX hereditatium), finanziario provinciale (di maggior rango in province con più di una legione
es. Belgica et duarum Germaniarum, Syria) e presidiale (di maggior rango in province con più auxilia es.
Mauretania, Rezia etc);
Prefetture: di flotta, dei vigili, dell'annona, d'Egitto, del pretorio; tali prefetture costituivano il cosiddetto
fastigium equestre, cioè l'apice della carriera di un cavaliere;
Sacerdozi.
La carriera equestre si divideva essenzialmente in tre categorie di rango; C (centenario), CC (ducenario),
CCC (tricenario), che corrispondevano al reddito annuo percepito: 100.000, 200.000 o 300.000 sesterzi.
I consoli
Nell'antica Roma i consoli (latino: consules, "coloro che camminano insieme") erano i due magistrati che
esercitavano collegialmente il supremo potere civile e militare ed eletti ogni anno, al quale davano il proprio nome.
Il nome derivava secondo lo storico Livio, dal dio Conso, una divinità che "dispensava consigli", come dovevano
fare i due massimi magistrati della Repubblica romana.
La magistratura del consolato era la più importante tra le magistrature maggiori della Repubblica romana,
immediatamente al di sotto della dittatura, che era però magistratura solo straordinaria. In età imperiale, la carica
consolare sopravvisse, ma divenne di nomina imperiale e, dopo la fondazione di Costantinopoli, un console venne
regolarmente eletto per l'Occidente ed uno per l'Impero Romano d'Oriente, perpetuandosi tale pratica a Roma
anche dopo la caduta dell'Occidente, sino al 566, ed a Costantinopoli sino al VII secolo.
Fu istituita secondo la tradizione alla cacciata del regime monarchico dei Tarquini da Roma nel 509 a.C.. I
primi consoli ad occupare tale carica mantennero tutte le attribuzioni e le insegne dei re, salvo che non ebbero
contemporaneamente i fasces. per non dare l'impressione di un terrore raddoppiato.
Durante la repubblica, l'età minima per l'elezione a console era di 40 anni per i patrizi e di 42 per i plebei. I
consoli venivano eletti dal popolo riunito nei comizi centuriati.
Le competenze consolari investivano tutto l'agire pubblico, in pace come in guerra. Nei fatti, tutti i poteri non
appannaggio del Senato o di altri magistrati erano in capo ai due consoli.
Ognuno dei due consoli era titolare del potere nella sua interezza e poteva esercitarlo in via del tutto
autonoma, salva la facoltà del collega di porre il veto (intercessio).
Per evitare possibili inconvenienti, si escogitarono diversi sistemi, grazie ai quali - in forza di un accordo
politico tra i due - certi periodi o in determinati settori di attività un solo console esercitava effettivamente il potere,
senza che l'altro ponesse il veto. Il più noto è quello dei turni, in base al quale i due consoli dividevano l'anno in
periodi - in genere mensili - in cui si alternavano nel disbrigo degli affari civili (nell'esercizio del comando militare,
nel caso in cui entrambi i consoli fossero alla guida dell'esercito, i turni erano giornalieri). Un altro sistema era
quello che si basava sulla ripartizione delle competenze tra i consoli eletti, in base al quale ciascuno dei due
esercitava in maniera esclusiva alcuni poteri. È comunque importante sottolineare che la divisione di competenze
o i turni di esercizio non interessava alcune forme di esercizio del potere (come le proposte di legge).
I consoli erano eponimi, ossia l'anno di servizio era conosciuto con i loro nomi. Ad esempio, il 59 a.C. per i
Romani era quello del "consolato di Cesare e Bibulo", poiché i due consoli erano Gaio Giulio Cesare e Marco
Calpurnio Bibulo,
In latino, consules significa "coloro che camminano assieme". Se un console moriva durante il suo mandato
(fatto non raro quando i consoli erano in battaglia alla testa dell'esercito), si eleggeva un sostituto, che era
chiamato "console suffetto" (consul suffectus in latino).
L'ufficio di console era ritenuto come risalente alla data tradizionale della fondazione della Repubblica, nel
509 a.C., anche se la storia remota è in parte leggendaria e la successione di consoli non è continua nel V secolo
a.C. I consoli erano incaricati sia dei doveri religiosi che di quelli militari; la lettura degli auspici era un passo
essenziale prima di condurre l'esercito in battaglia.
Durante i periodi di guerra, il criterio primario di scelta del console era l'abilità militare e la reputazione, ma
in tutti i casi la selezione era connotata politicamente. Inizialmente solo i patrizi potevano divenire consoli. Con le
c.d. leges Liciniae Sextiae (367 a.C.), i plebei ottennero il diritto ad eleggerne uno.
Con il passare del tempo, il consolato divenne il normale punto d'arrivo del cursus honorum, la sequenza di
incarichi perseguiti dai Romani ambiziosi.
In via eccezionale i consoli potevano ricevere dal senato i pieni poteri: il provvedimento era chiamato
senatus consultum de re publica defendenda, successivamente Marco Tullio Cicerone, durante il suo consolato, a
seguito della rivolta di Lucio Sergio Catilina lo rinominò senatus consultum ultimum, estremo provvedimento del
senato, e la formula era caveant consules ne quid detrimenti res publica capiat, "Provvedano i consoli affinché lo
stato non abbia alcun danno". A tale formula si ricorse poche volte:nella prima metà del II secolo a.C. per
regolamentare i misteri bacchici a Roma; durante la scalata al potere di Gaio Gracco, nel 121 a.C.; in occasione
della marcia su Roma di Lepido nel 77 a.C., della congiura di Catilina nel 63; quando Cesare attraversò il
Rubicone nel 49 a.C.
Quando con Augusto si esaurì il periodo repubblicano e si avviò il principato, il potere si concentrò nelle
mani del princeps, ossia di Augusto stesso; progressivamente, si ridusse il potere del Senato (anche se non
formalmente), e si posero le basi di quello che più tardi sarebbe diventato il regime imperiale. Pertanto, con
Augusto cambiò la natura del consolato, che esaurì progressivamente la sua funzione politica e divenne a poco a
poco un titolo onorifico, prestigioso dunque, ma ormai privo di una funzione politica. Durante il lungo regno di
Augusto, molti consoli infatti lasciarono l'incarico prima del termine, per permettere ad altri di reggere il fascio
littorio come consul suffectus. Quelli che erano in carica il 1º gennaio, conosciuti come consules ordinarii avevano
l'onore di associare il proprio nome a quell'anno. Come risultato, circa la metà di coloro che avevano il grado di
pretore potevano raggiungere anche quello di console ora non più a 40 anni, ma a 33.
Talvolta, questi suffecti si ritiravano e un altro suffectus veniva nominato. Questa pratica raggiunse il suo
estremo sotto Commodo, quando nel 190, venticinque persone furono nominate console.
Un altro cambiamento durante l'Impero fu che gli Imperatori spesso nominavano loro stessi, dei protetti o
dei parenti, senza guardare all'età minima.
L'antica magistratura romana sopravvisse fino a tarda epoca, anche se come semplice dignità priva di
potere reale. Una delle riforme di Costantino I fu quella di assegnare uno dei consoli alla città di Roma e l'altro alla
città di Costantinopoli. Quindi, quando l'Impero Romano venne diviso in due, alla morte di Teodosio I, l'imperatore
di ognuna delle due metà acquisì il diritto di nominare uno dei consoli - anche se un imperatore permise al suo
collega di nominarli entrambi per vari motivi. Come risultato, dopo la fine formale dell'Impero romano d'Occidente,
molti anni vennero denominati da un singolo console.
Sebbene avesse perduto di fatto ogni potere politico, il console ordinario godeva di un grande prestigio e il
consolato era ancora considerato come il massimo onore che l'imperatore potesse concedere a un suddito. I due
consoli designati entravano in carica ancora alle calende di gennaio, con una cerimonia solenne che comportava
un corteo (processus consularis) e una distribuzione di denaro alla folla (sparsio), proibita dall’imperatore
Marciano di Bisanzio ma poi reintrodotta da Giustiniano nel 537.
Questa carica decadde progressivamentedurante il regno di Giustiniano.
I pretori
ll pretore, in latino praetor, era un magistrato romano dotato di imperium e iurisdictio. L'attività del praetor si
concretizzava nella concessione dell'actio, cioè lo strumento con cui si permetteva ad un cittadino romano che
chiedeva tutela, nel caso in cui non ci fosse una lex che prevedesse la tutela, di agire in giudizio, e portare quindi
la situazione dinnanzi al magistrato.
"Pretori", secondo Cicerone, erano detti i consoli in età arcaica. Tale titolo li avrebbe designati come capi
dell'esercito; egli riteneva che il termine contenesse le stesse componenti elementari del verbo prae-ire (andare
avanti a tutti, precedere, guidare). In effetti il periodo e l'incarico di comando dei consoli poteva essere detto
pretorio e già in un frammento di una legge delle XII tavole (V secolo a.C.) si fa menzione del pretore come del
massimo magistrato cittadino. Così anche Tito Livio, che testimonia di un'antica legge in cui si parlava di un alto
magistrato detto praetor maximus.
La pretura, intesa quale magistratura distinta dal consolato, venne istituita nel 367 a.C. La carica aveva
durata annuale ed era accessibile solo ai patrizi. Fu infatti creata come soluzione di compromesso tra patrizi e
plebei allo scopo di controbilanciare l'ottenimento da parte dei plebei dell'accesso al consolato. Tuttavia già
trent'anni dopo (336 a.C.) veniva nominato il primo pretore plebeo. Il pretore era detto "collega consulibus", e
veniva eletto con gli stessi auspici nei comitia centuriata. I consoli venivano eletti per primi, e dopo toccava ai
pretori.
Grazie al potere di imperium e al potere di iurisdictio di cui era parimenti dotato, riuscì a svolgere una
funzione propulsiva dell'ordinamento giuridico, correggendo e colmando le lacune dello ius civile. La pretura era in
origine una specie di consolato, e le funzioni dei pretori erano una parte di quelle dei consoli che, secondo
Cicerone, venivano chiamati anche iudices a iudicando. I pretori a volte comandavano l'esercito dello stato; e
mentre i consoli erano assenti con le loro armate, esercitavano le funzioni di questi ultimi all'interno della città.
Era anche un magistratus curulis e possedeva l'imperium, e di conseguenza era uno dei magistrati maiores:
ma doveva rispetto e obbedienza ai consoli. Le insegne del suo ufficio erano sei littori. In un periodo successivo il
pretore, a Roma, aveva solo due littori. Il pretorato venne inizialmente dato al console dell'anno precedente, come
risulta da Livio. L. Papirio fu pretore dopo essere stato console.
Nell'anno 242 a.C., fu nominato un altro pretore il cui incarico era di amministrare la giustizia, in materia di
dispute tra peregrini e cittadini Romani.
Si ebbero così due pretori: il praetor peregrinus avente giurisdizione sulle controversie tra cives e peregrini
e tra peregrini; il praetor urbanus "qui ius inter cives dicit", e talvolta semplicemente praetor urbanus o praetor
urbis.
In origine chiamato semplicemente praetor, assunse il nome di "praetor urbanus" quando, con l'aumentare
dei territori controllati da Roma si rese necessaria la creazione del Praetor peregrinus che si occupasse di
amministrare la giustizia nelle campagne.
Il Praetor Urbanus era chiamato pretore, ed era il primo del suo grado. I suoi doveri lo confinavano a Roma,
come è implicito nel suo nome, e poteva lasciare la città solo per dieci giorni alla volta.
Le principali funzioni giudiziarie dei pretori nelle questioni civili, consistevano nel dare un iudex. Era solo nel
caso delle interdizioni, che decidevano in maniera sommaria. I procedimenti davanti al pretore erano tecnicamente
detti essere in iure.
I pretori presiedevano anche i processi penali. Questi erano le quaestiones perpetuae, o i processi per
Repetundae, Ambitus, Maiestas, e Peculatus, i quali, quando c'erano sei pretori, erano assegnati a quattro di essi.
Silla aggiunse a queste quaestiones quelle di falsum, de sicariis et veneficis, e de parricidis, e a questo scopo
aggiunse due, o secondo altre fonti, quattro pretori; in queste occasioni il pretore presiedeva, ma un corpo di
giudici determinava, per maggioranza dei voti, la condanna o l'assoluzione dell'accusato.
Il pretore, quando amministrava la giustizia, sedeva su una sella curulis, in un tribunal, che era quella parte
della corte, assegnata al pretore e ai suoi assessori e amici, ed è opposto ai Subsellia, la parte occupata dai
giudici e dagli altri presenti.
Ma il pretore poteva compiere molti atti ministeriali al di fuori della corte o, come si diceva, e plano, o ex
aequo loco, termini che si contrapponevano a e tribunali o ex superiore loco: ad esempio, poteva in alcuni casi
dare validità all'atto di manomissione quando era al di fuori della corte, sulla via per i bagni o per il teatro.
Una persona che era stata espulsa dal Senato poteva recuperare il suo grado venendo nominato pretore.
I due pretori determinavano per sorteggio quali funzioni dovessero rispettivamente esercitare. Se uno dei
due era alla guida dell'esercito, l'altro esercitava le funzioni di entrambi all'interno della città. A volte l'imperium di
un pretore veniva prolungato per un secondo anno. Quando i territori dello stato si estesero oltre i confini dell'Italia,
vennero creati nuovi pretori. Perciò due pretori vennero creati nel 227 a.C., per l'amministrazione di Sicilia e
Sardegna, e altri due vennero aggiunti con la formazione delle due province spagnole nel 197 a.C. Quando
c'erano sei pretori, due restavano in città, e gli altri quattro erano inviati fuori. Il Senato determinava le loro
province, che venivano distribuite per sorteggio.
Dopo la perdita delle funzioni giudiziarie nella città, un pretore spesso aveva l'amministrazione di una
provincia con il titolo di propretore, e talvolta con il titolo di proconsole. Silla portò il numero di pretori a otto, che
Giulio Cesare innalzò successivamente a dieci, dodici, quattordici e sedici.
Augusto, dopo diversi cambi, fissò il numero a dodici ed un'età minima di 30 anni. Sotto Tiberio ce ne
furono sedici. Due pretori vennero nominati da Claudio per questioni relative ai fideicommissa, quando il lavoro in
questo dipartimento della legge divenne considerevole, ma Tito ridusse il numero a uno; e Nerva aggiunse un
pretore per le decisioni sulle diatribe tra fiscus e individui.
I principali doveri dei pretori erano giudiziari, e sembra che si ritenne necessario di volta in volta,
incrementare il loro numero, per assegnarli a particolari dipartimenti dell'amministrazione della giustizia.
I pretori esistettero in vario numero fino a un tardo periodo dell'Impero, anche se la funzione del pretore era
ormai quella di organizzare i pubblici spettacoli, ed aveva perso quasi ogni altra prerogativa.
Talvolta venivano loro assegnati dei doveri straordinari, come nel caso del praetor peregrinus (144 a.C.)
che venne nominato da un senatusconsultum per sorvegliare la riparazione di certi acquedotti e per impedire
l'utilizzo improprio dell'acqua.
I questori
Nell'antica Roma i questori erano magistrati minori dello Stato, la cui carica (quaestura) costituiva il primo
grado del cursus honorum e richiedeva come età minima 30 anni (28 per i patrizi). All'inizio possedevano
giurisdizione criminale (quaestores parricidii), in seguito competenze amministrative, supervisionando e gestendo
il tesoro e le finanze.
Le origini dell'incarico possono essere fatte risalire ai tempi dei re di Roma. Uno dei più antichi questori era
il quaestores parricidii probabilmente introdotto sempre da Numa Pompilio quando introdusse con lex regia
l'omicidio parricida.
Prima venivano nominati dai re, poi dai consoli. Privi di imperium, vennero eletti (dal 447 a.C.) dal popolo,
nei Comizi Tributi in numero di due; dal 421 a.C. poterono accedervi anche i plebei e così divennero quattro, dei
quali due rimanevano a Roma (quaestores urbani) ad amministrare l'erario (quaestores aerarii) e gli altri due,
invece, rimanevano al fianco dei consoli.
Circa dopo il 420 a.C. esistevano a Roma quattro questori, eletti annualmente; dopo il 267 a.C. il numero fu
elevato a otto. Alcuni venivano assegnati a compiere il loro servizio all'interno della capitale, mentre altri entrano
distaccati assieme a governatori delle province o generali dell'esercito; altri ancora erano assegnati alla
supervisione delle finanze militari.
Dopo le riforme di Silla del 81 a.C., l'età per candidarsi alla questura fu elevata a 28 anni per i patrizi e 30
per i plebei: l'elezione a questore attribuiva automaticamente lo status di senatore; contestualmente il numero dei
questori fu elevato a 20. Questi seguivano i consoli e i pretori, i proconsoli e i propretori nelle spedizioni e nelle
province, per curarne l'amministrazione (quaestores militares, provinciales). I quaestores urbani risiedevano in
sedi differenti; quello che stava ad Ostia (quaestor Ostiensis) sorvegliava le importazioni, in particolare quelle di
grano.
A partire dall'epoca di Augusto l'età per accedere a questa magistratura era ridotta a 25 anni.
I quaestores Caesaris rappresentavano l'imperatore in senato. Svolgevano normalmente anche incarichi di
riscossione dei tributi allo Stato e venivano nominati a capo delle commissioni per il censimento degli abitanti nelle
province romane. Successivamente al periodo costantiniano, il quaestor sacri palatii, ministro della giustizia,
redigeva il testo delle leggi imperiali.
I censori
Il censore era, nell'antica Roma, chi esercitava la censura, la magistratura istituita nel 443 a.C. e operante
fino al 350 d.C.
La magistratura del censore fu istituita nel 443 a.C. sulla base di una proposta presentata al Senato, per
ovviare al problema sempre più pressante, del ritardo con cui venivano tenuti i censimenti, fino ad allora di
responsabilità dei consoli.
Tale carica in origine poteva essere ricoperta solo dai patrizi, ma dal 339 a.C. le Leges Publiliae stabilirono
che uno dei censori dovesse essere di estrazione plebea. A contraddistinguere l'atto della loro elezione era la
cosiddetta cerimonia della lustratio, la purificazione della città (il termine lustrum, da allora, designa un periodo di
cinque anni, ovvero il lasso di tempo che intercorreva tra un'elezione e la successiva). I censori erano una delle
più alte magistrature della Roma antica assieme ai consoli, ai pretori, agli edili e ai tribuni della plebe.
Erano sempre in numero di due ma, pur avendo funzioni importanti, erano privi di imperium (questo è
tuttavia un dato incerto; alcune fonti sostengono infatti che ne fossero dotati). Venivano eletti direttamente dai
comizi centuriati. La loro elezione era a cadenza quinquennale. I censori si occupavano principalmente del
censimento della popolazione, della cura morum (cioè della sorveglianza sui comportamenti individuali e collettivi)
e della lectio senatus. Con il declino e la caduta della Repubblica Romana la carica venne poi assunta
direttamente dagli imperatori, spesso in chiave anti-senatoria.
La "lectio senatus" era compito particolarmente importante nella fase repubblicana perché, in pratica,
permetteva al censore di decretare i candidati alla carica senatoriale. Spesso il censore faceva un uso politico di
tale prerogativa, respingendo per indegnità avversari politici. L'importanza della "lectio senatus" è infatti palesata
nell'età augustea, quando il giovane princeps Ottaviano ricoprirà personalmente la carica, al fine di controllare il
senato con propri partigiani.
Una volta entrati in carica, i censori emanavano un editto in cui si stabilivano in quali giorni i cittadini
dovevano recarsi nel Campo Marzio per dichiarare il proprio reddito. Il criterio di censura adottato conobbe due
fasi ben distinte: una prima fase era basata sulla quantità di terra coltivabile posseduta oppure sul numero di capi
di bestiame. Tale criterio fu in vigore dalle origini di Roma fino alla censura di Appio Claudio Cieco nel 312 a.C.
quando si riformò il sistema: unità base del censimento divenne il capitale mobile. Questa riforma fu fondamentale
per l'apertura dei Comizi centuriati alle nuove classi sociali in ascesa, che fondavano la propria ricchezza sul
commercio e sull'artigianato piuttosto che sull'agricoltura.
Gli edili
Gli edili (in latino aediles) erano magistrati di antiche città sabine e latine, tra cui Roma.
Originariamente gli edili plebei (aediles plebis) erano due, erano eletti annualmente dai plebei riuniti in
comitia tributa. Addetti in origine alle funzioni del tempio di Cerere, acquisirono col tempo ulteriori mansioni civili,
quali l'applicazione delle sentenze dei tribuni della plebe dei quali costituivano una sorta di segretari.
A partire dal 367 a.C. vennero istituiti altri due edili, detti "edili curuli" (aediles curules). Potevano essere
solo patrizi e sono a rigore i soli edili con caratteristiche di magistrati civici, come testimonia l'aggettivo curulis In
epoca più tarda (44 a.C.) Cesare creò altri due edili plebei, detti "edili ceriali" (aediles ceriales), specificamente
addetti a sorveglianti dell'annona e responsabili anche dell'approvvigionamento del grano per la città di Roma.
L'edilità decadde progressivamente in epoca imperiale a partire da Augusto, con l'assegnazione dei vari
compiti ad altre magistrature anche di nuova istituzione (pretori, prefetti dell'annona, dell'Urbe e dei vigili,
magistrati speciali per la cura delle acque e delle opere pubbliche) fino a scomparire completamente con
Diocleziano.
Le differenze tra la varie componenti della magistratura edile si affievolirono via via, sia pure mantenendo
alcune competenze specifiche.
I loro compiti comprendevano principalmente tre aree di competenza: la prima era la cura urbis: la gestione
delle strade cittadine, dei bagni pubblici e degli edifici; la seconda era la cura annonae: la gestione dei mercati, e
infine la terza non era altro che la cura ludorum: la gestione dei giochi pubblici e circensi.
Essi avevano inoltre dei compiti meno definiti relativi all'archivio di stato, all'ambito giudiziario (nella
giurisdizione tribunizia) e alla capacità di elevare multe.
I tribuni della plebe
Il tribuno della plebe (in latino tribunus plebis) fu la prima magistratura plebea a Roma. Il nome deriva dalle
antiche tribù formatesi fin dall'età regia.
Fu creata nel 494 a.C., all'incirca 15 anni dopo la fondazione della Repubblica Romana nel 509 a.C. I plebei
di Roma avevano effettuato una secessione, cioè avevano abbandonato in massa la città, accettando di rientrare
solo quando i patrizi avessero dato il loro consenso alla creazione di una carica pubblica che avesse il carattere di
assoluta inviolabilità e sacralità, caratteristiche sintetizzate dal termine latino sacrosanctitas. Questo significava
che lo Stato si accollava il dovere di difendere i tribuni da qualsiasi tipo di minaccia fisica, ed inoltre garantiva ai
tribuni stessi il diritto di difendere un cittadino plebeo messo sotto accusa da un magistrato patrizio (ius auxiliandi).
A partire dal 457 a.C. il numero dei tribuni fu elevato a dieci, due per ciascuna classe.
Fino al 421 a.C. il tribunato fu l'unica magistratura a cui i plebei potevano accedere, e che, naturalmente,
era ad essi riservata. Per contro negli ultimi periodi della repubblica questa carica aveva assunto un'importanza ed
un potere talmente grandi che alcuni patrizi ricorsero ad espedienti per riuscire a conseguirla. Non mancarono casi
in cui l'inviolabilità della carica di tribuno fu usata come pretesto per compiere violenze e soprusi.
Dal 449 a.C. acquisirono un potere ancora più formidabile, lo ius intercessionis, ovvero il diritto di veto
sospensivo contro provvedimenti che danneggiassero i diritti della plebe emessi da un qualsiasi magistrato,
compresi altri tribuni della plebe. I tribuni avevano inoltre il potere di comminare la pena capitale a chiunque
ostacolasse o interferisse con lo svolgimento delle loro mansioni, sentenza di morte che veniva solitamente
eseguita mediante lancio dalla Rupe Tarpea. Questi sacri poteri dei tribuni furono a più riprese sanciti e confermati
in occasione di solenni riunioni plenarie di tutto il popolo plebeo.
Un altro espediente usato dai patrizi per aggirare il divieto di diventare tribuni fu quello di farsi investire del
potere di tribuno (tribunicia potestas) anziché essere eletti direttamente, come avvenne nel caso del primo
imperatore romano Augusto. Questa prerogativa costituiva una delle due basi costituzionali su cui si fondava
l'autorità di Augusto (l'altra era l' imperium proconsulare maius). In questo modo egli era in grado di porre il veto su
qualsiasi decreto del Senato, tenendo così questa assemblea sotto il proprio totale controllo. Inoltre poteva
esercitare l'intercessione e comminare la pena capitale oltre a godere dell'immunità personale. Anche la maggior
parte degli imperatori successivi assunse la tribunicia potestas durante il proprio regno, sebbene alcuni imperatori
ne fossero stati investiti anticipatamente dai rispettivi predecessori, come ad esempio Tiberio, Tito, Traiano e
Marco Aurelio.
I pontefici
Il pontefice era un sacerdote della Religione romana. L’istituzione del collegio dei pontefici, inizialmente e
fino al 300 a.C. in numero di cinque, sembra possa farsi risalire al re Numa Pompilio, successore di Romolo.
Il pontefice era, nella Roma arcaica, una sorta di esperto di tutto il complesso delle cose sacre, più che un
sacerdote (come poi sarà in epoca successiva), il cui compito principale era quello di indicare e suggerire, alle
autorità e anche ai privati, il modo più opportuno per adempiere agli obblighi religiosi affinché fosse salvaguardata
la pax deorum. Una responsabilità di tanto rilievo conferiva al Pontefice un’altissima autorità ed un immenso
prestigio all’interno della comunità. Poiché nella fase primitiva l’organizzazione giuridica era permeata di
ispirazione religiosa, al punto da creare una quasi totale mescolanza tra i due ambiti, i pontefici avevano il pieno
controllo del culto pubblico e privato e di conseguenza, tramite questo, anche il controllo dell’intera vita pubblica. Il
pontefice era quindi anche l'unico interprete dell'ordinamento giuridico in quanto depositario della sapienza
giuridica ed in particolare dei formulari del diritto. Non era solo un ermeneuta, ma fungeva da mediatore tra
l'ordinamento giuridico esistente e la società. Le delibere dei pontefici non avevano valore di generalità e
astrattezza, ma si pronunciavano sul punto di diritto del caso concreto, alla fattispecie contingente (interpretatio
pontificum).
Con tali attribuzioni il pontefice di fatto, se non di diritto, rappresentava una figura limitativa del potere e
dell’autorità del re (che inizialmente era un re-sacerdote), il quale doveva riconoscergli il ruolo preminente di
depositario della sapienza giuridica.
Il pontifex maximus, presidente e rappresentante del collegio, ancora verso la fine della repubblica rivestiva,
da un punto di vista formalmente gerarchico, il quinto posto (dopo il rex sacrorum, il sacerdote al quale erano
affidate le funzioni religiose compiute un tempo dai re, ed i tre Flamini maggiori: il Dialis, il Martialis ed il
Quirinalis). Il suo potere divenne tale da subordinare, di fatto, quello del rex sacrorum e da consentirgli
giurisdizione sui Flamini e sulle Vestali. Tutto il collegio (come gli altri sacerdoti) aveva diritto alla toga praetexta, ai
littori ed alla sella curulis.
Molte delle pronunce pontificali sono state tramandate oralmente per molto tempo, fino ad essere inserite,
in una sorta di giurisprudenza, nella legge delle XII tavole nel 451-450 a.C.
Per quanto concerne la nomina dei pontefici veniva usato il sistema della cooptatio fino al 104 a.C., quando
la legge Domizia introdusse l’elezione popolare.
Pontifex (=pontem facere) significa in latino "costruttore di ponti", quindi il sacerdozio è esplicitamente
romano, anche se esistono paralleli in altri popoli imparentati con i latini.
In ambiente latino arcaico rimane il collegamento tra i pontefici ed i ponti: il primo ponte di Roma, il
Sublicius, era infatti restaurato a cura del collegio pontificale.
Il dittatore
Il dittatore (lat.: dictator) era una figura caratteristica dell'assetto della costituzione della Repubblica
Romana. Si ritiene comunemente che la dittatura fosse una magistratura straordinaria. Ma tale convincimento si
fonda sulla distinzione fra magistrature ordinarie e magistrature straordinarie che è estranea alle fonti. Si dovrebbe
anzi dubitare che la dittatura possa qualificarsi semplicemente come una magistratura, perché difetterebbe
comunque di due delle caratteristiche essenziali delle magistrature dell'età repubblicana, e cioè della collegialità e
della elettività.
Il dittatore, infatti, non aveva alcun collega, e nominava come proprio subalterno il magister equitum
(comandante della cavalleria). Inoltre, il dittatore non veniva eletto dalle assemblee popolari, come tutti gli altri
magistrati, ma veniva dictus, cioè nominato, da uno dei consoli, di concerto con l'altro console e con il senato.
Alla dittatura si faceva ricorso solamente in casi straordinari (quale un impedimento grave ad operare del console
che lo nominava), e il dittatore durava in carica fino a quando non avesse svolto i compiti per i quali era stato
nominato, e comunque non più di sei mesi; inoltre il dittatore usciva dalla propria carica una volta scaduto l'anno di
carica del console che lo aveva nominato.
Il dittatore era dotato di summum imperium, e cumulava in sé il potere dei due consoli; per questa ragione
era accompagnato da ventiquattro littori. Inoltre non era soggetto al limite della provocatio ad populum, e per
questo i suoi littori giravano anche all'interno del pomerium con le scuri inserite nei fasci. Tutti gli altri magistrati
erano a lui subordinati.
Alla dittatura i Romani facevano ricorso in situazioni di emergenza, come per sedare una rivolta (dictator
seditionis sedandae causa) o per affrontare pericoli esterni e governare lo Stato in situazioni di difficoltà (dictator
rei gerendae causa).
Altri tipi di dittatori erano nominati occasionalmente per motivi contingenti, come, per esempio:
comitiorum habendorum causa (per convocare i comitia per le elezioni)
clavi figendi causa (per piantare il clavus annalis, il chiodo annuale, nella parete del tempio di Giove, utile ai
fini del computo calendariale degli anni)
feriarum constituendarum causa (per determinare le festività)
ludorum faciendorum causa (per officiare i giochi pubblici)
quaestionibus exercendis (per tenere determinati processi)
legendo senatui (per nominare nuovi senatori ai posti che si erano resi vacanti nel Senato)
I più noti dictatores rei gerundae causa furono Cincinnato e Fabio Massimo (durante la Seconda guerra
punica). Dopo di allora questa forma di dittatura cadde in disuso. Durante le lotte tra Gaio Mario e Lucio Cornelio
Silla, questi marciò su Roma e si fece eleggere dai comizi, su proposta dell'interrex Valerio, dictator rei publicae
constituendae causa et legibus scribundis. Questa nuova dittatura non corrispondeva a quella tradizionale, perché
non aveva alcun limite temporale e non era basata su una dictio. Silla tenne questa carica per anni prima di
abdicare volontariamente e ritirarsi dalla vita pubblica.
Successivamente Giulio Cesare ripristinò la dittatura rei gerendae causa, quindi la modificò con la durata di
un anno completo. Fu nominato dictator rei gerendae causa per un anno completo nel 49 a.C. e poi fu
successivamente designato per nove volte consecutive a questa carica annuale, diventando di fatto dittatore per
dieci anni. Nel 44 a.C. il Senato votò per nominarlo dictator perpetuus (dittatore perpetuo).
Dopo l'assassinio di Cesare alle Idi di marzo, il suo collega consolare Marco Antonio fece approvare una lex
Antonia che abolì la dittatura e la espulse dalla costituzione repubblicana. La carica fu successivamente offerta ad
Augusto, che prudentemente rifiutò ed optò invece per la potestà tribunizia e per l'imperium consulare senza
detenere nessuna altra carica che quella di pontifex maximus e di princeps senatus, una disposizione politica che
lo lasciò con le funzioni di dittatore senza doverne tenere il discutibile titolo
La parola latina imperator era in origine equivalente a comandante durante il periodo della repubblica
romana. In seguito divenne parte del titolo degli imperatori romani; dopo la caduta dell'impero romano, nelle
situazioni nei quali il latino era ancora usato per motivi formali o giuridici, significava imperatore. La parola inglese
emperor deriva dalla parola latina, attraverso il francese empereur.
In latino, il femminile di imperator era imperatrix, di solito indicava una donna governante.
Imperator nell'accezione romana repubblicana, imperator era il titolo assunto da alcuni comandanti militari.
Dopo un'importante vittoria, le truppe di un esercito potevano proclamare il proprio comandante imperator
(salutatio imperatoria), un'acclamazione necessaria per richiedere al Senato di celebrare il trionfo. Dopo essere
stato proclamato imperator, il generale vittorioso aveva il diritto d'usare il titolo dopo il nome fino al suo trionfo,
dopo il quale avrebbe abbandonato il titolo ed il proprio imperium.
Poiché il trionfo era l'obiettivo di molti comandanti romani con ambizioni politiche, la storia repubblicana è
piene di casi di legioni pagate perché proclamassero il proprio comandante imperator:
Dopo la vittoria riportata a Munda sui Pompeiani (marzo 45 a.C.), il Senato concesse a Cesare, tra gli altri
onori, quello di assumere in perpetuo il "praenomen" di imperator, trasmissibile agli eredi, e di portare sempre
l'abito e gli ornamenti del trionfatore. Quale erede di Cesare il medesimo praenomen venne pertanto trasmesso ad
Ottaviano che se lo fece riconfermare dal Senato nel 29 a.C.
Il senato
Il senato romano (senatus) era la più autorevole assemblea dello stato nell'antica Roma, un'istituzione
rimasta invariata nel corso delle trasformazioni politiche della storia dell'impero romano, il cui significato era
assemblea degli anziani, ed i cui membri erano chiamati Patres (nel significato di patrizio).
Il termine senato deriva dal latino senex (anziani o padri), che significa vecchio, perché i membri del senato
erano inizialmente gli anziani del popolo romano.
Secondo la tradizione, il senato fu costituito da Romolo, il fondatore di Roma ed era strutturato secondo
l'ordinamento tribale tipico delle popolazioni indoeuropee di quel periodo storico. Queste prime comunità spesso
includevano nei loro consigli tribali, gli "anziani", uomini di una certa esperienza e saggezza. Le prime famiglie
romane erano chiamate gens ("clan").Ciascuna di loro era formata da un'aggregazione di famiglie sotto un
comune patriarca, chiamato pater (dal latino "padre"), il quale era l'indiscusso capo della gens. Quando le gentes
originarie si aggregarono in una comunità, i patres furono selezionati tra i capostipiti delle varie famiglie per
formare un consiglio federale, che prese poi il nome di senato. Fu così che i patres capirono che ora era
necessario avere un singolo uomo che li guidasse. Per questi motivi elessero un re (rex), e lo investirono di poteri
sovrani. Quando poi un re moriva, questo potere tornava, almeno in via provvisoria, ai patres.
Il Senato dell'età regia di Roma ebbe, quindi, tre principali responsabilità: funzionò, almeno con i primi
quattro re, come il tenutario del potere esecutivo durante l'interregnum, ebbe il compito di consigliare il sovrano
nelle decisioni da prendere e di fungere da organo legislativo insieme al popolo di Roma. La formula allocutiva
"patres (et) conscripti" faceva riferimento alla distinzione, all'interno dell'assemblea senatoria, di due categorie di
senatori: i "patres" cioè i patrizi e tutti i loro discendenti, appartenenti al Senato romuleo primitivo, oltre ai
"conscripti" aggregati in un secondo tempo da Tarquinio Prisco.
Durante gli anni dei primi re, la più importante funzione del Senato fu di eleggere il re. Il periodo tra la morte
del precedente sovrano e l'elezione del successivo era chiamata interregnum. Quando un re moriva, un membro
del Senato (l'"interrex"') nominava un candidato che potesse succedere al precedente re. Il Senato doveva, quindi,
dare la sua approvazione alla nomina, per poi essere sottoposto all'elezione formale davanti al popolo di Roma e
ricevendo l'incarico definitivo, ancora una volta, dal Senato stesso che ne ratificava l'elezione. E così mentre il re
veniva ufficialmente eletto dal popolo, ciò avveniva di fatto dietro indicazioni del Senato.
Il Senato aveva poi il delicato ruolo di consilio per aiutare il sovrano nelle proprie decisioni. E mentre il re
non era vincolato ad un consiglio del Senato, il crescente prestigio del Senato costrinse di fatto i primi quattro re a
non trascurarne la valenza politica di questo importante organo aristocratico. Tecnicamente, solo il re poteva
creare nuove leggi, sebbene fosse buona abitudine coinvolgere sia il senato, sia il popolo attraverso i comitia
curiata.
La leggenda racconta che fu Romolo a decidere che il senato fosse composto di 100 patrizi (patres)
raddoppiato da Tarquinio Prisco (o comunque aggiunse altri 100 senatori), in seguito ampliato a 300 membri da
Lucio Giunio Bruto, tutti nominati dal rex. Il Senato raggiunse i 600 membri con Silla, i 900 membri con Cesare e fu
in seguito riportato a 600 da Augusto. Si trattava dei capofamiglia delle cento gentes originarie ricordate da Tito
Livio.
Il Senato romano divenne organo fondamentale con l'instaurazione della Repubblica nel 509 a.C.. Secondo
quanto ci racconta Livio, uno dei primi provvedimenti del primo console romano, Lucio Giunio Bruto, fu quello di
rinforzare il senato ridotto ai minimi termini dalle continue esecuzioni dell'ultimo re, portandone il totale a trecento,
nominando quali nuovi senatori i personaggi più in vista anche dell'ordine equestre. Da qui l'uso di convocare per
le sedute del senato i padri (patres) ed i coscritti (dove è chiaro che con questo termine si alludeva agli ultimi
eletti). Il provvedimento aiutò notevolmente l'armonia cittadina ed il riavvicinamento della plebe alla classe
senatoriale.
Al senato venne conferito formalmente il solo potere consultivo, ovvero il diritto di essere consultato prima
di far passare una legge. Nonostante questo ruolo formale, il ruolo sostanzialmente esercitato era quello
dell'assemblea del ceto dominante in una repubblica oligarchica, simboleggiato dal potere esercitato mediante il
Senatus consultum ultimum.
Il senato si riuniva nella Curia che si trovava nel foro romano.
Nell'età repubblicana, per entrare in senato occorreva avere esercitato una magistratura. Dapprima vi
furono ammessi soltanto coloro che erano stati censori, consoli o pretori; in seguito il senato fu aperto anche agli
ex edili, agli ex tribuni della plebe e agli ex questori. Ogni cinque anni i censori redigevano la lista ufficiale dei
senatori, integrando i posti vacanti e, in rari casi, procedendo all'espulsione degli indegni.
Il Senato romano si poteva riunire solo in luoghi consacrati, solitamente nella Curia; le cerimonie per il
nuovo anno avvenivano nel tempio di Giove Ottimo Massimo mentre gli incontri di argomento bellico avvenivano
nel tempio di Bellona.
Con Costantino I venne creata una seconda capitale a Costantinopoli, caratterizzata da un proprio senato.
Si creò quindi un organismo speculare a quello dell'Urbe, detto Synkletos. Quest'ultimo, inizialmente, sembrava
non potesse competere per prestigio, con quello dell'antica capitale imperiale. I rivolgimenti del V secolo (fra cui
due sacchi di Roma e la definitiva caduta dell'Impero romano d'Occidente) infersero un colpo mortale a tale
istituzione, che pure alla fine di quello stesso secolo e agli inizi del successivo, seppur avendo perso gran parte
della primitiva importanza, continuò a svolgere un ruolo di alto profilo. Durante i regni di Odoacre e soprattutto di
Teodorico il Grande il senato funse infatti da mediatore fra il patriziato romano e le vecchie classi dirigenti italiche
da una parte, e i re e le aristocrazie guerriere dei popoli germanici, dall'altra.
Le guerre gotiche segnarono l'estinzione, anche fisica, delle élites che fino ad allora avevano costituito il
nerbo di tale istituzione. Oltre ai molti senatori che avevano trovato la morte nel corso della guerra vi erano anche
coloro che, rifugiatisi in Oriente, preferirono restarvi, grazie anche alla favorevole legislazione giustinianea (e in
particolare grazie alla Prammatica Sanzione, del 13 agosto 554). Le ultime attestazioni dell' esistenza del senato
le abbiamo nel 578 e 580. In quegli anni vennero inviati due senatori in qualità di ambasciatori, alla Corte
Imperiale di Tiberio II Costantino a Costantinopoli.
I comizi
La Repubblica Romana (Res Publica Romana) investiva i poteri formali di governo in quattro separate
assemblee, i Comitia curiata, i Comitia centuriata, i Comitia populi tributa, e il Concilium plebis.
Il termine comitium indica sia i luoghi stabiliti per radunare le assemblee sia le consultazioni popolari di
epoca romana.
Diversamente dalle camere moderne, questi organi combinavano assieme funzioni elettorali, legislative e
giuridiche, e possedevano il potere di emanare leggi ex post facto, rendendo retroattivamente illegale una
determinata azione. Si noti che il Senato Romano era una camera deliberativa, e non possedeva poteri legislativi
o giuridici.
I Comitia curiata, cioè l'assemblea delle Curia era la più antica delle assemblee romane, al di fuori degli
scarsamente citati Comitia calata. Secondo una chiave interpretativa i comitia calata erano tra i comizi cittadini più
antichi, che avevano per oggetto materia la religione romana. A loro sembra veniva affidata la nomina del rex
sacrorum e dei testamenta calatis comitiis e della detestatio sacrorum, cioè all'uscita di un patrizio dal suo rango.
Sembra si radunassero sul Campidoglio basandosi sull'organizzazione delle trenta curiae. Sembra che fosse
presieduta dal pontifex maximus, il quale investiva i nuovi sacerdoti e le vergini vestali.
I comitia curiata, rappresentavano invece le tre originali tribù romane dei Tities, Ramnes e Luceres (i tre
gruppi etnici che costituivano la città) nella formulazione di leggi ed elezione dei magistrati (tra cui il rex) ed erano
organizzati in 30 curiae. Secondo alcuni studiosi il termine "curia" veniva da co-viri, cioè uomini riuniti. Questo
organismo originariamente eleggeva i magistrati maggiori, ma in seguito ebbe un carattere essenzialmente
aristocratico e religioso, essendo stato sostituito nelle competenze dai comitia centuriata.
I comitia centuriata (Comizi delle Centurie) comprendevano sia patrizi che plebei, organizzati in cinque
classi economiche e distribuiti in suddivisioni interne chiamate centurie.
Le classi avevano una base timocratica, cioè l'appartenenza alle varie centurie era determinata dal census,
o ricchezza, del cittadino. L'appartenenza alle Centurie richiedeva un certo status economico, essenzialmente di
tipo terriero. Secondo le proprietà possedute si avevano più obblighi ma contestualmente si aveva un maggior
potere politico. Secondo la tradizione questi comitia erano stati istituiti da Servio Tullio nel processo di
ristrutturazione dell'organizzazione militare.
I Comizi si riunivano annualmente per eleggere i consoli e i pretori dell'anno successivo, e ogni cinque anni
per eleggere i censori; si riuniva anche per giudicare casi di alto tradimento (perduellio), anche se quest'ultima
funzione decadde dopo che Lucio Appuleio Saturnino introdusse un formato più gestibile (maiestas).
Il voto individuale era contato all'interno della propria centuria e determinava il voto finale della centuria.
Poiché solo le prime 18 Centurie erano mantenute alla loro dimensione nominale di 100 membri, i membri di
queste centurie esercitavano un'influenza sproporzionata sul risultato del voto.Le centurie come le tribù si possono
vedere come i moderni seggi dove ognuno degli iscritti si reca a votare nella propria centuria o tribù
assegnata.Queste ultime poi esprimevano un voto globale che era il risultato dei voti interni. Il comizio centuriato,
in origine un'assemblea militare di cavalieri, doveva riunirsi al di fuori del pomerium di Roma, nel Campo Marzio,
ed era per questo problematico convocarla e gestirla. Non veniva di norma utilizzata, eccetto per l'elezione dei
magistrati dell'anno successivo.
I comitia populi tributa (Comizi delle Genti Tribali) comprendevano sia patrizi che plebei, distribuiti in
trentacinque tribù, nelle quali tutti i cittadini romani venivano collocati per scopi elettorali e amministrativi. La vasta
maggioranza della popolazione di Roma era distribuita tra quattro tribù urbane, il che significava che i loro voti
erano individualmente insignificanti; come per il comitato delle centurie, il voto era indiretto, con un voto assegnato
ad ogni tribù. Il voto era quindi pesantemente sbilanciato a favore delle trentuno tribù rurali. I comizi tributi si
riunivano alla sorgente Comizia, nel Foro Romano, ed eleggevano gli edili (solo quelli curules), i questori e i tribuni
dei soldati (tribuni militum). Conducevano gran parte dei processi, finché il dittatore Lucio Cornelio Silla stabilì le
corti permanenti (quaestiones).
Il concilium plebis (Assemblea della Plebe) era anch'esso un'assemblea tribale, ma escludeva tutti i patrizi,
cui era vietato prendere parte ai raduni. Solo i tribuni della plebe (tribuni plebis) potevano convocare il concilio
della plebe, che si riuniva usualmente alla sorgente Comizia (i senatori patrizi spesso osservavano dai gradini
della Curia Hostilia e interrompevano i tribuni durante gli incontri -- i politici romani erano considerevolmente più
litigiosi di quelli moderni. Inizialmente le deliberazioni adottate dai concilia plebis avevano valore di deliberazioni
interne, con efficacia limitata ai soli plebei. Solo successivamente, in seguito all'approvazione della lex Hortensia
nel 287 a.C., si affermò il principio secondo cui le decisioni assunte nei concilia plebis avrebbero vincolato
senz'altro tutti i cittadini. Nell'età imperiale la maggior parte dei provvedimenti legislativi, sebbene indicati dai
giuristi romani come leggi, erano in realtà plebisciti. Il concilium plebis inoltre eleggeva gli edili (solo quelli plebis) e
i tribuni della plebe, e conduceva processi; quest'ultima funzione cadde in disuso con la creazione delle corti
permanenti.
Anche se il Senato passava i senatus consulta ("gli avvisi del senato") raccomandando leggi e misure,
questi erano comparabili alle moderne risoluzioni delle Nazioni Unite, e non avevano nessun valore di legge
(eccetto nel caso del senatus consultum de republica defendenda, il cosiddetto decreto finale che nominava un
dittatore per dirigere i consoli a "prendersi cura che la Repubblica non corresse rischi"). Questo si può vedere
nella condotta della guerra contro Giugurtina, quando il Senato passò un senatus consultum estendendo il ruolo di
comandante in capo di Quinto Cecilio Metello Numidico, ma l'assemblea della plebe approvò invece un plebiscito
che nominava Gaio Mario al posto di Metello Numidico. Anche se Giulio Cesare venne nominato proconsole della
Gallia Cisalpina e dell'Illiria da un senatus consultum, gli fu assegnata la Gallia Transalpina per plebiscito.
Durante il suo consolato dell'88 a.C., Lucio Cornelio Silla passò una serie di leges Corneliae che alterarono
radicalmente la struttura della Repubblica. La sua terza legge proibiva ai comitia populi tributa ed all'Assemblea
della Plebe di esaminare qualsiasi legge a meno che non fosse inviata alle assemblee da un senatus consultum
con una raccomandazione di valutazione favorevole. La sua quarta legge ristrutturava i comitia centuriata in modo
che la prima classe -- i senatori e i cavalieri più potenti -- avesse quasi il cinquanta per cento del potere di voto. La
quinta legge spogliò entrambe le assemblee tribali -- i Comitia populi tributa ed all'Assemblea della Plebe - delle
loro funzioni legislative, lasciando la legislazione nelle mani di ristrutturati comitia centuriata (alle assemblee tribali
rimasero l'elezione di certi magistrati e la conduzione dei processi, ma questi non potevano tenersi se non erano
autorizzati da un senatus consultum).
Queste riforme furono rovesciate dai populares guidati da Mario e Lucio Cornelio Cinna, ripristinate da Silla
durante la sua dittatura rei publicae constituendae e di nuovo rovesciate dopo la sua morte. Queste rappresentano
uno dei più ampi e diretti cambiamenti della costituzione romana sia durante il periodo della Repubblica che
durante quello dell'Impero.
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