Stabilità dei vini bianchi S tabilità dei vini bianchi Introduzione La produzione di vini bianchi assume un ruolo determinante sia da un punto di vista economico che sociale, data la sempre maggiore richiesta da parte del consumatore di vini di grande bevibilità e freschezza. Tuttavia numerosi sono i fattori che influiscono nelle alterazioni delle caratteristiche qualitative del vino bianco e che possono comprometterne l'aroma, il colore e la limpidezza, dando origine ad intorbidamenti indesiderati. Tra questi ricordiamo, l'azione degli enzimi ossidativi e dell'ossigeno, specie in fase prefermentativa ed in particolare la sua interazione con alcuni costituenti del vino (sostanze polifenoliche), la presenza di sostanze minerali quali ferro e rame, i sali dell'acido tartarico ed il contenuto in proteine, che in particolari condizioni possono aggregare e precipitare dando origine all'indesiderato fenomeno della "casse proteica". La finalità del presente progetto ha consistito nella messa a punto di processi e tecnologie innovative per la produzione di vini bianchi di qualità, allo scopo di migliorarne le caratteristiche qualitative e di longevità, con un approfondimento in merito alla specifiche caratteristiche delle uve a bacca bianca di maggior interesse presente nelle tre regioni e dei relativi vini, con particolare riferimento allo studio dei fattori che condizionano la loro stabilità. La ricerca è stata svolta dal Centro Interdipartimentale per la Ricerca in Viticoltura e Enologia (CIRVE) dell’Università degli Studi di Padova, dal Di.Va.P.R.A. dell’Università degli Studi di Torino (con la collaborazione dell’Istituto Sperimentale per l’Enologia di Asti) e dall’Università degli Studi di Verona (Dipartimento di Biotecnologie). 41 Ricerca e sviluppo di tecniche innovative per la stabilizzazione proteica dei vini bianchi M. Lucchetta, S. Vincenzi, F. Favaron e A. Curioni Università degli Studi di Padova, Centro Interdip. per la Ricerca in Viticoltura ed Enologia Le proteine presenti nell'uva possono provocare uno dei più comuni difetti non microbiologici dei vini commerciali: l'instabilità (casse) proteica (Waters 1992 e 2005). Infatti tali proteine, che passano quasi inalterate dal mosto al vino, possono precipitare formando un sedimento amorfo o dei flocculi che causano torbidità in bottiglia. La "casse proteica", causa una diminuzione del valore commerciale del prodotto in quanto difficilmente è accettata dal consumatore. Attualmente l'uso della bentonite è il metodo comunemente usato per evitare la casse proteica, stabilizzando i vini bianchi. Questo trattamento tuttavia presenta un costo di 3,9 euro ad ettolitro corrispondente a circa 20 milioni di euro all'anno che gravano sulle sole aziende vinicole venete. Inoltre l'uso di bentonite può influenzare negativamente i caratteri sensoriali dei vini bianchi. Per questi motivi sono state studiate varie tecniche come l'ultrafiltrazione (Hsu e Heatherbell, 1987), l'addizione di tannini enologici (Weetall, 1984), l'uso di preparati che proteggono dall'instabilità (Waters, 1994), l'adsorbimento su differenti matrici (Vincenzi 2005), l'uso di polisaccaridi (Marchal, 2002) e l'aggiunta di enzimi proteolitici (Feuillat, 1980; Lagace e Bisson, 1990). Questi ultimi però, sembrano non essere efficaci nel degradare le proteine, a causa della notevole stabilità di queste ultime non risolvendo, in definitiva, il problema. 1. RICERCA DI ENZIMI PROTEOLITICI ATTIVI SULLE PROTEINE DELL’UVA Alcuni funghi fitopatogeni sono in grado di svilupparsi utilizzando materiali vegetali, compresa la frutta. Si deve dunque pensare che tali funghi possano degradare le proteine della frutta per procurarsi l'azoto necessario alla loro crescita. Partendo quindi dall'idea che fosse possibile individuare, nei funghi fitopatogeni, un qualche enzima in grado di attaccare le proteine della frutta, è stata valutata la capacità di rimozione delle pro42 teine dell'uva da parte di alcuni di essi, con lo scopo finale di isolare una o più proteasi capaci di stabilizzare i vini bianchi. Tali funghi sono stati scelti in quanto capaci di crescere e produrre proteasi attive a bassi valori di pH, come quelli del mosto. I funghi sono stati fatti crescere in un terreno di coltura nel quale la fonte azotata era costituita unicamente da proteine d'uva purificate. In queste colture è stata misurata l'attività proteasica secreta, la biomassa prodotta dal fungo e sono state osservate le alterazioni del profilo proteico delle proteine dell'uva. Alcuni funghi hanno mostrato una buona capacità di produrre attività proteasica e di rimuovere le proteine dal mezzo colturale. Sono poi state isolate, dalle colture, le proteasi attive, dopo aver studiato quali terreni di coltura fossero i più adatti per stimolare la produzione di questi enzimi. Alla fine delle prove, è stata selezionata una particolare specie fungina che era capace di degradare con una certa efficacia le proteine dell'uva. La produzione di enzimi da parte di questo fungo è stata incrementata utilizzando un substrato commerciale di basso costo. L'enzima prodotto è stato parzialmente purificato e concentrato ottenendo così un preparato ad alta attività proteasica potenzialmente utilizzabile nel processo di vinificazione. Tale preparato è in corso di valutazione per valutarne l'applicabilità in condizioni di cantina. In particolare esperimenti di microvinificazione con mosto di Manzoni bianco e Glera hanno permesso di confrontare gli effetti di differenti quantità di preparato enzimatico (da 0,001 a 0,00025 Unità), aggiunto all'inizio della fermentazione, con un trattamento con pepsina, un enzima proteolitico commerciale. I vini ottenuti sono stati quindi sottoposti al test a caldo per valutarne l'instabilità proteica ed è stata compiuta l'analisi delle proteine (SDS-PAGE) per osservare l'eventuale alterazione del profilo proteico dei vini in termini quantitativi e qualitativi. I vini trattati con il preparato enzimatico da fungo sono risultati meno instabili dal punto Figura 1. Instabilità proteica (test al calore, il vino può essere definito stabile con valori inferiori a 0,02) (sopra) ed elettroforesi delle proteine (sotto) dei vini prodotti dopo trattamento con l'enzima fungino (tre dosi) e pepsina. Controllo: vino non trattato. di vista proteico (Figura 1, sopra). Solamente il dosaggio quantitativamente più elevato ha accresciuto l'instabilità del prodotto rispetto al controllo, molto probabilmente perché la proteina enzimatica aggiunta era eccessiva (circa 10 mg/L). Il minor dosaggio, invece, ha ridotto l'instabilità proteica di circa il 40%. L'analisi SDS-PAGE (Figura 1, sotto) ha mostrato una diminuzione delle proteine dell'uva nei campioni trattati con il preparato enzimatico sia rispetto al controllo non trattato sia a quelli trattati con la pepsina. Si è osservata una diminuzione d'intensità soprattutto di alcune proteine instabili (Taumatine, circa 21 KDa) e della proteina intorno 66 KDa (l'invertasi d'uva). Nei campioni trattati con il preparato enzimatico si nota la presenza di una banda di 35 KDa che rappresenta la principale componente del preparato stesso. Con incubazioni prolungate si poteva ottenere una scomparsa quasi totale delle proteine del vino (Figura 2). Anche Botrytis cinerea è stata testata nello stesso modo, in quanto è stato riportato che anche questa muffa è capace di rimuovere le proteine dell'uva (Marchal, 1998). In effetti, il mosto ottenuto da acini infettati da B. cinerea possiede un contenuto in proteine molto inferiore rispetto a quello ottenuto da acini sani (Figura 3). Tale fungo, però, dopo 8 giorni di crescita nel terreno colturale contenente proteine d'uva come unica fonte azotata, non è stato in grado di rimuovere le proteine se non in modo molto limitato e malgrado il rilascio di una attività proteolitica misurabile. Un preparato enzimatico parzialmente puri43 In realtà, da prove effettuate successivamente, si è potuto dedurre che l'effetto di B. cinerea sulla scomparsa delle proteine dal mezzo è dovuta ad un meccanismo di insolubilizzazione delle stesse legato alla complessazione con i polifenoli ossidati dall'enzima laccasi secreto dal fungo stesso, e non ad un fenomeno proteolitico. Dai risultati ottenuti si può dedurre quindi che B. cinerea non è utilizzabile, come prospettato da qualcuno, per la produzione di enzimi proteolitici da usare in vinificazione per la stabilizzazione proteica dei vini bianchi. Al contrario, almeno un altro fungo fitopatogeno, non incluso tra i patogeni dell'uva, è invece in grado, se coltivato in condizioni opportune, di rilasciare una proteasi, attiva nelle condizioni di vinificazione, che potrebbe utilmente essere impiegata, in alternativa, totale o parziale, alla bentonite per la stabilizzazione proteica dei vini bianchi. In questo modo, la specificità di azione, tipica degli enzimi, verrebbe sfruttata per la degradazione delle proteine che perderebbero così la loro capacità di dare intorbidamenti nel vino senza alterare, se non per questo specifico aspetto, il prodotto. Figura 2. Scomparsa delle proteine del vino per tempi crescenti (da sin a dx) di incubazione con il preparato enzimatico. Figura 3. Elettroforesi delle proteine estratte da acini sani o inoculati con B. cinerea. A: Proteine estratte da acini sani (1) e artificialmente infettati (2) al 7° giorno dall'inoculo. B: Proteine dell'uva parzialmente purificate (1), proteine estratte da acini sani (2) ed acini infetti raccolti in vigneto (3). ficato ottenuto dal brodo colturale di B. cinerea e contenente attività proteolitica è stato utilizzato per il trattamento del mosto di Manzoni bianco prima della fermentazione alcolica, analogamente a quanto realizzato nel preparato descritto sopra. L'enzima ottenuto da B. cinerea non ha però ridotto l'instabilità proteica dei vini ottenuti (Figura 4). Figura 4. Instabilità proteica (test al calore, il vino può essere definito stabile con valori inferiori a 0,02) del vino dopo trattamento con l'enzima di B. cinerea e pepsina. Controllo: vino non trattato. 44 2. UN POLISACCARIDE FUNGINO (SCLEROGLUCANO) COME MEZZO PER RIMUOVERE LE PROTEINE Durante lo studio dei funghi patogeni come produttori di proteasi, è stato individuato un fungo particolare (Sclerotium rolfsii) la cui presenza provocava la rimozione completa delle proteine dal mezzo di coltura (Figura 5). Nella coltura di tale fungo tuttavia non era possibile rilevare alcuna attività proteolitica. Un'analisi più approfondita ha permesso di verificare che la capacità di rimozione delle proteine è attribuibile alla produzione di un polisaccaride extracellulare, lo scleroglucano, che tra l'altro trova applicazioni nell'industria degli alimenti. L'interazione dello scleroglucano con le proteine non è mai stata studiata, ma è subito sembrata potenzialmente interessante per un'applicazione finalizzata alla rimozione delle proteine del vino. Per valutare questa possibilità sono state condotte prove con un prodotto commerciale (Actigum CS, Degussa). Quando viene disciolto in acqua in concentrazione di 0,5% (w/v), il polisaccaride non mostra interazione con le proteine, nemmeno dopo due ore in agitazione a temperatura ambiente. Tuttavia, quando lo scleroglucano viene sciolto, alla stessa concentrazione, in una soluzione di simil-vino (12% etanolo, 5 g/L acido tartarico a pH 3,3), una proteina modello (albumina bovina, aggiunta ad una concentrazione di 300 mg/L) viene completamente rimossa dopo solo 10 minuti di incubazione. Lo scleroglucano mostrava la stessa capacità di rimozione delle proteine anche quando veniva aggiunto per trattare un vino reale (Manzoni Bianco) con un contenuto proteico di circa 350 mg/L (Figura 6). Figura 6. Effetto di concentrazioni crescenti di scleroglucano sul contenuto proteico di un vino (Manzoni Bianco) instabile. Nel caso del vino reale, la rimozione delle proteine era più lenta rispetto a quella misurata nella soluzione di vino modello, e le proteine non venivano asportate completamente, rimanendo un residuo del 15% (rispetto al valore iniziale) anche dopo 30 ore di incubazione. Inoltre, l'interazione del polisaccaride con i polifenoli era molto limitata con una rimozione massima del 13%. Questi dati suggeriscono che il polisaccaride potrebbe quindi essere una valida alternativa alla bentonite per la rimozione delle proteine dal vino instabile. Un problema legato all'utilizzo dello scleroglucano è però la sua solubilità in mezzi acquosi e, quindi, anche in una soluzione idroalcolica come il vino. E' stato verificato, infatti, che l'immissione di scleroglucano causa un aumento dei polisaccaridi solubili nei vini trattati. Pertanto l'utilizzo della forma naturale dello scleroglucano per la stabilizzazione proteica dei vini bianchi non sembra al momento possibile. Tale problema potrebbe essere comunque risolto mediante immobilizzazione o reticolazione del polisaccaride, in modo tale da renderlo completamente insolubile. 3. Figura 5. Analisi elettroforetica del brodo di coltura di Sclerotium rolfsii coltivato in presenza di proteine dell'uva. Prelievi effettuati ogni 24 h. LA ZIRCONIA COME ADSORBENTE PER LE PROTEINE DEL VINO Una terza attività ha riguardato lo studio dell'ottimizzazione dell'uso di un adsorbente alternativo alla bentonite, l'ossido di zirconio o zirconia (Figura 7), per rimuovere le proteine dai vini bianchi, stabilizzandoli. La zirconia è un materiale molto usato anche nel 45 Figura 7. Pellet di ossido di zirconio. settore odontoiatrico in virtù della sua resistenza ed innocuità. E' già stato dimostrato che la zirconia ha la proprietà di rimuovere le proteine che causano l'instabilità proteica dei vini bianchi e di adsorbire anche gli acidi organici. Il materiale, dopo l'uso, può essere rigenerato (riscaldandolo o lavandolo con particolari soluzioni) e riutilizzato. Dal punto di vista pratico il trattamento con l'ossido di zirconio nell'industria enologica può essere effettuato mediante il passaggio del vino finito attraverso una colonna dove l'ossido di zirconio è confinato. Comunque, con questi sistemi si hanno processi troppo lenti, la rigenerazione del materiale è costosa e se la zirconia viene aggiunta direttamente al vino, bisogna procedere ad una filtrazione o centrifugazione. Al fine di semplificare il processo, si è dunque pensato di confinare i pellet di zirconia all'interno di sacchetti di rete da immergere nel vino. Con questo sistema sono stati trattati tre vini diversi (Chardonnay, Riesling, Sauvignon Blanc) con quattro dosaggi di adsorbente (0, 5, 10, 25 g/L). Analisi giornaliere del contenuto proteico hanno dimostrato una efficace rimozione delle proteine dai vini nelle prime ore e con una rimozione proporzionale al dosaggio di adsorbente. La misura della stabilità proteica dopo il trattamento ha indicato che a 25 g/L di zirconia l'unico vino non stabile risultava essere il Sauvignon, mentre la stabilità completa 46 Figura 8. Stabilità proteica dei vini trattati con diverse dosi di zirconia. veniva raggiunta per gli altri due vini (Figura 8). Nei vini trattati si potevano trovare una certa diminuzione degli acidi citrico (da -15 a -32%), tartarico (da -11 a -24%) e malico (da -4 a -7%) e una significativa diminuzione dei metalli, tra cui ferro (da -55 a -95%) e rame (da -62 a -75%), indicando effetti sulla composizione del vino. Queste proprietà supplementari sono in corso di studio e potrebbero rappresentare vantaggi per la diminuzione dell'instabilità tartarica e l'aumento della shelf-life del prodotto (eliminazione di metalli catalizzatori di ossidazione). Dal punto di vista organolettico, non si poteva misurare alcuna variazione del colore, né variazioni significative delle caratteristiche sensoriali, se non nel Riesling dove veniva percepita una certa diminuzione di aroma e un carattere ridotto, forse a causa della rimozione del rame. Infine, semplici lavaggi con soda consentivano una perfetta rigenerazione del materiale, che così poteva essere usato molte volte in successione. Da questi risultati si può prevedere che l'ossido di zirconio, una volta messe a punto le modalità di utilizzazione in condizioni reali di cantina, possa essere considerato un buon candidato come sostituto della bentonite, aprendo nuove strade nelle tecnologie di stabilizzazione dei vini bianchi. Influenza della temperatura di conservazione e della gradazione alcolica sulla Shelf Life dell’Asti Spumante DOCG V. Gerbi*, F. Torchio*, G. Zeppa*, D. Borsa**, A. Asproudi** e L. Rolle* * Università degli Studi di Torino, Di.Va.P.R.A. - Tecnologie Alimentari ** Istituto Sperimentale per L'Enologia Asti L'"Asti" o "Asti Spumante" è il principale vino dolce aromatico italiano. Prodotto esclusivamente con le uve del vitigno Moscato Bianco provenienti dai vigneti collinari delle province di Asti, Alessandria e Cuneo, viene commercializzato in tutto il mondo come vino dolce da dessert. La necessità di raggiungere mercati sempre più lontani ha imposto ai produttori un miglioramento qualitativo ed un aumento della shelf life del prodotto, attualmente troppo limitata, per consentirne una più efficace commercializzazione. L'applicazione di nuove tecniche di gestione del vigneto e di vinificazione hanno nel tempo consentito di migliorare la composizione chimica ed in particolare la concentrazione di composti aromatici nei vini. Già negli anni '80 e '90 l'Asti è stato oggetto di alcuni studi per conoscere gli effetti dell'ossigeno durante le fasi di preparazione dei mosti base, il ruolo dell'acidità, l'influenza dell'esposizione alla luce sull'evoluzione dei suoi terpeni caratteristici. In cantina, queste nuove conoscenze scientifiche, hanno portato alla diffusione di innovative tecniche di gestione delle fasi di ammostamento e chiarifica del mosto, quali ad esempio la flottazione in ambiente ossidativo e la filtrazione tangenziale, che hanno consentito un generale miglioramento qualitativo del prodotto. Tuttavia, oggigiorno, non è ancora stata raggiunta completamente una soddisfacente conservabilità dello spumante dopo l'imbottigliamento. Il rapido decadimento e trasformazione in bottiglia delle sostanze terpeniche, unitamente al cambiamento del colore, costituiscono ancora il principale problema di deprezzamento commerciale dell'Asti DOCG immesso sul mercato. Nel corso della conservazione e distribuzione le bottiglie sono infatti potenzialmente esposte ad un elevato numero di fattori in grado d'innescare reazioni di tipo degradativo e di modificare le loro proprietà intrinseche. La logica conseguenza di queste reazioni è la perdita delle proprietà organolettiche caratteristiche e, nei casi più gravi, la possibile inaccettabilità di tali prodotti da parte del consumatore finale. Si può quindi intendere come shelf life in determinate condizioni di conservazione, il tempo limite entro il quale il progredire di singoli eventi reattivi determini modificazioni impercettibili, o comunque ancora accettabili, sul piano della valutazione sensoriale. Risulta pertanto imperativo da parte delle aziende la conoscenza e, quando possibile, la previsione della shelf life dei propri prodotti sottoposti alle diverse condizioni di trasformazione, di conservazione, di confezionamento (e di confezione), di trasporto e di distribuzione. È opportuno chiarire che per shelf life non deve intendersi l'indicazione della "data di scadenza" o del "termine minimo di conservazione", concetti intimamente legati alla tutela igienica e alla stabilità e molto spesso imposti da norme, ma la garanzia di offrire al consumatore un prodotto con caratteristiche organolettiche soddisfacenti. La valutazione della shelf life di un vino richiede normalmente analisi ripetute nel corso del tempo monitorando l'effetto di questo con altre variabili indipendenti di conservazione. Nel caso dei vini spumanti dolci aromatici una variabile che riveste un particolare ruolo è la temperatura di conservazione in quanto influenza direttamente le reazioni che portano alla perdita della componente terpenica libera. 1. MODELLIZZAZIONE DELLA SHELF LIFE MEDIANTE IL CENTRAL COMPOSITE DESIGN Nei protocolli utilizzati per gli studi di shelf life degli alimenti, legati alla conoscenza degli effetti sinergici tra variabili, viene spesso favorevolmente impiegato il Central Composite Design (CCD), una modellizzazio47 ne che permette di mettere a punto un disegno sperimentale semplificato con un numero di campionamenti ridotto, i cui risultati possono essere elaborati statisticamente. Infatti, grazie alle analisi nelle combinazioni stabilite di due variabili, distribuite nello spazio bi-dimensionale (Figura 1), si possono ottenere delle equazioni polinomiali che spiegano la variabilità del parametro oggetto di studio. Ad esempio, nel settore enologico, il CCD è stato usato in diverse esperienze di ricerca come per testare l'influenza di fattori di crescita sullo sviluppo di lieviti (Arroio-Lopez et al., 2009), per la messa a punto di condizioni di estrazione in SPME (Solid Phase Micro Extraction) (Carrillo et al., 2007) o SBSE (Stir Bar Sorptive Extraction) (Guerrero et al., 2007) in metodi analitici. Inoltre, recentemente, il CCD è stato applicato al fine di studiare la shelf life di vini spumanti e "tappo raso" di Brachetto DOCG ed in particolare l'effetto del tempo e della temperatura sull'evoluzione della componente fenolica e delle caratteristiche cromatiche del prodotto (Torchio et al., 2011). Anche in questo studio, relativo ai vini spumanti a base Moscato si è voluto quindi modellizzare l'evoluzione dei principali parametri compositivi ed organolettici in relazione al tempo e alla temperatura, operando con prodotti a diverso grado alcolico. A tal fine è stato implementato un disegno sperimentale bi-fattoriale 22 Central Composite Design. Il tempo (X, giorni) e la temperatura (Y, ºC) di conservazione sono stati scelti come le due variabili indipendenti. La prova è stata effettuata in un intervallo di tempo pari a 360 giorni e a temperature comprese tra i 5 ed i 25°C. Un anno è il tempo di vendita a cui generalmente le aziende commerciali si riferiscono, mentre le temperature scelte variano tra quelle minime presenti nelle celle di conservazione delle cantine e quelle mediamente presenti nei locali di commercializzazione del prodotto. Il disegno sperimentale ha previsto uno schema dove il range di ogni variabile è compreso tra 1,4141 e +1,4141 e il punto 0 risulta il valore centrale. Le variabili sono quindi state calcolate con la seguente equazione: xi = (Xi - mean Xi)/ Xi dove x1 è il valore codificato di una delle variabili indipendenti, Xi è il valore reale della variabile indipendente, mean Xi è il valore medio della variabile indipendente reale e Xi corrisponde alla variazione del valore reale della variabile alla variazione di un unità del valore codificato (xi). x = (X1 - 182)/129 y = (X2 - 15)/7 Nella Tabella 1 è riportato il piano sperimentale adottato in questo progetto di ricerca. Il CCD ha previsto un disegno sperimentale a 13 punti, includendo in particolare 5 repliche nel punto centrale. Al termine della sperimentazione i dati ottenuti dalle determinazioni analitiche sono stati elaborati col software Statistica 7.0 (Statsoft Inc., Tulsa, OK, USA) ed espressi come grafico di Reponse Surface Metodology e da un'equazione polinomiale di secondo Figura 1. Dispersione dei punti di analisi nello spazio bi-dimensionale tempo-temperatura. 48 Tabella 1. Schema sperimentale del CCD applicato. ordine: Z = b0 + b1x + b2y + b11x2 + b22y2 + b12xy dove Z è la risposa predetta, x e y corrispondono alle variabili indipendenti, b0 è il valore nel punto centrale, b1 e b2 rappresentano invece i principali effetti associate ad ogni variabile, b11 e b22 sono gli effetti al quadrato e b12 è l'interazione tra le due variabili. 2. VALUTAZIONE DELLA SHELF LIFE DELL'ASTI SPUMANTE DOCG Le caratteristiche cromatiche dei vini Asti spumante differentemente conservati sono state determinate per via spettrofotometrica, previa degasatura e centrifugazione del prodotto per 15 minuti a 4000 rpm. Su ogni campione è stato acquisito lo spettro tra 800 e 360 nm con un intervallo di scansione di 1 nm. Le determinazioni sono state effettuate utilizzando una cuvetta in vetro ottico con un PO di 10 mm. Il colore è stato determinato con la metodica CIEL*a*b* in accordo con le disposizioni della Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino (O.I.V., 2008). La componente aromatica libera e glicosilata è stata determinata per via gas-cromatografica accoppiata a spettrometria di massa (Mateo et al., 1997). Ciascun vino è stato inoltre sottoposto ad assaggio da parte di un panel di assaggio selezionato ed addestrato nonché da tecnici del settore, utilizzando una semplice scheda dove era richiesta una valutazione, espressa in centesimi, dei parametri visivi, gustativi ed olfattivi nonché un giudizio complessivo del prodotto. Rapportando i risultati emersi dall'analisi sensoriale, espressi come somme dei ranghi, con le caratteristiche chimico-fisiche monitorate, sono emerse delle correlazioni statistiche significative solo per alcuni parametri monitorati (Tabella 2). In particolare, tra i composti aromatici, il linalolo è risultato inversamente correlato con i risultati dell'assaggio espressi come sommatoria dei ranghi del giudizio complessivo, cioè attribuendo il rango più basso al vino preferito. Invece alcuni ossidi del linalolo, l' -terpineolo, Ho-trienolo ed altre molecole risultano direttamente correlate, cioè aumentano alla diminuzione di preferenza da parte degli assaggiatori (aumento del rango). Anche la valutazione dell'intensità colorante è risultata significativamente correlata alla qualità percepita e può quindi favorevolmente rappresentare un marker per la shelf life del prodotto. L'acetaldeide, viceversa, non mostra un andamento legato alla valutazione sensoriale, per cui le note ossidative che generalmente appaiono nel prodotto con il trascor49 Tabella 2. Coefficienti di correlazione tra i parametri chimici analizzati e la valutazione sensoriale (calcolata come somma dei ranghi). * Significativo con p 0,05; ** significativo con p 0,01; *** significativo con p 0,001 rere del tempo, non sembrerebbero dovute all'accumulo di questo composto. Per i parametri con un sufficiente livello di correlazione sono stati quindi calcolati dei grafici di isorisposta che permettono di meglio rappresentare le funzioni bi-fattoriali viste in precedenza. Nelle Figure 2 e 3 sono pertanto riportati i grafici di Response Surface Methodology dei principali parametri significativamente correlati con i dati di analisi sensoriale. Il linalolo libero diminuisce sensibilmente già dopo pochi mesi se conservato a temperature oltre i 20°C. Dopo un anno è presente in concentrazione oltre la soglia di percezione (50 mg/L) solo nei vini conservati a meno di 15°C. L' -terpineolo e gli ossidi di linalolo cis e trans furanici hanno un andamento crescente legato principalmente alla temperatura di conservazione ed in modo minore al tempo. Le caratteristiche cromatiche, espresse come coordinate cromatiche a* (verderosso) e b* (blu-giallo), mostrano una diminuzione della quantità di verde nel tempo, soprattutto a temperature oltre i 20°C ed un aumento della nota gialla a partire da sei mesi di conservazione a temperature oltre i 15°. 50 In questo lavoro sperimentale è stata inoltre valutata l'influenza del tenore alcolico del vino spumantizzato sulla conservabilità del prodotto alle temperature viste in precedenza. Per dodici mesi sono state monitorate le caratteristiche cromatiche, la concentrazione di acetaldeide e, mediante analisi GC-MS, la composizione volatile di campioni di vini imbottigliati, derivanti da un'unica massa di mosto, prodotti con tre differenti livelli di alcol svolto: rispettivamente 6,5%, 7,5% e 9% v/v. Sugli stessi campioni sono stati condotti i test di analisi sensoriale descritti in precedenza. Come si può vedere in Figura 4, i campioni conservati a 25°C sono stati i meno apprezzati rispetto agli altri durante la degustazione già dopo 4 mesi dall'imbottigliamento. Nei campioni conservati alle temperature di 5 e 15°C risulta evidente un effetto significativo del contenuto di etanolo: in entrambi i casi l'Asti spumante con il 9%Vol. di alcol svolto è risultato il preferito dagli assaggiatori. Il giudizio degli assaggiatori ha avuto un andamento similare all'evoluzione del linalolo. Al momento dell'imbottigliamento, malgrado le diverse fermentazioni, tutti i campioni presentavano un contenuto simile di questo terpene, circa 250 g/L, mentre alla fine della prova i tenori superiori di linalolo residuo sono stati riscontrati negli Asti a 9% vol. conservati a 5 e 15°C. L'analisi della varianza fattoriale ha dimostrato una correlazione statisticamente significativa tra la valutazione sensoriale globale (valutata come somma dei ranghi, cioè la somma delle posizioni ottenute alla degustazione con un test di preferenza) e la temperatura di conservazione e la concentrazione di etanolo. I risultati di questo lavoro sottolineano inoltre come la temperatura di stoccaggio sia il fattore principale nella possibile shelf life dell'Asti in bottiglia. La conservazione a 25°C riduce il contenuto in linalolo, il principale terpene del Moscato, già dai primi mesi di conservazione. Già a partire da 15°C il processo di degradazione è molto più lento, consentendo di conservare le caratteristiche cromatiche e organolettiche del prodotto per più tempo. Tuttavia solamente con temperature di stoc- caggio di 5°C si riesce a conservare caratteristiche cromatiche e organolettiche ottimali per più di sei mesi. A una gradazione alcolica del prodotto più elevata i processi degradativi rallentano anche se possono comparire delle note "amare" caratteristiche di alcuni vini a base Moscato con un più ridotto residuo zuccherino. L'elaborazione statistica del disegno sperimentale CCD a 13 punti applicato anche in questo caso ai vini delle tre tesi in esame ha originato differenti equazioni per ogni parametro considerato (Tabella 3). Figura 2. Evoluzione del contenuto dei principali terpeni liberi in Asti Spumante. Figura 3. Evoluzione del parametro a* e b* nell'Asti Spumante a 6,5% di alcol. 51 Figura 4. Risultati dell'analisi sensoriale (sommatoria dei ranghi) di tre Asti Spumante a gradazione alcolica crescente ottenuti dalla stessa mosto base conservati a temperature comprese tra 5 e 25°C per 12 mesi. Tabella 3. Equazioni bi-fattoriali che modellizzano l'evoluzione dei principali composti volatili e dei parametri CIELab dell'Asti spumante a differenti livelli di alcol. 52 3. SHELF LIFE DI ASTI SPUMANTE DOCG CON BASSI TENORI DI ANIDRIDE SOLFOROSA Infine, le attività sperimentali di shelf life dei vini spumanti a base Moscato hanno previsto una serie di attività volte alla riduzione del contenuto in SO2 in bottiglia. Infatti, i vini spumanti aromatici dolci attualmente in commercio spesso hanno dei contenuti in anidride solforosa alti, seppure entro il limite di 250 mg/L imposto dalla normativa vigente. Vista l'attuale attenzione del consumatore verso questo additivo è stata quindi valutata la possibilità dell'aggiunta di glutatione ed acido caffeico in alternativa od in accompagnamento all'anidride solforosa, sfruttando le loro azioni antiossidanti (Lavigne et al., 2003; Roussis et al., 2005; Roussis et al., 2007). Per la prova è stato utilizzato un Asti Spumante prodotto a basse dosi di anidride solforosa (20 mg/L libera e 70 mg/L totale) rispetto alla normale tecnologia produttiva. Tra i diversi dosaggi di SO2, acido caffeico e glutatione messi a confronto, dopo un anno dall'imbottigliamento ed a temperatura di conservazione di 20°C (temperatura critica per la shelf life dei vini a base Moscato) si sono evidenziate delle differenze significative per il contenuto di linalolo libero tra la tesi senza aggiunte e quella con l'aggiunta sinergica di 20 mg/L di glutatione e 60 mg/L di acido caffeico. Le differenze per quanto riguarda l' -terpineolo e gli ossidi furanici liberi non sono invece risultate significative. Tuttavia, all'assaggio dopo tre e sei mesi di conservazione, i vini con le dosi maggiori dei due coadiuvanti aggiunti presentavano addirittura, per alcuni assaggiatori, dei penalizzanti sentori riconducibili a note di ridotto. Invece, dopo un anno di conservazione, sono risultati preferiti i campioni con aggiunte sinergiche di glutatione ed acido caffeico (20-60 mg/L) rispetto al testimone senza aggiunte. Prove parallele condotte su vini fermi a base Chardonnay prodotti senza aggiunta di anidride solforosa hanno evidenziato un effetto simile a quello riscontrato sui vini spumanti. Il vino aggiunto all'imbottigliamento di glutatione ed acido caffeico (20 e 60 mg/L) è risultato significativamente diverso dal testimone e sistematicamente preferito dagli assaggiatori. 53 Studi per la messa a punto di una metodica per la valutazione dell’ossidabilità di mosti di uve bianche N. Righetti, M. Manzo, E. Nicolis e R. Ferrarini Università degli Studi di Verona, Dipartimento di Biotecnologie Nella vinificazione in bianco, ricoprono un ruolo importantissimo tutte le fasi che avvengono prima della fermentazione alcolica, esse giocano un ruolo di estrema criticità per quanto riguarda la qualità finale dei vini. Tutte le operazioni che intercorrono tra la fase di estrazione del mosto e l'avvio della fermentazione, espongono il mosto all'azione degli enzimi endogeni dell'uva o esogeni (Botrytis cinerea - "muffa grigia"). In queste fasi l'azione degli enzimi ossidativi dell'uva (tirosinasi) e di patogeni (laccasi), catalizzano l'azione dell'ossigeno sulle frazioni fenoliche e aromatiche del mosto e in molti casi portano a una non completa espressioni dei caratteri varietali del vino. Gli interventi più diffusi nel mondo enologico sono l'impiego di anidride solforosa e di gas inerti oltre all'abbassamento della temperatura del pigiato. L'aggiunta in fase di pigiatura o pressatura di anidride solforosa e acido ascorbico risolve solo parzialmente il problema, in quanto la dissoluzione e il dilavamento ne localizzano l'azione solo nelle fasi di lavorazione prossime all' aggiunta, non proteggendo le successive. Inoltre i due coadiuvanti presentano alcune criticità. L'anidride solforosa in presenza di parti solide favorisce la dissoluzione di frazioni polifenoliche che possono causare una serie di problematiche ossidative. L'impiego di acido ascorbico nei mosti, non risolve il problema in quanto questo antiossidante necessita della contemporanea presenza di anidride solforosa. Anche i gas tecnici impiegati a protezione del mosto non riescono da soli a proteggere dalle ossidazioni. La lavorazione a bassa temperatura dei mosti con l'intento di bloccarne l'attività enzimatica, può costituire un ulteriore strumento contro le ossidazioni. La bassa temperatura di certo aiuta a limitare l'azione dell'ossigeno ma non è sufficiente 54 a garantire l'arresto delle attività enzimatiche dell'uva. L'arresto di queste attività avviene in prossimità al punto di congelamento delle uve. Comunque l'impiego del freddo permette di rallentare l'azione nefasta dell'ossigeno e di svolgere le prime fasi di lavorazioni con una parziale protezione dalle ossidazioni. Da sola nessuna di queste pratiche enologiche riesce a risolvere le problematiche legate all'ossigeno; solo una strategia integrata permette di operare in modo preciso avendo un controllo puntuale sulle fasi di lavorazione pre-fermentative. Per poter scegliere il protocollo di lavorazione da applicare ad un'uva, è importante saper valutare la sua carica enzimatica e la sua ossidabilità. I test disponibili sono svariati ma richiedono sempre tempi lunghi e hanno costi elevati, inoltre il risultato non è sempre facilmente fruibile dal tecnico di cantina. Un approccio già studiato in passato, è la simulazione dell'ossidazione dei mosti a diverse condizioni monitorando la cinetica di consumo dell'ossigeno. Oggi questo metodo grazie a nuove apparecchiature disponibili a costi contenuti è diventato facilmente implementabile anche in cantina. Questo permette di valutare di volta in volta l'ossidabilità del mosto e dà la possibilità di adattare il protocollo di lavorazione alla materia prima. Infatti è noto che l'attività enzimatica varia notevolmente durante la maturazione delle uve e un protocollo adatto a inizio vendemmia, può non essere adatto alle uve raccolte a fine vendemmia. Per questo nell'ambito del presente progetto, è stata studiata l'ossidabilità dei mosti in laboratorio a diverse temperature e addizionando diverse sostanze. Tra le sostanze impiegate sono stati studiati alcuni coadiuvanti di largo uso, con azione antiossidante in enologia come l'anidride sol- forosa e l'acido ascorbico. Altri invece come sodio azide, acidi metossicinnamici sono stati scelti per la loro capacità di inibire gli enzimi in modo selettivo. Il mosto addizionato con il prodotto viene saturato d'ossigeno e posto in camera di lettura. Di seguito sono riportati i grafici di consumo dell'ossigeno a varie temperature con diversi prodotti (anidride solforosa, acido ascorbico, acido metossi-cinnamico). Come si può vedere in Figura 1, le prove condotte su mosti tal quali non addizionati seguono andamenti diversi a seconda della temperatura. Il test ambiente ha un andamento estremamente regolare che lo porta ad esaurire completamente l'ossigeno disciolto se il tempo di contatto è sufficientemente lungo (circa 25 min). Il test freddo invece ha un andamento estremamente rallentato e più regolare che lo porta a non esaurire l'ossigeno a fine prova. Si evidenzia l'importante effetto della temperatura sul rallentamento delle attività enzimatiche. Come si può vedere in Figura 2, il consumo di ossigeno sui test addizionati con 10 g/hL di anidride solforosa seguono andamenti simili sia per le prove a 4°C che a 10°C; le due prove si discostano meno rispetto alla prova test senza aggiunte. Risulta evidente un effetto di rallentamento sinergico della SO2 sulla cinetica di consumo, fenomeno che si aggiunge all'azione delle basse temperature. La prova con l'impiego di acido ascorbico alla dose di 50 mg/L in assenza di altre sostanze genera un effetto pro-ossidante sulle frazioni fenoliche del mosto (Figura 3). La velocità degli enzimi risulta notevolmente incrementata fino ad arrivare, sia nella prova a 20°C sia in quella a 4°C , ad esaurire rapidamente l'ossigeno disciolto, grazie all'azione combinata degli enzimi e dell'acido ascorbico. L'aumento di velocità è strettamente legata alla temperatura, infatti la prova a 20°C raggiunge molto velocemente valori d'ossigeno Figura 1. Cinetica di consumo dell'ossigeno a 20°C (test ambiente) e a 4°C (test freddo). Figura 2. Cinetica di consumo dell'ossigeno a 20°C (SO2 ambiente) e a 4°C (SO2 freddo). 55 Figura 3. Cinetica di consumo dell'ossigeno a 20°C (acido ascorbico ambiente) e a 4°C (acido ascorbico freddo). Figura 4. Cinetica di consumo dell'ossigeno a 20°C (metossi-cinnamico ambiente) e a 4°C (metossi-cinnamico freddo). disciolto prossimi a zero. L'acido metossi-cinnamico inibisce la tirosinasi presente sulle uve. Infatti la bibliografia attribuisce all'acido metossi-cinnamico un'azione di inibizione specifica nei confronti della tirosinasi ma non della laccasi. Se come nel caso riportato (Figura 4), le curve a 20°C e a 4°C sono molto ravvicinate e l'abbassamento di temperatura non ha ulteriore effetto sulla cinetica di consumo dell'ossigeno, si può dedurre che l'inibizione della tirosinasi è quasi completa. Nel caso in cui le due curve rimanessero discostate, si potrebbe ipotizzare che l'azione d'ossidazione non sia solo ad opera della tirosinasi ma anche della laccasi. Mettendo a confronto una serie di prove condotte su uno stesso mosto alla temperatura 56 di 20°C, risultano evidenti i differenti comportamenti dei prodotti impiegati. Molto evidente l'effetto pro-ossidante dell'acido ascorbico quando non è abbinato con anidride solforosa. La curva della prova test senza alcun additivo demarca il comportamento del mosto di riferimento per la prova. L'addizione di SO2 rallenta la cinetica rispetto al test, analogamente a quanto accade con l'aggiunta di acido metossi-cinnamico, infatti entrambi i prodotti inibiscono l'azione degli enzimi. Nel caso riportato in Figura 5 la sodio azide non ha effetti sulla cinetica di consumo dell'ossigeno in quanto avendo effettuato la prova su uve sane prive di laccasi, la sua aggiunta non incide sulla cinetica di consumo dell'ossigeno. Figura 5. Cinetica di consumo dell'ossigeno a 20°C con l'aggiunta di differenti prodotti). Figura 6. Cinetica di consumo dell'ossigeno a 4°C con l'aggiunta di differenti prodotti. Analogamente al caso precedente, mettendo a confronto i vari prodotti testati alla temperatura di 4°C (Figura 6), le considerazioni rimangono le stesse anche se lavorando a bassa temperatura è più difficile distinguere l'effetto dei prodotti, che tende ad essere sopraffatto dall'inibizione ad opera della temperatura. Di riferimento per questa considerazione è la prova con acido ascorbico in cui risulta molto meno evidente l'elevata velocità di consumo dell'ossigeno, cosa che invece risultava evidente nella prova a 20°C. Inoltre è stata valutata l'efficacia di protocolli di pressatura basati sui risultati dei test precedenti. Di seguito sono riportati i dati sugli effetti della pressatura in ambiente inerte (RID) e fortemente ossidativo (IPEROX) rispetto a un testimone trattato in condizioni normali di pigiatura e pressatura (TEST). La valutazione è stata effettuata attraverso analisi spettrofotometriche dirette a valutare l'ossidazione delle componenti polifenoli che del mosto. 57 Studi per la messa a punto di una metodica per la valutazione della stabilità tartarica dei vini bianchi N. Righetti, M. Manzo, E. Nicolis e R. Ferrarini Università degli Studi di Verona, Dipartimento di Biotecnologie La stabilizzazione dei vini nei confronti delle precipitazioni tartariche, rappresenta una delle principali problematiche che il tecnico è chiamato a risolvere per offrire al consumatore un prodotto che risponda in maniera globale agli elevati standard qualitativi oggi richiesti. Nella valutazione della stabilità tartarica, si cerca in tutti i modi di accelerare un processo che nel vino è alquanto lento e complesso con attrezzature e metodologie di diverso tipo in continua evoluzione. I test però oggi disponibili, possono dare dei giudizi errati, portando, nel caso di un trattamento non sufficiente, a dei precipitati in bottiglia oppure, se trattato in maniera eccessiva, ad uno smagrimento eccessivo del vino con uno spreco di grandi quantità di energia. La conservazione dei vini a temperature di cantina (ad esempio 12°C) per diversi mesi, potrebbe essere il test più vicino alla reale stabilità del vino, ma risulta eccessivamente lungo per le necessità aziendali. Il test a -4°C viene considerato come test di riferimento, in quanto è simile al precedente, ma più veloce grazie alla bassa temperatura; inoltre il vino non viene "sofisticato", né con l'aggiunta di germi di cristallizzazione, né con l'agitazione. Sebbene accelerato, il processo di cristallizzazione risulta comunque troppo lento per l'operatività di cantina che ha bisogno di risultati in giornata, per valutare l'efficacia del trattamento durante le operazioni di stabilizzazione tartarica del vino stesso. Il test a -10°C, portando il vino a 22 %Vol. in etanolo, sfrutta la diminuzione della solubilità del HTK, dovuta all'abbassamento della temperatura e all'incremento del grado alcolico, mantenendo però attive le due fasi della cinetica, al contrario dei test strumentali che prevedono l'aggiunta di nuclei bitartrato di potassio che saltano la prima fase di cristallizzazione. Lo scopo principale della ricerca è di mette58 re a punto un nuovo test comparandolo con il test di riferimento a -4°C; il confronto serve per verificare la correlazione tra i due test, identificare delle possibili soglie e valutare i punti di forza e quelli critici del protocollo attuato per indirizzare ulteriori sperimentazioni future. 1. IL TEST A -10°C CON L'AGGIUNTA DI ETANOLO È il nuovo test di cui si è voluta testare l'efficacia. Fino ad ora, le prove analizzate hanno sfruttato solo la temperatura come fattore di velocizzazione della cinetica di precipitazione, ma se si va ad aggiungere una quantità di etanolo tale che il vino in esame possa giungere a 22 %Vol., si può destabilizzare ulteriormente il campione e portare alla temperatura di -10°C senza che avvenga il congelamento. Le rilevazioni effettuate sono dello stesso tipo degli altri test di frigo, ma in questo caso, la prima precipitazione tartarica è stata valutata in ore. Come si può vedere dalla Tabella 1, il test a -10°C nei confronti dei vini bianchi, ne stima alcuni fortemente instabili. L'etanolo in questo caso, assieme alla temperatura, gioca un ruolo importante nella sovrasaturazione del vino. In questo test, nei vini bianchi potrebbe risultare complesso stimare una soglia di stabilità, in quanto, data l'eccessiva estremizzazione del test, le dinamiche di precipitazione potrebbe essere alterate rispetto alla realtà. Problematiche relative a questo test si riscontrano nella laboriosità della preparazione: occorre preparare il campione a 22 %Vol. con precisione e accuratezza. Si devono analizzare conducibilità, acido tartarico e potassio su vino testimone anche prima del test, questo perché, l'aggiunta di etanolo comporta una diluizione del prodotto. Per il monitoraggio, si esegue solo l'analisi visiva, in quanto, prelevando un'aliquota, si andrebbe a innescare il processo di precipitazione con successiva maggiore precipitazione sia durante che a fine test. È inoltre fondamentale svolgere, almeno ogni due ore, la valutazione dell'eventuale cristallizzazione. Quindi, è valutata positivamente la velocità del test, ma la laboriosità della prova è un aspetto da tener ben presente se si volesse eseguire. Al fine di valutare l'efficacia e l'attendibilità dei test di congelamento e di -10°C, si sono confrontati con il test di riferimento. Inoltre per avere una comparazione migliore, si sono divisi i campioni in stabili e instabili secondo il test a -4°C per sette giorni. 2. COMPARAZIONE FRA VINI STABILI BIANCHI Tabella 1. Risultati test -10 °C sui vini bianchi. Fondamentale la valutazione della formazione del primo precipitato nel caso del test a 10°C: in media si è verificato nelle prime 4 ore, quindi molto rapidamente. La precipitazione del bitartrato per quanto riguarda il test a -10°C, avviene nelle prime quattro ore, quindi si potrebbe stimare la soglia di stabilità per questo limite. Tabella 2. Confronto con variabili statistiche dei test di frigo dei vini. 59 3. COMPARAZIONE FRA VINI INSTABILI BIANCHI In questo caso il campione è più ampio rispetto ai vini bianchi stabili. Come si può vedere dalla Tabella 3, il test di riferimento, ha dato delle diminuzioni piuttosto basse per denotare dei prodotti instabili; ciò non è in linea con il potassio, in quanto risulta una diminuzione ben maggiore e una deviazione standard di nota. Sono vini sicuramente instabili, in quanto il primo precipitato, in media lo si ha al giorno 3 e quindi si è lontani dalla soglia limite. Il test a -10°C presenta in media una precipitazione alla quinta ora: anche se risulta mag- giore rispetto a vini bianchi stabili, c'è da ricordare che gli instabili erano in numero molto limitato e quindi poco rappresentativo. Gli altri due test (-4°C e -20°C) sono abbastanza simili dal punto di vista della caduta di acido tartarico e potassio, ma non per quanto riguarda la conducibilità. Il congelamento rappresenta un valore più simile rispetto al test a -4°C, anche se con una deviazione standard più elevata. Un dato che è importante analizzare, per quanto riguarda la diminuzione di potassio è la deviazione standard: si sono riscontrati valori piuttosto elevati, quindi i risultati si dispongono in un campo molto ampio. Tabella 3. Confronto con variabili statistiche dei test di frigo dei vini bianchi. 60 Bibliografia Arroio-Lopez F.N., Orlic S., Querol A., Barrio E., (2009). Effects of temperature, pH and sugar concentration on the growth parameters of Saccharomyces cerevisiae, S. kudriavzevii and their interspecific hybrid. Int. J. Food Microb.,131, 120. Boulton, R., Singleton, V. L., Bisson L.F., Kunkee R. E., (1998). Principles and pratices of winemaking. Chapman & Hall, NY. Boulton R., (1983). The conductivity method for evaluating the potassium bitartrate stability of wines. Pts 1,2. Enology Briefs 2,3 Cooperative Extension, Davis, CA: University of California. Carrillo J.D., Salazar C., Moreta C., Tena M.T., (2007). Determination of phthalates in wine by headspace solid-phase microextraction followed by gas chromatography-mass spectrometry: Fibre comparison and selection. J. Chromat. A, 1164, 248. Dubourdieu D., Moine-Ledoux V., (1994). Produit biologique pour la stabilisation physico-chimique d'un vin. Brevet d'ìnvention N. de publication 2, 726 284. Escudier J. L., Moutounet M., Saint-Pierre B, (1993). Stabilisation tartrique des vins par electrodilyse. Rev. Œnol. 69:35-37. Escudier J. L., Moutounet M., (1987). Filtration tangentielle et stabilisation tartrique des vins. II - Apport de la microfiltration tangentielle dans la stabilisation tartrique d'un vin rouge. Rev.Fr.Enol. 109:44-50. Ferrarini R., Valbusa M., De Conti D., (2001). Stabilizzazione tartarica mediante elettrodialisi. L'Enologo. 37(11): 87-92. Guerrero E.D., Mejias R.C., Marin R.N., Barroso C.G., (2007). Optimization of stir bar sorptive extraction applied to the determination of pesticides in vinegars. J. Chrom. A, 1165, 144. Hsu J.C., Heatherbell D.A., Flores J.H., Watson B.T., (1987). Heat-Unstable Proteins in Grape Juice and Wine. II. Characterization and Removal by Ultrafiltration. American Journal of Enology and Viticulture 38, 17-22. Lagace L.S., Bisson L.F., (1990). Survey of yeast acid proteases from effectiveness of wine haze reduction. American Journal of Enology and Viticulture 41, 147-155. Lavigne V., Pons A., Chone X., Dubourdieu D., (2003). Rôle du glutathion sur l'évolution aromatique des vins blancs secs. Œnologie 2003, 7Symphosium International d'Œnologie, Editions TEC et DOC, Paris, F. Usseglio-Tomasset L., (1979). Osservazioni su sconcertanti calcoli per valutare la stabilità dei vini nei confronti del cremortartaro. Vini d' Italia XXI, pag. 231-237. Marchal R., Berthier L., Legendre L., Marchal-Delahaut L., Jeandet P., Maujean A., (1998). Effects of Botrytis cinerea Infection on the Must Protein Electrophoretic Characteristics, J. Agric. Food Chem. 46, 4945-4949. Marchal R., Chaboche D., Douillart R., Jeandet P., (2002). Influence of lysozyme treatments on Champagne base wine foaming properties. J. Agric. Food Chem. 50, 14201428. 61 Mateo J.J., Gentilini N., Huerta T., di Stefano R., (1997). Fractionation of glycoside precursors of aroma in grapes and wine. J. Chromat. A., 778, 1-2, 219. Moutounet M., Battio J.L., Saint Pierre B., Escudier J.L., (1999). Stabilisation tartrique.Détermination du degré d'instabilité des vins. Mesure de l'efficacité des inhibiteurs de cristal-lisation. In: Proceedings of 6° Symposium International d'oenologie, "Enologie 99". O.I.V., (2008). Recueil international des méthodes d'analyse des vins et des moûts. Paris, France. Roussis I., Soulti K., Tzimas P., (2005). Inhibition of the decrease of linalool in Muscat white wine by phenolics acids. Food Technol. Biotechnol, 43, 389. Roussis I.G., Lambropoulos I., Tzimas P., (2007). Protection of volatiles in a wine with low sulfur dioxide by caffeic acid or glutathione. Am. J. Enol. Vitic., 58, 2, 274. Torchio F., Río Segade S., Gerbi V., Cagnasso E., Rolle L., (2011). Change in chromatic characteristics and phenolic composition during winemaking and shelf-life of two type of red sweet sparkling wines. Food Res. Int. Doi: 10.1016/j.foodres.2011.01.024. Vincenzi S., Polesani M., Curioni A., (2005). Removal of Specific Protein Components by Chitin Enhances Protein Stability in a White Wine. American Journal of Enology and Viticulture 56, 246-254. Waters E.J., Wallace W., Williams P.J., (1992). Identification of heat-unstable wine proteins and their resistance to peptidases. Journal of Agricultural and Food Chemistry 40, 1514-1519. Waters E.J., Pellerin P., Brillouet J.M., (1994). A Saccharomyces mannoprotein that protects wine from protein haze. Carbohydr. Polym. 1994a, 23, 185-191. Waters E.J., Alexander G., Muhlack R., Pocock K.F., Colby C., O'Neill B.K., Høj P.B., Jones P., (2005). Preventing protein haze in bottled white wine. Australian Journal of Grape and Wine Research 11, 215-225. Weetall H.H., Zelko J.T., Bailey L.F., (1984). A new method for the stabilization of white wine. American Journal of Enology and Viticulture35, 212-215. 62