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RiassuntoMatematica

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Parte I
CLASSE PRIMA RIASSUNTO
1
Capitolo 1
Logica
1.1
Teoria matematica
Una teoria esprime per mezzo di un linguaggio preciso concetti e loro proprietà. Ogni termine, ogni proposizione di una teoria ha un significato univoco. Una teoria è composta da
alcuni termini primitivi, per esempio nella geometria la retta. Di questi termini non è data
una definizione.
Con i termini primitivi, mediante le definizioni, si definiscono altri termini che a loro volta
possono essere utilizzati per definirne altri: per esempio il segmento.
Con i termini si costruiscono alcune proposizioni dette postulati o assiomi che sono verità
assunte a priori.
Con i termini si costruiscono altre proposizioni dette teoremi che si devono dimostrare.
In un teorema si distingue un’ipotesi e una tesi. L’ipotesi è formata da proposizioni vere da
cui, attraverso la dimostrazione, deve scaturire la verità della tesi, utilizzando gli assiomi e
i teoremi già dimostrati.
Consideriamo la teoria delle proposizioni detta anche logica.
1.2
Proposizioni
Alla base della logica ci sono le proposizioni.
Definizione 1.2.1 (Proposizione).
Si dice proposizione un’affermazione vera o falsa.
I concetti di vero e falso li assumiamo come primitivi, cioè li useremo senza definirli. Per
rappresentare le proposizioni uilizzeremo le lettere minuscole p, q, r, . . ..
Per indicare che una proposizione è vera utilizzeremo il simbolo V , per indicare che una
proposizione è falsa utilizzeremo il simbolo F .
Con le proposizioni e con i valori che possono assumere si costruiscono delle tabelle che
si chiamano tavole di verità. Per determinare tutti i casi possibili nelle tavole di verità si
procede nel seguente modo:
• con una sola proposizione i valori possibili sono V e F ;
2
1.3. CONNETTIVI
• con due proposizioni nella colonna della prima si scrivono due V e due F , nella colonna
della seconda si scrive in modo alternato V , F .
• con tre proposizioni, nella colonna della prima si scrivono quattro V e quattro F , nella
colonna della seconda si scrivono in modo alternato due V e due F , nella colonna della
terza si scrive in modo alternato V , F .
1.3
Connettivi
Le proposizioni che abbiamo visto sono dette proposizioni elementari perché non sono scomponibili in altre proposizioni. Le proposizioni elementari, legate insieme con delle particelle
chiamate connettivi, formano le proposizioni composte. I connettivi più importanti sono:
non, e, o.
1.3.1
Connettivo non
Il connettivo non si può anche trovare nella forma inglese not. Il simbolo è ¬ davanti alla
proposizione, l’operazione logica associata è la negazione.
Definizione 1.3.1 (Negazione).
Si dice negazione di una proposizione p quella proposizione che è vera se p è falsa, falsa se
p è vera. La negazione di p si indica con ¬p
p ¬p
V
F
F
V
1.3.2
Connettivo e
Il connettivo e si può anche trovare nella forma inglese and o nella forma latina et. Il simbolo
è ∧. L’operazione logica associata è la congiunzione
Definizione 1.3.2 (Congiunzione).
Si dice congiunzione di due proposizioni p e q quella proposizione che è vera se sono entrambe
vere, falsa negli altri casi. La congiunzione di p e q si indica con p ∧ q
p
q
p∧q
V
V
F
F
V
F
V
F
V
F
F
F
3
CAPITOLO 1. LOGICA
1.3.3
Connettivo o
Il connettivo o si può anche trovare nella forma inglese or o nella forma latina vel. Il simbolo
è ∨. L’operazione logica associata è la disgiunzione.
Definizione 1.3.3 (Disgiunzione).
Si dice disgiunzione di due proposizioni p e q quella proposizione che è vera se almeno una
delle due proposizioni è vera, falsa negli altri casi. La disgiunzione di p e q si indica con p ∨ q
p
q
p∨q
V
V
F
F
V
F
V
F
V
V
V
F
1.4
Espressioni logiche
I connettivi visti possono essere applicati, oltre che a proposizioni elementari, anche a
proposizioni composte e ottenere le espressioni logiche.
1.4.1
Tautologie e contraddizioni
Definizione 1.4.1 (Tautologia).
Si dice tautologia un’espressione logica vera per qualsiasi valore delle variabili che la compongono.
Definizione 1.4.2 (Contraddizione).
Si dice contraddizione un’espressione logica falsa per qualsiasi valore delle variabili che la
compongono.
Una tautologia la indicheremo con T e una contraddizione con C.
1.5
Proprietà delle operazioni logiche
Siano p e q e r delle proposizioni. Valgono le seguenti proprietà:
1. proprietà commutativa:
p∧q ⇔q∧p
p∨q ⇔q∨p
2. proprietà associativa:
p ∧ (q ∧ r) ⇔ (p ∧ q) ∧ r
p ∨ (q ∨ r) ⇔ (p ∨ q) ∨ r
4
1.6. PROPOSIZIONI APERTE E QUANTIFICATORI
3. proprietà di idempotenza:
p∧p⇔p
p∨p⇔p
4. proprietà distributiva:
p ∧ (q ∨ r) ⇔ (p ∧ q) ∨ (p ∧ r)
p ∨ (q ∧ r) ⇔ (p ∨ q) ∧ (p ∨ r)
5. proprietà di assorbimento:
p ∧ (p ∨ q) ⇔ p
p ∨ (p ∧ q) ⇔ p
6. leggi di De Morgan:
¬(p ∧ q) ⇔ ¬p ∨ ¬q
¬(p ∨ q) ⇔ ¬p ∧ ¬q
7. proprietà con tautologie e contraddizioni
p∧T ⇔p
p∧C ⇔C
p∨T ⇔T
p∨C ⇔p
p ∧ ¬p ⇔ C
p ∨ ¬p ⇔ T
1.6
1.6.1
Proposizioni aperte e quantificatori
Proposizioni aperte
Definizione 1.6.1 (Proposizione aperta).
Si dice proposizione aperta una proposizione con una o più variabili
Se alle variabili si sostituiscono dei valori la proposizione aperta diventa una proposizione.
Definizione 1.6.2 (Dominio).
Si dice dominio di una proposizione aperta e si indica con D l’insieme dal quale si possono
prendere i valori da sostituire alle variabili
Definizione 1.6.3 (Insieme di verità).
Si dice insieme di verità della proposizione aperta p(x) l’insieme dei valori del dominio che
la rendono vera
5
CAPITOLO 1. LOGICA
1.6.2
Quantificatori
Un altro modo per ottenere una proposizione da una proposizione aperta è utilizzare i quantificatori.
Esistono due quantificatori, il quantificatore esistenziale, indicato con il simbolo ∃ che significa “esiste almeno un” e il quantificatore universale indicato con il simbolo ∀ che significa
“tutti” o “per ogni”.
La proposizione ∃x ∈ D/p(x) si legge “esiste almeno un elemento x appartenente a D tale
che p(x)”.
La proposizione ∀x ∈ D, p(x) si legge “per ogni elemento x appartenente a D, p(x)”.
Teorema 1.6.1 (Leggi di De Morgan).
¬(∀x ∈ D, p(x)) ⇔ ∃x ∈ D/¬p(x)
¬(∃x ∈ D/p(x)) ⇔ ∀x ∈ D, ¬p(x)
Le leggi di De Morgan dicono rispettivamente che
• “non è vero che tutti gli x godono p(x)” è equivalente a “esiste almeno un x che non
gode p(x)”
• “non è vero che esiste almeno un x che gode p(x)” è equivalente a “tutti gli x non
godono p(x)”
1.7
Implicazione logica
Definizione 1.7.1 (Implicazione logica).
Date due proposizioni aperte I(x) e T (x) con x ∈ D, se ogni valore di x che renda verà I(x)
rende vera anche T (x) si dice che I(x) implica logicamente T (x) e si scrive I(x) ⇒ T (x)
Osservazioni
1. I( x) si chiama ipotesi, T (x) si chiama tesi.
2. I(x) ⇒ T (x) si può anche leggere “se I(x) allora T (x)”.
3. I(x) si chiama condizione sufficiente per T (x) e T (x) si chiama condizione necessaria
per I(x).
1.8
Equivalenza logica o biimplicazione logica
Definizione 1.8.1 (Biimplicazione logica).
Date due proposizioni aperte A(x) e B(x), se per ogni x ∈ D assumono lo stesso valore
di verità si dice che A(x) biimplica logicamente B(x) oppure A(x) equivale logicamente a
B(x) e si scrive A(x) ⇔ B(x)
Osservazioni
6
1.9. DIMOSTRAZIONE PER ASSURDO
1. A(x) ⇔ B(x) si può anche leggere “A(x) se e solo se B(x)” .
2. A(x) si chiama condizione necessaria e sufficiente per B(x) e B(x) si chiama condizione
necessaria e sufficiente per A(x).
3. Dire che A(x) ⇔ B(x) è come dire A(x) ⇒ B(x) e B(x) ⇒ A(x)
1.9
Dimostrazione per assurdo
All’inizio del capitolo abbiamo introdotto i concetti di teorema specificando che la dimostrazione permette di arrivare dall’ipotesi alla tesi.
Esiste un altro tipo di dimostrazione, detta per assurdo che consiste nel negare la tesi e
arrivare ad una contraddizione. Infatti
(I(x) ⇒ T (x)) ⇔ (¬T (x) ⇒ ¬I(x))
Esempio 1.9.1.
x è divisibile per 4 ⇒ x è divisibile per 2
è equivalente a
x è non è divisibile per 2 implica x è non è divisibile per 4
7
Capitolo 2
Insiemi
2.1
Rappresentazione degli insiemi
Gli insiemi si possono rappresentare in vari modi:
1. elencando gli elementi racchiusi tra parentesi graffe:
A = {1, 2, 3, 4, 5}
2. tramite la proprietà caratteristica, cioè una proprietà che è vera per tutti e soli gli
elementi dell’insieme:
A = {x ∈ N0 /x < 6}
Negli insiemi non contano l’ordine o le ripetizioni, l’insieme
{1, 2, 3, 4, 5} = {2, 1, 4, 3, 5} = {1, 1, 1, 2, 3, 4, 5}
2.2
Insiemi particolari
1. insieme unitario: insieme con un solo elemento: {a}
2. insieme vuoto: insieme con nessun elemento, si indica con ∅ o {}
2.3
Inclusione
Definizione 2.3.1 (Inclusione).
Si dice che l’insieme A è incluso nell’insieme B se e solo se ogni elemento di A appartiene
a B e si scrive A ⊆ B
Osservazioni
1. Se A è incluso in B si dice che A è un sottoinsieme di B.
2. L ’insieme vuoto è incluso in qualsiasi insieme e ogni insieme è incluso in se stesso.
8
2.4. INSIEME DELLE PARTI
3. Dato un insieme A, l’insieme vuoto e A si dicono sottoinsiemi impropri di A, gli altri
sottoinsiemi di A si dicono propri.
4. A = B ⇔ A ⊆ B ∧ B ⊆ A
5. Se A non è incluso in B, si scrive A * B
6. A ⊇ B ⇔ B ⊆ A
Definizione 2.3.2 (Inclusione stretta).
Si dice che l’insieme A è incluso strettamente nell’insieme B se e solo se A ⊆ B ∧ A 6= B e
si scrive A ⊂ B
Osservazioni
1. Se A non è incluso strettamente in B, si scrive A 6⊂ B
2. A ⊃ B ⇔ B ⊂ A
2.4
Insieme delle parti
Definizione 2.4.1 (Insieme delle parti).
Si dice insieme delle parti di un insieme A l’insieme costituito da tutti i sottoinsiemi di A
e si indica con P (A)
Osservazione
Se A ha n elementi allora P (A) ha 2n elementi
2.5
2.5.1
Operazioni tra insiemi
Unione
Definizione 2.5.1 (Unione).
Si dice unione di due insiemi A e B l’insieme costituito dagli elementi che appartengono ad
A o a B e si scrive A ∪ B
Osservazioni
1. Se A ⊆ B allora A ∪ B = B
2. A ∪ A = A
3. A ∪ ∅ = A
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CAPITOLO 2. INSIEMI
2.5.2
Intersezione
Definizione 2.5.2 (Intersezione).
Si dice Intersezione di due insiemi A e B l’insieme costituito dagli elementi comuni ad A e
B e si scrive A ∩ B
Osservazioni
1. Se A ⊆ B allora A ∩ B = A
2. A ∩ A = A
3. A ∩ ∅ = ∅
Definizione 2.5.3 (Insiemi disgiunti).
Due insiemi si dicono disgiunti se la loro intersezione è l’insieme vuoto, cioè se non hanno
elementi in comune
2.5.3
Differenza
Definizione 2.5.4 (Differenza).
Si dice differenza di due insiemi A e B l’insieme costituito dagli elementi di A che non
appartengo a B e si scrive A − B
Osservazioni
1. Se A ⊆ B allora A − B = ∅
2. Se A ∩ B = ∅ allora A − B = A
3. A − A = ∅
4. A − ∅ = A
2.5.4
Insieme complementare
Definizione 2.5.5 (Insieme complementare).
Si dice insieme complementare di un insieme A ⊆ B rispetto a B, l’insieme B − A e si scrive
CB (A)
Osservazioni
1. CA (A) = ∅
2. CA (∅) = A
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2.6. PARTIZIONE DI UN INSIEME
2.5.5
Proprietà delle operazioni tra insiemi
Siano A, B, C degli insiemi inclusi nell’insieme U .
Valgono le seguenti proprietà:
1. proprietà commutativa:
A∪B =B∪A
A∩B =B∩A
2. proprietà associativa:
A ∪ (B ∪ C) = (A ∪ B) ∪ C
A ∩ (B ∩ C) = (A ∩ B) ∩ C
3. proprietà di idempotenza:
A∪A=A
A∩A=A
4. proprietà distributiva:
A ∪ (B ∩ C) = (A ∪ B) ∩ (A ∪ C)
A ∩ (B ∪ C) = (A ∩ B) ∪ (A ∩ C)
5. proprietà di assorbimento:
A ∪ (A ∩ B) = A
A ∩ (A ∪ B) = A
6. leggi di De Morgan:
CU (A ∪ B) = CU (A) ∩ CU (B)
CU (A ∩ B) = CU (A) ∪ CU (B)
2.6
Partizione di un insieme
Definizione 2.6.1 (Partizione).
Si dice partizione di un insieme A non vuoto un insieme di sottoinsiemi di A tale che
1. nessun sottoinsieme è vuoto
2. i sottoinsiemi sono disgiunti a due a due
3. l’unione di tutti i sottoinsiemi è uguale all’insieme A
11
CAPITOLO 2. INSIEMI
2.7
Prodotto cartesiano
Definizione 2.7.1 (Prodotto cartesiano).
Si dice prodotto cartesiano di due insiemi A e B l’insieme costituito dalle coppie ordinate
con il primo elemento appartenente ad A e il secondo appartenente a B e si scrive A × B
In simboli:
A × B = {(a, b)/a ∈ A ∧ b ∈ B}
Osservazioni
1. A × ∅ = ∅ × A = ∅ × ∅ = ∅
2. Nel prodotto cartesiano i due insiemi possono anche coincidere; in questo caso A × A
viene anche indicato con A2 .
3. Se A ha m elementi e B ha n elementi, allora A × B ha m · n elementi.
2.7.1
Rappresentazione grafica del prodotto cartesiano
Il prodotto cartesiano A × B si può rappresentare graficamente in due modi
1. utilizzando i diagrammi sagittali: dopo aver rappresentato gli insiemi A e B con i
diagrammi di Eulero-Venn si disegnano delle frecce che congiungono tutti gli elementi
di A con tutti gli elementi di B.
2. utilizzando i diagrammi cartesiani: si disegnano una retta orizzontale rA e una retta
verticale rB ; gli elementi di A si rappresentano con dei punti su rA , gli elementi di B
si rappresentano con punti dei punti su rB . La coppia (a, b) è rappresentata dal punto
P intersezione tra la retta verticale passante per a e la retta orizzontale passante per
b
2.7.2
Prodotto cartesiano di più insiemi
La definizione di prodotto cartesiano si può estendere a più di due insiemi.
Nel caso di tre insiemi A, B, C, gli elementi di A × B × C sono delle triple ordinate il cui
primo elemento appartiene ad A, il secondo a B e il terzo a C.
Il prodotto cartesiano di n insiemi uguali ad A si dice potenza n-esima cartesiana di A, si
indica con An ed è formato dalle ennuple ordinate di elementi di A.
Per determinare tutte le ennuple di un prodotto cartesiano si può utilizzare un diagramma
ad albero.
L’albero si costriusce dall’alto verso il basso.
Dal primo nodo si disegna un ramo per ogni elemento del primo insieme; dai nodi ottenuti
si disegna un ramo per ogni elemento del secondo insieme e così via.
Per determinare le ennuple è sufficiente seguire i rami.
12
Capitolo 3
Relazioni tra due insiemi
3.1
Introduzione
Definizione 3.1.1 (Relazione).
Si dice relazione dall’insieme A nell’insieme B una proposizione aperta in due variabili che
ad elementi di A associa elementi di B.
Una relazione la indichiamo con R.
L’insieme A si chiama insieme di partenza, l’insieme B si chiama insieme di arrivo.
Se in una relazione R, x ∈ A è in relazione con y ∈ B, si dice che y è immagine di x, x è
controimmagine di y e si scrive xRy.
L’insieme degli elementi di A che hanno almeno un’immagine in B si dice dominio e si
indica con D.
L’insieme degli elementi di B che hanno almeno una controimmagine in A si dice codominio
e si indica con C.
Il codominio di una relazione è l’insieme delle immagini degli elementi del dominio.
3.2
Grafo
Definizione 3.2.1 (Grafo).
Data una relazione R da A in B si dice grafo e si indica con G il sottoinsieme del prodotto
cartesiano A × B formato da tutte e sole le coppie di elementi in relazione tra di loro, in
simboli:
G = {(x, y) ∈ A × B/xRy} ⊆ A × B
Poiché la relazione è la proprietà caratteristica del grafo, grafo e relazione si possono
identificare, quindi la relazione si può anche definire nel seguente modo:
Definizione 3.2.2 (Relazione).
Si dice relazione dall’insieme A nell’insieme B un sottoinsieme del prodotto cartesiano A×B
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CAPITOLO 3. RELAZIONI TRA DUE INSIEMI
3.3
Rapprentazione grafica di una relazione
Poichè una relazione è un sottoinsieme del prodotto cartesiano possiamo rappresentarla
graficamente con i metodi visti per il prodotto cartesiano.
3.4
Relazione inversa
Definizione 3.4.1 (Relazione inversa).
Data la relazione R da A in B, si dice relazione inversa di R e si indica con R −1 la relazione
da B in A definita nel seguente modo:
yR −1 x ⇔ xRy
∀x ∈ A, ∀ y ∈ B
Il grafo della relazione inversa si ottiene invertendo gli elementi di ogni coppia del grafo
della relazione data.
3.5
3.5.1
Tipi di relazioni
Relazioni ovunque definite
Definizione 3.5.1 (Relazione ovunque definita).
Una relazione R da A in B si dice ovunque definita se e solo se ogni elemento di A ha
almeno un’immagine
3.5.2
Relazioni funzionali
Definizione 3.5.2 (Relazione funzionale).
Una relazione R da A in B si dice funzionale se e solo se ogni elemento di A ha al più
un’immagine
3.5.3
Relazioni suriettive
Definizione 3.5.3 (Relazione suriettiva).
Una relazione R da A in B si dice suriettiva se e solo se ogni elemento di B ha almeno una
controimmagine
3.5.4
Relazioni iniettive
Definizione 3.5.4 (Relazione iniettiva).
Una relazione R da A in B si dice iniettiva se e solo se ogni elemento di B ha al più una
controimmagine
14
Capitolo 4
Relazioni in un insieme
4.1
Introduzione
Se gli insiemi A e B tra cui è definita una relazione coincidono, si ha una relazione che va
da A in A; essa si può anche interpretare come relazione tra gli elementi di A e in questo
caso si dice relazione in A.
4.2
Proprietà delle relazioni in un insieme
Una relazione in un insieme può godere delle seguenti proprietà:
• riflessiva
• antiriflessiva
• simmetrica
• antisimmetrica
• transitiva
4.2.1
Proprietà riflessiva
Definizione 4.2.1 (Riflessiva).
Una relazione R in un insieme A gode della proprietà riflessiva se e solo se
∀x ∈ A xRx
cioè ogni elemento è in relazione con se stesso.
4.2.2
Proprietà antiriflessiva
Definizione 4.2.2 (Antiriflessiva).
Una relazione R in un insieme A gode della proprietà antiriflessiva se e solo se
∀x ∈ A x
Rx
cioè ogni elemento non è in relazione con se stesso.
15
CAPITOLO 4. RELAZIONI IN UN INSIEME
4.2.3
Proprietà simmetrica
Definizione 4.2.3 (Simmetrica).
Una relazione R in un insieme A gode della proprietà simmetrica se e solo se
∀x, y ∈ A xRy ⇒ yRx
cioè se un elemento x è in relazione con un elemento y allora y deve essere in relazione con
x
4.2.4
Proprietà antisimmetrica
Definizione 4.2.4 (Antisimmetrica).
Una relazione R in un insieme A gode della proprietà antisimmetrica se e solo se
∀x, y ∈ A x 6= y ∧ xRy ⇒ y
Rx
cioè se un elemento x è in relazione con un elemento y 6= x allora y non deve essere in
relazione con x
Esiste una definizione equivalente di proprietà antisimmetrica che può essere utile nelle
dimostrazioni:
Definizione 4.2.5 (Antisimmetrica).
Una relazione R in un insieme A gode della proprietà antisimmetrica se e solo se
∀x, y ∈ A xRy ∧ yRx ⇒ x = y
cioè se un elemento x è in relazione con un elemento y e y è in relazione con x allora gli
elementi sono uguali
4.2.5
Proprietà transitiva
Definizione 4.2.6 (Transitiva).
Una relazione R in un insieme A gode della proprietà transitiva se e solo se
∀x, y, z ∈ A xRy ∧ yRz ⇒ xRz
cioè se un elemento x è in relazione con un elemento y e y è in relazione con un elemento z
allora x è in relazione con z
4.3
Relazione d’ordine
Definizione 4.3.1 (Relazione d’ordine).
Una relazione in un insieme si dice d’ordine se e solo se gode delle proprietà riflessiva,
antisimmetrica, transitiva.
Definizione 4.3.2 (Relazione d’ordine stretto).
Una relazione in un insieme si dice d’ordine stretto se e solo se gode delle proprietà
antiriflessiva, antisimmetrica, transitiva.
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4.4. RELAZIONE DI EQUIVALENZA
Definizione 4.3.3 (Elementi confrontabili).
Data una relazione d’ordine R in un insieme A, due elementi x, y ∈ A con x 6= y si dicono
confrontabili se e solo se xRy ∨ yRx
Definizione 4.3.4 (Relazione d’ordine totale).
Una relazione d’ordine R in un insieme A si dice totale se e solo se tutti gli elementi sono
confrontabili, in simboli
∀x, y ∈ A, con x 6= y
xRy ∨ yRx
Definizione 4.3.5 (Relazione d’ordine parziale).
Una relazione d’ordine R in un insieme A si dice parziale se e solo se non è totale
Osservazione
Le definizioni date valgono anche per le relazioni di ordine stretto.
4.3.1
Massimo e minimo di un insieme
Dati un insieme non vuoto A e una relazione d’ordine R in A, si hanno le seguenti definizioni:
Definizione 4.3.6 (Massimo).
Si dice che M ∈ A è il massimo di A, se e solo se ∀x ∈ A xRM e si indica con max (A).
Definizione 4.3.7 (Minimo).
Si dice che m ∈ A è il minimo di A, se e solo se ∀x ∈ A mRx e si indica con min (A).
4.4
Relazione di equivalenza
Definizione 4.4.1 (Relazione di equivalenza).
Una relazione in un insieme si dice relazione di equivalenza se e solo se gode delle proprietà
riflessiva, simmetrica, transitiva.
Definizione 4.4.2 (Classe di equivalenza).
Dati una relazione di equivalenza R in un insieme A e x ∈ A, si dice classe di equivalenza
di rappresentante x l’insieme di tutti gli elementi di A che sono in relazione con x e si indica
con [x], in simboli:
[x] = {y ∈ A/yRx}
Teorema 4.4.1 (Classi di equivalenza e partizione).
Data una relazione di equivalenza R in un insieme A, le classi di equivalenza che si ottengono
formano una partizione di A
Definizione 4.4.3 (Insieme quoziente).
Data una relazione di equivalenza R in un insieme A, si dice insieme quoziente di A rispetto
a R e si indica con A/R l’insieme che ha come elementi le classi di equivalenza, in simboli:
A/R = {[a]/a ∈ A}
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Capitolo 5
Numeri naturali
5.1
Introduzione
L’insieme dei numeri naturali è infinito e viene indicato con N.
N = {0, 1, 2, 3, 4, 5, . . .}
Con N0 indichiamo l’insieme dei numeri naturali privati dello 0:
N0 = {1, 2, 3, 4, 5, . . .}
5.2
Addizione e moltiplicazione
5.2.1
Proprietà
Vediamo ora alcune proprietà dell’addizione
1. proprietà commutativa:
∀a, b ∈ N a + b = b + a
2. proprietà associativa:
∀a, b, c ∈ N a + (b + c) = (a + b) + c
3. proprietà di esistenza dell’elemento neutro:
∃0 ∈ N/∀a ∈ N a + 0 = 0 + a = a
Vediamo ora alcune proprietà della moltiplicazione
1. proprietà commutativa:
∀a, b ∈ N a · b = b · a
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5.3. RELAZIONI NELL’INSIEME DEI NUMERI NATURALI
2. proprietà associativa:
∀a, b, c ∈ N a · (b · c) = (a · b) · c
3. proprietà di esistenza dell’elemento neutro:
∃1 ∈ N/∀a ∈ N a · 1 = 1 · a = a
Vale inoltre la proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto all’addizione:
∀a, b, c ∈ N a · (b + c) = (a · b) + (a · c)
∀a, b, c ∈ N (a + b) · c = (a · c) + (b · c)
Oltre alle proprietà viste la moltiplicazione gode delle seguenti proprietà
1. proprietà di esistenza dell’elemento nullificatore:
∃0 ∈ N/∀a ∈ N a · 0 = 0 · a = 0
2. legge di annullamento del prodotto
∀a, b ∈ N a · b = 0 ⇔ a = 0 ∨ b = 0
5.3
5.3.1
Relazioni nell’insieme dei numeri naturali
Relazioni minore e maggiore
Definizione 5.3.1 (Relazione minore o uguale).
Dati a, b ∈ N si dice che a è minore o uguale di b se e solo se esiste d ∈ N tale che a + d = b,
in simboli:
a 6 b ⇔ ∃d ∈ N/a + d = b con a, b ∈ N
Teorema 5.3.1 (Relazione minore o uguale).
La relazione minore o uguale in N è d’ordine.
Definizione 5.3.2 (Relazione minore ).
Dati a, b ∈ N si dice che a è minore di b se e solo se a è minore o uguale di b e a è diverso
da b, in simboli:
a < b ⇔ a 6 b ∧ a 6= b con a, b ∈ N
Definizione 5.3.3 (Relazione maggiore o uguale).
Dati a, b ∈ N si dice che a è maggiore o uguale di b se e solo se b è minore o uguale di a, in
simboli:
a > b ⇔ b 6 a con a, b ∈ N
Definizione 5.3.4 (Relazione maggiore).
Dati a, b ∈ N si dice che a è maggiore di b se e solo se b è minore di a, in simboli:
a > b ⇔ b < a con a, b ∈ N
La relazione d’ordine minore o uguale è totale e permette di rappresentare i numeri naturali
su una retta orientata.
Ogni numero naturale ammette successivo: il successivo di n è n + 1
19
CAPITOLO 5. NUMERI NATURALI
Compatibilità
La relazione d’ordine minore o uguale è compatibile con le operazioni di addizione e moltiplicazione:
• ∀a, b, c ∈ N a 6 b ⇒ a + c 6 b + c
• ∀a, b ∈ N, c ∈ N0 a 6 b ⇒ a · c 6 b · c
La compatibilità vale anche per le relazioni minore, maggiore o uguale, maggiore, uguale.
5.3.2
Relazioni divisore e multiplo
Definizione 5.3.5 (Relazione divisore).
Dati a, b ∈ N si dice che a è divisore di b se e solo se esiste q ∈ N tale che aq = b, in simboli:
a|b ⇔ ∃q ∈ N/aq = b con a, b ∈ N
Teorema 5.3.2 (Relazione divisore).
La relazione divisore in N è d’ordine.
Osservazione
La relazione divisore in N è di ordine parziale perché per esempio 2 non è in relazione con
3.
Definizione 5.3.6 (Relazione multiplo).
Dati a, b ∈ N si dice che a è multiplo di b se e solo se b è divisore di a, in simboli:
a è multiplo di b ⇔ b|a con a, b ∈ N
Definizione 5.3.7 (Numero pari).
Un numero naturale si dice pari se è un multiplo di 2
L’insieme dei numeri pari si indica con P
Definizione 5.3.8 (Numero dispari).
Un numero naturale si dice dispari se non è un multiplo di 2
L’insieme dei numeri dispari si indica con D
Osservazione
Un generico numero pari si indica con 2n e un generico numero dispari si indica con 2n + 1
dove n ∈ N
5.4
Criteri di divisibilità
I criteri di divisibilità ci permottono di stabilire se un numero è divisibile per un altro senza
effettuare la divisione.
1. Un numero naturale è divisibile per 2 se l’ultima cifra è pari
20
5.5. NUMERI PRIMI
2. Un numero naturale è divisibile per 3 se la somma delle cifre è un multiplo di 3
3. Un numero naturale è divisibile per 5 se l’ultima cifra è 0 o 5
4. Un numero naturale è divisibile per 11 se la differenza tra la somma delle cifre di
posto pari e la somma delle cifre di posto dispari è un multiplo di 11
5.5
Numeri primi
Definizione 5.5.1 (Numero primo).
Si dice numero primo un numero naturale maggiore di 1 che ha come divisori solo 1 e se
stesso
Teorema 5.5.1 (Numeri primi infiniti).
L’insieme dei numeri primi è infinito
Teorema 5.5.2 (Teorema fondamentale dell’aritmetica).
Ogni numero naturale maggiore di 1 si può scrivere come prodotto di fattori primi e tale
scomposizione è unica, a meno dell’ordine dei fattori
5.6
Massimo comune divisore e minimo comune multiplo
Definizione 5.6.1 (Massimo comune divisore).
Si dice massimo comune divisore di due numeri a, b ∈ N0 il maggiore dei divisori comuni ad
a e a b e si indica con MCD(a, b)
Per calcolare il MCD(a, b), con a 6= 1 ∧ b 6= 1:
1. si scompongono a e b in fattori primi
2. il massimo comune divisore è il prodotto dei fattori comuni presi una volta sola con
il minimo esponente, 1 se non ci sono fattori comuni
Inoltre
MCD(a, 1) = 1
Definizione 5.6.2 (Numeri primi tra loro).
Due numeri a, b ∈ N0 si dicono primi tra loro se MCD(a, b) = 1
Osservazione
Due numeri primi tra loro non necessariamente sono primi.
Definizione 5.6.3 (Minimo comune multiplo).
Si dice minimo comune multiplo di due numeri a, b ∈ N0 il minore dei multipli comuni ad
a e a b non nulli e si indica con mcm(a, b)
Per calcolare il mcm(a, b), con a 6= 1 ∧ b 6= 1:
21
CAPITOLO 5. NUMERI NATURALI
1. si scompongono a e b in fattori primi
2. il minimo comune multiplo è il prodotto dei fattori comuni e non comuni presi una
volta sola con il massimo esponente
Inoltre
mcm(a, 1) = a
Teorema 5.6.1 (Massimo comune divisore e minimo comune multiplo).
Il prodotto tra il massimo comune divisore e il minimo comune multiplo di due numeri è
uguale al prodotto dei due numeri. In simboli:
MCD(a, b) · mcm(a, b) = a · b
22
Capitolo 6
Numeri interi
6.1
Introduzione
I numeri interi si esprimono scrivendo i numeri naturali preceduti dal segno − (numeri interi
negativi) o dal segno + (numeri interi positivi). Lo 0 non è preceduto da alcun segno.
L’insieme dei numeri interi è infinito e viene indicato con Z.
Z = {. . . , −5, −4, −3, −2, −1, 0, +1, +2, +3, +4, +5, . . .}
Con Z− indichiamo l’insieme dei numeri interi negativi
Z− = {. . . , −3, −2, −1}
Con Z+ indichiamo l’insieme dei numeri interi positivi
Z+ = {+1, +2, +3, . . .}
Con Z0 indichiamo l’insieme dei numeri interi privati dello 0:
Z0 = {. . . , −5, −4, −3, −2, −1, +1, +2, +3, +4, +5, . . .}
6.2
Addizione e moltiplicazione
6.2.1
Proprietà
Vediamo ora alcune proprietà dell’addizione
1. proprietà commutativa:
∀a, b ∈ Z a + b = b + a
2. proprietà associativa:
∀a, b, c ∈ Z a + (b + c) = (a + b) + c
23
CAPITOLO 6. NUMERI INTERI
3. proprietà di esistenza dell’elemento neutro:
∃0 ∈ Z/∀a ∈ Z a + 0 = 0 + a = a
4. proprietà di esistenza dell’elemento opposto:
∀a ∈ Z∃ − a ∈ Z/a + (−a) = −a + a = 0
Vediamo ora alcune proprietà della moltiplicazione
1. proprietà commutativa:
∀a, b ∈ Z a · b = b · a
2. proprietà associativa:
∀a, b, c ∈ Z a · (b · c) = (a · b) · c
3. proprietà di esistenza dell’elemento neutro:
∃ + 1 ∈ Z/∀a ∈ Z a · (+1) = +1 · a = a
Vale inoltre la proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto all’addizione:
∀a, b, c ∈ Z a · (b + c) = (a · b) + (a · c)
∀a, b, c ∈ Z (a + b) · c = (a · c) + (b · c)
Oltre alle proprietà viste la moltiplicazione gode delle seguenti proprietà
1. proprietà di esistenza dell’elemento nullificatore:
∃0 ∈ Z/∀a ∈ Z a · 0 = 0 · a = 0
2. legge di annullamento del prodotto
∀a, b ∈ Z a · b = 0 ⇔ a = 0 ∨ b = 0
6.2.2
Numeri interi concordi e discordi
Definizione 6.2.1 (Concordi).
Due numeri interi non nulli si dicono concordi se hanno lo stesso segno
Definizione 6.2.2 (Discordi).
Due numeri interi non nulli si dicono discordi se hanno segno diverso
24
6.3. SOTTRAZIONE
6.3
Sottrazione
Definizione 6.3.1 (Differenza).
La differenza fra due numeri interi a e b è la somma di a con l’opposto di b. In simboli
a − b = a + (−b)
Osservazione
La sottrazione non gode delle proprietà commutativa e associativa.
6.4
6.4.1
Relazioni nell’insieme dei numeri interi
Relazioni minore e maggiore
Definizione 6.4.1 (Relazione minore o uguale).
Dati a, b ∈ Z si dice che a è minore o uguale di b se e solo se esiste d ∈ Z+ ∪ {0} tale che
a + d = b, in simboli:
a 6 b ⇔ ∃d ∈ Z+ ∪ {0}/a + d = b con a, b ∈ Z
Teorema 6.4.1 (Relazione minore o uguale).
La relazione minore o uguale in Z è d’ordine.
La relazione d’ordine minore o uguale è totale e permette di rappresentare i numeri interi
su una retta orientata.
In Z si possono definire le relazioni minore, maggiore uguale e maggiore in modo analogo
alle definizioni viste in N.
Ogni numero intero ammette successivo: il successivo di a è a + 1
Compatibilità
La relazione d’ordine minore o uguale è compatibile con le operazioni di addizione e moltiplicazione:
• ∀a, b, c ∈ Z a 6 b ⇒ a + c 6 b + c
• ∀a, b ∈ Z, c ∈ Z+ a 6 b ⇒ a · c 6 b · c
La compatibilità vale anche per le relazioni minore, maggiore o uguale, maggiore.
6.4.2
Relazioni divisore e multiplo
Definizione 6.4.2 (Relazione divisore).
Dati a, b ∈ Z si dice che a è divisore di b se e solo se esiste q ∈ Z tale che aq = b, in simboli:
a|b ⇔ ∃q ∈ Z/aq = b con a, b ∈ Z
Teorema 6.4.2 (Relazione divisore).
La relazione divisore in Z gode delle proprietà riflessiva e transitiva.
25
CAPITOLO 6. NUMERI INTERI
Osservazione
La relazione divisore in Z non è una relazione d’ordine perché non gode delle proprietà
antisimmetrica.
Infatti +3 è divisore di −3 e −3 è divisore di +3 con (−3) 6= (+3).
Osservazione
In Z si può definire la relazione multiplo in modo analogo alla definizione vista in N
Osservazione
In Z si definiscono i numeri pari e dispari in modo analogo a quanto visto in N
6.5
Valore assoluto
Definizione 6.5.1 (Valore assoluto).
Il valore assoluto di un numero intero è il numero stesso se il numero è maggiore o uguale
di 0, il suo opposto se il numero è minore di 0.
6.6
Massimo comune divisore e minimo comune multiplo
Definizione 6.6.1 (Massimo comune divisore).
Si dice massimo comune divisore di due numeri a, b ∈ Z0 il maggiore dei divisori positivi
comuni ad a e a b
Il massimo comune divisore di a, b si indica con
MCD(a, b)
Osservazione
Il massimo comune divisore di due numeri interi è un numero intero positivo ed è uguale al
massimo comune divisore dei loro valori assoluti.
Definizione 6.6.2 (Numeri primi tra loro).
Due numeri a, b ∈ Z0 si dicono primi tra loro se MCD(a, b) = 1
Definizione 6.6.3 (Minimo comune multiplo).
Si dice minimo comune multiplo di due numeri a, b ∈ Z0 il minore dei multipli positivi
comuni ad a e a b
Il minimo comune multiplo di a, b si indica con
mcm(a, b)
Osservazione
Il minimo comune multiplo di due numeri interi è un numero intero positivo ed è uguale al
minimo comune multiplo dei loro valori assoluti.
26
Capitolo 7
Numeri razionali
7.1
Introduzione
I numeri razionali si esprimono come rapporto tra due numeri interi con il secondo diverso
da 0. L’insieme dei numeri razionali è infinito e viene indicato con Q.
™
m
/m ∈ Z ∧ n ∈ Z0
n
m
Il numero razionale
si dice anche frazione, m si dice numeratore, n si dice denominatore.
n
0
n
Il numero si indica con 0, il numero si indica con 1.
n
n
Un numero razionale si dice negativo se il numeratore e il denominatore sono discordi, positivo se sono concordi.
L’insieme dei numeri razionali negativi si indica con Q− , l’insieme dei numeri razionali positivi si indica con Q+ .
L’insieme dei numeri razionali privato dello 0 si indica con Q0 .
Q=
ß
7.2
Addizione e moltiplicazione
7.2.1
Proprietà
Vediamo ora alcune proprietà dell’addizione
1. proprietà commutativa:
∀a, b ∈ Q a + b = b + a
2. proprietà associativa:
∀a, b, c ∈ Q a + (b + c) = (a + b) + c
3. proprietà di esistenza dell’elemento neutro:
∃0 ∈ Q/∀a ∈ Q a + 0 = 0 + a = a
27
CAPITOLO 7. NUMERI RAZIONALI
4. proprietà di esistenza dell’elemento opposto:
∀a ∈ Q ∃ − a ∈ Q/a + (−a) = −a + a = 0
Vediamo ora alcune proprietà della moltiplicazione
1. proprietà commutativa:
∀a, b ∈ Q a · b = b · a
2. proprietà associativa:
∀a, b, c ∈ Q a · (b · c) = (a · b) · c
3. proprietà di esistenza dell’elemento neutro:
∃1 ∈ Q/∀a ∈ Q a · 1 = 1 · a = a
4. proprietà di esistenza dell’elemento inverso:
∀a ∈ Q0 ∃a−1 ∈ Q0 /a · a−1 = a−1 · a = 1
Vale inoltre la proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto all’addizione:
∀a, b, c ∈ Q a · (b + c) = (a · b) + (a · c)
∀a, b, c ∈ Q (a + b) · c = (a · c) + (b · c)
Oltre alle proprietà viste la moltiplicazione gode delle seguenti proprietà
1. proprietà di esistenza dell’elemento nullificatore:
∃0 ∈ Q/∀a ∈ Q a · 0 = 0 · a = 0
2. legge di annullamento del prodotto
∀a, b ∈ Q a · b = 0 ⇔ a = 0 ∨ b = 0
Osservazioni
m
m
L’opposto del numero razionale
è − ; infatti
n
n
m ò ï m ò ï m ò ï −m ò ï mn − nm ò
+ −
=
+
=
=0
n
n
n
n
n2
m
n
6= 0 è ; infatti
L’inverso del numero razionale
n
m
ï ò ï ò
ï
ò
m
n
mn
·
=
=1
n
m
nm
ï
L’inverso di a si dice anche reciproco di a e si può indicare con
28
1
a
7.3. DIVISIONE
7.2.2
Numeri razionali concordi e discordi
Definizione 7.2.1 (Concordi).
Due numeri razionali non nulli si dicono concordi se sono entrambi positivi o entrambi
negativi
Definizione 7.2.2 (Discordi).
Due numeri razionali non nulli si dicono discordi se uno è positivo e l’altro è negativo
7.2.3
Proprietà invariantiva
Teorema 7.2.1 (Proprietà invariantiva).
Moltiplicando numeratore e denominatore di un numero razionale per uno stesso numero
intero non nullo, si ottiene lo stesso numero razionale, in simboli:
ak
a
=
con a ∈ Z, b, k ∈ Z0
b
bk
Definizione 7.2.3 (Numero razionale ridotto ai minimi termini).
Un numero razionale si dice ridotto ai minimi termini se numeratore e denominatore sono
primi tra loro
Semplificazione di un numero razionale
Utilizzando la proprietà invariantiva si può semplificare un numero razionale, cioè ridurlo ai
minimi termini, dividendo numeratore e denominatore per il loro massimo comune divisore.
Osservazione
In pratica, per semplificare un numero razionale, si dividono numeratore e denominatore
per un loro divisore comune e si ripete il procedimento fino a quando non diventano primi
tra loro.
7.3
Divisione
Definizione 7.3.1 (Quoziente).
Il quoziente di due numeri razionali a e b con b 6= 0 è il prodotto di a con l’inverso di b. In
simboli
a:b=a·
1
b
Osservazione
La divisione tra due numeri razionali a e b con b 6= 0 si può anche indicare in questo modo:
a
b
Osservazione
La divisione non gode delle proprietà commutativa e associativa.
29
CAPITOLO 7. NUMERI RAZIONALI
La divisione gode della proprietà distributiva a destra rispetto all’addizione e alla sottrazione:
∀a, b ∈ Q, c ∈ Q0
(a + b) : c = (a : c) + (b : c)
∀a, b ∈ Q, c ∈ Q0
(a − b) : c = (a : c) − (b : c)
Non si può dividere a 6= 0 per 0, perchè nessun numero razionale moltiplicato per 0 dà a
quindi un numero razionale non nullo diviso 0 è impossibile.
0 : 0 è indeterminato perché qualsiasi numero razionale moltiplicato per 0 dà 0
Se a 6= 0 allora 0 : a = 0
7.4
Relazioni minore e maggiore nell’insieme dei numeri
razionali
Definizione 7.4.1 (Relazione minore o uguale).
Dati a, b ∈ Q si dice che a è minore o uguale di b se e solo se esiste d ∈ Q+ ∪ {0} tale che
a + d = b, in simboli:
a 6 b ⇔ ∃d ∈ Q+ ∪ {0}/a + d = b con a, b ∈ Q
Teorema 7.4.1 (Relazione minore o uguale).
La relazione minore o uguale in Q è d’ordine.
7.4.1
Ordinamento dei numeri razionali
In pratica per ordinare più numeri razionali:
1. si riducono i numeri razionali allo stesso denominatore
2. si confrontano i numeratori
Osservazione
La relazione d’ordine minore o uguale è totale e permette di rappresentare i numeri razionali
su una retta orientata.
In Q si possono definire le relazioni minore, maggiore o uguale e maggiore in modo analogo
alle definizioni viste in N.
7.4.2
Compatibilità
La relazione d’ordine minore o uguale è compatibile con le operazioni di addizione e moltiplicazione:
• ∀a, b, c ∈ Q a 6 b ⇒ a + c 6 b + c
• ∀a, b ∈ Q, c ∈ Q+ a 6 b ⇒ a · c 6 b · c
La compatibilità vale anche per le relazioni minore, maggiore o uguale, maggiore.
La compatibilità vale anche per la relazione di uguaglianza:
1. ∀a, b, c ∈ Q a = b ⇒ a + c = b + c
2. ∀a, b ∈ Q, c ∈ Q0 a = b ⇒ a · c = b · c
30
7.5. DENSITÀ
7.5
Densità
A differenza dei numeri naturali e interi i numeri razionali non ammettono successivo.
Teorema 7.5.1.
Dati due numeri razionali a, b con a < b esistono infiniti numeri razionali compresi tra a e
b.
Dimostrazione
a+b
∈ Q è compreso tra a e b, cioè
Dati a, b ∈ Q con a < b dimostriamo che
2
a+b
a<
<b
2
a+b
a < b ⇒ a + a < a + b ⇒ 2a < a + b ⇒ a <
2
a+b
a < b ⇒ a + b < b + b ⇒ a + b < 2b ⇒
<b
2
quindi
a<
a+b
<b
2
a+b
Ripetendo il procedimento tra a e
troviamo un altro numero razionale e così via.
2
Osservazione
Il teorema precedente ci dice che l’insieme dei numeri razionali è denso
7.6
Numeri decimali
Ogni numero razionale si può rappresentare con un numero decimale.
m
per ottenere la rappresentazione decimale si effettua la divisione
Dato il numero razionale
n
|m| : |n| e se m e n sono discordi si scrive un − davanti al risultato.
Il numero decimale che rappresenta un numero razionale può essere:
1. un numero decimale limitato
2. un numero decimale illimitato periodico semplice (le cifre della parte decimale si
ripetono periodicamente)
3. un numero decimale illimitato periodico misto (ci sono delle cifre decimali prima di
quelle che si ripetono periodicamente)
Il numero formato dalle cifre che si ripetono periodicamente si dice periodo, il numero
formato dalle cifre decimali che precedono il periodo si dice antiperiodo.
Osservazione
Un numero razionale non può essere rappresentato con un numero decimale illimitato non
periodico. Infatti, poiché il resto della divisione è minore del divisore, dopo un numero di
passaggi minore o uguale del divisore si ottiene un resto uguale a uno precedente.
Per stabilire a quale tipo di numero decimale corrisponde un numero razionale:
31
CAPITOLO 7. NUMERI RAZIONALI
1. si riduce il numero razionale ai minimi termini
2. si scompone in fattori primi il denominatore
3. si anilizzano i fattori primi
(a) se sono presenti solo i fattori 2 o 5, il numero decimale è limitato
(b) se non sono presenti i fattori 2 e 5, il numero decimale è illimitato periodico
semplice
(c) se sono presenti 2 o 5 e altri fattori, il numero decimale è illimitato periodico
misto
7.6.1
Trasformazione dei numeri decimali in frazione
Per scrivere un numero decimale limitato sotto forma di frazione
1. si scrive al numeratore il numero decimale senza la virgola
2. si scrive al denominatore 1 seguito da tanti 0 quante sono le cifre dopo la virgola
3. si semplica la frazione ottenuta
Per scrivere un numero decimale illimitato peridico positivo sotto forma di frazione:
1. si scrive al numeratore la differenza tra il numero decimale senza la virgola e il numero
formato da tutte le cifre che precedono il periodo
2. si scrive al denominatore un numero formato da tanti 9 quante sono le cifre del periodo
e da tanti 0 quante sono le cifre dell’antiperiodo
3. si semplica la frazione ottenuta
Osservazione
Per trasformare un numero decimale illimitato periodico negativo in frazione, si fa precedere
dal segno meno la frazione ottenuta trasformando il valore assoluto del numero. Osservazione
Un numero decimale illimitato periodico con periodo 9 è un numero decimale limitato.
Esempio 7.6.1.
• 3, 19 =
• 3, 9 =
319 − 31
288
16
=
=
= 3, 2
90
90
5
39 − 3
36
=
=4
9
9
32
7.7. RAPPORTI E PROPORZIONI
7.6.2
Notazione scientifica
Definizione 7.6.1 (Notazione scientifica).
Un numero decimale è scritto in notazione scientifica se è espresso con una sola cifra compresa tra 1 e 9 prima della virgola e moltiplicato per una potenza di 10 con esponente
positivo o negativo
Per scrivere un numero decimale in notazione scientifica:
1. si pone la virgola dopo la prima cifra diversa da zero che si incontra partendo dalla
sinistra del numero
2. l’esponente del dieci è il numero di cifre di cui si spostata la virgola se si è spostata
verso sinistra, il suo opposto se si è spostata verso destra.
7.6.3
Ordine di grandezza
Definizione 7.6.2 (Ordine di grandezza).
Di dice ordine di grandezza di un numero decimale la potenza di 10 più vicina a quel numero
Per determinare l’ordine di grandezza di un numero decimale
1. si scrive il numero in notazione scientifica: a · 10n
2. se a < 5, l’ordine di grandezza è 10n altrimenti è 10n+1
7.7
Rapporti e proporzioni
Definizione 7.7.1 (Rapporto).
Si dice rapporto tra due numeri razionali non nulli il quoziente della divisione tra il primo
e il secondo
Definizione 7.7.2 (Proporzione).
Si dice proporzione l’uguaglianza tra due rapporti
La proporzione
a:b=c:d
si legge
a sta a b come c sta a d.
a e d si dicono estremi, b e c medi; a e c si dicono antecedenti, b e d conseguenti.
Definizione 7.7.3 (Proporzione continua).
Si dice proporzione continua una proporzione in cui i medi sono uguali
La proporzione
a:b=b:c
è continua
33
CAPITOLO 7. NUMERI RAZIONALI
Definizione 7.7.4 (Medio proporzionale).
Si dice medio proporzionale il medio di una proporzione continua
Nella proporzione continua
a:b=b:c
b è il medio proporzionale
7.7.1
Proprietà
Teorema 7.7.1 (Proprietà fondamentale delle proporzioni).
In ogni proporzione il prodotto dei medi è uguale al prodotto degli estremi. In simboli
a : b = c : d ⇒ ad = bc
Osservazione
Dalla proprietà fondamentale si può ricavare uno dei termini della proporzione.
Ricaviamo a
1
1
bc
ad = bc ⇒ ad = bc ⇒ a =
d
d
d
In modo analogo si ricavano gli altri termini.
Teorema 7.7.2 (Proprietà dell’invertire).
Se in una proporzione si scambia ogni antecedente con il proprio conseguente si ottiene una
nuova proporzione. In simboli
a:b=c:d⇒b:a=d:c
Teorema 7.7.3 (Proprietà del permutare).
Se in una proporzione si scambiano tra loro i due medi o i due estremi si ottiene una nuova
proporzione. In simboli
a:b=c:d⇒a:c=b:d
a:b=c:d⇒d:b=c:a
Teorema 7.7.4 (Proprietà del comporre).
In una proporzione con la somma dei primi due termini diversa da 0, la somma dei primi
due termini sta al secondo come la somma del terzo e quarto termine sta al quarto. In
simboli
a : b = c : d ⇒ (a + b) : b = (c + d) : d
In una proporzione con la somma dei primi due termini diversa da 0, la somma dei primi
due termini sta al primo come la somma del terzo e quarto termine sta al terzo.
a : b = c : d ⇒ (a + b) : a = (c + d) : c
34
7.7. RAPPORTI E PROPORZIONI
La proprietà del comporre si estende nel caso di più rapporti uguali:
Teorema 7.7.5 (Proprietà del comporre).
In una serie di rapporti uguali con la somma degli antecedenti diversa da 0, la somma
degli antecedenti sta a un antecedente come la somma dei conseguenti sta al conseguente
corrispondente
Teorema 7.7.6 (Proprietà dello scomporre).
In una proporzione con la differenza dei primi due termini diversa da 0, la differenza tra i
primi due termini sta al secondo come la differenza tra il terzo e e il quarto termine sta al
quarto. In simboli
a : b = c : d ⇒ (a − b) : b = (c − d) : d
In una proporzione con la differenza dei primi due termini diversa da 0, la differenza tra
i primi due termini sta al primo come la differenza tra il terzo e il quarto termine sta al
terzo. In simboli
a : b = c : d ⇒ (a − b) : a = (c − d) : c
7.7.2
Percentuali
Definizione 7.7.5 (Percentuale).
a
con a ∈ Z e si scrive a%
Si dice percentuale un numero razionale
100
Esempio 7.7.1.
25
= 25% = 0, 25
100
Poiché la percentuale è un rapporto si possono utilizzare le proporzioni per risolvere alcuni
problemi riguardanti le percentuali.
35
Capitolo 8
Numeri reali
8.1
Introduzione
Teorema √
8.1.1.
Il numero 2 non è un numero razionale
Dimostrazione per assurdo
√
Supponiamo per assurdo che 2 sia un numero razionale: allora
√
p
2 = con p, q primi fra loro
q
Elevando al quadrato entrambi i membri si ottiene
p2
=2
q2
p2 = 2q 2
Quindi p2 è un numero pari.
Se p2 è pari, allora p è pari, cioè p = 2n; sostituendo nell’uguaglianza precedente si ottiene:
(2n)2 = 2q 2
4n2 = 2q 2
2n2 = q 2
Quindi q 2 è un numero pari.
Se q 2 è pari, allora q è pari, cioè q = 2m, quindi√p e q non sono primi tra loro e questo
contraddice l’ipotesi. Poiché la tesi negata è falsa 2 non è un numero razionale.
8.2
Numeri irrazionali
Definizione 8.2.1 (Numeri irrazionali).
Si dice numero irrazionale ogni numero decimale illimitato non periodico
L’insieme dei numeri irrazionali si indica con I.
36
8.3. INSIEME DEI NUMERI REALI
8.3
Insieme dei numeri reali
Definizione 8.3.1 (Numeri reale).
Si dice numero reale ogni numero razionale o irrazionale
Definizione 8.3.2 (Insieme dei numeri reali).
L’insieme dei numeri reali è l’unione fra l’insieme dei numeri razionali e l’insieme dei numeri
irrazionali
L’insieme dei numeri reali si indica con R:
R=Q∪I
L’insieme dei numeri reali negativi si indica con R− , l’insieme dei numeri reali positivi si
indica con R+ .
L’insieme dei numeri reali privato dello 0 si indica con R0 .
8.4
Addizione e moltiplicazione
Nell’insieme dei numeri reali sono definite le operazioni di addizione e di moltiplicazione.
L’addizione si indica con +: a ogni coppia ordinata (α, β) ∈ R × R viene associato
γ = α + β ∈ R; α e β si dicono addendi, γ si dice somma.
La moltiplicazione si indica con ·: a ogni coppia ordinata (α, β) ∈ R × R viene associato
γ = α · β ∈ R; α e β si dicono fattori, γ si dice prodotto.
Proprietà
Vediamo ora alcune proprietà dell’addizione
1. proprietà commutativa:
∀α, β ∈ R α + β = β + α
2. proprietà associativa:
∀α, β, γ ∈ R α + (β + γ) = (α + β) + γ
3. proprietà di esistenza dell’elemento neutro:
∃0 ∈ R/∀α ∈ R α + 0 = 0 + α = α
4. proprietà di esistenza dell’elemento opposto:
∀α ∈ R ∃ − α ∈ R/α + (−α) = −α + α = 0
Vediamo ora alcune proprietà della moltiplicazione
37
CAPITOLO 8. NUMERI REALI
1. proprietà commutativa:
∀α, β ∈ R α · β = β · α
2. proprietà associativa:
∀α, β, γ ∈ R α · (β · γ) = (α · β) · γ
3. proprietà di esistenza dell’elemento neutro:
∃1 ∈ R/∀α ∈ R α · 1 = 1 · α = α
4. proprietà di esistenza dell’elemento inverso:
∀α ∈ R0 ∃α−1 ∈ R0 /α · α−1 = α−1 · α = 1
Vale inoltre la proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto all’addizione:
∀α, β, γ ∈ R α · (β + γ) = (α · β) + (α · γ)
∀α, β, γ ∈ R (α + β) · γ = (α · γ) + (β · γ)
Oltre alle proprietà viste la moltiplicazione gode delle seguenti proprietà
1. proprietà di esistenza dell’elemento nullificatore:
∃0 ∈ R/∀α ∈ R α · 0 = 0 · α = 0
2. legge di annullamento del prodotto
∀α, β ∈ R α · β = 0 ⇔ α = 0 ∨ β = 0
Osservazioni
• L’inverso di α si dice anche reciproco di α e si può indicare con
1
α
• Le proprietà di esistenza dell’elemento opposto e di quello inverso ci permettono di
definire le operazioni di sottrazione e divisione tra numeri reali.
8.5
Sottrazione
Definizione 8.5.1 (Differenza).
La differenza di due numeri reali α e β è la somma di α con l’opposto di β. In simboli
α − β = α + (−β)
38
8.6. DIVISIONE
8.6
Divisione
Definizione 8.6.1 (Quoziente).
Il quoziente di due numeri reali α e β con β 6= 0 è il prodotto di α con l’inverso di β. In
simboli
α:β =α·
8.7
1
β
Relazioni minore e maggiore nell’insieme dei numeri
reali
Definizione 8.7.1 (Relazione minore o uguale).
Dati α, β ∈ R si dice che α è minore o uguale di β se e solo se esiste γ ∈ R+ ∪ {0} tale che
α + γ = β, in simboli:
α 6 β ⇔ ∃γ ∈ R+ ∪ {0}/α + γ = β con α, β ∈ R
Teorema 8.7.1 (Relazione minore o uguale).
La relazione minore o uguale in R è di ordine.
Osservazione La relazione minore o uguale è di ordine totale e permette di rappresentare
i numeri reali su una retta orientata.
In R si possono definire le relazioni minore, maggiore o uguale e maggiore in modo analogo
alle definizioni viste in N.
8.7.1
Compatibilità
La relazione d’ordine minore o uguale è compatibile con le operazioni di addizione e moltiplicazione:
• ∀α, β, γ ∈ R α 6 β ⇒ α + γ 6 β + γ
• ∀α, β ∈ R, γ ∈ R+ α 6 β ⇒ α · γ 6 β · γ
La compatibilità vale anche per le relazioni minore, maggiore o uguale, maggiore.
La compatibilità vale anche per la relazione di uguaglianza:
1. ∀α, β, γ ∈ R α = β ⇒ α + γ = β + γ
2. ∀α, β, γ ∈ R α = β ⇒ α · γ = β · γ
8.8
Continuità dei numeri reali
Come i numeri razionali, i numeri reali non ammettono successivo e come per i numeri
razionali vale il seguente teorema:
Teorema 8.8.1.
Dati due numeri reali α, β con α < β esistono infiniti numeri reali compresi tra α e β
39
CAPITOLO 8. NUMERI REALI
L’insieme dei numeri reali è caratterizzato dalla proprietà di continuità:
Teorema 8.8.2 (Continuità dei numeri reali).
Esiste una biezione tra l’insieme dei numeri reali e quello dei punti di una retta orientata:
ad ogni numero reale corrisponde un punto della retta e, viceversa, a ogni punto della retta
corrisponde un numero reale
Questo teorema non vale per i numeri razionali: a ogni numero razionale corrisponde un
punto della retta orientata, ma esistono punti della retta a cui non corrisponde alcun numero
razionale.
Infatti, se consideriamo un quadrato di lato unitario e riportiamo
√ il segmento della diagonale
sulla retta orientata, troviamo il punto P rappresentativo di 2 che non è razionale
√
0
8.9
2
1
P
√
2
Approssimazione dei numeri reali
Ogni numero reale si può approssimare per difetto o per eccesso con un numero razionale.
Le operazioni con i numeri reali si eseguono in modo esatto scrivendo i numeri separati
dal simbolo dell’operazione. Si possono ottenere valori approssimati di somme e prodotti di
numeri reali utilizzando le successioni che approssimano per difetto e per eccesso i numeri
dati.
Esempio 8.9.1.
Eseguiamo la seguente addizione con valori approssimati
√
7+π
√
Esprimiamo 7 e π con le successioni di numeri decimali approssimanti per difetto e per
eccesso:
√ ® 2; 2, 6; 2, 64; 2, 645 . . .
7
3; 2, 7; 2, 65; 2, 646 . . .
®
π
3; 3, 1; 3, 14; 3, 141 . . .
4; 3, 2; 3, 15; 3, 142 . . .
addizioniamo fra loro i valori per difetto e per eccesso corrispondenti ottenendo le successioni:
®
√
5; 5, 7; 5, 78; 5, 786 . . .
7+π
7; 5, 9; 5, 80; 5, 788 . . .
√
Le due successioni individuano un numero reale che è la somma 7 + π.
40
Capitolo 9
Monomi e polinomi
9.1
Monomi
Definizione 9.1.1 (Monomio).
Si dice monomio ogni prodotto di fattori numerici e letterali, dove gli esponenti dei fattori
letterali sono numeri naturali.
9.1.1
Monomi in forma normale
Definizione 9.1.2 (Monomio in forma normale).
Un monomio si dice in forma normale se è formato da un fattore numerico e da fattori
letterali con basi diverse.
9.1.2
Grado di un monomio
Definizione 9.1.3 (Grado di un monomio).
Si dice grado di un monomio non nullo la somma degli esponenti dei fattori letterali della
sua forma normale
Definizione 9.1.4 (Grado di un monomio rispetto a una lettera).
Si dice grado rispetto a una lettera di un monomio non nullo l’esponente di quella lettera
nella sua forma normale
9.1.3
Monomi simili
Definizione 9.1.5 (Monomi simili).
Due monomi in forma normale si dicono simili se hanno la stessa parte letterale.
9.2
Addizione di monomi
Definizione 9.2.1 (Somma).
La somma di due monomi simili è il monomio simile a quelli dati che ha come coefficiente
la somma dei coefficienti.
41
CAPITOLO 9. MONOMI E POLINOMI
9.3
Opposto di un monomio
Definizione 9.3.1 (Opposto).
Si dice opposto di un monomio il monomio che, addizionato a quello dato, dà come somma
il monomio nullo.
Osservazione
L’opposto di un monomio si indica ponendo il segno − davanti al monomio racchiuso tra
parentesi.
9.4
Moltiplicazione di monomi
Definizione 9.4.1 (Moltiplicazione).
Il prodotto di due monomi è il monomio che ha come coefficiente il prodotto dei coefficienti
e, come parte letterale, il prodotto delle parti letterali dei monomi dati.
9.4.1
Legge di annullamento del prodotto
Nell’insieme dei monomi vale la legge di annullamento del prodotto. Infatti se, nella moltiplicazione di due monomi, è presente il monomio nullo, il prodotto è il monomio nullo.
Viceversa, se il prodotto di due monomi è il monomio nullo, almeno uno dei fattori è il
monomio nullo.
9.5
Elevamento a potenza di monomi
Definizione 9.5.1 (Potenza).
La potenza con esponente un numero naturale di un monomio non nullo è il monomio che
ha come coefficiente la potenza del coefficiente e, come parte letterale, la potenza di ogni
fattore della parte letterale del monomio dato.
9.6
Divisione di monomi
Definizione 9.6.1 (Quoziente).
Il quoziente di due monomi, con il primo divisibile per il secondo, è il monomio che ha
come coefficiente il quoziente dei coefficienti e, come parte letterale, il quoziente delle parti
letterali dei monomi dati.
Osservazioni
1. Il quoziente della divisione di due monomi simili è il quoziente dei coefficienti.
Ç
2.
å Ç
2 2
ab :
3
å
4
ab 6=
3
Ç
å Ç
2 2
3
ab ·
ab
3
4
å
42
9.7. MASSIMO COMUNE DIVISORE E MINIMO COMUNE
MULTIPLO DI MONOMI
perché si è effettuato il reciproco solo del coefficiente e non della parte letterale; il
procedimento corretto è:
Ç
å Ç
2 2
ab :
3
å
4
2 3
1
ab = · a = a
3
3 4
2
quindi si deve moltiplicare il primo coefficiente per il reciproco del secondo ed effettuare
contemporaneamente la divisione della parti letterali.
9.7
Massimo comune divisore e minimo comune multiplo
di monomi
Il massimo comune divisore di due o più monomi è il monomio che ha come parte letterale
il prodotto delle lettere comuni ai monomi dati con il minimo esponente e come coefficiente
un numero qualsiasi. Per comodità come coefficiente si sceglie il MCD dei coefficienti, se
questi sono interi; si sceglie 1, se tra i coefficienti c’è almeno una frazione.
Il minimo comune multiplo di due o più monomi è il monomio che ha come parte letterale il
prodotto delle lettere comuni e non comuni con il massimo esponente e come coefficiente un
numero qualsiasi. Per comodità come coefficiente si sceglie il mcm dei coefficienti, se questi
sono interi; si sceglie 1, se tra i coefficienti c’è almeno una frazione.
9.8
Polinomi
Definizione 9.8.1 (Polinomio).
Si dice polinomio la somma algebrica di più monomi.
Osservazione
Gli elementi che compongono i monomi si dicono fattori, gli elementi che compongono i
polinomi si dicono termini. In 3ab + 2c sono fattori 3, a, b, 2, c, mentre 3ab, 2c sono termini
del polinomio.
9.8.1
Polinomi in forma normale
Definizione 9.8.2 (Polinomio in forma normale).
Un polinomio si dice in forma normale quando i suoi termini sono tutti in forma normale e
non ci sono monomi simili
9.8.2
Grado di un polinomio
Definizione 9.8.3 (Grado di un polinomio).
Si dice grado di un polinomio non nullo in forma normale il massimo dei gradi dei suoi
termini.
Definizione 9.8.4 (Termine noto).
Si dice termine noto di un polinomio il termine di grado 0
43
CAPITOLO 9. MONOMI E POLINOMI
Definizione 9.8.5 (Grado rispetto a una lettera di un polinomio).
Si dice grado rispetto a una lettera di un polinomio non nullo in forma normale il massimo
esponente di quella lettera
9.8.3
Polinomi omogenei, ordinati, completi
Definizione 9.8.6 (Polinomio omogeneo).
Un polinomio in forma normale si dice omogeneo se tutti i suoi termini hanno lo stesso
grado
Definizione 9.8.7 (Polinomio ordinato).
Un polinomio in forma normale si dice ordinato secondo le potenze decrescenti rispetto a
una lettera se, leggendo da sinistra a destra, gli esponenti di quella lettera non aumentano.
Un polinomio in forma normale si dice ordinato secondo le potenze crescenti rispetto a una
lettera se, leggendo da sinistra a destra, gli esponenti di quella lettera non diminuiscono.
Definizione 9.8.8 (Polinomio completo).
Un polinomio in forma normale si dice completo rispetto ad una lettera se essa vi compare
con tutte le potenze da quella di grado maggiore a quella di grado 0.
9.9
Opposto di un polinomio
Definizione 9.9.1 (Opposto).
Si dice opposto di un polinomio il polinomio che, addizionato a quello dato, dà come somma
il polinomio nullo.
Osservazione
L’opposto di un polinomio si indica ponendo il segno − davanti al polinomio racchiuso tra
parentesi.
9.10
Moltiplicazione di polinomi
Definizione 9.10.1 (Prodotto).
Il prodotto di due polinomi è il polinomio i cui termini si ottengono moltiplicando ogni
termine del primo polinomio per ogni termine del secondo polinomio.
9.11
9.11.1
Prodotti notevoli
Somma di due monomi per la loro differenza
Teorema 9.11.1 (Somma per differenza).
Il prodotto della somma di due monomi per la loro differenza è uguale alla differenza fra il
quadrato del termine con coefficiente che non cambia segno e il quadrato del termine con
coefficiente che cambia segno:
(a + b) · (a − b) = a2 − b2
44
9.11. PRODOTTI NOTEVOLI
9.11.2
Quadrato di un binomio
Teorema 9.11.2 (Quadrato di un binomio).
Il quadrato di un binomio è il polinomio costituito dalla somma dei quadrati dei due termini
e del loro doppio prodotto:
(a + b)2 = a2 + 2ab + b2
9.11.3
Quadrato di un trinomio
Teorema 9.11.3 (Quadrato di un trinomio).
Il quadrato di un trinomio è il polinomio costituito dalla somma dei quadrati dei tre termini
e dei tre loro doppi prodotti:
(a + b + c)2 = a2 + b2 + c2 + 2ab + 2ac + 2bc
Osservazione
I tre quadrati hanno sempre coefficiente positivo, i coefficienti dei doppi prodotti sono
positivi se i coefficienti dei due termini hanno lo stesso segno, negativi in caso contrario.
9.11.4
Cubo di un binomio
Teorema 9.11.4 (Cubo di un binomio).
Il cubo di un binomio è il polinomio costituito dalla somma dei cubi dei due termini, del
triplo prodotto del quadrato del primo termine per il secondo e del triplo prodotto del primo
termine per il quadrato del secondo:
(a + b)3 = a3 + 3a2 b + 3ab2 + b3
9.11.5
Potenza di un binomio
Dato il binomio a + b scriviamo le potenze con esponente 0, 1, 2, 3:
(a + b)0 = 1
(a + b)1 = a + b
(a + b)2 = a2 + 2ab + b2
(a + b)3 = a3 + 3a2 b + 3ab2 + b3
Possiamo notare che si ottengono dei polinomi con le seguenti caratteristiche:
1. il numero dei termini è uguale all’esponente aumentato di 1;
2. sono polinomi omogenei di grado uguale all’esponente;
3. sono polinomi completi e ordinati in modo decrescente rispetto alla lettera a;
4. sono polinomi completi e ordinati in modo crescente rispetto alla lettera b.
45
CAPITOLO 9. MONOMI E POLINOMI
Per determinare i coefficienti dei termini di questi polinomi si utilizza il triangolo di Tartaglia
che si costruisce nel seguente modo:
1. la prima riga è formata solo da un 1;
2. la seconda riga è formata da 1 e 1;
3. le altre righe iniziano e terminano con 1 e gli altri numeri si ottengono sommando i
due numeri più vicini della riga precedente.
Esempio 9.11.1.
Costruiamo le prime 6 righe del triangolo di Tartaglia:
1
1
1
1
1
2
3
5
1
3
6
4
1
1
10
1
4
10
1
5
1
Figura 9.1: triangolo di Tartaglia
La prima riga del triangolo di Tartaglia fornisce il coefficiente della potenza del binomio con
esponente 0, la seconda i coefficienti della potenza del binomio con esponente 1, la terza i
coefficienti della potenza del binomio con esponente 2, e così via.
Osservazione
Se si deve determinare la potenza di un binomio, è opportuno scrivere prima lo sviluppo
della potenza del binomio a + b, poi adattarla all’esercizio specifico, sostituendo alla lettera
a il primo termine e alla lettera b il secondo termine.
9.12
Polinomi come funzioni
Un polinomio in una lettera, per esempio 3x2 + 2x + 5, si può considerare come funzione della variabile x. Per indicare un polinomio generico nella variabile x, scriveremo
A(x), B(x), P (x), Q(x), . . .
9.12.1
Principio di identità dei polinomi
Teorema 9.12.1 (Principio di identità dei polinomi).
Due polinomi sono uguali, se e solo se assumono lo stesso valore per qualsiasi valore
assegnato alle variabili
46
9.13. DIVISIONE DI POLINOMI
9.13
Divisione di polinomi
Teorema 9.13.1 (Quoziente e resto).
Dati i polinomi A(x) di grado n e B(x) di grado m, con n > m, esistono due polinomi Q(x)
e R(x) detti rispettivamente quoziente e resto tali che:
A(x) = B(x)Q(x) + R(x)
con grado di R(x) minore di m
I polinomi Q(x)m e R(x) si determinano utilizzando un metodo simile a quello della divisione tra numeri naturali.
Esempio 9.13.1.
Determiniamo il quoziente e il resto di
(8x2 + 3x3 + 4 + 7x) : (2 + 3x)
Ordiniamo i polinomi secondo le potenze decrescenti rispetto alla lettera x:
(3x3 + 8x2 + 7x + 4) : (3x + 2)
Costruiamo lo schema come per la divisione di numeri naturali:
3x3 + 8x2 + 7x + 4 3x + 2
dividiamo il primo termine del dividendo per il primo termine del divisore e scriviamo il
risultato sotto il divisore
3x3 + 8x2 + 7x + 4 3x + 2
x2
moltiplichiamo questo risultato per ogni termine del divisore cambiando il segno, scriviamo
i prodotti ottenuti sotto il dividendo incolonnando in base al grado (cambiamo il segno per
poter effettuare l’addizione invece della sottrazione):
3x3 + 8x2 + 7x + 4 3x + 2
−3x3 − 2x2
x2
effettuiamo l’addizione:
3x3 + 8x2 + 7x + 4 3x + 2
−3x3 − 2x2
x2
//
6x2 + 7x + 4
Ripetiamo il procedimento considerando come dividendo il polinomio ottenuto:
3x3 + 8x2 + 7x + 4 3x + 2
−3x3 − 2x2
x2 + 2x
2
//
6x + 7x + 4
47
CAPITOLO 9. MONOMI E POLINOMI
3x3 + 8x2 + 7x + 4 3x + 2
−3x3 − 2x2
x2 + 2x
//
6x2 + 7x + 4
−6x2 − 4x
//
3x + 4
Ripetiamo nuovamente il procedimento considerando come dividendo il polinomio ottenuto:
3x3 + 8x2 + 7x + 4
3x + 2
3
2
−3x − 2x
x2 + 2x + 1
2
//
6x + 7x + 4
−6x2 − 4x
//
3x + 4
−3x − 2
// 2
Poiché il grado dell’ultimo polinomio ottenuto è minore del grado del divisore, il procedimento termina. Il quoziente è
Q(x) = x2 + 2x + 1
e il resto è
R=2
Poiché il resto non è zero, il polinomio 3x3 + 8x2 + 7x + 4 non è divisibile per il polinomio
3x + 2. Come per i numeri naturali possiamo scrivere:
Dividendo = Divisore · Quoziente + Resto
cioè:
3x3 + 8x2 + 7x + 4 = (3x + 2) · (x2 + 2x + 1) + 2
infatti:
(3x + 2) · (x2 + 2x + 1) + 2 = 3x3 + 6x2 + 3x + 2x2 + 4x + 2 + 2 =
3x3 + 8x2 + 7x + 4
Osservazioni
Il grado del resto è minore del grado del divisore perché se fosse maggiore o uguale si
potrebbe ancora continuare il procedimento.
Il grado del quoziente è dato dalla differenza tra il grado del dividendo e il grado del divisore,
infatti, poiché
A(x) = B(x)Q(x) + R(x)
il grado di A(x) è dato dalla somma dei gradi di B(x) e di Q(x), quindi il grado di Q(x) è
dato dalla differenza tra i gradi di A(x) e B(x).
In generale, dividendo due polinomi, non si ottiene un polinomio, ma una frazione algebrica;
quindi la divisione non è un’operazione nell’insieme dei polinomi. Solo se il resto è zero, si
dice che il polinomio dividendo è divisibile per il polinomio divisore.
48
9.13. DIVISIONE DI POLINOMI
9.13.1
Regola di Ruffini
Per effettuare la divisione di polinomi nel caso particolare in cui il divisore è del tipo x − k,
con k costante non nulla, si può utilizzare la regola di Ruffini. Questa regola permette
di operare con i numeri trascurando la variabile. Anche in questo caso vediamo la regola
attraverso un esempio.
Esempio 9.13.2.
Consideriamo la seguente divisione di polinomi:
(3x4 + 2x2 − 3x + 1) : (x − 2)
Ordiniamo i polinomi in ordine decrescente rispetto alla variabile e posizioniamo i coefficienti del dividendo nel seguente schema, inserendo 0 in corrispondenza dei coefficienti delle
potenze mancanti.
Il termine noto si scrive a destra della seconda barra verticale.
3 0 2 −3 1
A sinistra della prima barra verticale e sopra la barra orizzontale si scrive l’opposto del
termine noto del divisore (si scrive l’opposto per poter effettuare la somma invece della
differenza).
3 0 2 −3 1
2
Si riporta sotto la riga orizzontale il primo coefficiente del dividendo:
3 0 2 −3 1
2
3
si moltiplica questo coefficiente per l’opposto del termine noto del divisore, si scrive il
risultato sotto il secondo coefficiente del dividendo e si somma:
3 0 2 −3 1
2
6
3 6
Si moltiplica questo risultato per l’opposto del termine noto del divisore, si scrive il nuovo
risultato sotto il terzo coefficiente e si somma:
3 0 2 −3 1
2
6 12
3 6 14
49
CAPITOLO 9. MONOMI E POLINOMI
Si ripete il procedimento fino ad effettuare la somma con il termine a destra della seconda
riga verticale:
3 0 2 −3 1
6 12 28 50
2
3 6 14 25 51
I numeri sotto la riga orizzontale compresi tra le due righe verticali sono i coefficienti del
quoziente. Poiché, se il dividendo ha grado n, il quoziente ha grado n−1, al primo coefficiente
si associa la variabile con esponente n − 1 e si prosegue diminuendo l’esponente di 1; quindi
nel nostro esempio, essendo il dividendo di quarto grado, il quoziente è:
Q(x) = 3x3 + 6x2 + 14x + 25
Il numero a destra in basso è il resto, che nel nostro caso vale 51.
Se il resto è diverso da 0, il suo grado deve essere minore del grado del divisore, quindi 0;
di conseguenza il resto è un numero.
Osservazione
Se non si inseriscono gli zeri al posto dei coefficienti delle potenze mancanti, il risultato è
errato perché, non essendoci la variabile, si sommano termini con grado diverso.
Osservazione
La regola di Ruffini si può applicare solo con divisori con il termine di primo grado con
coefficiente 1. Se il coefficiente è diverso da 1, per poter applicare la regola,
1. si dividono tutti i termini del dividendo e del divisore per il coefficiente del termine
di primo grado del divisore
2. si applica la regola di Ruffini con i polinomi ottenuti
3. il quoziente della divisione dei polinomi dati è quello ottenuto con la regola di Ruffini
4. il resto della divisione dei polinomi dati è il prodotto di quello ottenuto con la regola
di Ruffini per il coefficiente del termine di primo grado del divisore
Osservazione
Dalla relazione
A(x) = B(x)Q(x) + R(x)
dividendo entrambi i membri per a 6= 0 si ottiene
B(x)
R(x)
A(x)
=
Q(x) +
a
a
a
Quindi se si moltiplicano, o si dividono, dividendo e divisore per un numero non nullo, il
quoziente non cambia, ma il resto viene moltiplicato, o diviso, per quel numero.
9.13.2
Teorema del resto
Teorema 9.13.2 (Teorema del resto).
Il resto della divisione tra un polinomio P (x) e x − k è uguale a P (k)
50
9.13. DIVISIONE DI POLINOMI
9.13.3
Teorema di Ruffini
Teorema 9.13.3 (Teorema di Ruffini).
Un polinomio P (x) è divisibile per il binomio x − k se e solo se P (k) = 0
Osservazione
Ogni valore della variabile per il quale il polinomio P (x) si annulla si dice zero del polinomio
9.13.4
Divisibilità di binomi notevoli
Teorema 9.13.4.
La differenza di due potenze con uguale esponente è divisibile per la differenza delle basi
Teorema 9.13.5.
La differenza di due potenze con uguale esponente è divisibile per la somma delle basi se e
solo se l’esponente è pari
Teorema 9.13.6.
La somma di due potenze con uguale esponente è divisibile per la somma delle basi se e
solo se l’esponente è dispari
Teorema 9.13.7.
La somma di due potenze con uguale esponente non è divisibile per la differenza delle basi
51
Capitolo 10
Scomposizione di polinomi
Definizione 10.0.1 (Polinomi riducibili e irriducibili).
Un polinomio si dice riducibile se si può scomporre nel prodotto di polinomi di grado
inferiore, altrimenti si dice irriducibile.
10.1
10.1.1
Metodi di scomposizione dei polinomi
Raccoglimento a fattor comune totale
Per scomporre un polinomio utilizzando il metodo del raccoglimento a fattor comune totale:
1. si determina il MCD di tutti i termini del polinomio
2. il polinomio si scompone nel prodotto tra il MCD e il polinomio i cui termini sono i
quozienti della divisione tra i termini del polinomio dato e il MCD
Osservazione
Poiché il quoziente tra un termine e se stesso è 1 e non 0, il polinomio a3 +a2 +a si scompone
in a(a2 + a + 1) e non in a(a2 + a).
Quando si raccolgono dei polinomi anche il polinomio raccolto deve essere racchiuso tra
parentesi. Per esempio, il polinomio a(x + 2y) + b(x + 2y) si scompone in (x + 2y)(a + b) e
non in x + 2y(a + b).
10.1.2
Raccoglimento a fattor comune parziale
Se non è possibile effettuare un raccoglimento a fattor comune totale, si può effettuare un
raccoglimento a fattor comune parziale fra alcuni termini e, se è possibile, in un secondo
passaggio effettuare un raccoglimento a fattor comune totale.
Osservazione
Nel raccoglimento a fattor comune parziale i fattori raccolti, escluso il primo se ha coefficiente positivo, devono essere preceduti dal segno + o −. Quindi
a2 + ab + ac + bc
diventa
a (a + b) + c (a + b)
52
10.1. METODI DI SCOMPOSIZIONE DEI POLINOMI
10.1.3
Scomposizione mediante prodotti notevoli
Differenza di due quadrati
a2 − b2 = (a + b) (a − b)
Osservazione
La somma di due quadrati non può essere scomposta, quindi a2 + b2 è irriducibile perché
la somma di due potenze con esponente pari non è divisibile né per la somma, né per la
differenza delle basi
Quadrato di un binomio
a2 + 2ab + b2 = (a + b)2
Osservazione
Poiché il binomio è elevato al quadrato, si possono cambiare tutti i segni dei coefficienti dei
termini all’interno della parentesi e il risultato non cambia.
Quadrato di un trinomio
a2 + b2 + c2 + 2ab + 2ac + 2bc = (a + b + c)2
Osservazione
Poiché il trinomio è elevato al quadrato, si possono cambiare tutti i segni dei coefficienti dei
termini all’interno della parentesi e il risultato non cambia.
Cubo di un binomio
a3 + 3a2 b + 3ab2 + b3 = (a + b)3
Differenza di due cubi
Ä
a3 − b3 = (a − b) a2 + ab + b2
ä
Osservazione
Il polinomio a2 + ab + b2 è irriducibile.
Somma di due cubi
Ä
a3 + b3 = (a + b) a2 − ab + b2
ä
Osservazione
polinomio a2 − ab + b2 è irriducibile.
53
CAPITOLO 10. SCOMPOSIZIONE DI POLINOMI
10.1.4
Trinomio particolare
Dato il trinomio x2 + sx + p, se è possibile determinare due numeri a, b tali che:
a+b=s
a·b=p
si può scomporre il trinomio nel seguente modo:
x2 + sx + p = (x + a)(x + b)
Per scomporre il trinomio particolare:
1. si determinano i due numeri interi il cui prodotto è il termine noto e la cui somma è
il coefficiente del termine di primo grado;
2. il polinomio scomposto è formato dal prodotto tra la somma della variabile con uno
dei numeri determinati e la somma della variabile con l’altro numero determinato.
10.1.5
Scomposizione con la regola di Ruffini
La regola di Ruffini, quando è applicabile, permette di scomporre un polinomio di grado n
nel prodotto di un binomio di primo grado per un polinomio di grado n − 1 utilizzando la
proprietà che un polinomio P (x) è divisibile per x − k se e solo se P (k) = 0.
Osservazione
Se il valore che annulla il polinomio è k, il termine noto del divisore è il suo opposto. Per
esempio, se il valore che annulla il polinomio è −5, il divisore è x + 5.
Il polinomio dato si può scomporre con la regola di Ruffini se esiste un numero razionale
che, sostituito alla variabile, annulla il polinomio.
La ricerca degli eventuali numeri razionali k che annullano il polinomio è basata sulla
seguente proprietà, di cui diamo l’enunciato senza dimostrazione:
Teorema 10.1.1.
dato un polinomio P (x) a coefficienti interi, gli eventuali numeri razionali che annullano il
polinomio sono da ricercare tra le frazioni aventi per numeratore un divisore del termine
noto e per denominatore un divisore del coefficiente del termine di grado massimo.
Per stabilire se esiste un numero razionale che, sostituito alla variabile, annulla il polinomio:
1. si determinano tutti i numeri razionali che hanno per numeratore un divisore del termine noto e per denominatore un divisore del coefficiente del termine di grado massimo
(se il coefficiente del termine di grado massimo è 1, allora i numeri da determinare
sono i divisori del termine noto);
2. si sostituisce ciascun numero nel polinomio finché non si trova quello che lo annulla
(se esiste);
3. se nessun numero annulla il polinomio, non lo si può scomporre utilizzando la regola
di Ruffini.
54
10.2. OSSERVAZIONI CONCLUSIVE SULLA SCOMPOSIZIONE
Per scomporre il polinomio con la regola di Ruffini:
1. si effettua la divisione con la regola di Ruffini in cui il dividendo è il polinomio dato
e il divisore è il binomio x − k, dove k è il numero razionale che annulla il polinomio;
2. il polinomio scomposto è formato dal prodotto tra il binomio x − k e il quoziente della
divisione perché, se il resto è 0, si ha
Dividendo = Divisore · Quoziente
Dopo aver effettuato la scomposizione, si esamina se il quoziente Q(x) è scomponibile, in
caso affermativo lo si scompone o con uno dei metodi visti precedentemente o con la regola
di Ruffini.
10.2
Osservazioni conclusive sulla scomposizione
A conclusione dei metodi di scomposizione fin qui analizzati, elenchiamo i criteri in base ai
quali privilegiare un metodo piuttosto che un altro.
1. Effettuare, se è possibile, il raccoglimento a fattore comune totale
2. Se non è possibile effettuare il raccoglimento a fattore comune totale, contare i termini
del polinomio:
• se i termini sono due, verificare se il polinomio è una differenza di due quadrati,
o una differenza di due cubi, o una somma di due cubi;
• se i termini sono tre, verificare se il polinomio è lo sviluppo del quadrato di un
binomio o un trinomio particolare;
• se i termini sono quattro, verificare se il polinomio è lo sviluppo del cubo di un
binomio;
• se i termini sono sei, verificare se il polinomio è lo sviluppo del quadrato di un
trinomio.
3. Se non si sono verificate le condizioni dei casi precedenti, controllare se è possibile
effettuare un raccoglimento a fattore comune parziale o una scomposizione mediante
la regola di Ruffini o una scomposizione mista
4. Dopo aver scomposto il polinomio in fattori si può procedere, se è possibile, a un’ulteriore scomposizione dei singoli fattori.
10.3
Massimo comune divisore e minimo comune multiplo di polinomi
Per determinare il massimo comune divisore di polinomi:
1. si scompongono i polinomi in fattori;
55
CAPITOLO 10. SCOMPOSIZIONE DI POLINOMI
2. se si ottengono dei fattori opposti con esponente dispari, si raccoglie un −1 in uno dei
fattori.
3. il massimo comune divisore dei polinomi dati è uguale al prodotto dei fattori comuni
presi una sola volta con il minimo esponente.
Per determinare il minimo comune multiplo di polinomi:
1. si scompongono i polinomi in fattori;
2. se si ottengono dei fattori opposti con esponente dispari, si raccoglie un −1 in uno dei
fattori.
3. il minimo comune multiplo dei polinomi dati è uguale al prodotto dei fattori comuni
e non comuni presi una sola volta con il massimo esponente.
56
Capitolo 11
Frazioni algebriche
11.1
Le frazioni algebriche come funzioni
Una frazione algebrica si può considerare come funzione delle variabili che vi compaiono.
Affinché una frazione algebrica sia una funzione, si devono scrivere le condizioni di esistenza
(CE).
Osservazione
Un prodotto è diverso da zero se lo è ogni suo singolo fattore.
Una potenza è diversa da zero se lo è la sua base.
Per determinare le condizioni di esistenza:
1. si scompone il denominatore;
2. si impone che ogni fattore del denominatore sia diverso da zero.
Osservazione
Nel porre le condizioni di esistenza di una frazione algebrica non si considera il numeratore.
11.2
Semplificazione di frazioni algebriche
Per semplificare una frazione algebrica:
1. si scompongono il numeratore e il denominatore;
2. si scrivono le condizioni di esistenza;
3. si semplifica la frazione dividendo numeratore e denominatore per il loro MCD
Osservazione
Nella semplificazione si possono semplificare solo i fattori comuni e non i termini; quindi la
a+2
non è semplificabile perché al numeratore il fattore è a + 2 e al denominatore
frazione
a
il fattore è a.
57
CAPITOLO 11. FRAZIONI ALGEBRICHE
11.3
Addizione algebrica di frazioni algebriche
Per addizionare algebricamente due frazioni algebriche:
1. si scompongono il numeratore e il denominatore di ogni frazione;
2. si scrivono le condizioni di esistenza di ogni frazione;
3. si semplifica ogni frazione;
4. si scrive la frazione che ha come denominatore il minimo comune multiplo dei denominatori;
5. per ottenere il numeratore:
(a) si divide il minimo comune multiplo dei denominatori per il denominatore della
prima frazione e si moltiplica il quoziente ottenuto per il suo numeratore;
(b) si ripete il procedimento per la seconda frazione e si somma algebricamente al
risultato precedente;
6. si effettuano i calcoli al numeratore;
7. si scompone il numeratore;
8. si semplifica, se possibile, la frazione ottenuta.
Osservazione
Nell’addizione algebrica, dopo aver scomposto i denominatori, se tra i fattori dei denominatori ne esistono due opposti, è opportuno raccogliere −1 in uno di essi.
11.4
Moltiplicazione di frazioni algebriche
Per moltiplicare due frazioni algebriche:
1. si scompongono il numeratore e il denominatore di ogni frazione;
2. si scrivono le condizioni di esistenza di ogni frazione;
3. si semplificano i fattori comuni al numeratore e al denominatore di una stessa frazione
o di frazioni diverse;
4. si scrive la frazione che ha come denominatore il prodotto dei denominatori e come
numeratore il prodotto dei numeratori (il prodotto dei numeratori e dei denominatori
può non essere calcolato, ma solo indicato).
Osservazione
Come per l’addizione algebrica, dopo aver scomposto i numeratori e i denominatori, se
esistono due fattori opposti con esponente dispari, è opportuno raccogliere −1 in uno di
essi.
58
11.5. DIVISIONE DI FRAZIONI ALGEBRICHE
11.5
Divisione di frazioni algebriche
Definizione 11.5.1 (Inversa).
Si dice inversa, o reciproca, di una frazione algebrica non nulla la frazione che, moltiplicata
per quella assegnata, dà come risultato 1.
Osservazioni
1. l’inversa di una frazione algebrica si ottiene scambiando il numeratore con il denominatore della frazione assegnata.
2. Per l’esistenza dell’inversa di una frazione algebrica non si devono annullare né il
denominatore né il numeratore
Pratica per dividere due frazioni algebriche:
1. si scompongono il numeratore e il denominatore di ogni frazione;
2. si scrivono le condizioni di esistenza di ogni frazione;
3. si integrano le condizioni di esistenza imponendo che ogni fattore del numeratore della
seconda frazione sia diverso da zero;
4. si moltiplica la prima frazione per l’inversa della seconda.
Osservazione
Per eseguire divisioni di tre o più frazioni, poiché la divisione non gode della proprietà
associativa, si devono effettuare le operazioni nell’ordine indicato.
11.6
Frazione di frazioni algebriche
Consideriamo una frazione che ha frazioni algebriche al numeratore e al denominatore. Ogni
frazione di questo tipo si può scrivere come divisione tra la frazione algebrica al numeratore
e la frazione algebrica al denominatore, quindi si segue il metodo visto precedentemente.
11.7
Elevamento a potenza di frazioni algebriche
Per calcolare la potenza con esponente intero positivo di una frazione algebrica :
1. si scompongono il numeratore e il denominatore della frazione;
2. si scrivono le condizioni di esistenza;
3. si semplifica la frazione;
4. si elevano all’esponente intero positivo tutti i fattori del numeratore e del denominatore.
Per calcolare la potenza con esponente intero negativo di una frazione algebrica :
59
CAPITOLO 11. FRAZIONI ALGEBRICHE
1. si scompongono il numeratore e il denominatore della frazione;
2. si scrivono le condizioni di esistenza;
3. si integrano le condizioni di esistenza imponendo che ogni fattore del numeratore sia
diverso da zero;
4. si semplifica la frazione;
5. si eleva all’opposto dell’esponente l’inversa della frazione data.
Osservazione
La potenza con esponente 0 di ogni frazione algebrica non nulla è uguale a 1.
60
Capitolo 12
Geometria piana
12.1
Introduzione
Noi studiamo la geometria euclidea che è basata sugli assiomi di Euclide.
Nella geometria euclidea si assumono come termini primitivi il punto, la retta, il piano, lo
spazio.
Vediamo alcuni assiomi della geometria del piano
12.2
Assiomi di appartenenza
Assioma 12.2.1.
Per due punti distinti passa una e una sola retta
Assioma 12.2.2.
La retta è un sottoinsieme proprio del piano
Definizione 12.2.1 (Punti allineati).
Tre o più punti si dicono allineati se appartengono alla stessa retta
Definizione 12.2.2 (Rette incidenti).
Due rette si dicono incidenti se la loro intersezione è un punto
Definizione 12.2.3 (Rette parallele).
Due rette si dicono parallele se sono coincidenti o se la loro intersezione è l’insieme vuoto
12.3
Assiomi di ordinamento
Definizione 12.3.1 (Retta orientata).
Si dice retta orientata una retta su cui si è fissato un verso di percorrenza indicato da una
freccia
Osservazione
In una retta orientata se il punto A viene prima del punto B nel verso di percorrenza si
dice che A precede B oppure che B segue A
61
CAPITOLO 12. GEOMETRIA PIANA
Assioma 12.3.1.
Siano A e B due punti di una retta orientata, si verifica uno solo dei seguenti casi
1. A precede B, in simboli A < B
2. A coincide con B, in simboli A ≡ B
3. A segue B, in simboli A > B
Assioma 12.3.2.
Per ogni coppia di punti A e B di una retta orientata r con A < B esiste un punto M ∈ r
che segue A e precede B, un punto N ∈ r che precede A e un punto P ∈ r che segue B
Come conseguenza dell’assioma precedente si ha il seguente teorema
Teorema 12.3.1.
Una retta contiene infiniti punti ed è illimitata
Assioma 12.3.3.
Dati i punti distinti A, B, C appartenenti a una retta orientata r se A < B ∧ B < C allora
A < C.
Dati i punti distinti A, B, C appartenenti a una retta orientata r se A > B ∧ B > C allora
A > C.
12.4
Semiretta, segmento, angolo
Definizione 12.4.1 (Semiretta).
Data una retta orientata r e un punto O ∈ r, si dice semiretta di origine O l’insieme formato
da O e dai punti che lo seguono o da O e dai punti che lo precedono
Definizione 12.4.2 (Segmento).
Data una retta orientata r e due punti A, B ∈ r, si dice segmento di estremi A e B l’insieme
formato da A, B e dai punti compresi tra A e B
Definizione 12.4.3 (Segmenti consecutivi).
Due segmenti si dicono consecutivi se hanno un solo estremo in comune
Definizione 12.4.4 (Segmenti adiacenti).
Due segmenti si dicono adiacenti se sono consecutivi e sono contenuti nella stessa retta
Definizione 12.4.5 (Spezzata).
Si dice spezzata l’unione di due o più segmenti consecutivi non adiacenti; i segmenti si
dicono lati e gli estremi vertici; se il primo vertice e l’ultimo coincidono la spezzata si dice
chiusa altrimenti aperta, se due lati non consecutivi della spezzata si incontrano la spezzata
si dice intrecciata.
Definizione 12.4.6 (Poligonale).
Si dice poligonale una spezzata chiusa non intrecciata
62
12.4. SEMIRETTA, SEGMENTO, ANGOLO
Definizione 12.4.7 (Poligono).
Si dice poligono la figura costituita da una poligonale e dalla parte finita di piano che essa
delimita
I lati e i vertici della poligonale si dicono lati e vertici del poligono. Il segmento che unisce
due vertici non appartenenti allo stesso lato si dice diagonale del poligono. La poligonale si
dice anche contorno del poligono
Definizione 12.4.8 (Semipiano).
Data una retta r, si dice semipiano di frontiera r l’insieme formato da r e e da una delle
parti del piano divise da r
Assioma 12.4.1 (Partizione del piano).
Sia r la frontiere di due semipiani. Se A e B sono due punti che appartengono allo stesso
semipiano e non alla frontiera, allora il segmento AB non interseca la retta r. Se C e D
sono due punti che appartengo a semipiani diversi allora il segmento CD interseca la retta
r
Definizione 12.4.9 (Figura convessa e concava).
Una figura si dice convessa se presi due punti qualsiasi appartenenti alla figura, il segmento
avente per estremi quei punti è contenuto nella figura; altrimenti si dice concava
Osservazione
Il piano, il semipiano, la retta, la semiretta, il segmento sono figure convesse
Definizione 12.4.10 (Angolo).
Date due semirette a e b di origine O, si dice angolo di lati a e b e vertice O l’insieme formato
dalle semirette e da una delle parti del piano divise dalle semirette
Osservazione
La parte che contiene i prolungamenti dei lati si dice angolo concavo, l’altra angolo convesso.
Se non viene specificato in genere si considera l’angolo convesso
Definizione 12.4.11 (Corda).
Si dice corda un segmento con gli estremi uno su un lato e l’altro sull’altro lato di un angolo
Definizione 12.4.12 (Angoli consecutivi).
Due angoli si dicono consecutivi se hanno solo il vertice e un lato in comune
Definizione 12.4.13 (Angoli adiacenti).
Due angoli si dicono adiacenti se sono consecutivi e i lati non comuni sono contenuti nella
stessa retta
Definizione 12.4.14 (Angolo piatto).
Un angolo si dice piatto se i suoi lati non sono coincidenti e sono contenuti nella stessa
retta.
Definizione 12.4.15 (Angolo giro).
Un angolo si dice giro se i suoi lati sono semirette coincidenti e conincide con l’intero piano
63
CAPITOLO 12. GEOMETRIA PIANA
Definizione 12.4.16 (Angolo nullo).
Un angolo si dice nullo se i suoi lati sono semirette coincidenti e gli unici punti sono quelli
dei suoi lati
Definizione 12.4.17 (Angoli opposti al vertice).
Due angoli si dicono opposti al vertice se i prolungamenti dei lati di uno sono i lati dell’altro.
12.5
Relazione di congruenza
Definizione 12.5.1 (Figure congruenti).
Date due figure F e F 0 , se esiste un movimento rigido grazie al quale F si sovrappone a F 0
le figure si dicono congruenti e si scrive F ∼
= F0
La relazione di congruenza è una relazione di equivalenza.
12.5.1
Lunghezza
Poiché la relazione di congruenza è una relazione di equivalenza essa determina una partizione dell’insieme dei segmenti di un piano; ogni classe di equivalenza contiene tutti e soli i
segmenti congruenti tra loro.
Definizione 12.5.2 (Lunghezza).
Si dice lunghezza ogni classe di equivalenza di segmenti fra loro congruenti.
In altre parole due segmenti congruenti hanno la stessa lunghezza e, viceversa, segmenti con
la stessa lunghezza sono congruenti tra loro.
Per indicare la lunghezza del segmento AB invece di utilizzare la notazione tipica delle classi
di equivalenza [AB] si utilizza la notazione AB.
12.5.2
Ampiezza
Poiché la relazione di congruenza è una relazione di equivalenza essa determina una partizione dell’insieme degli angoli di un piano; ogni classe di equivalenza contiene tutti e soli
gli angoli congruenti tra loro.
Definizione 12.5.3 (Ampiezza).
Si dice ampiezza ogni classe di equivalenza di angoli fra loro congruenti.
In altre parole due angoli congruenti hanno la stessa ampiezza e, viceversa, angoli con la
stessa ampiezza sono congruenti tra loro.
Per indicare l’ampiezza di un angolo invece di utilizzare la notazione tipica delle classi di
equivalenza si utilizza la notazione stessa dell’angolo.
64
12.6. PUNTO MEDIO
12.6
Punto medio
Definizione 12.6.1 (Punto medio).
Si dice punto medio di un segmento il punto del segmento che lo divide in due segmenti
congruenti
12.7
Bisettrice
Definizione 12.7.1 (Bisettrice).
Si dice bisettrice di un angolo la semiretta dell’angolo che lo divide in due angoli congruenti
12.8
Angolo retto, acuto, ottuso
Definizione 12.8.1 (Angolo retto).
Si dice angolo retto un angolo congruente alla metà di un angolo piatto
Definizione 12.8.2 (Angolo acuto).
Si dice angolo acuto un angolo minore di un angolo retto
Definizione 12.8.3 (Angolo ottuso).
Si dice angolo ottuso un angolo maggiore di un angolo retto e minore di un angolo piatto
12.9
Rette perpendicolari
Definizione 12.9.1 (Rette perpendicolari).
Due rette incidenti si dicono perpendicolari se formano quattro angoli retti
12.10
Retta perpendicolare passante per un punto e distanza
Teorema 12.10.1 (Perpendicolare).
Dati una retta r e un punto P esiste ed è unica la retta s passante per P perpendicolare a
r
Osservazioni
1. Il punto H in cui la perpendicolare per P a r interseca r si dice piede della perpendicolare oppure proiezione ortogonale di P su r
2. Il segmento di perpendicolare P H di dice distanza di P da r
12.11
Asse di un segmento
Definizione 12.11.1 (Asse di un segmento).
Si dice asse del segmento AB la retta perpendicolare ad AB passante per il suo punto medio
M
65
CAPITOLO 12. GEOMETRIA PIANA
12.12
Angoli complementari, supplementari, esplementari
Definizione 12.12.1 (Angoli complementari).
Due angoli si dicono complementari se la loro somma è congruente a un angolo retto
Definizione 12.12.2 (Angoli supplementari).
Due angoli si dicono supplementari se la loro somma è congruente a un angolo piatto
Definizione 12.12.3 (Angoli esplementari).
Due angoli si dicono esplementari se la loro somma è congruente a un angolo giro
Teorema 12.12.1 (Angoli complementari).
Angoli complementari di angoli congruenti sono congruenti
Teorema 12.12.2 (Angoli supplementari).
Angoli supplementari di angoli congruenti sono congruenti
Teorema 12.12.3 (Angoli esplementari).
Angoli esplementari di angoli congruenti sono congruenti
12.13
Angoli opposti al vertice
Teorema 12.13.1 (Angoli opposti al vertice).
Due angoli opposti al vertice sono congruenti
12.14
Triangoli
Definizione 12.14.1 (Triangolo).
Si dice triangolo un poligono di tre lati
Definizione 12.14.2 (Angolo interno).
Si dice angolo interno ciascuno degli angoli convessi individuato dai lati del triangolo
Osservazione
Un angolo interno verrà chiamato semplicemente angolo
Definizione 12.14.3 (Angolo esterno).
Si dice angolo esterno ciascuno degli angoli adiacenti a un angolo interno del triangolo
Un triangolo può essere classificato in base ai lati.
Definizione 12.14.4 (Triangolo equilatero).
Un triangolo si dice equilatero se ha i tre lati congruenti
Definizione 12.14.5 (Triangolo isoscele).
Un triangolo si dice isoscele se ha due lati congruenti
66
12.15. MEDIANE, BISETTRICI, ALTEZZE, ASSI
Definizione 12.14.6 (Triangolo scaleno).
Un triangolo si dice scaleno se non ha lati congruenti
Un triangolo può essere classificato in base agli angoli.
Definizione 12.14.7 (Triangolo rettangolo).
Un triangolo si dice rettangolo se ha un angolo retto
Definizione 12.14.8 (Triangolo acutangolo).
Un triangolo si dice acutangolo se ha tutti gli angoli acuti
Definizione 12.14.9 (Triangolo ottusangolo).
Un triangolo si dice ottusangolo se ha un angolo ottuso
12.15
Mediane, bisettrici, altezze, assi
Definizione 12.15.1 (Mediana).
Si dice mediana di un triangolo un segmento che ha come estremi un vertice e il punto
medio del lato opposto
Definizione 12.15.2 (Bisettrice).
Si dice bisettrice di un triangolo il segmento di bisettrice di un angolo che ha come estremi
un vertice e un punto del lato opposto
Definizione 12.15.3 (Altezze).
Si dice altezza di un triangolo il segmento di perpendicolare che ha come estremi un vertice
e un punto del lato opposto o del suo prolungamento
Definizione 12.15.4 (Assi).
Si dice asse di un triangolo l’asse di un lato del triangolo
12.16
Criteri di congruenza dei triangoli
Teorema 12.16.1 (Primo criterio di congruenza).
Se due triangoli hanno rispettivamente congruenti due lati e l’angolo tra essi compreso allora
sono congruenti
Teorema 12.16.2 (Secondo criterio di congruenza).
Se due triangoli hanno rispettivamente congruenti due angoli e il lato tra essi compreso
allora sono congruenti
Teorema 12.16.3 (Terzo criterio di congruenza).
Se due triangoli hanno rispettivamente congruenti i tre lati allora sono congruenti
67
CAPITOLO 12. GEOMETRIA PIANA
12.17
Proprietà dei triangoli isosceli
Teorema 12.17.1 (Angoli alla base di un triangolo isoscele).
Un triangolo isoscele ha gli angoli alla base congruenti
Teorema 12.17.2.
Un triangolo con due angoli congruenti è isoscele
Teorema 12.17.3.
In un triangolo isoscele le mediane relative ai lati obliqui sono congruenti
Teorema 12.17.4.
In un triangolo isoscele le bisettrici degli angoli alla base sono congruenti
Teorema 12.17.5.
In un triangolo isoscele la mediana relativa alla base è anche bisettrice e altezza
Teorema 12.17.6.
In un triangolo isoscele la bisettrice dell’angolo al vertice è anche mediana e altezza
Osservazione
Poiché un triangolo equilatero è anche isoscele, i teoremi precedenti valgono anche per i
triangoli equilateri:
Teorema 12.17.7.
In un triangolo equilatero le tre mediane sono congruenti
Teorema 12.17.8.
In un triangolo equilatero le tre bisettrici sono congruenti
Teorema 12.17.9.
In un triangolo equilatero le mediane sono anche bisettrici e altezze
Teorema 12.17.10.
In un triangolo equilatero le bisettrici sono anche mediane e altezze
12.18
Disuguaglianze nei triangoli
Teorema 12.18.1.
In un triangolo l’angolo esterno è maggiore di ogni angolo interno non adiacente
Teorema 12.18.2.
In un triangolo un lato è minore della somma e maggiore della differenza degli altri due
12.19
Assioma di Euclide
Assioma 12.19.1 (Assioma di Euclide).
Dati una retta r e un punto P , la parallela ad r per P è unica
Se si nega questo assioma si costruiscono altre geometrie: la geometria ellittica e iperbolica
68
12.20. RETTE PARALLELE TAGLIATE DA UNA TRASVERSALE
12.20
Rette parallele tagliate da una trasversale
Consideriamo due rette r e s tagliate in due punti distinti da una retta t detta trasversale.
Si generano otto angoli che possono essere classificati a coppie in base alla loro posizione
rispetto alle rette date.
s
t
α
β
δ
γ
β0
α0
γ0
δ0
r
Figura 12.1: angoli formati da due rette tagliate da una trasversale
• γ, α0 e δ, β 0 si dicono angoli alterni interni
• α, γ 0 e β, δ 0 si dicono angoli alterni esterni
• α, α0 e β, β 0 e γ, γ 0 e δ, δ 0 si dicono angoli corrispondenti
• γ, β 0 e δ, α0 si dicono angoli coniugati interni
• α, δ 0 e β, γ 0 si dicono angoli coniugati esterni
Teorema 12.20.1.
Due rette r, s tagliate da una trasversale t sono parallele se e solo se formano angoli alterni
interni congruenti
Teorema 12.20.2.
Due rette r, s tagliate da una trasversale t sono parallele se e solo se formano angoli alterni
esterni congruenti
Teorema 12.20.3.
Due rette r, s tagliate da una trasversale t sono parallele se e solo se formano angoli alterni
corrispondenti congruenti
Teorema 12.20.4.
Due rette r, s tagliate da una trasversale t sono parallele se e solo se formano angoli coniugati
interni supplementari
Teorema 12.20.5.
Due rette r, s tagliate da una trasversale t sono parallele se e solo se formano angoli coniugati
esterni supplementari
69
CAPITOLO 12. GEOMETRIA PIANA
12.21
Applicazioni del parallelismo ai triangoli
Teorema 12.21.1.
In un triangolo, ogni angolo esterno è congruente alla somma degli angoli interni non
adiacenti
Teorema 12.21.2.
In un triangolo la somma degli angoli interni è congruente a un angolo piatto
Teorema 12.21.3 (Secondo criterio di congruenza generalizzato).
Due triangoli sono congruenti se hanno rispettivamente congruenti due angoli e un lato
Teorema 12.21.4.
In un triangolo isoscele le altezze relative ai lati congruenti sono congruenti
12.22
Triangoli rettangoli
Teorema 12.22.1 (Criterio di congruenza dei triangoli rettangoli).
Due triangoli rettangoli sono congruenti se hanno rispettivamente congruenti l’ipotenusa e
un cateto.
Teorema 12.22.2.
Due triangoli congruenti hanno altezze congruenti.
Teorema 12.22.3.
In un triangolo isoscele l’altezza relativa alla base è anche bisettrice e mediana
12.23
Asse di un segmento e bisettrice di un angolo
Teorema 12.23.1 (Asse di un segmento).
L’asse di un segmento è il luogo dei punti del piano equidistanti dagli estremi del segmento
Teorema 12.23.2 (Bisettrice di un angolo).
La bisettrice di un angolo è il luogo dei punti del piano equidistanti dai lati dell’angolo
12.24
Quadrilateri
Definizione 12.24.1 (Quadrilatero).
Si dice quadrilatero un poligono di quattro lati
Teorema 12.24.1.
In un quadrilatero la somma degli angoli interni è congruente a un angolo giro
Teorema 12.24.2.
In un poligono di n lati la somma degli angoli interni è congruente alla somma di n − 2
angoli piatti
70
12.25. PARALLELOGRAMMI
Teorema 12.24.3.
In un quadrilatero la somma degli angoli esterni è congruente a un angolo giro
Teorema 12.24.4.
In un poligono di n lati la somma degli angoli esterni è congruente a un angolo giro
12.25
Parallelogrammi
Definizione 12.25.1 (Parallelogrammo).
Si dice parallelogrammo un quadrilatero con i lati opposti paralleli
Teorema 12.25.1 (Parallelogrammo).
Un parallelogrammo ha gli angoli opposti congruenti, i lati opposti congruenti e le diagonali
che si dimezzano
Teorema 12.25.2 (Parallelogrammo).
Un quadrilatero con i lati opposti congruenti oppure gli angoli opposti congruenti oppure con
le diagonali che si dimezzano oppure con due lati congruenti e paralleli è un parallelogrammo
12.26
Rettangoli
Definizione 12.26.1 (Rettangolo).
Si dice rettangolo un quadrilatero con gli angoli congruenti
Osservazioni
1. Un rettangolo è un parallelogrammo
2. Gli angoli di un rettangolo sono retti
Teorema 12.26.1 (Rettangolo).
Un rettangolo ha le diagonali congruenti
Teorema 12.26.2 (Rettangolo).
Un paralellogramma con le diagonali congruenti è un rettangolo
12.27
Rombi
Definizione 12.27.1 (Rombo).
Si dice rombo un quadrilatero con i lati congruenti
Osservazione
Un rombo è un parallelogrammo
Teorema 12.27.1 (Rombo).
Un rombo ha le diagonali perpendicolari e bisettrici degli angoli opposti
Teorema 12.27.2 (Rombo).
Un paralellogrammo con le diagonali perpendicolari oppure con le diagonali bisettrici degli
angoli opposti è un rombo
71
CAPITOLO 12. GEOMETRIA PIANA
12.28
Quadrati
Definizione 12.28.1 (Quadrato).
Si dice quadrato un quadrilatero con i lati e gli angoli congruenti
Osservazione
Un quadrato è un parallelogrammo, un rombo e un rettangolo
Teorema 12.28.1 (Quadrato).
Un quadrato ha le diagonali congruenti, perpendicolari e bisettrici degli angoli opposti
Teorema 12.28.2 (quadrato).
Un paralellogrammo con le diagonali congruenti e perpendicolari oppure con le diagonali
congruenti e bisettrici degli angoli opposti è un quadrato
12.29
Trapezi
Definizione 12.29.1 (Trapezio).
Si dice trapezio un quadrilatero con due lati opposti paralleli e gli altri due non paralleli
I lati paralleli si dicono basi, gli altri si dicono lati obliqui.
Definizione 12.29.2 (Trapezio isoscele).
Un trapezio si dice isoscele se ha i lati obliqui congruenti
Definizione 12.29.3 (Trapezio scaleno).
Un trapezio si dice scaleno se ha i lati obliqui non congruenti
Definizione 12.29.4 (Trapezio rettangolo).
Un trapezio si dice rettangolo se ha due angoli retti
Teorema 12.29.1.
In un trapezio gli angoli adiacenti ai lati obliqui sono supplementari
Teorema 12.29.2.
In un trapezio isoscele gli angoli adiacenti a ciascuna base sono congruenti
Teorema 12.29.3.
In un trapezio isoscele le diagonali sono congruenti
12.30
Caso particolare del teorema di Talete
Teorema 12.30.1 (Caso particolare del teorema di Talete).
Dato un fascio di rette parallele tagliate da due trasversali a segmenti congruenti su una
trasversale corrispondono segmenti congruenti sull’altra trasversale.
Teorema 12.30.2.
In un triangolo il segmento che ha come estremi i punti medi di due lati è parallelo al terzo
lato e congruente alla sua metà
72
Capitolo 13
Equazioni di primo grado
13.1
Risolubilità di un’equazione
Nella risoluzione di un’equazione in un’incognita in un insieme A si possono presentare i
seguenti casi.
13.1.1
Equazione impossibile
Definizione 13.1.1 (Equazione impossibile).
Un’equazione si dice impossibile se l’insieme delle soluzioni è l’insieme vuoto
13.1.2
Equazione determinata
Definizione 13.1.2 (Equazione determinata).
Un’equazione si dice determinata se l’insieme delle soluzioni è finito e non vuoto
13.1.3
Equazione indeterminata
Definizione 13.1.3 (Equazione indeterminata).
Un’equazione si dice indeterminata se l’insieme delle soluzioni è infinito
13.1.4
Identità
Definizione 13.1.4 (Identità).
Un’equazione si dice identità se l’insieme delle soluzioni coincide con il dominio
13.2
13.2.1
Principi di equivalenza delle equazioni
Primo principio di equivalenza
Teorema 13.2.1 (Primo principio di equivalenza).
Addizionando ad entrambi i membri di un’equazione la stessa espressione algebrica che non
modifica il dominio, si ottiene un’equazione equivalente.
73
CAPITOLO 13. EQUAZIONI DI PRIMO GRADO
Regola del trasporto
Teorema 13.2.2 (Regola del trasporto).
Se in un’equazione si sposta un termine da un membro all’altro cambiandone il segno, si
ottiene un’equazione equivalente.
13.2.2
Secondo principio di equivalenza
Teorema 13.2.3 (Secondo principio di equivalenza).
Moltiplicando entrambi i membri di un’equazione per la stessa espressione algebrica, che
non modifica il dominio e che in esso non si annulli, si ottiene un’equazione equivalente.
Regola del cambiamento dei segni
Teorema 13.2.4 (Regola del cambiamento dei segni).
Se in un’equazione si cambiano i segni di tutti i termini, si ottiene un’equazione equivalente.
Regola di eliminazione dei denominatori
Teorema 13.2.5 (Regola di eliminazione dei denominatori).
Se in un’equazione avente entrambi i membri costituiti da una sola frazione con lo stesso
denominatore si eliminano i denominatori, si ottiene un’equazione equivalente.
13.3
Forma normale di un’equazione
Definizione 13.3.1 (Forma normale).
Un’equazione si dice in forma normale se il primo membro è un polinomio in forma normale
e il secondo membro è 0.
13.4
Grado di un’equazione
Definizione 13.4.1 (Grado).
Si dice grado di un’equazione intera il grado rispetto all’incognita del polinomio a primo
membro della sua forma normale.
Osservazione
Un’equazione di primo grado è detta equazione lineare.
13.5
Risoluzione delle equazioni numeriche intere
Tradizionalmente, invece di quella precedentemente definita, si assume come forma normale
di un’equazione di primo grado nell’incognita x la forma
ax = b
74
13.6. RISOLUZIONE DELLE EQUAZIONI NUMERICHE FRATTE
dove a e b sono numeri reali; il dominio è R.
Per risolvere questo tipo di equazioni:
1. si trasforma l’equazione nella forma normale ax = b
2. si analizzano i valori di a e b:
(a) se a 6= 0, si dividono entrambi i membri per il coefficiente dell’incognita ottenendo:
x=
b
a
l’equazione è determinata e l’insieme delle soluzioni è
® ´
b
a
S=
(b) se a = 0 ∧ b = 0 si ha 0x = 0: l’equazione è un’identità perchè qualsiasi numero
moltiplicato per 0 dà 0 e l’insieme delle soluzioni è
S=R
(c) se a = 0 ∧ b 6= 0 si ha 0x = b: l’equazione è impossibile perché nessun numero
moltiplicato per 0 dà un numero diverso da 0 e l’insieme delle soluzioni è
S=∅
13.6
Risoluzione delle equazioni numeriche fratte
Per risolvere un’equazione numerica fratta nell’incognita x:
1. si scompongono i denominatori di ogni frazione
2. si scrivono le condizioni di esistenza e si ricava l’incognita per ciascuna di esse
3. si trasforma l’equazione nella forma normale ax = b
4. si analizzano i valori di a e b:
b
(a) se a 6= 0, si ricava: x = .
a
b
Se
soddisfa le condizioni di esistenza, l’equazione è determinata e l’insieme
a
delle soluzioni è
® ´
S=
b
a
b
se
non soddisfa le condizioni di esistenza, non è accettabile, l’equazione è
a
impossibile e l’insieme delle soluzioni è
S=∅
75
CAPITOLO 13. EQUAZIONI DI PRIMO GRADO
(b) se a = 0 ∧ b = 0, l’equazione è una identità e l’insieme delle soluzioni è
S=D
dove D è il dominio
(c) se a = 0 ∧ b 6= 0, l’equazione è impossibile e l’insieme delle soluzioni è
S=∅
76
Parte II
CLASSE SECONDA
77
Capitolo 1
Sistemi di primo grado
1.1
Introduzione
Definizione 1.1.1 (Sistema).
Date due equazioni in due incognite, si dice sistema la congiunzione delle due equazioni.
Il dominio del sistema è dato dall’intersezione dei domini delle due equazioni.
1.2
Soluzioni di un sistema
Definizione 1.2.1 (Soluzione).
Si dice soluzione di un sistema ogni coppia del dominio che è soluzione di entrambe le
equazioni del sistema
L’insieme S delle soluzioni del sistema è dato dall’intersezione degli insiemi delle soluzioni
delle due equazioni.
1.3
Risolubilità di un sistema
Nella risoluzione di un sistema di due equazioni in due incognite in un insieme A ⊆ R × R
si possono presentare i seguenti casi.
1.3.1
Sistema impossibile
Definizione 1.3.1 (Sistema impossibile).
Un sistema si dice impossibile se l’insieme delle soluzioni è l’insieme vuoto
Osservazione
Un sistema è impossibile, se almeno una delle equazioni è impossibile oppure se non ci sono
soluzioni comuni alle due equazioni
1.3.2
Sistema determinato
Definizione 1.3.2 (Sistema determinato).
Un sistema si dice determinato se l’insieme delle soluzioni è finito e non vuoto
78
1.4. PRINCIPI DI EQUIVALENZA DEI SISTEMI
1.3.3
Sistema indeterminato
Definizione 1.3.3 (Sistema indeterminato).
Un sistema si dice indeterminato se l’insieme delle soluzioni è infinito
Osservazione
Un sistema è indeterminato, se una delle equazioni è un’identità e l’altra equazione è
indeterminata oppure se le due equazioni sono equivalenti e indeterminate
1.3.4
Sistema identico
Definizione 1.3.4 (Sistema identico).
Un sistema si dice identico se l’insieme delle soluzioni coincide con il dominio
Osservazione
Un sistema è identico, se entrambe le equazioni sono identità.
1.4
Principi di equivalenza dei sistemi
Teorema 1.4.1 (Primo principio di equivalenza).
Se in un sistema a una equazione si sostituisce un’equazione ad essa equivalente, si ottiene
un sistema equivalente a quello dato.
Teorema 1.4.2 (Secondo principio di equivalenza: principio di sostituzione).
Se in un sistema si ricava un’incognita da un’equazione e si sostituisce l’espressione ottenuta
nell’altra equazione, si ottiene un sistema equivalente a quello dato.
Teorema 1.4.3 (Terzo principio di equivalenza: principio di combinazione lineare).
Se in un sistema si sostituisce un’equazione con una combinazione lineare delle due equazioni
che lo costituiscono, si ottiene un sistema equivalente a quello dato.
1.5
Grado di un sistema
Definizione 1.5.1 (Grado).
Si dice grado di un sistema intero il prodotto dei gradi delle equazioni che lo compongono.
1.6
Metodi di risoluzione dei sistemi di primo grado
Per risolvere un sistema di primo grado, lo si trasforma nella forma normale e si analizzano
le due equazioni:
• se almeno un’equazione è impossibile, il sistema è impossibile
• se un’equazione è un’identità e l’altra è indeterminata, il sistema è indeterminato;
• se entrambe le equazioni sono identità, il sistema è identico;
79
CAPITOLO 1. SISTEMI DI PRIMO GRADO
• in tutti gli altri casi si procede utilizzando uno dei seguenti metodi: sostituzione,
riduzione, Cramer.
1.6.1
Metodo di sostituzione
Per risolvere un sistema nella forma normale
(
ax + by = c
con a, b, c, a0 , b0 , c0 ∈ R, (a, b) 6= (0, 0) ∧ (a0 , b0 ) 6= (0, 0)
a0 x + b0 y = c0
con il metodo di sostituzione:
1. si ricava un’incognita da un’equazione
2. si sostituisce l’espressione ottenuta nell’altra equazione e la si risolve
3. si sostituisce il valore ricavato al punto 2 nell’espressione dell’altra incognita e la si
determina.
1.6.2
Metodo di riduzione o della combinazione lineare
Per risolvere un sistema nella forma normale
(
ax + by = c
con a, b, c, a0 , b0 , c0 ∈ R, (a, b) 6= (0, 0) ∧ (a0 , b0 ) 6= (0, 0)
a0 x + b 0 y = c 0
con il metodo di riduzione:
1. si moltiplicano entrambi i membri di ciascuna equazione per numeri opportuni, non
entrambi nulli, che rendano opposti i coefficienti di un’incognita nelle due equazioni
2. si addizionano membro a membro le due equazioni e si risolve l’equazione ottenuta
3. si ripete il procedimento per determinare l’altra incognita
I punti 1 e 2 equivalgono a sostituire un’equazione con una combinazione lineare delle due
equazioni assegnate.
Per determinare i numeri opportuni, è sufficiente trovare il minimo comune multiplo dei
coefficienti dell’incognita, dividerlo per ogni coefficiente e cambiare il segno a uno di essi.
1.6.3
Matrici e determinanti
1.6.4
Metodo di Cramer
Ad ogni sistema nella forma normale
(
ax + by = c
con a, b, c, a0 , b0 , c0 ∈ R, (a, b) 6= (0, 0) ∧ (a0 , b0 ) 6= (0, 0)
a0 x + b 0 y = c 0
80
1.7. SISTEMI DI TRE EQUAZIONI IN TRE INCOGNITE
si associano i determinanti
a b
D = 0 0 = ab0 − a0 b
a b
Dx =
c b
= b0 c − bc0
c 0 b0
a c
= ac0 − a0 c
a0 c 0
D è il determinante della matrice dei coefficienti delle incognite;
Dx è il determinante della matrice che si ottiene sostituendo, nella matrice dei coefficienti,
la colonna dei coefficienti dell’incognita x con la colonna dei termini noti;
Dy è il determinante della matrice che si ottiene sostituendo, nella matrice dei coefficienti,
la colonna dei coefficienti dell’incognita y con la colonna dei termini noti.
Per risolvere un sistema nella forma normale
(
ax + by = c
con a, b, c, a0 , b0 , c0 ∈ R, (a, b) 6= (0, 0) ∧ (a0 , b0 ) 6= (0, 0)
a0 x + b 0 y = c 0
Dy =
con il metodo di Cramer:
1. si calcolano i determinanti D, Dx , Dy
2. si analizzano i valori dei determinanti D, Dx , Dy :
(a) se D 6= 0, il sistema è determinato e l’insieme delle soluzioni è
®Ç
S=
Dx Dy
,
D D
å´
(b) se D = 0 ∧ (Dx 6= 0 ∨ Dy 6= 0), il sistema è impossibile
(c) se D = 0 ∧ Dx = 0 ∧ Dy = 0, il sistema è indeterminato
1.7
Sistemi di tre equazioni in tre incognite
La forma normale di un sistema di tre equazioni di primo grado in tre incognite è:


ax + by


+ cz = d
a x + b y + c0 z = d0 con a, b, c, d, a0 , b0 , c0 , d0 , a00 , b00 , c00 , d00 ∈ R


 00
a x + b00 y + c00 z = d
0
0
Per risolvere questi sistemi si trasformano nella forma normale e si analizzano le tre equazioni:
• se almeno un’equazione è impossibile, il sistema è impossibile
• se un’equazione è un’identità e il sistema formato dalle altre due è indeterminato, il
sistema è indeterminato
• se tutte le equazioni sono identità, allora il sistema è identico.
• In tutti gli altri casi si procede utilizzando i metodi visti per i sistemi con due equazioni.
81
CAPITOLO 1. SISTEMI DI PRIMO GRADO
1.7.1
Metodo di sostituzione
Per risolvere un sistema di tre equazioni in tre incognite nella forma normale con il metodo
di sostituzione:
1. si ricava un’incognita da un’equazione
2. si sostituisce l’espressione ottenuta nelle altre equazioni trasformandole in due equazioni in due incognite
3. si risolve il sistema formato dalle due equazioni in due incognite con il metodo desiderato
4. si sostituisce, nell’espressione dell’incognita ricavata, la coppia ottenuta al punto 3 e
si ricava l’ulteriore incognita.
1.7.2
Metodo di Cramer
Ad ogni sistema nella forma normale


 ax + by

+ cz = d
a x + b y + c0 z = d 0


 00
a x + b00 y + c00 z = d00
0
0
si possono associare i determinanti
a b c
D = a0 b0 c0
a00 b00 c00
d b c
D x = d 0 b0 c 0
d00 b00 c00
a d c
Dy = a0 d0 c0
a00 d00 c00
a b d
Dz = a0 b0 d0
a00 b00 d00
D è il determinante della matrice dei coefficienti delle incognite;
Dx , Dy , Dz , sono i determinanti delle matrici che si ottengono sostituendo, nella matrice dei
coefficienti, la colonna dei coefficienti dell’incognita con la colonna dei termini noti.
Per risolvere un sistema di tre equazioni in tre incognite nella forma normale con il metodo
di Cramer:
1. si calcolano i determinanti D, Dx , Dy , Dz
2. si analizzano i valori dei determinanti D, Dx , Dy , Dz :
82
1.7. SISTEMI DI TRE EQUAZIONI IN TRE INCOGNITE
(a) se D 6= 0, il sistema è determinato e ha come insieme delle soluzioni
®Ç
S=
Dx Dy Dz
,
,
D D D
å´
(b) se D = 0 ∧ (Dx 6= 0 ∨ Dy 6= 0 ∨ Dz 6= 0), il sistema è impossibile
(c) se D = 0 ∧ Dx = 0 ∧ Dy = 0 ∧ Dz = 0, il sistema è indeterminato
83
Capitolo 2
Radicali
2.1
Radice ennesima aritmetica
Definizione 2.1.1 (Radice ennesima aritmetica ).
Dato un numero naturale n > 0, si dice radice ennesima aritmetica di un numero reale non
negativo a quel numero reale non negativo b tale che bn = a
√
n
a = b ⇔ bn = a, con n ∈ N0 , a, b ∈ R+ ∪ {0}
Il numero n è detto indice, il numero a radicando, e
Ä √ än
n
a =a
2.2
√
n
a è detto radicale aritmetico.
Estensione in R dei radicali con indice dispari
Nel caso di indice dispari si può considerare il caso in cui il radicando è negativo.
Definizione 2.2.1 (Radice ennesima).
Dato un numero naturale n dispari, si dice radice ennesima di un numero reale a quel
numero reale b tale che bn = a
√
n
a = b ⇔ bn = a
Per correttezza, per la radice ennesima, sarebbe necessario utilizzare un altro simbolo al
fine di non confonderlo con la radice ennesima aritmetica. Utilizziamo lo stesso simbolo
considerando la radice ennesima aritmetica se n è pari, e la radice ennesima se n è dispari.
Teorema 2.2.1.
∀a, b > 0, a = b ⇔ an = bn
∀n dispari a = b ⇔ an = bn
84
2.3. CONDIZIONI DI ESISTENZA DEI RADICALI
Osservazione
Se n è dispari,
√
√
n
−a = − n a
Si usa dire che si può trasportare fuori dal simbolo di radice il segno −
Il segno − non si può trasportare fuori dal simbolo di radice se l’indice è pari.
2.3
Condizioni di esistenza dei radicali
Poiché, se n pari, il radicando non deve essere negativo, se sono presenti delle lettere è
necessario scrivere le condizioni di esistenza imponendo che esso sia maggiore o uguale a 0.
Osservazione
In seguito vedremo proprietà e operazioni riguardanti le radici ennesime aritmetiche. Per
applicarle alle radici ennesime si deve porre attenzione al segno del radicale e del radicando
2.4
Proprietà invariantiva dei radicali
Teorema 2.4.1 (Proprietà invariantiva ).
Il valore di un radicale aritmetico non cambia, se il suo indice e l’esponente del radicando
si moltiplicano per uno stesso numero naturale diverso da 0. In simboli:
√
√
∀a > 0, ∀m, n, p ∈ N0 , n am = np amp
Osservazioni
1. Se l’indice è dispari e il radicando è negativo, si possono moltiplicare indice e esponente
del radicando per un numero dispari
2. Se l’indice è dispari e il radicando è negativo, per applicare la proprietà invariantiva
con un numero pari, si deve trasportare fuori dal simbolo di radice il segno −.
3. Se l’indice è dispari e il radicando può essere positivo o negativo, per applicare la
proprietà invariantiva con un numero pari, si devono distingure i due casi
4. Se il radicando è costituito da più fattori, per applicare la proprietà invariantiva è
sufficiente moltiplicare indice ed esponente di ogni fattore per lo stesso numero.
2.5
Riduzione di più radicali allo stesso indice
Per ridurre due o più radicali allo stesso indice:
1. si scompongono i radicandi
2. si scrivono le eventuali condizioni di esistenza
3. si calcola il mcm degli indici
4. si applica la proprietà invariantiva a ciascun radicale moltiplicando il suo indice e
l’esponente del radicando per il quoziente tra il mcm e l’indice.
85
CAPITOLO 2. RADICALI
2.6
Ordinamento di radicali numerici
Per ordinare più radicali numerici:
1. si riducono i radicali allo stesso indice
2. si confrontano i radicandi
2.7
Semplificazione di radicali
Abbiamo visto che per i radicali aritmetici vale la proprietà invariantiva:
√
√
∀a > 0, ∀m, n, p ∈ N0 , n am = np amp
per la proprietà simmetrica dell’uguaglianza si può scrivere:
√
√
∀a > 0, ∀m, n, p ∈ N0 , np amp = n am
cioè il valore di un radicale aritmetico non cambia, se il suo indice e l’esponente del radicando
si dividono per un loro divisore comune.
La proprietà invariantiva ci permette quindi di semplificare i radicali.
Se il radicando è letterale, nell’eseguire la semplificazione, è necessario mantenere la sua
non negatività. √
Dato il radicale √ x2 , che esiste per qualunque valore di x, dividendo indice ed esponente
per 2, si ottiene x2 = x; questa uguaglianza non è vera per qualunque valore
√ di x perché,
se x è negativo, il primo√membro è positivo e il secondo è negativo. Quindi x2 = x solo se
x > 0. Se x < 0, allora x2 = −x. Quindi risulta:
√
x2 = |x|
Generalizzando, se n è pari si ha
√
n
an = |a|
Anche nel caso in cui, semplificando il radicale, il simbolo di radice non venga eliminato,
è necessario mantenere la non negatività del radicando, Se l’esponente del radicando è
dispari, si dovranno scrivere le condizioni di esistenza, quindi, dopo la semplificazione, non
sarà necessario l’inserimento del valore assoluto perché la non negatività del radicando è
garantita dalle condizioni di esistenza.
Riassumendo, per semplificare un radicale aritmetico:
1. si scompone il radicando
2. si scrivono le eventuali condizioni di esistenza
3. si dividono l’indice e gli esponenti di ogni fattore per un divisore comune
4. si inseriscono eventuali valori assoluti per mantenere la non negatività del radicando
Osservazioni
√
√
1. a2 + b2 6= a + b, a2 + b2 non si può semplificare
2. Se l’indice del radicale è dispari non si devono scrivere condizioni di esistenza e inserire
valori assoluti
86
2.8. MOLTIPLICAZIONE DI RADICALI
2.8
Moltiplicazione di radicali
Teorema 2.8.1 (Prodotto).
√
√
√
n
n
n
a · b = ab con a, b > 0, n ∈ N0
Osservazioni
1. Se gli indici non sono uguali, si riducono i radicali allo stesso indice e si effettua la
moltiplicazione.
2. Prima di effettuare la moltiplicazione, se è possibile, può essere utile semplificare i
singoli radicali.
3. La moltiplicazione si può estendere a più di due radicali.
4. Se uno degli indici è dispari si deve porre attenzione al segno del prodotto
2.9
Divisione di radicali
Teorema 2.9.1 (Quoziente).
√
√
√
n
n
n
a : b = a : b con a > 0, b > 0, n ∈ N0
1. Se gli indici non sono uguali, si riducono i radicali allo stesso indice e si effettua la
divisione.
2. Prima di effettuare la divisione, se è possibile, può essere utile semplificare i singoli
radicali.
3. Nel caso di divisioni tra più di due radicali, poiché la divisione non gode della proprietà
associativa, si devono effettuare le divisioni nell’ordine con cui sono scritte.
4. Molte volte la divisione viene scritta sotto forma di frazione:
√
n
a
a
√
= n
n
b
b
5. Se uno degli indici è dispari si deve porre attenzione al segno del rapporto
2.10
Trasporto di un fattore dentro il segno di radice
√
√
√ √
n
n
n
a b = n an b = an b, a > 0, b > 0
per trasportare un fattore non negativo dentro il segno di radice lo si eleva all’indice della
radice.
Osservazioni
87
CAPITOLO 2. RADICALI
1. Se l’indice è pari e il fattore da trasportare dentro è negativo, si trasporta dentro il
suo opposto, mantenendo il segno − davanti al radicale.
2. Se l’indice è pari e il segno del fattore da trasportare dipende dal valore di una o più
lettere, si deve considerare il caso in cui il fattore è positivo o nullo e quello in cui è
negativo.
3. Se l’indice è dispari ai possono trasportare dentro fattori positivi e negativi.
4. Si possono trasportare dentro solo i fattori e non i termini
2.11
Trasporto di un fattore fuori dal segno di radice
Abbiamo visto che è sempre possibile trasportare un fattore dentro il segno di radice aritmetica; in alcuni casi è possibile effettuare l’operazione inversa, cioè trasportare un fattore
fuori dal segno di radice.
Per effettuare questa operazione, l’esponente del fattore da trasportare fuori dal segno di
radice aritmetica deve essere maggiore o uguale dell’indice della radice Consideriamo due
casi:
1. Se l’esponente è multiplo dell’indice di radice cioè m = np, si ha
√
√
√
√
√
n
n
n
n
am b = apn b = n apn · b = ap · b, con a, b > 0, n, p ∈ N0
Quindi per trasportare fuori dal segno di radice aritmetica un fattore con esponente
multiplo dell’indice, si divide l’esponente per l’indice
2. Se l’esponente è maggiore, ma non multiplo dell’indice, si divide l’esponente per l’indice ottenendo un quoziente e un resto cioè m = qn + r con r < n, dove m è l’esponente
del radicando, q è il quoziente, n è l’indice della radice ed r è il resto.
√
√
√
√
√
√
n
n
n
n
n
am b = aqn+r b = aqn ar b = n aqn · ar b = aq · ar b con a, b > 0, m, n, q, r ∈ N0
In questo caso, dopo il trasporto, il fattore compare fuori e dentro la radice.
Quindi per trasportare fuori dal segno di radice aritmetica un fattore con esponente
non multiplo dell’indice, si divide l’esponente per l’indice: il quoziente è l’esponente
del fattore esterno, il resto è l’esponente del fattore interno.
Osservazioni
1. Prima di trasportare un fattore fuori dal segno di radice si deve scomporre il radicando
2. Nel caso di indice pari, prima di trasportare un fattore fuori dal segno di radice si
devono scrivere le opportune condizioni di esistenza e, dopo il trasporto, si devono
inserire eventuali valori assoluti per mantenere la non negatività del radicale.
3. Nel caso di indice dispari non si devono scrivere condizioni di esistenza e non si devono
inserire valori assoluti
4. Nel caso di indice dispari si può trasportare fuori il segno −
5. Si possono trasportare fuori solo i fattori e non i termini
88
2.12. ELEVAMENTO A POTENZA
2.12
Elevamento a potenza
Teorema 2.12.1 (Potenza).
Ä √ äm
n
a
√
n
=
am con a > 0, m, n ∈ N0
Osservazioni
1. Nella definizione di potenza abbiamo supposto l’esponente maggiore di 0. Se l’esponente è 0 e il radicando è a > 0, allora:
Ä √ ä0
n
a = 1;
2. Se l’esponente è intero negativo e il radicando è a > 0, allora:
√
Ä √ ä−m
n
n
a
= a−m con a > 0, m, n ∈ N0
Infatti, applicando la proprietà delle potenze con esponente negativo, si ottiene:
Ä √ ä−m
n
a
√
1
1
n
n 1
√
= √
=
=
a−m
=
m
n
n
m
m
( a)
a
a
3. Se l’indice è dispari non si devono porre condizioni di esistenza per la radice
2.13
Radice di radice
Teorema 2.13.1 (Radice).
»√
p
n
a=
√
np
a con a > 0, n, p ∈ N0
Osservazioni
1. Se è presente un fattore fuori dalla radice interna, lo si trasporta dentro.
2. Se entrambi gli indici sono dispari non si devono porre condizioni di esistenza per la
radice
2.14
Radicali simili
Definizione 2.14.1 (Radicali simili).
Due radicali aritmetici si dicono simili se hanno lo stesso indice e lo stesso radicando.
2.15
Addizione algebrica di radicali
Teorema 2.15.1 (Somma algebrica).
La somma algebrica di due radicali aritmetici simili è il radicale simile ai radicali dati che
ha come coefficiente la somma algebrica dei coefficienti.
89
CAPITOLO 2. RADICALI
2.16
Razionalizzazione dei denominatori
Le frazioni con radicali si possono trasformare in frazioni in cui i radicali compaiono solo al
denominatore o solo al numeratore. Questa operazione si dice razionalizzazione.
2.16.1
Primo caso: il denominatore è una radice quadrata
In questo caso per razionalizzare il denominatore si moltiplicano numeratore e denominatore
per la radice stessa. In simboli:
√
√
√
a
b
a b
a
a b
√ = √ · √ = Ä√ ä2 =
b
b
b
b
b
con b > 0
Osservazione
Se al denominatore è presente un fattore esterno, nella razionalizzazione si moltiplica solo
per la radice
2.16.2
Secondo caso: il denominatore è una radice ennesima
In questo caso, se l’esponente del radicando è minore dell’indice, si moltiplicano numeratore
e denominatore per un radicale con lo stesso indice e con esponente uguale alla differenza
tra l’indice e l’esponente; se l’esponente è maggiore dell’indice si trasporta un fattore fuori
dal segno di radice.
In simboli:
√
√
√
√
n n−m
a
b
a n bn−m
a n bn−m
a n bn−m
a
√
= √
· √
= √
= √
=
n m
n m
n n−m
n m+n−m
n n
b
b
b
b
b
b
con b > 0, m, n ∈ N0 , m < n
Osservazioni
1. In questo caso non si deve moltiplicare per la radice stessa
2. Se l’indice è dispari non si scrivono le condizioni di esistenza per la radice
2.16.3
Terzo caso: il denominatore è una somma o differenza di
due radicali quadratici
In questo caso, se al denominatore compare la somma di radicali quadratici, si moltiplicano
numeratore e denominatore per la differenza dei due radicali; se compare la differenza di
radicali quadratici, si moltiplica per la loro somma.
In questo modo, al denominatore si ottiene il prodotto notevole somma per differenza.
Ä√
Ä√
√
√ ä
√ ä
√
a b− c
a b− c
a
a
b− c
√
√ =√
√ ·√
√ = Ä√ ä2
√ 2 =
b−c
b+ c
b+ c
b− c
b − ( c)
90
2.17. RADICALI DOPPI
con b > 0 ∧ c > 0 ∧ b 6= c
Ä√
Ä√
√
√ ä
√ ä
√
a b+ c
a b+ c
a
a
b+ c
√
√ =√
√ ·√
√ = Ä√ ä2
√ 2 =
b−c
b− c
b− c
b+ c
b − ( c)
con b > 0 ∧ c > 0 ∧ b 6= c
Osservazioni
1. In questo caso non si deve moltiplicare per il denominatore stesso
2. Il procedimento si può applicare anche quando uno dei due termini al denominatore
non è un radicale; inoltre se compaiono coefficienti davanti ai radicali occorre tenerne
conto.
2.16.4
Quarto caso: il denominatore è una somma o differenza di
due radicali cubici
In questo caso si moltiplicano numeratore e denominatore per l’espressione che permette di
ottenere i prodotti notevoli differenza o somma di cubi. In simboli:
√
√
Ä√
Ä√
√ ä
√ ä
√
√
√
3
3
3
3
3 2
3
a b2 + c2 − 3 bc
a b2 + c2 − 3 bc
a
a
b + c2 − 3 bc
√
√
√ =
=
√ = √
√ ·√
Ä√
ä3
√ 3
3
3
3
b+c
b+ 3c
b + 3 c 3 b2 + 3 c2 − 3 bc
b + ( 3 c)
con b 6= −c
√
√
Ä√
Ä√
√ ä
√ ä
√
√
√
3
3
3
3
3 2
3
a b2 + c2 + 3 bc
a b2 + c2 + 3 bc
a
a
b + c2 + 3 bc
√
√
√ =
=
√ = √
√ ·√
ä3
Ä√
√ 3
3
3
3
b−c
b− 3c
b − 3 c 3 b2 + 3 c2 + 3 bc
b − ( 3 c)
con b 6= c
2.17
Radicali doppi
Si dice radicale doppio l’espressione
»
√
a± b
Vale la seguente formula:
s
s
√
√
»
√
a + a2 − b
a − a2 − b
a± b=
±
2
2
con a > 0 ∧ b > 0 ∧ a2 − b > 0
Osservazioni
1. La formula data è utile per semplificare i radicali, se a2 − b è un quadrato perfetto.
2. Se è presente un fattore fuori dalla radice interna, lo si deve trasportare dentro prima
di applicare la formula.
Osservazione
Se si riesce a scomporre il radicando della radice esterna come quadrato di binomio, si può
evitare di applicare la formula del radicale doppio.
91
CAPITOLO 2. RADICALI
2.18
I radicali come potenze con esponente razionale
Definizione 2.18.1 (Potenza con esponente razionale).
m
an =
√
n
am , con a > 0, m, n ∈ N0
Nella definizione di potenza abbiamo supposto l’esponente razionale positivo. Se l’esponente
è razionale negativo e se la base è positiva, si ha per definizione:
m
a− n =
1
1
, con a > 0, m, n ∈ N0
m = √
n
an
am
Osservazione
Per trasformare radicali con indice dispari e radicando negativo in potenza con esponente
razionale, si deve prima portare fuori il segno −
92
Capitolo 3
Equazioni di secondo grado
3.1
Equazioni di secondo grado spurie
Definizione 3.1.1 (Equazione spuria).
ax2 + bx = 0 con a, b ∈ R0
Per risolvere le equazioni spurie:
1. si trasforma l’equazione nella forma normale ax2 + bx = 0
2. si scompone il primo membro raccogliendo il fattore x e si ottiene:
x (ax + b) = 0
3. si applica la legge dell’annullamento del prodotto uguagliando a 0 i due fattori:
x = 0 ∨ ax + b = 0
4. una soluzione è x = 0, l’altra soluzione si ottiene risolvendo l’equazione di primo grado
ax + b = 0
x=−
b
a
l’equazione è determinata e l’insieme delle soluzioni è
®
b
S = 0; −
a
3.2
´
Equazioni di secondo grado pure
Definizione 3.2.1 (Equazione pura).
ax2 + c = 0 con a, c ∈ R0
93
CAPITOLO 3. EQUAZIONI DI SECONDO GRADO
Per risolvere le equazioni pure:
1. si trasforma l’equazione nella forma normale ax2 + c = 0
2. si ricava l’incognita al quadrato: x2 = −
c
a
c
3. se − < 0, cioè a, c sono concordi, poiché nessun numero reale elevato al quadrato è
a
negativo, l’equazione non ha soluzioni reali, quindi è impossibile in R
…
…
c
c
c
> 0, cioè a, c sono discordi, poiché sia − che − − , elevati al quadrato,
a
a
a
…
c
c
danno − si ha x = ± − .
a
a
L’equazione è determinata e l’insieme delle soluzioni è
4. se −
®
c
c
S= − − , −
a
a
3.3
´
Equazioni di secondo grado complete
Definizione 3.3.1 (Equazione completa).
ax2 + bx + c = 0 con a, b, c ∈ R0
Per risolvere le equazioni complete:
1. si trasforma l’equazione nella forma normale ax2 + bx + c = 0
2. si calcola il discriminante ∆ = b2 − 4ac:
3. Se ∆ < 0, allora l’equazione è impossibile in R
b
4. Se ∆ = 0, si ha x = −
doppia.
2a
L’equazione è determinata e l’insieme delle soluzioni è
®
b
S= −
2a
´
√
−b ± ∆
.
5. Se ∆ > 0, si ha x =
2a
L’equazione è determinata e l’insieme delle soluzioni è
√
√ )
(
−b − ∆ −b + ∆
S=
,
2a
2a
La formula risolutiva delle equazioni di secondo grado complete si può anche applicare alle
equazioni pure e spurie
94
3.4. RELAZIONI FRA SOLUZIONI E COEFFICIENTI DI
UN’EQUAZIONE DI SECONDO GRADO
3.3.1
Formula ridotta
Per risolvere un’equazione di secondo grado utilizzando la formula ridotta:
1. si trasforma l’equazione nella forma normale ax2 + bx + c = 0
∆
b2 − 4ac
2. si calcola il discriminante
=
=
4
4
Ç å2
b
2
− ac:
∆
< 0, allora l’equazione è impossibile in R
4
3. Se
b
∆
4. Se
= 0, si ha x = − 2 doppia.
4
a
L’equazione è determinata e l’insieme delle soluzioni è
b


2
S = − 


 a





b
∆
− ±
∆
4.
5. Se
> 0, si ha x = 2
4
a
L’equazione è determinata e l’insieme delle soluzioni è

b



−
2
S=

−
a
b
∆
− +
4, 2
a


3.4

∆



4




Relazioni fra soluzioni e coefficienti di un’equazione
di secondo grado
Data l’equazione in forma normale ax2 + bx + c = 0 con ∆ > 0, indichiamo con x1 e x2 le
soluzioni.
x1 + x2 = −
x1 · x2 =
3.5
b
a
c
a
Scomposizione del trinomio di secondo grado
Per scomporre il trinomio di secondo grado ax2 + bx + c:
1. lo si uguaglia a 0
2. si calcola il discriminante
95
CAPITOLO 3. EQUAZIONI DI SECONDO GRADO
3. se il discriminante è negativo, il trinomio è irriducibile in R
4. se il discriminante è nullo, il trinomio si scompone in
ax2 + bx + c = a (x − x1 )2
dove x1 è la soluzione doppia dell’equazione ax2 + bx + c = 0
5. se il discriminante è positivo, il trinomio si scompone in
ax2 + bx + c = a (x − x1 ) (x − x2 )
dove x1 e x2 sono le soluzioni dell’equazione ax2 + bx + c = 0
96
Capitolo 4
Equazioni di grado superiore al secondo
4.1
Introduzione
Esistono formule per risolvere equazioni di terzo e quarto grado. È stato invece dimostrato
che non esistono formule per risolvere equazioni di quinto grado o di grado superiore. Noi
non risolveremo tutte le equazioni di grado superiore al secondo, ma solo alcuni tipi.
4.2
Equazioni risolubili con la legge dell’annullamento
del prodotto
Consideriamo equazioni che, ridotte a forma normale, hanno il primo membro scomponibile
in fattori di primo e secondo grado. Per risolvere questo tipo di equazioni:
1. si trasforma l’equazione in forma normale
2. si scompone il polinomio a primo membro in fattori di primo e secondo grado
3. si applica la legge dell’annullamento del prodotto uguagliando a 0 tutti i fattori
4. si risolvono le equazioni ottenute
4.3
Equazioni binomie
Definizione 4.3.1 (Equazione binomia).
Un’equazione si dice binomia se la sua forma normale è
axn + b = 0 con a, b ∈ R0 ∧ n ∈ N0
Per risolvere questo tipo di equazioni:
1. si ricava xn = −
b
a
97
CAPITOLO 4. EQUAZIONI DI GRADO SUPERIORE AL SECONDO
2. se n è dispari, si ha
x=
n
−
b
a
l’equazione è determinata e l’insieme delle soluzioni è
(
n
S=
b
−
a
)
b
3. se n è pari e − < 0, l’equazione non ha soluzioni reali quindi è impossibile in R
a
b
4. se n è pari e − > 0 si ha
a
n
x=± −
b
a
l’equazione è determinata e l’insieme delle soluzioni è
(
S=
n
b
b
n
− ,− −
a
a
)
Osservazione
Se nell’equazione axn + b = 0 il termine noto b è nullo, otteniamo l’equazione axn = 0 che
si dice monomia. Un’equazione monomia di grado n ammette n soluzioni reali coincidenti
nulle e ha quindi come insieme delle soluzioni S = {0}
4.4
Equazioni trinomie
Definizione 4.4.1 (Equazione trinomia).
Un’equazione si dice trinomia se la sua forma normale è
ax2n + bxn + c = 0 con a, b, c ∈ R0 ∧ n ∈ N0
In particolare, se n = 2, l’equazione si dice biquadratica:
ax4 + bx2 + c = 0
Per risolvere questo tipo di equazioni:
1. si pone xn = y e si ottiene l’equazione: ay 2 + by + c = 0
2. si risolve l’equazione di secondo grado:
(a) se essa è impossibile in R, allora lo è anche l’equazione trinomia
(b) se essa ha come soluzioni y1 , y2 , si risolvono le equazioni binomie xn = y1 e
xn = y 2
98
Capitolo 5
Sistemi di grado superiore al primo
5.1
Risoluzione di un sistema di secondo grado
Per risolvere un sistema di secondo grado lo si trasforma nella forma normale e lo si risolve
con il metodo di sostituzione:
1. si ricava un’incognita dall’equazione di primo grado
2. si sostituisce l’espressione ottenuta nell’altra equazione e la si risolve
3. si sostituiscono i valori ricavati al punto 2 nell’espressione dell’altra incognita e la si
determina.
5.2
Sistemi con un’equazione di primo grado
Per risolvere un sistema di grado superiore al secondo contenente un’equazione di primo
grado:
1. si ricava un’incognita dall’equazione di primo grado
2. si sostituisce l’espressione ottenuta nell’altra equazione e la si risolve
3. si sostituiscono i valori ricavati al punto 2 nell’espressione dell’altra incognita e la si
determina.
5.3
Particolari sistemi di quarto grado
Consideriamo sistemi la cui forma normale è la seguente:
®
x2 + y 2 + ax + by + c = 0
x 2 + y 2 + a0 x + b 0 y + c 0 = 0
Per risolvere questo tipo di sistemi:
1. si moltiplicano entrambi i membri della seconda equazione per −1
99
CAPITOLO 5. SISTEMI DI GRADO SUPERIORE AL PRIMO
2. si applica il metodo di riduzione ottenendo un’equazione di primo grado
3. si risolve con il metodo di sostituzione il sistema formato da una delle due equazioni
iniziali e dall’equazione di primo grado ottenuta al punto 2
100
Capitolo 6
Disequazioni
6.1
Intervalli
Per la risoluzione delle disequazioni è utile il concetto di intervallo.
Si dice R esteso l’insieme R = R ∪ {−∞, +∞}.
I simboli −∞, +∞ hanno la seguente proprietà: ∀x ∈ R − ∞ < x < +∞.
Dati a, b ∈ R, con a 6 b, si dice intervallo ciascuno dei seguenti sottoinsiemi dei numeri
reali:
]a, b[ = {x ∈ R/a < x < b} intervallo aperto
[a, b[ = {x ∈ R/a 6 x < b} intervallo semiaperto o semichiuso
]a, b] = {x ∈ R/a < x 6 b} intervallo semiaperto o semichiuso
[a, b] = {x ∈ R/a 6 x 6 b} intervallo chiuso
[a, +∞[ = {x ∈ R/x > a} intervallo chiuso
]a, +∞[ = {x ∈ R/x > a} intervallo aperto
]−∞, a] = {x ∈ R/x 6 a} intervallo chiuso
]−∞, a[ = {x ∈ R/x < a} intervallo aperto
Osservazioni
1. I primi 4 intervalli sono limitati, gli altri sono illimitati.
2. L’insieme R è l’intervallo ]−∞, +∞[.
3. [a, a] = {a}
4. ]a, a] = [a, a[=]a, a[= ∅
Ogni intervallo si può rappresentare graficamente.
Dalla definizione data si può notare che ogni intervallo si rappresenta indicando i suoi estremi
all’interno di parentesi quadre. La parentesi quadra racchiude l’estremo se esso è compreso,
non lo racchiude se esso non è compreso. Negli intervalli illimitati si usano i simboli +∞ e
−∞.
Nella rappresentazione grafica se un estremo appartiene all’intervallo, lo si rappresenta con
un pallino pieno; se non appartiene all’intervallo, lo si rappresenta con una ×
101
CAPITOLO 6. DISEQUAZIONI
6.2
Risolubilità di una disequazione
Nella risoluzione di una disequazione in un’incognita in un insieme A si possono presentare
i seguenti casi.
6.2.1
Disequazione impossibile
Definizione 6.2.1 (Disequazioni impossibile).
Una disequazione si dice impossibile se l’insieme delle soluzioni è l’insieme vuoto
6.2.2
Disequazione risolubile
Definizione 6.2.2 (Disequazioni risolubili).
Una disequazione si dice risolubile se l’insieme delle soluzioni non è l’insieme vuoto
6.2.3
identità
Definizione 6.2.3 (identità).
Una disequazione si dice identità se l’insieme delle soluzioni coincide con il dominio
6.3
6.3.1
Principi di equivalenza delle disequazioni
Primo principio di equivalenza
Teorema 6.3.1 (Primo principio di equivalenza).
Addizionando ad entrambi i membri di una disequazione la stessa espressione algebrica che
non modifica il dominio si ottiene una disequazione equivalente.
Regola del trasporto
Teorema 6.3.2 (Regola del trasporto).
Se in una disequazione si sposta un termine da un membro all’altro cambiandone il segno,
si ottiene una disequazione equivalente.
6.3.2
Secondo principio di equivalenza
Teorema 6.3.3 (Secondo principio di equivalenza).
Moltiplicando entrambi i membri di una disequazione per la stessa espressione algebrica, che
non modifica il dominio e che in esso sia positiva, si ottiene una disequazione equivalente;
moltiplicando entrambi i membri di una disequazione per la stessa espressione algebrica,
che non modifica il dominio e che in esso sia negativa e cambiando il verso si ottiene una
disequazione equivalente
102
6.4. FORMA NORMALE DI UNA DISEQUAZIONE
Regola del cambiamento dei segni
Teorema 6.3.4 (Regola del cambiamento dei segni).
Se in una disequazione si cambiano i segni di tutti i termini e il verso, si ottiene una
disequazione equivalente.
Regola di eliminazione dei denominatori
Teorema 6.3.5 (Regola di eliminazione dei denominatori).
Se in una disequazione avente entrambi i membri costituiti da una sola frazione con lo stesso
denominatore positivo si eliminano i denominatori, si ottiene una disequazione equivalente.
Osservazione
Se al denominatore compare un’incognita che può renderlo anche negativo, il denominatore
non può essere eliminato
6.4
Forma normale di una disequazione
Definizione 6.4.1 (Forma normale).
Una disequazione si dice in forma normale se il primo membro è un polinomio in forma
normale e il secondo membro è 0.
6.5
Grado di una disequazione
Definizione 6.5.1 (Grado).
Si dice grado di una disequazione numerica intera il grado del polinomio a primo membro
della sua forma normale.
Osservazione
Una disequazione di primo grado è detta disequazione lineare.
6.6
Disequazioni di primo grado
ax > b
ax > b
ax < b
ax 6 b
Per risolvere queste disequazioni:
1. si trasforma la disequazione nella forma normale
2. si analizzano i valori di a e b:
103
CAPITOLO 6. DISEQUAZIONI
(a) se a > 0, la disequazione è risolubile e per ottenere la soluzione si dividono
entrambi i membri per il coefficiente dell’incognita
(b) se a < 0, la disequazione è risolubile e per ottenere la soluzione si dividono
entrambi i membri per il coefficiente dell’incognita e si cambia il verso della
disequazione
(c) se a = 0 la disequazione è impossibile o identità a seconda del valore di b e del
segno di disuguaglianza
Osservazione
La soluzione, nel caso in cui il coefficiente dell’incognita è 0, dipende sia dal termine noto sia
dal simbolo di disuguaglianza che compare nella disequazione, riassumiamo nella seguente
tabella i casi possibili:
Simbolo Termine noto Esempio Soluzione
>
>
>
>
>
>
<
<
<
6
6
6
6.7
negativo
nullo
positivo
negativo
nullo
positivo
negativo
nullo
positivo
negativo
nullo
positivo
0 > −3
0>0
0>3
0 > −3
0>0
0>3
0 < −3
0<0
0<3
0 6 −3
060
063
R
∅
∅
R
R
∅
∅
∅
R
∅
R
R
Studio del segno del polinomio di primo grado
Per studiare il segno del polinomio ax + b:
1. si scrive la disequazione ax + b > 0
2. la si risolve
3. l’insieme delle soluzioni della disequazione è l’intervallo su cui il polinomio è positivo,
b
il numero reale − è il valore per cui il polinomio è nullo, sul rimanente intervallo il
a
polinomio è negativo
4. si rappresenta graficamente il segno del polinomio tracciando la retta dei numeri reali
e scrivendo il simbolo + in corrispondenza dell’intervallo in cui il polinomio è positivo,
0 dove è nullo e il simbolo − dove è negativo.
104
6.8. DISEQUAZIONI DI SECONDO GRADO
6.8
Disequazioni di secondo grado
ax2 + bx + c > 0
ax2 + bx + c > 0
ax2 + bx + c < 0
ax2 + bx + c 6 0
Per risolvere questo tipo di disequazioni:
1. si trasforma la disequazione nella forma normale
2. si scrive l’equazione ax2 + bx + c = 0, detta equazione associata
3. la si risolve
4. si disegna la parabola tenendo conto delle soluzioni e del coefficiente a del termine di
secondo grado:
(a) se le soluzioni sono reali distinte, la parabola interseca la retta dei numeri reali
in corrispondenza delle due soluzioni;
(b) se le soluzioni sono reali coincidenti, la parabola interseca la retta dei numeri
reali in corrispondenza della soluzione;
(c) se non ci sono soluzioni reali, la parabola non interseca la retta dei numeri reali;
(d) se a > 0, la parabola ha la concavità rivolta verso l’alto;
(e) se a < 0, la parabola ha la concavità rivolta verso il basso;
5. si scrive + in corrispondenza degli intervalli per i quali la parabola è sopra la retta
reale, 0 dove la parabola interseca la retta reale, − in corrispondenza degli intervalli
per i quali la parabola è sotto la retta reale.
6. si evidenziano ciò che è richiesto dalla disequazione
7. l’insieme delle soluzioni della disequazione è l’unione degli intervalli corrispondenti ai
segni evidenziati
Osservazione
Anche se l’equazione associata è impossibile la disequazione non è detto che sia impossibile
6.9
Studio del segno del polinomio di secondo grado
Per studiare il segno del polinomio ax2 + bx + c:
1. si scrive la disequazione ax2 + bx + c > 0
2. la si risolve
105
CAPITOLO 6. DISEQUAZIONI
3. l’insieme delle soluzioni della disequazione sono gli intervalli su cui il polinomio è
positivo, le soluzioni dell’equazione associata sono i valori per cui il polinomio è nullo,
sui rimanenti intervalli il polinomio è negativo
4. si rappresenta graficamente il segno del polinomio tracciando la retta dei numeri reali
e scrivendo + in corrispondenza degli intervalli in cui il polinomio è positivo, 0 dove
è nullo e − dove è negativo.
In sintesi si può dedurre che
1. se le soluzioni sono reali distinte, il polinomio è concorde con a per i valori di x esterni
all’intervallo delle radici, discorde da a per valori interni all’intervallo delle radici;
2. se le soluzioni sono reali coincidenti, il polinomio è concorde con a per ogni x diverso
dalla radice
3. se non ci sono soluzioni reali, il polinomio è concorde con a per ogni x reale
6.10
Disequazioni di grado superiore al secondo
P (x) > 0
P (x) > 0
P (x) < 0
P (x) 6 0
dove P (x) è un polinomio di grado superiore al secondo in forma normale; il dominio di
tali disequazioni è R.
Analizziamo le disequazioni per le quali P (x) è scomponibile in fattori di primo e secondo
grado.
Poiché il segno di un prodotto dipende dal segno dei fattori, la scomposizione permette di
studiare il segno del polinomio studiando il segno dei singoli fattori.
Per risolvere questo tipo di disequazioni:
1. si trasforma la disequazione nella forma normale
2. si scompone P (x) in fattori di primo e secondo grado
3. si studia il segno di ogni fattore
4. si rappresentano graficamente i segni dei fattori
5. si applica la regola dei segni per ogni intervallo
6. si evidenzia ciò che è richiesto dalla disequazione
7. l’insieme delle soluzioni della disequazione è l’unione degli intervalli corrispondenti ai
segni evidenziati
106
6.11. DISEQUAZIONI FRATTE
Osservazione
In alcune disequazioni di grado superiore al secondo possono comparire fattori elevati ad
un esponente.
Nel caso di esponente pari la potenza non è mai negativa, quindi, per studiarne il segno:
1. si determinano gli zeri della base
2. nella rappresentazione grafica del segno si scrive 0 in corrispondenza degli zeri trovati
e + in tutti gli intervalli.
Nel caso di esponente dispari il segno della potenza è lo stesso di quello della base, quindi,
per studiarne il segno è sufficiente studiare il segno della base.
6.11
Disequazioni fratte
N (x)
>0
D (x)
N (x)
>0
D (x)
N (x)
<0
D (x)
N (x)
60
D (x)
dove N (x) e D (x) sono polinomi ridotti a forma normale; il dominio di tali disequazioni è
R − {x|x è zero di D (x)}
Poiché il segno di un rapporto dipende dai segni del numeratore e del denominatore, trattiamo le disequazioni fratte in modo analogo a quelle di grado superiore al secondo.
Per risolvere questo tipo di disequazioni:
1. si trasforma la disequazione in una delle forme precedenti
2. si scompongono numeratore e denominatore in fattori di primo e secondo grado
3. si scrivono le condizioni di esistenza
4. si studia il segno di ogni fattore del numeratore e del denominatore
5. si rappresentano graficamente le condizioni di esistenza inserendo × in corrispondenza
dei punti che non le soddisfano
6. si rappresentano graficamente i segni dei fattori
7. si applica la regola dei segni per ogni intervallo
8. si evidenzia ciò che è richiesto dalla disequazione
107
CAPITOLO 6. DISEQUAZIONI
9. l’insieme delle soluzioni della disequazione è l’unione degli intervalli corrispondenti ai
segni evidenziati
Osservazione
Nelle disequazioni fratte si può eliminare il denominatore solo se è positivo sul dominio
6.12
Sistemi di disequazioni
Un sistema di disequazioni è formato da due o più disequazioni.
Consideriamo solamente sistemi di disequazioni in una incognita.
Il dominio del sistema è l’intersezione dei domini delle disequazioni che lo costituiscono.
L’insieme delle soluzioni del sistema è l’intersezione degli insiemi delle soluzioni delle singole
disequazioni.
Per risolvere un sistema di disequazioni in una incognita:
1. si risolvono le singole disequazioni
2. si rappresentano graficamente gli insiemi delle soluzioni delle singole disequazioni
3. si evidenziano gli intervalli che soddisfano tutte le disequazioni
4. l’insieme delle soluzioni del sistema è l’unione degli intervalli evidenziati
108
Capitolo 7
Circonferenza
7.1
Introduzione
Definizione 7.1.1 (Circonferenza).
Si dice circonferenza di centro C e raggio r il luogo dei punti P del piano tali che P C ∼
= r.
Osservazione
Due circonferenze sono congruenti se e solo se hanno raggi congruenti
Definizione 7.1.2 (Cerchio).
Si dice cerchio di centro C e raggio r il luogo dei punti P del piano tali che P C 6 r.
Teorema 7.1.1 (Circonferenza passante per tre punti).
Per tre punti non allineati passa una e una sola circonferenza
Teorema 7.1.2 (Convessità).
La circonferenza non è una figura convessa, il cerchio è una figura convessa
Definizione 7.1.3 (Corda).
Si dice corda un segmento che ha per estremi due punti della circonferenza.
Definizione 7.1.4 (Diametro).
Si dice diametro una corda passante per il centro
Osservazione
Poiché un diametro è congruente al doppio di un raggio, tutti i diametri sono congruenti
7.2
Proprietà della corda
Teorema 7.2.1.
Ogni corda è minore o uguale al diametro
Teorema 7.2.2.
La perpendicolare ad una corda nel suo punto medio passa per il centro della circonferenza
109
CAPITOLO 7. CIRCONFERENZA
Teorema 7.2.3.
La perpendicolare ad una corda passante per il centro C di una circonferenza passa per il
punto medio della corda
Teorema 7.2.4.
La retta passante per il centro C e per il punto medio della corda AB, è perpendicolare alla
corda
B
r
D
A
C
7.3
Archi, angoli, segmenti circolari e settori circolari
Definizione 7.3.1 (Arco).
¯ ciascuna delle due parti in cui una circonferenza è divisa da due suoi punti
Si dice arco AB
AeB
B
A
C
Figura 7.1: arco
Osservazione
¯ si intende il minore dei due archi di estremi A e B. In alternativa,
Normalmente con AB
per identificare l’arco, si può utilizzare un terzo punto interno all’arco:
˙
ADB
110
7.3. ARCHI, ANGOLI, SEGMENTI CIRCOLARI E SETTORI
CIRCOLARI
Definizione 7.3.2 (Corda sottesa).
¯ la corda AB
Si dice corda sottesa all’arco AB
Definizione 7.3.3 (Semicirconferenza).
Si dice semicrconferenza l’arco la cui corda sottesa è un diametro
Definizione 7.3.4 (Angolo al centro).
Si dice angolo al centro un angolo che ha come vertice il centro della circonferenza
α
C
Figura 7.2: angolo al centro
Osservazioni
÷ insiste sull’arco AB
¯
1. Si dice che l’angolo al centro ACB
÷ l’arco AB
¯ e la corda AB si dicono corrispondenti.
2. L’angolo al centro ACB,
Teorema 7.3.1.
In una circonferenza o in circonferenze congruenti due angoli al centro sono congruenti se e
solo se i corrispondenti archi o le corrispondenti corde sono congruenti
Definizione 7.3.5 (Segmento circolare a una base).
Si dice segmento circolare a una base ognuna delle due parti di cerchio compresa tra un
arco e la corda ad esso sottesa
B
A
C
Figura 7.3: segmento circolare a una base
111
CAPITOLO 7. CIRCONFERENZA
Definizione 7.3.6 (Semicerchio).
Si dice semicerchio il segmento circolare a una base con base un diametro
Definizione 7.3.7 (Segmento circolare a due basi).
Si dice segmento circolare a due basi la parte di cerchio compresa tra due corde parallele
B
A
C
D
E
Figura 7.4: segmento circolare a due basi
Definizione 7.3.8 (Settore circolare).
Si dice settore circolare l’intersezione tra il cerchio e un angolo al centro
C
α
Figura 7.5: settore circolare
7.4
Posizioni reciproche tra circonferenza e retta
Data una circonferenza di centro C e raggio r e una retta, sia d la distanza della retta da
C:
1. se d < r, la retta è secante la circonferenza e la interseca in due punti
112
7.5. POSIZIONI RECIPROCHE TRA DUE CIRCONFERENZE
2. se d ∼
= r, la retta è tangente alla circonferenza e la interseca in un punto
3. se d > r, la retta è esterna alla circonferenza e non la interseca
Osservazione
il raggio passante per il punto di tangenza è perpendicolare alla tangente
Teorema 7.4.1 (Tangenti da un punto esterno).
I segmenti di tangente da un punto esterno P a una circonferenza sono congruenti
7.5
Posizioni reciproche tra due circonferenze
Date due circonferenze di centro rispettivamente C e C 0 e raggi r e r0 con r > r0 , sia d la
distanza tra i centri:
1. se d è nulla, le circonferenze sono concentriche
2. se d < r − r0 , la circonferenza di centro C 0 è interna alla circonferenza di centro C;
3. se d ∼
= r − r0 , le circonferenze sono tangenti internamente in un punto
4. se d > r − r0 ∧ d < r + r0 , le circonferenze sono secanti in due punti
5. se d ∼
= r + r0 , le circonferenze sono tangenti esternamente in un punto
6. se d > r + r0 , le circonferenze sono esterne
Osservazione
Due circonferenze tangenti in un punto hanno in quel punto la stessa retta tangente
Definizione 7.5.1 (Corona circolare).
Date due circonferenze concentriche si dice corona circolare l’insieme dei punti interni alla
circonferenza esterna ed esterni alla circonferenza interna
C
Figura 7.6: corona circolare
113
CAPITOLO 7. CIRCONFERENZA
7.6
Angoli alla circonferenza
Definizione 7.6.1 (Angolo alla circonferenza).
Si dice angolo alla circonferenza un angolo che ha il vertice sulla circonferenza e i lati secanti
o uno secante e l’altro tangente alla circonferenza
C
V
α
Figura 7.7: angolo alla circonferenza
Osservazione
L’angolo al centro e l’angolo alla circonferenza che insistono sullo stesso arco si dicono
corrispondenti
Teorema 7.6.1.
Un angolo alla circonferenza è congruente alla metà del corrispondente angolo al centro
Teorema 7.6.2.
Due angoli alla circonferenza che insistono sullo stesso arco sono congruenti
114
7.6. ANGOLI ALLA CIRCONFERENZA
V
α
B
M
γ
C
β
A
Osservazione
Angoli alla circonferenza che insistono su archi congruenti sono congruenti; viceversa angoli
alla circonferenza congruenti insistono su archi congruenti
Teorema 7.6.3.
Un angolo alla circonferenza che insiste su una semicirconferenza è retto
V
α
C
B
A
β
115
CAPITOLO 7. CIRCONFERENZA
7.7
Punti notevoli di un triangolo
Teorema 7.7.1 (Circocentro).
Gli assi dei lati di un triangolo si intersecano in un punto detto circocentro
r
As
F
B
t
D
H
E
C
Figura 7.8: circocentro
Teorema 7.7.2 (Incentro).
Le bisettrici degli angoli di un triangolo si intersecano in un punto detto incentro.
A
G
t
B
r
I
K s
C
H
Figura 7.9: incentro
Teorema 7.7.3 (Ortocentro).
Le rette contenenti le altezze di un triangolo si intersecano in un punto detto ortocentro
116
7.8. POLIGONI INSCRITTI E CIRCOSCRITTI
G
A
H
D
s
F
W
t
r
E
B
C
I
Figura 7.10: ortocentro
Teorema 7.7.4 (Baricentro).
Le mediane di un triangolo si incontrano in un punto detto baricentro che divide ogni
mediana in due parti: una doppia dell’altra
A
D
F
B
H
r
G
E
I
s
C
Figura 7.11: baricentro
7.8
Poligoni inscritti e circoscritti
Definizione 7.8.1 (Poligono inscritto).
Un poligono si dice inscritto in una circonferenza se i suoi vertici appartengono alla circonferenza
A
B
C
D
F
E
Figura 7.12: poligono inscritto
117
CAPITOLO 7. CIRCONFERENZA
Osservazioni
1. se un poligono è inscritto in una circonferenza si dice che la circonferenza è circoscritta
al poligono
2. Il raggio della circonferenza è il raggio del poligono
3. I lati del poligono sono corde della circonferenza
4. Gli angoli del poligono sono angoli alla circonferenza
Definizione 7.8.2 (Poligono circoscritto).
Un poligono si dice circoscritto ad una circonferenza se i suoi lati sono tangenti alla
circonferenza
G
A J
F
B
C
K
I
E
D
H
Figura 7.13: poligono circocritto
Osservazioni
1. se un poligono è circoscritto ad una circonferenza si dice che la circonferenza è inscritta
nel poligono
2. Il raggio della circonferenza è l’apotema del poligono ed è la distanza di ciascun lato
dal centro
Osservazioni
1. Un triangolo è sempre inscrivibile in una circonferenza il cui centro è il circocentro
del triangolo
2. Un triangolo è sempre circoscrivibile ad una circonferenza il cui centro è l’incentro del
triangolo
Teorema 7.8.1 (Quadrilatero circoscritto).
Un quadrilatero è circoscrivibile a una circonferenza se e solo se la somma di due lati opposti
è congruente alla somma degli altri due
Teorema 7.8.2 (Quadrilatero inscritto).
Un quadrilatero è inscrivibile in una circonferenza se e solo se la somma di due angoli
opposti è congruente alla somma degli altri due
118
7.9. POLIGONI REGOLARI
7.9
Poligoni regolari
Definizione 7.9.1 (Poligono regolare).
Un poligono si dice regolare se ha tutti i lati e tutti gli angoli congruenti
Osservazione
Se un triangolo ha i lati congruenti ha anche gli angoli. Nei quadrilateri questo non è vero:
il rombo ha i lati congruenti ma non necessariamente gli angoli. Il quadrilatero regolare è il
quadrato.
Teorema 7.9.1.
Se una circonferenza è suddivisa in n > 3 archi congruenti, allora:
1. congiungendo i punti di suddivisione si ottiene il poligono regolare inscritto di n lati
2. tracciando le tangenti alla circonferenza nei punti di suddivisione si ottiene il poligono
regolare circoscritto di n lati
G
D
F
C
H
E
B
J
A
I
Teorema 7.9.2.
Un poligono regolare è inscrittibile in una circonferenza e circoscrittibile a un’altra circonferenza con lo stesso centro
119
Capitolo 8
Equiestensione
8.1
Figure equiestese
Assumiamo il concetto di estensione di una figura come termine primitivo.
Definizione 8.1.1 (Equiestese).
Due figure F1 e F2 con la stessa estensione si dicono equiestese o equivalenti. In simboli
.
F1 = F2
Osservazioni
1. la relazione di equiestensione è una relazione di equivalenza
2. due figure congruenti sono equiestese
3. esistono figure equiestese che non sono congruenti
Osservazione
Somme o differenze di figure equiestese a due a due sono equiestese
Definizione 8.1.2 (Figure equiscomponibili).
Due figure si dicono equiscomponibili se si possono scomporre in n figure a due a due
congruenti.
Osservazione
Figure equiscomponibili sono equiestese
Esempio 8.1.1.
120
8.1. FIGURE EQUIESTESE
D
C
A
B
G
F
E
H
Figura 8.1: figure equiscomponibili
Teorema 8.1.1.
Se due parallelogrammi hanno ordinatamente congruenti la base e l’altezza, allora sono
equiestesi
Teorema 8.1.2.
Se un parallelogrammo e un rettangolo hanno ordinatamente congruenti la base e l’altezza,
allora sono equiestesi
Teorema 8.1.3.
Un triangolo è equiesteso a un parallelogrammo che ha altezza congruente a quella del
triangolo e base congruente alla metà di quella del triangolo
I
C
F
β
δ
G
γ
α
A
E
B
Teorema 8.1.4.
Un triangolo è equiesteso a un rettangolo che ha altezza congruente a quella del triangolo
e base congruente alla metà di quella del triangolo
Teorema 8.1.5.
Un trapezio è equiesteso a un triangolo che ha altezza congruente a quella del trapezio e
base congruente alla somma delle basi del trapezio
121
CAPITOLO 8. EQUIESTENSIONE
I
C
E
β
δ
G
γ
α
A
B
F
Teorema 8.1.6.
Un poligono circoscritto a una circonferenza è equiesteso a un triangolo che ha altezza
congruente al raggio della circonferenza e base congruente al perimetro del poligono
F
E
L
A
D
G
I
C
O
H
B
O0
A0
B0
K
C0
D0
E0
A00
Teorema 8.1.7.
Un poligono regolare è equiesteso a un triangolo avente la base congruente al perimetro del
poligono e altezza congruente all’apotema del poligono
Teorema 8.1.8.
Un poligono di n lati è equiesteso a un altro poligono di n − 1 lati
Consideriamo il caso di un poligono di 5 lati
122
8.2. PRIMO TEOREMA DI EUCLIDE
F
E
r
D
A
C
B
Teorema 8.1.9.
Un poligono di n lati è equiesteso a un triangolo
8.2
Primo teorema di Euclide
Teorema 8.2.1 (Primo teorema di Euclide).
In un triangolo rettangolo il quadrato costruito su un cateto è equiesteso al rettangolo che
ha i lati congruenti alla proiezione del cateto sull’ipotenusa e all’ipotenusa stessa
D
E
C
α
H B
A
G
I
Figura 8.2: primo teorema di Euclide
123
CAPITOLO 8. EQUIESTENSIONE
8.3
Teorema di Pitagora
Teorema 8.3.1 (Teorema di Pitagora).
In un triangolo rettangolo il quadrato costruito sull’ipotenusa è equiesteso alla somma dei
quadrati costruiti sui cateti.
D
E
U
C
J
α
B
A
G
F
Figura 8.3: teorema di Pitagora
8.4
Secondo teorema di Euclide
Teorema 8.4.1 (Secondo teorema di Euclide).
D
In un triangolo rettangolo il quadrato costruito sull’altezza
relativa all’ipotenusa è equiesteso
al rettangolo che i lati congruenti alle proiezioni dei cateti sull’ipotenusa
C
α
β
H
A
F
U
B
J
W
Figura 8.4: secondo teorema di Euclide
G
124 I
8.5. QUADRATURA DI UN POLIGONO
8.5
Quadratura di un poligono
Teorema 8.5.1 (Rettangolo equiesteso a un quadrato).
Dato un rettangolo è possibile costruire un quadrato equiesteso ad esso
C
U
α
β
H
A
G
B
J
I
Figura 8.5: rettangolo eqiuesteso a un quadrato
Teorema 8.5.2 (Quadratura di un poligono).
Dato un poligono di n lati è possibile costruire un quadrato equiesteso ad esso
8.6
Quadratura del cerchio
I matematici si sono impegnati per secoli per risolvere il problema della quadratura del
cerchio, cioè costruire, usando solo riga e compasso, un quadrato equiesteso a un cerchio.
Nel 1882 Ferdinand von Lindemann dimostrò che la quadratura del cerchio non era possibile
8.7
Area
Poiché la relazione di equiestensione è una relazione di equivalenza essa determina una
partizione dell’insieme delle figure del piano; ogni classe di equivalenza contiene tutte e sole
le figure equiestese tra loro.
Definizione 8.7.1 (Area).
Si dice area ogni classe di equivalenza di figure fra loro equiestese.
In altre parole due figure equiestese hanno la stessa area e, viceversa, figure con la stessa
area sono equiestese.
Per indicare l’area di una figura F invece di utilizzare la notazione tipica delle classi di
equivalenza [F ] si utilizza la notazione AF .
125
Capitolo 9
Grandezze geometriche e misure
9.1
Classe di grandezze omogenee
Definizione 9.1.1 (Classe di grandezze geometriche omogenee).
Si dice classe di grandezze geometriche omogenee un insieme di enti geometrici in cui è
sempre possibile confrontare e addizionare due elementi qualsiasi dell’insieme. L’addizione
definita in una classe di grandezze geometriche è associativa, commutativa e ammette come
elemento neutro la grandezza nulla.
Definizione 9.1.2 (Multiplo).
Si dice multiplo di una grandezza A secondo n ∈ N una grandezza B, omogenea a quella
data, tale che:
1. B è la somma di n grandezze congruenti ad A, se n > 1;
2. B è uguale ad A, se n = 1;
3. B è la grandezza nulla, se n = 0.
e si scrive B = nA
Se B è il multiplo di A secondo n 6= 0, allora A si dice sottomultiplo di B secondo n e si
1
scrive A = B.
n
9.2
Rapporti fra grandezze
Definizione 9.2.1 (Grandezze commensurabili).
Due grandezze A e B omogenee si dicono commensurabili se esiste una grandezza, omogenea
con le due date, che sia loro sottomultipla comune.
Detta U la grandezza sottomultipla ad A e B secondo i numeri naturali m e n, valgono le
seguenti relazioni:
U=
1
B
n
126
9.3. PROPORZIONI FRA GRANDEZZE
1
A da cui A = mU
m
Da queste relazioni si ottiene
1
m
A = mU = m B = B
n
n
m
Il numero razionale
è detto rapporto fra A e B e si scrive
n
m
A
=
B
n
Quindi se due grandezze A e B omogenee non nulle sono commensurabili il loro rapporto è
un numero razionale non nullo, e viceversa.
U=
Definizione 9.2.2 (Grandezze incommensurabili).
Due grandezze A e B omogenee si dicono incommensurabili se non esiste una grandezza,
omogenea con le due date, che sia loro sottomultipla comune.
Teorema 9.2.1.
Il lato di un quadrato e la sua diagonale sono segmenti incommensurabili.
Nel caso in cui due grandezze A e B siano incommensurabili, il loro rapporto non si può più
esprimere mediante un numero razionale, ma si deve ricorrere ai numeri irrazionali; quindi
il rapporto fra due grandezze omogenee A e B è un numero reale, razionale se le grandezze
sono commensurabili, irrazionale se le grandezze sono incommensurabili.
9.3
Proporzioni fra grandezze
Definizione 9.3.1 (Proporzione).
Date due grandezze omogenee non nulle A e B, e altre due grandezze omogenee non nulle
C e D, si dice che le grandezze sono in proporzione se il rapporto tra A e B è uguale al
rapporto tra C e D. In simboli
C
A
=
B
D
oppure
A:B=C:D
Osservazioni
1. Non è necessario che le quattro grandezze siano tutte omogenee tra loro; è sufficiente
che lo siano le prime due e le seconde due.
2. La terminologia usata per le proporzioni tra grandezze è del tutto identica a quella
utilizzata per le proporzioni tra numeri
3. Per le proporzioni tra grandezze valgono le proprietà valide in ambito numerico, ovvero le proprietà del comporre, dello scomporre, dell’invertire e, se tutte e quattro le
grandezze sono omogenee, del permutare.
Non essendo definibile il prodotto tra grandezze geometriche, non è possibile enunciare l’analogo della proprietà fondamentale delle proporzioni numeriche che stabilisce
l’uguaglianza tra il prodotto dei medi e il prodotto degli estremi.
127
CAPITOLO 9. GRANDEZZE GEOMETRICHE E MISURE
9.4
La misura delle grandezze
Definizione 9.4.1 (Misura).
Date due grandezze omogenee A e B, con B diversa dalla grandezza nulla, si dice misura
di A rispetto a B il numero reale α tale che A = αB. B si dice unità di misura
Osservazioni
1. Di solito la grandezza presa come unità di misura viene indicata con U
2. La misura di una grandezza A si indica con A
Una delle unità di misura delle lunghezze è il metro: m
Una delle unità di misura delle ampiezze è il grado sessagesimale ◦ , che è la trecentosessantesima parte dell’angolo giro.
Una delle unità di misura delle aree è il metro quadrato m2
Osservazione
Quando si parla di misure di grandezze le diciture corrette sono “la misura della lunghezza
del segmento”, “la misura dell’ampiezza dell’angolo”, “la misura dell’area di un poligono”,
“la misura del perimetro di un poligono”. Infatti una grandezza non è un numero, ma ha
per misura un numero, che la esprime una volta che si sia scelta l’unità di misura. D’ora
in avanti, però, con abuso di linguaggio diremo semplicemente “lunghezza di un segmento”, “ampiezza di un angolo”, “area del poligono”, “perimetro del poligono” anche quando
vorremo riferirci alla misura della grandezza.
9.5
Aree dei poligoni
Teorema 9.5.1 (Area di un rettangolo).
La misura dell’area di un rettangolo è uguale al prodotto delle misure della base e dell’altezza.
Teorema 9.5.2 (Area di un parallelogrammo).
La misura dell’area di un parallelogrammo è uguale al prodotto della misura di un suo lato
per la misura dell’altezza relativa a esso.
Teorema 9.5.3 (Area di un quadrato).
La misura dell’area di un quadrato è uguale al quadrato della misura del suo lato.
Teorema 9.5.4 (Area di un triangolo).
La misura dell’area di un triangolo è uguale al semiprodotto della misura della base per la
misura dell’altezza.
Teorema 9.5.5 (Area di un rombo).
La misura dell’area di un rombo è uguale al semiprodotto della misura della diagonale
minore per la misura della diagonale maggiore.
Teorema 9.5.6 (Area di un trapezio).
La misura dell’area di un trapezio è uguale al semiprodotto della misura della somma delle
basi per la misura dell’altezza.
128
9.6. LUNGHEZZA DELLA CIRCONFERENZA E AREA DEL CERCHIO
Teorema 9.5.7 (Area di un poligono circoscritto a una circonferenza).
La misura dell’area di un poligono circoscritto a una circonferenza è uguale al prodotto
della misura del semiperimetro del poligono per la misura del raggio della circonferenza.
Teorema 9.5.8 (Area di un poligono regolare).
La misura dell’area di un poligono regolare è uguale al prodotto della misura del semiperimetro del poligono per la misura dell’apotema del poligono
9.6
9.6.1
Lunghezza della circonferenza e area del cerchio
Lunghezza della circonferenza
Poiché un arco e un segmento non sono grandezze omogenee non possono essere confrontate.
Immaginiamo di deformare l’arco facendolo diventare rettilineo ottendo così un segmento
che si dice arco rettificato. L’arco rettificato si può confrontare con i segmenti e quindi si
può misurare.
In modo analogo avremo la circonferenza rettificata.
Con misura della lunghezza della circonferenza si intende la misura della lunghezza della
circonferenza rettificata.
La misura della lunghezza di una circonferenza si può approssimare tramite il perimetro di
poligoni inscritti e circoscritti alla circonferenza stessa.
D
G
C
F
H
O
E
J
B
I
A
Figura 9.1: lunghezza della circonferenza
Detto 2pn il perimetro del poligono regolare inscritto di n lati, 2Pn il perimetro del poligono
regolare circoscritto di n lati e C la lunghezza della circonferenza di raggio r, si ha che
2pn < C < 2Pn
Aumentando il numero dei lati dei poligoni, la differenza tra 2Pn e 2pn diventa sempre più
piccola.
Se n cresce indefinitamente, 2pn e 2Pn individuano uno e un solo numero che è compreso
tra essi per ogni n e che si assume come lunghezza della circonferenza:
2πr
129
CAPITOLO 9. GRANDEZZE GEOMETRICHE E MISURE
Il numero π è un numero irrazionale, un’approssimazione di π con 2 cifre decimali è 3, 14.
Osservazioni
1. Poiché π è un numero irrazionale, la circonferenza rettificata e uno qualsiasi dei suoi
diametri sono segmenti incommensurabili.
2. Nel 1882 Ferdinand von Lindemann dimostrò che π è un numero trascendente cioè che
non è soluzione di alcuna equazione polinomiale. Poiché i numeri trascendenti non possono essere costruiti con solo riga e compasso, la dimostrazione che π è trascendente,
dimostrò l’impossibilità della quadratura del cerchio
Radiante
Un’altra unità di misura delle ampiezze è il radiante, abbreviato rad, che è l’angolo al centro
che insiste su di un arco avente lunghezza pari al raggio della circonferenza.
La definizione data è indipendente dal raggio della circonferenza.
π
Un angolo giro misura 2π rad, un angolo piatto misura π rad e un angolo retto misura
2
rad.
In seguito, per gli angoli espressi in radianti, ometteremo rad.
Per passare dalla misura in gradi a quella in radianti o viceversa si può utilizzare la seguente
proporzione:
misura in gradi : misura in radianti = 180◦ : π
9.6.2
Lunghezza di un arco
B
l
C
A
α
O
Figura 9.2: lunghezza di un arco
Poiché in una circonferenza gli archi sono proporzionali agli angoli che insistono su di essi,
indicando con l la misura della lunghezza dell’arco, con α la misura in gradi dell’angolo che
insiste sull’arco e con C la misura della lunghezza della circonferenza si ha
l : C = α : 360
130
9.6. LUNGHEZZA DELLA CIRCONFERENZA E AREA DEL CERCHIO
da cui
l=
Cα
360
l=
2πrα
360
l=
πrα
180
Se indichiamo con α la misura in radianti dell’angolo che insiste sull’arco si ha
l = rα
9.6.3
Area del cerchio
Per determinare l’area del cerchio si procede in modo analogo: le aree dei poligoni inscritti
e circoscritti tendono ad avvicinarsi all’area del cerchio man mano che il numero dei loro
lati aumenta.
Poiché
1. l’area di un poligono regolare è uguale al prodotto tra il suo semiperimetro e il suo
apotema
2. i perimetri dei poligoni inscritti e circoscritti tendono ad avvicinarsi sempre di più alla
misura della lunghezza della circonferenza, quindi il semiperimetro tende a avvicinarsi
a πr;
3. l’apotema del poligono inscritto tende ad avvicinarsi sempre di più al raggio della
circonferenza, mentre l’apotema del poligono circoscritto coincide sempre con il raggio
della circonferenza, quindi l’apotema tende a avvicinarsi a r.
si ha che al crescere di n, le misure delle aree dei poligoni inscritti e circoscritti si avvicinano
al numero
πr · r = πr2
che assumiamo come misura dell’area di un cerchio di raggio r
131
CAPITOLO 9. GRANDEZZE GEOMETRICHE E MISURE
9.6.4
Area di un settore circolare
B
l
S
α
A
O
Figura 9.3: area settore circolare
Poiché in un cerchio le aree dei settori circolari sono proporzionali agli angoli che insistono
sugli archi individuati da essi, indicando con AS la misura dell’area del settore circolare,
con α la misura in gradi dell’angolo che insiste sull’arco individuato dal settore circolare e
con AC la misura dell’ area del cerchio si ha
AS : AC = α : 360
da cui
AS =
AC α
360
AS =
πr2 α
360
Se indichiamo con α la misura in radianti dell’angolo che insiste sull’arco individuato dal
settore circolare si ha
AS =
r2 α
2
Indicando con l la lunghezza dell’arco individuato dal settore circolare, poiché
l=
πrα
180
si ha
AS =
lr
2
132
9.7. TEOREMA DI TALETE
9.7
Teorema di Talete
Teorema 9.7.1 (Teorema di Talete).
Dato un fascio di rette parallele tagliato da due trasversali, il rapporto tra due segmenti
AB e CD individuati dal fascio sulla prima trasversale è uguale al rapporto tra i loro
corrispondenti A0 B 0 e C 0 D0 individuati dal fascio sulla seconda trasversale.
t
s
A0
A
d
B0
c
B
C0
C
b
a
D0
D
Figura 9.4: teorema di Talete
Teorema 9.7.2.
La retta parallela a un lato di un triangolo divide gli altri due lati in segmenti proporzionali.
C
r
D
E
A
B
Teorema 9.7.3.
Se una retta determina su due lati di un triangolo segmenti proporzionali, allora è parallela
al terzo lato.
Teorema 9.7.4.
La bisettrice di un angolo interno di un triangolo divide il lato opposto in segmenti proporzionali agli altri due
133
CAPITOLO 9. GRANDEZZE GEOMETRICHE E MISURE
r
E
γ
C
β
α
δ
A
B
D
9.8
Problemi di geometria applicata all’algebra
C
a
A
mc
α
h
b
H n
B
Primo teorema di Euclide
a2 = mc
b2 = nc
Secondo teorema di Euclide
h2 = mn
Teorema di pitagora
c 2 = a2 + b 2
Inoltre, utilizzando la formula dell’area di un triangolo si ha
1
1
ab = ch
2
2
da cui
ab = ch
134
9.8. PROBLEMI DI GEOMETRIA APPLICATA ALL’ALGEBRA
9.8.1
Relazione tra lato e diagonale di un quadrato
D
C
d
A
B
l
√
d=l 2
d
l=√
2
9.8.2
Relazione tra lato e altezza di un triangolo equilatero
A
l
h
C
B
l
2
h=
l√
3
2
2h
l=√
3
135
H
CAPITOLO 9. GRANDEZZE GEOMETRICHE E MISURE
9.8.3
Relazione tra i lati in un triangolo con gli angoli di 30, 60,
90 gradi
A
l√
3
2
30◦
l
90◦60◦
B
l
2
C
1
BC = AC
2
√
1
AB = AC 3
2
9.8.4
Relazione tra i lati in un triangolo con gli angoli di 45, 45,
90 gradi
C
√
l 2
A
l
l
B
√
AC = AB 2
AB = BC
136
9.8. PROBLEMI DI GEOMETRIA APPLICATA ALL’ALGEBRA
9.8.5
Relazione tra lati e altezza in un triangolo isoscele
A
l
h
H
b
B
b
2
2
2
Ç å2
b
2
h =l −
9.8.6
C
b
2
Relazione tra lati, diagonali e raggio circonferenza inscritto
in un rombo
A
D
2
l
E
D
r
D
B
d
2
O d
d
2
D
2
C
2
Ç å2
d
2
l =
Ç
D
+
2
å2
Poiché il raggio della circonferenza inscritta è l’altezza del triangolo AOD si ha
rl =
dD
22
da cui
dD
r= 22
l
137
CAPITOLO 9. GRANDEZZE GEOMETRICHE E MISURE
9.8.7
Relazione tra basi, lato obliquo e altezza in un trapezio rettangolo
C
D
b
l
h
B
A
B−b
H
B
l2 = h2 + (B − b)2
9.8.8
Relazione tra basi, lato obliquo e altezza in un trapezio isoscele
D
C
b
l
h
B
A
B−b
l =h +
2
2
2
Ç
B−b K
2
B
H
å2
138
B−b
2
9.8. PROBLEMI DI GEOMETRIA APPLICATA ALL’ALGEBRA
9.8.9
Area di un triangolo in funzione dei lati: formula di Erone
A
c
b
h
C
B
x
H
a−x
a
Ponendo p = a + b + c si ha
A=
ãÅ
ãÅ
ã
p Åp
p
p
−a
−b
−c
2 2
2
2
9.8.10
Raggio della circonferenza inscritta in un triangolo
A
G
I
r
K
B
r=
H
2A
p
139
C
CAPITOLO 9. GRANDEZZE GEOMETRICHE E MISURE
9.8.11
Relazione tra lato, apotema di un quadrato e raggio della
circonferenza circoscritta
D
l
2
l l H
a
2
A
45◦ 45◦ O
r
C
B
√
l=r 2
a=
l
2
a=
r√
2
2
9.8.12
Relazione tra lato, apotema di un quadrato e raggio della
circonferenza inscritta
D
l G
a r
H
C
F
O
A
B
E
a=r
l = 2r
140
9.8. PROBLEMI DI GEOMETRIA APPLICATA ALL’ALGEBRA
9.8.13
Relazione tra lato, apotema di un esagono e raggio della
circonferenza circoscritta
E
D
O
F
r
A
C
◦
a 60
H
l
r
B
l=r
l√
3
2
r√
3
a=
2
a=
9.8.14
Relazione tra lato, apotema di un esagono e raggio della
circonferenza inscritta
D
E
C
O
F
60◦
a r
A
a=r
r=
l√
3
2
2r
l=√
3
141
H
l
B
CAPITOLO 9. GRANDEZZE GEOMETRICHE E MISURE
9.8.15
Relazione tra lato, apotema di un triangolo equilatero e
raggio della circonferenza circoscritta
C
r
O
a
r
H
l
A
B
r = 2a
√
l=r 3
9.8.16
Relazione tra lato, apotema di un triangolo equilatero e
raggio della circonferenza inscritta
C
O
a
A
r
H
B
l
a=r
√
l = 2r 3
142
Capitolo 10
Similitudine fra poligoni
10.1
Poligoni simili
Definizione 10.1.1 (Poligoni simili).
Due poligoni F e F 0 si dicono simili se hanno gli angoli ordinatamente congruenti e i lati
corrispondenti proporzionali e si scrive
F ∼ F0
Osservazioni
1. La relazione di similitudine è una relazione di equivalenza.
2. Il rapporto tra i lati proporzionali si dice rapporto di similitudine
Teorema 10.1.1 (Proprietà dei poligoni simili).
Due poligoni simili con rapporto di similitudine k > 0 hanno
• perimetri con rapporto k
• aree con rapporto k 2
10.2
Criteri di similitudine dei triangoli
Teorema 10.2.1 (Primo criterio di similitudine).
Se due triangoli hanno rispettivamente congruenti due angoli allora sono simili
Teorema 10.2.2 (Secondo criterio di similitudine).
Se due triangoli hanno due lati corrispondenti proporzionali e gli angoli tra essi compresi
congruenti allora sono simili
Teorema 10.2.3 (Terzo criterio di similitudine).
Se due triangoli hanno le coppie di lati corrispondenti con lo stesso rapporto allora sono
simili
Teorema 10.2.4.
Se due triangoli sono simili, il rapporto tra le altezze corrispondenti è uguale al rapporto
tra le basi
143
CAPITOLO 10. SIMILITUDINE FRA POLIGONI
10.3
La similitudine e i teoremi di Euclide
Teorema 10.3.1 (Primo teorema di Euclide).
In un triangolo rettangolo ogni cateto è medio proporzionale tra l’ipotenusa e la sua proiezione sull’ipotenusa
C
δ
γ
A
α
ε β
H
B
Figura 10.1: primo teorema di Euclide
Ipotesi
π
α∼
=
2
π
ε∼
=
2
Tesi
AH : AC = AC : AB
BH : BC = BC : AB
Osservazione
Se consideriamo le misure dei lati si ha
AH : AC = AC : AB
applicando la proprietà fondamentale delle proporzioni numeriche si ottiene
2
AC = AHAB
che è la stessa formula vista precedentemente
Teorema 10.3.2 (Secondo teorema di Euclide).
In un triangolo rettangolo l’altezza relativa all’ipotenusa è media proporzionale tra le
proiezioni dei cateti sull’ipotenusa
C
γ
A
α
δ
ε ε0β
B
H
Figura 10.2: secondo teorema di Euclide
144
10.4. LA SIMILITUDINE E LA CIRCONFERENZA
Ipotesi
π
2
π
ε∼
=
2
π
ε0 ∼
=
2
Tesi
α∼
=
AH : CH = CH : HB
Osservazione
Se consideriamo le misure dei lati si ha
AH : CH = CH : HB
applicando la proprietà fondamentale delle proporzioni numeriche si ottiene
2
CH = AHHB
che è la stessa formula vista precedentemente
10.4
La similitudine e la circonferenza
Teorema 10.4.1 (Teorema delle corde).
Se in una circonferenza due corde si intersecano, i segmenti che si formano su una corda sono
i medi e i segmenti che si formano sull’altra corda sono gli estremi di una stessa proporzione
D
α
A
C
γ
F
B
δ
β
E
Figura 10.3: teorema delle corde
Ipotesi
AB corda
145
CAPITOLO 10. SIMILITUDINE FRA POLIGONI
DE corda
Tesi
AF : DF = F E : F B
Teorema 10.4.2 (Teorema delle secanti).
Se da un punto esterno a una circonferenza si conducono due secanti, una secante e la sua
parte esterna sono i medi, l’altra secante e la sua parte esterna sono gli estremi di una stessa
proporzione
P
α
D
A
C γ
β
E
B
Figura 10.4: teorema delle secanti
Ipotesi
P B secante
P E secante
Tesi
PB : PE = PD : PA
Teorema 10.4.3 (Teorema della secante e della tangente).
Se da un punto esterno a una circonferenza si conducono una secante e una tangente, il
segmento di tangente è medio proporzionale tra la secante e la sua parte esterna
146
10.5. RAGGIO DELLA CIRCONFERENZA CIRCOSCRITTA A UN
TRIANGOLO
P
α
D
γ
A
C
β
B
Figura 10.5: teorema della secante e della tangente
Ipotesi
P B secante
P D tangente
Tesi
PB : PD = PD : PA
10.5
Raggio della circonferenza circoscritta a un triangolo
Teorema 10.5.1 (Raggio della circonferenza circoscritta a un triangolo).
Il raggio della circonferenza circoscritta a un triangolo è uguale al rapporto tra il prodotto
dei lati e il quadruplo dell’area del triangolo
10.6
La sezione aurea
Definizione 10.6.1 (Sezione aurea di un segmento).
Si dice sezione aurea di un segmento la parte di segmento che è media proporzionale tra la
parte rimanente e il segmento stesso
10.6.1
Costruzione di Erone della sezione aurea di un segmento
Dato il segmento AB tracciamo il segmento BO perpendicolare ad AB e congruente alla
sua meta. Tracciamo la circonferenza di centro O e raggio OB. Siano H e K i punti di
intersezione della circonferenza con la retta AO. Tracciamo la circonferenza di centro A e
raggio AH. Sia P il punto di intersezione della circonferenza con AB.
Teorema 10.6.1 (Teorema sezione aurea di un segmento).
Il segmento AP ottenuto con la costruzione di Erone è la sezione aurea di AB.
147
CAPITOLO 10. SIMILITUDINE FRA POLIGONI
K
O
H
A
P
B
Figura 10.6: sezione aurea di un segmento
Ipotesi
BO⊥AB
1
BO ∼
= AB
2
∼
AH = AP
Tesi
AB : AP = AP : P B
10.6.2
Numero aureo
Dato il segmento AB sia AP la sua sezione aurea cioè:
AB : AP = AP : P B
Indicando con l la lunghezza di AB e con x la lunghezza della sua sezione aurea si ottiene
l :x=x:l−x
da cui
x2 = l(l − x)
x2 = l2 − lx
x2 + lx − l2 = 0
Risolvendo l’equazione nell’incognita x otteniamo
√
√
−l + l2 + 4l2
−l − l2 + 4l2
x=
∨x=
2
2
√
√
−l + 5l2
−l − 5l2
x=
∨x=
2
2
√
√
2
−l + 5l
−l − 5l2
x=
∨x=
2
2
148
10.6. LA SEZIONE AUREA
√
−l − 5l2
Poiché x è una misura e quindi è positivo la soluzione
non è accettabile, quindi
2
si ha
√
−l + 5l2
x=
2
√
−l + l 5
x=
2
√
5−1
x=l
2
Il numero irrazionale
2
ϕ= √
5−1
si dice numero aureo e si approssima con 1,618
Osservazioni
1. Il numero aureo si può ottenere come somma infinita di frazioni
1
ϕ=1+
1
1+
1
1+
1+
1
1 + ···
2. Il numero aureo si può ottenere come somma infinita di radici
…
ϕ=
q
1+
1+
»
1+
√
1 + ···
149
Parte III
CLASSE TERZA
150
Capitolo 1
Equazioni e disequazioni con valori
assoluti e irrazionali
1.1
Valore assoluto
Definizione 1.1.1 (Valore assoluto).
Il valore assoluto di un numero reale è il numero stesso se il numero è maggiore o uguale di
0, il suo opposto se il numero è minore di 0. In simboli:

x
|x| = 
se x > 0
−x se x < 0
Per il valore assoluto valgono le seguenti proprietà:
1. |x| > 0 ∀x ∈ R
2. |x| = 0 ⇔ x = 0
3. |xy| = |x||y|
4.
x
|x|
=
y
|y|
5. |x + y| 6 |x| + |y|
6. |x − y| > ||x| − |y||
La definizione data si può generalizzare nel caso di valore assoluto di una funzione:

f (x)
|f (x)| = 
se f (x) > 0
−f (x) se f (x) < 0
151
CAPITOLO 1. EQUAZIONI E DISEQUAZIONI CON VALORI
ASSOLUTI E IRRAZIONALI
1.2
1.2.1
Equazioni con valori assoluti
Equazioni con un valore assoluto
|f (x)| = g(x)
è equivalente a
(
f (x) > 0
∨
f (x) = g(x)
1.2.2
(
f (x) < 0
− f (x) = g(x)
Casi particolari di equazioni con valori assoluti
1. |f (x)| = k con k ∈ R+ ⇔ f (x) = k ∨ f (x) = −k
2. |f (x)| = k con k ∈ R− ⇔ ∃x ∈ R
3. |f (x)| = 0 ⇔ f (x) = 0
4. |f (x)| = |g(x)| ⇔ f (x) = g(x) ∨ f (x) = −g(x)
1.2.3
Equazioni con due o più valori assoluti
Per risolvere un’equazione con due o più valori assoluti:
1. si studia il segno degli argomenti dei valori assoluti
2. si rappresenta graficamente lo studio del segno
3. si scrivono tanti sistemi misti quanti sono gli intervalli generati dallo studio del segno
4. si risolvono i sistemi ottenuti
1.3
1.3.1
Disequazioni con valori assoluti
Disequazioni con un valore assoluto
|f (x)| < g(x)
è equivalente a
(
f (x) > 0
∨
f (x) < g(x)
(
f (x) < 0
− f (x) < g(x)
152
1.3. DISEQUAZIONI CON VALORI ASSOLUTI
1.3.2
Casi particolari di disequazioni con valori assoluti
1. |f (x)| < k con k ∈ R+ ⇔ −k < f (x) < k
2. |f (x)| 6 k con k ∈ R+ ⇔ −k 6 f (x) 6 k
3. |f (x)| > k con k ∈ R+ ⇔ f (x) < −k ∨ f (x) > k
4. |f (x)| > k con k ∈ R+ ⇔ f (x) 6 −k ∨ f (x) > k
5. |f (x)| < k con k ∈ R− ⇔ ∃x ∈ R
∃x ∈ R
6. |f (x)| 6 k con k ∈ R− ⇔ 7. |f (x)| > k con k ∈ R− ⇔ ∀x ∈ Df
8. |f (x)| > k con k ∈ R− ⇔ ∀x ∈ Df
9. |f (x)| < 0 ⇔ ∃x ∈ R
10. |f (x)| 6 0 ⇔ f (x) = 0
11. |f (x)| > 0 ⇔ f (x) 6= 0
12. |f (x)| > 0 ⇔ ∀x ∈ Df
13. |f (x)| < |g(x)| ⇔ (f (x))2 < (g(x))2
1.3.3
Disequazioni con due o più valori assoluti
Per risolvere una disequazione con due o più valori assoluti:
1. si studia il segno degli argomenti dei valori assoluti
2. si rappresenta graficamente lo studio del segno
3. si scrivono tanti sistemi di disequazioni quanti sono gli intervalli generati dallo studio
del segno
4. si risolvono i sistemi ottenuti
153
CAPITOLO 1. EQUAZIONI E DISEQUAZIONI CON VALORI
ASSOLUTI E IRRAZIONALI
1.4
Equazioni irrazionali
Un’equazione irrazionale si risolve trasformandola in un’altra equivalente senza radici, elevando entrambi i membri ad un opportuno esponente. Per far questo si utilizzano le seguenti
proprietà:
1. dato n ∈ N dispari a = b ⇔ an = bn ∀a, b ∈ R
2. dato n ∈ N0 pari a = b ⇔ an = bn ∀a, b ∈ [0, +∞[
La seconda proprietà è valida solo se le basi sono positive o nulle.
Quindi, quando si eleva ad un esponente pari, si ottiene un’equazione il cui insieme delle
soluzioni include quello dell’equazione data; è perciò necessario stabilire se le soluzioni ottenute verificano l’equazione data.
In alternativa, prima di elevare ad un esponente pari, si deve determinare il dominio
dell’equazione. Esso è dato dall’intersezione tra:
1. condizioni di esistenza dei radicali
2. insieme costituito dai numeri che rendono positivi o nulli entrambi i membri dell’equazione
Ottenute le soluzioni della nuova equazione è necessario stabilire se appartengono al dominio.
Quando si eleva ad un esponente dispari ai ottiene un’equazione il cui insieme delle soluzioni
è quello dell’equazione data; non è quindi necessaria alcuna verifica.
1.4.1
Equazioni con una radice di indice pari
L’equazione
»
n
f (x) = g(x) con n pari è equivalente al sistema


f (x)


>0
g(x) > 0



f (x) = (g(x))n
Osservazione
Poiché con n pari (g(x))n > 0, la terza equazione implica che f (x) > 0: la prima disequazione
è pertanto superflua.
»
L’equazione n f (x) = g(x) con n pari è quindi equivalente al sistema
(
g(x) > 0
f (x) = (g(x))n
1.4.2
Equazioni con una radice di indice dispari
L’equazione
»
n
f (x) = g(x) con n dispari è equivalente all’equazione
f (x) = (g(x))n
154
1.5. DISEQUAZIONI IRRAZIONALI
1.4.3
Altri tipi di equazioni irrazionali
Per risolvere altri tipi di equazioni irrazionali si procede in modo analogo a quanto visto
in precedenza. Se gli indici delle radici sono diversi, si elevano entrambi i membri al mcm
degli indici. Se, nel caso di indice pari, le condizioni di esistenza e di non negatività sono
complicate, si possono omettere; in questo caso, trovate le soluzioni è necessario controllare
se sono accettabili sostituendole nell’equazione data.
1.5
1.5.1
Disequazioni irrazionali
Disequazioni della forma
»
n
f (x) < g(x) con n pari
»
n
La disequazione
f (x) < g(x) con n pari è equivalente al sistema


f (x)


>0
g(x) > 0



f (x) < (g(x))n
»
n
la disequazione
f (x) 6 g(x) con n pari è equivalente al sistema


f (x)


>0
g(x) > 0



f (x) 6 (g(x))n
1.5.2
Disequazioni della forma
La disequazione
(
g(x) < 0
∨
f (x) > 0
(
g(x) < 0
∨
f (x) > 0
1.5.3
(
n
f (x) > g(x) con n pari
»
n
f (x) > g(x) con n pari è equivalente a:
g(x) > 0
f (x) > (g(x))n
Analogamente la disequazione
(
»
»
n
f (x) > g(x) con n pari è equivalente a:
g(x) > 0
f (x) > (g(x))n
Disequazioni della forma
La disequazione
»
n
f (x) < g(x) con n dispari
»
n
f (x) < g(x) con n dispari è equivalente alla disequazione
f (x) < (g(x))n
La disequazione
»
n
f (x) 6 g(x) con n dispari è equivalente alla disequazione
f (x) 6 (g(x))n
155
CAPITOLO 1. EQUAZIONI E DISEQUAZIONI CON VALORI
ASSOLUTI E IRRAZIONALI
La disequazione
»
n
f (x) > g(x) con n dispari è equivalente alla disequazione
»
f (x) > g(x) con n dispari è equivalente alla disequazione
f (x) > (g(x))n
La disequazione
n
f (x) > (g(x))n
1.5.4
Disequazioni irrazionali con frazioni
Consideriamo disequazioni in cui compaiono frazioni che hanno per numeratore o denominatore funzioni irrazionali.
Per risolvere questo tipo di disequazioni:
1. si trasforma la disequazione nella forma
N (x)
> 0 (o nelle forme analoghe per gli altri
D(x)
simboli di disuguaglianza)
2. si scompongono numeratore e denominatore
3. si determinano le condizioni di esistenza
4. si studia il segno di ogni fattore del numeratore e del denominatore
5. si applica lo schema delle disequazioni fratte
156
Capitolo 2
Piano cartesiano
2.1
Vettori del piano
Definizione 2.1.1 (Vettore).
Si dice vettore del piano è una grandezza caratterizzata da tre elementi:
• direzione
• verso
• modulo
Un vettore si può rappresentare sul piano con un segmento orientato:
• la direzione del vettore è la retta su cui giace il segmento orientato
• il verso del vettore è quello indicato dal segmento orientato
• il modulo del vettore è la lunghezza del segmento orientato
Tutti i segmenti orientati paralleli, con lo stesso verso e la stessa lunghezza rappresentano
lo stesso vettore.
−→
Un vettore si indica con ~u, ~v , . . . oppure con AB, dove A e B sono gli estremi di un segmento
orientato che lo rappresenta.
Il modulo di un vettore ~v si indica con |~v |.
Un vettore di modulo 1 si dice versore.
Un vettore di modulo 0 si dice vettore nullo e si rappresenta con un punto (in questo caso
direzione e verso non hanno significato) e si indica con ~0.
2.2
Componenti di un vettore
Ogni vettore ~v è individuato da due numeri reali vx e vy detti componenti di ~v :
Ç
v
~v = x
vy
å
157
CAPITOLO 2. PIANO CARTESIANO
Dato un sistema di riferimento cartesiano Oxy e due punti A(xA , yA ) e B(xB , yB ) le com−→
ponenti di AB sono i numeri reali xB − xA e yB − yA :
−→
xB − xA
AB =
yB − yA
Ç
2.3
å
Vettori uguali
Due vettori sono uguali se e solo se hanno le stesse componenti.
2.4
Modulo di un vettore
Il modulo del vettore
Ç
v
~v = x
vy
å
è
|~v | =
»
vx2 + vy2
2.5
Somma di vettori
Dati i vettori
Ç
å
Ç
ux
v
~u =
, ~v = x
uy
vy
å
si dice somma di ~u e ~v il vettore
Ç
ux + vx
~u + ~v =
uy + vy
å
Notazione 2.5.1 (Opposto di un vettore).
L’opposto del vettore ~v si indica con −~v
Osservazione
Se
Ç
v
~v = x
vy
å
allora
Ç
−vx
−~v =
−vy
å
158
2.6. DIFFERENZA DI VETTORI
2.6
Differenza di vettori
Se
Ç
ux
~u =
uy
å
Ç
v
e ~v = x
vy
å
allora
Ç
ux − vx
~u − ~v =
uy − vy
2.7
å
Prodotto di un numero reale per un vettore
Dati il numero reale λ e il vettore
Ç
ux
~u =
uy
å
si dice prodotto di λ per ~u il vettore
Ç
λux
λ~u =
λuy
2.8
å
Versori fondamentali
!
I vettori ~i =
1
0
!
e ~j =
0
1
hanno modulo 1 e quindi sono versori; si dicono versori
fondamentali.
Teorema 2.8.1.
Dato il vettore
Ç
ux
~u =
uy
å
si ha
~u = ux~i + uy~j
2.9
Prodotto scalare di vettori
Dati i vettori
Ç
å
Ç
ux
v
~u =
, ~v = x
uy
vy
å
si dice prodotto scalare di ~u e ~v il numero reale
~u · ~v = ux vx + uy vy
159
CAPITOLO 2. PIANO CARTESIANO
2.9.1
Vettori ortogonali
Teorema 2.9.1 (Vettori ortogonali).
Due vettori non nulli sono ortogonali se e solo se il loro prodotto scalare è 0.
2.10
Determinante di due vettori
Dati i vettori
Ç
å
Ç
ux
v
~u =
, ~v = x
uy
vy
å
si dice determinante di ~u e ~v il numero reale
det(~u, ~v ) =
2.10.1
ux vx
= ux vy − vx uy
uy vy
Vettori paralleli
Teorema 2.10.1 (Vettori paralleli).
Due vettori non nulli sono paralleli se e solo se il loro determinante è 0.
2.11
Relazione di Chasles
Teorema 2.11.1 (Relazione di Chasles).
Dati i punti A(xA , yA ), B(xB , yB ), C(xC , yC ), si ha
−→ −→ −−→
AB = AC + CB
5
4
3
2
1
O
−1
−1
y
A
B
C
x
1 2 3 4 5 6 7 8
Figura 2.1: relazione di Chasles
2.12
Distanza tra due punti
La distanza tra i punti A e B è la lunghezza del segmento AB ed è il modulo del vettore
−→
AB e si indica con AB. Dati i punti A(xA , yA ) e B(xB , yB ), si ha
AB =
»
(xB − xA )2 + (yB − yA )2
160
2.13. PUNTO MEDIO DI UN SEGMENTO
2.13
Punto medio di un segmento
Dati i punti A(xA , yA ) e B(xB , yB ), sia M (xM , yM ) il punto medio del segmento AB.



 xM


 yM
xA + xB
2
yA + yB
=
2
=
2.14
Baricentro di un triangolo
Dati i punti A(xA , yA ),B(xB , yB ) e C(xC , yC ), sia G(xG , yG ) il baricentro del triangolo di
vertici A, B, C.
xA + xB + xC
3

y
A + yB + yC

 yG =
3



 xG
=
161
Capitolo 3
Retta
3.1
Equazione in forma implicita della retta
equazione in forma implicita della retta
ax + by + c = 0
con a, b, c ∈ R e (a, b) 6= (0, 0)
un vettore parallelo ad essa è
−b
~v =
a
3.1.1
!
Rette parallele all’asse x
Le rette parallele all’asse x hanno equazione
y=k
In particolare, l’asse x ha equazione
y=0
3.1.2
Rette parallele all’asse y
Le rette parallele all’asse y hanno equazione
x=h
In particolare, l’asse y ha equazione
x=0
3.1.3
Rette passanti per l’origine
Le rette passanti per l’origine hanno equazione
ax + by = 0
con (a, b) 6= (0, 0).
162
3.2. EQUAZIONE IN FORMA ESPLICITA DELLA RETTA
3.2
Equazione in forma esplicita della retta
Se nell’equazione in forma implicita ax + by + c = 0 della retta r si ha b 6= 0, allora si può
ricavare la variabile y:
c
a
y =− x−
b
b
a
c
Ponendo − = m, − = q si ottiene
b
b
y = mx + q
L’equazione ottenuta si dice equazione in forma esplicita della retta; m si dice coefficiente
angolare e q termine noto.
Il coefficiente angolare m rappresenta l’inclinazione della retta rispetto all’asse x; il termine
noto q è l’ordinata del punto di intersezione della retta con l’asse y.
Se q = 0 si ottiene y = mx il cui grafico è una retta passante per l’origine.
Osservazione
L’equazione in forma implicita rappresenta tutte le rette del piano, mentre quella in forma
esplicita rappresenta tutte le rette del piano escluse quelle parellele all’asse y.
3.3
Rappresentazione grafica della retta
Per rappresentare graficamente una retta non parallela agli assi:
1. si determina l’equazione in forma esplicita
2. si determinano le coordinate di due punti della retta attribuendo valori alla variabile
x e ricavando i corrispondenti valori di y
3. si rappresentano graficamente i due punti e si disegna la retta passante per essi
3.4
Retta passante per due punti
Consideriamo la retta r passante per i punti A(xA , yA ) e B(xB , yB ).
Un punto
−→ −→
−→ −→
P (x, y) ∈ r ⇔ AP //AB ⇔ det(AP , AB) = 0
x − xA xB − x A
=0
y − yA yB − yA
(x − xA )(yB − yA ) − (y − yA )(xB − xA ) = 0
(x − xA )(yB − yA ) = (y − yA )(xB − xA )
163
CAPITOLO 3. RETTA
3.4.1
Coefficiente angolare della retta passante per due punti
Consideriamo la retta r : y = mx+q passante per i punti A(xA , yA ) e B(xB , yB ) con xA 6= xB .
m=
yB − yA
x B − xA
3.4.2
Punti allineati
Consideriamo i punti A(xA , yA ), B(xB , yB ), C(xC , yC ).
I tre punti sono allineati se e solo se
−→ −→
−→ −→
AB//AC ⇔ det(AB, AC) = 0
xB − xA xC − xA
=0
yB − yA yC − yA
Osservazione
Per verificare se tre punti sono allineati si può anche procedere nel seguente modo:
1. si determina l’equazione della retta passante per due di essi
2. si verifica se il terzo punto appartiene alla retta
3.5
Retta passante per un punto con dato coefficiente
angolare
Consideriamo la retta r passante per il punto P0 (x0 , y0 ) e con coefficiente angolare m.
y − y0 = m(x − x0 )
3.6
Rette parallele
Teorema 3.6.1 (Rette parallele).
Due rette rappresentate da equazioni in forma esplicita sono parallele se e solo se hanno lo
stesso coefficiente angolare.
3.6.1
Retta passante per un punto parallela a una retta data
Per determinare l’equazione della retta passante per P0 (x0 , y0 ) parallela a una retta s, nel
caso in cui s non sia parallela all’asse y:
1. si determina il coefficiente angolare m di s
2. si utilizza la formula y − y0 = m(x − x0 )
164
3.7. RETTE PERPENDICOLARI
3.7
Rette perpendicolari
Teorema 3.7.1 (Rette perpendicolari).
Due rette rappresentate da equazioni in forma esplicita sono perpendicolari se e solo se il
prodotto dei coefficienti angolari è −1
Osservazione
1. Il prodotto dei coefficienti angolari è −1 se il coefficiente angolare di una retta è
l’inverso e l’opposto del coefficiente angolare dell’altra.
2. Il teorema precedente vale per le rette non parallele all’asse y.
Se una retta è parallela all’asse y l’altra è perpendicolare solo se è parallela all’asse x.
3.7.1
Retta passante per un punto perpendicolare a una retta data
Per determinare la retta passante per P0 (x0 , y0 ) perpendicolare a una retta s, nel caso in
cui s non sia parallela agli assi:
1. si determina il coefficiente angolare m di s
2. si utilizza la formula y − y0 = −
3.7.2
1
(x − x0 )
m
Asse di un segmento
Per determinare l’equazione dell’asse del segmento AB:
1. si determina il punto medio M del segmento AB
2. si determina l’equazione della retta passante per M perpendicolare ad AB
L’equazione dell’asse di un segmento si può anche ricavare utilizzando il seguente teorema
Teorema 3.7.2 (Asse di un segmento).
L’asse di un segmento è il luogo dei punti equidistanti dagli estremi del segmento
Esempio 3.7.1.
Determinare l’equazione dell’asse del segmento di estremi A(2, 6), B(−2, 4).
Preso P (x, y) imponiamo che
AP = BP
»
(x − 2)2 + (y − 6)2 =
»
(x + 2)2 + (y − 4)2
2x + y − 5 = 0
165
CAPITOLO 3. RETTA
3.8
Intersezione tra due rette
Per determinare l’intersezione tra due rette è sufficiente risolvere il sistema formato dalle
equazioni delle due rette. Si possono verificare tre casi:
1. il sistema è determinato: le rette sono incidenti e si intersecano nel punto le cui
coordinate sono la soluzione del sistema
2. il sistema è impossibile: le rette sono parallele e distinte
3. il sistema è indeterminato: le rette sono coincidenti
3.9
Distanza di un punto da una retta
Teorema 3.9.1 (Distanza di un punto da una retta).
Dati il punto P0 (x0 , y0 ) e la retta r : ax + by + c = 0
d(P0 , r) =
|ax0 + by0 + c|
√
a2 + b 2
Osservazione
Per applicare la formula, l’equazione della retta deve essere in forma implicita
3.10
Distanza tra due rette parallele
Definizione 3.10.1 (Distanza tra due rette parallele).
Si dice distanza tra due rette parallele, la distanza di un punto di una retta dall’altra.
Per determinare la distanza tra due rette parallele:
1. si sceglie un punto di una retta
2. si calcola la distanza di quel punto dall’altra retta
3.11
Bisettrice di un angolo
Teorema 3.11.1 (Bisettrice di un angolo).
La bisettrice di un angolo è il luogo dei punti equidistanti dai lati dell’angolo
Osservazione
Due rette non parallele individuano quattro angoli, a due a due opposti al vertice. Quindi,
applicando il teorema precedente si trovano due bisettrici tra loro perpendicolari.
Esempio 3.11.1.
Determinare le equazioni delle bisettrici degli angoli formati dalle rette r : 2x + y + 1 = 0 e
s : 3x − 2y + 5 = 0.
Preso P (x, y) imponiamo che
d(P, r) = d(P, s)
166
3.12. FASCI DI RETTE
|2x + y + 1|
|3x − 2y + 5|
√
√
=
5
13
Le equazioni delle due bisettrici sono
√
√
√
√
√
√
t : (2 13 − 3 5)x + ( 13 + 2 5)y + 13 − 5 5 = 0
√
√
√
√
√
√
t0 : (2 13 + 3 5)x + ( 13 − 2 5)y + 13 + 5 5 = 0
3.12
3.12.1
Fasci di rette
Fascio improprio di rette
Definizione 3.12.1 (Fascio improprio di rette).
Si dice fascio impropio di rette l’insieme di tutte le rette parallele a una retta data, detta
base del fascio.
Teorema 3.12.1 (Fascio improprio di rette).
Data la retta r : ax + by + c = 0, l’equazione del fascio improprio di base r è ax + by + k = 0
con k ∈ R.
3.12.2
Fascio proprio di rette
Definizione 3.12.2 (Fascio proprio di rette).
Si dice fascio proprio di rette di centro C l’insieme di tutte le rette passanti per C.
Teorema 3.12.2 (Fascio proprio di rette).
Date le rette r : ax+by+c = 0, s : a0 x+b0 y+c0 = 0 incidenti nel punto C(x0 , y0 ), l’equazione
λ(ax + by + c) + µ(a0 x + b0 y + c0 ) = 0 con λ, µ ∈ R non entrambi nulli è l’equazione del fascio
proprio di rette di centro C.
Osservazioni
1. Se nell’equazione del fascio di rette λ(ax + by + c) + µ(a0 x + b0 y + c0 ) = 0 si pone λ = 0
si ottiene la retta s, se si pone µ = 0 si ottiene la retta r.
Spesso l’equazione del fascio proprio di rette di centro C è data con un solo parametro.
Se λ 6= 0, dividendo tutti i termini per λ, si ottiene:
ax + by + c +
ponendo
µ 0
(a x + b0 y + c0 ) = 0
λ
µ
= k, si ha
λ
ax + by + c + k(a0 x + b0 y + c0 ) = 0
In questo caso la retta s non si ottiene per alcun valore di k. Per questo motivo
l’equazione del fascio è:
ax + by + c + k(a0 x + b0 y + c0 ) = 0 ∨ a0 x + b0 y + c0 = 0
167
CAPITOLO 3. RETTA
Se invece di due rette del fascio viene dato il centro C(x0 , y0 ), per ottenere l’equazione del
fascio proprio di rette è sufficiente determinare due rette passanti per C(x0 , y0 ), per esempio
quelle parallele agli assi, l’equazione del fascio è:
y − y0 = m(x − x0 ) ∨ x = x0
Osservazione
Per risolvere problemi nei quali si devono determinare le rette che intersecano un segmento:
1. si determinano i valori del parametro per i quali si ottengono le rette passanti per gli
estremi del segmento
2. se la retta esclusa dal fascio non interseca il segmento si considerano i valori compresi,
altrimenti si considerano i valori esterni
168
Capitolo 4
Parabola
4.1
Introduzione
Definizione 4.1.1 (Parabola).
Dati una retta r e un punto F 6∈ r, si dice parabola di fuoco F e direttrice r il luogo dei
punti equidistanti da F e da r.
Definizione 4.1.2 (Asse della parabola).
Si dice asse della parabola la retta passante per il fuoco perpendicolare alla direttrice.
Definizione 4.1.3 (Vertice della parabola).
Si dice vertice della parabola il punto di intersezione tra la parabola e il suo asse.
4.2
Equazione della parabola con asse parallelo all’asse
delle ordinate
Dati la retta parallela all’asse x r : y = k e il punto F (p, q) non appartenente a r (q 6= k),
il punto P (x, y) appartiene alla parabola di direttrice r e fuoco F se
P F = d(P, r)
|y − k|
(x − p)2 + (y − q)2 = √
12
effettuando i calcoli si ottiene
»
y = ax2 + bx + c con a 6= 0
Data l’equazione della parabola y = ax2 + bx + c, si ha:
b 1−∆
• fuoco: F − ,
2a 4a
Ç
• direttrice: r : y = −
å
1+∆
4a
169
CAPITOLO 4. PARABOLA
• asse: s : x = −
b
2a
Ç
∆
b
− ,−
2a 4a
• vertice: V
å
• se a > 0 la parabola rivolge la concavità verso l’alto, se a < 0 la parabola rivolge la
concavità verso il basso.
4.2.1
Equazione della parabola con vertice nell’origine
y = ax2
4.2.2
Equazione della parabola passante per l’origine
y = ax2 + bx
4.2.3
Equazione della parabola avente come asse l’asse y
y = ax2 + c
4.3
Equazione della parabola con asse parallelo all’asse
delle ascisse
Dati la retta parallela all’asse y r : x = h e il punto F (p, q) non appartenente a r (p 6= h),
il punto P (x, y) appartiene alla parabola di direttrice r e fuoco F se
P F = d(P, r)
effettuando i calcoli si ottiene
x = ay 2 + by + c con a 6= 0
Data l’equazione della parabola x = ay 2 + by + c, si ha:
Ç
• fuoco: F
1−∆
b
,− ,
4a
2a
• direttrice: r : x = −
• asse: s : y = −
Ç
• vertice: V
å
1+∆
4a
b
2a
∆
b
− ,−
4a 2a
å
• concavità: se a > 0 la parabola rivolge la concavità verso destra, se a < 0 rivolge la
concavità verso sinistra
170
4.4. RAPPRESENTAZIONE GRAFICA DELLA PARABOLA
4.3.1
Equazione della parabola con vertice nell’origine
x = ay 2
4.3.2
Equazione della parabola passante per l’origine
x = ay 2 + by
4.3.3
Equazione della parabola avente come asse l’asse x
x = ay 2 + c
4.4
Rappresentazione grafica della parabola
Per rappresentare graficamente una parabola si può procedere nel seguente modo
1. si determina la concavità
2. si determina il vertice
3. si determinano le intersezioni con gli assi cartesiani
4. si rappresentano graficamente i punti trovati e si disegna la parabola passante per essi
4.5
Intersezione retta parabola
Si possono verificare 4 casi:
1. il sistema ammette due soluzioni reali distinte: la retta è secante la parabola
2. il sistema ammette due soluzioni reali coincidenti: la retta è tangente alla parabola
3. il sistema non ammette soluzioni reali: la retta è esterna alla parabola
4. il sistema ammette una soluzione reale: la retta è secante la parabola ed è parallela
all’asse della parabola
4.6
4.6.1
Tangenti a una parabola
Polare
Definizione 4.6.1 (Polare).
Dati la parabola γ : y = ax2 + bx + c e un punto P0 (x0 , y0 ) si dice polare di P0 rispetto a γ
la retta r di equazione
y + y0
x + x0
= axx0 + b
+c
2
2
171
CAPITOLO 4. PARABOLA
Dati la parabola γ : x = ay 2 + by + c e un punto P0 (x0 , y0 ) si dice polare di P0 rispetto a γ
la retta r di equazione
x + x0
y + y0
= ayy0 + b
+c
2
2
4.6.2
Tangente alla parabola in un punto appartenente alla parabola
Dati la parabola γ e il punto P0 appartenente alla parabola, la polare di P0 rispetto a γ è
la tangente alla parabola in P0
4.6.3
Tangenti alla parabola da un punto esterno alla parabola
Per trovare le tangenti alla parabola passanti per un punto P0 :
1. si scrive l’equazione del fascio proprio di rette di centro P0 con parametro m
2. si scrive il sistema formato dalle equazioni del fascio e della parabola
3. si determina l’equazione risolvente e si calcola il discriminante
4. si pone il discriminante uguale a 0 e si risolve l’equazione ottenuta nell’incognita m
5. si sostituiscono i valori di m trovati nell’equazione del fascio
4.6.4
Tangente alla parabola parallela a una retta
Per trovare la tangente alla parabola parallela alla retta r (non parallela all’asse della
parabola):
1. si scrive l’equazione del fascio improprio di rette di base r con parametro k
2. si scrive il sistema formato dalle equazioni del fascio e della parabola
3. si determina l’equazione risolvente e si calcola il discriminante
4. si pone il discriminante uguale a 0 e si risolve l’equazione ottenuta nell’incognita k
5. si sostituisce il valore di k trovato nell’equazione del fascio
4.7
Problemi sulla parabola
Per determinare l’equazione di una parabola si può utilizzare la definizione di parabola
oppure determinare i valori di a, b, c nell’equazione y = ax2 + bx + c o x = ay 2 + by + c.
Nel secondo caso è necessario risolvere un sistema formato da tre equazioni in tre incognite.
Per scrivere le equazioni:
172
4.7. PROBLEMI SULLA PARABOLA
• si possono utilizzare le formule delle coordinate del fuoco
xF = −
b
1−∆
1−∆
b
, yF =
oppure xF =
, yF = − ,
2a
4a
4a
2a
• si possono utilizzare le formule delle coordinate del vertice
xV = −
b
∆
∆
b
, yV = −
oppure xV = − , yV = − ,
2a
4a
4a
2a
• si può utilizzare l’equazione dell’asse
x=−
b
b
oppure y = −
2a
2a
• si può utilizzare l’equazione della direttrice
y=−
1+∆
1+∆
oppure x = −
4a
4a
• si possono sostituire le coordinate di un punto nell’equazione della parabola affinché
essa passi per quel punto.
• si può imporre che il discriminante dell’equazione risolvente il sistema di intersezione
tra la tangente e la parabola sia nullo.
173
Capitolo 5
Circonferenza
5.1
Introduzione
Definizione 5.1.1 (Circonferenza).
Dati il numero reale non negativo r e il punto C, si dice circonferenza di centro C e raggio
r il luogo dei punti aventi distanza r da C.
5.2
Equazione della circonferenza
Dati il numero reale non negativo r e il punto C(α, β), il punto P (x, y) appartiene alla
circonferenza di centro C e raggio r se
PC = r
»
(x − α)2 + (y − β)2 = r
effettuando i calcoli si ottiene
x2 + y 2 + ax + by + c = 0
Data l’equazione x2 + y 2 + ax + by + c = 0, si ricavano α, β, r:
a
2
b
β=−

2



2

a
b2


 r2 =
+ −c
4
4



α






=−
Si possono verificare tre casi:
• se
a2 b 2
+ − c < 0 l’equazione non rappresenta una circonferenza reale
4
4
a2 b 2
a b
• se + −c = 0 l’equazione rappresenta la circonferenza ridotta al punto C − , −
4 4
2 2
Ç
174
å
5.3. RAPPRESENTAZIONE GRAFICA DELLA CIRCONFERENZA
a b
a2 b 2
+ − c > 0 l’equazione rappresenta la circonferenza di centro C − , −
• se
4
4
2 2
2
2
a
b
raggio r =
+ −c
4
4
Ç
å
e
Osservazione
Nell’equazione di una circonferenza nei termini al quadrato possono avere uno stesso coefficiente diverso da 0. In questo caso per determinare il centro e il raggio è necessario dividere
tutti i termini per tale coefficiente.
5.2.1
Equazione della circonferenza con centro nell’origine
x2 + y 2 = r 2
5.2.2
Equazione della circonferenza passante per l’origine
x2 + y 2 + ax + by = 0
5.3
Rappresentazione grafica della circonferenza
1. si determina il centro
2. si determina il raggio
3. si rappresentano graficamente il centro e si disegna la circonferenza con quel centro e
quel raggio
5.4
Intersezione retta circonferenza
Si possono verificare 3 casi:
1. il sistema ammette due soluzioni reali distinte: la retta è secante la circonferenza
2. il sistema ammette due soluzioni reali coincidenti: la retta è tangente alla circonferenza
3. il sistema non ammette soluzioni reali: la retta è esterna alla circonferenza
5.5
5.5.1
Tangenti a una circonferenza
Polare
Definizione 5.5.1 (Polare).
Dati la circonferenza γ : x2 + y 2 + ax + by + c = 0 e un punto P0 (x0 , y0 ) distinto dal centro
della circonferenza, si dice polare di P0 rispetto a γ la retta r di equazione
xx0 + yy0 + a
x + x0
y + y0
+b
+c=0
2
2
175
CAPITOLO 5. CIRCONFERENZA
5.5.2
Tangente alla circonferenza in un punto appartenente alla
circonferenza
Dati la circonferenza γ e il punto P0 appartenente alla circonferenza, la polare di P0 rispetto
a γ è la tangente alla circonferenza in P0
5.5.3
Tangenti alla circonferenza da un punto esterno alla circonferenza
Metodo del discriminante
Per trovare le tangenti alla circonferenza passanti per un punto P0 :
1. si scrive l’equazione del fascio proprio di rette di centro P0 con parametro m
2. si scrive il sistema formato dalle equazioni del fascio e della circonferenza
3. si determina l’equazione risolvente e si calcola il discriminante
4. si pone il discriminante uguale a 0 e si risolve l’equazione ottenuta nell’incognita m
5. si sostituiscono i valori di m trovati nell’equazione del fascio
Metodo della distanza
Per trovare le tangenti alla circonferenza passanti per un punto P0 :
1. si determinano il centro e il raggio della circonferenza
2. si scrive l’equazione del fascio proprio di rette di centro P0 con parametro m
3. si impone che la distanza del centro della circonferenza dalla generica retta del fascio
sia uguale al raggio
4. si risolve l’equazione ottenuta nell’incognita m
5. si sostituiscono i valori di m trovati nell’equazione del fascio
5.5.4
Tangenti alla circonferenza parallele a una retta
1. si scrive l’equazione del fascio improprio di rette di base s con parametro k
2. si scrive il sistema formato dalle equazioni del fascio e della circonferenza
3. si determina l’equazione risolvente
4. si calcola il discriminante
5. si pone il discriminante uguale a 0 e si risolve l’equazione ottenuta nell’incognita k
6. si sostituiscono i valori di k trovati nell’equazione del fascio
176
5.6. INTERSEZIONE TRA DUE CIRCONFERENZE
Metodo alternativo
Per trovare le tangenti alla circonferenza parallele alla retta s si può anche procedere nel
seguente modo:
1. si determinano il centro e il raggio della circonferenza
2. si scrive l’equazione del fascio improprio di rette di base s con parametro k
3. si impone che la distanza del centro della circonferenza dalla generica retta del fascio
sia uguale al raggio
4. si risolve l’equazione ottenuta nell’incognita k
5. si sostituiscono i valori di k trovati nell’equazione del fascio
5.6
Intersezione tra due circonferenze
Si possono verificare 3 casi:
1. il sistema ammette due soluzioni reali distinte: le circonferenze sono secanti in due
punti, la distanza tra i centri è minore della somma dei raggi
2. il sistema ammette due soluzioni reali coincidenti: le circonferenze sono tangenti; in
particolare:
(a) se la distanza tra i centri è uguale alla somma dei raggi, le circonferenze sono
tangenti esternamente
(b) se la distanza tra i centri è uguale al valore assoluto della differenza dei raggi, le
circonferenze sono tangenti internamente
3. il sistema non ammette soluzioni reali: le circonferenze non si intersecano; in particolare:
(a) se la distanza tra i centri è maggiore della somma dei raggi, ciascuna circonferenza
è esterna all’altra
(b) se la distanza tra i centri è minore del valore assoluto della differenza dei raggi,
una delle due circonferenze è interna all’altra; se i centri coincidono, le circonferenze sono concentriche
5.7
Problemi sulla circonferenza
Per determinare l’equazione di una circonferenza si può utilizzare la definizione di circonferenza oppure determinare i valori di a, b, c nell’equazione x2 + y 2 + ax + by + c = 0. Per
scrivere le equazioni:
177
CAPITOLO 5. CIRCONFERENZA
• si possono utilizzare le formule delle coordinate del centro
a
b
xC = − , yC = −
2
2
• si può utilizzare la formula del raggio
s
r=
a2 b 2
+ −c
4
4
• si possono sostituire le coordinate di un punto nell’equazione della circonferenza
affinché essa passi per quel punto.
• si può imporre che il discriminante dell’equazione risolvente il sistema di intersezione
tra la tangente e la circonferenza sia nullo.
5.8
Fascio di circonferenze
Definizione 5.8.1 (Fascio di circonferenze).
Date le circonferenze distinte
γ1 : x2 + y 2 + a1 x + b1 y + c1 = 0, γ2 : x2 + y 2 + a2 x + b2 y + c2 = 0 si dice fascio di circonferenze
generato da γ1 e γ2 l’insieme delle circonferenze rappresentate dall’equazione
λ(x2 + y 2 + a1 x + b1 y + c1 ) + µ(x2 + y 2 + a2 x + b2 y + c2 ) = 0
con λ, µ ∈ R,λ 6= −µ
Se nell’equazione del fascio di circonferenze
λ(x2 + y 2 + a1 x + b1 y + c1 ) + µ(x2 + y 2 + a2 x + b2 y + c2 ) = 0 si pone λ = 0 si ottiene la
circonferenza γ2 , se si pone µ = 0 si ottiene la circonferenza γ1 .
Se λ 6= 0, dividendo tutti i termini per λ, si ottiene:
x 2 + y 2 + a1 x + b 1 y + c 1 +
Ponendo
µ 2
(x + y 2 + a2 x + b2 y + c2 ) = 0
λ
µ
= k, si ha
λ
x2 + y 2 + a1 x + b1 y + c1 + k(x2 + y 2 + a2 x + b2 y + c2 ) = 0
In questo caso la circonferenza γ2 non si ottiene per alcun valore di k. Per questo motivo
l’equazione del fascio è:
x2 + y 2 + a1 x + b1 y + c1 + k(x2 + y 2 + a2 x + b2 y + c2 ) = 0 ∨ x2 + y 2 + a2 x + b2 y + c2 = 0
con k 6= −1
Osservazione
Nell’equazione del fascio di circonferenze abbiamo posto λ 6= −µ: se λ = −µ cioè k = −1,
sostituendo nell’equazione del fascio si ottiene l’equazione di una retta:
(a1 − a2 )x + (b1 − b2 )y + c1 − c2 = 0
178
5.8. FASCIO DI CIRCONFERENZE
Tale retta si dice asse radicale ed è perpendicolare alla retta passante per i centri delle due
circonferenze.
Il fascio di circonferenze può anche essere generato da una circonferenza
x2 + y 2 + ax + by + c + k(a1 x + b1 y + c1 ) = 0
5.8.1
Circonferenze secanti
Date le circonferenze distinte γ1 e γ2 secanti nei punti A e B il fascio di circonferenze
generato da γ1 e γ2 è formato da tutte le circonferenze passanti per A e B. L’asse radicale
è la retta passante per A e B. A e B si dicono punti base del fascio.
5.8.2
Circonferenze tangenti
Date le circonferenze distinte
γ1 e γ2 tangenti in A il fascio di circonferenze generato da γ1 e γ2 è formato da tutte le
circonferenze tangenti a γ1 e γ2 in A. L’asse radicale è la retta tangente in A alle circonferenze
del fascio. A si dice punto base del fascio.
5.8.3
Circonferenze concentriche
Date le circonferenze distinte
γ1 e γ2 0 concentriche, il fascio di circonferenze generato da γ1 e γ2 è formato da tutte le
circonferenze concentriche alle circonferenze date.
5.8.4
Circonferenze senza punti in comune e non concentriche
Date le circonferenze distinte
γ1 e γ2 0 senza punti in comune e non concentriche il fascio di circonferenze generato da γ1
e γ2 è formato da circonferenze senza punti in comune e non concentriche.
179
Capitolo 6
Ellisse
6.1
Introduzione
Definizione 6.1.1 (Ellisse).
Dati due punti F1 e F2 , si dice ellisse di fuochi F1 e F2 il luogo dei punti per cui è costante
la somma delle distanze da F1 e F2 .
6.2
Equazione dell’ellisse con i fuochi sull’asse delle ascisse, simmetrici rispetti all’origine
Dati il numero reale positivo a, il numero reale non negativo c e i punti F1 (c, 0) e F2 (−c, 0)
il punto P (x, y) appartiene all’ellisse di fuochi F1 e F2 e somma costante 2a se
P F1 + P F2 = 2a con 2a > 2c
»
(x − c)2 + y 2 +
»
(x + c)2 + y 2 = 2a
effettuando i calcoli e ponendo
a2 − c 2 = b 2
si ottiene
x2 y 2
+ 2 = 1 con a > b
a2
b
6.3
Equazione dell’ellisse con i fuochi sull’asse delle ordinate, simmetrici rispetti all’origine
Dati il numero reale positivo b, il numero reale non negativo c e i punti F1 (0, c) e F2 (0, −c)
il punto P (x, y) appartiene all’ellisse di fuochi F1 e F2 e somma costante 2b se
P F1 + P F2 = 2b con 2b > 2c
»
x2 + (y − c)2 +
»
x2 + (y + c)2 = 2b
180
6.4. PROPRIETÀ DELL’ELLISSE
effettuando i calcoli e ponendo
b 2 − c 2 = a2
si ottiene
x2 y 2
+ 2 = 1 con a 6 b
a2
b
6.4
Proprietà dell’ellisse
6.4.1
Intersezione con gli assi cartesiani
L’ellisse incontra gli assi cartesiani nei punti
A1 (a, 0), A2 (−a, 0), B1 (0, b), B2 (0, −b)
detti vertici dell’ellisse.
Se a > b, i fuochi appartengo all’asse x, il segmento A1 A2 si dice asse maggiore o asse focale,
il segmento B1 B2 si dice asse minore. Se a < b, i fuochi appartengo all’asse y, il segmento
B1 B2 si dice asse maggiore o asse focale, il segmento A1 A2 si dice asse minore.
6.4.2
Limitazioni
L’ellisse è contenuta nel rettangolo delimitato dalle rette x = a, x = −a, y = b, y = −b
6.4.3
Fuochi
Data l’ellisse γ :
x2 y 2
+ 2 =1
a2
b
• se a > b, i fuochi sono
F1 (c, 0), F2 (−c, 0)
con
c 2 = a2 − b 2
• se a < b, i fuochi sono
F1 (0, c), F2 (0, −c)
con
c 2 = b 2 − a2
181
CAPITOLO 6. ELLISSE
6.4.4
Eccentricità
x2 y 2
Data l’ellisse γ : 2 + 2 = 1
a
b
• se a > b, si dice eccentricità il rapporto
e=
c
a
Poiché c > 0 e a > c si ha:
06e<1
• se a < b, si dice eccentricità il rapporto
e=
c
b
Poiché c > 0 e b > c si ha:
06e<1
In particolare se e = 0 si ha c = 0 e a2 = b2 quindi l’equazione dell’ellisse diventa:
x2 y 2
+
=1
a2 a2
x 2 + y 2 = a2
che è l’equazione della circonferenza di centro O e raggio a.
All’aumentare dell’eccentricità l’ellisse è sempre più “schiacciata”.
6.4.5
Area
L’area della regione delimitata dall’ellisse γ :
6.5
x2 y 2
+ 2 = 1 è πab
a2
b
Rappresentazione grafica dell’ellisse
1. si determinano i 4 vertici
2. si rappresentano graficamente i 4 vertici e si disegna l’ellisse passante per i vertici
6.6
Intersezione retta ellisse
Si possono verificare 3 casi:
1. il sistema ammette due soluzioni reali distinte: la retta è secante l’ellisse
2. il sistema ammette due soluzioni reali coincidenti: la retta è tangente all’ellisse
3. il sistema non ammette soluzioni reali: la retta è esterna all’ellisse
182
6.7. TANGENTI A UN’ELLISSE
6.7
6.7.1
Tangenti a un’ellisse
Polare
Definizione 6.7.1 (Polare).
x2 y 2
Dati l’ellisse γ : 2 + 2 = 1 e un punto P0 (x0 , y0 ) diverso dall’origine, si dice polare di P0
a
b
rispetto a γ la retta r di equazione
xx0 yy0
+ 2 =1
a2
b
6.7.2
Tangente all’ellisse in un punto appartenente all’ellisse
Dati l’ellisse γ e il punto P0 appartenente all’ellisse, la polare di P0 rispetto a γ è la tangente
all’ellisse in P0
6.7.3
Tangenti all’ellisse da un punto esterno all’ellisse
Per trovare le tangenti all’ellisse passanti per un punto P0 :
1. si scrive l’equazione del fascio proprio di rette di centro P0 con parametro m
2. si scrive il sistema formato dalle equazioni del fascio e dell’ellisse
3. si determina l’equazione risolvente
4. si calcola il discriminante
5. si pone il discriminante uguale a 0 e si risolve l’equazione ottenuta nell’incognita m
6. si sostituiscono i valori di m trovati nell’equazione del fascio
6.7.4
Tangenti all’ellisse parallele a una retta
Per trovare le tangenti all’ellisse parallele alla retta s:
1. si scrive l’equazione del fascio improprio di rette di base s con parametro k
2. si scrive il sistema formato dalle equazioni del fascio e dell’ellisse
3. si determina l’equazione risolvente
4. si calcola il discriminante
5. si pone il discriminante uguale a 0 e si risolve l’equazione ottenuta nell’incognita k
6. si sostituiscono i valori di k trovati nell’equazione del fascio
183
CAPITOLO 6. ELLISSE
6.8
Problemi sull’ellisse
Per determinare l’equazione di un’ellisse è necessario determinare i valori di a, b nell’equax2 y 2
zione 2 + 2 = 1.
a
b
È quindi necessario risolvere un sistema formato da due equazioni in due incognite.
Per scrivere le equazioni:
• si possono utilizzare le formule riguardanti il fuoco
c 2 = a2 − b 2
oppure
c 2 = b 2 − a2
• si possono utilizzare le formule dell’eccentricità
e=
c
a
oppure
e=
c
b
• si possono sostituire le coordinate di un punto nell’equazione dell’ellisse affinché essa
passi per quel punto.
• si può imporre che il discriminante dell’equazione risolvente del sistema di intersezione
tra la tangente e l’ellisse sia nullo.
184
Capitolo 7
Iperbole
7.1
Introduzione
Definizione 7.1.1 (Iperbole).
Dati due punti F1 e F2 , si dice iperbole di fuochi F1 e F2 il luogo dei punti per cui è costante
il valore assoluto della differenza delle distanze da F1 e F2 .
7.2
Equazione dell’iperbole con i fuochi sull’asse delle
ascisse, simmetrici rispetti all’origine
Dati i numeri reali positivi a, c e i punti F1 (c, 0) e F2 (−c, 0) il punto P (x, y) appartiene
all’iperbole di fuochi F1 e F2 e differenza costante 2a se
P F1 − P F2 = 2a con 2a < 2c
»
(x − c)2 + y 2 −
»
(x + c)2 + y 2 = 2a
effettuando i calcoli e ponendo
c 2 − a2 = b 2
si ottiene
x2 y 2
− 2 =1
a2
b
7.3
Equazione dell’iperbole con i fuochi sull’asse delle
ordinate, simmetrici rispetti all’origine
Dati i numeri reali positivi b, c e i punti F1 (0, c) e F2 (0, −c) il punto P (x, y) appartiene
all’iperbole di fuochi F1 e F2 e differenza costante 2b se
P F1 − P F2 = 2b con 2b < 2c
185
CAPITOLO 7. IPERBOLE
effettuando i calcoli e ponendo
c 2 − b 2 = a2
si ottiene
x2 y 2
− 2 = −1
a2
b
7.4
7.4.1
Proprietà dell’iperbole
Intersezione con gli assi cartesiani
L’iperbole γ :
x2 y 2
− 2 = 1 non interseca l’asse y e incontra l’asse x nei punti
a2
b
A1 (a, 0), A2 (−a, 0)
detti vertici dell’iperbole.
L’asse x si chiama asse traverso, l’asse y si chiama asse non traverso.
x2 y 2
L’iperbole γ : 2 − 2 = −1 non interseca l’asse x e incontra l’asse y nei punti
a
b
B1 (0, b), B2 (0, −b)
detti vertici dell’iperbole.
L’asse y si chiama asse traverso, l’asse x si chiama asse non traverso.
7.4.2
Fuochi
Data l’iperbole γ :
x2 y 2
− 2 = 1, i fuochi sono
a2
b
F1 (c, 0), F2 (−c, 0) con c2 = a2 + b2
Data l’iperbole γ :
x2 y 2
− 2 = −1, i fuochi sono
a2
b
F1 (0, c), F2 (0, −c) con c2 = a2 + b2
7.4.3
Eccentricità
x2 y 2
Data l’iperbole γ : 2 − 2 = 1, si dice eccentricità il rapporto
a
b
c
e=
a
Poiché 0 < a < c si ha:
e>1
186
7.5. IPERBOLE EQUILATERA
Data l’iperbole γ :
e=
x2 y 2
− 2 = −1, si dice eccentricità il rapporto
a2
b
c
b
Poiché 0 < b < c si ha:
e>1
7.4.4
Asintoti
Le equazioni degli asintoti dell’iperbole γ :
x2 y 2
− 2 = 1 sono
a2
b
b
b
y =− x∨y = x
a
a
x2 y 2
Le equazioni degli asintoti dell’iperbole γ : 2 − 2 = −1 sono
a
b
b
b
y =− x∨y = x
a
a
7.5
Iperbole equilatera
Data l’iperbole
x2 y 2
− 2 = 1, se b = a si ottiene
a2
b
γ : x 2 − y 2 = a2
γ si dice iperbole equilatera.
x2 y 2
Data l’iperbole 2 − 2 = −1, se b = a si ottiene
a
b
γ1 : x2 − y 2 = −a2
γ1 si dice iperbole equilatera.
7.6
7.6.1
Proprietà dell’iperbole equilatera
Intersezione con gli assi cartesiani
L’iperbole equilatera γ : x2 − y 2 = a2 , non interseca l’asse y e incontra l’asse x nei vertici
A1 (a, 0), A2 (−a, 0)
L’iperbole equilatera γ1 : x2 − y 2 = −a2 , non interseca l’asse x e incontra l’asse y nei vertici
B1 (0, a), B2 (0, −a)
187
CAPITOLO 7. IPERBOLE
7.6.2
Fuochi
Data l’iperbole γ : x2 − y 2 = a2 , i fuochi sono
F1 (c, 0), F2 (−c, 0)
con
c=
√
2a
Data l’iperbole γ : x2 − y 2 = −a2 , i fuochi sono
F1 (0, c), F2 (0, −c)
con
c=
√
2a
7.6.3
Eccentricità
Data l’iperbole γ : x2 − y 2 = a2 , l’eccentricità è
c √
e= = 2
a
Data l’iperbole γ : x2 − y 2 = −a2 , l’eccentricità è
c √
e= = 2
a
7.6.4
Asintoti
Data l’iperbole γ : x2 − y 2 = a2 , le equazioni degli asintoti sono
y = −x ∨ y = x
Data l’iperbole γ : x2 − y 2 = −a2 , le equazioni degli asintoti sono
y = −x ∨ y = x
7.7
Iperbole equilatera riferita agli asintoti
Dato il sistema di riferimento Oxy e l’iperbole equilatera di equazione x2 − y 2 = −a2 oppure
x2 − y 2 = a2 , consideriamo il sistema di riferimento OXY avente come assi cartesiani gli
asintoti (gli asintoti dell’iperbole equilatera sono perpendicolari). Si può dimostrare che,
a2
2
2
2
e
rispetto al nuovo sistema di riferimento, l’equazione x − y = a diventa XY = −
2
2
a
l’equazione x2 − y 2 = −a2 diventa XY = .
2
Quindi un’iperbole equilatera riferita agli asintoti ha equazione xy = k con k 6= 0.
Se k > 0, il grafico è nel primo e terzo quadrante; se k < 0, il grafico è nel secondo e quarto
quadrante.
188
7.8. RAPPRESENTAZIONE GRAFICA DELL’IPERBOLE
7.7.1
Vertici
Data l’iperbole γ : xy = k con k > 0, I vertici sono
√ √
√
√
V1 ( k, k), V2 (− k, − k)
Data l’iperbole γ : xy = k con k < 0 i vertici sono
√
√
√
√
V1 ( −k, − −k), V2 (− −k, −k)
7.7.2
Fuochi
Nell’iperbole di equazione xy = k con k > 0, i fuochi sono
√ √
√
√
F1 ( 2k, 2k), F2 (− 2k, − 2k)
Nell’iperbole di equazione xy = k con k < 0, i fuochi sono
√
√
√
√
F1 ( −2k, − −2k), F2 (− −2k, −2k)
7.8
Rappresentazione grafica dell’iperbole
1. si determinano i 2 vertici
2. si determinano i 2 asintoti
3. si rappresentano graficamente i 2 vertici e i 2 asintoti e si disegna l’iperbole passante
per i vertici e avente gli asintoti trovati
7.9
Intersezione retta iperbole
Si possono verificare 5 casi:
1. il sistema ammette due soluzioni reali distinte: la retta è secante l’iperbole
2. il sistema ammette due soluzioni reali coincidenti: la retta è tangente all’iperbole
3. il sistema non ammette soluzioni reali: la retta è esterna all’iperbole
4. il sistema ammette una soluzione reale: la retta è secante l’iperbole ed è parallela a
un asintoto
5. il sistema è impossibile: la retta è un asintoto
189
CAPITOLO 7. IPERBOLE
7.10
7.10.1
Tangenti a un’iperbole
Polare
Definizione 7.10.1 (Polare).
x2 y 2
Dati l’iperbole γ : 2 − 2 = 1 e un punto P0 (x0 , y0 ) diverso dall’origine, si dice polare di
a
b
P0 rispetto a γ la retta r di equazione
xx0 yy0
− 2 =1
a2
b
x2 y 2
Dati l’iperbole γ : 2 − 2 = −1 e un punto P0 (x0 , y0 ) diverso dall’origine, si dice polare di
a
b
P0 rispetto a γ la retta r di equazione
xx0 yy0
− 2 = −1
a2
b
Dati l’iperbole equilatera riferita agli asintoti γ : xy = k e un punto P0 (x0 , y0 ) diverso
dall’origine, la polare di P0 rispetto a γ è la retta r di equazione:
xy0 + x0 y
=k
2
7.10.2
Tangente all’iperbole in un punto appartenente all’iperbole
Dati l’iperbole γ e il punto P0 appartenente all’iperbole, la polare di P0 rispetto a γ è la
tangente all’iperbole in P0
7.10.3
Tangenti all’iperbole da un punto esterno all’iperbole
Per trovare le tangenti all’iperbole passanti per un punto P0 :
1. si scrive l’equazione del fascio proprio di rette di centro P0 con parametro m
2. si scrive il sistema formato dalle equazioni del fascio e dell’iperbole
3. si determina l’equazione risolvente
4. si calcola il discriminante
5. si pone il discriminante uguale a 0 e si risolve l’equazione ottenuta nell’incognita m
6. si sostituiscono i valori di m trovati nell’equazione del fascio
7.10.4
Tangenti all’iperbole parallele a una retta
Per trovare le tangenti all’iperbole parallele alla retta s:
1. si scrive l’equazione del fascio improprio di rette di base s con parametro k
190
7.11. PROBLEMI SULL’IPERBOLE
2. si scrive il sistema formato dalle equazioni del fascio e dell’iperbole
3. si determina l’equazione risolvente
4. si calcola il discriminante
5. si pone il discriminante uguale a 0 e si risolve l’equazione ottenuta nell’incognita k
6. si sostituiscono i valori di k trovati nell’equazione del fascio
7.11
Problemi sull’iperbole
Per determinare l’equazione di un’iperbole è necessario determinare i valori di a, b nell’equax2 y 2
x2 y 2
zione 2 − 2 = 1 o nell’equazione 2 − 2 = −1. È quindi necessario risolvere un sistema
a
b
a
b
formato da due equazioni in due incognite.
Per scrivere le equazioni:
• si può utilizzare la formula riguardante il fuoco
c 2 = a2 + b 2
• si possono utilizzare le formule dell’eccentricità
c
e=
a
oppure
c
e=
b
• si possono utilizzare le equazioni degli asintoti
b
b
y = − x, y = x
a
a
• si possono sostituire le coordinate di un punto nell’equazione dell’iperbole affinché
essa passi per quel punto.
• si può imporre che il discriminante dell’equazione risolvente del sistema di intersezione
tra la tangente e l’iperbole sia nullo.
7.12
Funzione omografica
Si dice funzione omografica la curva di equazione:
y=
ax + b
cx + d
con c 6= 0 e ad − bc 6= 0.
Si può dimostrare che la funzione omografica rappresenta un’iperbole equilatera con asintoti
d
a
x=− ey= .
c
c
191
CAPITOLO 7. IPERBOLE
7.13
Problemi sulla funzione omografica
Per determinare l’equazione di una funzione omografica è necessario determinare i valori di
ax + b
a, b, c, d nell’equazione y =
.
cx + d
Poiché c 6= 0 si possono dividere numeratore e denominatore per c ottenendo
b
a
x+
c
y= c
d
x+
c
y=
hx + k
x+l
È quindi necessario risolvere un sistema formato da tre equazioni in tre incognite.
Per scrivere le equazioni si possono utilizzare le equazioni degli asintoti. Si possono sostituire
le coordinate di un punto nell’equazione della funzione omografica affinché essa passi per
quel punto.
Si può imporre che il discriminante dell’equazione risolvente del sistema di intersezione tra
la tangente e la funzione omografica sia nullo.
192
Capitolo 8
Coniche
8.1
Introduzione
La parabola, la circonferenza, l’ellisse e l’iperbole si chiamano coniche: esse si possono
ottenere come intersezione tra un cono di rotazione e un piano non passante per il vertice
del cono.
Un cono di rotazione è una superficie generata da una retta, detta generatrice, che ruota
intorno ad un asse formando un angolo costante α.
Se indichiamo con β l’angolo formato dalla perpendicolare al piano con l’asse del cono, si
possono verificare i seguenti casi:
1. se β = 0, cioè il piano è perpendicolare all’asse, si ha una circonferenza
2. se 0 6 β <
π
− α, si ha un’ellisse
2
π
− α, si ha una parabola
2
π
4. se β > − α, si ha un’iperbole
2
3. se β =
Figura 8.1: coniche
193
CAPITOLO 8. CONICHE
8.2
Equazione generale di una conica
L’equazione di una conica è un’equazione di secondo grado in due incognite:
ax2 + bxy + cy 2 + dx + ey + f = 0
con a, b, c non contemporaneamente nulli.
Osservazione
L’equazione precedente non sempre rappresenta una conica a punti reali. Per esempio x2 +
y 2 + 1 = 0 è l’equazione di una circonferenza a punti non reali.
Iniziamo a considerare le equazioni in cui manca il termine xy:
ax2 + by 2 + cx + dy + e = 0
Da questa equazione come casi particolari si ottengono le curve già analizzate:
1. se a = b 6= 0 si ha una circonferenza
2. se a = 0 ∧ b 6= 0 ∧ c 6= 0 si può ricavare la x e ottenere la parabola con asse orrizontale
3. se b = 0 ∧ a 6= 0 ∧ d 6= 0 si può ricavare la y e ottenere la parabola con asse verticale
4. a 6= 0 ∧ b 6= 0, si ottengono ellissi o iperboli con assi di simmetria paralleli agli assi
cartesiani. In questi casi si utilizza il metodo del complemento del quadrato.
5. se il primo membro si può scomporre si hanno delle coniche degeneri che sono unioni
di rette.
8.3
Metodo alternativo per classificare le coniche
Per classificare una conica, oltre al metodo precedente si possono utilizzare i determinanti.
Data la conica di equazione
ax2 + bxy + cy 2 + dx + ey + f = 0
ad essa si possono associare due matrici:

B=
a


b


2

d
b
2
c
d
2


e


2



e
f
2 2
á
ë
b
a
2
A=
b
c
2
Se det(B) 6= 0, la conica non è degenere.
Se det(B) = 0 la conica è degenere.
Inoltre:
194
8.3. METODO ALTERNATIVO PER CLASSIFICARE LE CONICHE
• se det(A) > 0, la conica è un’ellisse
• se det(A) = 0, la conica è una parabola
• se det(A) < 0, la conica è un’iperbole
195
Capitolo 9
Disequazioni in due variabili
9.1
Soluzioni di una disequazione in due variabili
L’insieme delle soluzioni di una disequazioni in due variabili si può rappresentare graficamente con un sottoinsieme del piano cartesiano.
9.2
Disequazioni di primo grado
La forma normale di una disequazione di primo grado nelle incognite x, y ha una delle
seguenti forme
ax + by + c > 0
ax + by + c > 0
ax + by + c < 0
ax + by + c 6 0
dove a, b, c sono numeri reali con (a, b) 6= (0, 0); il dominio di tali disequazioni è R × R.
L’insieme delle soluzioni della disequazione si rappresenta graficamente con un semipiano
con o senza la frontiera.
Per risolvere queste disequazioni:
1. si trasforma la disequazione nella forma normale
2. si rappresenta graficamente la retta r di equazione ax + bx + c = 0 che è la frontiera
del semipiano
3. per determinare quale dei due semipiani di frontiera r rappresenta la soluzione della
disequazione, si sostituiscono le coordinate di un punto non appartenente a r nella
disequazione: se la disequazione è soddisfatta si considera il semipiano a cui appartiene
il punto, in caso contrario l’altro semipiano.
196
9.3. DISEQUAZIONI DI SECONDO GRADO
9.3
Disequazioni di secondo grado
La forma normale di una disequazione di secondo grado nelle incognite x, y ha una delle
seguenti forme
ax2 + bxy + cy 2 + dx + ey + f > 0
ax2 + bxy + cy 2 + dx + ey + f > 0
ax2 + bxy + cy 2 + dx + ey + f < 0
ax2 + bxy + cy 2 + dx + ey + f 6 0
dove a, b, c, d, e, f sono numeri reali con (a, b, c) 6= (0, 0, 0); il dominio di tali disequazioni è
R × R.
L’insieme delle soluzioni della disequazione si rappresenta graficamente con una delle due
regioni in cui il piano è diviso da una conica con o senza la conica.
Per risolvere queste disequazioni:
1. si trasforma la disequazione nella forma normale
2. si rappresenta graficamente la conica γ di equazione ax2 + bxy + cy 2 + dx + ey + f = 0
3. per determinare quale delle due regioni rappresenta la soluzione della disequazione, si
sostituiscono le coordinate di un punto non appartenente a γ nella disequazione: se
la disequazione è soddisfatta si considera la regione a cui appartiene il punto, in caso
contrario l’altra regione
9.4
Sistemi di disequazioni di primo grado
Un sistema di disequazioni di primo grado è formato da due o più disequazioni di primo
grado.
L’insieme delle soluzioni del sistema è l’intersezione degli insiemi delle soluzioni delle singole
disequazioni.
Per risolvere il sistema:
1. si rappresentano graficamente gli insiemi delle soluzioni delle singole disequazioni
2. si determina l’intersezione tra le frontiere
3. l’insieme delle soluzioni del sistema è l’intersezione degli insiemi delle soluzioni delle
singole disequazioni
9.5
Sistemi di disequazioni di grado superiore al primo
Un sistema di disequazioni di grado superiore al primo è formato da due o più disequazioni
di cui almeno una di grado superiore al primo.
L’insieme delle soluzioni del sistema è l’intersezione degli insiemi delle soluzioni delle singole
disequazioni.
Per risolvere il sistema:
197
CAPITOLO 9. DISEQUAZIONI IN DUE VARIABILI
1. si rappresentano graficamente gli insiemi delle soluzioni delle singole disequazioni
2. si determina l’intersezione tra le frontiere
3. l’insieme delle soluzioni del sistema è l’intersezione degli insiemi delle soluzioni delle
singole disequazioni
198
Capitolo 10
Funzioni goniometriche
10.1
Misura degli angoli
Per gli angoli si utilizzano due unità di misura: il grado (sessagesimale) e il radiante.
Definizione 10.1.1 (Grado).
Si dice grado (sessagesimale) e si indica con
giro.
◦
la trecentosesantesima parte di una angolo
Quindi un angolo giro misura 360◦ , un angolo piatto misura 180◦ e un angolo retto misura
90◦ .
Definizione 10.1.2 (Radiante).
Data un circonferenza con centro nel vertice di un angolo, si dice radiante e si indica con
rad l’angolo che stacca sulla circonferenza un arco uguale al raggio.
Osservazione
La definizione data è indipendente dal raggio della circonferenza.
Quindi un angolo giro misura 2π rad, un angolo piatto misura π rad e un angolo retto
π
misura rad.
2
Osservazione
Poiché la misura in radianti di un angolo è numericamente uguale alla lunghezza dell’arco
individuato su una circonferenza di raggio unitario, possiamo parlare indifferentemente di
angolo o di arco.
In seguito, per gli angoli espressi in radianti, ometteremo rad.
Per passare dalla misura in gradi a quella in radianti o viceversa si può utilizzare la seguente
proporzione:
misura in gradi : misura in radianti = 180◦ : π
10.2
Circonferenza goniometrica
Definizione 10.2.1 (Circonferenza goniometrica).
Dato un sistema di riferimento cartesiano OXY si dice circonferenza goniometrica la circonferenza con centro nell’origine e raggio 1.
199
CAPITOLO 10. FUNZIONI GONIOMETRICHE
La misura di un angolo α con vertice nell’origine e un lato coincidente con il semiasse
positivo delle ascisse, si considera positiva se il semiasse positivo delle ascisse si sovrappone
all’altro lato mediante una rotazione antioraria, negativa se la sovvrapposizione avviene con
una rotazione oraria.
10.3
Funzioni seno e coseno
Definizione 10.3.1 (Seno).
Dato l’angolo α con vertice nell’origine e un lato coincidente con il semiasse positivo delle
ascisse, si dice seno dell’angolo α e si indica con sin(α) l’ordinata del punto P di intersezione
tra l’altro lato e la circonferenza goniometrica.
Definizione 10.3.2 (Coseno).
Dato l’angolo α con vertice nell’origine e un lato coincidente con il semiasse positivo delle
ascisse, si dice coseno dell’angolo α e si indica con cos(α) l’ascissa del punto P di intersezione
tra l’altro lato e la circonferenza goniometrica.
Osservazioni
1. Se un angolo α individua il punto P sulla circonferenza goniometrica, allora l’angolo
α + 2kπ con k ∈ Z individua lo stesso punto P . Quindi, in base alle definizioni date:
∀ α ∈ R, k ∈ Z
sin(α + 2kπ) = sin(α)
cos(α + 2kπ) = cos(α)
Si dice che le funzioni seno e coseno sono periodiche di periodo 2π.
π
2. Se 0 < α < , P è nel primo quadrante e quindi il seno è positivo e il coseno
2
positivo.
π
Se
< α < π, P è nel secondo quadrante e quindi il seno è positivo e il coseno
2
negativo.
3
Se π < α < π, P è nel terzo quadrante e quindi il seno è negativo e il coseno
2
negativo.
3
Se π < α < 2π, P è nel quarto quadrante e quindi il seno è negativo e il coseno
2
positivo.
3. Dalle definizioni date segue che
−1 6 sin(α) 6 1 ∀α ∈ R
−1 6 cos(α) 6 1 ∀α ∈ R
200
è
è
è
è
10.3. FUNZIONI SENO E COSENO
10.3.1
Relazione fondamentale della goniometria
cos2 (α) + sin2 (α) = 1 ∀α ∈ R
Dalla relazione fondamentale si ricava:
»
cos(α) = ± 1 − sin2 (α)
e
»
sin(α) = ± 1 − cos2 (α)
La scelta del segno dipende dal valore dell’angolo α
10.3.2
Grafico della funzione seno
Poiché la funzione seno è periodica di periodo 2π, la rappresentiamo graficamente in [0, 2π]
e successivamente estendiamo il grafico.
π
6
1
sin(x) 0
2
x
0
π
4
√
2
2
π
3
√
3
2
π
3
π
π 2π
2
2
0 −1
1
0
y
1
x
π
2
O
3
π
2
π
2π
−1
Figura 10.1: sin(x)
y
1
x
−2π
− 32 π
−π
− π2
O
π
2
−1
Figura 10.2: sin(x)
201
π
3
π
2
2π
5
π
2
CAPITOLO 10. FUNZIONI GONIOMETRICHE
10.3.3
Grafico della funzione coseno
Poiché la funzione coseno è periodica di periodo 2π, la rappresentiamo graficamente in
[0, 2π] e successivamente estendiamo il grafico.
π
6
√
3
cos(x) 1
2
x
0
π
4
√
2
2
π
3
1
2
π
2
π
0 −1
3
π 2π
2
0
1
y
1
x
π
2
O
3
π
2
π
2π
−1
Figura 10.3: cos(x)
y
1
x
−2π
− 32 π
−π
− π2
O
π
2
π
3
π
2
2π
−1
Figura 10.4: cos(x)
10.4
Funzioni tangente e cotangente
Definizione 10.4.1 (Tangente).
Dato l’angolo α con vertice nell’origine e un lato coincidente con il semiasse positivo delle
ascisse, si dice tangente dell’angolo α e si indica con tan(α) l’ordinata del punto T di
intersezione tra la retta contenente l’altro lato e la tangente alla circonferenza goniometrica
nel punto A(1, 0).
Definizione 10.4.2 (Cotangente).
Dato l’angolo α con vertice nell’origine e un lato coincidente con il semiasse positivo delle
202
10.4. FUNZIONI TANGENTE E COTANGENTE
ascisse, si dice cotangente dell’angolo α e si indica con cot(α) l’ascissa del punto C di
intersezione tra la retta contenente l’altro lato e la tangente alla circonferenza goniometrica
nel punto B(0, 1).
Osservazioni
π
1. Se α = + kπ, k ∈ Z un lato dell’angolo e la tangente alla circonferenza goniometrica
2
nel punto A(1, 0) sono paralleli, quindi tan(α) non esiste.
2. Se α = kπ, k ∈ Z un lato dell’angolo e la tangente alla circonferenza goniometrica nel
punto B(0, 1) sono paralleli, quindi cot(α) non esiste.
Osservazioni
1. Se un angolo α individua il punto T sulla tangente alla circonferenza goniometrica nel
punto A(1, 0) allora l’angolo α + kπ con k ∈ Z individua lo stesso punto T . Quindi,
in base alle definizione data, indicando con
®
´
π
D = x ∈ R/x 6= + kπ, k ∈ Z
2
∀ α ∈ D, k ∈ Z
tan(α + kπ) = tan(α)
Si dice che la funzione tangente è periodica di periodo π
2. Se un angolo α individua il punto C sulla tangente alla circonferenza goniometrica nel
punto B(0, 1) allora l’angolo α + kπ con k ∈ Z individua lo stesso punto C. Quindi,
in base alle definizione data, indicando con
®
´
D = x ∈ R/x 6= kπ, k ∈ Z
∀ α ∈ D, k ∈ Z
cot(α + kπ) = cot(α)
Si dice che la funzione cotangente è periodica di periodo π
π
3. Se 0 < α < , T e C sono nel primo quadrante e quindi la tangente è positiva e
2
cotangente è positiva.
π
< α < π, T è nel quarto quadrante e C è nel secondo quadrante e quindi
Se
2
tangente è negativa e la cotangente è negativa.
3
Se π < α < π, T e C sono nel primo quadrante e quindi la tangente è positiva e
2
cotangente è positiva.
3
Se π < α < 2π, T è nel quarto quadrante e C è nel secondo quadrante e quindi
2
tangente è negativa e la cotangente è negativa.
203
la
la
la
la
CAPITOLO 10. FUNZIONI GONIOMETRICHE
10.4.1
tan(α) =
Relazioni della goniometria
sin(α)
π
∀α 6= + kπ
cos(α)
2
Osservazione
Il coefficiente angolare di una retta è la tangente dell’angolo che la retta forma con il semiasse positivo delle ascisse.
Dalla relazione precedente e da quella fondamentale possiamo esprimere il seno e coseno in
funzione della tangente.













π
1
∀α 6= + kπ
cos(α) = ± »
2
2
1 + tan (α)
π
tan(α)
∀α =
6
sin(α) = ± »
+ kπ
2
2
1 + tan (α)
La scelta del segno dipende dal valore dell’angolo α
cot(α) =
cos(α)
∀α 6= kπ
sin(α)
Se α 6= k
π
si ha
2
cot(α) =
cos(α)
1
=
sin(α)
tan(α)
10.4.2
Grafico della funzione tangente
Poiché
la funzione tangente è periodica di periodo π, la rappresentiamo graficamente in
ï
π ï òπ ò
0,
∪ , π e successivamente estendiamo il grafico.
2
2
π
6
√
3
tan(x) 0
3
x
0
π
4
π
π
3
√
1
3 0
204
10.4. FUNZIONI TANGENTE E COTANGENTE
y
4
3
2
1
x
π
2
O
π
−1
−2
−3
Figura 10.5: tan(x)
y
3
2
1
x
− 32 π
−π
− π2
O
π
2
π
3
π
2
−1
−2
−3
Figura 10.6: tan(x)
10.4.3
Grafico della funzione cotangente
Poiché la funzione cotangente è periodica di periodo π, la rappresentiamo graficamente in
]0, π[ e successivamente estendiamo il grafico.
π π
6 4
√
cot(x)
3 1
x
π
3
√
3
3
π
2
0
205
CAPITOLO 10. FUNZIONI GONIOMETRICHE
y
4
3
2
1
x
π
2
O
π
−1
−2
−3
−4
Figura 10.7: cot(x)
y
3
2
1
x
− 32 π
−π
− π2
O
π
2
π
3
π
2
−1
−2
−3
Figura 10.8: cot(x)
10.5
Funzioni secante e cosecante
Definizione 10.5.1 (Secante).
Dato l’angolo α con vertice nell’origine e un lato coincidente con il semiasse positivo delle
ascisse, sia P il punto di intersezione tra l’altro lato e la circonferenza goniometrica. Si
dice secante dell’angolo α e si indica con sec(α) l’ascissa del punto S di intersezione tra la
tangente alla circonferenza goniometrica nel punto P e l’asse delle ascisse
Definizione 10.5.2 (Cosecante).
Dato l’angolo α con vertice nell’origine e un lato coincidente con il semiasse positivo delle
206
10.5. FUNZIONI SECANTE E COSECANTE
ascisse, sia P il punto di intersezione tra l’altro lato e la circonferenza goniometrica. Si dice
cosecante dell’angolo α e si indica con csc(α) l’ordinata del punto C di intersezione tra la
tangente alla circonferenza goniometrica nel punto P e l’asse delle ordinate
Osservazioni
π
1. Se α = + kπ, k ∈ Z la tangente alla circonferenza goniometrica nel punto P e l’asse
2
delle ascisse sono paralleli, quindi sec(α) non esiste.
2. Se α = kπ, k ∈ Z la tangente alla circonferenza goniometrica nel punto P e l’asse delle
ordinate sono paralleli, quindi csc(α) non esiste.
Osservazione
Se un angolo α individua il punto S sull’asse delle ascisse allora l’angolo α + 2kπ con k ∈ Z
individua lo stesso punto S. Quindi, in base alle definizione data, indicando con
®
´
π
D = x ∈ R/x 6= + kπ, k ∈ Z
2
∀ α ∈ D, k ∈ Z
sec(α + 2kπ) = sec(α)
Se un angolo α individua il punto C sull’asse delle ordinate allora l’angolo α + 2kπ con
k ∈ Z individua lo stesso punto C. Quindi, in base alle definizione data, indicando con
®
´
D = x ∈ R/x 6= kπ, k ∈ Z
∀ α ∈ D, k ∈ Z
csc(α + 2kπ) = csc(α)
Si dice che le funzioni secante e cosecante sono periodiche di periodo 2π.
Osservazione
π
Se 0 < α < , S è nel semiasse positivo delle ascisse e C è nel semiasse positivo
2
ordinate e quindi la secante è positiva e la cosecante è positiva.
π
< α < π, S è nel semiasse negativo delle ascisse e C è nel semiasse positivo
Se
2
ordinate e quindi la secante è negativa e la cosecante è positiva.
3
Se π < α < π, S è nel semiasse negativo delle ascisse e C è nel semiasse negativo
2
ordinate e quindi la secante è negativa e la cosecante è negativa.
3
Se π < α < 2π, S è nel semiasse positivo delle ascisse e C è nel semiasse negativo
2
ordinate e quindi la secante è positiva e la cosecante è negativa.
10.5.1
Relazioni della goniometria
1
π
∀α 6= + kπ
cos(α)
2
1
csc(α) =
∀α =
6 kπ
sin(α)
sec(α) =
207
delle
delle
delle
delle
CAPITOLO 10. FUNZIONI GONIOMETRICHE
10.5.2
Grafico della funzione secante
Poiché
laô funzione
ñ ôsecanteôè periodica di periodo 2π, la rappresentiamo graficamente in
ï
π 3
3
πï
∪ , π ∪ π, 2π e successivamente estendiamo il grafico.
0,
2
2 2
2
π
π π
π 2π
6
4 3
√
2 3 √
sec(x) 1
2 2 −1 1
3
x
0
y
3
2
1
x
π
2
O
3
π
2
π
2π
−1
−2
−3
Figura 10.9: sec(x)
y
3
2
1
x
−2π
− 32 π
−π
− π2
π
2
O
−1
−2
−3
Figura 10.10: sec(x)
208
π
3
π
2
2π
10.5. FUNZIONI SECANTE E COSECANTE
10.5.3
Grafico della funzione cosecante
Poiché la funzione cosecante è periodica di periodo 2π, la rappresentiamo graficamente in
]0, π[ ∪ ]π, 2π[ e successivamente estendiamo il grafico.
π
π
4
3
√
√ 2 3
csc(x) 2
2
3
x
π
6
π
2
3
π
2
1 −1
y
3
2
1
x
O
π
2
3
π
2
π
2π
−1
−2
−3
Figura 10.11: csc(x)
y
3
2
1
x
−2π
− 32 π
−π
− π2
O
π
2
−1
−2
−3
Figura 10.12: csc(x)
209
π
3
π
2
2π
CAPITOLO 10. FUNZIONI GONIOMETRICHE
10.6
Dominio, codominio periodo e zeri delle funzioni
goniometriche
Per ciascuna delle funzioni goniometriche studiate, evidenziamo dominio, codominio e zeri.
Osservazione
Per zero di una funzione si intende ogni valore del dominio che la annulla.
Funzione Dominio
Codominio
Periodo Zeri
sin(x)
cos(x)
[−1, 1]
[−1, 1]
2π
2π
R
π
R
π
R
R
®
tan(x)
´
π
x ∈ R/x 6= + kπ, k ∈ Z
2
®
´
x ∈ R/x 6= kπ, k ∈ Z
cot(x)
´
®
sec(x)
csc(x)
π
x ∈ R/x 6= + kπ, k ∈ Z
2
®
´
x ∈ R/x 6= kπ, k ∈ Z
] − ∞, −1] ∪ [1, +∞[ 2π
] − ∞, −1] ∪ [1, +∞[ 2π
210
kπ
π
+ kπ
2
kπ
π
+ kπ
2
Capitolo 11
Formule goniometriche
11.1
Angoli associati
Determiniamo le funzioni goniometriche degli angoli associati ad un angolo α conoscendo
le funzioni goniometriche di α.
11.1.1
Angoli opposti: α, −α
1
Y
P
α
−1
X
1
O
−α
Q
−1
Figura 11.1: −α
sin (−α) = − sin (α)
cos (−α) = cos (α)
tan (−α) =
sin (−α)
− sin (α)
π
=
= − tan (α) con α 6= + kπ, k ∈ Z
cos (−α)
cos (α)
2
cot (−α) =
cos (−α)
cos (α)
=
= − cot (α) con α 6= kπ, k ∈ Z
sin (−α)
− sin (α)
211
CAPITOLO 11. FORMULE GONIOMETRICHE
11.1.2
Angoli complementari: α,
1
π
−α
2
Y
Q
P
α
−1
O
π
−α
2
X
1
−1
Figura 11.2:
π
−α
2
ã
π
− α = cos (α)
sin
2
Å
ã
π
cos
− α = sin (α)
2
Å
ã
π
sin
−α
π
cos (α)
Å2
ã =
tan
−α =
= cot (α) con α 6= kπ, k ∈ Z
π
2
sin (α)
cos
−α
2
Å
Å
ã
ã
π
−
α
sin (α)
π
π
Å2
ã =
cot
−α =
= tan (α) con α 6= + kπ, k ∈ Z
π
2
cos (α)
2
sin
−α
2
Å
ã
cos
Å
212
11.1. ANGOLI ASSOCIATI
11.1.3
Angoli che differiscono di un angolo retto: α,
Q
1
Y
π
−α
2
α
−1
π
+α
2
P
X
1
O
−1
Figura 11.3:
π
+α
2
ã
π
+ α = cos (α)
2
ã
Å
π
+ α = − sin (α)
cos
2
Å
ã
π
Å
ã
sin
+
α
cos (α)
π
ã =
Å2
tan
+α =
= − cot (α) con α 6= kπ, k ∈ Z
π
2
− sin (α)
+α
cos
2
Å
ã
π
Å
ã
cos
+α
− sin (α)
π
π
ã =
Å2
cot
+α =
= − tan (α) con α 6= + kπ, k ∈ Z
π
2
cos (α)
2
+α
sin
2
sin
Å
11.1.4
Angoli supplementari: α, π − α
1
Q
Y
π−α
P
α
−1
O
−1
Figura 11.4: π − α
213
X
1
CAPITOLO 11. FORMULE GONIOMETRICHE
sin (π − α) = sin (α)
cos (π − α) = − cos (α)
tan (π − α) =
sin (π − α)
sin (α)
π
=
= − tan (α) con α 6= + kπ, k ∈ Z
cos (π − α)
− cos (α)
2
cot (π − α) =
cos (π − α)
− cos (α)
=
= − cot (α) con α 6= kπ, k ∈ Z
sin (π − α)
sin (α)
11.1.5
Angoli che differiscono di un angolo piatto: α, π + α
1
Y
π+α
P
α
−1
X
1
O
Q
−1
Figura 11.5: π + α
sin (π + α) = − sin (α)
cos (π + α) = − cos (α)
tan (π + α) =
sin (π + α)
− sin (α)
π
=
= tan (α) con α 6= + kπ, k ∈ Z
cos (π + α)
− cos (α)
2
cot (π + α) =
cos (π + α)
− cos (α)
=
= cot (α) con α 6= kπ, k ∈ Z
sin (π + α)
− sin (α)
214
11.1. ANGOLI ASSOCIATI
11.1.6
3
Angoli la cui somma è il triplo di un angolo retto: α, π − α
2
1
Y
3
π−α P
2
α
−1
X
1
O
Q
−1
Figura 11.6:
Ç
å
Ç
å
3
π−α
2
3
π − α = − cos (α)
sin
2
3
cos
π − α = − sin (α)
2
Ç
å
Ç
å
3
Ç
å
sin
π−α
3
− cos (α)
2
Ç
å =
tan
π−α =
= cot (α) con α 6= kπ, k ∈ Z
3
2
− sin (α)
cos
π−α
2
3
Ç
å
cos
π−α
3
− sin (α)
π
2
Ç
å =
π−α =
= tan (α) con α 6= + kπ, k ∈ Z
cot
3
2
− cos (α)
2
sin
π−α
2
215
CAPITOLO 11. FORMULE GONIOMETRICHE
11.1.7
3
Angoli che differiscono del triplo di un angolo retto: α, π +
2
α
1
Y
3
π+α P
2
α
−1
X
1
O
Q
−1
Figura 11.7:
Ç
3
π+α
2
å
3
sin
π + α = − cos (α)
2
å
Ç
3
π + α = sin (α)
cos
2
å
Ç
3
Ç
å
π+α
sin
3
− cos (α)
2
Ç
å =
tan
π+α =
= − cot (α) con α 6= kπ, k ∈ Z
3
2
sin (α)
cos
π+α
2
Ç
å
3
Ç
å
cos
π+α
3
sin (α)
π
2
Ç
å =
cot
π+α =
= − tan (α) con α 6= + kπ, k ∈ Z
3
2
− cos (α)
2
sin
π+α
2
11.2
Formule di addizione e sottrazione
cos(α − β) = cos(α) cos(β) + sin(α) sin(β)
cos(α + β) = cos(α) cos(β) − sin(α) sin(β)
sin (α − β) = sin (α) cos (β) − cos (α) sin (β)
sin(α + β) = sin(α) cos(β) + cos(α) sin(β)
tan (α − β) =
tan (α) − tan (β)
π
con α, β, α − β 6= + kπ, k ∈ Z
1 + tan (α) tan (β)
2
tan (α + β) =
tan (α) + tan (β)
π
con α, β, α + β 6= + kπ, k ∈ Z
1 − tan (α) tan (β)
2
216
11.3. FORMULE DI DUPLICAZIONE
cot (α − β) =
cot (α) cot (β) + 1
con α, β, α − β 6= kπ, k ∈ Z
cot (β) − cot (α)
cot (α + β) =
cot (α) cot (β) − 1
con α, β, α + β 6= kπ, k ∈ Z
cot (α) + cot (β)
11.2.1
Tangente angolo formato da due rette incidenti
m − m0
tan(γ) =
1 + mm0
Se tan(γ) è positivo, γ è l’angolo acuto formato dalle due rette, se tan(γ) è negativo γ è
l’angolo ottuso formato dalle due rette.
11.3
Formule di duplicazione
sin (2α) = 2 sin (α) cos (α)
cos (2α) = cos2 (α) − sin2 (α)
Poiché cos2 (α) = 1 − sin2 (α) si ha:
cos (2α) = 1 − 2 sin2 (α)
Poiché sin2 (α) = 1 − cos2 (α) si ha:
cos (2α) = 2 cos2 (α) − 1
tan (2α) =
2 tan (α)
π
π
π
con α 6= + kπ, α 6= + k , k ∈ Z
2
1 − tan (α)
2
4
2
cot2 (α) − 1
π
cot (2α) =
con α 6= k , k ∈ Z
2 cot (α)
2
11.4
Formule di bisezione
s
α
1 − cos(α)
sin
=±
2
2
Å ã
La scelta del segno dipende dal valore dell’angolo
α
2
s
1 + cos(α)
α
cos
=±
2
2
Å ã
La scelta del segno dipende dal valore dell’angolo
tan
cot
α
sin (α)
=
con α 6= π + 2kπ, k ∈ Z
2
1 + cos (α)
Å ã
α
sin (α)
=
con α 6= 2kπ, k ∈ Z
2
1 − cos (α)
Å ã
217
α
2
CAPITOLO 11. FORMULE GONIOMETRICHE
11.5
Formule parametriche razionali
Å ã
2t
α
sin (α) =
, α 6= π + 2kπ, k ∈ Z
con t = tan
2
1+t
2
11.5.1
Parametriche del coseno
Å ã
1 − t2
α
, α 6= π + 2kπ, k ∈ Z
cos (α) =
con t = tan
2
1+t
2
11.5.2
Parametriche della tangente
Å ã
2t
π
α
tan (α) =
, α 6= π + 2kπ, α 6= + kπ, k ∈ Z
con t = tan
2
1−t
2
2
cot (α) =
Å ã
α
1 − t2
con t = tan
, α 6= kπ, k ∈ Z
2t
2
11.6
Formule di Werner
1
(sin (α + β) + sin (α − β))
2
1
cos (α) sin (β) = (sin (α + β) − sin (α − β))
2
1
cos (α) cos (β) = (cos (α + β) + cos (α − β))
2
1
sin (α) sin (β) = − (cos (α + β) − cos (α − β))
2
sin (α) cos (β) =
11.7
Formule di Prostaferesi
Å
p + qã
p − qã
sin (p) + sin (q) = 2 sin
cos
2
2
ã
Å
Å
p − qã
p+q
sin
sin (p) − sin (q) = 2 cos
2
2
Å
Å
p + qã
p − qã
cos (p) + cos (q) = 2 cos
cos
2
2
Å
ã
Å
p+q
p − qã
cos (p) − cos (q) = −2 sin
sin
2
2
Å
218
Capitolo 12
Equazioni goniometriche
12.1
Introduzione
Definizione 12.1.1 (Identità goniometrica).
Si dice identità goniometrica un’equazione goniometrica verificata per ogni valore appartenente al dominio
Per risolvere alcune equazioni goniometriche si devono utilizzare le funzioni inverse delle
funzioni goniometriche.
12.2
Funzioni inverse
12.2.1
Arcoseno
Determiniamo la funzione inversa di
g:R→R
g (x) = sin (x)
La funzione g non è biiettiva.
ô
ñ
π π
→ [−1, 1]
g: − ,
2 2
g (x) = sin (x)
La funzione g è biiettiva, quindi esiste la funzione inversa g −1 = f :
ñ
π π
f : [−1, 1] → − ,
2 2
ô
f (x) = arcsin (x)
D = [−1, 1]
ñ
π π
f (D) = − ,
2 2
ô
219
CAPITOLO 12. EQUAZIONI GONIOMETRICHE
Il grafico di f è il simmetrico rispetto alla bisettrice del primo e terzo quadrante del grafico
di g(x) = sin(x)
Å
π ã
, 1 alla retta y = 1
Poiché il grafico del seno è tangente in O(0, 0) alla retta y = x, in A
2
Å
ã
π
e in B − , −1 alla retta y = −1, il grafico dell’arcoseno è tangente in O(0, 0) alla retta
2 Å
Å
πã
πã
alla retta x = 1 e in B1 −1, −
alla retta x = −1.
y = x, in A1 1,
2
2
Inoltre
ï
π πò
arcsin(sin(x)) = x ∀x ∈ − ,
2 2
sin(arcsin(x)) = x ∀x ∈ [−1, 1]
π
2
y
x
−1
O
1
− π2
Figura 12.1: grafico di f (x) = arcsin (x)
Osservazione
arcsin(−x) = − arcsin(x) ∀x ∈ [−1, 1]
12.2.2
Arcocoseno
Determiniamo la funzione inversa di
g:R→R
g (x) = cos (x)
La funzione g non è biiettiva.
g : [0, π] → [−1, 1]
g (x) = cos (x)
La funzione g è biiettiva, quindi esiste la funzione inversa g −1 = f :
f : [−1, 1] → [0, π]
220
12.2. FUNZIONI INVERSE
f (x) = arccos (x)
D = [−1, 1]
f (D) = [0, π]
Il grafico di f è il simmetrico rispetto alla bisettrice del primo e terzo quadrante del grafico
di g(x) = cos(x)
Å
π
π ã
, 0 alla retta y = −x + , in A (0, 1) alla
Poiché il grafico del coseno è tangente in C
2
2
retta
y
=
1
e
in
B
(3.14,
−1)
alla
retta
y
=
−1,
il
grafico
dell’arcocoseno
è tangente in
Å
π
πã
alla retta y = −x + , in A1 (1, 0) alla retta x = 1 e in B1 (−1, π) alla retta
C1 0,
2
2
x = −1.
Inoltre
arccos(cos(x)) = x ∀x ∈ [0, π]
cos(arccos(x)) = x ∀x ∈ [−1, 1]
Dato y = arcsin(x) si ha
x = sin(y) = cos
Å
ã
π
−y
2
ãã
π
π
π
arccos(x) = arccos(sin(y)) = arccos cos
− y = − y = − arcsin(x)
2
2
2
quindi
Å
arccos(x) =
Å
π
− arcsin(x) ∀x ∈ [−1, 1]
2
π
y
x
−1
O
1
Figura 12.2: grafico di f (x) = arccos (x)
Osservazione
arccos(−x) = π − arccos(x) ∀x ∈ [−1, 1]
221
CAPITOLO 12. EQUAZIONI GONIOMETRICHE
12.2.3
Arcotangente
Determiniamo la funzione inversa di
g : Dg → R
g (x) = tan (x)
®
´
π
Dg = x ∈ R/x 6= + kπ, k ∈ Z
2
La funzione g non è biiettiva.
ñ
ô
π π
→R
g: − ,
2 2
g (x) = tan (x)
La funzione g è biiettiva, quindi esiste la funzione inversa g −1 = f :
ô
π π
f :R→ − ,
2 2
ñ
f (x) = arctan (x)
D=R
ô
ñ
π π
f (D) = − ,
2 2
Il grafico di f è il simmetrico rispetto alla bisettrice del primo e terzo quadrante del grafico
di g(x) = tan(x)
Poiché il grafico della tangente è tangente in O(0, 0) alla retta y = x, il grafico dell’arcotangente è tangente in O(0, 0) alla retta y = x.
Inoltre
ò
π πï
arctan(tan(x)) = x ∀x ∈ − ,
2 2
tan(arctan(x)) = x ∀x ∈ R
y
π
2
x
−4
−3
−2
−1
O
1
2
3
− π2
Figura 12.3: grafico di f (x) = arctan (x)
Osservazione
arctan(−x) = − arctan(x) ∀x ∈ R
222
12.2. FUNZIONI INVERSE
12.2.4
Arcocotangente
Determiniamo la funzione inversa di
g : Dg → R
g (x) = cot (x)
Dg = {x ∈ R/x 6= kπ, k ∈ Z}
La funzione g non è biiettiva.
g : ]0, π[ → R
g (x) = cot (x)
La funzione g è biiettiva, quindi esiste la funzione inversa g −1 = f :
f : R → ]0, π[
f (x) = arccot (x)
D=R
f (D) = ]0, π[
Il grafico di f è il simmetrico rispetto alla bisettrice del primo e terzo quadrante del grafico
di g(x) = cot(x)
Å
π
π ã
, 0 alla retta y = −x + , il grafico
Poiché il grafico della cotangente è tangente in A
2
2
Å
πã
π
dell’arcocotangente è tangente in A1 0,
alla retta y = −x + .
2
2
Inoltre
arccot(cot(x)) = x ∀x ∈]0, π[
cot(arccot(x)) = x ∀x ∈ R
Dato y = arctan(x) si ha
ã
π
x = tan(y) = cot
−y
2
Å
ãã
π
π
π
arccot(x) = arccot(tan(y)) = arccot cot
− y = − y = − arctan(x)
2
2
2
Å
quindi
arccot(x) =
π
− arctan(x) con x ∈ R
2
223
Å
CAPITOLO 12. EQUAZIONI GONIOMETRICHE
π
y
π
2
x
−6
−5
−4
−3
−2
−1
O
1
2
3
4
Figura 12.4: grafico di f (x) = arccot (x)
Osservazione
arccot(−x) = − arccot(x) ∀x ∈ R
12.3
12.3.1
Equazioni goniometriche elementari
sin (x) = a
Per risolvere l’equazione sin(x) = a in modo analitico si analizza il valore di a:
• Se a < −1 ∨ a > 1 l’equazione è impossibile.
• Se −1 6 a 6 1 si determina un angolo α tale che sin(α) = a; le soluzioni sono
x = α + 2kπ ∨ x = π − α + 2kπ, k ∈ Z
Osservazione
Se nell’equazione sin(x) = a si ha −1 6 a < 0 si può determinare un angolo β tale che
sin(β) = |a|; posto α = −β le soluzioni sono
x = α + 2kπ ∨ x = π − α + 2kπ, k ∈ Z
12.3.2
cos (x) = a
Per risolvere l’equazione cos(x) = a in modo analitico si analizza il valore di a:
• Se a < −1 ∨ a > 1 l’equazione è impossibile.
• Se −1 6 a 6 1 si determina un angolo α tale che cos(α) = a; le soluzioni sono
x = α + 2kπ ∨ x = −α + 2kπ, k ∈ Z
Osservazione
Se nell’equazione cos(x) = a si ha −1 6 a < 0 si può determinare un angolo β tale che
cos(β) = |a|; posto α = π − β le soluzioni sono
x = α + 2kπ ∨ x = −α + 2kπ, k ∈ Z
224
12.4. EQUAZIONI LINEARI IN SENO E COSENO
12.3.3
tan (x) = a
Per risolvere l’equazione tan(x) = a analiticamente, si scrivono le condizioni di esistenza
π
x 6= + kπ e si determina un angolo α tale che tan(α) = a; le soluzioni sono
2
x = α + kπ, k ∈ Z
Osservazione
Se nell’equazione tan(x) = a si ha a < 0 si può determinare un angolo β tale che tan(β) =
|a|; posto α = −β le soluzioni sono
x = α + kπ, k ∈ Z
12.3.4
cot (x) = a
Per risolvere l’equazione cot(x) = a in modo analitico si scrivono le condizioni di esistenza
x 6= kπ e si determina un angolo α tale che cot(α) = a; le soluzioni sono
x = α + kπ, k ∈ Z
Osservazione
Se nell’equazione cot(x) = a si ha a < 0 si può determinare un angolo β tale che cot(β) = |a|;
posto α = −β le soluzioni sono
x = α + kπ, k ∈ Z
12.4
Equazioni lineari in seno e coseno
Un’equazione goniometrica si dice lineare in seno e coseno se è della forma
a sin(x) + b cos(x) + c = 0
Se a = 0 ∨ b = 0 si ottengono le equazioni goniometriche elementari già analizzate.
Consideriamo il caso in cui a 6= 0 ∧ b 6= 0.
Per risolvere questo tipo di equazioni si possono utilizzare tre metodi.
12.4.1
Risoluzione con il metodo dell’angolo aggiunto
Data l’equazione
a sin(x) + b cos(x) + c = 0
dividiamo entrambi i membri per
√
√
a2 + b 2
a
b
c
sin(x) + √ 2
cos(x) + √ 2
=0
2
2
+b
a +b
a + b2
a2
225
CAPITOLO 12. EQUAZIONI GONIOMETRICHE
si determina l’angolo α tale che
a
b
cos(α) = √ 2
, sin(α) = √ 2
2
a +b
a + b2
sostituendo si ha:
c
=0
sin(x) cos(α) + cos(x) sin(α) + √ 2
a + b2
c
+ b2
Abbiamo ottenuto un’equazione elementare.
sin(x + α) = − √
12.4.2
a2
Risoluzione con le formule parametriche
Data l’equazione
a sin(x) + b cos(x) + c = 0
per risolverla utilizzando le formule parametriche:
1. si verifica se x = π + 2kπ sono soluzioni
2. si pone sin(x) =
2t
1 − t2
e
cos(x)
=
con x 6= π + 2kπ
1 + t2
1 + t2
3. si risolve l’equazione nell’incognita t
4. si sostituisce t con tan
12.5
x
e si risolve l’equazione ottenuta nell’incognita x
2
Å ã
Equazioni omogenee in seno e coseno
Un’equazione in seno e coseno si dice omogenea se tutti i termini hanno lo stesso grado:
a sin(x) + b cos(x) = 0
è un’equazione omogenea di primo grado
a sin2 (x) + b sin(x) cos(x) + c cos2 (x) = 0
è un’equazione omogenea di secondo grado, ecc.
Per risolvere un’equazione omogenea di grado n:
1. se è presente il termine cosn (x), i valori kπ non sono soluzioni, si dividono entrambi i
membri per sinn (x) e si risolve l’equazione ottenuta in cot(x)
π
+kπ non sono soluzioni, si dividono entrambi
2
n
i membri per cos (x) e si risolve l’equazione ottenuta in tan(x)
2. se è presente il termine sinn (x), i valori
226
12.6. EQUAZIONI RICONDUCIBILI A OMOGENEE
12.6
Equazioni riconducibili a omogenee
Poiché sin2 (x) + cos2 (x) = 1, un’equazione del tipo
a sin2 (x) + b sin(x) cos(x) + c cos2 (x) + d = 0
si può trasformare in omogenea moltiplicando d per sin2 (x) + cos2 (x)
227
Capitolo 13
Disequazioni goniometriche
13.1
13.1.1
Disequazioni elementari
sin (x) > a
Per risolvere la disequazione sin(x) > a si rappresenta la circonferenza goniometrica e la
retta r : Y = a.
1
r
Y
Q
P
π−α
α
−1
X
1
O
−1
Figura 13.1: sin(x) = a
Le soluzioni sono gli angoli individuati dai punti della circonferenza con ordinata maggiore
di a
13.1.2
cos (x) > a
Per risolvere la disequazione cos(x) > a si rappresenta la circonferenza goniometrica e la
retta r : X = a.
228
13.1. DISEQUAZIONI ELEMENTARI
1
Y
r
P
α
−1
X
1
O
−α
Q
−1
Figura 13.2: cos(x) = a
Le soluzioni sono gli angoli individuati dai punti della circonferenza con ascissa maggiore
di a
13.1.3
tan (x) > a
π
Per risolvere la disequazione tan(x) > a, si scrive la condizione di esistenza x 6= + kπ,
2
si rappresentano la circonferenza goniometrica, la tangente t alla circonferenza nel punto
A(1, 0) e la retta r : Y = a.
1
Y
t
P
r
π−α
−1
α
O
X
1
−1
Figura 13.3: tan(x) = a
La retta r interseca la tangente t nel punto P che individua gli angoli α e π + α.
Le soluzioni sono gli angoli individuati dai punti della tangente t con ordinata maggiore di
a.
229
CAPITOLO 13. DISEQUAZIONI GONIOMETRICHE
13.1.4
cot (x) > a
Per risolvere graficamente la disequazione cot(x) > a, si scrive la condizione di esistenza
x 6= kπ, si rappresentano la circonferenza goniometrica, la tangente t alla circonferenza nel
punto B(0, 1) e la retta r : X = a.
Y
r
1B
t
P
π+α
α
−1
X
1
O
−1
Figura 13.4: cot(x) = a
La retta r interseca la tangente t nel punto P che individua gli angoli α e π + α.
Le soluzioni sono gli angoli individuati dai punti della tangente t con ascissa maggiore di a.
13.2
Disequazioni di secondo grado in una funzione goniometrica
Per risolvere una disequazione di secondo grado in una funzione goniometrica:
1. si risolve la disequazione considerando come incognita la funzione goniometrica
2. si risolvono le disequazioni elementari ottenute sulla stessa circonferenza goniometrica
3. si scrivono le soluzioni
13.3
Disequazioni fratte e scomponibili in fattori
Consideriamo, disequazioni goniometriche fratte.
Per risolvere questo tipo di disequazioni:
1. si trasforma la disequazione in forma normale
2. si scompongono il numeratore e il denominatore
3. si scrivono le condizioni di esistenza
230
13.4. DISEQUAZIONI LINEARI IN SENO E COSENO
4. si rappresentano le condizioni di esistenza su circonferenze concentriche scrivendo ×
dove non sono soddisfatte
5. si studia il segno di ogni fattore ponendolo maggiore di 0
6. si rappresenta il segno di ogni fattore su circonferenze concentriche tracciando una linea continua dove il fattore è positivo, una linea tratteggiata dove è negativo, scrivendo
0 dove è nullo
7. si applica la regola dei segni
8. si evidenzia ciò che è richiesto dalla disequazione
9. si scrive la soluzione
13.4
Disequazioni lineari in seno e coseno
Una disequazione goniometrica si dice lineare in seno e coseno se è della forma
a sin(x) + b cos(x) + c > 0
oppure
a sin(x) + b cos(x) + c > 0
oppure
a sin(x) + b cos(x) + c < 0
oppure
a sin(x) + b cos(x) + c 6 0
Se a = 0 ∨ b = 0 si ottengono le disequazioni goniometriche elementari già analizzate.
Consideriamo il caso in cui a 6= 0 ∧ b 6= 0.
Per risolvere questo tipo di disequazioni si possono utilizzare tre metodi.
13.4.1
Risoluzione con il metodo dell’angolo aggiunto
Data la disequazione
a sin(x) + b cos(x) + c > 0
dividiamo entrambi i membri per
√
√
a2 + b 2
a
b
c
sin(x) + √ 2
cos(x) + √ 2
=0
2
2
+b
a +b
a + b2
a2
esiste un angolo α tale che
cos(α) = √
a
b
, sin(α) = √ 2
2
+b
a + b2
a2
231
CAPITOLO 13. DISEQUAZIONI GONIOMETRICHE
sostituendo si ha:
c
sin(x) cos(α) + cos(x) sin(α) + √ 2
>0
a + b2
c
+ b2
Abbiamo ottenuto una disequazione elementare.
Con gli altri simboli di disuguaglianza si procede analogamente.
sin(x + α) > − √
13.4.2
a2
Risoluzione con le formule parametriche
Data la disequazione
a sin(x) + b cos(x) + c > 0
per risolverla utilizzando le formule parametriche:
1. si verifica se x = π + 2kπ sono soluzioni
2. si pone sin(x) =
2t
1 − t2
e
cos(x)
=
con x 6= π + 2kπ
1 + t2
1 + t2
3. si risolve la disequazione nell’incognita t
4. si sostituisce t con tan
x
e si risolvono le disequazioni ottenute.
2
Å ã
Con gli altri simboli di disuguaglianza si procede analogamente.
13.5
Disequazioni omogenee in seno e coseno
Una disequazione in seno e coseno si dice omogenea se tutti i termini hanno lo stesso grado:
a sin(x) + b cos(x) > 0
è una disequazione omogenea di primo grado
a sin2 (x) + b sin(x) cos(x) + c cos2 (x) > 0
è una disequazione omogenea di secondo grado, ecc.
Il metodo per risolvere questo tipo di disequazione varia se il grado è pari o dispari
13.5.1
Grado pari
Per risolvere una disequazione omogenea di grado n pari:
1. si controlla se −
π
π
+ 2kπ e + 2kπ sono soluzioni
2
2
2. si dividono entrambi i membri per cosn (x) e si risolve la disequazione ottenuta
232
13.5. DISEQUAZIONI OMOGENEE IN SENO E COSENO
13.5.2
Grado dispari
Una disequazione omogenea di primo grado, è una disequazione lineare e si risolve con i
metodi visti per questo tipo di disequazioni.
Per risolvere una disequazione omogenea di grado n > 1 dispari:
1. si controlla se −
π
π
+ 2kπ e + 2kπ sono soluzioni
2
2
2. si raccoglie il fattore cosn (x) e si risolve la disequazione ottenuta
233
Capitolo 14
Trigonometria
14.1
Teoremi sui triangoli rettangoli
Teorema 14.1.1 (Teoremi sui triangoli rettangoli).
In un triangolo rettangolo:
• la misura di un cateto è uguale al prodotto di quella dell’ipotenusa per il coseno
dell’angolo acuto adiacente al cateto
• la misura di un cateto è uguale al prodotto di quella dell’ipotenusa per il seno
dell’angolo opposto al cateto
• la misura di un cateto è uguale al prodotto di quella dell’altro cateto per la tangente
dell’angolo opposto al primo cateto
Riassumendo, nel triangolo rettangolo ABC:
• b = a sin(β)
• b = a cos(γ)
• b = c tan(β)
• c = a cos(β)
• c = a sin(γ)
• c = b tan(γ)
234
14.2. AREA DI UN TRIANGOLO
B
a
C
β
c
α
γ
b
A
Figura 14.1: triangolo rettangolo
14.2
Area di un triangolo
Teorema 14.2.1 (Area di un triangolo).
L’area di un triangolo è uguale al semiprodotto delle misure di due lati per il seno dell’angolo
fra essi compreso.
14.3
Teorema della corda
Teorema 14.3.1 (Teorema della corda).
La lunghezza di una corda di una circonferenza è uguale al prodotto del diametro per il
seno di un angolo alla circonferenza che sottende la corda
14.4
Teorema dei seni
Teorema 14.4.1 (Teorema dei seni).
In un triangolo il rapporto tra la misura di un lato e il seno dell’angolo opposto è costante
ed è pari al diametro della circonferenza circoscritta
14.5
Teorema del coseno
Teorema 14.5.1 (Teorema del coseno o di Carnot).
In un triangolo il quadrato della misura di un lato è uguale alla somma dei quadrati delle
misure degli altri lati diminuita del doppio prodotto delle misure di questi lati per il coseno
dell’angolo fra essi compreso.
Osservazione
π
Se α = , cioè se il triangolo ABC è rettangolo si ha:
2
Å ã
π
2
2
2
a = b + c − 2bc cos
2
2
2
2
a =b +c
Abbiamo ottenuto il teorema di Pitagora
235
Parte IV
CLASSE QUARTA
236
Capitolo 1
Statistica
1.1
Indagine statistica
La statistica studia i fenomeni collettivi: cioè quei fenomeni che si possono determinare solo
attraverso molte osservazioni. Dato un fenomeno collettivo la statistica aiuta a descriverlo
sinteticamente e a trarre da esso conclusioni rispetto a fenomeni più ampi. Per ottenere
i dati si effettua un’indagine statistica. Se si considera l’intera popolazione, il fenomeno è
univocamente determinato e si devono solo analizzare i dati per descriverlo sinteticamente:
questa è la statistica descrittiva.
Se si considera solo un campione, il fenomeno non è univocamente determinato e, sulla base
dei dati del campione, si possono trarre indicazioni su tutta la popolazione: questa è la
statistica inferenziale.
Noi considereremo la statistica descrittiva.
1.2
Popolazione e unità statistica
Definizione 1.2.1 (Popolazione statistica).
Si dice popolazione statistica l’insieme su cui si studia il fenomeno
Definizione 1.2.2 (Unità statistica).
Si dice unità statistica ogni elemento della popolazione statistica
1.3
Caratteri statistici e modalità
Definizione 1.3.1 (Carattere statistico).
Si dice carattere una caratteristica che una unità statistica può avere
Definizione 1.3.2 (Modalità).
Si dice modalità il modo in cui un carattere si può presentare
1.3.1
Caratteri qualitativi o quantitativi
Definizione 1.3.3 (Carattere qualitativo).
Un carattere si dice qualitativo quando le sue modalità non sono dei numeri.
237
CAPITOLO 1. STATISTICA
Osservazione
Consideriamo qualitativi anche i caratteri giorni, mesi e anni.
Definizione 1.3.4 (Carattere qualitativo sconnesso).
Un carattere qualitativo si dice sconnesso quando le sue modalità non hanno un ordine
Definizione 1.3.5 (Carattere qualitativo ordinato).
Un carattere qualitativo si dice ordinato quando le sue modalità hanno un ordine
Esempio 1.3.1.
Sono caratteri qualitativi ordinati
• titolo di studio
• giorno della settimana
• anno
Definizione 1.3.6 (Carattere quantitativo).
Un carattere si dice quantitativo quando le sue modalità sono dei numeri.
Definizione 1.3.7 (Carattere quantitativo discreto).
Un carattere quantitativo si dice discreto se le sue modalità sono in numero finito o infinito
numerabile
Esempio 1.3.2.
Sono caratteri quantitativi discreti
• numero figli di una famiglia
• numero stanze di un appartamento
• numero di persone in coda a uno sportello
Definizione 1.3.8 (Carattere quantitativo continuo).
Un carattere quantitativo si dice continuo se le sue modalità appartengono a un intervallo
Esempio 1.3.3.
Sono caratteri quantitativi continui
• peso
• temperatura
• lunghezza
238
1.4. SERIE E SERIAZIONI
1.4
Serie e seriazioni
Definizione 1.4.1 (Serie statistica).
Si dice serie statistica l’insieme dei dati di un’indagine su un carattere quantitativo
Esempio 1.4.1.
I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono una serie statistica
Definizione 1.4.2 (Seriazione statistica).
Si dice seriazione statistica l’insieme dei dati di un’indagine su un carattere qualitativo
Esempio 1.4.2.
Le nazionalità di un insieme di 15 persone sono una seriazione statistica
1.5
Variabili e mutabili statistiche
Definizione 1.5.1 (Variabile statistica).
Si dice variabile statistica una funzione che a ciascuna unità statistica associa una modalità
di un determinato carattere quantitativo
Definizione 1.5.2 (Mutabile statistica).
Si dice mutabile statistica una funzione che a ciascuna unità statistica associa una modalità
di un determinato carattere qualitativo
Le variabili e le mutabili statistiche verranno indicate con le lettere X, Y, Z
Esempio 1.5.1.
Consideriamo una popolazione di 10 studenti e come carattere la classe di appartenenza.
Un esempio di mutabile statistica X è il seguente:
®
´
1
2
3
4
5
6
7
8
9 10
X=
3A 3E 3E 3E 3G 3A 3A 3G 3G 3G
1.6
Distribuzioni di frequenze
Definizione 1.6.1 (Frequenza (assoluta)).
Si dice frequenza (assoluta) di una modalità il numero di volte in cui tale modalità si
presenta
Definizione 1.6.2 (Frequenza relativa).
Si dice frequenza relativa di una modalità il rapporto tra la frequenza assoluta e il numero
di elementi della popolazione
Definizione 1.6.3 (Frequenza relativa percentuale).
Si dice frequenza relativa percentuale di una modalità la frequenza relativa moltiplicata per
100
Definizione 1.6.4 (Distribuzione di frequenze (assolute)).
Si dice distribuzione di frequenze (assolute) di una variabile o mutabile statistica X l’insieme
delle coppie formate dalle modalità e dalle frequenze assolute di quelle modalità
239
CAPITOLO 1. STATISTICA
Con abuso di linguaggio confonderemo la variabile o mutabile statistica con la sua distribuzione di frequenze assolute
®
x x . . . xk
X= 1 2
f1 f2 . . . fk
´
Definizione 1.6.5 (Distribuzione di frequenze relative).
Si dice distribuzione di frequenze relative di una variabile o mutabile statistica X l’insieme
delle coppie formate dalle modalità e dalle frequenze relative di quelle modalità
Con abuso di linguaggio confonderemo la variabile o mutabile statistica con la sua distribuzione di frequenze relative
®
x x . . . xk
X= 1 2
f1 f2 . . . fk
´
Osservazione
La somma delle frequenze relative di una variabile statistica è uguale a 1.
1.7
Distribuzioni di frequenze in classi
Nel caso di variabili statistiche continue molte osservazione hanno valori diversi e quindi le
frequenze assolute hanno valori vicini a 1. Con le variabili statistiche continue oppure con
variabili statistiche discrete con valori molto dispersi, è quindi opportuno raggruppare le
osservazioni in classi.
Ogni classe ha un limite inferiore e un limite superiore. L’ampiezza della classe è la differenza
tra il limite superiore e il limite inferiore. Il valore centrale della classe è la semisomma dei
limiti e ad esso vengono riferite tutte le osservazioni sulla classe. Per determinare l’ampiezza
delle classi:
1. si calcola il campo di variazione delle osservazioni, cioè la differenza tra il valore
maggiore e il valore minore.
2. si determina il numero di classi desiderate: normalmente compreso tra 5 e 10
3. l’ampiezza di ogni classe è il rapporto tra il campo di variazione e il numero di classi
In alcuni casi, le classi estreme possono avere ampiezza diversa dalle altre.
Definizione 1.7.1 (Frequenza (assoluta) di una classe).
Si dice frequenza (assoluta) di una classe il numero di elementi della classe.
Definizione 1.7.2 (Frequenza relativa di una classe).
Si dice frequenza relativa di una classe il rapporto tra la frequenza assoluta e il numero di
elementi della popolazione
Definizione 1.7.3 (Frequenza relativa percentuale di una classe).
Si dice frequenza relativa percentuale di una classe la frequenza relativa moltiplicata per
100
240
1.8. TABELLE
Definizione 1.7.4 (Distribuzione di frequenze (assolute) in classi).
Si dice distribuzione di frequenze (assolute) in classi di una variabile statistica X l’insieme
delle coppie formate dalle classi e dalle frequenze assolute di quelle classi
Definizione 1.7.5 (Distribuzione di frequenze relative in classi).
Si dice distribuzione di frequenze relative in classi di una variabile statistica X l’insieme
delle coppie formate dalle classi e dalle frequenze relative di quelle classi
Esempio 1.7.1.
In un indagine su 40 persone si sono rilevati i seguenti pesi:
64,5 56,7 58,9 65,5 70,5 85,4 70,0 72,5 57,7 63,5
43,5 45,7 74,5 46,5 52,4 68,3 70,5 77,3 60,0 82,5
67,4 67,8 47,5 55,7 52,8 56,2 57,5 55,2 49,9 75,6
70,5 72,5 87,6 53,5 73,5 65,7 77,2 80,0 87,5 57,7
Il valore minore è 43,5 e quello maggiore è 87,6
Possiamo considerare come valore minore 40 e valore maggiore 90.
50
= 5.
Il campo di variazione è: 90 − 40 = 50, se utilizziamo 5 classi, la loro ampiezza è
10
Le classi sono
]40, 50] ]50, 60] ]60, 70] ]70, 80] ]80, 90]
La distribuzione di frequenze assolute in classi della variabile statistica X= “peso” è:
®
´
]40, 50] ]50, 60] ]60, 70] ]70, 80] ]80, 90]
X=
5
12
8
11
4
La distribuzione di frequenze relative in classi della variabile statistica X= “peso” è:

]40, 50]
X=
1.8
5
40

]50, 60] ]60, 70] ]70, 80] ]80, 90]
12
8
11
4 
40
40
40
40
Tabelle
La distribuzione di frequenze molte volte viene rappresentata mediante una tabella. Spesso
si rappresentano contemporaneamente le frequenze assolute e quelle relative.
Esempio 1.8.1.
Se in gruppo di 32 persone ci sono 15 italiani, 10 francesi e 7 inglesi la tabella delle
distribuzione di frequenze assolute e relative della mutabile statistica X= “nazionalità”
è:
Nazionalità Frequenza assoluta Frequenza relativa
Italiana
15
Francese
10
Inglese
7
15
32
10
32
7
32
241
CAPITOLO 1. STATISTICA
1.9
Grafici
Le distribuzioni di frequenze possono anche essere visualizzate attraverso un grafico. La rappresentazione grafica perde in precisione ma si possono cogliere alcuni aspetti caratteristici
in modo immediato. Vedremo alcuni tipi di rappresentazioni grafiche.
1.9.1
Grafico a canne d’organo o ortogramma
Definizione 1.9.1 (Ortogramma).
Un grafico si dice a canne d’organo o ortogramma se è formato da k rettangoli non contigui
ciascuno con la stessa base e altezza pari alle frequenze assolute o relative delle k modalità
della variabile o mutabile statistica.
I rettangoli possono essere verticali o orizzontali e, se ci sono più variabili, si possono
utilizzare diversi colori e affiancare o impilare i rettangoli.
1.9.2
Diagrammi cartesiani
I diagrammi cartesiani si possono utilizzare per le variabili statistiche. Il diagramma è
costituito da punti che hanno per ascissa le modalità e per ordinata la corrispondente
frequenza. Le unità di misura degli assi sono generalmente diverse.
1.9.3
Diagramma a torta
Definizione 1.9.2 (Diagramma a torta).
Un grafico si dice diagramma a torta o a settori circolari se è formato da un cerchio suddiviso da raggi che formano angoli di ampiezza pari al prodotto della frequenza relativa
per 360, quindi l’area di ogni spicchio è proporzionale alla frequenza relativa della modalità
corrispondente.
Questo tipo di grafico si utilizza per rappresentare frequenze relative e frequenze relative
percentuali
1.9.4
Istogrammi
Definizione 1.9.3 (Istogramma).
Un grafico si dice istogramma se è formato da k rettangoli contigui ciascuno con base
coincidente con una classe e area proporzionale alla frequenza assoluta della classe.
Gli istogrammi si utilizzano per rappresentare distribuzioni di frequenza in classi. Le altezze
si trovano dividendo la frequenza per l’ampiezza della classe. Se le classi hanno la stessa
ampiezza l’altezza è proporzionale alla frequenza.
Definizione 1.9.4 (Poligono di frequenza).
Si dice poligono di frequenza la spezzata che unisce i punti medi delle basi superiori dei
rettangoli
242
1.10. FUNZIONE DI RIPARTIZIONE CUMULATIVA DELLE
FREQUENZE
Osservazione
Il poligono di frequenza si può anche estendere alle classi estreme aventi frequenza nulla.
Esempio 1.9.1.
Rappresentiamo con un istogramma e con il poligono di frequenza la distribuzione di
frequenze assolute della variabile statistica X= “peso” vista precedentemente.
18
PESO
16
14
12
10
8
6
4
2
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100
Figura 1.1: Istogramma
1.10
Funzione di ripartizione cumulativa delle frequenze
Definizione 1.10.1 (Funzione di ripartizione).
Si dice funzione di ripartizione (cumulativa delle frequenze) di una variabile statistica X la
funzione che associa a ogni x appartenente a R la somma delle frequenze relative associate
ai valori minori o uguali di x e si indica con F (x). In simboli
F (x) =
X
f xi
xi 6x
Esempio 1.10.1.
I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono:
5,7,6,6,5,7,8,9,7,8,8,7,5,4,3,7,3,8,9,6
La distribuzione di frequenze relative della variabile statistica X =“voto” è:


3
X=2
20
4
1
20
5
3
20
6
3
20
7
5
20
8
4
20

9
2
20
Determiniamo alcuni valori della funzione di ripartizione F
F (−5) = 0, F (2, 9) = 0, F (3) =
2
2
6
18
, F (3, 5) = , F (5) = , F (8) = , F (9) = 1, F (35) = 1
20
20
20
20
243
CAPITOLO 1. STATISTICA
Rappresentiamo graficamente la funzione di ripartizione F
1.4
y
1.2
1
0.8
0.6
0.4
0.2
x
−2
−1
O
1
2
3
4
5
6
7
8
9
Figura 1.2: funzione di ripartizione
1.11
Frequenza cumulata dal basso
Definizione 1.11.1 (Frequenza cumulata dal basso).
Data una variabile statistica X si dice frequenza cumulata dal basso di un valore o di una
classe la somma delle frequenze assolute associate ai valori minori o uguali di quel valore o
di quella classe
244
Capitolo 2
Valori medi statistici
2.1
Medie algebriche
Definizione 2.1.1 (Valore medio).
Si dice valore medio di una successione di n dati un qualsiasi valore x̄ compreso tra il dato
più piccolo e quello più grande cioè
xmin 6 x̄ 6 xmax
Questa definizione, data da Cauchy, non è utile da un punto di vista operativo. Utilizziamo
un’altra definizione di valor medio data da Chisini che soddisfa la definizione di Cauchy.
Definizione 2.1.2 (Valore medio).
Si dice valore medio di una successione di n dati x1 , . . . , xn rispetto a una funzione f (x1 , . . . , xn )
la costante M che soddisfa la seguente condizione:
f (x1 , . . . , xn ) = f (M, . . . , M )
Per applicare questa definizione si individua la funzione f e si determina il valore di M , cioè
quel valore costante che sostituito a tutti i dati mantiene invariato il valore della funzione.
A seconda della funzione scelta si avranno medie diverse.
2.1.1
Media aritmetica
Se come funzione f consideriamo la somma dei dati otteniamo la media aritmetica.
Definizione 2.1.3 (Media aritmetica).
Si dice media aritmetica di una successione di n dati x1 , . . . , xn quel valore M che sostituito
a tutti i dati lascia invariata la somma:
M + . . . + M = x1 + . . . + x n
nM = x1 + . . . + xn
x1 + . . . + xn
M=
n
n
X
1
M=
xi
n i=1
245
CAPITOLO 2. VALORI MEDI STATISTICI
Data la variabile statistica X con distribuzione
®
x x . . . xk
X= 1 2
f1 f2 . . . fk
´
la media aritmetica è
M=
x1 f 1 + . . . + xk f k
f1 + . . . + fk
e, indicando con n = f1 + . . . + fk , si ha
M=
k
1X
x i fi
n i=1
Se f1 , . . . , fk sono le frequenze relative, poiché f1 + . . . + fk = 1 si ha
M=
k
X
xi f i
i=1
Osservazione
Le frequenze fi si chiamano pesi e la media si dice ponderata
Osservazione
Se i dati sono distribuiti in classi per calcolare la media aritmetica e le medie successive, si
prendono come valori i valori centrali delle classi e come frequenze le frequenze delle classi.
Osservazione
La media aritmetica è il valor medio più usato e si dice semplicemente media.
Definizione 2.1.4 (Scarto).
Si dice scarto la differenza tra un valore e la media aritmetica
Teorema 2.1.1 (Scarto).
La somma degli scarti è 0
2.1.2
Media geometrica
Se come funzione f consideriamo il prodotto dei dati otteniamo la media geometrica.
Definizione 2.1.5 (Media geometrica).
Si dice media geometrica di una successione di n dati positivi x1 , . . . , xn quel valore MG che
sostituito a tutti i dati lascia invariato il prodotto:
MG · . . . · MG = x1 · . . . · xn
MGn = x1 · . . . · xn
√
MG = n x1 · . . . · xn
Ã
MG =
n
n
Y
xi
i=1
246
2.1. MEDIE ALGEBRICHE
Data la variabile statistica X con distribuzione
®
x x . . . xk
X= 1 2
f1 f2 . . . fk
´
la media geometrica è
MG =
q
f1 +...+fk
xf11 · . . . · xfkk
e, indicando con n = f1 + . . . + fk , si ha
Ã
MG =
n
k
Y
fi
xi
i=1
Se f1 , . . . , fk sono le frequenze relative, poiché f1 + . . . + fk = 1 si ha
MG =
k
Y
fi
xi
i=1
2.1.3
Media armonica
Se come funzione f consideriamo la somma dei reciproci dei dati otteniamo la media
armonica.
Definizione 2.1.6 (Media armonica).
Si dice media armonica di una successione di n dati positivi x1 , . . . , xn quel valore MA che
sostituito a tutti i dati lascia invariata la somma dei reciproci:
1
1
1
1
+ ... +
=
+ ... +
MA
MA
x1
xn
1
1
n
=
+ ... +
MA
x1
xn
n
MA =
1
1
+ ... +
x1
xn
n
MA = X
n
1
i=1 xi
Data la variabile statistica X con distribuzione
®
x x . . . xk
X= 1 2
f1 f2 . . . fk
´
la media armonica è
MA =
f1 + . . . + fk
f1
fk
+ ... +
x1
xk
247
CAPITOLO 2. VALORI MEDI STATISTICI
e, indicando con n = f1 + . . . + fk , si ha
n
MA = k
X fi
i=1 xi
Se f1 , . . . , fk sono le frequenze relative, poiché f1 + . . . + fk = 1 si ha
MA =
1
k
X
fi
i=1 xi
2.1.4
Media quadratica
Se come funzione f consideriamo la somma dei quadrati dei dati otteniamo la media
quadratica.
Definizione 2.1.7 (Media quadratica).
Si dice media quadratica di una successione di n dati x1 , . . . , xn quel valore MQ che sostituito
a tutti i dati lascia invariata la somma dei quadrati:
MQ2 + . . . + MQ2 = x21 + . . . + x2n
nMQ2 = x21 + . . . + x2n
s
x21 + . . . + x2n
n
Œ
n
X
x2
MQ =
i
i=1
MQ =
n
Data la variabile statistica X con distribuzione
®
x x . . . xk
X= 1 2
f1 f2 . . . fk
´
la media quadratica è
Ã
MQ =
x21 f1 + . . . + x2k fk
f1 + . . . + fk
e, indicando con n = f1 + . . . + fk , si ha
Œ
k
X
x2 f
i i
MQ =
i=1
n
Se f1 , . . . , fk sono le frequenze relative, poiché f1 + . . . + fk = 1 si ha
MQ =
k
X
x2 f
i i
i=1
248
2.2. MEDIE LASCHE
Teorema 2.1.2 (Medie algebriche).
Data una successione di n dati positivi x1 , . . . , xn si ha
MA 6 MG 6 M 6 MQ
2.2
Medie lasche
2.2.1
Moda
Le medie algebriche dipendono dai valori della distribuzione, la moda dipende solo dalla
frequenza dei dati e non dai dati stessi.
Definizione 2.2.1 (Moda).
Si dice moda di una successione di n dati x1 , . . . , xn il dato M o che ha frequenza maggiore
Osservazione
Se tutte le frequenze sono uguali la moda non esiste, se più dati hanno la frequenza maggiore
ci sono più mode
Osservazione
Se i dati sono distribuiti in classi con la stessa ampiezza si determina la classe modale cioè
quella che ha la massima frequenza.
Osservazione
La moda può essere usata anche per caratteri qualitativi e non è influenzata da valori
estremi.
2.2.2
Mediana
Definizione 2.2.2 (Mediana).
Si dice mediana M e di una successione ordinata di n dati x1 , . . . , xn il dato che occupa la
n+1
se n è dispari, la media aritmetica dei 2 dati
posizione centrale, cioè la posizione
2
n n
centrali, cioè di posizione e + 1 se n è pari.
2 2
Data la variabile statistica X con distribuzione
®
x x . . . xk
X= 1 2
f1 f2 . . . fk
´
con x1 , . . . , xk ordinati in modo crescente, per calcolare la mediana
1. si calcolano le frequenze cumulate
2. si calcola n = f1 + . . . + fk
3. se n è dispari la mediana è il dato corrispondente alla prima frequenza cumulata
n+1
maggiore o uguale a
; se n è pari la mediana è la media aritmetica dei 2 dati
2
n
corrispondenti rispettivamente alla prima frequenza cumulata maggiore o uguale a
2
n
e alla prima frequenza cumulata maggiore o uguale a + 1
2
249
CAPITOLO 2. VALORI MEDI STATISTICI
Osservazione
Se i dati sono distribuiti in classi si determina la classe mediana con il metodo delle frequenze
cumulate visto sopra La mediana non è influenzata da valori estremi.
250
Capitolo 3
Variabilità
3.1
Introduzione
Nello studio di un fenomeno statistico ai valori medi è bene associare dei valori che indichino
la dispersione dei dati. Questi valori si chiamano indici di dispersione o di variabilità e sono
dei numeri non negativi; valgono 0 se i dati sono tutti uguali; più i dati sono dispersi più
gli indici sono maggiori.
3.2
Campo di variazione
Definizione 3.2.1 (Campo di variazione).
Si dice campo di variazione di una successione di n dati x1 , . . . , xn la differenza tra il valore
maggiore e il valore minore
3.3
Varianza e deviazione standard
Definizione 3.3.1 (Varianza).
Si dice varianza di una successione di n dati x1 , . . . , xn la media del quadrato degli scarti.
In simboli
σ2 =
n
1X
(xi − M )2
n i=1
dove M è la media aritmetica.
Data la variabile statistica X con distribuzione
®
x x . . . xk
X= 1 2
f1 f2 . . . fk
´
indicando con n = f1 + . . . + fk , la varianza è
σ2 =
k
1X
(xi − M )2 fi
n i=1
251
CAPITOLO 3. VARIABILITÀ
Se f1 , . . . , fk sono le frequenze relative, poiché f1 + . . . + fk = 1 si ha
σ2 =
k
X
(xi − M )2 fi
i=1
Osservazione
Se i dati sono distribuiti in classi per calcolare la varianza si prendono come valori i valori
centrali delle classi e come frequenze le frequenze delle classi.
Teorema 3.3.1 (Varianza).
La varianza di una successione di n dati x1 , . . . , xn è la differenza tra la media dei quadrati
dei dati e il quadrato della media dei dati. In simboli
σ2 =
n
1X
x2 − M 2
n i=1 i
Definizione 3.3.2 (Deviazione standard).
Si dice deviazione standard o scarto quadratico medio di una successione di n dati x1 , . . . , xn
la radice quadrata della varianza. In simboli
Ã
σ=
n
1X
(xi − M )2
n i=1
3.4
Scarto semplice medio
Definizione 3.4.1 (Scarto semplice medio).
Si dice scarto semplice medio di una successione di n dati x1 , . . . , xn la media dei valori
assoluti degli scarti. In simboli
S=
n
1X
|xi − M |
n i=1
dove M è la media aritmetica.
Data la variabile statistica X con distribuzione
®
x x . . . xk
X= 1 2
f1 f2 . . . fk
´
indicando con n = f1 + . . . + fk , lo scarto semplice medio è
k
1X
S=
|xi − M | fi
n i=1
Se f1 , . . . , fk sono le frequenze relative, poiché f1 + . . . + fk = 1 si ha
S=
k
X
|xi − M | fi
i=1
Se i dati sono distribuiti in classi per calcolare lo scarto semplice medio si prendono come
valori i valori centrali delle classi e come frequenze le frequenze delle classi.
252
3.5. INDICI DI VARIABILITÀ RELATIVA
3.5
Indici di variabilità relativa
Finora abbiamo considerato indici di variabilità assoluta. Consideriamo ora indici di variabilità relativa dati dal rapporto tra un indice di variabilità assoluta e un valore medio.
L’indice di variabilità relativa più utilizzato è il coefficiente di variazione.
Definizione 3.5.1 (Coefficiente di variazione).
Si dice coefficiente di variazione di una successione di n dati x1 , . . . , xn il rapporto tra la
deviazione standard e la media aritmetica. In simboli
cv =
σ
M
3.6
Standardizzazione
Definizione 3.6.1 (dati standardizzati).
Una successione di n dati x1 , . . . , xn di dice standardizzata se ha media nulla e deviazione
standard 1
Teorema 3.6.1 (dati standardizzati).
Data una successione di n dati x1 , . . . , xn , con media M e deviazione standard σ, la successione
xn − M
x1 − M
,...,
σ
σ
è standardizzata
Definizione 3.6.2 (variabile statistica standardizzata).
Una variabile statistica X di dice standardizzata se ha media nulla e deviazione standard 1
Teorema 3.6.2 (variabile statistica standardizzata).
Data una variabile statistica
®
x x . . . xk
X= 1 2
f1 f2 . . . fk
´
con media M e deviazione standard σ, la variabile statistica

x

 1
Z=

−M
σ
f1
x2 − M
σ
f2
xk − M 

...
σ


...
fk

è standardizzata
3.7
Rapporti statistici
Definizione 3.7.1 (Rapporto statistico).
Si chiama rapporto statistico il rapporto tra due dati di cui almeno uno statistico.
253
CAPITOLO 3. VARIABILITÀ
3.7.1
Rapporti di composizione
Definizione 3.7.2 (Rapporti di composizione).
Si chiama rapporto di composizione il rapporto tra una parte e il tutto.
Esempio 3.7.1.
sono rapporti di composizione:
• le frequenze relative
• la composizione di un cibo
• la composizione della spesa di una famiglia
3.7.2
Rapporti di densità
Definizione 3.7.3 (Rapporti di densità).
Si chiama rapporto di densità il rapporto tra la frequenza di una modalità statistica e una
grandezza presa come unità di misura (superficie, intervallo di tempo, ect)
Esempio 3.7.2.
La densità di popolazione, data dal rapporto tra il numero di abitanti e la superficie del
territorio, è un rapporto di densità.
3.7.3
Rapporti di derivazione
Definizione 3.7.4 (Rapporti di derivazione).
Si chiama rapporto di derivazione il rapporto tra due grandezze statistiche tali che una
deriva dall’altra.
Esempio 3.7.3.
Il rapporto tra il numero di divorzi e il numero di matrimoni è un rapporto di derivazione.
3.7.4
Rapporto di coesistenza
Definizione 3.7.5 (Rapporto di coesistenza).
Si chiama rapporto di coesistenza il rapporto tra due grandezze statistiche non legate da
un nesso di causalità ma che è lo stesso utile confrontare
Esempio 3.7.4.
Il rapporto tra importazioni e esportazioni è un rapporto di coesistenza.
3.7.5
Numeri indici
Definizione 3.7.6 (Numeri indici).
®
´
x1 x2 . . . xk
si dicono numeri indici i
Data una variabile o mutabile statistica X =
f1 f2 . . . fk
rapporti, moltiplicati per 100, tra ogni frequenza fi e una di esse assunta come base
254
3.7. RAPPORTI STATISTICI
Osservazione
La base può essere fissa o mobile, in particolare se ogni numero indice è calcolato usando
come denominatore la frequenza della modalità precedente, i numeri indici sono detti a
catena.
255
Capitolo 4
Variabili e mutabili statistiche bivariate
4.1
Introduzione
Definizione 4.1.1 (Variabile statistica bivariata).
Dati due caratteri quantitativi si dice variabile statistica bivariata (o doppia) che indichiamo
con (X, Y ) una funzione che associa a ciascuna unità statistica una coppia formata da una
modalità del primo carattere e da una modalità del secondo carattere
Definizione 4.1.2 (Mutabile statistica bivariata).
Dati due caratteri qualitativi si dice mutabile statistica bivariata (o doppia) che indichiamo
con (X, Y ) una funzione che associa a ciascuna unità statistica una coppia formata da una
modalità del primo carattere e da una modalità del secondo carattere
Definizione 4.1.3 (Variabile statistica bivariata mista).
Dati due caratteri, uno qualitativo e uno quantitativo, si dice variabile statistica bivariata (o
doppia) mista che indichiamo con (X, Y ) una funzione che associa a ciascuna unità statistica
una coppia formata da una modalità del primo carattere e da una modalità del secondo
carattere
4.2
Distribuzioni di frequenze congiunte
Definizione 4.2.1 (Frequenza congiunta (assoluta)).
Si dice frequenza congiunta (assoluta) di una coppia di modalità (xi , yj ) il numero di volte
in cui tale coppia si presenta.
Definizione 4.2.2 (Frequenza congiunta relativa).
Si dice frequenza congiunta relativa di una coppia di modalità (xi , yj ) il rapporto tra la
frequenza congiunta assoluta e il numero di elementi della popolazione. Se si moltiplica la
frequenza congiunta relativa per 100 si ottiene la frequenza congiunta relativa percentuale.
Definizione 4.2.3 (Distribuzione congiunta di frequenze (assolute)).
Si chiama distribuzione congiunta di frequenze (assolute) di una variabile o mutabile o
variabile mista statistica bivariata (X, Y ) l’insieme delle coppie formate dalle coppie (xi , yj )
delle modalità e dalle loro frequenze assolute fij
256
4.3. DISTRIBUZIONI MARGINALI
Per rappresentare la distribuzione congiunta di frequenze si utilizza una tabella a doppia
entrata
X
x1
...
xr
Y
. . . ys
. . . f1s
... ...
. . . frs
y1
f11
...
fr1
Definizione 4.2.4 (Distribuzione congiunta di frequenze relative).
Si chiama distribuzione congiunta di frequenze relative di una variabile o mutabile o variabile
mista statistica bivariata (X, Y ) l’insieme delle coppie formate dalle coppie (xi , yj ) delle
modalità e dalle loro frequenze relative fij
La rappresentazione è analoga a quella delle frequenze assolute.
4.3
Distribuzioni marginali
Definizione 4.3.1 (Distribuzioni marginali).
Se alla tabella delle distribuzioni congiunte delle frequenze assolute o relative di (X, Y ) si
aggiunge la colonna con la somma delle frequenze di ogni riga e la riga con la somma delle
frequenze di ogni colonna, si ottengono rispettivamente le distribuzione di frequenza di X
e Y dette anche distribuzioni marginali.
x1
y1
Y
...
ys
f11
...
f1s
s
X
f1j
j=1
X
...
xr
...
fr1
r
X
i=1
4.4
fi1
...
...
...
...
frs
r
X
...
n
X
frj
j=1
fis
i=1
Rappresentazioni grafiche
Le distribuzioni di frequenze delle variabili o mutabili o variabili miste statistiche bivariate
possono essere visualizzate attraverso un grafico a tre dimensioni. Invece di un grafico a tre
dimensioni si può utilizzare un grafico a due dimensioni, di cui il più noto è il diagramma a
dispersione che si ottiene facendo corrispondere in un diagramma cartesiano a ogni coppia
cerchi di ampiezza proporzionale alla frequenza della coppia.
257
CAPITOLO 4. VARIABILI E MUTABILI STATISTICHE BIVARIATE
4.5
Distribuzioni condizionate
Definizione 4.5.1 (Variabile, mutabile, variabile mista statistiche condizionate).
Data una variabile o mutabile o variabile statistica bivariata mista (X, Y ) si dice variabile o
mutabile o variabile statistica mista X condizionata a Y = yj che indichiamo con X/Y = yj
la funzione che associa a ciascuna unità statistica con modalità del secondo carattere uguale
a yj una modalità del primo carattere.
Definizione 4.5.2 (Distribuzione condizionata di frequenze (assolute)).
Si dice distribuzione condizionata di frequenze (assolute) di una variabile o mutabile o variabile statistica mista condizionata X/Y = yj l’insieme delle coppie formate dalle modalità
xi e dalle loro frequenze assolute fij
Definizione 4.5.3 (Distribuzione condizionata di frequenze relative).
Si dice distribuzione condizionata di frequenze relative di una variabile o mutabile o variabile
statistica mista condizionata X/Y = yj l’insieme delle coppie formate dalle modalità xi e
dalle loro frequenze relative fij
In modo analogo si definisce la variabile o mutabile o variabile statistica mista Y condizionata a X = xi e le sue distribuzioni di frequenza.
Esempio 4.5.1.
In gruppo di 32 persone ci sono 15 italiani di cui 10 maschi e 5 femmine, 10 francesi di cui
7 maschi e 3 femmine, 7 tedeschi di cui 3 maschi e 4 femmine.
La distribuzione di frequenze congiunte assolute della mutabile statistica bivariata
(X =“nazionalità”,Y =”sesso”) con le distribuzioni marginali è:
Y
X
It
Fr
Te
M
10
7
3
20
F
5
3
4
12
15
10
7
32
La distribuzione di frequenza della mutabile statistica condizionata X/Y = M è
®
It Fr Te
X/Y = M =
10 7 3
´
La distribuzione di frequenza della mutabile statistica condizionata Y /X = It è
®
M F
Y /X = It =
10 5
´
258
4.6. MEDIA E VARIANZA
4.6
Media e varianza
Definizione 4.6.1 (Media e varianza).
Data una variabile statistica bivariata (X, Y ), indicando con fij le frequenze relative congiunte,
la media aritmetica di X è
Ñ
µx =
X
é
xi ·
i
X
fij
j
la media aritmetica di Y è
!
µy =
X
yj ·
j
X
fij
i
la varianza di X è
Ñ
σx2 =
X
é
(xi − µx
X
)2 ·
f
i
ij
j
la varianza di Y è
!
σy2
=
X
2
(yj − µy ) ·
j
X
fij
i
Definizione 4.6.2 (Covarianza).
Data una variabile statistica bivariata (X, Y ), indicando con fij le frequenze relative congiunte,
la covarianza di (X, Y ) è
σxy =
XX
i
((xi − µx )(yj − µy )fij )
j
Definizione 4.6.3 (Coefficiente di correlazione lineare).
Data una variabile statistica bivariata (X, Y ) si chiama coefficiente di correlazione lineare
σxy
ρ=
σx σy
Il coefficiente di correlazione lineare ρ gode delle seguenti proprietà:
1. −1 6 ρ 6 1
2. se ρ > 0 la correlazione è diretta o positiva, cioè all’aumentare dei valori di una
variabile aumentano anche i valori dell’altra variabile
3. se ρ < 0 la correlazione è inversa o negativa, cioè all’aumentare dei valori di una
variabile diminuiscono i valori dell’altra variabile
4. se ρ = 1 la correlazione è perfetta positiva
5. se ρ = −1 la correlazione è perfetta negativa
6. se ρ = 0 non esiste correlazione lineare
259
Capitolo 5
Strutture algebriche
5.1
5.1.1
Insiemi numerici
Numeri naturali
L’insieme dei numeri naturali viene indicato con N
N = {0, 1, 2, 3, . . .}
L’insieme dei numeri naturali privato dello 0 viene indicato con N0
N0 = {1, 2, 3, . . .}
5.1.2
Numeri pari
L’insieme dei numeri pari viene indicato con P
P = {0, 2, 4, . . .}
L’insieme dei numeri pari privato dello 0 viene indicato con P0
P0 = {2, 4, . . .}
5.1.3
Numeri dispari
L’insieme dei numeri dispari viene indicato con D
D = {1, 3, 5, . . .}
5.1.4
Numeri interi
L’insieme dei numeri interi viene indicato con Z
Z = {. . . , −3, −2, −1, 0, 1, 2, 3, . . .}
L’insieme dei numeri interi privato dello 0 viene indicato con Z0
Z0 = {. . . , −3, −2, −1, 1, 2, 3, . . .}
260
5.1. INSIEMI NUMERICI
5.1.5
Numeri razionali
L’insieme dei numeri razionali, cioè l’insieme dei numeri decimali limitati e illimitati periodici, viene indicato con Q.
L’insieme dei numeri razionali privato dello 0 viene indicato con Q0
5.1.6
Numeri irrazionali
L’insieme dei numeri irrazionali, cioè l’insieme dei numeri decimali illimitati non periodici,
viene indicato con I.
5.1.7
Numeri reali
L’insieme dei numeri reali, cioè l’insieme dei numeri razionali e irrazionali, viene indicato
con R.
L’insieme dei numeri reali privato dello 0 viene indicato con R0
5.1.8
Numeri complessi
L’insieme dei numeri complessi, cioè l’insieme dei numeri della forma a + ib con a, b reali e
i unità immaginaria, viene indicato con C.
L’insieme dei numeri complessi privato dello 0 viene indicato con C0
5.1.9
Classi di resto
Una classe di resto di modulo n è l’insieme dei numeri interi che divisi per n danno lo stesso
resto.
Esempio 5.1.1.
La classe di resto [0] di modulo 3 è formata dai numeri interi che divisi per 3 danno resto 0
[0] = {. . . , −9, −6, −3, 0, 3, 6, 9, . . .}
La classe di resto [1] di modulo 3 è formata dai numeri interi che divisi per 3 danno resto 1
[1] = {. . . , −10, −7, −4, −1, 1, 4, 7, 10, . . .}
L’insieme delle classi di resto di modulo n, si indica con Zn
Esempio 5.1.2.
L’insieme delle classi di resto di modulo 3 è
Z3 = {[0], [1], [2]}
261
CAPITOLO 5. STRUTTURE ALGEBRICHE
5.2
Operazioni
Definizione 5.2.1 (Operazione binaria interna).
Si dice operazione binaria interna in un insieme A una funzione da A × A in A.
In simboli:
f :A×A→A
f (a, b) = c
a è detto primo termine, b secondo termine e c risultato dell’operazione.
Generalmente un’operazione si indica con i simboli ∗ oppure > e invece della notazione
c = ∗(a, b)
si preferisce la notazione
c=a∗b
L’operazione si dice binaria perché opera su due termini e interna perché il risultato appartiene all’insieme A.
L’insieme A si dice chiuso rispetto all’operazione ∗.
5.3
Strutture
Definizione 5.3.1 (Struttura algebrica).
Si dice struttura algebrica un insieme A dotato di una o più operazioni ∗1 , ∗2 , . . . , ∗n .
La struttura algebrica si indica con:
(A, ∗1 , ∗2 , . . . , ∗n )
A è detto supporto o sostegno della struttura, ∗1 prima operazione, ∗2 seconda operazione,
e così via.
Definizione 5.3.2 (Sottostruttura algebrica).
Si dice sottostruttura di una struttura algebrica (A, ∗1 , ∗2 , . . . , ∗n ) la struttura (A0 , ∗1 , ∗2 , . . . , ∗n ))
con A0 ⊆ A e A0 chiuso rispetto alle operazione ∗1 , ∗2 , . . . , ∗n .
5.4
5.4.1
Proprietà delle operazioni
Commutativa
Definizione 5.4.1 (Commutativa).
Un’operazione ∗ in un insieme A gode della proprietà commutativa se e solo se
∀a, b ∈ A a ∗ b = b ∗ a
262
5.4. PROPRIETÀ DELLE OPERAZIONI
5.4.2
Idempotenza
Definizione 5.4.2 (Idempotenza).
Un’operazione ∗ in un insieme A gode della proprietà di idempotenza se e solo se
∀a ∈ A a ∗ a = a
5.4.3
Associativa
Definizione 5.4.3 (Associativa).
Un’operazione ∗ in un insieme A gode della proprietà associativa se e solo se
∀a, b, c ∈ A (a ∗ b) ∗ c = a ∗ (b ∗ c)
5.4.4
Esistenza dell’elemento neutro
Definizione 5.4.4 (Esistenza dell’elemento neutro a sinistra).
Un’operazione ∗ in un insieme A gode della proprietà di esistenza dell’elemento neutro a
sinistra se e solo se
∃us ∈ A/∀a ∈ A us ∗ a = a
Definizione 5.4.5 (Esistenza dell’elemento neutro a destra).
Un’operazione ∗ in un insieme A gode della proprietà di esistenza dell’elemento neutro a
destra se e solo se
∃ud ∈ A/∀a ∈ A a ∗ ud = a
Definizione 5.4.6 (Esistenza dell’elemento neutro).
Un’operazione ∗ in un insieme A gode della proprietà di esistenza dell’elemento neutro se e
solo se
∃u ∈ A/∀a ∈ A u ∗ a = a ∗ u = a
5.4.5
Esistenza dell’elemento nullificatore
Definizione 5.4.7 (Esistenza dell’elemento nullificatore a sinistra).
Un’operazione ∗ in un insieme A gode della proprietà di esistenza dell’elemento nullificatore
a sinistra se e solo se
∃ns ∈ A/∀a ∈ A ns ∗ a = ns
Definizione 5.4.8 (Esistenza dell’elemento nullificatore a destra).
Un’operazione ∗ in un insieme A gode della proprietà di esistenza dell’elemento nullificatore
a destra se e solo se:
∃nd ∈ A/∀a ∈ A a ∗ nd = nd
Definizione 5.4.9 (Esistenza dell’elemento nullificatore).
Un’operazione ∗ in un insieme A gode della proprietà di esistenza dell’elemento nullificatore
se e solo se
∃n ∈ A/∀a ∈ A n ∗ a = a ∗ n = n
263
CAPITOLO 5. STRUTTURE ALGEBRICHE
5.4.6
Esistenza dell’elemento inverso
Definizione 5.4.10 (Esistenza dell’elemento inverso a sinistra).
Sia ∗ un’operazione in un insieme A dotata di elemento neutro u. Un elemento a ∈ A
ammette elemento inverso a sinistra, se e solo se
∃a0s ∈ A/a0s ∗ a = u
Definizione 5.4.11 (Esistenza dell’elemento inverso a destra).
Sia ∗ un’operazione in un insieme A dotata di elemento neutro u. Un elemento a ∈ A
ammette elemento inverso a destra, se e solo se
∃a0d ∈ A/a ∗ a0d = u
Definizione 5.4.12 (Esistenza dell’elemento inverso).
Sia ∗ un’operazione in un insieme A dotata di elemento neutro u. Un elemento a ∈ A
ammette elemento inverso, se e solo se
∃a0 ∈ A/a ∗ a0 = a0 ∗ a = u
Definizione 5.4.13 (Esistenza dell’elemento inverso).
Un’operazione ∗ in un insieme A dotata di elemento neutro u gode della proprietà di
esistenza dell’elemento inverso, se e solo se
∀a ∈ A ∃a0 ∈ A/a ∗ a0 = a0 ∗ a = u
5.4.7
Distributiva
Definizione 5.4.14 (Distributiva a sinistra).
Siano ∗ e > due operazioni in un insieme A. L’operazione > gode della proprietà distributiva
a sinistra rispetto all’operazione ∗, se e solo se
∀a, b, c ∈ A a>(b ∗ c) = (a>b) ∗ (a>c)
Definizione 5.4.15 (Distributiva a destra).
Siano ∗ e > due operazioni in un insieme A. L’operazione > gode della proprietà distributiva
a destra rispetto all’operazione ∗, se e solo se
∀a, b, c ∈ A (a ∗ b)>c = (a>c) ∗ (b>c)
Definizione 5.4.16 (Distributiva).
Siano ∗ e > due operazioni in un insieme A. L’operazione > gode della proprietà distributiva
rispetto all’operazione ∗, se e solo se gode delle proprietà distributive a destra e a sinistra
5.4.8
Assorbimento
Definizione 5.4.17 (Assorbimento).
Le operazioni ∗ e > in un insieme A godono della proprietà di assorbimento, se e solo se
∀a, b ∈ A a>(a ∗ b) = a ∗ (a>b) = a
264
5.5. CLASSIFICAZIONE DELLE STRUTTURE
5.5
Classificazione delle strutture
Le strutture algebriche si possono classificare in base alle proprietà delle operazioni.
Nelle strutture algebriche con un’operazione, indicheremo con ∗ l’operazione, con 0 l’elemento neutro, con −x, l’elemento inverso di x.
Nelle strutture algebriche con due operazioni, indicheremo con ∗ la prima operazione, con >
la seconda operazione, con 0 l’elemento neutro della prima operazione , con 1 l’elemento neutro della seconda operazione, con −x l’elemento inverso di x rispetto alla prima operazione,
con x−1 l’elemento inverso di x rispetto alla seconda operazione
5.5.1
Semigruppo
Definizione 5.5.1 (Semigruppo).
Una struttura algebrica (A, ∗) si dice semigruppo, se ∗ gode della proprietà associativa
5.5.2
Semigruppo commutativo
Definizione 5.5.2 (Semigruppo commutativo).
Una struttura algebrica (A, ∗) si dice semigruppo commutativo o abeliano, se ∗ gode delle
proprietà associativa e commutativa.
5.5.3
Monoide
Definizione 5.5.3 (Monoide).
Una struttura algebrica (A, ∗) si dice monoide, se ∗ gode delle proprietà associativa e di
esistenza dell’elemento neutro
5.5.4
Monoide commutativo
Definizione 5.5.4 (Monoide commutativo).
Una struttura algebrica (A, ∗) si dice monoide commutativo o abeliano, se ∗ gode delle
proprietà associativa, commutative, di esistenza dell’elemento neutro.
5.5.5
Gruppo
Definizione 5.5.5 (Gruppo).
Una struttura algebrica (A, ∗) si dice gruppo, se ∗ gode delle proprietà associativa, di
esistenza dell’elemento neutro e di esistenza dell’elemento inverso.
5.5.6
Gruppo commutativo
Definizione 5.5.6 (Gruppo commutativo).
Una struttura algebrica (A, ∗) si dice gruppo commutativo o abeliano, se ∗ gode delle
proprietà associativa, commutativa, di esistenza dell’elemento neutro e di esistenza dell’elemento inverso
265
CAPITOLO 5. STRUTTURE ALGEBRICHE
Definizione 5.5.7 (Gruppo ciclico).
Una gruppo (A, ∗) si dice ciclico, se
∃a ∈ A/∀x ∈ A ∃n ∈ N/x = a
. . ∗ a}
| ∗ .{z
n volte
a è detto generatore del gruppo.
5.5.7
Anello
Definizione 5.5.8 (Anello).
Una struttura algebrica (A, ∗, >) si dice anello, se ∗ gode delle proprietà associativa, commutativa, di esistenza dell’elemento neutro, di esistenza dell’elemento inverso e > gode delle
proprietà associativa, e distributiva rispetto a ∗
Definizione 5.5.9 (Divisore dello 0 a sinistra).
Sia (A, ∗, >) un anello. Un elemento x ∈ A diverso da 0 si dice divisore dello zero a sinistra
se esiste y ∈ A diverso da 0, tale che x>y = 0.
Definizione 5.5.10 (Divisore dello 0 a destra).
Sia (A, ∗, >) un anello. Un elemento x ∈ A diverso da 0 si dice divisore dello zero a destra
se esiste y ∈ A diverso da 0, tale che y>x = 0.
Osservazione
Se x è divisore dello zero a sinistra y lo è a destra e viceversa.
5.5.8
Anello commutativo
Definizione 5.5.11 (Anello commutativo).
Una struttura algebrica (A, ∗, >) si dice anello commutativo o abeliano, se ∗ gode delle
proprietà associativa, commutativa, di esistenza dell’elemento neutro, di esistenza dell’elemento inverso e > gode delle proprietà associativa, commutativa e distributiva rispetto a
∗
5.5.9
Anello con unità
Definizione 5.5.12 (Anello con unità).
Una struttura algebrica (A, ∗, >) si dice anello con unità, se ∗ gode delle proprietà associativa, commutativa, di esistenza dell’elemento neutro, di esistenza dell’elemento inverso e >
gode delle proprietà associativa, di esistenza dell’elemento neutro e distributiva rispetto a ∗
5.5.10
Anello commutativo con unità
Definizione 5.5.13 (Anello commutativo con unità).
Una struttura algebrica (A, ∗, >) si dice anello commutativo con unità, se ∗ gode delle proprietà associativa, commutativa, di esistenza dell’elemento neutro, di esistenza dell’elemento
inverso e > gode delle proprietà associativa, commutativa, di esistenza dell’elemento neutro
e distributiva rispetto a ∗
266
5.6. STRUTTURE ALGEBRICHE CON INSIEMI NUMERICI
5.5.11
Dominio di integrità
Definizione 5.5.14 (Dominio di integrità).
Si dice dominio di integrità un anello commutativo con unità che non ha divisori dello zero
Definizione 5.5.15 (Legge dell’annullamento del prodotto).
In un anello (A, ∗, >) vale la legge dell’annullamento del prodotto, se e solo se
∀x, y ∈ A x>y = 0 ⇔ x = 0 ∨ y = 0
Teorema 5.5.1 (Legge dell’annullamento del prodotto).
In un anello (A, ∗, >) vale la legge dell’annullamento del prodotto, se e solo se è privo di
divisori dello zero.
5.5.12
Corpo
Definizione 5.5.16 (Corpo).
Una struttura algebrica (A, ∗, >) si dice corpo, se ∗ gode delle proprietà associativa, commutativa, di esistenza dell’elemento neutro, di esistenza dell’elemento inverso e > gode delle
proprietà associativa, di esistenza dell’elemento neutro, di esistenza dell’elemento inverso in
A0 e distributiva rispetto a ∗
Teorema 5.5.2 (Divisori dello zero).
Un corpo (A, ∗, >) è privo di divisori dello 0.
5.5.13
Campo
Definizione 5.5.17 (Campo).
Una struttura algebrica (A, ∗, >) si dice campo, se ∗ gode delle proprietà associativa, commutativa, di esistenza dell’elemento neutro, di esistenza dell’elemento inverso e > gode
delle proprietà associativa, commutativa, di esistenza dell’elemento neutro, di esistenza
dell’elemento inverso in A0 e distributiva rispetto a ∗
5.6
Strutture algebriche con insiemi numerici
(N, +) è un monoide commutativo
(N, ·) è un monoide commutativo
(Z, +) è un gruppo commutativo
(Z, ·) è un monoide commutativo
(Q, +) è un gruppo commutativo
(Q0 , ·) è un gruppo commutativo
(R, +) è un gruppo commutativo
(R0 , ·) è un gruppo commutativo
(C, +) è un gruppo commutativo
(C0 , ·) è un gruppo commutativo
(Z, +, ·) è un anello commutativo con unità
(Q, +, ·) è un campo
267
CAPITOLO 5. STRUTTURE ALGEBRICHE
(R, +, ·) è un campo
(C, +, ·) è un campo
5.7
Morfismo
Definizione 5.7.1 (Morfismo).
Date due strutture algebriche (A, ∗) e (A0 , ∗0 ), si dice morfismo una funzione f : A → A0
che gode della seguente proprietà:
∀a, b ∈ A f (a ∗ b) = f (a) ∗0 f (b)
La definizione di morfismo si può estendere al caso di strutture dotate di più operazioni.
5.8
Isomorfismo
Definizione 5.8.1 (Isomorfismo).
Si dice isomorfismo un morfismo biettivo.
Definizione 5.8.2 (Strutture isomorfe).
Due strutture si dicono isomorfe se esiste un isomorfismo tra di esse.
Due strutture isomorfe possono essere tra loro identificate.
Definizione 5.8.3 (Ampliamento).
Se una struttura (A0 , ∗0 ) è isomorfa ad una sottostruttura (A, ∗) di (B, ∗), si dice che (B, ∗)
è un ampliamento di (A0 , ∗0 )
268
Capitolo 6
Esponenziali e logaritmi
6.1
Potenze con esponente reale
6.1.1
Proprietà delle potenze con esponente reale
Per le potenze con base reale positiva e esponente reale valgono le seguenti proprietà:
1. aα · aβ = aα+β
aα
2. β = aα−β
a
3. (aα )β = aα·β
4. (a · b)α = aα · bα
5.
Å ãα
6. a
a
b
−α
=
aα
bα
Ç åα
=
1
a
con a, b ∈ R+ , α, β ∈ R
6.2
Funzione esponenziale
Definizione 6.2.1 (funzione esponenziale).
Si dice funzione esponenziale la funzione
f :R→R
f (x) = ax con a ∈ R+ − {1}
Osservazione
Nella funzione esponenziale si pone a 6= 1 perché se a = 1 si ottiene la funzione costante
f (x) = 1.
269
CAPITOLO 6. ESPONENZIALI E LOGARITMI
6.2.1
Grafico della funzione esponenziale
Il grafico della funzione esponenziale varia a seconda che 0 < a < 1 o a > 1.
Esempio 6.2.1.
8
y
7
6
5
4
3
2
1
x
−4 −3 −2 −1 O
1
2
3
4
5
6
7
8
−1
Ç åx
Figura 6.1: grafico di f (x) =
1
2
Una funzione esponenziale di particolare importanza è f (x) = ex , dove e è un numero
irrazionale detto numero di Nepero. Un valore approssimato di e è 2, 718
Esempio 6.2.2.
270
6.2. FUNZIONE ESPONENZIALE
8
y
7
6
5
4
3
2
1
x
−7 −6 −5 −4 −3 −2 −1 O
1
2
3
4
5
Figura 6.2: grafico di f (x) = ex
6.2.2
Caratteristiche della funzione esponenziale
La funzione esponenziale
f :R→R
f (x) = ax con a ∈ R+ − {1}
ha le seguenti carattetistiche:
1. dominio
D=R
2. codominio
f (D) = R+
3. il grafico interseca l’asse y nel punto (0, 1) e non interseca l’asse x
4. la funzione è iniettiva
5. se 0 < a < 1 la funzione è decrescente in senso stretto, cioè
∀x1 , x2 ∈ R, x1 < x2 ⇒ ax1 > ax2
6. se a > 1 la funzione è crescente in senso stretto, cioè
∀x1 , x2 ∈ R, x1 < x2 ⇒ ax1 < ax2
271
CAPITOLO 6. ESPONENZIALI E LOGARITMI
6.3
Logaritmo
Definizione 6.3.1 (Logaritmo).
Dati a ∈ R+ − {1} e b ∈ R+ si dice logaritmo in base a di b l’esponente da dare a a per
ottenere b. In simboli:
x = loga (b) ⇔ ax = b
Il numero b si dice argomento del logaritmo.
Dalla definizione si ha
loga (1) = 0
e
loga (a) = 1
Osservazione
Si pone loge (x) = ln(x) e log10 (x) = log(x)
6.3.1
Proprietà dei logaritmi
Per i logaritmi valgono le seguenti proprietà.
1. Logaritmo di un prodotto
loga (bc) = loga (b) + loga (c)
con a ∈ R+ − {1}, b, c ∈ R+
2. Logaritmo di una potenza
loga (bc ) = c loga (b)
con
a ∈ R+ − {1}, b ∈ R+ , c ∈ R
3. Logaritmo di un quoziente
Ç å
loga
b
c
= loga (b) − loga (c)
con
a ∈ R+ − {1}, b, c ∈ R+
4. Cambiamento di base
logc (b)
loga (b) =
logc (a)
con
a, c ∈ R+ − {1}, b ∈ R+
272
6.4. FUNZIONE LOGARITMICA
6.4
Funzione logaritmica
Definizione 6.4.1 (funzione logaritmica).
Si dice funzione logaritmica la funzione
f : R+ → R
f (x) = loga (x) con a ∈ R+ − {1}
6.4.1
Grafico della funzione logaritmica
Esempio 6.4.1.
5
y
4
3
2
1
x
−2 −1 O
−1
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
−2
−3
−4
−5
Figura 6.3: grafico di f (x) = log 1 (x)
2
Due funzioni logaritmiche di particolare importanza sono f (x) = log(x) e f (x) = ln(x)
Esempio 6.4.2.
273
CAPITOLO 6. ESPONENZIALI E LOGARITMI
y
2
1
x
O
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
−1
−2
−3
−4
−5
Figura 6.4: grafico di f (x) = log(x)
3
y
2
1
x
−1 O
−1
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
−2
−3
−4
−5
Figura 6.5: grafico di f (x) = ln(x)
6.4.2
Caratteristiche della funzione logaritmica
La funzione logaritmica
f : R+ → R
f (x) = loga (x) con a ∈ R+ − {1}
ha le seguenti carattetistiche:
1. dominio
D =]0, +∞[
274
11
12
6.5. EQUAZIONI ESPONENZIALI
2. codominio
f (D) = R
3. il grafico interseca l’asse x nel punto (1, 0) e non interseca l’asse y
4. la funzione è biiettiva
5. se 0 < a < 1 la funzione è decrescente in senso stretto cioè
∀x1 , x2 ∈ R+ , x1 < x2 ⇒ loga (x1 ) > loga (x2 )
6. se a > 1 la funzione è crescente in senso stretto cioè
∀x1 , x2 ∈ R+ , x1 < x2 ⇒ loga (x1 ) < loga (x2 )
6.5
Equazioni esponenziali
6.5.1
Equazioni esponenziali elementari
Definizione 6.5.1 (Equazione esponenziale elementare).
Dati a ∈ R+ − {1}, b ∈ R si dice elementare l’equazione esponenziale:
ax = b
Per risolvere questo tipo di equazione si analizza il valore di b:
• Se b 6 0, poiché la funzione esponenziale è sempre positiva, l’equazione è impossibile
• Se b > 0, l’equazione ammette un’unica soluzione
x = loga (b)
6.5.2
Altri tipi di equazioni esponenziali
Se l’equazione si può scrivere nella forma
af (x) = ag(x)
l’equazione è equivalente a
f (x) = g(x)
Per risolvere alcuni tipi di equazioni esponenziali può essere utile effettuare una sostituzione
per ottenere un’equazione algebrica.
275
CAPITOLO 6. ESPONENZIALI E LOGARITMI
6.6
Disequazioni esponenziali
6.6.1
Disequazioni esponenziali elementari
Definizione 6.6.1 (Disequazioni esponenziali elementari).
Dati a ∈ R+ − {1}, b ∈ R si dicono elementari le disequazioni esponenziali:
ax > b
ax > b
ax < b
ax 6 b
Per risolvere la disequazione ax > b si analizza il valore di b:
• Se b 6 0, poiché la funzione esponenziale è sempre positiva, la disequazione è verificata
∀x∈R
• Se b > 0 ∧ 0 < a < 1, poiché la funzione esponenziale è decrescente in senso stretto,
la soluzione è
x < loga (b)
• Se b > 0 ∧ a > 1, poiché la funzione è esponenziale crescente in senso stretto, la
soluzione è
x > loga (b)
Analogamente per gli altri casi
6.6.2
Altri tipi di disequazioni esponenziali
Se la disequazione si può scrivere nella forma
af (x) > ag(x)
la disequazione è equivalente a
f (x) < g(x) se 0 < a < 1
f (x) > g(x) se a > 1
Analogamente per gli altri casi
Per risolvere alcuni tipi di disequazioni esponenziali può essere utile effettuare una sostituzione per ottenere una disequazione algebrica.
276
6.7. EQUAZIONI LOGARITMICHE
6.7
Equazioni logaritmiche
6.7.1
Equazioni logaritmiche elementari
Definizione 6.7.1 (Equazione logaritmica elementare).
Dati a ∈ R+ − {1}, b ∈ R si dice elementare l’equazione logaritmica:
loga (x) = b
L’equazione è risolubile qualunque sia il valore di b.
L’equazione
loga (x) = b
è equivalente a

x
>0
x
= ab
Dove la disequazione è la condizione di esistenza.
Poiché ab > 0, la soluzione è
x = ab
Osservazione
Nelle equazioni logaritmiche elementari la condizione di esistenza si può omettere
6.7.2
Altri tipi di equazioni logaritmiche
L’equazione
loga (f (x)) = loga (g(x))
è equivalente a


 f (x)

>0
g(x) > 0



f (x) = g(x)
Osservazione
Le due disequazioni sono le condizioni di esistenza.
Osservazione
Se l’equazione è riconducibile al tipo precedente, per risolverla:
1. si scrivono le condizioni di esistenza
2. si trasforma l’equazione nella forma
loga (f (x)) = loga (g(x))
277
CAPITOLO 6. ESPONENZIALI E LOGARITMI
3. si uguagliano gli argomenti dei logaritmi
f (x) = g(x)
4. si risolve l’equazione ottenuta
5. si controlla se le soluzioni soddisfano le condizioni di esistenza
Per risolvere alcuni tipi di equazioni logaritmiche può essere utile effettuare una sostituzione
per ottenere un’equazione algebrica.
6.8
Disequazioni logaritmiche
6.8.1
Disequazioni logaritmiche elementari
Definizione 6.8.1 (Disequazioni logaritmiche elementari).
Dati a ∈ R+ − {1}, b ∈ R si dicono elementari le disequazioni logaritmiche:
loga (x) > b
loga (x) > b
loga (x) < b
loga (x) 6 b
La disequazione
loga (x) > b
• se 0 < a < 1, poiché la funzione logaritmica è decrescente in senso stretto, è equivalente
a

x
>0
x
< ab
e la soluzione è
0 < x < ab
• Se a > 1, poiché la funzione logaritmica è crescente in senso stretto, è equivalente a

x
>0
x
> ab
e la soluzione è
x > ab
Analogamente per gli altri casi
278
6.8. DISEQUAZIONI LOGARITMICHE
6.8.2
Altri tipi di disequazioni logaritmiche
La disequazione
loga (f (x)) > loga (g(x))
è equivalente a


 f (x)

>0
g(x) > 0
se 0 < a < 1



f (x) < g(x)


f (x)


>0
g(x) > 0
se a > 1



f (x) > g(x)
Analogamente per gli altri casi Osservazione
Se la disequazione è riconducibile al primo caso dei precedenti, per risolverla:
1. si scrivono le condizioni di esistenza
2. si trasforma nella forma
loga (f (x)) > loga (g(x))
3. si scrive il sistema formato dalle condizioni di esistenza e da
• f (x) < g(x) se 0 < a < 1
• f (x) > g(x) se a > 1
4. si risolve il sistema ottenuto
Si procede analogamente per le disequazioni riconducibili alle altre forme. Per risolvere
alcuni tipi di disequazioni logaritmiche può essere utile, dopo aver scritto le condizioni di
esistenza, effettuare una sostituzione per ottenere una disequazione algebrica.
279
Capitolo 7
Matrici
7.1
Introduzione
Definizione 7.1.1 (Matrice).
Si dice matrice di numeri reali una tabella di numeri reali disposti su righe e colonne
L’insieme delle matrici reali di m righe e n colonne si indica con Rm×n .
Se la matrice A ∈ Rm×n si dice che è una matrice m × n. In una matrice A l’elemento
appartenente alla riga i e colonna j si indica con aij .
Quindi la generica matrice A è
a11 a12
a21 a22
... ...
am1 am2
á
A=
. . . a1n
. . . a2n
... ...
. . . amn
ë
o
A = (aij )
Definizione 7.1.2 (Combinazione lineare di righe).
Dati la matrice
a11 a12
a21 a22
... ...
am1 am2
á
A=
. . . a1n
. . . a2n
... ...
. . . amn
ë
∈ Rm×n
e i numeri λ, µ ∈ R si dice combinazione linerare delle righe i e j la riga
λai1 + µaj1 λai2 + µaj2 . . . λain + µajn
In modo analogo si definisce la combinazione lineare di colonne.
Definizione 7.1.3 (Matrice quadrata).
Si dice matrice quadrata una matrice in cui il numero di righe è uguale al numero di colonne
280
7.2. SOMMA DI MATRICI
In una matrice quadrata A si dice diagonale principale la diagonale che contiene gli elementi
aii .
Definizione 7.1.4 (Trasposta).
Si dice trasposta di una matrice A ∈ Rm×n la matrice At ∈ Rn×m che si ottiene scambiando
le righe con le colonne
Definizione 7.1.5 (Matrice simmetrica).
Una matrice si dice simmetrica se è uguale alla sua trasposta
Definizione 7.1.6 (Matrice diagonale).
Si dice matrice diagonale una matrice quadrata in cui sono nulli tutti gli elementi non
appartenenti alla diagonale pricipale
Definizione 7.1.7 (Matrice unità o matrice identità).
Si dice matrice unità o matrice identità la matrice diagonale in cui gli elementi della
diagonale pricipale sono tutti 1 e si indica con I
Definizione 7.1.8 (Matrice nulla).
Si dice matrice nulla la matrice in cui tutti gli elementi sono 0 e si indica con N
Definizione 7.1.9 (Matrice triangolare superiore).
Si dice matrice triangolare superiore una matrice quadrata in cui sono nulli tutti gli elementi
che si trovano sotto la diagonale principale
Definizione 7.1.10 (Matrice triangolare inferiore).
Si dice matrice triangolare inferiore una matrice quadrata in cui sono nulli tutti gli elementi
che si trovano sopra la diagonale principale
7.2
Somma di matrici
Definizione 7.2.1 (Somma di matrici).
Date le matrici
Ä
ä
Ä
ä
A = aij , B = bij ∈ Rm×n
si dice somma di A e B la matrice
Ä
ä
A + B = aij + bij ∈ Rm×n
7.2.1
Proprietà della somma di matrici
La somma di matrici gode delle seguenti proprietà:
1. commutativa:
∀A, B ∈ Rm×n A + B = B + A
281
CAPITOLO 7. MATRICI
2. associativa:
∀A, B, C ∈ Rm×n A + (B + C) = (A + B) + C
3. esistenza dell’elemento neutro:
∃N ∈ Rm×n /∀A ∈ Rm×n A + N = A
(N è la matrice nulla)
4. esistenza dell’opposto:
∀A ∈ Rm×n ∃ − A ∈ Rm×n /A + (−A) = N
dove N è la matrice nulla.
−A ∈ Rm×n è la matrice i cui elementi sono gli opposti degli elementi delle matrice A
5. ∀A, B ∈ Rm×n (A + B)t = At + B t
7.3
Prodotto di un numero reale per una matrice
Definizione 7.3.1 (Prodotto di un numero reale per una matrice).
Dati il numero λ ∈ R e la matrice
Ä
ä
A = aij ∈ Rm×n
si dice prodotto di λ per A la matrice
Ä
ä
λA = λ · aij ∈ Rm×n
7.3.1
Proprietà del prodotto di un numero reale per una matrice
Il prodotto di un numero reale per una matrice gode delle seguenti proprietà:
1. ∀λ, µ ∈ R, ∀A ∈ Rm×n (λµ)A = λ(µA)
2. ∀A ∈ Rm×n 1 · A = A
3. ∀λ, µ ∈ R, ∀A ∈ Rm×n (λ + µ)A = λA + µA
4. ∀λ ∈ R, ∀A, B ∈ Rm×n λ(A + B) = λA + λB
282
7.4. PRODOTTO DI MATRICI
7.4
Prodotto di matrici
Definizione 7.4.1 (Prodotto di matrici).
Date le matrici
Ä
ä
Ä
ä
A = aij ∈ Rm×n , B = bij ∈ Rn×p
si dice prodotto di A e B la matrice
Ä
ä
A · B = cij ∈ Rm×p
dove
cij =
n
X
aik · bkj
k=1
Osservazione
1. Il prodotto di matrici si può effettuare se il numero di colonne della prima matrice è
uguale al numero di righe della seconda.
2. L’elemento cij è dato dal prodotto scalare dei vettori che hanno rispettivamente come
componenti gli elementi della riga i della prima matrice e gli elementi della colonna j
della seconda matrice.
7.4.1
Proprietà del prodotto di matrici
Il prodotto di matrici gode delle seguenti proprietà:
1. associativa:
∀A ∈ Rm×n , B ∈ Rn×p , C ∈ Rp×q A(BC) = (AB)C
2. esistenza dell’elemento neutro a sinistra:
∃I ∈ Rm×m /∀A ∈ Rm×n IA = A
(I è la matrice identità)
3. esistenza dell’elemento neutro a destra:
∃I ∈ Rn×n /∀A ∈ Rm×n AI = A
(I è la matrice identità)
4. distributiva rispetto all’addizione a sinistra:
∀A ∈ Rm×n , B, C ∈ Rn×p A(B + C) = AB + AC
5. distributiva rispetto all’addizione a destra:
∀A, B ∈ Rm×n , C ∈ Rn×p (A + B)C = AC + BC
283
CAPITOLO 7. MATRICI
6. ∀A ∈ Rm×n , B ∈ Rn×p (AB)t = B t At
Osservazione
Il prodotto di matrici non gode della proprietà commutativa.
Osservazione
Per il prodotto di matrici non vale la legge di annullamento del prodotto.
Esempio 7.4.1.
Date le matrici
Ç
1 1
A=
0 0
å
e
Ç
1 0
B=
−1 0
å
Il prodotto di A e B è la matrice
Ç
0 0
AB =
0 0
å
AB è la matrice nulla nonostante sia A che B siano diverse dalla matrice nulla.
7.5
Determinante
A ogni matrice quadrata si può associare un numero reale detto determinante
Definizione 7.5.1 (Determinante matrice 1 per 1).
Data la matrice
Ä
ä
A = a11 ∈ R1×1
il determinante di A è
det(A) = a11 = a11
Definizione 7.5.2 (Determinante matrice 2 per 2).
Data la matrice
Ç
å
a
a
A = 11 12 ∈ R2×2
a21 a22
il determinante di A è
det(A) =
a11 a12
= a11 a22 − a12 a21
a21 a22
284
7.5. DETERMINANTE
7.5.1
Complemento algebrico
Definizione 7.5.3 (Complemento algebrico).
Data la matrice quadrata
Ä
ä
A = aij ∈ Rn×n
si dice complemento algebrico dell’elemento aij e si indica con Aij il prodotto tra (−1)i+j e
il determinante della matrice che si ottiene eliminando la riga i e la colonna j dalla matrice
A
7.5.2
Calcolo del determinante con la regola di Laplace
Definizione 7.5.4 (Determinante matrice n per n).
Data la matrice quadrata A ∈ Rn×n il determinante di A è uguale alla somma dei prodotti
degli elementi di una riga o colonna di A per i rispettivi complementi algebrici
7.5.3
Proprietà dei determinanti
I determinanti godono delle seguenti proprietà.
1. Se A ∈ Rn×n ha una riga o una colonna con tutti gli elementi nulli allora det(A) = 0
2. Se si moltiplicano tutti gli elementi di una riga o di una colonna di A ∈ Rn×n per un
fattore λ allora, detta B la nuova matrice, si ha:
det(B) = λ det(A)
3. Se in A ∈ Rn×n si scambiano fra loro due righe o due colonne, allora, detta B la nuova
matrice, si ha:
det(B) = − det(A)
4. Se A ∈ Rn×n ha gli elementi di due righe o due colonne proporzionali, allora
det(A) = 0
5. Se in A ∈ Rn×n agli elementi di una riga (colonna) si aggiungono gli elementi di
un’altra riga (colonna) moltiplicati per un numero, allora, detta B la nuova matrice,
si ha:
det(B) = det(A)
6. Se in A ∈ Rn×n una riga (colonna) è combinazione lineare di due righe (colonne) allora
det(A) = 0
7. Se A, B ∈ Rn×n , allora
det(A · B) = det(A) · det(B)
285
CAPITOLO 7. MATRICI
7.6
Inversa di una matrice
Definizione 7.6.1 (Matrice invertibile).
Data la matrice quadrata A ∈ Rn×n , si dice che A è invertibile se esiste una matrice quadrata
A−1 ∈ Rn×n /A−1 A = AA−1 = I (I è la matrice identità). La matrice A−1 si dice matrice
inversa di A.
Teorema 7.6.1 (Matrice invertibile).
Una matrice quadrata A è invertibile, se e solo se det(A) 6= 0.
Per determinare l’inversa di una matrice A invertibile:
1. si scrive la matrice dei complementi algebrici (Aij )
2. la matrice inversa è A−1 =
1
(Aij )t
det(A)
Consideriamo il caso di una generica matrice quadrata 2 × 2:
Ç
a11 a12
a21 a22
å
La matrice inversa è:
Ç
1
a22 −a12
−a
a11
det(A)
21
å
Quindi, nel caso di matrice 2 × 2, per determinare l’inversa si moltiplica l’inverso del determinante per la matrice ottenuta scambiando gli elementi della diagonale principale e
cambiando il segno degli altri elementi.
7.6.1
Proprietà della matrice inversa
La matrice inversa gode delle seguenti proprietà:
1. unicità:
data la matrice quadrata A invertibile, la matrice inversa A−1 è unica.
2. invertibilità del prodotto:
se le matrici A e B sono invertibili, allora la matrice AB è invertibile e
(AB)−1 = B −1 A−1
7.7
Riduzione di una matrice
Definizione 7.7.1 (Matrice ridotta per righe).
Una matrice A ∈ Rm×n si dice ridotta per righe se in ogni riga non nulla di A c’è un elemento
non nullo al di sotto del quale ci sono soltanto zeri.
Ogni matrice si può ridurre per righe, cioè trasformare in un’altra matrice ridotta per righe,
applicando le seguenti trasformazioni:
286
7.8. RANGO DI UNA MATRICE
1. sommare ad una riga un’altra riga moltiplicata per una costante
2. scambiare due righe
3. moltiplicare una riga per una costante non nulla
Per ridurre una matrice per righe è sufficiente la prima trasformazione, ma utilizzando le
altre due si possono rendere più facili i passaggi.
Per ridurre una matrice per righe:
1. si sceglie un elemento non nullo della prima riga non nulla e si annullano gli elementi
che stanno sotto
2. si ripete il procedimento per le altre righe non nulle
7.8
Rango di una matrice
Il rango di una matrice A ∈ Rm×n è il numero di righe non nulle della matrice ridotta per
righe e si indica con r(A).
287
Capitolo 8
Sistemi lineari
8.1
Introduzione
Consideriamo il generico sistema lineare di m equazioni in n incognite:


 a11 x1



 a21 x1






+ a12 x2 + · · · + a1n xn = b1
+ a22 x2 + · · · + a2n xn = b2
...
am1 x1 + am2 x2 + · · · + amn xn = bm
Ponendo
á
a11 a12
a21 a22
A=
... ...
am1 am2
x1
x2
...
xn
á
X=
. . . a1n
. . . a2n
... ...
. . . amn
ë
ë
b1
b2
B=
...
bm
il sistema si può scrivere come AX = B.
A è la matrice dei coefficienti
X è il vettore colonna delle incognite
B è il vettore colonna dei termini noti
La matrice
ë
á
a11 a12 . . . a1n b1
a21 a22 . . . a2n b2
A|B =
... ... ... ... ...
am1 am2 . . . amn bm
á
ë
si dice matrice completa del sistema.
288
8.2. RISOLUZIONE DI UN SISTEMA LINEARE
8.2
Risoluzione di un sistema lineare
Si dice soluzione del sistema una qualunque n-upla di numeri reali che soddisfi tutte le
equazioni del sistema.
Un sistema che ammette almeno una soluzione si dice risolubile o compatibile, altrimenti si
dice incompatibile o impossibile.
Un sistema risolubile con una sola soluzione si dice determinato.
Un sistema lineare si dice ridotto se la matrice dei coefficienti è ridotta per righe.
Per ridurre un sistema lineare si considera la matrice completa e si applicano le trasformazioni sulle righe fino a che la matrice dei coefficienti è ridotta.
Il sistema ridotto e quello dato sono equivalenti.
Per stabilire se un sistema AX = B è risolubile o no e per risolverlo:
1. si scrive la matrice completa A|B
2. si applicano le trasformazioni ad A|B in modo che A sia ridotta per righe
3. si determinano r(A) e r(A|B)
4. si applica il teorema di Rouché-Capelli:
(a) se r(A) 6= r(A|B), allora il sistema è impossibile
(b) se r(A) = r(A|B), allora il sistema è risolubile.
In particolare, se r(A) = r(A|B) = k e n è il numero delle incognite, si ha:
• se n = k, allora il sistema è determinato
• se n > k, allora il sistema è indeterminato con ∞n−k soluzioni che dipendono
da n − k parametri
5. per trovare la soluzione si ricava un’incongita da un’equazione del sistema ridotto e si
sostituisce nelle altre equazioni, introducendo eventuali parametri.
Un sistema in cui il numero delle incognite è uguale al numero delle equazioni si può anche
risolvere con il metodo di Cramer:
• se det(A) 6= 0, allora il sistema è determinato
• se det(A) = 0, allora il sistema è impossibile o risolubile ma non determinato
8.3
Sistemi con parametro
In alcuni sistemi, oltre alle incognite, sono presenti altre lettere dette parametri. In questi casi si deve discutere la risolubilità del sistema al variare dei parametri e determinare
eventualmente la soluzione.
Esempio 8.3.1.
289
CAPITOLO 8. SISTEMI LINEARI
• Discutiamo al variare di m ∈ R il seguente sistema:


 x + 3y

+z =5
mx + 2z = 0



my − z = 0
Scriviamo la matrice completa del sistema
Ö
A|B =
1 3 1 5
m 0 2 0
0 m −1 0
è
Riduciamo per righe
R2 → R2 − 2R1
R3 → R3 + R1
Ö
1
3
1
5
m − 2 −6 0 −10
5
1
m+3 0
è
R3 → 6R3 + (m + 3)R2
Ö
1
3 1
5
m − 2 −6 0 −10
m2 + m 0 0 −10m
è
La matrice è ridotta.
Se m = 0, r(A) = r(A|B) = 2, quindi, per il teorema di Rouché-Capelli, il sistema è
risolubile e ha ∞3−2 = ∞1 soluzioni che dipendono da un parametro:
(
x + 3y + z = 5
− 2x − 6y = −10


z


= 5 − 5 + 3α − 3α
x = 5 − 3α



y=α


x


= 5 − 3α
y=α



z=0
Se m = −1, r(A) = 2 e r(A|B) = 3, quindi, per il teorema di Rouché-Capelli, il
sistema è impossibile.
Se m 6= 0 ∧ m 6= −1, r(A) = r(A|B) = 3, quindi, per il teorema di Rouché-Capelli, il
sistema è risolubile e ha una soluzione


x + 3y


+z =5
(m − 2)x − 6y = −10



(m2 + m)x = −10m
290
8.3. SISTEMI CON PARAMETRO


x + 3y + z =





 −10m + 20






x
m+1
−10
=
m+1
5
− 6y = −10


 x + 3y + z = 5




−10m + 20 + 10m + 10

6y =






x
m+1
−10
=
m+1
15
−10
+
+z =5
m+1 m+1
5
y=

m+1





−10


x =
m+1













z






=5−
5
m+1
5
m+1
−10
=
m+1
y=








x
−10
m+1
5
y=

m+1





5m


z =
m+1




x






=
• Discutiamo al variare di h, k ∈ R il seguente sistema:


3x

 1
+ hx2 + x3 = 1
x1 − x2 + hx3 = −2



4x1 − 3x2 − x3 = k
Risolviamolo con il metodo di Cramer.
3 h
1
D = 1 −1 h = 2(h + 2)(2h + 1)
4 −3 −1
Dx1
1
h
1
= −2 −1 h = h2 k + k + h + 7
k −3 −1
291
CAPITOLO 8. SISTEMI LINEARI
D x2
3 1
1
= 1 −2 h = −3hk + k + 4h + 15
4 k −1
D x3
3 h
1
= 1 −1 −2 = −hk − 3k − 8h − 17
4 −3 k
D = 0 ⇔ h = −2 ∨ h = −
1
2
1
Se h 6= −2 ∧ h 6= − , il sistema è risolubile e ha una soluzione:
2
h2 k + k + h + 7
2(h + 2)(2h + 1)
−3hk + k + 4h + 15
x2 =

2(h + 2)(2h + 1)





−hk − 3k − 8h − 17



 x1 =
2(h + 2)(2h + 1)



 x1







=
Se h = −2, scriviamo la matrice completa del sistema:
Ö
A|B =
3 −2 1
1
1 −1 −2 −2
4 −3 −1 k
è
Riduciamo per righe
R2 → 3R2 − R1
R3 → 3R3 − 4R1
Ö
3 −2 1
1
0 −1 −7
−7
0 −1 −7 3k − 4
è
R3 → R3 − R2
Ö
3 −2 1
1
0 −1 −7
−7
0 0
0 3k + 3
è
La matrice è ridotta.
Se h = −2 ∧ k 6= −1, r(A) = 2 e r(A|B) = 3, quindi, per il teorema di Rouché-Capelli,
il sistema è impossibile.
Se h = −2 ∧ k = −1, r(A) = r(A|B) = 2, quindi, per il teorema di Rouché-Capelli, il
sistema è risolubile e ha ∞3−2 = ∞1 soluzioni che dipendono da un parametro:
(
3x1 − 2x2 + x3 = 1
− x2 − 7x3 = −7
292
8.3. SISTEMI CON PARAMETRO


x

 1
= 5 − 5α
x2 = 7 − 7α



x3 = α
1
Se h = − , scriviamo la matrice completa del sistema:
2
à
A|B =
1
1
1
3 −
2
1
−2
1 −1 −
2
4 −3 −1 k
í
Riduciamo per righe
R1 → 2R1
R2 → 2R2
Ö
2
6 −1 2
2 −2 −1 −4
4 −3 −1 k
è
R2 → 3R2 − R1
R3 → 3R3 − 2R1
Ö
6 −1 2
2
0 −5 −5 −14
0 −7 −7 3k − 4
è
R3 → 5R3 − 7R2
Ö
6 −1 2
2
0 −5 −5
−14
0 0
0 15k + 78
è
La matrice è ridotta.
1
26
Se h = − ∧ k 6= − , r(A) = 2 e r(A|B) = 3, quindi, per il teorema di Rouché2
5
Capelli, il sistema è impossibile.
1
26
Se h = − ∧ k = − , r(A) = r(A|B) = 2, quindi, per il teorema di Rouché-Capelli,
2
5
il sistema è risolubile e ha ∞3−2 = ∞1 soluzioni che dipendono da un parametro:
(
6x1 − x2 + 2x3 = 2
− 5x1 − 5x2 = −14

x1






=t
14
x2 =
−t
5





 x = 12 − 7 t
3
5
2
293
CAPITOLO 8. SISTEMI LINEARI
8.4
Sistemi omogenei
Definizione 8.4.1 (Sistema omogeneo).
Un sistema lineare si dice omogeneo se il vettore colonna dei termini noti è il vettore nullo.
I sistemi omogenei sono risolubili in quanto hanno almeno la soluzione in cui tutte le incognite sono uguali a 0.
Se il numero di equazioni è uguale al numero di incognite e il determinante della matrice
dei coefficienti è diverso da 0 l’unica soluzione è quella in cui tutte le incognite sono uguali
a 0.
294
Capitolo 9
Trasformazioni Lineari
Definizione 9.0.2 (Trasformazione lineare).
Dato un piano π dotato del sistema di riferimento Oxy, si dice trasformazione lineare in π
una funzione che a ogni punto P (x, y) ∈ π associa il punto P 0 (x0 , y 0 ) ∈ π le cui coordinate
sono:
( 0
x
= ax + by + p
y = cx + dy + q
0
Le equazioni precedenti si dicono equazioni della trasformazione lineare e la matrice:
Ç
å
a b
A=
c d
si dice matrice della trasformazione.
La trasformazione lineare si può anche scrivere
T (x, y) = (ax + by + c, dx + ey + f )
9.1
Affinità
Definizione 9.1.1 (Affinità).
Dato un piano π dotato del sistema di riferimento Oxy, si dice affinità in π una trasformazione lineare con determinante della matrice associata diverso da 0
Un’affinità è una trasformazione lineare biettiva.
Definizione 9.1.2 (Affinità diretta e indiretta).
Un’affinità si dice diretta se il determinante della sua matrice è positivo, si dice indiretta se
è negativo
9.2
Affinità in forma matriciale
L’affinità T di equazioni
( 0
x
= ax + by + p
y = cx + dy + q
0
295
CAPITOLO 9. TRASFORMAZIONI LINEARI
si può anche scrivere
Ç 0å
x
y0
9.3
Ç
åÇ å
a b
=
c d
Ç å
x
p
+
q
y
Trasformazione inversa
Poiché un’affinità T in π è una biezione, dalle sue equazioni si possono ricavare x e y in
funzione di x0 e y 0 , ottenendo così le equazioni della trasformazioni inversa T −1 .
9.4
Trasformazione inversa in forma matriciale
Data l’affinità T in forma matriciale
Ç 0å
x
y0
Ç
åÇ å
Ç å
Ç
å−1 Ç 0
x
å
a b
=
c d
x
p
+
y
q
si ha
Ç å
x
a b
=
y
c d
9.5
−p
y0 − q
Trasformato di un punto
Dati l’affinità T e il punto P , il punto trasformato P 0 = T (P ) si ottiene sostituendo le
coordinate di P nelle equazioni dell’affinità.
9.6
Trasformata di una curva
Date l’affinità T e la curva γ, per ottenere la curva trasformata γ 0 = T (γ):
1. si ricava la trasformazione inversa T −1
2. si sostituiscono le espressioni di x e y ricavate nell’equazione di γ e si tolgono gli apici
9.7
Punti uniti
Definizione 9.7.1 (Punto unito).
Data l’affinità T , un punto A si dice punto unito di T se è trasformato in se stesso, cioè se
T (A) = A.
Per determinare i punti uniti di un’affinità:
1. si pone x0 = x e y 0 = y nelle equazioni dell’affinità
2. si risolve il sistema così ottenuto
296
9.8. RETTE UNITE
9.8
Rette unite
Definizione 9.8.1 (Retta unita).
Data l’affinità T , una retta r si dice retta unita di T se è trasformata in se stessa, cioè se
T (r) = r.
Per determinare le rette unite di un’affinità:
1. si determina l’affinità inversa
2. si considera una retta di equazione x = h e si determina l’equazione della sua
trasformata:
• se si ottiene x = h0 , si scrive l’equazione h0 = h e la si risolve. Se h0 è soluzione
allora x = h0 è una retta unita
• se si ottiene l’equazione di una retta non parallela all’asse y, non vi sono rette
unite parallele all’asse y
3. si considera una retta di equazione y = mx + q e si determina l’equazione della sua
trasformata:
• se si ottiene y = m0 x + q 0 , si scrive il sistema
(
m0 = m
q0 = q
e lo si risolve ricavando il coefficiente angolare e il termine noto delle rette unite
non parallele all’asse y
• se si ottiene l’equazione di una retta parallela all’asse y non vi sono rette unite
non parallele all’asse y
Osservazione
Se una retta r è unita in una affinità T , allora T (r) = r; quindi per trovare le rette unite
si può partire dall’equazione della trasformata di r e evitare il calcolo della trasformazione
inversa.
9.9
Proprietà delle affinità
Ogni affinità T , con matrice A, gode delle seguenti proprietà:
1. trasforma rette in rette
2. trasforma rette parallele in rette parallele
3. se due rette si intersecano in P , le rette trasformate si intersecano in T (P )
4. il punto medio del segmento P Q viene trasformato nel punto medio del segmento
T (P )T (Q)
297
CAPITOLO 9. TRASFORMAZIONI LINEARI
5. se una figura geometrica ha area S, allora la figura trasformata ha area
S 0 = S · | det(A)|
6. trasforma ellissi in ellissi, parabole in parabole, iperboli in iperboli, circonferenze in
generale in ellissi
7. se una retta è tangente a una conica, la trasformata della retta è tangente alla
trasformata della conica
9.10
Composizione di affinità
Se T1 e T2 sono due affinità allora T2 ◦ T1 è ancora un’affinità e, se A1 e A2 sono le matrici
di T1 e T2 , allora A2 · A1 è la matrice di T2 ◦ T1
298
Capitolo 10
Isometrie
10.1
Introduzione
Definizione 10.1.1 (Isometria).
Si dice isometria un’affinità che conserva le distanze.
10.2
Proprietà delle isometrie
Ogni isometria, oltre alle proprietà delle affinità, gode delle seguenti proprietà:
1. trasforma un segmento in un segmento congruente
2. trasforma un angolo in un angolo congruente
3. trasforma rette perpendicolari in rette perpendicolari
4. trasforma una figura geometrica in una figura geometrica congruente
10.3
Traslazione
Definizione 10.3.1 (Traslazione).
Si dice traslazione di vettore ~v un’affinità τ~v che a ogni punto P associa il punto P 0 tale che
−−→0
P P = ~v .
10.3.1
Equazioni della traslazione
Ç
å
v
Sia τ~v la traslazione di vettore ~v = x .
vy
τ~v ha equazioni
( 0
x
= x + vx
y = y + vy
0
299
CAPITOLO 10. ISOMETRIE
La matrice è
Ç
1 0
A=
0 1
å
e il suo determinante è
det(A) =
1 0
=1
0 1
La traslazione è un’isometria diretta.
la traslazione di vettore nullo è l’identità.
10.3.2
Traslazione inversa
La trasformazione inversa della traslazione τ~v è la traslazione τ−~v .
10.3.3
Punti uniti
La traslazione τ~v con ~v 6= ~0 non ha punti uniti; la traslazione τ~0 è un’identità e tutti i punti
sono uniti.
10.3.4
Rette unite
La traslazione τ~v con ~v 6= ~0 ha come rette unite tutte quelle parallele a ~v ; la traslazione τ~0
è un’identità e tutte le rette sono unite.
10.3.5
Proprietà della traslazione
Ogni traslazione τ~v , oltre alle proprietà delle isometrie, gode della seguente proprietà:
trasforma una retta in una retta parallela
10.3.6
Composizione di traslazioni
Teorema 10.3.1 (Composizione di traslazioni).
Se τ~u e τ~v sono due traslazioni di vettori rispettivamente ~u e ~v allora τ~v ◦ τ~u è una traslazione
di vettore ~u + ~v .
10.4
Rotazione
Definizione 10.4.1 (Rotazione).
Si dice rotazione di centro C e angolo α un’affinità ρC,α che a C associa C e a ogni punto
◊
CP 0 = α ( mod 2π)
P 6= C associa il punto P 0 tale che CP = CP 0 ∧ P
Se α > 0 la rotazione è in senso antiorario, se α < 0 la rotazione è in senso orario.
300
10.4. ROTAZIONE
10.4.1
Equazioni della rotazione di centro l’origine
Sia ρO,α la rotazione di centro O(0, 0) e angolo α.
La rotazione ρO,α ha equazioni
( 0
x
= cos(α)x − sin(α)y
y = sin(α)x + cos(α)y
0
La matrice è
Ç
cos(α) − sin(α)
A=
sin(α) cos(α)
å
e il suo determinante è
cos(α) − sin(α)
= cos2 (α) + sin2 (α) = 1
sin(α) cos(α)
det(A) =
La rotazione è un’isometria diretta.
Le affinità con equazioni:
( 0
x
= ax − by
y = bx + ay
0
con a2 +b2 = 1 sono rotazioni con centro l’origine e angolo α tale che cos(α) = a e sin(α) = b.
10.4.2
Equazioni della rotazione di centro l’origine e angolo
La rotazione ρO, π2 ha equazioni
( 0
x
= −y
y =x
0
10.4.3
Rotazione inversa
Data la rotazione di centro O(0, 0) e angolo α.
ρO,α :
( 0
x
= cos(α)x − sin(α)y
y = sin(α)x + cos(α)y
0
la tasformazione inversa è la rotazione di centro O(0, 0) e angolo −α:
(
ρ−1
O,α
:
10.4.4
x = cos(α)x0 + sin(α)y 0
y = − sin(α)x0 + cos(α)y 0
Punti uniti
La rotazione ρO,0 è un’identità e tutti i punti sono uniti.
La rotazione ρO,α con α 6= 0 ha O come unico punto unito.
301
π
2
CAPITOLO 10. ISOMETRIE
10.4.5
Rette unite
La rotazione ρO,0 è un’identità e tutte le rette sono unite.
La rotazione ρO,π ha le rette passanti per O come rette unite.
La rotazione ρO,α con α 6= 0 ∧ α 6= π non ha rette unite.
10.4.6
Proprietà della rotazione
Ogni rotazione ρO,α gode delle proprietà delle isometrie
10.4.7
Composizione di rotazioni
Teorema 10.4.1 (Composizione di rotazioni).
Se ρO,α e ρO,β sono due rotazioni di centro O(0, 0) e angolo rispettivamente α e β allora
ρO,β ◦ ρO,α è una rotazione di centro O e angolo α + β.
10.4.8
Rotazione di centro diverso dall’origine
Finora abbiamo considerato le equazioni della rotazione di centro l’origine. Determiniamo
ora le equazioni di una rotazione di centro C qualsiasi.
Teorema 10.4.2 (rotazione di centro C).
−
→ ◦ ρO,α ◦ τ−
−
→
ρC,α = τ−
OC
CO
Per la rotazione di centro C e angolo α 6= 0 vale ciò che si è visto per la rotazione di centro
O, in particolare:
• ha C come unico punto unito
• se α = π ha le rette passanti per C come rette unite, se α 6= π non ha rette unite
• gode delle proprietà delle isometrie
• la composizione di due rotazioni di centro C e angoli rispettivamente α e β è una
rotazione di centro C e angolo α + β
10.5
Simmetria centrale
Definizione 10.5.1 (Simmetria centrale).
Si dice simmetria centrale di centro C(x0 , y0 ) un’affinità σC che a ogni punto P associa il
punto P 0 tale che C sia il punto medio di P P 0 .
302
10.5. SIMMETRIA CENTRALE
10.5.1
Equazioni della simmetria centrale
Sia σC la simmetrica centrale di centro C(x0 , y0 ). La simmetria centrale σC ha equazioni
( 0
x
= −x + 2x0
y = −y + 2y0
0
La matrice è
Ç
å
−1 0
A=
0 −1
e il suo determinante è
det(A) =
−1 0
=1
0 −1
La simmetria centrale è un’isometria diretta.
Osservazione
Una simmetria centrale di centro C(x0 , y0 ) è una rotazione di centro C(x0 , y0 ) e angolo
α = π.
10.5.2
Simmetria centrale di centro l’origine
La simmetria centrale σO di centro l’origine O(0, 0) ha equazioni
( 0
x
= −x
y = −y
0
10.5.3
Simmetria centrale inversa
La trasformazione inversa della simmetria centrale σC è la simmetria centrale σC .
10.5.4
Punti uniti
La simmetria centrale σC ha C come unico punto unito.
10.5.5
Rette unite
La simmetria centrale σC ha come rette unite quelle del fascio proprio di rette passanti per C.
10.5.6
Proprietà della simmetria centrale
Ogni simmetria centrale σC , oltre alle proprietà delle isometrie, gode della seguente proprietà:
trasforma una retta in una retta parallela.
303
CAPITOLO 10. ISOMETRIE
10.5.7
Composizione di simmetrie centrali
Teorema 10.5.1 (Composizione di simmetrie centrali).
Se σC1 e σC2 sono due simmetrie centrali di centro rispettivamente C1 e C2 allora σC2 ◦ σC1
−−−→
è una traslazione di vettore 2C1 C2 .
10.5.8
Curva simmetrica
Definizione 10.5.2 (Curva simmetrica).
Una curva γ si dice simmetrica rispetto a un punto C se γ è unita rispetto alla simmetria
centrale di centro C.
Il punto C si dice centro di simmetria di γ.
10.5.9
Centro di simmetria di una curva
Per trovare il centro di simmetria di una curva γ:
1. si scrivono le equazioni della simmetria centrale di centro C(x0 , y0 )
2. si determina l’equazione della curva γ 0 trasformata di γ
3. si impone che le equazioni delle due curve coincidano applicando il principio di identità
dei polinomi
10.6
Simmetria assiale
Definizione 10.6.1 (Simmetria assiale).
Si dice simmetria assiale di asse r un’affinità σr che a ogni punto P ∈ r associa se stesso e
a ogni punto P 6∈ r associa il punto P 0 tale che r sia l’asse del segmento P P 0 .
10.6.1
Equazioni della simmetria assiale
Sia σr la simmetria assiale di asse r : ax + by + c = 0. Dato il punto P (x, y), il punto
P 0 (x0 , y 0 ) è il simmetrico di P rispetto a r se e solo se r è l’asse del segmento P P 0 cioè,
indicando con M il punto medio di P P 0 :
(
M ∈r
P P 0 ⊥r

0

 ax + x
y + y0
+c=0
2
2

 0
(x − x)(−b) + (y 0 − y)a = 0
+b
La simmetria assiale σr ha equazioni
a2 − b 2
2ab
2ac
x
−
y
−
a2 + b 2
a2 + b 2
a2 + b 2
2
2

2ab
a −b
2bc


 y0 = −
x+ 2
y− 2
2
2
2
a +b
a +b
a + b2


0


x
=−
304
10.6. SIMMETRIA ASSIALE
La matrice è
a2 − b 2
2ab
− 2
− 2
2
a +b
a + b2
2ab
a2 − b 2
− 2
a + b2 a2 + b2
à
A=
í
e il suo determinante è
2ab
a2 − b 2
− 2
2
2
a +b
a + b2
det(A) =
= −1
2ab
a2 − b 2
− 2
a + b2 a2 + b2
−
La simmetria assiale è un’isometria indiretta.
Osservazione
Per ricavare le equazioni della simmetria assiale non è necessario ricordare la formula
ottenuta ma si può applicare la definizione.
10.6.2
Simmetria assiale di asse parallelo all’asse delle ascisse
simmetria di asse r : y = k
( 0
x
=x
y 0 = −y + 2k
In particolare la simmetria assiale di asse l’asse x ha equazioni
( 0
x
=x
y = −y
0
10.6.3
Simmetria assiale di asse parallelo all’asse delle ordinate
Simmetria assiale di asse r : x = h
( 0
x
= −x + 2h
y =y
0
In particolare la simmetria assiale di asse l’asse y ha equazioni
( 0
x
= −x
y =y
0
10.6.4
Simmetria assiale di asse la bisettrice del primo e terzo
quadrante
Simmetria assiale di asse r : y = x
( 0
x
=y
y0 = x
305
CAPITOLO 10. ISOMETRIE
10.6.5
Simmetria assiale di asse la bisettrice del secondo e quarto
quadrante
Simmetria assiale di asse r : y = −x
( 0
x
= −y
y 0 = −x
10.6.6
Simmetria assiale inversa
La trasformazione inversa della simmetria assiale σr è la simmetria assiale σr .
10.6.7
Punti uniti
La simmetria assiale σr ha i punti dell’asse r come punti uniti.
10.6.8
Rette unite
La simmetria assiale σr ha come rette unite la retta r e le rette perpendicolari a r.
10.6.9
Proprietà della simmetria assiale
Ogni simmetria assiale σr gode delle proprietà delle isometrie.
10.6.10
Composizione di simmetrie assiali
Teorema 10.6.1 (Composizione di simmetrie assiali).
Se σr e σs sono due simmetrie assiali di asse rispettivamente r e s allora
1. se r k s, σs ◦ σr è una traslazione di vettore 2~v dove ~v ha modulo uguale alla distanza
tra r e s, direzione perpendicolare a r e s, verso da r a s
2. se r ∩ s = C, σs ◦ σr è una rotazione di centro C e angolo 2α dove α è l’angolo che
forma r per sovrapporsi a s in senso antiorario.
π
In particolare se r⊥s, σs ◦ σr è una rotazione di centro C e angolo 2 = π, cioè una
2
simmetria centrale di centro C
10.6.11
Curva simmetrica
Definizione 10.6.2 (Curva simmetrica).
Una curva γ si dice simmetrica rispetto a una retta r se γ è unita rispetto alla simmetria
assiale di asse r.
La retta r si dice asse di simmetria di γ.
306
10.7. ISOMETRIE E MATRICI ORTONORMALI
10.7
Isometrie e matrici ortonormali
Abbiamo visto che il determinante della matrice di un’isomteria è uguale a 1 o −1; non vale
il viceversa, cioè esistono affinità le cui matrici hanno determinante uguale a 1 o −1 ma che
non sono isometrie.
Data l’affinità
T :
( 0
x
= ax + by + p
y = cx + dy + q
0
Determiniamo le condizioni a cui devono soddisfare i coefficienti a, b, c, d, p, q affinché sia
un’isometria Consideriamo i punti P (x1 , y1 ), Q(x2 , y2 ) e i loro trasformati P 0 (x01 , y10 ), Q0 (x02 , y20 ).
2
2
L’affinità T è un’isometria se e solo se P Q = P 0 Q0 cioè P Q = P 0 Q0 .
Poiché
2
P Q = (x2 − x1 )2 + (y2 − y1 )2
e
2
P 0 Q0 = (x02 −x01 )2 +(y20 −y10 )2 = (ax2 +by2 +p−ax1 −by1 −p)2 +(cx2 +dy2 +q−cx1 −dy1 −q)2 =
(ax2 + by2 − ax1 − by1 )2 + (cx2 + dy2 − cx1 − dy1 )2 =
(a(x2 − x1 ) + b(y2 − y1 ))2 + (c(x2 − x1 ) + d(y2 − y1 ))2 =
a2 (x2 −x1 )2 +b2 (y2 −y1 )2 +2ab(x2 −x1 )(y2 −y1 )+c2 (x2 −x1 )2 +d2 (y2 −y1 )2 +2cd(x2 −x1 )(y2 −y1 ) =
(a2 + c2 )(x2 − x1 )2 + (b2 + d2 )(y2 − y1 )2 + 2(ab + cd)(x2 − x1 )(y2 − y1 )
Applicando il principio di identità dei polinomi si ottiene
 2

a


+ c2 = 1
b 2 + d2 = 1



ab + cd = 0
Osservazione
Per verificare se un’affinità è un’isometria è sufficiente considerare la matrice associata in
quanto i valori di p e q sono ininfluenti.
Osservazione
La matrice di un’isometria è una matrice le cui colonne individuano due vettori di modulo
1 e ortogonali tra loro. Tale matrice si dice matrice ortonormale.
307
Capitolo 11
Similitudini
11.1
Introduzione
Definizione 11.1.1 (Similitudine).
Si dice similitudine un’affinità che mantiene costante il rapporto tra segmenti corrispondenti.
Il rapporto tra il segmento trasformato e quello dato si dice rapporto di similitudine.
11.2
Equazioni della similitudine
1. Un’affinità è una similitudine diretta se ha la matrice con gli elementi della diagonale
principale uguali e gli altri opposti. Quindi le equazioni di una similitudine diretta
sono
( 0
x = ax + by + p
y 0 = −bx + ay + q
oppure
( 0
x
= ax − by + p
y = bx + ay + q
0
con determinante
a2 + b 2 > 0
2. Un’affinità è una similitudine indiretta se ha la matrice con gli elementi della diagonale
principale opposti e gli altri uguali. Quindi le equazioni di una similitudine indiretta
sono
( 0
x = ax + by + p
y 0 = bx − ay + q
oppure
( 0
x
= −ax + by + p
y 0 = bx + ay + q
con determinante
−a2 − b2 < 0
308
11.3. PROPRIETÀ DELLA SIMILITUDINE
11.2.1
Rapporto di similitudine
Dalla relazione a2 + c2 = k 2 , poiché c2 = b2 si ottiene
k 2 = a2 + b 2
da cui
√
k = a2 + b 2
Osservazioni
1. Il rapporto di similitudine è uguale alla radice quadrata del valore assoluto del determinate della matrice della similitudine
2. Le isometrie sono similitudini di rapporto k = 1
11.3
Proprietà della similitudine
Ogni similitudine di rapporto k, oltre alle proprietà delle affinità, gode delle seguenti
proprietà:
1. trasforma figure geometriche in figure geometriche simili
2. trasforma rette perpendicolari in rette perpendicolari
3. trasforma circonferenze in circonferenze
4. trasforma una figura geometrica di perimetro P in una figura geometrica di perimetro
kP
5. trasforma una figura geometrica di area A in una figura geometrica di area k 2 A
11.4
Composizione di similitudini
Teorema 11.4.1 (Composizione di similitudini).
Se S1 e S2 sono due similitudini di rapporto rispettivamente k1 e k2 allora S2 ◦ S1 è una
similitudine di rapporto k2 · k1 .
Osservazione
Poiché la matrice di S2 ◦S1 è il prodotto delle matrici di S2 e S1 e il determinate del prodotto
di due matrice è il prodotto dei determinanti si ha:
• la composizione di due similitudini dirette è una similitudine diretta
• la composizione di due similitudini indirette è una similitudine diretta
• la composizione di una similitudine diretta e una similitudine indiretta è una similitudine indiretta
309
Capitolo 12
Omotetie
12.1
Introduzione
Definizione 12.1.1 (Omotetia).
Si dice omotetia di centro C e rapporto k 6= 0 un’affinità ωC,k che a ogni punto P associa il
−−→
−→
punto P 0 tale che CP 0 = k CP
12.2
Equazione dell’omotetia
Sia ωC,k l’omotetia di centro C(x0 , y0 ) e rapporto k 6= 0.
L’omotetia ωC,k di centro C(x0 , y0 ) e rapporto k 6= 0 ha equazioni
( 0
x
= kx + p
y 0 = ky + q
con
(
p = x0 − kx0
q = y0 − ky0
La matrice è
Ç
k 0
A=
0 k
å
con determinante det(A) =
k 0
= k2
0 k
L’omotetia è un’affinità diretta.
Osservazione
1. Ogni omotetia ωC,k è una similitudine diretta di rapporto |k|
2. Data l’omotetia ωC,k , se |k| > 1 si ha un ingradimento, se 0 < |k| < 1 si ha una
riduzione
310
12.3. CASI PARTICOLARI
12.3
Casi particolari
Consideriamo l’omotetia di centro C(x0 , y0 ) e rapporto k
• Se k = 1 si ottiene l’identità
( 0
x
=x
y =y
0
• Se k = −1 si ottiene la simmetria centrale di centro C
( 0
x
= −x + 2x0
y = −y + 2y0
0
12.4
Omotetia inversa
La trasformazione inversa dell’omotetia ωC,k è l’omotetia ωC, 1 .
k
12.5
Punti uniti
L’omotetia ωC,k con k 6= 1 ha C come unico punto unito.
Osservazione
Per determinare il centro di un’omotetia è sufficiente trovare il punto unito.
12.6
Rette unite
L’omotetia ωC,k con k 6= 1 ha come rette unite tutte quelle passanti per C.
12.7
Composizione di omotetie con lo stesso centro
Teorema 12.7.1 (Composizione di omotetie con lo stesso centro).
Se ωC,k1 e ωC,k2 sono due omotetie di centro C e rapporto rispettivamente k1 e k2 allora
ωC,k2 ◦ ωC,k1 è una omotetia di centro C rapporto k2 · k1 .
Osservazione
1
è
1. La composizione di due omotetie di centro C e rapporto rispettivamente k e
k
l’identità.
1
2. La composizione di due omotetie di centro C e rapporto rispettivamente k e − è la
k
simmetria centrale di centro C.
311
CAPITOLO 12. OMOTETIE
12.8
Composizione di omotetie e isometrie
Teorema 12.8.1 (Composizione di omotetie e isometrie).
La composizione di un’omotetia di rapporto k e di un’isometria è una similitudine di rapporto k e, viceversa ogni similitudine di rapporto k è data dalla composizione di un’isometria
e un’omotetia di rapporto k e centro C scelto a piacere.
312
Capitolo 13
Dilatazioni e compressioni
13.1
Dilatazione e compressione lungo l’asse delle ascisse
Definizione 13.1.1 (Dilatazione e compressione lungo l’asse delle ascisse).
Dato k 6= 0, l’affinità Tx,k di equazioni
( 0
x
= kx
y0 = y
si dice:
• dilatazione di rapporto k lungo l’asse x se |k| > 1
• compressione di rapporto k lungo l’asse x se |k| < 1
Se k = 1 si ha l’identità, se k = −1 si ha la simmetria assiale di asse asse y.
La matrice è
Ç
å
k 0
A=
0 1
13.1.1
determinante det(A) =
k 0
=k
0 1
Trasformazione inversa
La trasformazione inversa della dilatazione (compressione) Tx,k è la compressione (dilatazione) Tx, 1 .
k
13.1.2
Punti uniti
La dilatazione (compressione) Tx,k con k 6= 1 ha come punti uniti tutti i punti dell’asse y.
13.1.3
Rette unite
La dilatazione (compressione) Tx,k con k 6= 1 ha come rette unite l’asse y e tutte quelle
parallele all’asse x.
313
CAPITOLO 13. DILATAZIONI E COMPRESSIONI
13.1.4
Composizione di dilatazioni o compressioni lungo l’asse delle
ascisse
Teorema 13.1.1 (Composizione di dilatazioni o compressioni lungo l’asse delle
ascisse).
Se Tx,k1 e Tx,k2 sono due dilatazioni o compressioni lungo l’asse x di rapporto rispettivamente
k1 e k2 allora Tx,k2 ◦ Tx,k1 è una dilatazione o compressione lungo l’asse x di rapporto k2 · k1 .
1. La composizione di una dilatazione (compressione) e di una compressione (dilatazione)
1
lungo l’asse x di rapporto rispettivamente k e è l’identità.
k
2. La composizione di una dilatazione (compressione) e di una compressione (dilatazione)
1
lungo l’asse x di rapporto rispettivamente k e − è la simmetria assiale di asse asse
k
y.
13.2
Dilatazione e compressione lungo l’asse delle ordinate
Definizione 13.2.1 (Dilatazione e compressione lungo l’asse delle ordinate).
Dato k 6= 0, l’affinità Ty,k di equazioni
( 0
x
=x
y = ky
0
si dice:
• dilatazione di rapporto k lungo l’asse y se |k| > 1
• compressione di rapporto k lungo l’asse y se |k| < 1
Se k = 1 si ha l’identità, se k = −1 si ha la simmetria assiale di asse asse x.
La matrice è
Ç
1 0
A=
0 k
å
13.2.1
Trasformazione inversa, punti uniti e rette unite
con determinante det(A) =
1 0
=k
0 k
La trasformazione inversa della dilatazione (compressione) Ty,k è la compressione (dilatazione) Ty, 1 .
k
La dilatazione (compressione) Ty,k con k 6= 1 ha come punti uniti tutti i punti dell’asse x e
come rette unite l’asse x e tutte quelle parallele all’asse y.
314
13.2. DILATAZIONE E COMPRESSIONE LUNGO L’ASSE DELLE
ORDINATE
13.2.2
Composizione di dilatazioni o compressioni lungo l’asse delle
ordinate
Teorema 13.2.1 (Composizione di dilatazioni o compressioni lungo l’asse delle
ordinate).
Se Ty,k1 e Ty,k2 sono due dilatazioni o compressioni lungo l’asse y di rapporto rispettivamente
k1 e k2 allora Ty,k2 ◦ Ty,k1 è una dilatazione o compressione lungo l’asse y di rapporto k2 · k1 .
La composizione di una dilatazione (compressione) e di una compressione (dilatazione) lungo
1
l’asse y di rapporto rispettivamente k e è l’identità.
k
La composizione di una dilatazione (compressione) e di una compressione (dilatazione) lungo
1
l’asse y di rapporto rispettivamente k e − è la simmetria assiale di asse asse x.
k
315
Capitolo 14
Cambiamento di riferimento
14.1
Introduzione
Le coordinate di un punto nel piano dipendono dal sistema di riferimento scelto. Dati due
sistemi di riferimento aventi la stessa unità di misura, determineremo le coordinate di un
punto in un sistema, note le coordinate del punto nell’altro sistema.
14.2
Traslazione degli assi
Dato un sistema di riferimento Oxy consideriamo il sistema di riferimento O0 XY che si
ottiene traslando il sistema Oxy di un vettore ~v di componenti x0 , y0 .
Indichiamo con P (x, y) le coordinate del punto P nel sistema Oxy e con P (X, Y ) le coordinate del punto P nel sistema O0 XY . L’origine O0 avrà coordinate O0 (x0 , y0 ).
316
14.3. ROTAZIONE DEGLI ASSI
6
y
Y
5
P
4
3
O0
2
X
1
x
−4
−3
−2
−1
O
1
2
3
4
5
6
7
8
−1
Figura 14.1: traslazione degli assi
(
X = x − x0
Y = y − y0
e
(
x = X + x0
y = Y + y0
14.3
Rotazione degli assi
Dato un sistema di riferimento Oxy consideriamo il sistema OXY che si ottiene ruotando
di un angolo α il sistema Oxy.
Indichiamo con P (x, y) le coordinate del punto P nel sistema Oxy e con P (X, Y ) le coordinate del punto P nel sistema OXY .
317
CAPITOLO 14. CAMBIAMENTO DI RIFERIMENTO
y
Y
B
P
X
D
C
β
α
x
A
O
Figura 14.2: rotazione degli assi
(
X = cos(α)x + sin(α)y
Y = − sin(α)x + cos(α)y
(
x = cos(α)X − sin(α)Y
y = sin(α)X + cos(α)Y
14.4
Riduzione delle coniche a forma canonica
Utilizzando i cambiamenti di riferimento si possono ridurre le coniche a forma canonica.
Consideriamo la conica di equazione:
ax2 + bxy + cy 2 + dx + ey + f = 0
nel sistema Oxy.
Per trasformarle in forma canonica si deve effettuare una opportuna rotazione che trasforma
il sistema Oxy nel sistema OXY in modo tale da eliminare il coefficiente di XY della conica
e poi una traslazione ottenuta con il metodo del completamento del quadrato.
Esempio 14.4.1.
Riduciamo a forma canonica la curva
γ : x2 + y 2 + xy + x − 1 = 0
Determiniamo i valori di a e b per i quali la rotazione
(
x = aX − bY
y = bX + aY
318
14.4. RIDUZIONE DELLE CONICHE A FORMA CANONICA
con a2 + b2 = 1
annulli il coefficiente di XY dell’equazione della conica in OXY .
Sostituendo nell’equazione della curva otteniamo
(aX − bY )2 + (bX + aY )2 + (aX − bY )(bX + aY ) + aX − bY − 1 = 0
Il termine con XY è
−2abXY + 2abXY + a2 XY − b2 XY = (a2 − b2 )XY
Qundi per determinare la rotazione si deve risolvere il sistema:
( 2
a
+ b2 = 1
a2 − b 2 = 0
√
√
√
√



2 
2 
2
2







=
b = −
b =
b = −
2 ∨
2√ ∨
2
√
√2 ∨
√





2 
2
2 
2




a =
a =
a = −
a = −
2
2
2
2
Scegliendo la prima soluzione otteniamo la rotazione
√
√

2
2



X−
Y
x =
2
2
√
√


2
2

y =
X+
Y
2
2




b
π
cioè una rotazione di .
4
Sostituendo nell’equazione della curva otteniamo
√
√ !2
√
√ !2
√
√ ! √
√ !
2
2
2
2
2
2
2
2
X−
Y +
X+
Y +
X−
Y
X+
Y +
2
2
2
2
2
2
2
2
√
√
2
2
X−
Y −1=0
2
2
√
√
3 2
2
1 2
2
X +
X+ Y −
Y −1=0
2
2
2
2
Utilizziamo ora il metodo di completamento del quadrato per ottenere la traslazione che
elimina i termini di primo grado:
√
!
Ç
å
√
3
2
1
1
1
1
1
2
2
X +
X+
+
Y − 2Y +
=1+
+
2
3
18
2
2
12 4
√ !2
√ !2
3
2
1
2
4
X+
+
Y −
=
2
6
2
2
3
319
CAPITOLO 14. CAMBIAMENTO DI RIFERIMENTO
√
√
2 2
Effettuiamo una traslazione del sistema OXY di un vettore ~v di componenti −
,
:
6 2
√

2

0


X = X +
√6


2

Y 0 = Y −
2
Sostituendo nell’equazione della curva otteniamo:
3 02 1 02 4
X + Y =
2
2
3
X 02 Y 02
+
=1
8
8
9
3
La curva γ è un’ellisse e la sua forma canonica è
X 02 Y 02
+
=1
8
8
9
3
π
ottenuta con una rotazione di un angolo α =
e poi una traslazione di vettore ~v di
4
√ √
2 2
componenti −
,
del sistema di riferimento.
6 2
Teorema 14.4.1 (Angolo di rotazione).
Data la conica di equazione
ax2 + bxy + cy 2 + dx + ey + f = 0
con c 6= 0, l’angolo α della rotazione che elimina il termine XY è
π



4
∨−
π
4
se a = c

1



Ç
14.5
Coordinate polari
b
arctan
2
a−c
å
se a 6= c
Finora abbiamo lavorato con i sistemi di riferimento cartesiani, consideriamo ora un sistema
di riferimento polare.
Assegnato un punto O, una semiretta avente origine in O, e fissata una unità di misura, si
stabilisce un sistema di riferimento polare del piano.
Il punto O è detto polo e la semiretta asse polare.
Dato un punto qualsiasi P 6= O del piano, ad esso è associata la coppia di numeri reali (ρ, θ)
dove:
• ρ è la misura del segmento OP
320
14.6. COORDINATE POLARI E COORDINATE CARTESIANE
• θ è la misura in radianti dell’angolo che OP forma con l’asse polare (0 6 θ < 2π)
I numeri ρ e θ si dicono coordinate polari di P ; in particolare ρ si dice modulo di P , θ si
dice anomalia di P .
Osservazione
Il punto O ha modulo 0 e anomalia indeterminata.
Dati un sistema di riferimento polare e una coppia di numeri reali (ρ, θ), con ρ > 0 e
0 6 θ < 2π alla coppia (ρ, θ) è associato il punto P dato dall’intersezione tra la circonferenza
di centro O e raggio ρ e la semiretta di origine O formante con l’asse polare l’angolo θ.
Abbiamo quindi stabilito una biezione tra i punti del piano (escluso O) e R+
0 × [0, 2π[.
Per indicare che P ha coordinate polari ρ e θ si scrive P (ρ, θ).
Un punto P appartiene all’asse polare se ha anomalia 0, cioè P (ρ, 0);
P
ρ
O
θ
x
Figura 14.3: coordinate polari
14.6
Coordinate polari e coordinate cartesiane
Consideriamo un sistema di riferimento cartesiano ortogonale Oxy e un sistema di riferimento polare Ox che ha O come polo e l’asse polare che coincide con il semiasse positivo
delle ascisse.
Indichiamo con P (x, y) le coordinate del punto P nel sistema Oxy e con P (ρ, θ) le coordinate del punto P nel sistema Ox.
(
x = ρ cos(θ)
y = ρ sin(θ)
Queste sono le equazioni per passare dalle coordinate polari a quelle cartesiane.
Quindi le equazioni per passare dalle coordinate cartesiane a quelle polari sono


ρ






=
»
x2 + y 2
x
x2 + y 2
y
sin(θ) = √ 2
x + y2
cos(θ) = √







321
Capitolo 15
Successioni
15.1
Introduzione
Definizione 15.1.1 (Successione).
Si dice successione a valori reali una funzione
a:N→R
a(n) = an
an è il termine ennesimo della successione.
Alcune volte una successione è definita in un sottoinsieme infinito di N.
Spesso una successione viene presentata come un elenco ordinato dei primi termini, seguito
da alcuni puntini.
Esempio 15.1.1. La successione
a : N0 → R
1
n
è formata da
an =
1 1
1, , , . . .
2 3
Una successione può essere definita anche per ricorrenza, assegnando uno o più termini
iniziali e la legge che lega un termine ad alcuni termini precedenti.
Esempio 15.1.2.
• La successione
(
a0 = 1
an+1 = an + 2
è formata da
1, 3, 5, 7, . . .
322
15.2. PROGRESSIONI ARITMETICHE
• La successione


a

 0
=1
a1 = 1



an+1 = an + an−1
è formata da
1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, . . .
ed è detta successione di Fibonacci
15.2
Progressioni aritmetiche
Definizione 15.2.1 (Progressione aritmetica).
Si dice progressione aritmetica una successione nella quale la differenza tra ogni termine e
il precedente è costante.
Tale differenza si indica con d e si dice ragione.
La forma ricorsiva di una progressione aritmetica è
(
a1 = a
oppure
an+1 = an + d
(
a0 = a
an+1 = an + d
In una progressione aritmetica di ragione d
an = a1 + (n − 1)d
oppure
an = a0 + nd
Teorema 15.2.1 (Somma dei primi n termini).
La somma dei primi n termini di una progressione aritmetica di ragione d e primo termine
a1 è
Sn =
a1 + an
n
2
15.3
Progressioni geometriche
Definizione 15.3.1 (Progressione geometrica).
Si dice progressione geometrica una successione nella quale il rapporto tra ogni termine e il
precedente è costante.
Tale rapporto si indica con q e si dice ragione.
323
CAPITOLO 15. SUCCESSIONI
Osservazione
Dalla definizione di progressione geometrica si deduce che la ragione q deve essere diversa
da 0.
La forma ricorsiva di una progressione geometrica è
(
a1 = a
oppure
an+1 = an · q
(
a0 = a
an+1 = an · q
In una progressione geometrica di ragione q
an = a1 q n−1
oppure
an = a0 q n
Teorema 15.3.1 (Prodotto dei primi n termini).
Il valore assoluto del prodotto dei primi n termini di una progressione geometrica di ragione
q e primo termine a1 è
|Pn | =
»
(a1 · an )n
Osservazione
Se i termini della progressione geometrica sono tutti positivi, allora Pn è positivo.
In caso contrario, per determinare il segno di Pn , si applica la regola dei segni.
Teorema 15.3.2 (Somma dei primi n termini).
La somma dei primi n termini di una progressione geometrica di ragione q 6= 1 e primo
termine a1 è
S n = a1
15.4
1 − qn
1−q
Principio d’induzione
Teorema 15.4.1 (Principio di induzione).
Sia P (n) una proposizione che coinvolge il numero naturale n. Se:
• la proposizione P (k) è vera per qualche k naturale
• se è vera P (n) allora è vera P (n + 1) con n > k, cioè P (n) ⇒ P (n + 1)
allora P (n) è vera per ogni naturale n > k.
Osservazione
In genere come k si sceglie 0 o 1.
Il principio di induzione è utile per dimostrare teoremi che coinvolgono i numeri naturali.
Per dimostrare un teorema, utilizzando il principio di induzione:
1. si dimostra che il teorema è vero per 0 o per 1
324
15.4. PRINCIPIO D’INDUZIONE
2. supponendo che il teorema sia vero per n, si dimostra che è vero per n + 1
Esempio 15.4.1.
• La somma dei primi n numeri naturali è
n(n + 1)
2
Per n = 1 si ha
1(1 + 1)
1=
2
1=1
Il teorema è vero per n = 1.
Supposto che il teorema sia vero per n, cioè che:
n(n + 1)
1 + 2 + ... + n =
2
dimostriamo che è vero per n + 1, cioè che
(n + 1)(n + 2)
1 + 2 + ... + n + n + 1 =
2
Dimostrazione
1 + 2 + . . . + n + n + 1 = (1 + 2 + . . . + n) + n + 1 =
n(n + 1)
+n+1=
2
(n + 1)(n + 2)
n(n + 1) + 2(n + 1)
=
2
2
Poiché il teorema, supposto vero per n, è vero per n + 1, il teorema è vero per ogni
n>1
• La somma dei primi n numeri dispari è
n2
Per n = 1 si ha
1 = 12
1=1
Il teorema è vero per n = 1.
Supposto che il teorema sia vero per n, cioè che:
1 + 3 + . . . + 2n − 1 = n2
dimostriamo che è vero per n + 1, cioè che
1 + 3 + . . . + 2n − 1 + 2n + 1 = (n + 1)2
Dimostrazione
1 + 3 + . . . + 2n − 1 + 2n + 1 = (1 + 3 + . . . + 2n − 1) + 2n + 1 =
n2 + 2n + 1 = (n + 1)2
Poiché il teorema, supposto vero per n, è vero per n + 1, il teorema è vero per ogni
n>1
325
Capitolo 16
Numeri complessi
16.1
Introduzione
Definizione 16.1.1 (Numero complesso).
Si dice numero complesso un’espressione della forma a + ib, dove a, b ∈ R e i2 = −1
L’insieme dei numeri complessi si indica con C.
Poiché a + i0 = a, R ⊆ C.
Osservazione
Il numero complesso i si dice unità immaginaria.
Definizione 16.1.2 (Parte reale e parte immaginaria).
Dato il numero complesso z = a + ib, a si dice parte reale e si indica con Re(z), b si dice
parte immaginaria e si indica con Im(z)
Definizione 16.1.3 (Numero immaginario).
Un numero complesso della forma ib con b 6= 0 si dice immaginario.
Osservazione
Un numero complesso z è immaginario puro se e solo se Re(z) = 0 e Im(z) 6= 0, è reale se e
solo se Im(z) = 0.
Definizione 16.1.4 (Uguglianza tra numeri complessi).
Due numeri complessi sono uguali se e solo se hanno la stessa parte reale e la stessa parte
immaginaria, in simboli:
a + ib = c + id ⇔ a = c ∧ b = d
16.2
Addizione e moltiplicazione tra numeri complessi
Nell’insieme C, definiamo le operazioni di addizione, che indichiamo con + e di moltiplicazione, che indichiamo con ·:
(a + ib) + (c + id) = (a + c) + i(b + d)
(a + ib) · (c + id) = (ac − bd) + i(ad + bc)
326
16.3. CONIUGATO DI UN NUMERO COMPLESSO
16.2.1
Proprietà dell’addizione e della moltiplicazione
L’addizione in C gode delle seguenti proprietà:
1. commutativa: ∀z, w ∈ C z + w = w + z
2. associativa: ∀z, w, t ∈ C (z + w) + t = z + (w + t)
3. esistenza dell’elemento neutro: ∃0 ∈ C/∀z ∈ C z + 0 = z
4. esistenza dell’ opposto: ∀z ∈ C ∃ − z ∈ C/z + (−z) = 0.
Se z = a + ib allora −z = −a − ib
La moltiplicazione in C gode delle seguenti proprietà:
1. commutativa: ∀z, w ∈ C z · w = w · z
2. associativa: ∀z, w, t ∈ C (z · w) · t = z · (w · t)
3. esistenza dell’elemento neutro: ∃1 ∈ C/∀z ∈ C z · 1 = z
4. esistenza dell’ inverso: ∀z ∈ C0 ∃z −1 ∈ C/z · z −1 = 1.
a
−b
Se z = a + ib allora z −1 = 2
+i 2
2
a +b
a + b2
Vale inoltre la proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto all’addizione:
∀z, w, t ∈ C z · (w + t) = z · w + z · t
Osservazione
Per determinare l’inverso del numero complesso a + ib, si scrive
numeratore e denominatore per a − ib
1
e si moltiplicano
a + ib
Teorema 16.2.1 (Campo dei numeri complessi).
L’insieme dei numeri complessi C dotato delle operazioni di addizione e di moltiplicazione
definite precedentemente è un campo.
16.3
Coniugato di un numero complesso
Definizione 16.3.1 (Coniugato di un numero complesso).
Dato il numero complesso z = a + ib si dice coniugato di z il numero complesso z = a − ib.
Teorema 16.3.1 (Prodotto e somma tra un numero complesso e il suo coniugato).
Dato z = a + ib si ha
1. z + z = 2a
2. z · z = a2 + b2
327
CAPITOLO 16. NUMERI COMPLESSI
Teorema 16.3.2 (Numero complesso reale).
Il numero complesso z è reale se e solo se z = z
Teorema 16.3.3 (Proprietà del coniugato di un numero complesso).
1. ∀z, w ∈ C z + w = z + w
2. ∀z, w ∈ C z · w = z · w
Ç å
3. ∀z ∈ C0
1
z
=
1
z
Teorema 16.3.4 (Parte reale e parte immaginaria di un numero complesso).
Per ogni z ∈ C si ha
1
1. Re z = (z + z)
2
2. Im z =
16.4
1
(z − z)
2i
Modulo di un numero complesso
Definizione 16.4.1 (Modulo di un numero complesso).
√
Si dice modulo del numero complesso z = a + ib il numero reale |z| = a2 + b2
Osservazione
|z| =
√
zz
Il modulo di un numero complesso si indica anche con ρ.
Osservazione
√
Se z è reale |z| = a2 = |a|, quindi, per un numero reale, il modulo è uguale al valore
assoluto.
Teorema 16.4.1 (Proprietà del modulo di un numero complesso).
1. ∀z ∈ C
|z| > 0
2. ∀z ∈ C
|z| = 0 ⇔ z = 0
3. ∀z, w ∈ C
|zw| = |z||w|
4. ∀z, w ∈ C
|z + w| 6 |z| + |w|
328
16.5. POTENZE DELL’UNITÀ IMMAGINARIA
16.5
Potenze dell’unità immaginaria
Teorema 16.5.1 (Potenze dell’unità immaginaria).
i0 = 1
i1 = i
i2 = −1
i3 = i · i2 = −i
i4 = i2 · i2 = 1
i5 = i4 · i = i
Indicando con r il resto della divisione tra n e 4 si ha
in = ir
16.6
Potenza di un numero complesso
Per le potenze di un numero complesso continuano a valere le proprietà viste per i numeri
reali. In particolare z 0 = 1 ∀z ∈ C0 .
Per effettuare la potenza di un numero complesso è sufficiente applicare la regola della
potenza di un binomio.
16.7
Divisione tra numeri complessi
Per effettuare la divisione tra due numeri complessi, con il divisore non nullo, è sufficiente
effettuare la moltiplicazione tra il dividendo e l’inverso del divisore. In pratica, per effettuare
la divisione, si moltiplicano dividendo e divisore per il coniugato del divisore.
16.8
Rappresentazione geometrica dei numeri complessi:
il piano di Argand-Gauss
I numeri complessi si possono rappresentare su un sistema di riferimento cartesiano. Al
numero complesso a + ib corrisponde il punto di coordinate (a, b). Il piano si chiama piano
complesso o piano di Argand-Gauss. L’asse delle x si chiama asse reale, l’asse delle y si
chiama asse immaginario.
16.9
Rappresentazione dei numeri complessi mediante
vettori
−→
Il numero complesso z = a + ib è individuato dal vettore OP dove P ha coordinate (a, b)
Osservazione
Il modulo di un numero complesso è il modulo del vettore che lo individua.
329
CAPITOLO 16. NUMERI COMPLESSI
Definizione 16.9.1 (Argomento di un numero complesso).
Si dice argomento del numero complesso z 6= 0 e si indica con arg(z) l’angolo θ che il vettore
associato al numero forma con il semiasse reale positivo
Se il numero complesso è nullo, l’argomento è indeterminato.
L’argomento di un numero complesso è definito a meno di multipli di 2π. Noi consideriamo
come argomento principale 0 6 arg(z) < 2π.
16.10
Forma trigonometrica dei numeri complessi
Ogni numero complesso non nullo è individuato dal modulo e dall’argomento.
Teorema 16.10.1 (Forma trigonometrica di un numero complesso).
Dato il numero complesso z = a + ib si ha
z = ρ(cos(θ) + i sin(θ))
dove ρ = |z| e θ = arg(z)
La forma ρ(cos(θ) + i sin(θ)) si dice forma trigonometrica del numero complesso z.
Osservazione
Dato il numero complesso z = a + ib, si ha
√
ρ = a2 + b 2
a
+ b2
b
sin(θ) = √ 2
a + b2
b
tan(θ) =
a
Teorema 16.10.2 (Uguaglianza tra numeri complessi in forma trigonometrica).
Dati i numeri complessi
cos(θ) = √
a2
z = ρ(cos(θ) + i sin(θ)) e z 0 = ρ0 (cos(θ0 ) + i sin(θ0 ))
z = z 0 se e solo se ρ = ρ0 ∧ θ = θ0 + 2kπ per un opportuno k
16.10.1
Moltiplicazione
Teorema 16.10.3 (Moltiplicazione tra numeri complessi in forma trigonometrica).
Dati
z = ρ(cos(θ) + i sin(θ)) e z 0 = ρ0 (cos(θ0 ) + i sin(θ0 ))
si ha
zz 0 = ρρ0 (cos(θ + θ0 ) + i sin(θ + θ0 ))
330
16.10. FORMA TRIGONOMETRICA DEI NUMERI COMPLESSI
16.10.2
Potenza
Teorema 16.10.4 (Potenza di un numero complesso in forma trigonometrica).
Dato
z = ρ(cos(θ) + i sin(θ))
si ha
z n = ρn (cos(nθ) + i sin(nθ))
16.10.3
Complesso coniugato
Teorema 16.10.5 (Complesso coniugato).
Dato
z = ρ(cos(θ) + i sin(θ))
si ha
z = ρ(cos(−θ) + i sin(−θ))
16.10.4
Divisione
Teorema 16.10.6 (divisione tra numeri complessi in forma trigonometrica).
Dati
z = ρ(cos(θ) + i sin(θ)) e z 0 = ρ0 (cos(θ0 ) + i sin(θ0 ))
si ha
ρ
z
= 0 (cos(θ − θ0 ) + i sin(θ − θ0 ))
0
z
ρ
16.10.5
Radice ennesima
Dato z ∈ C si dice radice ennesima di z ogni numero complesso w tale che
wn = z
In particolare
√
n
0=0
Teorema 16.10.7 (Radice ennesima di un numero complesso in forma trigonometrica).
Dato
z = ρ(cos(θ) + i sin(θ))
si ha
Ç
Ç
å
Ç
åå
√
θ + 2kπ
θ + 2kπ
√
n
n
z = ρ cos
+ i sin
k = 0, . . . , n − 1
n
n
331
CAPITOLO 16. NUMERI COMPLESSI
Osservazione
Per determinare le radici ennesime di un numero complesso in alcuni casi si può utilizzare
la forma algebrica
Esempio 16.10.1.
Dato
z = −15 − 8i
determiniamo le sue radici quadrate.
Se
w = x + iy
è una radice quadrata di z, si ha
w2 = z
cioè
(x + iy)2 = −15 − 8i
x2 − y 2 + i2xy = −15 − 8i
da cui
( 2
x
− y 2 = −15
2xy = −8
(
x=1
∨
y = −4
(
x = −1
y=4
Quindi le radici quadrate di −15 − 8i sono
1 − 4i, −1 + 4i
16.10.6
Rappresentazione delle radici ennesime
Le radici ennesime di z ∈ C0 con n > 2 rappresentate sul piano complesso sono i vertici di
un poligono regolare di n lati inscritto nella circonferenza di centro l’origine e raggio uguale
al modulo di ciascuna di esse. Se n = 2 le radici ennesime sono due punti della circonferenza
simmetrici rispetto all’origine.
Per rappresentare le radici ennesime di z ∈ C0 con n > 2 sul piano complesso:
1. si determina una delle radici ennesime
2. si rappresenta una circonferenza di centro l’origine e raggio uguale al modulo della
radice ennesima
3. si rappresenta la radice ennesima trovata
4. si rappresentano le altre radici dividendo la circonferenza in n parti uguali partendo
da quella trovata
332
16.11. LA FUNZIONE ESPONENZIALE COMPLESSA
16.11
La funzione esponenziale complessa
Definizione 16.11.1 (Esponenziale complesso).
Dato z = x + iy ∈ C0 si ha
ez = ex (cos(y) + i sin(y))
Si pone e0 = 1
In particolare
• se y = 0 cioè z = x si ha
ez = ex (cos(0) + i sin(0)) = ex
• se x = 0 cioè z = iy si ha
ez = eiy = e0 (cos(y) + i sin(y)) = cos(y) + i sin(y)
16.11.1
Proprietà dell’esponenziale complesso
0
1. ∀z, z 0 ∈ C ez ez = ez+z
2. ∀z ∈ C, ∀n ∈ N0
3. ∀z, z 0 ∈ C
16.11.2
0
(ez )n = enz
ez
z−z 0
0 = e
z
e
Formule di Eulero
eiy = cos(y) + i sin(y)
e−iy = cos(y) − i sin(y)
eiy + e−iy
cos(y) =
2
eiy − e−iy
sin(y) =
2i
16.11.3
Forma esponenziale di un numero complesso
Teorema 16.11.1 (Forma esponenziale di un numero complesso).
Dato
z = ρ(cos(θ) + i sin(θ))
si ha
z = ρeiθ
Teorema 16.11.2 (Uguaglianza tra numeri complessi in forma esponenziale).
Dati i numeri complessi
z = ρeiθ e z 0 = ρ0 eiθ
0
z = z 0 se e solo se ρ = ρ0 ∧ θ = θ0 + 2kπ per un opportuno k
333
CAPITOLO 16. NUMERI COMPLESSI
16.11.4
Moltiplicazione
Teorema 16.11.3 (Moltiplicazione tra numeri complessi in forma esponenziale).
Dati
z = ρeiθ e z 0 = ρ0 eiθ
0
si ha
0
zz 0 = ρρ0 ei(θ+θ )
16.11.5
Potenza
Teorema 16.11.4 (Potenza di un numero complesso in forma esponenziale).
Dato
z = ρeiθ
si ha
z n = ρn einθ
16.11.6
Divisione
Teorema 16.11.5 (Divisione tra numeri complessi in forma esponenziale).
Dati
z = ρeiθ e z 0 = ρ0 eiθ
0
si ha
z
ρ
0
= 0 ei(θ−θ )
0
z
ρ
16.11.7
Radice ennesima
Teorema 16.11.6 (Radice ennesima di un numero complesso in forma esponenziale).
Dato
z = ρeiθ
si ha
√
n
z=
√
n
ρei
θ+2kπ
n
k = 0, · · · , n − 1
334
16.12. L’EQUAZIONE Z N − W = 0 IN C
L’equazione z n − w = 0 in C
16.12
Teorema 16.12.1.
L’equazione z n − w = 0 nell’incognita z ∈ C con w ∈ C0 ha n soluzioni distinte:
θ + 2kπ
√
z = n ρ cos
n
Ç
Ç
å
Ç
θ + 2kπ
+ i sin
n
åå
k = 0, . . . , n − 1
oppure
z=
√
n
ρei
θ+2kπ
n
k = 0, . . . , n − 1
dove ρ = |w| e θ = arg(w)
Osservazione
Per risolvere l’equazione z n − w = 0 in C è sufficiente determinare le radici ennesime di w
16.13
Equazioni di secondo grado in C
Teorema 16.13.1.
L’equazione az 2 + bz + c = 0 nell’incognita z ∈ C con a ∈ C0 , b, c ∈∈ C ha 2 soluzioni:
√
−b + ∆
z=
2a
dove
∆ = b2 − 4ac
Osservazione
Nella formula risolutiva compare solo il + perché la radice quadrata è intesa in senso
complesso e quindi ha due valori
335
Capitolo 17
Numeri reali
17.1
Introduzione
L’insieme R dei numeri reali, dotato delle operazioni di addizione e moltiplicazione, ha la
struttura di campo: per tali operazioni valgono le proprietà commutativa, associativa, di
esistenza dell’elemento neutro, di esistenza dell’inverso, vale inoltre la proprietà distributiva
della moltiplicazione rispetto all’addizione. L’insieme dei numeri reali è ordinato, cioè su
R è definita una relazione chiamata minore o uguale, che si indica con 6, che gode delle
proprietà riflessiva, antisimmetrica e transitiva. Due numeri reali sono sempre confrontabili,
quindi la relazione 6 è una relazione di ordine totale.
Vale inoltre il principio di Archimede: per ogni numero reale esiste un numero naturale
maggiore o uguale di esso.
Utilizzeremo i simboli −∞ e +∞ che hanno la seguente proprietà:
∀x ∈ R − ∞ < x < +∞
17.2
Intervalli
Gli intervalli sono particolari sottoinsiemi dei numeri reali.
Dati a, b ∈ R, con a 6 b si dice intervallo ciascuno dei seguenti insiemi:
]a, b[ = {x ∈ R/a < x < b} intervallo aperto
[a, b[ = {x ∈ R/a 6 x < b} intervallo semiaperto o semichiuso
]a, b] = {x ∈ R/a < x 6 b} intervallo semiaperto o semichiuso
[a, b] = {x ∈ R/a 6 x 6 b} intervallo chiuso
[a, +∞[ = {x ∈ R/x > a} intervallo chiuso
]a, +∞[ = {x ∈ R/x > a} intervallo aperto
]−∞, a] = {x ∈ R/x 6 a} intervallo chiuso
]−∞, a[ = {x ∈ R/x < a} intervallo aperto
Osservazioni
1. I primi 4 intervalli sono limitati, gli altri sono illimitati.
2. L’insieme R è l’intervallo ]−∞, +∞[.
336
17.3. ESTREMO SUPERIORE, ESTREMO INFERIORE, MASSIMO E
MINIMO DI UN INSIEME
3. [a, a] = {a}
4. ]a, a] = [a, a[=]a, a[= ∅
17.3
Estremo superiore, estremo inferiore, massimo e
minimo di un insieme
Sia A un sottoinsieme non vuoto di R.
Definizione 17.3.1 (Maggiorante).
Si dice che Λ ∈ R è un maggiorante di A, se e solo se ∀x ∈ A x 6 Λ.
Definizione 17.3.2 (Insieme superiormente limitato).
Si dice che A è superiormente limitato, se e solo se ammette un maggiorante
Definizione 17.3.3 (Estremo superiore).
Si dice estremo superiore di A il più piccolo dei maggioranti e si indica con sup (A).
Se l’estremo superiore esiste, è unico. Si può dimostrare che ogni sottoinsieme di R, non
vuoto e superiormente limitato, ammette estremo superiore.
Definizione 17.3.4 (Massimo).
Si dice che M è il massimo di A, se e solo se M ∈ A ∧ ∀x ∈ A x 6 M e si indica con
max (A).
Se il massimo esiste, è unico e coincide con l’estremo superiore.
Definizione 17.3.5 (Minorante).
Si dice che λ ∈ R è un minorante di A, se e solo se ∀x ∈ A x > λ.
Definizione 17.3.6 (Insieme inferiormente limitato).
Si dice che A è inferiormente limitato, se e solo se ammette un minorante
Definizione 17.3.7 (Estremo inferiore).
Si dice estremo inferiore di A il più grande dei minoranti e si indica con inf (A).
Se l’estremo inferiore esiste, è unico. Si può dimostrare che ogni sottoinsieme di R, non
vuoto e inferiormente limitato, ammette estremo inferiore.
Definizione 17.3.8 (Minimo).
Si dice che m è il minimo di A, se e solo se m ∈ A ∧ ∀x ∈ A x > m e si indica con min (A).
Se il minimo esiste, è unico e coincide con l’estremo inferiore.
Definizione 17.3.9 (Insieme limitato).
Si dice che A è limitato, se e solo se è superiormente e inferiormente limitato
Se A è limitato, allora ∃k > 0/∀x ∈ A |x| 6 k.
Esempio 17.3.1.
Dato A = [−2, 5[, A è limitato e ∀x ∈ A |x| 6 5.
337
Capitolo 18
Funzioni
18.1
Introduzione
Definizione 18.1.1 (Funzione).
Dati due insiemi D ed E non vuoti, si dice funzione f da D in E una relazione che a ogni
elemento di D associa uno e un solo elemento di E.
Notazione 18.1.1.
Le funzioni si indicano con f ,g,h.
Per indicare che una funzione f va da D in E si scrive
f :D→E
L’insieme D si chiama dominio, l’insieme E si chiama insieme di arrivo.
Se in una funzione f : D → E, x ∈ D è in relazione con y ∈ E, si dice che y è immagine di
x, x è controimmagine di y e si scrive y = f (x).
Se y = f (x), x si dice variabile indipendente e y variabile dipendente.
L’insieme delle immagini degli elementi di D si dice codominio e si indica con f (D):
f (D) = {f (x) ∈ E/x ∈ D}
Se, data la funzione f : D → E, D ed E sono sottoinsiemi dei numeri reali, allora essa è
detta funzione reale di variabile reale. In una funzione reale di variabile reale, il dominio
può essere dato a priori oppure si considera il dominio massimale; anche l’insieme di arrivo
può essere dato a priori oppure si considera R.
In una funzione f reale di variabile reale f (x) è l’espressione analitica,
y = f (x) è l’equazione cartesiana della funzione.
Data la funzione f : D ⊆ R → R, l’insieme G = {(x, f (x)) /x ∈ D} si dice grafo di f .
Introdotto un sistema di riferimento cartesiano, l’insieme G può essere rappresentato graficamente ottenendo così il grafico della funzione.
Si può osservare che, per ogni funzione, ciascuna retta parallela all’asse y, passante per un
elemento di D, incontra in uno e un solo punto il grafico della funzione. Ogni funzione reale
di variabile reale è individuata assegnando il dominio, l’insieme di arrivo e l’espressione
analitica.
338
18.2. FUNZIONI SURIETTIVE, INIETTIVE, BIIETTIVE
Esempio 18.1.1.
Data la funzione
f :R→R
f (x) = sin (x) (espressione analitica)
y = sin (x) (equazione cartesiana della funzione)
D=R
f (D) = [−1, 1]
18.2
Funzioni suriettive, iniettive, biiettive
Definizione 18.2.1 (Funzione suriettiva).
Una funzione f : D → E si dice suriettiva, se e solo se ogni elemento di E ammette almeno
una controimmagine.
In simboli:
∀y ∈ E ∃x ∈ D/f (x) = y
Se una funzione è suriettiva, il codominio è E.
Si può osservare che, data una funzione f : D → E reale di variabile reale, f è suriettiva, se
e solo se ciascuna retta parallela all’asse x, passante per un elemento di E, incontra almeno
in un punto il grafico della funzione.
Definizione 18.2.2 (Funzione iniettiva).
Una funzione f : D → E si dice iniettiva, se e solo se ogni elemento di E ammette al più
una controimmagine.
In simboli:
∀x, x0 ∈ D x 6= x0 ⇒ f (x) 6= f (x0 )
Si può osservare che, data una funzione f : D → E reale di variabile reale, f è iniettiva, se
e solo se ciascuna retta parallela all’asse x, passante per un elemento di E, incontra al più
in un punto il grafico della funzione.
Definizione 18.2.3 (Funzione biiettiva).
Una funzione f : D → E si dice biiettiva, se e solo se è iniettiva e suriettiva.
Una funzione biiettiva si dice anche biiezione o corrispondenza biunivoca.
Dalla definizione si deduce che una funzione f : D → E è una biiezione, se e solo se ogni
elemento di E ammette una e una sola controimmagine.
Si può osservare che, data una funzione f : D → E reale di variabile reale, f è biiettiva, se
e solo se ciascuna retta parallela all’asse x, passante per un elemento di E, incontra in uno
e un solo punto il grafico della funzione.
339
CAPITOLO 18. FUNZIONI
18.3
Funzione inversa
Definizione 18.3.1 (Funzione inversa).
Data la funzione f : D → E, se esiste la funzione f −1 : E → D definita nel seguente modo:
x = f −1 (y) ⇔ y = f (x) , ∀x ∈ D, ∀y ∈ E
f è invertibile e f −1 è la funzione inversa.
Si può osservare che una funzione è invertibile, se e solo se è biiettiva; la funzione inversa è
ancora biiettiva.
Per una funzione reale di variabile reale, il grafico della sua inversa è il simmetrico rispetto
alla bisettrice del primo e terzo quadrante del grafico della funzione data.
Una funzione f non invertibile, si può rendere invertibile restringendo opportunamente il
dominio e l’insieme di arrivo.
Per ricavare la funzione inversa di una funzione invertibile f : D → E:
1. si scrive l’equazione cartesiana della funzione: y = f (x)
2. si ricava la variabile x ottenendo x = f −1 (y)
3. si scambiano le variabili: y = f −1 (x)
4. la funzione inversa è f −1 : E → D
18.4
Composizione di funzioni
Definizione 18.4.1 (Funzione composta).
Siano f : A → B e g : C → D due funzioni tali che il codominio di f sia incluso nel dominio
di g.
Si dice funzione composta di f e g la funzione g ◦ f : A → D (g composto f ) definita nel
seguente modo:
(g ◦ f ) (x) = g (f (x)) , ∀x ∈ A
Se il codominio di f non è incluso nel dominio di g si può restringere opportunamente il
dominio di f in modo che il suo codominio sia incluso nel dominio di g
18.5
Zeri di una funzione
Definizione 18.5.1 (Zero di una funzione).
Si dice zero della funzione f : D ⊆ R → R ogni valore del dominio che la annulla.
Per determinare gli zeri si risolve l’equazione f (x) = 0 in D.
340
18.6. FUNZIONI LIMITATE
18.6
Funzioni limitate
Definizione 18.6.1 (Funzione superiormente limitata).
Una funzione f : D → R si dice superiormente limitata se il codominio è superiormente
limitato.
Definizione 18.6.2 (Funzione inferiormente limitata).
Una funzione f : D → R si dice inferiormente limitata se il codominio è inferiormente
limitato.
Definizione 18.6.3 (Funzione limitata).
Una funzione f : D → R si dice limitata se il codominio è limitato.
Definizione 18.6.4 (Estremo superiore).
Si dice estremo superiore di una funzione f : D → R l’estremo superiore del codominio e si
indica con sup (f ).
Definizione 18.6.5 (Massimo).
Si dice massimo (assoluto) di una funzione f : D → R il massimo del codominio e si indica
con max (f ).
Se una funzione f è dotata di massimo M , allora esiste x0 ∈ D tale che f (x0 ) = M e
∀x ∈ D f (x) 6 f (x0 ); x0 si dice punto di massimo (assoluto) per la funzione f .
Definizione 18.6.6 (Estremo inferiore).
Si dice estremo inferiore di una funzione f : D → R l’estremo inferiore del codominio e si
indica con inf (f ).
Definizione 18.6.7 (Minimo).
Si dice minimo (assoluto) di una funzione f : D → R il minimo del codominio e si indica
con min (f ).
Se una funzione f è dotata di minimo m, allora esiste x0 ∈ D tale che f (x0 ) = m e
∀x ∈ D f (x) > f (x0 ); x0 si dice punto di minimo (assoluto) per la funzione f .
18.7
Funzioni monotòne
Definizione 18.7.1 (Funzione monotòne).
Dato un intervallo I, una funzione f : I → R si dice:
• crescente in senso stretto su I, se ∀x1 , x2 ∈ I x1 < x2 ⇒ f (x1 ) < f (x2 )
• crescente su I, se ∀x1 , x2 ∈ I x1 < x2 ⇒ f (x1 ) 6 f (x2 )
• decrescente in senso stretto su I, se ∀x1 , x2 ∈ I x1 < x2 ⇒ f (x1 ) > f (x2 )
• decrescente su I, se ∀x1 , x2 ∈ I x1 < x2 ⇒ f (x1 ) > f (x2 )
In tutti questi casi si dice che la funzione è monotòna su I. In particolare se la funzione è
crescente o decrescente in senso stretto si dice strettamente monotòna o monotòna in senso
stretto.
341
CAPITOLO 18. FUNZIONI
18.8
Classificazione delle funzioni
Le funzioni reali di variabile reale si possono suddividere in funzioni algebriche e funzioni
trascendenti.
Una funzione si dice algebrica se è espressa solo mediante le operazioni: addizione, sottrazione, moltiplicazione, divisione, potenza e radice.
Una funzione si dice trascendente se non è algebrica.
18.8.1
Funzioni iperboliche
Esempio 18.8.1.
• La funzione
f (x) = sinh (x) =
ex − e−x
2
è il seno iperbolico. Il dominio è
D=R
il codominio
f (D) = R
e il grafico
3
y
2
1
x
−3
−2
−1
O
1
2
3
−1
−2
−3
Figura 18.1: grafico di f (x) = sinh (x)
• La funzione
f (x) = cosh (x) =
ex + e−x
2
342
18.8. CLASSIFICAZIONE DELLE FUNZIONI
è il coseno iperbolico. Il dominio è
D=R
il codominio
f (D) = [1, +∞[
e il grafico
y
4
3
2
1
x
−4
−3
−2
−1
O
1
2
3
−1
Figura 18.2: grafico di f (x) = cosh (x)
• La funzione
f (x) = tanh (x) =
sinh(x)
ex − e−x
= x
cosh(x)
e + e−x
è la tangente iperbolica. Il dominio è
D=R
il codominio
f (D) =] − 1, 1[
e il grafico
343
4
CAPITOLO 18. FUNZIONI
3
y
2
1
x
−3
−2
−1
O
1
2
3
−1
−2
−3
Figura 18.3: grafico di f (x) = tanh (x)
• La funzione
cosh(x)
ex + e−x
= x
sinh(x)
e − e−x
è la cotangente iperbolica. Il dominio è
f (x) = coth (x) =
D = ]−∞, 0[ ∪ ]0, +∞[
il codominio
f (D) =] − ∞, −1[∪]1, +∞[
e il grafico
3
y
2
1
x
−3
−2
−1
O
1
2
3
−1
−2
−3
Figura 18.4: grafico di f (x) = coth (x)
344
18.8. CLASSIFICAZIONE DELLE FUNZIONI
Teorema 18.8.1.
cosh2 (x) − sinh2 (x) = 1 ∀x ∈ R
18.8.2
Inverse delle funzioni iperboliche
Esempio 18.8.2.
Determiniamo la funzione inversa di
g:R→R
g (x) = sinh (x)
La funzione g è biiettiva, quindi esiste la funzione inversa g −1 = f .
La funzione
f :R→R
f (x) = settsinh (x)
ha dominio
D=R
codominio
f (D) = R
e grafico
3
y
2
1
x
−6
−5
−4
−3
−2
O
−1
1
2
3
4
−1
−2
−3
Figura 18.5: grafico di f (x) = settsinh (x)
Teorema 18.8.2.
settsinh (x) = ln(x +
√
x2 + 1) ∀x ∈ R
345
5
6
7
CAPITOLO 18. FUNZIONI
Esempio 18.8.3.
Determiniamo la funzione inversa di
g:R→R
g (x) = cosh (x)
La funzione g non è biiettiva.
g : [0, +∞[ → [1, +∞[
g (x) = cosh (x)
La funzione g è biiettiva, quindi esiste la funzione inversa g −1 = f .
La funzione
f : [1, +∞[→ [0, +∞[
f (x) = settcosh (x)
ha dominio
D = [1, +∞[
codominio
f (D) = [0, +∞[
e grafico
3
y
2
1
x
−2
O
−1
1
2
3
4
5
6
7
−1
Figura 18.6: grafico di f (x) = settcosh (x)
Teorema 18.8.3.
settcosh (x) = ln(x +
√
x2 − 1) ∀x ∈ [1, +∞[
346
8
18.9. DOMINI DI FUNZIONI REALI DI VARIABILE REALE
18.9
Domini di funzioni reali di variabile reale
Se una funzione è data solo con l’espressione analitica, si deve determinare il dominio
massimale.
18.10
Funzioni pari e funzioni dispari
Definizione 18.10.1 (Funzione pari).
Una funzione f : D → R si dice pari se
• x ∈ D ⇒ −x ∈ D
• ∀x ∈ D f (−x) = f (x)
Per determinare se una funzione è pari, è sufficiente vedere se il dominio è simmetrico
rispetto all’origine, calcolare f (−x) e vedere se si ottiene la stessa espressione analitica.
Il grafico di una funzione pari è simmetrico rispetto all’asse y.
Definizione 18.10.2 (Funzione dispari).
Una funzione f : D → R si dice dispari se
• x ∈ D ⇒ −x ∈ D
• ∀x ∈ D f (−x) = −f (x)
Per determinare se una funzione è dispari, è sufficiente vedere se il dominio è simmetrico
rispetto all’origine, calcolare f (−x) e vedere se si ottiene l’opposto dell’espressione analitica
data.
Il grafico di una funzione dispari è simmetrico rispetto all’origine.
18.11
Funzioni periodiche
Definizione 18.11.1 (Funzione periodica).
Una funzione f : D → R si dice periodica di periodo T 6= 0 se
• x∈D ⇔x+T ∈D
• ∀x ∈ D f (x + T ) = f (x)
Si può osservare che se f è periodica di periodo T , allora:
∀x ∈ D, ∀k ∈ Z x + kT ∈ D ∧ f (x + kT ) = f (x)
Se T è il periodo di una funzione, allora anche kT (k 6= 0) è un periodo della funzione.
Il minimo tra i periodi positivi, se esiste, viene detto periodo principale.
Esistono funzioni periodiche che non hanno periodo principale: nella funzione costante tutti
i numeri reali sono periodi ma non esiste il più piccolo positivo.
Tutte le volte che si parla di periodo si intende il periodo principale.
Per determinare il periodo di una funzione:
347
CAPITOLO 18. FUNZIONI
1. si determina il dominio D
2. si determina T , se esiste, imponendo che ∀x ∈ D f (x + T ) = f (x)
3. si verifica che x ∈ D ⇔ x + T ∈ D
Osservazioni
1. Una funzione con dominio inferiormente limitato o superiormente limitato non può
essere periodica.
2. Se il dominio di una funzione è R, la condizione x ∈ D ⇔ x + T ∈ D è sempre
verificata.
In generale non si possono stabilire regole per determinare il periodo delle funzioni. Ci si
può solo attenere alle indicazioni che seguono:
• se una funzione f è periodica di periodo T , allora la funzione g, definita da g (x) =
T
f (kx), con k ∈ R − {0}, è periodica di periodo
|k|
• se si hanno due funzioni periodiche con diversi periodi T1 e T2 , e se esistono multipli
interi comuni dei due periodi, allora le funzioni somma, prodotto, quoziente, hanno
periodo uguale al minimo comune multiplo dei periodi
• se si hanno due funzioni periodiche con lo stesso periodo T , allora le funzioni somma,
prodotto, quoziente (se non si ottiene una costante), hanno periodo minore o uguale
al periodo comune T
18.12
Intersezioni con gli assi
Per determinare gli eventuali punti di intersezione del grafico di una funzione
f : D → R con gli assi cartesiani, si risolve il sistema costituito dall’equazione cartesiana
della funzione e dall’equazione di uno dei due assi.
il grafico interseca l’asse x nei punti che hanno come ascissa gli zeri della funzione e come
ordinata 0.
Il grafico interseca l’asse y al più in un punto.
Se 0 non appartiene al dominio, il sistema è impossibile e quindi il grafico non interseca
l’asse y.
Se 0 appartiene al dominio, il grafico interseca l’asse y nel punto che ha come ascissa 0 e
come ordinata f (0).
18.13
Segno di una funzione
Studiare il segno di una funzione f significa determinare gli intervalli nei quali la funzione
è positiva, nulla, negativa. Per far questo si risolve la disequazione f (x) > 0 nel dominio.
348
18.14. LE TRASFORMAZIONI GEOMETRICHE E I GRAFICI DELLE
FUNZIONI
18.14
Le trasformazioni geometriche e i grafici delle funzioni
18.14.1
Traslazione
Il grafico della funzione g (x) = f (x + a) +
! b con (a, b) 6= (0, 0) è il grafico della funzione f
−a
traslato di un vettore di componenti
.
b
Se a = 0, il vettore è parallelo all’asse y e quindi si ha una traslazione verso l’alto (b > 0) o
verso il basso (b < 0). Se b = 0, il vettore è parallelo all’asse x e quindi si ha una traslazione
verso destra (a < 0) o verso sinistra (a > 0). Se a 6= 0 ∧ b 6= 0 il vettore non è parallelo agli
assi.
18.14.2
Simmetrie
Il grafico della funzione g (x) = −f (x) è il simmetrico rispetto all’asse x del grafico di f .
Il grafico della funzione g (x) = f (−x) è il simmetrico rispetto all’asse y del grafico di f .
Il grafico della funzione g (x) = −f (−x) è il simmetrico rispetto all’origine del grafico di f .
18.14.3
Valore assoluto
il grafico della funzione g (x) = |f (x) | è il grafico di f dove f è positiva o nulla, è il
simmetrico rispetto all’asse x del grafico di f dove f è negativa.
il grafico della funzione g (x) = f (|x|) è il grafico di f per x ∈ D ∧ x > 0, mentre,
per −x ∈ D ∧ x < 0, è il simmetrico rispetto all’asse y della parte del grafico di f per
x ∈ D ∧ x > 0.
18.14.4
Dilatazione e contrazione
Il grafico della funzione g (x) = af (bx) con a, b ∈ R+ e (a, b) 6= (1, 1) è il grafico della
funzione f dilatato o contratto.
Se a = 1, si ottiene g (x) = f (bx) e, se 0 < b < 1, si ha una dilatazione lungo l’asse x, se
b > 1, si ha una contrazione lungo l’asse x.
Se b = 1, si ottiene g (x) = af (x) e, se a > 1, si ha una dilatazione lungo l’asse y, se
0 < a < 1, si ha una contrazione lungo l’asse y.
Se b 6= 1 ∧ a 6= 1 si ha una dilatazione o contrazione lungo i due assi.
349
Capitolo 19
Topologia
19.1
Intorno
Definizione 19.1.1 (Intorno elementare).
Si dice intorno elementare di x0 ∈ R ogni intervallo aperto contenente x0 .
Definizione 19.1.2 (Intorno).
Si dice intorno di x0 ∈ R ogni sottoinsieme di R contenente un intorno elementare di x0 .
Un intorno di x0 si indica in uno dei seguenti modi:
I (x0 ) , U (x0 ) , V (x0 )
1. Tutti gli intorni elementari di x0 ∈ R sono intorni di x0 .
2. Per ogni x0 ∈ R, esiste almeno un intorno, Se esiste un intorno di x0 ∈ R, allora ne
esistono infiniti.
19.1.1
Proprietà degli intorni
1. Un intorno di x0 ∈ R non è mai vuoto, infatti contiene almeno x0 .
2. L’intersezione di due intorni di x0 è un intorno di x0 .
3. L’intersezione di un numero finito di intorni di x0 è un intorno di x0
4. Se U (x0 ) è un intorno di x0 e U (x0 ) ⊆ A, allora A è un intorno di x0 .
5. Dati x1 , x2 ∈ R con x1 6= x2 , esistono un intorno di x1 e un intorno di x2 tali che la
loro intersezione è vuota.
19.2
Punti interni ad un insieme
Definizione 19.2.1 (Punto interno).
Un punto x0 ∈ R si dice interno ad A ⊆ R se esiste un intorno di x0 incluso in A.
L’insieme di tutti i punti interni ad A si dice parte interna di A e si indica con Int (A). Un
punto interno ad un insieme appartiene all’insieme.
350
19.3. PUNTI ESTERNI AD UN INSIEME
19.3
Punti esterni ad un insieme
Definizione 19.3.1 (Punto esterno).
Un punto x0 ∈ R si dice esterno ad A ⊆ R se esiste un intorno di x0 che ha intersezione
vuota con A.
L’insieme di tutti i punti esterni di A si dice parte esterna di A e si indica con Ext (A). Un
punto esterno ad un insieme non appartiene all’insieme.
19.4
Punti di frontiera di un insieme
Definizione 19.4.1 (Punto di frontiera).
Un punto x0 ∈ R si dice punto di frontiera di A ⊆ R se ogni intorno di x0 contiene dei punti
appartenenti a A e dei punti appartenenti al complementare di A.
L’insieme di tutti i punti di frontiera di A si dice frontiera di A e si indica con Fr (A).
1. Un punto di frontiera di un insieme può appartenere o non appartenere all’insieme.
2. Int (A) ∪ Ext (A) ∪ Fr (A) = R
3. la parte interna, esterna e di frontiera sono disguinte a due a due
19.5
Punti aderenti ad un insieme
Definizione 19.5.1 (Punto aderente).
Un punto x0 ∈ R si dice punto aderente ad A ⊆ R se è un punto interno o un punto di
frontiera di A. L’insieme di tutti i punti aderenti ad A si dice chiusura di A e si indica con
A.
1. Un punto aderente ad un insieme può appartenere o non appartenere all’insieme.
2. A ⊆ A
19.6
Punti isolati di un insieme
Definizione 19.6.1 (Punto isolato).
Un punto x0 ∈ R si dice punto isolato di A ⊆ R se esiste un intorno di x0 che ha in comune
con A solo x0 .
Un punto isolato di un insieme appartiene all’insieme.
351
CAPITOLO 19. TOPOLOGIA
19.7
Punti di accumulazione di un insieme
Definizione 19.7.1 (Punto di accumulazione).
Un punto x0 ∈ R si dice punto di accumulazione di A ⊆ R se è aderente ad A e non è un
punto isolato di A.
L’insieme dei punti di accumulazione di A viene chiamato derivato di A e si indica con
D (A).
Un punto di accumulazione di un insieme può appartenere o non appartenere all’insieme.
Se x0 ∈ R è un punto di accumulazione di A, ogni intorno di x0 contiene infiniti punti di A
352
Capitolo 20
Limiti di funzioni
20.1
Limite finito
Il concetto di limite serve per studiare il comportamento di una funzione f : D → R nelle
vicinanze di un punto x0 in cui la funzione può essere definita oppure no; il punto x0 deve
essere un punto di accumulazione del dominio.
Definizione 20.1.1 (Limite finito).
Siano f : D → R e x0 punto di accumulazione di D. Si dice che la funzione f tende al limite
l ∈ R per x tendente a x0 , se e solo se per ogni ε positivo esiste un intorno U (x0 ) di x0 tale
che per ogni x ∈ U (x0 ) ∩ D − {x0 } si ha |f (x) − l| < ε.
In simboli:
lim f (x) = l ⇔ ∀ε > 0 ∃ U (x0 ) /∀x ∈ U (x0 ) ∩ D − {x0 } ⇒ |f (x) − l| < ε
x→x0
20.2
Limite infinito
Definizione 20.2.1 (Limite infinito).
Siano f : D → R e x0 punto di accumulazione di D.
lim f (x) = +∞ ⇔ ∀M > 0 ∃ U (x0 ) /∀x ∈ U (x0 ) ∩ D − {x0 } ⇒ f (x) > M
x→x0
lim f (x) = −∞ ⇔ ∀M > 0 ∃ U (x0 ) /∀x ∈ U (x0 ) ∩ D − {x0 } ⇒ f (x) < −M
x→x0
20.3
Limite finito di una funzione all’infinito
Definizione 20.3.1 (Limite finito di una funzione all’infinito).
Sia f : D → R con D superiormente illimitato.
lim f (x) = l ⇔ ∀ε > 0 ∃ N/∀x ∈ D, x > N ⇒ |f (x) − l| < ε
x→+∞
Sia f : D → R con D inferiormente illimitato.
lim f (x) = l ⇔ ∀ε > 0 ∃ N/∀x ∈ D, x < N ⇒ |f (x) − l| < ε
x→−∞
353
CAPITOLO 20. LIMITI DI FUNZIONI
20.4
Limite infinito di una funzione all’infinito
Definizione 20.4.1 (Limite infinito di una funzione all’infinito).
Sia f : D → R con D superiormente illimitato.
lim f (x) = +∞ ⇔ ∀M > 0 ∃ N/∀x ∈ D, x > N ⇒ f (x) > M
x→+∞
lim f (x) = −∞ ⇔ ∀M > 0 ∃ N/∀x ∈ D, x > N ⇒ f (x) < −M
x→+∞
Sia f : D → R con D inferiormente illimitato.
lim f (x) = +∞ ⇔ ∀M > 0 ∃ N/∀x ∈ D, x < N ⇒ f (x) > M
x→−∞
lim f (x) = −∞ ⇔ ∀M > 0 ∃ N/∀x ∈ D, x < N ⇒ f (x) < −M
x→−∞
20.5
Limite destro e limite sinistro
Definizione 20.5.1 (Limite sinistro).
Siano f : D → R e x0 punto di accumulazione di D∩] − ∞, x0 [.
Si dice che la funzione f tende al limite l ∈ R per x tendente a x0 da sinistra, e si scrive
lim− f (x) = l, se e solo se
x→x0
∀ε > 0 ∃ U (x0 ) /∀x < x0 con x ∈ U (x0 ) ∩ D ⇒ |f (x) − l| < ε
Definizione 20.5.2 (Limite destro).
Siano f : D → R e x0 punto di accumulazione di D∩]x0 , +∞[.
Si dice che la funzione f tende al limite l ∈ R per x tendente a x0 da destra, e si scrive
lim+ f (x) = l, se e solo se
x→x0
∀ε > 0 ∃ U (x0 ) /∀x > x0 con x ∈ U (x0 ) ∩ D ⇒ |f (x) − l| < ε
Definizione 20.5.3 (Limite sinistro infinito).
Siano f : D → R e x0 punto di accumulazione di D∩] − ∞, x0 [.
lim f (x) = +∞ ⇔ ∀M > 0 ∃ U (x0 ) /∀x < x0 con x ∈ U (x0 ) ∩ D ⇒ f (x) > M
x→x−
0
lim f (x) = −∞ ⇔ ∀M > 0 ∃ U (x0 ) /∀x < x0 con x ∈ U (x0 ) ∩ D ⇒ f (x) < −M
x→x−
0
Definizione 20.5.4 (Limite destro infinito).
Siano f : D → R e x0 punti di accumulazione di D∩]x0 , +∞[.
lim f (x) = +∞ ⇔ ∀M > 0 ∃ U (x0 ) /∀x > x0 con x ∈ U (x0 ) ∩ D ⇒ f (x) > M
x→x+
0
lim f (x) = −∞ ⇔ ∀M > 0 ∃ U (x0 ) /∀x > x0 con x ∈ U (x0 ) ∩ D ⇒ f (x) < −M
x→x+
0
354
20.6. TEOREMI SUI LIMITI
20.6
Teoremi sui limiti
Teorema 20.6.1 (Unicità del limite).
Siano f : D → R e x0 punto di accumulazione di D.
Se
lim f (x) = l ∈ R
x→x0
allora
l è unico
Il teorema vale anche per x → ±∞ e per l = ±∞.
Teorema 20.6.2 (Limite destro e limite sinistro).
Siano f : D → R e x0 punto di accumulazione di D∩] − ∞.x0 [∩]x0 , +∞[.
lim f (x) = l ⇔ lim− f (x) = l ∧ lim+ f (x) = l
x→x0
x→x0
x→x0
Osservazione
Se
1. x0 è un punto di accumulazione di D
2. limx→x+0 f (x) = l ∈ R
3. il limite sinistro non si può effettuare
allora si pone
lim f (x) = l
x→x0
Analogamente per il limite sinistro.
Teorema 20.6.3 (Permanenza del segno).
Siano f : D → R e x0 punto di accumulazione di D.
Se
lim f (x) = l > 0
x→x0
allora
∃ U (x0 ) /∀x ∈ U (x0 ) ∩ D − {x0 } ⇒ f (x) > 0
Se
lim f (x) = l < 0
x→x0
allora
∃ U (x0 ) /∀x ∈ U (x0 ) ∩ D − {x0 } ⇒ f (x) < 0
355
CAPITOLO 20. LIMITI DI FUNZIONI
Teorema 20.6.4 (Del confronto).
Siano f, g, h : D → R e x0 punto di accumulazione di D.
Se
1. esiste un intorno V (x0 ) di x0 tale che f (x) 6 h (x) 6 g (x) ∀x ∈ V (x0 ) ∩ D − {x0 }
2. x→x
lim f (x) = l
0
3. x→x
lim g (x) = l
0
allora
lim h (x) = l
x→x0
Teorema 20.6.5 (Limite di una funzione composta).
Siano f : D → R e x0 punto di accumulazione di D, g : D0 → R e l punto di accumulazione
di D0 .
Se
1. lim f (x) = l
x→x0
2. f (D) ⊆ D0
3. lim g (y) = m
y→l
allora
lim g (f (x)) = m
x→x0
Teorema 20.6.6 (Valore assoluto).
Siano f : D → R e x0 punto di accumulazione di D.
Se
lim f (x) = l
x→x0
allora
lim |f (x) | = |l|
x→x0
Teorema 20.6.7 (Limite di una somma).
Siano f, g : D → R e x0 punto di accumulazione di D.
Se
1. x→x
lim f (x) = l
0
2. lim g (x) = m
x→x0
allora
lim (f (x) + g (x)) = l + m
x→x0
356
20.6. TEOREMI SUI LIMITI
Teorema 20.6.8 (Limite di un prodotto).
Siano f, g : D → R e x0 punto di accumulazione di D.
Se
1. x→x
lim f (x) = l
0
2. lim g (x) = m
x→x0
allora
lim f (x) g (x) = lm
x→x0
Il teorema si può generalizzare al prodotto di n funzioni. In particolare, se lim f (x) = l,
x→x0
allora x→x
lim (f (x))n = ln
0
Teorema 20.6.9 (Limite di un quoziente).
Siano f, g : D → R e x0 punto di accumulazione di D.
Se
1. x→x
lim f (x) = l
0
2. lim g (x) = m 6= 0
x→x0
allora
lim
x→x0
l
f (x)
=
g (x)
m
Osservazione
Poiché per ipotesi m 6= 0, per il teorema della permanenza del segno esiste un intorno di x0
U (x0 ) tale che in ogni punto di U (x0 ) ∩ D − {x0 } la funzione g non si annulla.
Teorema 20.6.10.
Siano f, g : D → R e x0 punto di accumulazione di D.
Se
1. f è limitata
2. lim g (x) = 0
x→x0
allora
lim f (x) g (x) = 0
x→x0
+
Tutti i teoremi visti valgono anche per x → x−
0 , x → x0 , x → ±∞. Esistono teoremi analoghi in cui il limite è ±∞ e i cui risultati verranno sintetizzati con delle tabelle.
In precedenza, quando il limite è 0, si è scritto lim f (x) = 0. Per applicare correttamenx→x0
te le generalizzazioni dei teoremi precedenti, a volte si dovrà scrivere x→x
lim f (x) = 0− o
0
lim f (x) = 0+ .
x→x0
357
CAPITOLO 20. LIMITI DI FUNZIONI
20.6.1
lim f (x)
x→x0
l
+∞
−∞
20.6.2
lim f (x)
x→x0
l
l
l
+∞
−∞
±∞
20.6.3
lim f (x)
x→x0
l
l>0
l<0
l>0
l<0
0
−∞
−∞
+∞
+∞
Valore assoluto
lim |f (x)|
x→x0
|l|
+∞
+∞
Addizione
lim g (x)
x→x0
m
+∞
−∞
+∞
−∞
∓∞
lim (f (x) + g (x))
x→x0
l+m
+∞
−∞
+∞
−∞
forma indeterminata
Moltiplicazione
lim g (x)
x→x0
m
+∞
+∞
−∞
−∞
±∞
−∞
+∞
+∞
−∞
lim f (x) · g (x)
x→x0
l·m
+∞
−∞
−∞
+∞
forma indeterminata
+∞
−∞
+∞
−∞
358
20.7. VERIFICA DI LIMITI DI ALCUNE FUNZIONI
20.6.4
Divisione
lim f (x)
x→x
lim g (x)
x→x
l
m 6= 0
>0
>0
<0
<0
0
0
l
l
±∞
+∞
+∞
−∞
−∞
+∞
+∞
−∞
−∞
0+
0−
0+
0−
0
m 6= 0
+∞
−∞
±∞
m>0
m<0
m>0
m<0
0+
0−
0+
0−
0
0
l
l
l
l
f (x)
0 g (x)
l
m
+∞
−∞
−∞
+∞
forma indeterminata
0
0
0
forma indeterminata
+∞
−∞
−∞
+∞
+∞
−∞
−∞
+∞
lim
x→x
+
I risultati delle tabelle valgono anche per x → x−
0 , x → x0 , x → ±∞.
20.7
Verifica di limiti di alcune funzioni
• limx→+∞ x = +∞
√
• limx→+∞ n x = +∞
• dato n dispari, limx→−∞
√
n
x = −∞
• Dati i polinomi P (x) e Q (x), con Q (x0 ) 6= 0
lim
x→x0
P (x)
P (x0 )
=
Q (x)
Q (x0 )
• limx→+∞ ex = +∞
• limx→−∞ ex = 0
• se a > 1
lim ax = +∞
x→+∞
lim ax = 0
x→−∞
359
CAPITOLO 20. LIMITI DI FUNZIONI
se 0 < a < 1
lim ax = 0
x→+∞
lim ax = +∞
x→−∞
• limx→+∞ ln (x) = +∞
• limx→0+ ln (x) = −∞
• se a > 1
lim loga (x) = +∞
x→+∞
lim loga (x) = −∞
x→0+
se 0 < a < 1
lim loga (x) = −∞
x→+∞
lim loga (x) = +∞
x→0+
• se
lim f (x) = 0+ e x→x
lim g(x) = +∞
x→x0
0
allora
lim f (x)g(x) = 0
x→x0
• se
lim f (x) = 0+ e lim g(x) = −∞
x→x0
x→x0
allora
lim f (x)g(x) = +∞
x→x0
• limx→±∞ sin (x) = @
• limx→±∞ cos (x) = @
• limx→ π − tan (x) = +∞
2
limx→ π + tan (x) = −∞
2
• limx→0− cot (x) = −∞
limx→0+ cot (x) = +∞
360
20.8. FORME INDETERMINATE
20.8
Forme indeterminate
I teoremi sui limiti non si possono applicare se non sono verificate tutte le ipotesi. Per
esempio, se nel quoziente di due funzioni il numeratore e il denominatore tendono entrambi
0
a zero, non si può dire nulla sul limite del quoziente. In questo caso si dice che è una
0
forma indeterminata. Le forme indeterminate che si incontrano nei limiti sono le seguenti:
0 ±∞
,
, +∞ − ∞, −∞ + ∞, 0 · (±∞) , 1±∞ , (±∞)0 , 00
0 ±∞
20.8.1
Forme indeterminate con funzioni razionali
0
0
Per calcolare questo tipo di limiti, si devono scomporre numeratore e denominatore e poi
semplificare.
Forma indeterminata
Forme indeterminate +∞ − ∞ e −∞ + ∞
Per calcolare questo tipo di limiti, si deve raccogliere la potenza con esponente maggiore.
Per calcolare questo tipo di limiti si può utilizzare il seguente teorema.
Teorema 20.8.1.
Il limite per x → ±∞ di una funzione razionale intera è uguale al limite del termine di
grado massimo.
Forme indeterminate
±∞
±∞
Per calcolare questi limiti si deve raccogliere la potenza con esponente maggiore a numeratore e a denominatore e semplificare.
Per calcolare questo tipo di limiti si può utilizzare il seguente teorema.
Teorema 20.8.2.
Il limite per x → ±∞ del quoziente di polinomi è uguale al limite del rapporto tra i termini
di grado massimo.
Rapporto e differenza di radici
Per calcolare questo tipo di limiti, a volte si deve raccogliere la potenza con esponente
maggiore e portare fuori dal segno di radice o applicare la proprietà del prodotto di radicali
facendo attenzione al segno del radicando; a volte è necessario razionalizzare.
20.9
20.9.1
lim
x→0
Limiti notevoli
Primo limite notevole
sin (x)
=1
x
361
CAPITOLO 20. LIMITI DI FUNZIONI
Esempio 20.9.1.
tan (x)
=1
x→0
x
• lim
1 − cos (x)
=0
x→0
x
• lim
1 − cos (x)
1
=
2
x→0
x
2
• lim
a
sin (ax)
= , con a, b 6= 0
x→0
bx
b
• lim
20.9.2
Secondo limite notevole
Ç
lim
x→+∞
1
1+
x
Ç
lim
x→−∞
1
1+
x
åx
=e
åx
=e
Esempio 20.9.2.
1
• lim (1 + x) x = e
x→0
• lim
Å
1+
x→+∞
• lim
x→0
a ãbx
= eab con a, b 6= 0
x
ln(1 + x)
=1
x
• limx→0
ax − 1
= ln(a)
x
ex − 1
=1
x→0
x
• lim
20.10
Funzioni trascurabili e equivalenti
Definizione 20.10.1 (Funzioni trascurabili).
Siano f, g : D → R e x0 punto di accumulazione di D.
Si dice che f è trascurabile rispetto a g per x → x0 , se e solo se
lim
x→x0
f (x)
=0
g (x)
e si scrive f = o(g) per x → x0 .
−
La definizione data vale anche per x → +∞, per x → −∞, x → x+
0 e x → x0 .
362
20.10. FUNZIONI TRASCURABILI E EQUIVALENTI
Teorema 20.10.1.
Siano f, g : D → R e x0 punto di accumulazione di D.
Se esiste
lim
x→x
0
f (x)
g (x)
allora
lim
x→x0
f (x)
f (x) + o(f )
= x→x
lim
0 g (x)
g (x) + o(g)
Teorema 20.10.2.
Siano f, g : D → R e x0 punto di accumulazione di D.
Se esiste
lim f (x)g (x)
x→x0
allora
lim (f (x) + o(f )) (g (x) + o(g)) = x→x
lim f (x)g (x)
x→x0
0
−
I teoremi valgono anche per x → +∞, x → −∞, x → x+
0 e x → x0 .
Definizione 20.10.2 (Funzioni equivalenti).
Siano f, g : D → R e x0 punto di accumulazione di D.
Si dice che f è equivalente a g per x → x0 , se e solo se
lim
x→x0
f (x)
=1
g (x)
e si scrive f ∼ g per x → x0 .
−
La definizione data vale anche per x → +∞, x → −∞, x → x+
0 e x → x0 .
Teorema 20.10.3.
Siano f, g, f1 , g1 : D → R e x0 punto di accumulazione di D.
Se
1. f ∼ f1 per x → x0
2. g ∼ g1 per x → x0
3. esiste lim
x→x0
f1 (x)
g1 (x)
allora
lim
x→x
0
f (x)
f1 (x)
= x→x
lim
0 g1 (x)
g (x)
−
Il teorema vale anche per x → +∞, x → −∞, x → x+
0 , x → x0 e per il limite del prodotto
delle funzioni.
363
CAPITOLO 20. LIMITI DI FUNZIONI
20.11
Infinitesimi e infiniti
20.11.1
Infinitesimi e loro confronto
Definizione 20.11.1 (Infinitesimo).
Siano f : D → R e x0 punto di accumulazione di D.
Si dice che f è un infinitesimo per x → x0 , se e solo se
lim f (x) = 0
x→x0
−
La definizione data vale anche per x → +∞, x → −∞, x → x+
0 e x → x0 .
Definizione 20.11.2 (Infinitesimo dello stesso ordine).
Siano f, g : D → R due infinitesimi per x → x0 .
Si dice che f è un infinitesimo dello stesso ordine di g per x → x0 se e solo se
lim
x→x
0
f (x)
= l 6= 0
g(x)
Definizione 20.11.3 (Infinitesimo di ordine superiore).
Siano f, g : D → R due infinitesimi per x → x0 .
Si dice che f è un infinitesimo di ordine superiore rispetto a g per x → x0 se e solo se
lim
x→x0
f (x)
=0
g(x)
Definizione 20.11.4 (Ordine di infinitesimo).
Siano f, g : D → R due infinitesimi per x → x0 .
Si dice che α è l’ordine di infinitesimo di f rispetto a g per x → x0 se e solo se
lim
x→x0
f (x)
= l 6= 0
(g(x))α
Osservazione
La funzione g è detta infinitesimo campione; in genere si sceglie come infinitesimo campione
1
g(x) = x − x0 per x → x0 , g(x) = per x → ±∞
x
20.11.2
Infiniti e loro confronto
Definizione 20.11.5 (Infinito).
Siano f : D → R e x0 punto di accumulazione di D.
Si dice che f è un infinito per x → x0 , se e solo se
lim f (x) = ±∞
x→x0
−
La definizione data vale anche per x → +∞, x → −∞, x → x+
0 e x → x0 .
364
20.12. LIMITI DI UNA FUNZIONE AGLI ESTREMI DEL DOMINIO
Definizione 20.11.6 (Infiniti dello stesso ordine).
Siano f, g : D → R due infiniti per x → x0 .
Si dice che f è un infinito dello stesso ordine di g per x → x0 se e solo se
lim
x→x
0
f (x)
= l 6= 0
g(x)
Definizione 20.11.7 (Infinito di ordine superiore).
Siano f, g : D → R due infiniti per x → x0 .
Si dice che f è un infinito di ordine superiore rispetto a g per x → x0 se e solo se
lim
x→x0
g (x)
=0
f (x)
Definizione 20.11.8 (Ordine di infinito).
Siano f, g : D → R due infiniti per x → x0 .
Si dice che α è l’ordine di infinito di f rispetto a g per x → x0 se e solo se
lim
x→x0
f (x)
= l 6= 0
(g(x))α
Osservazione
La funzione g è detta infinito campione; in genere si sceglie come infinito campione g(x) =
1
per x → x0 , g(x) = x per x → ±∞
x − x0
20.12
Limiti di una funzione agli estremi del dominio
Data una funzione f : D → R, si possono calcolare i limiti per x tendente a ogni punto x0
punto di accumulazione di D e, se è possibile, per x tendente a ±∞. Tra questi, i limiti più
significativi sono quelli agli estremi del dominio.
Se la funzione è periodica, i limiti per x tendente a ±∞ non esistono o non si possono
effettuare.
Se la funzione è definita per casi è opportuno calcolare i limiti per x tendente ai valori di
separazione dei casi.
365
Capitolo 21
Limiti di successioni
21.1
Introduzione
Definizione 21.1.1 (Limite di una successione).
Sia a : N → R una successione.
lim an = l ⇔ ∀ε > 0 ∃ n0 ∈ N/∀n > n0 ⇒ |an − l| < ε
n→+∞
Definizione 21.1.2 (Limite infinito di una successione).
Sia a : N → R una successione.
lim an = +∞ ⇔ ∀M > 0 ∃ n0 ∈ N/∀n > n0 ⇒ an > M
n→+∞
lim an = −∞ ⇔ ∀M > 0 ∃ n0 ∈ N/∀n > n0 ⇒ an < −M
n→+∞
Definizione 21.1.3 (Successione convergente, divergente, indeterminata).
Sia a : N → R una successione.
Se
lim an = l ∈ R
n→+∞
la successione si dice convergente.
Se
lim an = ±∞
n→+∞
la successione si dice divergente.
Se
lim an =6 ∃
n→+∞
la successione si dice indeterminata.
366
21.2. SERIE
21.2
Serie
Definizione 21.2.1 (Ridotta).
Data la successione a1 , a2 , . . . , an , . . ., si dice ridotta ennesima o somma parziale associata
alla successione la somma Sn dei primi n termini della successione.
In simboli:
Sn = a1 + a2 + . . . + an =
n
X
ak
k=1
Definizione 21.2.2 (Serie).
Data la successione a1 , a2 , . . . , an , . . ., si dice serie associata alla successione la successione
delle ridotte.
Una serie si indica con
a1 + a2 + . . . + an + . . .
o
+∞
X
ak
k=1
Definizione 21.2.3 (Serie convergente, divergente, indeterminata).
Una serie si dice convergente se la succesione delle ridotte converge a S ∈ R; S si dice
somma della serie e si pone
S=
+∞
X
ak
k=1
Una serie si dice divergente se la succesione delle ridotte è divergente.
Una serie si dice indeterminata se la succesione delle ridotte è indeterminata.
367
Capitolo 22
Funzioni continue
22.1
Introduzione
Definizione 22.1.1 (Funzione continua).
Una funzione f : D → R si dice continua in x0 ∈ D, se e solo se x0 è un punto isolato
oppure x0 non è isolato e lim f (x) = f (x0 ).
x→x0
La continuità di una funzione è una proprietà locale.
Se f è continua in tutti i punti di un insieme E ⊆ D, si dice che è continua su E.
Se f è continua in tutti i punti di D, si dice che è continua sul dominio.
22.2
Proprietà delle funzioni continue
Teorema 22.2.1 (Proprietà delle funzioni continue).
Siano f, g : D → R e x0 ∈ D.
1. Se f e g sono continue in x0 , allora f + g e f · g sono continue in x0 .
2. Se f e g sono continue in x0 e g (x0 ) 6= 0, allora
f
è continua in x0 .
g
3. Se f (D) ⊆ D, f è continua in x0 e g è continua in f (x0 ), allora g ◦ f è continua in x0 .
22.3
Punti singolari di una funzione
Definizione 22.3.1 (Funzione discontinua in un punto).
Una funzione f : D → R è discontinua in x0 ∈ D, se e solo se non è continua in x0 .
Definizione 22.3.2 (Punto singolare).
Un punto x0 ∈ R si dice punto singolare di una funzione f : D → R, se e solo se:
f è discontinua in x0
oppure
x0 ∈ Fr(D) − D.
Si possono avere 3 tipi di singolarità.
368
22.4. DETERMINAZIONE DEI PUNTI SINGOLARI
Definizione 22.3.3 (Classificazione dei punti singolari).
Siano f : D → R e x0 un punto singolare di f :
1. x0 si dice punto singolare di prima specie, se i limiti destro e sinistro per x tendente
a x0 sono finiti e diversi.
2. x0 si dice punto singolare di seconda specie, se tra i limiti destro e sinistro per x
tendente a x0 almeno uno è infinito oppure almeno uno non esiste.
3. x0 si dice punto singolare di terza specie, se il limite per x tendente a x0 è finito.
La singolarità di terza specie viene anche detta eliminabile.
Infatti, se x0 è un punto singolare di terza specie di una funzione f con dominio D
lim f (x) = l ∈ R
x→x0
La funzione f˜ : D ∪ {x0 } → R definita da

f (x)
f˜ (x) = 
l
se x ∈ D ∧ x 6= x0
se x = x0
è continua in x0 , quindi x0 non è un punto singolare di f˜.
La funzione f˜ si dice prolungamento per continuità di f .
Un punto singolare appartenente al dominio della funzione si dice anche punto di discontinuità; per i punti di discontinuità vale la classificazione data per i punti singolari.
Se
• x0 è un punto singolare
• limx→x+ f (x) = l ∈ R
0
• il limite sinistro non si può effettuare
allora x0 è un punto singolare di terza specie.
Analogamente con il limite sinistro.
22.4
Determinazione dei punti singolari
Per classificare un punto singolare x0 si analizza il limite per x tendente a x0 :
• se i limiti destro e sinistro sono finiti e diversi, x0 è un punto singolare di prima specie
• se tra i limiti destro e sinistro almeno uno è infinito oppure almeno uno non esiste, x0
è un punto singolare di seconda specie
• se il limite è finito, x0 è un punto singolare di terza specie
• se x0 è un punto singolare e x0 ∈ D, allora x0 è anche un punto di discontinuità
369
CAPITOLO 22. FUNZIONI CONTINUE
22.5
Proprietà delle funzioni continue su un intervallo
Teorema 22.5.1.
Siano I un intervallo e f : I → R.
Se f è continua su I, allora f (I) è un intervallo.
Teorema 22.5.2 (Teorema di esistenza degli zeri).
Sia f : [a, b] → R.
Se
1. f è continua su [a, b]
2. f (a)f (b) < 0
allora
∃x0 ∈]a, b[/f (x0 ) = 0
Teorema 22.5.3 (Generalizzazione del teorema di esistenza degli zeri).
Sia f : R → R.
Se
1. f è continua su R
2. lim f (x) · lim f (x) = l < 0 oppure lim f (x) · lim f (x) = −∞
x→−∞
x→+∞
x→−∞
x→+∞
allora
∃x0 ∈ R/f (x0 ) = 0
Una conseguenza di questo teorema è che ogni polinomio di grado dispari ha almeno un
zero.
Teorema 22.5.4 (Teorema di Weierstrass).
Sia f : [a, b] → R.
Se
f è continua su [a, b]
allora:
1. esiste x1 ∈ [a, b] tale che f (x) 6 f (x1 ) ∀x ∈ [a, b]
2. esiste x2 ∈ [a, b] tale che f (x) > f (x2 ) ∀x ∈ [a, b]
Il teorema di Weierstrass dice che ogni funzione continua su un intervallo chiuso e limitato
è dotata di massimo e minimo assoluto.
Teorema 22.5.5 (Teorema di continuità della funzione inversa).
Siano I un intervallo e f : I → R.
Se
1. f è continua su I
370
22.5. PROPRIETÀ DELLE FUNZIONI CONTINUE SU UN
INTERVALLO
2. f è monotona in senso stretto su I
allora:
1. f è una biiezione tra I e f (I)
2. f −1 : f (I) → I è continua e monotona in senso stretto su f (I) nello stesso senso di f
371
Capitolo 23
Asintoti
23.1
Introduzione
Definizione 23.1.1 (Asintoto).
Una retta è detta asintoto del grafico di una funzione, se la distanza di un punto generico
del grafico da tale retta tende a 0 quando l’ascissa o l’ordinata del punto tendono a ±∞.
23.2
Determinazione degli asintoti
Per determinare gli asintoti del grafico di una funzione f si analizzano i limiti agli estremi
del dominio:
• se lim f (x) = l, allora il grafico ammette un asintoto orizzontale di equazione y = l
x→±∞
• se lim± f (x) = ±∞ allora il grafico ammette un asintoto verticale di equazione x = x0
x→x0
• se
1. lim f (x) = ±∞
x→±∞
f (x)
= m 6= 0
x
3. lim (f (x) − mx) = q
2. lim
x→±∞
x→±∞
allora il grafico ammette un asintoto obliquo di equazione y = mx + q.
Osservazione
Il grafico di una funzione periodica non ha asintoti orizzontali e obliqui.
372
Parte V
CLASSE QUINTA
373
Capitolo 1
Calcolo differenziale
1.1
Rapporto incrementale
Definizione 1.1.1 (Rapporto incrementale).
Siano f : D → R una funzione e x0 ∈ D un punto non isolato.
Si dice rapporto incrementale della funzione f rispetto ad x0 la funzione
f (x) − f (x0 )
x − x0
con dominio D − {x0 }.
1.1.1
Significato geometrico del rapporto incrementale
Dati i punti P0 (x0 , f (x0 )) e P (x, f (x)) con x 6= x0 , appartenenti al grafico della funzione f ,
il rapporto incrementale è il coefficiente angolare della retta passante i punti P e P0 .
1.2
Derivata
Definizione 1.2.1 (Derivata).
Siano f : D → R una funzione e x0 ∈ D un punto non isolato.
Si dice che f è derivabile in x0 se il limite per x tendente a x0 del rapporto incrementale
esiste ed è finito. Tale limite si dice derivata della funzione f in x0 e si indica con f 0 (x0 ).
In simboli
f (x) − f (x0 )
f 0 (x0 ) = x→x
lim
0
x − x0
dfx0
La derivata della funzione f in x0 si può anche indicare con D(f )(x0 ) o con
.
dx
1.2.1
Significato geometrico della derivata
Dati i punti P0 (x0 , f (x0 )) e P (x, f (x)) con x 6= x0 , appartenenti al grafico della funzione f ,
per x tendente a x0 il punto P si avvicina al punto P0 e quindi la retta passante per P e P0
si avvicina alla tangente al grafico della funzione in P0 . Pertanto la derivata della funzione
in x0 è il coefficiente angolare della tangente al grafico in P0 .
374
1.3. CALCOLO DI DERIVATE
1.2.2
Funzione derivata
Se la funzione f è derivabile in tutti i punti di un insieme E ⊆ D si dice che è derivabile su
E.
Se la funzione f è derivabile in tutti i punti di D si dice che è derivabile sul dominio.
Definizione 1.2.2 (Funzione derivata).
Sia f : D → R una funzione derivabile in un insieme E ⊆ D.
Si dice funzione derivata la funzione che ad ogni x ∈ E associa la derivata di f in x e si
df
.
indica con f 0 o con D(f ) o con
dx
In simboli
f0 : E ⊆ D → R
x 7→ f 0 (x)
1.2.3
Derivata destra e derivata sinistra
Definizione 1.2.3 (Derivata destra).
Siano f : D → R una funzione e x0 ∈ D un punto non isolato.
Si dice che f è derivabile in x0 a destra, se il limite per x tendente a x+
0 del rapporto
incrementale esiste ed è finito.
Tale limite si dice derivata destra della funzione f in x0 e si indica con f+0 (x0 ).
In simboli
f+0 (x0 ) = lim+
x→x0
f (x) − f (x0 )
x − x0
Definizione 1.2.4 (Derivata sinistra).
Siano f : D → R una funzione e x0 ∈ D un punto non isolato.
Si dice che f è derivabile in x0 a sinistra, se il limite per x tendente a x−
0 del rapporto
incrementale esiste ed è finito.
Tale limite si dice derivata sinistra della funzione f in x0 e si indica con f−0 (x0 ).
In simboli
f−0 (x0 ) = lim−
x→x0
f (x) − f (x0 )
x − x0
Teorema 1.2.1.
Sia f : D → R.
f è derivabile in x0 ∈ Int(D), se e solo se esistono le derivate destra e sinistra in x0 e sono
uguali.
1.3
Calcolo di derivate
1.3.1
Derivata della funzione costante
f (x) = k
375
CAPITOLO 1. CALCOLO DIFFERENZIALE
D=R
Dato x0 ∈ D
lim
x→x
0
k−k
0
f (x) − f (x0 )
= x→x
lim
= x→x
lim
= x→x
lim 0 = 0
0 x − x0
0 x − x0
0
x − x0
Quindi f 0 (x0 ) = 0.
Data l’arbitrarietà di x0 in D, f è derivabile su D e f 0 (x) = 0.
1.3.2
Derivata della funzione identità
f (x) = x
D=R
Dato x0 ∈ D
lim
x→x0
x − x0
f (x) − f (x0 )
= lim
= lim 1 = 1
x→x
x→x0
0 x − x0
x − x0
Quindi f 0 (x0 ) = 1.
Data l’arbitrarietà di x0 in D, f è derivabile su D e f 0 (x) = 1.
1.3.3
Derivata della funzione quadratica
f (x) = x2
D=R
Dato x0 ∈ D
x2 − x20
(x − x0 )(x + x0 )
f (x) − f (x0 )
= lim
= lim
=
lim
x→x0 x − x
x→x0
x→x0
x − x0
x − x0
0
lim (x + x0 ) = 2x0
x→x0
Quindi f 0 (x0 ) = 2x0 .
Data l’arbitrarietà di x0 in D, f è derivabile su D e f 0 (x) = 2x.
1.3.4
f (x) =
Derivata della funzione radice quadrata
√
x
D = [0, +∞[
Se x0 = 0, si ha
√
f (x) − f (x0 )
x
1
lim
= lim+
= lim+ √ = +∞
x→x0
x→0
x→0
x − x0
x
x
376
1.3. CALCOLO DI DERIVATE
Quindi f non è derivabile in 0.
Se x0 > 0, si ha
√
√
√
√
x − x0
x − x0
f (x) − f (x0 )
√
= lim
= lim √
=
lim
√
√
x→x0
x→x0 ( x −
x→x0
x − x0
x − x0
x0 )( x + x0 )
1
1
= √
√
x→x0
x + x0
2 x0
1
Quindi f 0 (x0 ) = √ .
2 x0
lim √
1
Data l’arbitrarietà di x0 in ]0, +∞[, f è derivabile su ]0, +∞[ e f 0 (x) = √ .
2 x
1.3.5
Derivata della funzione valore assoluto
f (x) = |x|
D=R
Se x0 = 0, si ha
lim
x→x0
f (x) − f (x0 )
|x|
= lim
x→0 x
x − x0
Poiché
|x|
lim+
=1
x→0
x
e
|x|
lim
= −1
x→0− x
|x|
lim
non esiste e quindi f non è derivabile in 0.
x→0 x
Se x0 > 0, si ha
lim
x→x
0
f (x) − f (x0 )
|x| − |x0 |
x − x0
= x→x
lim
= x→x
lim
=1
0
0 x − x0
x − x0
x − x0
Quindi f 0 (x0 ) = 1.
Se x0 < 0, si ha
lim
x→x0
|x| − |x0 |
−x + x0
f (x) − f (x0 )
= x→x
lim
= x→x
lim
= −1
0
0 x − x0
x − x0
x − x0
Quindi f 0 (x0 ) = −1.
Data l’arbitrarietà di x0 in R − {0}, f è derivabile su R − {0} e

1
f 0 (x) = 
se x > 0
−1 se x < 0
Osservazione
Se f (x) = |x| allora f 0 (x) =
x
|x|
=
.
|x|
x
377
CAPITOLO 1. CALCOLO DIFFERENZIALE
1.3.6
Derivata della funzione seno
f (x) = sin(x)
D=R
Dato x0 ∈ D
lim
x→x0
f (x) − f (x0 )
sin(x) − sin(x0 )
= x→x
lim
0
x − x0
x − x0
Posto y = x − x0 , si ha
sin(x0 + y) − sin(x0 )
sin(x0 ) cos(y) + cos(x0 ) sin(y) − sin(x0 )
= lim
=
y→0
y→0
y
y
lim
sin(y)
1 − cos(y)
lim cos(x0 )
− sin(x0 )
y→0
y
y
Ç
å
= cos(x0 )
Quindi f 0 (x0 ) = cos(x0 ).
Data l’arbitrarietà di x0 in D, f è derivabile su D e f 0 (x) = cos(x).
1.3.7
Derivata della funzione coseno
f (x) = cos(x)
D=R
Dato x0 ∈ D
lim
x→x0
f (x) − f (x0 )
cos(x) − cos(x0 )
= x→x
lim
0
x − x0
x − x0
Posto y = x − x0 , si ha
cos(x0 + y) − cos(x0 )
cos(x0 ) cos(y) − sin(x0 ) sin(y) − cos(x0 )
= lim
=
y→0
y→0
y
y
lim
sin(y)
1 − cos(y)
lim − sin(x0 )
− cos(x0 )
y→0
y
y
Ç
å
= − sin(x0 )
Quindi f 0 (x0 ) = − sin(x0 ).
Data l’arbitrarietà di x0 in D, f è derivabile su D e f 0 (x) = − sin(x).
1.3.8
Derivata della funzione esponenziale
f (x) = ax (a > 0 ∧ a 6= 1)
D=R
Dato x0 ∈ D
lim
x→x0
f (x) − f (x0 )
ax − ax 0
= x→x
lim
= x→x
lim
0 x − x0
0
x − x0
a
x0
Ç x
a
å
−1
ax0
x − x0
378
= x→x
lim ax0
0
ax−x0 − 1
x − x0
1.3. CALCOLO DI DERIVATE
Consideriamo
lim
x→x0
ax−x0 − 1
x − x0
Posto y = x − x0 , si ha
ay − 1
lim
= ln(a)
y→0
y
e
lim
x→x0
ax − ax 0
= ax0 ln(a)
x − x0
Quindi f 0 (x0 ) = ax0 ln(a).
Data l’arbitrarietà di x0 in D, f è derivabile su D e f 0 (x) = ax ln(a).
In particolare, se f (x) = ex , allora f 0 (x) = ex .
1.3.9
Derivata della funzione logaritmica
f (x) = ln(x)
D =]0, +∞[
Dato x0 ∈ D
lim
x→x
0
f (x) − f (x0 )
ln(x) − ln(x0 )
= x→x
lim
0
x − x0
x − x0
Posto x − x0 = y, si ha
Ç
y
ln 1 +
ln(y + x0 ) − ln(x0 )
x0
lim
= lim
y→0
y→0
y
y
Posto
å
y
= z, si ha
x0
1 ln (1 + z)
1
=
z→0 x0
z
x0
lim
e
lim
x→x0
ln(x) − ln(x0 )
1
=
x − x0
x0
Quindi f 0 (x0 ) =
1
.
x0
Data l’arbitrarietà di x0 in D, f è derivabile su D e f 0 (x) =
379
1
.
x
CAPITOLO 1. CALCOLO DIFFERENZIALE
1.4
Continuità delle funzioni derivabili
Teorema 1.4.1 (Teorema sulla continuità delle funzioni derivabili).
Sia f : D → R.
Se
f è derivabile in x0 ∈ D
allora
f è continua in x0 .
Dimostrazione
Dato x0 ∈ D, se f è derivabile in x0 , allora
lim
x→x0
f (x) − f (x0 )
= f 0 (x0 )
x − x0
Posto
ϕ(x) =
f (x) − f (x0 )
− f 0 (x0 )
x − x0
si ha
lim ϕ(x) = 0
x→x0
Poiché
ϕ(x) =
f (x) − f (x0 )
− f 0 (x0 ) ⇒ f (x) = f (x0 ) + f 0 (x0 )(x − x0 ) + ϕ(x)(x − x0 )
x − x0
si ha
lim f (x) = lim (f (x0 ) + f 0 (x0 )(x − x0 ) + ϕ(x)(x − x0 )) = f (x0 )
x→x0
x→x0
Quindi f è continua in x0 .
Osservazione
Il teorema precedente non è invertibile, cioè esistono funzioni continue in un punto non
derivabili in quel punto. Per esempio, la funzione valore assoluto è continua in 0 ma non è
derivabile in 0.
1.5
1.5.1
Regole di derivazione
Derivata di una somma
Teorema 1.5.1.
Siano f, g : D → R
Se
f e g sono derivabili in x0 ∈ D
allora
f + g è derivabile in x0 e
(f + g)0 (x0 ) = f 0 (x0 ) + g 0 (x0 )
380
1.5. REGOLE DI DERIVAZIONE
Dimostrazione
Dato x0 ∈ D
lim
x→x0
f (x) + g (x) − f (x0 ) − g (x0 )
(f + g) (x) − (f + g) (x0 )
= x→x
lim
=
0
x − x0
x − x0
Ç
lim
x→x0
f (x) − f (x0 ) g (x) − g (x0 )
+
x − x0
x − x0
å
Poiché
lim
x→x
0
f (x) − f (x0 )
= f 0 (x0 )
x − x0
e
lim
x→x0
g (x) − g (x0 )
= g 0 (x0 )
x − x0
si ha
lim
x→x0
(f + g) (x) − (f + g) (x0 )
= f 0 (x0 ) + g 0 (x0 )
x − x0
Quindi (f + g)0 (x0 ) = f 0 (x0 ) + g 0 (x0 ).
Il teorema si può estendere alla funzione derivata:
D (f + g) = D (f ) + D (g)
1.5.2
Derivata del prodotto di una costante per una funzione
Teorema 1.5.2.
Siano k ∈ R e f : D → R.
Se
f è derivabile in x0 ∈ D
allora
kf è derivabile in x0 e
(kf )0 (x0 ) = kf 0 (x0 )
Dimostrazione
Dato x0 ∈ D
lim
x→x0
kf (x) − kf (x0 )
(kf ) (x) − (kf ) (x0 )
= lim
=
x→x0
x − x0
x − x0
f (x) − f (x0 )
lim k
x→x0
x − x0
Poiché
Ç
å
lim k = k
x→x0
381
CAPITOLO 1. CALCOLO DIFFERENZIALE
e
lim
x→x
0
f (x) − f (x0 )
= f 0 (x0 )
x − x0
si ha
(kf ) (x) − (kf ) (x0 )
= kf 0 (x0 )
x − x0
Quindi (kf )0 (x0 ) = kf 0 (x0 ).
Il teorema si può estendere alla funzione derivata:
lim
x→x0
D (kf ) = kD (f )
1.5.3
Derivata di un prodotto
Teorema 1.5.3.
Siano f, g : D → R
Se
f e g sono derivabili in x0 ∈ D
allora
f g è derivabile in x0 e
(f g)0 (x0 ) = f 0 (x0 )g(x0 ) + f (x0 )g 0 (x0 )
Dimostrazione
Dato x0 ∈ D
f (x) g (x) − f (x0 ) g (x0 )
(f g) (x) − (f g) (x0 )
= lim
=
lim
x→x
x→x0
0
x − x0
x − x0
f (x) g (x) − f (x)g(x0 ) + f (x)g(x0 ) − f (x0 ) g (x0 )
=
lim
x→x0
x − x0
Ç
å
f (x) − f (x0 )
g (x) − g(x0 )
lim g(x0 )
+ f (x)
x→x0
x − x0
x − x0
Poiché
lim g(x0 ) = g(x0 )
x→x0
f (x) − f (x0 )
= f 0 (x0 )
x→x0
x − x0
lim f (x) = f (x0 )(f è derivabile, e quindi continua in x0
lim
x→x0
lim
x→x0
g (x) − g (x0 )
= g 0 (x0 )
x − x0
si ha
(f g) (x) − (f g) (x0 )
= f 0 (x0 )g(x0 ) + f (x0 )g 0 (x0 )
0
x − x0
Quindi (f g)0 (x0 ) = f 0 (x0 )g(x0 ) + f (x0 )g 0 (x0 ).
Il teorema si può estendere alla funzione derivata:
lim
x→x
D (f g) = D (f ) g + f D (g)
382
1.5. REGOLE DI DERIVAZIONE
1.5.4
Derivata del reciproco
Teorema 1.5.4.
Sia f : D → R.
Se
1. f è derivabile in x0 ∈ D
2. f (x0 ) 6= 0
allora
1
è derivabile in x0 e
f
Ç å0
1
f
(x0 ) = −
f 0 (x0 )
(f (x0 ))2
Dimostrazione
Dato x0 ∈ D con f (x0 ) 6= 0
1
1
1
1
−
(x) −
(x0 )
f (x) f (x0 )
f
f
= x→x
lim
=
0
x − x0
x − x0
Ç å
lim
x→x0
Ç å
f (x0 ) − f (x)
Ç
å
1
f (x) − f (x0 )
f (x)f (x0 )
lim
= lim −
x→x0
x→x0
x − x0
f (x)f (x0 )
x − x0
Poiché
lim f (x) = f (x0 )(f è derivabile, e quindi continua in x0
x→x0
lim f (x) = −
x→x0
lim
x→x0
1
1
=−
f (x0 )
f (x0 )
f (x) − f (x0 )
= f 0 (x0 )
x − x0
si ha
Ç å
lim
x→x0
Ç å
1
1
(x) −
(x0 )
f 0 (x0 )
f
f
=−
x − x0
(f (x0 ))2
Ç å0
1
f 0 (x0 )
.
(x0 ) = −
f
(f (x0 ))2
Il teorema si può estendere alla funzione derivata:
Quindi
Ç å
D
1
f
=−
D (f )
f2
383
CAPITOLO 1. CALCOLO DIFFERENZIALE
1.5.5
Derivata di un quoziente
Teorema 1.5.5.
Siano f, g : D → R.
Se
1. f e g sono derivabili in x0 ∈ D
2. g(x0 ) 6= 0
allora
f
è derivabile in x0 e
g
Ç å0
f
g
(x0 ) =
f 0 (x0 )g(x0 ) − f (x0 )g 0 (x0 )
(g(x0 ))2
Dimostrazione
Ç å0
f
g
Ç
1
(x0 ) = f
g
f 0 (x0 )
å0
Ç å
Ç å0
1
1
(x0 ) = f (x0 )
(x0 ) + f (x0 )
g
g
0
1
−g 0 (x0 )
f 0 (x0 )g(x0 ) − f (x0 )g 0 (x0 )
+ f (x0 )
=
g(x0 )
(g(x0 ))2
(g(x0 ))2
quindi
Ç å0
f
g
(x0 ) =
f 0 (x0 )g(x0 ) − f (x0 )g 0 (x0 )
(g(x0 ))2
Il teorema si può estendere alla funzione derivata:
Ç å
D
f
g
1.5.6
=
D (f ) g − f D (g)
g2
Derivata di una funzione composta
Teorema 1.5.6.
Siano f : D → D0 , g : D0 → R.
Se
1. f è derivabile in x0 ∈ D
2. g è derivabile in f (x0 ) ∈ D0
allora
g ◦ f è derivabile in x0 e
(g ◦ f )0 (x0 ) = g 0 (f (x0 )) f 0 (x0 )
384
(x0 ) =
1.5. REGOLE DI DERIVAZIONE
Il teorema si può estendere alla funzione derivata:
D (g ◦ f ) = (D (g)) (f ) · D (f )
Osservazione
La regola precedente può essere utilizzata per calcolare la derivata della radice ennesima
Esempio 1.5.1.
• Calcolare la derivata di f (x) =
√
n
x con n pari.
D = [0, +∞[
La funzione è derivabile su D0 =]0, +∞[ e
1
√
1 1
1
f 0 (x) = D( n x) = D x n = x n −1 = √
n
n
n xn−1
• Calcolare la derivata di f (x) =
√
n
x con n dispari.
D=R
La funzione è derivabile su D0 =] − ∞, 0[∪]0, +∞[ e
√
f 0 (x) = D( n x) =
1.5.7
1
√
n
n xn−1
Derivate delle funzioni iperboliche e delle loro inverse
Esempio 1.5.2.
• Calcolare la derivata di f (x) = sinh(x).
D=R
La funzione è derivabile su D e
0
f (x) = D(sinh(x)) = D
Ç x
e
− e−x
2
å
ex + e−x
=
= cosh(x)
2
• Calcolare la derivata di f (x) = cosh(x).
D=R
La funzione è derivabile su D e
0
f (x) = D(cosh(x)) = D
Ç x
e
+ e−x
2
385
å
=
ex − e−x
= sinh(x)
2
CAPITOLO 1. CALCOLO DIFFERENZIALE
• Calcolare la derivata di f (x) = tanh(x).
D=R
La funzione è derivabile su D e
Ç
sinh(x)
f (x) = D(tanh(x)) = D
cosh(x)
0
å
=
cosh2 (x) − sinh2 (x)
1
=
=
2
cosh (x)
cosh2 (x)
1 − tanh2 (x)
• Calcolare la derivata di f (x) = coth(x).
D =] − ∞, 0[∪]0, +∞[
La funzione è derivabile su D e
Ç
cosh(x)
f (x) = D(coth(x)) = D
sinh(x)
0
å
=
1
sinh2 (x) − cosh2 (x)
=−
=
2
sinh (x)
sinh2 (x)
1 − coth2 (x)
• Calcolare la derivata di f (x) = settsinh(x).
D=R
La funzione è derivabile su D e
0
Ä
f (x) = D(settsinh(x)) = D ln(x +
1
√
x + x2 + 1
√
√
x2
Ç
1
x
√
√
+ 1) =
1
+
x + x2 + 1
x2 + 1
ä
å
=
x2 + 1 + x
1
√
√
=
x2 + 1
x2 + 1
• Calcolare la derivata di f (x) = settcosh(x).
D = [1, +∞[
La funzione è derivabile su D0 =]1, +∞[ e
0
Ä
f (x) = D(settcosh(x)) = D ln(x +
1
√
x + x2 − 1
√
√
x2
Ç
1
x
√
− 1) =
1+ √ 2
2
x+ x −1
x −1
ä
x2 − 1 + x
1
√
=√ 2
2
x −1
x −1
386
å
=
1.5. REGOLE DI DERIVAZIONE
1.5.8
Derivata della funzione inversa
Teorema 1.5.7.
Sia f : D → E
Se
1. f è una biezione
2. f è derivabile in x0 ∈ D
3. f 0 (x0 ) 6= 0
allora
f −1 : E → D è derivabile in y0 = f (x0 ) e
(f −1 )0 (y0 ) =
1
f 0 (x
0)
Esempio 1.5.3.
ñ
ô
π π
• Data la funzione f (x) = sin(x), con dominio − , , si consideri f −1 (x) = arcsin(x)
2 2
con dominio [−1, 1].
f 0 (x) = cos(x)
ô
ñ
ô
ñ
π π
π π
Poiché f (x) 6= 0 in − , , preso x0 ∈ − , , sia y0 = sin(x0 ) ∈] − 1, 1[.
2 2
2 2
La funzione arcsin è derivabile in y0 e
0
(arcsin)0 (y0 ) =
1
1
1
»
=
=»
cos(x0 )
1 − y02
1 − sin2 (x0 )
Data l’arbitrarietà di y0 in ] − 1, 1[, la funzione arcsin è derivabile su ] − 1, 1[ e
1
D(arcsin(x)) = √
1 − x2
Osservazione
La funzione arcsin non è derivabile in 1 e in −1.
Dimostrazione
Se x0 = 1, si ha
lim
x→x0
f (x) − f (x0 )
= lim−
x→1
x − x0
Posto arcsin(x) −
arcsin x −
x−1
π
= y, si ha
2
x = cos(y)
387
π
2
CAPITOLO 1. CALCOLO DIFFERENZIALE
e
Ç
y (cos(y) + 1)
y
y cos(y) + 1
= lim− −
= lim−
lim−
2
y→0
y→0 cos(y) − 1
y→0
sin(y) sin(y)
− sin (y)
å
= +∞
Quindi f non è derivabile in 1.
Analogamente si dimostra che la funzione arcsin non è derivabile in −1.
π
• Poiché arccos(x) = −arcsin(x)∀x ∈ [−1, 1] la funzione f (x) = arccos(x) è derivabile
2
su ] − 1, 1[ e
D(arccos(x)) = D
π
1
− D(arcsin(x)) = − √
2
1 − x2
Å ã
ñ
ô
π π
• Data la funzione f (x) = tan(x), con dominio − , , si consideri f −1 (x) = arctan(x)
2 2
con dominio R.
f 0 (x) = 1 + tan2 (x)
ô
ñ
ô
ñ
π π
π π
Poiché f (x) 6= 0 in − , , preso x0 ∈ − , , sia y0 = tan(x0 ) ∈ R.
2 2
2 2
La funzione arctan è derivabile in y0 e
1
1
=
(arctan)0 (y0 ) =
2
1 + tan (x0 )
1 + y02
0
Data l’arbitrarietà di y0 in R, la funzione arctan è derivabile in R e
1
D(arctan(x)) =
1 + x2
π
• Poiché arccot(x) = − arctan(x)∀x ∈ R la funzione f (x) = arccot(x) è derivabile su
2
Re
Å ã
π
1
D(arccot(x)) = D
− D(arctan(x)) = −
2
1 + x2
• Calcolare la derivata di settsinh(x) utilizzando la regola della derivata della funzione
inversa.
Data la funzione f (x) = sinh (x), con dominio R, si consideri f −1 (x) = settsinh (x)
con dominio R
f 0 (x) = cosh(x)
Poiché f 0 (x) 6= 0 in R, preso x0 ∈ R, sia y0 = sinh(x0 ) ∈ R.
La funzione settsinh è derivabile in y0 e
1
1
1
(settsinh)0 (y0 ) =
=»
=√ 2
2
cosh(x0 )
y0 + 1
sinh (x0 ) + 1
Data l’arbitrarietà di y0 in R, la funzione settsinh è derivabile in R e
1
D(settsinh(x)) = √ 2
x +1
388
1.6. SCHEMA RIASSUNTIVO DELLE DERIVATE ELEMENTARI E
DELLE REGOLE DI DERIVAZIONE
• Calcolare la derivata di settcosh(x) utilizzando la regola della derivata della funzione
inversa.
Data la funzione f (x) = cosh (x), con dominio [0, +∞[, si consideri f −1 (x) = settcosh (x)
con dominio [1, +∞[
f 0 (x) = sinh(x)
Poiché f 0 (x) 6= 0 in ]0, +∞[, preso x0 ∈]0, +∞[, sia y0 = cosh(x0 ) ∈]1, +∞[.
La funzione settcosh è derivabile in y0 e
(settcosh)0 (y0 ) =
1
1
1
=»
=√ 2
2
sinh(x0 )
y0 − 1
cosh (x0 ) − 1
Data l’arbitrarietà di y0 in ]1, +∞[, la funzione settcosh è derivabile in ]1, +∞[ e
D(settcosh(x)) = √
1.6
1
x2
−1
Schema riassuntivo delle derivate elementari e delle
regole di derivazione
f (x)
D
f 0 (x)
D0
k
R
0
R
x
R
1
R
xn , n ∈ N 0
R
nxn−1
R
√
xα , α ∈ R0
]0, +∞[
1
√
2 x
1
√
n
n xn−1
1
√
3
3 x2
1
√
n
n xn−1
αxα−1
ax , a > 0 ∧ a 6= 1
R
ax ln(a)
R
ex
R
ex
R
loga (x) , a > 0 ∧ a 6= 1
]0, +∞[
ln (x)
]0, +∞[
x
√
n
√
3
[0, +∞[
x, n pari
[0, +∞[
x
R
√
n
x, n dispari
R
1
x ln(a)
1
x
389
]0, +∞[
]0, +∞[
R0
R0
]0, +∞[
]0, +∞[
]0, +∞[
CAPITOLO 1. CALCOLO DIFFERENZIALE
sin (x)
R
cos (x)
R
cos (x)
R
− sin (x)
R
®
tan (x)
π
+ kπ
R−
2
cot (x)
R − {kπ}
arcsin (x)
[−1, 1]
arccos (x)
[−1, 1]
arctan (x)
R
arccot (x)
R
2ex] sinh (x)
cosh (x)
settsinh (x)
settcosh (x)
|x|
] − 1, 1[
R
R
sinh(x)
R
= f 0 + g0
(kf )0
= kf 0
(f g)0
= f 0g + f g0
0
f0
f2
f 0g − f g0
=
g2
= g 0 (f )f 0
= −
=
1
f 0 (x
0)
π
R−
+ kπ
2
= 1 + tan (x)
cos2 (x)
1
= −1 − cot2 (x)
− 2
sin (x)
1
√
1 − x2
1
−√
1 − x2
1
1 + x2
1
−
1 + x2
cosh(x)
(f + g)0
(f −1 ) (y0 )
2
R
coth (x)
1
f
Ç å0
f
g
(g ◦ f )0
®
1
1
cosh2 (x)
1
] − ∞, 0[∪]0, +∞[ −
sinh2 (x)
1
√
R
x2 + 1
1
√
[1, +∞[
2
x −1
x
|x|
=
R
|x|
x
tanh (x)
Ç å0
´
con y0 = f (x0 )
390
´
R − {kπ}
] − 1, 1[
R
R
R
R
] − ∞, 0[∪]0, +∞[
R
]1, +∞[
] − ∞, 0[∪]0, +∞[
1.7. DERIVATE DI ORDINE SUPERIORE
Osservazione
Per calcolare la derivata di h(x) = (f (x))g(x) , si può procedere nel seguente modo:
1. scrivere h(x) come h(x) = eln(f (x)
g(x)
) = eg(x) ln(f (x))
2. calcolare la derivata di h(x) = eg(x) ln(f (x))
1.7
Derivate di ordine superiore
Siano f : D → R una funzione derivabile su D0 ⊆ D e f 0 : D0 → R la sua funzione derivata.
Se f 0 è derivabile su D00 ⊆ D0 , si dice derivata seconda o derivata di ordine 2 di f , la funzione
derivata della funzione derivata e si indica con f 00 o con f (2) .
In simboli
f 00 = D(f 0 )
Analogamente si possono ottenere le derivate successive:
f (n) = D(f (n−1) )
Osservazione
f (n) = Dn (f )
1.8
Equazione della retta tangente al grafico della funzione in un suo punto
Se la funzione f : D → R è derivabile in x0 ∈ D, il coefficiente angolare della tangente al
grafico nel punto P0 (x0 , f (x0 )) è f 0 (x0 ).
L’equazione della retta tangente in P0 (x0 , f (x0 )) è
y − f (x0 ) = f 0 (x0 ) (x − x0 )
1.9
Equazione della retta tangente al grafico della funzione passante per un punto non appartenente al
grafico
Per determinare l’equazione di una retta tangente al grafico della funzione f passante per
il punto P1 (x1 , y1 ) non appartenente al grafico:
1. si scrive l’equazione della retta tangente al grafico della funzione in P0 (x0 , f (x0 )):
y − f (x0 ) = f 0 (x0 ) (x − x0 )
2. si impone che la tangente passi per P1 , sostituendo a x e y le coordinate di P1
391
CAPITOLO 1. CALCOLO DIFFERENZIALE
3. si ricava x0
4. si sostituisce il valore di x0 trovato in
y − f (x0 ) = f 0 (x0 ) (x − x0 )
392
Capitolo 2
Teoremi fondamentali del calcolo
differenziale
2.1
Funzioni monotone
Definizione 2.1.1 (Funzione monotòne).
Dato un intervallo I, una funzione f : I → R si dice:
• crescente in senso stretto su I, se ∀x1 , x2 ∈ I x1 < x2 ⇒ f (x1 ) < f (x2 )
• crescente su I, se ∀x1 , x2 ∈ I x1 < x2 ⇒ f (x1 ) 6 f (x2 )
• decrescente in senso stretto su I, se ∀x1 , x2 ∈ I x1 < x2 ⇒ f (x1 ) > f (x2 )
• decrescente su I, se ∀x1 , x2 ∈ I x1 < x2 ⇒ f (x1 ) > f (x2 )
In tutti questi casi si dice che la funzione è monotòna su I. In particolare se la funzione è
crescente o decrescente in senso stretto si dice strettamente monotòna o monotòna in senso
stretto.
2.2
Estremi relativi e assoluti
Definizione 2.2.1 (Punto di minimo assoluto).
Data la funzione f : D → R, x0 ∈ D si dice punto di minimo assoluto per f se
∀x ∈ D f (x) > f (x0 )
f (x0 ) si dice minimo assoluto.
Definizione 2.2.2 (Punto di massimo assoluto).
Data la funzione f : D → R, x0 ∈ D si dice punto di massimo assoluto per f se
∀x ∈ D f (x) 6 f (x0 )
f (x0 ) si dice massimo assoluto.
393
CAPITOLO 2. TEOREMI FONDAMENTALI DEL CALCOLO
DIFFERENZIALE
Definiamo ora i punti di minimo e massimo relativo di una funzione.
Definizione 2.2.3 (Punto di minimo relativo).
Data la funzione f : D → R, x0 ∈ D si dice punto di minimo relativo per f se
∃ un intorno U (x0 )/∀x ∈ U (x0 ) ∩ D f (x) > f (x0 )
f (x0 ) si dice minimo relativo.
Definizione 2.2.4 (Punto di massimo relativo).
Data la funzione f : D → R, x0 ∈ D si dice punto di massimo relativo per f se
∃ un intorno U (x0 )/∀x ∈ U (x0 ) ∩ D f (x) 6 f (x0 )
f (x0 ) si dice massimo relativo.
Osservazione
I punti di massimo e minimo assoluti sono anche punti di massimo e minimo relativo.
2.3
Teorema di Fermat
Teorema 2.3.1.
Sia f : D → R.
Se
1. x0 è un punto di massimo o minimo relativo di f interno a D
2. f è derivabile in x0
allora
f 0 (x0 ) = 0
Dimostrazione
Supponiamo per assurdo che f 0 (x0 ) 6= 0.
Se f 0 (x0 ) > 0 allora
lim
x→x0
f (x) − f (x0 )
>0
x − x0
Per il teorema della permanenza del segno, esiste un intorno U (x0 ) ⊆ D tale che
∀x ∈ U (x0 ) − {x0 }
f (x) − f (x0 )
>0
x − x0
Esiste un intorno di x0 incluso nel dominio perché x0 è interno al dominio.
Quindi:
x ∈ U (x0 ) ∧ x > x0 ⇒ f (x) > f (x0 )
394
2.4. TEOREMA DI ROLLE
x ∈ U (x0 ) ∧ x < x0 ⇒ f (x) < f (x0 )
Pertanto x0 non è un punto di minimo relativo e non è un punto di massimo relativo: questo
contraddice l’ipotesi.
Se f 0 (x0 ) < 0 allora
lim
x→x
0
f (x) − f (x0 )
<0
x − x0
Per il teorema della permanenza del segno, esiste un intorno U (x0 ) ⊆ D tale che
∀x ∈ U (x0 ) − {x0 }
f (x) − f (x0 )
<0
x − x0
Esiste un intorno di x0 incluso nel dominio perché x0 è interno al dominio.
Quindi:
x ∈ U (x0 ) ∧ x > x0 ⇒ f (x) < f (x0 )
x ∈ U (x0 ) ∧ x < x0 ⇒ f (x) > f (x0 )
Pertanto x0 non è un punto di minimo relativo e non è un punto di massimo relativo: questo
contraddice l’ipotesi.
Quindi f 0 (x0 ) = 0.
Osservazione
Esistono punti che annullano la derivata prima ma che non sono né di massimo né di minimo
relativo.
Definizione 2.3.1 (Punto di stazionarietà).
Data la funzione f : D → R, x0 ∈ D si dice punto di stazionarietà di f se f è derivabile in
x0 e f 0 (x0 ) = 0.
Quindi, per determinare i punti di stazionarietà di una funzione:
1. si determina la funzione derivata f 0
2. i punti di stazionarietà sono le soluzioni dell’equazione f 0 (x) = 0
2.4
Teorema di Rolle
Teorema 2.4.1.
Sia f : [a, b] → R.
Se
1. f è continua su [a, b]
2. f è derivabile su ]a, b[
3. f (a) = f (b)
395
CAPITOLO 2. TEOREMI FONDAMENTALI DEL CALCOLO
DIFFERENZIALE
allora
∃x0 ∈]a, b[ /f 0 (x0 ) = 0
y
f (a) = f (b)
x
O
a
x0
b
Figura 2.1: teorema di Rolle
Osservazione
La tangente al grafico della funzione in P0 (x0 , f (x0 )) è parallela all’asse x.
Dimostrazione
Per il teorema di Weierstrass, la funzione f ammette minimo assoluto m e massimo assoluto
M.
Se m = M , la funzione f è costante su [a, b] e quindi f 0 (x) = 0 per ogni x ∈]a, b[.
Se m < M , siano x1 , x2 ∈ [a, b] tali che f (x1 ) = m e f (x2 ) = M : almeno uno dei due valori,
per esempio x1 , appartiene ad ]a, b[, quindi, per il teorema di Fermat, f 0 (x1 ) = 0.
2.5
Teorema di Cauchy
Teorema 2.5.1.
Siano f, g : [a, b] → R
Se
1. f e g sono continue su [a, b]
2. f e g sono derivabili su ]a, b[
3. g 0 (x) 6= 0 ∀x ∈]a, b[
allora
f 0 (x0 )
f (b) − f (a)
= 0
∃x0 ∈]a, b[ /
g (b) − g (a)
g (x0 )
Dimostrazione
Dalle ipotesi segue che g(b) 6= g(a): infatti, se g(b) = g(a), si può applicare il teorema di
396
2.6. TEOREMA DI LAGRANGE
Rolle e quindi esisterebbe x0 ∈]a, b[/g 0 (x0 ) = 0, contro l’ipotesi.
Consideriamo la funzione h : [a, b] → R definita da
h(x) = (g(b) − g(a))f (x) − (f (b) − f (a))g(x)
La funzione h è continua su [a, b],derivabile su ]a, b[ e
h0 (x) = (g(b) − g(a))f 0 (x) − (f (b) − f (a))g 0 (x)
Poiché
h(a) = (g(b) − g(a))f (a) − (f (b) − f (a))g(a) = g(b)f (a) − f (b)g(a)
h(b) = (g(b) − g(a))f (b) − (f (b) − f (a))g(b) = −g(a)f (b) + f (a)g(b)
h(a) = h(b)
La funzione h soddisfa le ipotesi del teorema di Rolle, quindi
∃x0 ∈]a, b[ /h0 (x0 ) = 0
(g(b) − g(a))f 0 (x0 ) − (f (b) − f (a))g 0 (x0 ) = 0
(g(b) − g(a))f 0 (x0 ) = (f (b) − f (a))g 0 (x0 )
Quindi
f (b) − f (a)
f 0 (x0 )
= 0
g (b) − g (a)
g (x0 )
2.6
Teorema di Lagrange
Teorema 2.6.1.
Sia f : [a, b] → R
Se
1. f è continua su [a, b]
2. f è derivabile su ]a, b[
allora
∃x0 ∈]a, b[ /
f (b) − f (a)
= f 0 (x0 )
b−a
y
B
f (b)
f (a)
A
O
x
a
c
b
Figura 2.2: teorema di Lagrange
397
CAPITOLO 2. TEOREMI FONDAMENTALI DEL CALCOLO
DIFFERENZIALE
Osservazione
La tangente al grafico della funzione in P0 (x0 , f (x0 )) è parallela alla retta passante per
A(a, f (a)), B(b, f (b)).
Dimostrazione
Consideriamo la funzione g : [a, b] → R definita da g(x) = x; g 0 (x) = 1 6= 0 ∀x ∈]a, b[.
Poiché le funzioni f e g soddisfano le ipotesi del teorema di Cauchy
∃x0 ∈]a, b[/
f 0 (x0 )
f (b) − f (a)
=
b−a
1
Quindi
f (b) − f (a)
= f 0 (x0 )
b−a
Esempio 2.6.1.
Data
f (x) = x3 − 3x
su
I = [1, 3]
controllare se soddisfa le ipotesi del teorema di Lagrange e, in caso affermativo, determinare
i punti che lo verificano.
D=R
I⊆D
f è continua su [1, 3]
f è derivabile su ]1, 3[
Sono perciò soddisfatte le ipotesi del teorema di Lagrange, quindi
∃x0 ∈]1, 3[ /
f (3) − f (1)
= f 0 (x0 )
3−1
18 + 2
= 3x2 − 3
3−1
10 = 3x2 − 3
3x2 = 13
13
x2 =
3
x=−
13
∨x=
3
Poiché −
13
3
13
6∈]1, 3[, il punto che verifica il teorema di Lagrange è x =
3
398
13
.
3
2.6. TEOREMA DI LAGRANGE
Dal teorema di Lagrange seguono i seguenti corollari.
Teorema 2.6.2.
Siano I un intervallo e f : I → R.
Se
1. f è continua su I
2. f è derivabile su Int(I)
3. f 0 (x) > 0 ∀x ∈ Int(I)
allora
f è crescente in senso stretto su I.
Dimostrazione
Siano x1 , x2 ∈ I con x1 < x2 .
La funzione f è continua su [x1 , x2 ] e derivabile su ]x1 , x2 [ quindi, per il teorema di Lagrange,
∃x0 ∈]x1 , x2 [ /
f (x2 ) − f (x1 )
= f 0 (x0 )
x2 − x1
Poiché f 0 (x0 ) > 0 e x2 − x1 > 0, f (x2 ) > f (x1 ).
Data l’arbitrarietà di x1 , x2 in I, f è crescente in senso stretto su I.
Teorema 2.6.3.
Siano I un intervallo e f : I → R.
Se
1. f è continua su I
2. f è derivabile su Int(I)
3. f 0 (x) < 0 ∀x ∈ Int(I)
allora
f è decrescente in senso stretto su I.
Dimostrazione
Analoga alla precedente.
Teorema 2.6.4.
Siano I un intervallo e f : I → R.
Se
1. f è continua su I
2. f è derivabile su Int(I)
3. f 0 (x) = 0 ∀x ∈ Int(I)
allora f è costante su I.
399
CAPITOLO 2. TEOREMI FONDAMENTALI DEL CALCOLO
DIFFERENZIALE
Dimostrazione
Siano x1 , x2 ∈ I con x1 < x2 .
La funzione f è continua su [x1 , x2 ] e derivabile su ]x1 , x2 [ quindi, per il teorema di Lagrange,
∃x0 ∈]x1 , x2 [ /
f (x2 ) − f (x1 )
= f 0 (x0 )
x2 − x1
Poiché f 0 (x0 ) = 0 e x2 − x1 =
6 0 f (x2 ) = f (x1 ) = k.
Data l’arbitrarietà di x1 , x2 in I, f (x) = k ∀x ∈ I.
Teorema 2.6.5.
Siano I un intervallo, f, g : I → R.
Se
1. f e g sono continue su I
2. f e g sono derivabili su Int(I)
3. f 0 (x) = g 0 (x) ∀x ∈ Int(I)
allora
∃k ∈ R/f (x) = g(x) + k ∀x ∈ I
Dimostrazione
Sia ϕ : I → R la funzione definita da ϕ(x) = f (x) − g(x):
ϕ è continua su I, derivabile su Int(I) e ϕ0 (x) = 0 ∀x ∈ Int(I).
Per il corollario precedente, ϕ è costante su I.
Pertanto f (x) − g(x) = k, cioè f (x) = g(x) + k ∀x ∈ I.
2.7
Teoremi di De L’Hôpital
Teorema 2.7.1.
Siano f, g : D → R con D =]x0 , b[ o D =]a, x0 [ o
D =]a, x0 [∪]x0 , b[.
Se
1. f e g sono derivabili su D
2. lim f (x) = 0
x→x0
3. x→x
lim g(x) = 0
0
4. g 0 (x) 6= 0 ∀x ∈ D
5. esiste lim
x→x0
f 0 (x)
g 0 (x)
400
2.8. DETERMINAZIONE DEGLI INTERVALLI DI MONOTONIA E
DEI PUNTI DI MASSIMO E MINIMO RELATIVO
allora
f (x)
f 0 (x)
lim
= lim 0
x→x0 g(x)
x→x0 g (x)
Teorema 2.7.2.
Siano f, g : D → R con D =]x0 , b[ o D =]a, x0 [ o
D =]a, x0 [∪]x0 , b[.
Se
1. f e g sono derivabili su D
2. lim f (x) = ±∞
x→x0
3. x→x
lim g(x) = ±∞
0
4. g 0 (x) 6= 0 ∀x ∈ D
5. esiste x→x
lim
0
f 0 (x)
g 0 (x)
allora
lim
x→x
0
f 0 (x)
f (x)
= x→x
lim 0
0 g (x)
g(x)
I teoremi precedenti si possono applicare anche per D =]a, +∞[ o D =] − ∞, b[, con limiti
per x tendente a ±∞ e nei casi di limiti destri e sinistri.
2.8
Determinazione degli intervalli di monotonia e dei
punti di massimo e minimo relativo
Per determinare gli intervalli di monotonia e i punti di massimo e minimo relativo di una
funzione:
1. Si determina l’insieme su cui la funzione è continua
2. Si determina l’insieme su cui la funzione è derivabile.
3. Si calcola la derivata prima.
4. Si determinano i punti di stazionarietà della funzione, cioè i punti che annullano la
derivata prima e si calcolano le corrispondenti ordinate.
5. Si studia il segno della derivata prima e lo si rappresenta. Si rappresentano gli intervalli
di monotonia inserendo:
(a) % in corrispondenza dei segni +
(b) & in corrispodenza dei segni −
401
CAPITOLO 2. TEOREMI FONDAMENTALI DEL CALCOLO
DIFFERENZIALE
(c) • in corrispondenza dello 0, degli estremi del dominio in cui la funzione è continua,
della × se la funzione in quel punto è continua e non derivabile
(d) × se la funzione non è definita o non è continua.
In tal modo, tenendo conto di eventuali punti di discontinuità, si determinano gli
intervalli di monotonia e i punti di massimo e minimo relativo con le corrispondenti
ordinate.
2.9
Massimi e minimi assoluti di una funzione
Per determinare il massimo (assoluto) o il minimo (assoluto) di una funzione continua su
un intervallo chiuso e limitato:
1. si determinano i valori della funzione agli estremi dell’intervallo
2. si determinano i valori della funzione nei punti di stazionarietà all’intervallo
3. si determinano i valori della funzione nei punti all’intervallo nei quali la funzione non
è derivabile
4. il massimo è il maggiore tra i valori trovati e il minimo è il minore tra i valori trovati
Osservazione
In questo caso il massimo e il minimo della funzione esistono per il teorema di Weierstrass.
Per determinare il massimo (assoluto) o il minimo (assoluto) di una funzione, nel caso in
cui l’insieme non sia un intervallo chiuso e limitato o la funzione non sia continua,:
1. si determinano i valori della funzione agli estremi dell’insieme appartenenti ad esso
2. si determinano i valori della funzione nei punti di stazionarietà all’insieme
3. si determinano i valori della funzione nei punti nei quali la funzione non è derivabile
4. si indica con M il maggiore tra i valori trovati e con m il minore tra i valori trovati
5. si calcolano i limiti agli estremi dell’insieme non appartenenti ad esso
6. si calcolano i limiti nei punti di discontinuità
7. se M è maggiore o uguale dei limiti, allora è il massimo, altrimenti il massimo non
esiste
8. se m è minore o uguale dei limiti, allora è il minimo, altrimenti il minimo non esiste
402
2.10. FUNZIONI CONVESSE E FUNZIONI CONCAVE
2.10
Funzioni convesse e funzioni concave
Definizione 2.10.1 (Funzione convessa).
Dato l’intervallo I, una funzione f : I → R si dice convessa su I se, per ogni coppia di punti
¯
A, B appartenenti al grafico della funzione, la corda AB non sta al di sotto dell’arco AB.
Definizione 2.10.2 (Funzione convessa in senso stretto).
Dato l’intervallo I, una funzione f : I → R si dice convessa in senso stretto su I se, per
ogni coppia di punti A, B appartenenti al grafico della funzione, la corda AB sta al di sopra
¯
dell’arco AB.
Osservazione
Se la funzione è convessa, l’epigrafo, cioè la parte di piano che sta sopra il grafico, è una
figura convessa.
Definizione 2.10.3 (Funzione concava).
Dato l’intervallo I, una funzione f : I → R si dice concava su I se, per ogni coppia di punti
¯
A, B appartenenti al grafico della funzione, la corda AB non sta al di sopra dell’arco AB.
Definizione 2.10.4 (Funzione concava in senso stretto).
Dato l’intervallo I, una funzione f : I → R si dice concava in senso stretto su I se, per
ogni coppia di punti A, B appartenenti al grafico della funzione, la corda AB sta al di sotto
¯
dell’arco AB.
Osservazione
Se la funzione è concava, l’ipografo, cioè la parte di piano che sta sotto il grafico, è una
figura convessa.
Teorema 2.10.1.
Siano I un intervallo e f : I → R.
Se
1. f è continua su I
2. f è derivabile due volte su Int(I)
3. f 00 (x) > 0 ∀x ∈ Int(I)
allora
f è convessa su I.
Teorema 2.10.2.
Siano I un intervallo e f : I → R.
Se
1. f è continua su I
2. f è derivabile due volte su Int(I)
3. f 00 (x) > 0 ∀x ∈ Int(I)
403
CAPITOLO 2. TEOREMI FONDAMENTALI DEL CALCOLO
DIFFERENZIALE
allora
f è convessa in senso stretto su I.
Teorema 2.10.3.
Siano I un intervallo e f : I → R.
Se
1. f è continua su I
2. f è derivabile due volte su Int(I)
3. f 00 (x) 6 0 ∀x ∈ Int(I)
allora
f è concava su I.
Teorema 2.10.4.
Siano I un intervallo e f : I → R.
Se
1. f è continua su I
2. f è derivabile due volte su Int(I)
3. f 00 (x) < 0 ∀x ∈ Int(I)
allora
f è concava in senso stretto su I.
2.11
Punto di flesso
Definizione 2.11.1 (Punto di flesso).
Data la funzione f : D → R, x0 ∈ D si dice punto di flesso se esistono un intervallo [x1 , x0 ] ⊆
D su cui la funzione è convessa (concava) in senso stretto e un intervallo [x0 , x2 ] ⊆ D su cui
la funzione è concava (convessa) in senso stretto.
y
x
O
x1
x0
x2
Figura 2.3: punto di flesso
404
2.12. DETERMINAZIONE DEGLI INTERVALLI DI CONCAVITÀ E
CONVESSITÀ E DEI PUNTI DI FLESSO
Teorema 2.11.1.
Siano I un intervallo e f : I → R.
Se
1. f è derivabile due volte su Int(I)
2. x0 ∈ Int(I) è un punto di flesso
allora
f 00 (x0 ) = 0
Non è vero in generale il viceversa, cioè non necessariamente i punti che annullano la derivata
seconda sono dei punti di flesso.
2.12
Determinazione degli intervalli di concavità e convessità e dei punti di flesso
Per determinare gli intervalli di concavità e convessità e i punti di flesso di una funzione:
1. Si determina l’insieme su cui la funzione è continua.
2. Si determina l’insieme su cui la funzione è derivabile due volte.
3. Si calcola la derivata seconda.
4. Si determinano i punti che annullano la derivata seconda e si calcolano le corrispondenti ordinate.
5. Si studia il segno della derivata seconda e lo si rappresenta. Si rappresentano gli
intervalli di concavità e convessità inserendo:
(a) ∪ in corrispondenza dei segni +
(b) ∩ in corrispodenza dei segni −
(c) • in corrispondenza dello 0, degli estremi del dominio in cui la funzione è continua,
della × se la funzione in quel punto è continua e non derivabile
(d) × se la funzione non è definita o non è continua.
In tal modo, tenendo conto di eventuali punti di discontinuità, si determinano gli
intervalli di concavità e convessità e i punti di flesso con le corrispondenti ordinate.
405
CAPITOLO 2. TEOREMI FONDAMENTALI DEL CALCOLO
DIFFERENZIALE
2.13
Classificazione dei punti di non derivabilità
Definizione 2.13.1 (Classificazioni dei punti di non derivabilità).
Siano f : D → R una funzione e x0 ∈ D un punto interno a D in cui f è continua e non
derivabile.
Se
lim−
x→x0
f (x) − f (x0 )
f (x) − f (x0 )
= lim+
= +∞
x − x0
x − x0
x→x0
oppure
lim−
x→x0
f (x) − f (x0 )
f (x) − f (x0 )
= lim+
= −∞
x − x0
x − x0
x→x0
allora x0 è un punto di flesso a tangente verticale.
Se
lim−
x→x0
f (x) − f (x0 )
f (x) − f (x0 )
= +∞ e lim+
= −∞
x − x0
x − x0
x→x0
oppure
lim−
x→x0
f (x) − f (x0 )
f (x) − f (x0 )
= −∞ e lim+
= +∞
x − x0
x − x0
x→x0
allora x0 è un punto di cuspide.
Se
lim−
x→x0
f (x) − f (x0 )
=l∈R
x − x0
e
lim+
x→x0
f (x) − f (x0 )
= m ∈ R(l 6= m)
x − x0
oppure uno dei due limiti è infinito e l’altro è finito, allora x0 è un punto angoloso.
y
y
x
O
x0
x
O
x0
Figura 2.4: punto di flesso a tangente verticale
406
2.13. CLASSIFICAZIONE DEI PUNTI DI NON DERIVABILITÀ
y
y
x
O
x
O
x0
x0
Figura 2.5: punto di cuspide
y
y
x
O
x
O
x0
x0
Figura 2.6: punto angoloso
Osservazione
Se il dominio D è un intervallo, x0 ∈ D è un estremo e il limite destro o sinistro del rapporto
incrementale è ±∞, allora x0 è un punto a tangente verticale.
y
x
O
x0
Figura 2.7: punto a tangente verticale
Osservazione
Se il limite del rapporto incrementale può essere calcolato applicando il teorema dell’Hôpital,
allora i punti di non derivabilità si possono anche classificare calcolando il limite sinistro o
destro della derivata della funzione.
Osservazione
Dopo aver trovato e classificato i punti in cui la funzione è continua e non derivabile, si
calcolano le corrispondenti ordinate
407
CAPITOLO 2. TEOREMI FONDAMENTALI DEL CALCOLO
DIFFERENZIALE
2.14
Metodo delle derivate successive per determinare
punti di massimo, minimo e flesso
Teorema 2.14.1.
Siano I un intervallo e f : I → R
Se
1. f è derivabile due volte su Int(I)
2. x0 ∈ Int(I)
3. f 0 (x0 ) = 0
4. f 00 (x0 ) > 0 (f 00 (x0 ) < 0)
allora
x0 è un punto di minimo (massimo) relativo.
Dimostrazione
Dato x0 ∈ Int(I), consideriamo il caso in cui f 00 (x0 ) > 0.
Poiché f è derivabile due volte su Int(I) e x0 ∈ Int(I):
lim
x→x0
f 0 (x)
f 0 (x) − f 0 (x0 )
= lim
= f 00 (x0 ) > 0
x→x0 x − x
x − x0
0
Per il teorema della permanenza del segno, esiste un intorno U (x0 ) di x0 tale che:
f 0 (x)
> 0 ∀x ∈ A = U (x0 ) ∩ Int(I) − {x0 }
x − x0
Quindi, in B = {x ∈ A/x < x0 }, f 0 (x) < 0 e in C = {x ∈ A/x > x0 }, f 0 (x) > 0.
Per il corollario del teorema di Lagrange, f è decrescente in senso stretto su B e crescente
in senso stretto su C, quindi x0 è un punto di minimo relativo.
Analogamente si dimostra il caso in cui f 00 (x0 ) < 0.
Per determinare i punti di massimo e minimo relativo di una funzione f con il metodo delle
derivate successive:
1. si determina l’insieme su cui la funzione f è derivabile due volte
2. si calcola la derivata prima f 0
3. si determinano i punti di stazionarietà della funzione, risolvendo l’equazione
f 0 (x) = 0 e si calcolano le corrispondenti ordinate
4. si calcola la derivata seconda f 00
5. si calcola il valore della derivata seconda nei punti di stazionarietà:
• se il valore è positivo, il punto di stazionarietà è un punto di minimo relativo
• se il valore è negativo, il punto di stazionarietà è un punto di massimo relativo
408
2.14. METODO DELLE DERIVATE SUCCESSIVE PER
DETERMINARE PUNTI DI MASSIMO, MINIMO E FLESSO
• se il valore è nullo, non si può stabilire se il punto di stazionarietà è di massimo
o minimo relativo
Teorema 2.14.2.
Siano I un intervallo e f : I → R
Se
1. f è derivabile tre volte su Int(I)
2. x0 ∈ Int(I)
3. f 00 (x0 ) = 0
4. f 000 (x0 ) 6= 0
allora
x0 è un punto di flesso.
Per determinare i punti di flesso di una funzione f con il metodo delle derivate successive:
1. si determina l’insieme su cui la funzione f è derivabile tre volte
2. si calcola la derivata seconda f 00
3. si determinano i punti che annullano la derivata seconda, risolvendo l’equazione f 00 (x) =
0 e si calcolano le corrispondenti ordinate
4. si calcola la derivata terza f 000
5. si calcola il valore della derivata terza nei punti che annullano la derivata seconda:
• se il valore non è nullo, il punto che annulla la derivata seconda è un punto di
flesso
• se il valore è nullo, non si può stabilire se il punto è un punto di flesso
I teoremi precedenti si possono generalizzare.
Teorema 2.14.3.
Siano I un intervallo e f : I → R
Se
1. f è derivabile n volte (n > 2) su Int(I)
2. x0 ∈ Int(I)
3. f 0 (x0 ) = f 00 (x0 ) = . . . = f (n−1) (x0 ) = 0
4. f (n) (x0 ) > 0 (f (n) (x0 ) < 0) con n pari
allora
x0 è un punto di minimo (massimo) relativo.
409
CAPITOLO 2. TEOREMI FONDAMENTALI DEL CALCOLO
DIFFERENZIALE
Teorema 2.14.4.
Siano I un intervallo e f : I → R
Se
1. f è derivabile n volte (n > 3) su Int(I)
2. x0 ∈ Int(I)
3. f 00 (x0 ) = f 000 (x0 ) = . . . = f (n−1) (x0 ) = 0
4. f (n) (x0 ) 6= 0 con n dispari
allora
x0 è un punto di flesso.
410
Capitolo 3
Studio di una funzione
3.1
Introduzione
Studiare una funzione significa determinare alcune sue proprietà e utilizzarle per rappresentarla graficamente.
3.2
Schema riassuntivo per lo studio di una funzione
Per studiare una funzione si seguirà il seguente schema.
1. Dominio
Se il dominio non è assegnato, si determina il dominio massimale della funzione:
• denominatore 6= 0
• argomento della radice con indice pari > 0
• argomento del logaritmo > 0
π
• argomento della tangente 6= + kπ
2
• argomento della cotangente 6= kπ
• argomento dell’arcseno compreso uguale tra −1, 1
• argomento dell’arccoseno compreso uguale tra −1, 1
• argomento della cotangente iperbolica 6= 0
• argomento del settcosh > 1
2. Parità, disparità, periodicità
Con la parità e disparità si individuano eventuali simmetrie del grafico della funzione: se la funzione è pari, il grafico è simmetrico rispetto all’asse delle ordinate; se la
funzione è dispari, il grafico è simmetrico rispetto all’origine.
Per determinare se una funzione è pari, è sufficiente vedere se il dominio è simmetrico
rispetto all’origine, calcolare f (−x) e vedere se si ottiene la stessa espressione analitica.
411
CAPITOLO 3. STUDIO DI UNA FUNZIONE
Per determinare se una funzione è dispari, è sufficiente vedere se il dominio è simmetrico rispetto all’origine, calcolare f (−x) e vedere se si ottiene l’opposto dell’espressione
analitica data.
Se la funzione è periodica, il grafico è lo stesso in ogni intervallo di ampiezza pari al
periodo.
Per determinare il periodo di una funzione:
(a) si determina il dominio D
(b) si determina T , se esiste, imponendo che ∀x ∈ D f (x + T ) = f (x)
(c) si verifica che x ∈ D ⇔ x + T ∈ D
Osservazioni
(a) Una funzione con dominio inferiormente limitato o superiormente limitato non
può essere periodica.
(b) Se il dominio di una funzione è R, la condizione x ∈ D ⇔ x + T ∈ D è sempre
verificata.
In generale non si possono stabilire regole per determinare il periodo delle funzioni, e
nemmeno regole per dedurre il periodo di funzioni ottenute mediante somme, prodotti
o composizioni di altre funzioni periodiche. Ci si può solo attenere alle indicazioni che
seguono:
• se una funzione f è periodica di periodo T , allora la funzione g, definita da
T
g (x) = f (kx), con k ∈ R − {0}, è periodica di periodo
|k|
• se si hanno due funzioni periodiche con diversi periodi T1 e T2 , e se esistono multipli interi comuni dei due periodi, allora le funzioni somma, prodotto, quoziente,
hanno periodo uguale al minimo comune multiplo dei periodi
• se si hanno due funzioni periodiche con lo stesso periodo T , allora le funzioni somma, prodotto, quoziente (se non si ottiene una costante), hanno periodo
minore o uguale al periodo comune T
3. Intersezioni con gli assi cartesiani
Si determinano le coordinate degli eventuali punti di intersezione del grafico della
funzione con gli assi cartesiani risolvendo il sistema costituito dall’equazione cartesiana
della funzione e dall’equazione di uno dei due assi.
il grafico interseca l’asse x nei punti che hanno come ascissa gli zeri della funzione e
come ordinata 0.
Il grafico interseca l’asse y al più in un punto.
Se 0 non appartiene al dominio, il sistema è impossibile e quindi il grafico non interseca
l’asse y.
Se 0 appartiene al dominio, il grafico interseca l’asse y nel punto che ha come ascissa
0 e come ordinata f (0).
412
3.2. SCHEMA RIASSUNTIVO PER LO STUDIO DI UNA FUNZIONE
4. Segno
Si determinano gli intervalli nei quali la funzione è positiva, quelli in cui è negativa e
quelli in cui è nulla. Per far questo si risolve la disequazione f (x) > 0 nel dominio.
5. Limiti
Si calcolano i limiti agli estremi del dominio. Se la funzione è periodica, i limiti per x
tendente a ±∞ non esistono o non si possono effettuare.
Se la funzione è definita per casi è opportuno calcolare i limiti per x tendente ai valori
di separazione dei casi.
6. Continuità
Si determina l’insieme in cui la funzione è continua e si classificano gli eventuali punti
singolari e di discontinuità.
Per determinare i punti singolari di una funzione f : D → R si considerano gli estremi
del dominio D (esclusi ±∞). Per classificare un punto singolare x0 si analizza il limite
per x tendente a x0 :
• se i limiti destro e sinistro sono finiti e diversi, x0 è un punto singolare di prima
specie
• se tra i limiti destro e sinistro almeno uno è infinito oppure almeno uno non
esiste, x0 è un punto singolare di seconda specie
• se il limite è finito, x0 è un punto singolare di terza specie
• se x0 è un punto singolare e x0 ∈ D, allora x0 è anche un punto di discontinuità
Osservazione
Se
• x0 è un punto singolare
• limx→x+ f (x) = l ∈ R
0
• il limite sinistro non si può effettuare
allora x0 è un punto singolare di terza specie.
Analogamente con il limite sinistro.
7. Asintoti
Si determinano le equazioni degli eventuali asintoti orizzontali, verticali e obliqui.
In taluni casi è opportuno determinare anche le intersezioni del grafico della funzione
con gli asintoti orizzontali e obliqui.
Per determinare gli asintoti del grafico di una funzione f si analizzano i limiti agli
estremi del dominio:
• se lim f (x) = l, allora il grafico ammette un asintoto orizzontale di equazione
x→±∞
y=l
• se lim± f (x) = ±∞ allora il grafico ammette un asintoto verticale di equazione
x→x0
x = x0
413
CAPITOLO 3. STUDIO DI UNA FUNZIONE
• se
(a) lim f (x) = ±∞
x→±∞
f (x)
= m 6= 0
x→±∞
x
(c) lim (f (x) − mx) = q
(b) lim
x→±∞
allora il grafico ammette un asintoto obliquo di equazione y = mx + q.
Osservazione
Il grafico di una funzione periodica non ha asintoti orizzontali e obliqui.
8. Intervalli di monotonia, punti di massimo e minimo
(a) Si determina l’insieme su cui la funzione è derivabile.
(b) Si calcola la derivata prima.
(c) Si determinano i punti di stazionarietà della funzione, cioè i punti che annullano
la derivata prima e si calcolano le corrispondenti ordinate.
(d) Si studia il segno della derivata prima: in tal modo, tenendo conto di eventuali
punti di discontinuità, si determinano gli intervalli di monotonia e i punti di
massimo e minimo relativo con le corrispondenti ordinate.
In alternativa, per decidere se un punto di stazionarietà è un punto di massimo
o minimo relativo, si può utilizzare il metodo delle derivate successive.
(e) Si determinano i punti di massimo e minimo assoluto tenendo conto dei massimi
e minimi relativi e dei limiti agli estremi del dominio.
(f) Si classificano i punti del dominio in cui la funzione è continua e non derivabile:
Definizione 3.2.1 (Classificazioni dei punti di non derivabilità).
Siano f : D → R una funzione e x0 ∈ D un punto interno a D in cui f è continua
e non derivabile.
Se
lim−
x→x0
f (x) − f (x0 )
f (x) − f (x0 )
= lim+
= +∞
x − x0
x − x0
x→x0
oppure
lim−
x→x0
f (x) − f (x0 )
f (x) − f (x0 )
= lim+
= −∞
x − x0
x − x0
x→x0
allora x0 è un punto di flesso a tangente verticale.
Se
lim−
x→x0
f (x) − f (x0 )
f (x) − f (x0 )
= +∞ e lim+
= −∞
x − x0
x − x0
x→x0
oppure
lim−
x→x0
f (x) − f (x0 )
f (x) − f (x0 )
= −∞ e lim+
= +∞
x − x0
x − x0
x→x0
414
3.2. SCHEMA RIASSUNTIVO PER LO STUDIO DI UNA FUNZIONE
allora x0 è un punto di cuspide.
Se
lim−
x→x0
f (x) − f (x0 )
=l∈R
x − x0
e
lim+
x→x0
f (x) − f (x0 )
= m ∈ R(l 6= m)
x − x0
oppure uno dei due limiti è infinito e l’altro è finito, allora x0 è un punto angoloso.
Se il dominio D è un intervallo, x0 ∈ D è un estremo e il limite destro o sinistro
del rapporto incrementale è ±∞, allora x0 è un punto a tangente verticale.
9. Intervalli di concavità e convessità, punti di flesso
(a) Si determina l’insieme su cui la funzione è derivabile due volte.
(b) Si calcola la derivata seconda.
(c) Si determinano i punti che annullano la derivata seconda e si calcolano le corrispondenti ordinate.
(d) Si studia il segno della derivata seconda: in tal modo, tenendo conto di eventuali
punti di discontinuità, si determinano gli intervalli di concavità e convessità e i
punti di flesso con le corrispondenti ordinate.
In alternativa, per decidere se un punto che annulla la derivata seconda è un
punto di flesso, si può utilizzare il metodo delle derivate successive.
In taluni casi può essere utile determinare la tangente al grafico della funzione
nei flessi.
10. Grafico
Si traccia un grafico qualitativo della funzione, utilizzando i risultati ottenuti nei punti
precedenti
Osservazioni
1. Se la funzione è definita su due intervalli si può scrivere che è definita sull’unione dei
due intervalli.
2. Se la funzione è positiva (negativa) su due intervalli si può scrivere che è positiva
(negativa) sull’unione.
3. Se la funzione è crescente (decrescente) in senso stretto su due intervalli disgiunti
si scrive che è crescente (decrescente) in senso stretto sul primo e sul secondo (non
sull’unione).
4. Se la funzione è crescente (decrescente) in senso stretto su due intervalli con un’estremo
in comune si scrive che è crescente (decrescente) in senso stretto sull’intervallo ottenuto
dall’unione dei due.
415
CAPITOLO 3. STUDIO DI UNA FUNZIONE
5. Se la funzione è convessa (concava) in senso stretto su due intervalli disgiunti o con
un’estremo in comune e in esso non derivabile si scrive che è convessa (concava) in
senso stretto sul primo e sul secondo (non sull’unione).
6. Se la funzione è convessa (concava) in senso stretto su due intervalli con un’estremo
in comune e in esso derivabile si scrive che è convessa (concava) in senso stretto
sull’intervallo ottenuto dall’unione dei due
3.3
Studio di una funzione prolungabile per continuità
f (x) =
3x − 12
e x
1 − 2x
1. Dominio
Il dominio della funzione f è l’insieme delle soluzioni del sistema:
(
1 − 2x 6= 0
x2 6= 0
1
2


x 6= 0


x
6=
Quindi
ô
ñ
ô
ñ
1
1
D = ]−∞, 0[ ∪ 0,
∪ , +∞
2
2
2. Parità, disparità, periodicità
Poiché il dominio non è simmetrico rispetto all’origine, la funzione non è pari e non è
dispari.
La funzione non è periodica.
3. Intersezioni con gli assi cartesiani
Determiniamo le intersezioni con l’asse x, trovando gli zeri della funzione:
3x − 12
e x =0
1 − 2x
3x = 0
x=0
impossibile.
Il grafico non interseca l’asse x.
Poiché 0 non appartiene al dominio, il grafico non interseca l’asse y.
416
3.3. STUDIO DI UNA FUNZIONE PROLUNGABILE PER
CONTINUITÀ
4. Segno
Determiniamo il segno della funzione, risolvendo la disequazione
f (x) > 0:
3x − 12
e x >0
1 − 2x
3x
>0
1 − 2x
3x > 0 ⇒ x > 0
1
2
1 − 2x > 0 ⇒ x <
1
2
− × + × +
+ × + × −
0
− × + × −
La funzioneôè: ñ
1
positiva su 0, ,
2
ñ
ô
1
negativa su ] − ∞, 0[∪ , +∞ .
2
5. Limiti
Calcoliamo i limiti agli estremi del dominio:
Ç
lim
x→−∞
3x − 12
e x
1 − 2x
å
Poiché
1
3x
3
= − e lim e− x2 = 1
x→−∞ 1 − 2x
2 x→−∞
lim
si ha
Ç
lim
x→−∞
Ç
lim
x→0−
3x − 12
e x
1 − 2x
3x − 12
e x
1 − 2x
å
=−
3
2
å
Poiché
lim−
x→0
1
3x
= 0 e lim− e− x2 = 0
x→0
1 − 2x
si ha
Ç
lim
x→0−
3x − 12
e x
1 − 2x
å
=0
417
CAPITOLO 3. STUDIO DI UNA FUNZIONE
Ç
lim
x→0+
3x − 12
e x
1 − 2x
å
Poiché
lim+
x→0
1
3x
= 0 e lim+ e− x2 = 0
x→0
1 − 2x
si ha
Ç
lim
x→0+
3x − 12
e x
1 − 2x
Ç
lim−
x→ 12
3x − 12
e x
1 − 2x
å
=0
å
Poiché
1
3x
= +∞ e lim− e− x2 = e−4
1 − 2x
x→ 12
lim−
x→ 12
si ha
Ç
lim−
x→ 12
Ç
lim+
x→ 12
3x − 12
e x
1 − 2x
å
3x − 12
e x
1 − 2x
å
= +∞
Poiché
1
3x
= −∞ e lim+ e− x2 = e−4
1 − 2x
x→ 12
lim+
x→ 12
si ha
Ç
lim+
x→ 12
3x − 12
e x
1 − 2x
Ç
lim
x→+∞
å
3x − 12
e x
1 − 2x
= −∞
å
Poiché
1
3x
3
= − e lim e− x2 = 1
x→+∞ 1 − 2x
2 x→+∞
lim
si ha
Ç
lim
x→+∞
3x − 12
e x
1 − 2x
å
=−
3
2
418
3.3. STUDIO DI UNA FUNZIONE PROLUNGABILE PER
CONTINUITÀ
6. Continuità
1
La funzione è continua sul dominio; x = 0 è un punto singolare di terza specie; x =
2
è un punto singolare di seconda specie.
Poiché x = 0 è un punto singolare di terza specie, la funzione f si può prolungare per
continuità in x = 0:
ô
ñ
ô
ñ
1
1
se x ∈ ]−∞, 0[ ∪ 0,
∪ , +∞
2
2
se x = 0
3x − 12
e x
fe(x) =  1 − 2x

0



In questo modo
ô
ñ
ô
ñ
1
1
Dfe = −∞,
∪ , +∞
2
2
e fe è continua in 0.
7. Asintoti
3
Il grafico ha un asintoto orizzontale di equazione y = − .
2
1
Il grafico ha un asintoto verticale di equazione x = .
2
Non ci sono asintoti obliqui.
8. Intervalli di monotonia, punti di massimo e minimo
(a) La funzione è derivabile sul dominio.
(b) Calcoliamo la derivata prima:
f 0 (x) =
3(1 − 2x) − 3x(−2) − 12
3x − 12 2x
x +
e
e x 4 =
(1 − 2x)2
1 − 2x
x
1
3 − 6x + 6x − 12
6
e x + 2
e− x2 =
2
(1 − 2x)
x (1 − 2x)
Ç
3
6
3x2 + 6 − 12x − 12
− 12
x
+
e
=
e x
(1 − 2x)2 x2 (1 − 2x)
x2 (1 − 2x)2
å
(c) Determiniamo i punti di stazionarietà, risolvendo l’equazione
f 0 (x) = 0:
3(x2 − 4x + 2) − 12
e x =0
x2 (1 − 2x)2
1
(x2 − 4x + 2)e− x2 = 0
x2 − 4x + 2 = 0
∆
=4−2=2
4
√
x=2± 2
419
CAPITOLO 3. STUDIO DI UNA FUNZIONE
1
e− x2 = 0 è impossibile
Calcoliamo le corrispondenti ordinate:
√
√
√
√
3+2 2
3(2 − 2) − 6−41√2
f (2 − 2) = √
e
= −3(2 + 2)e− 2
2 2−3
√
√
√ − 3−2√2
3(2 + 2) − 6+41√2
√
f (2 + 2) =
= −3(2 − 2)e 2
e
−2 2 − 3
Å
Å
√ − 3+2√2 ã
√
√ − 3−2√2 ã
√
2
, B 2 + 2, −3(2 − 2)e 2
A 2 − 2, −3(2 + 2)e
(d) Studiamo il segno della derivata prima, risolvendo la disequazione f 0 (x) > 0:
3(x2 − 4x + 2) − 12
e x >0
x2 (1 − 2x)2
x2 − 4x + 2 > 0
√
√
x<2− 2∨x>2+ 2
0
f0
f
+ ×
% ×
1
2
+ ×
% ×
2−
+
%
√
0
•
2
2+
−
&
√
2
0
•
+
%
La funzione è :
ô
ñ
ô
ô
î
î
√
√
1
1
crescente in senso stretto su ]−∞, 0[, su 0, , su , 2 − 2 e su 2 + 2, +∞
2√ ó 2
î
√
decrescente in senso stretto su 2 − 2, 2 + 2 .
Ä
√
√ ä − 3+2√2
x = 2 − 2 è un punto di massimo relativo, −3 2 + 2 e 2 è il massimo
relativo √
Ä
√ ä 3−2√2
x = 2 + 2 è un punto di minimo relativo, −3 2 − + 2 e− 2 è il minimo
relativo
(e) non ci sono punti di massimo e minimo assoluti
(f) Studiamo la derivabilità del prolungamento per continuità di f in x = 0
3x − 12
e x
fe(x) =  1 − 2x

0



La funzione
fe0 (x) =
fe è
ô
ñ
ô
ñ
ô
ñ
ô
ñ
1
1
se x ∈ ]−∞, 0[ ∪ 0,
∪ , +∞
2
2
se x = 0
1
1
∪ , +∞ e, su tale insieme,
derivabile su ]−∞, 0[ ∪ 0,
2
2
3(x2 − 4x + 2) − 12
e x
x2 (1 − 2x)2
Calcoliamo i limiti per x → 0− e x → 0+ di fe0 (x).
420
3.3. STUDIO DI UNA FUNZIONE PROLUNGABILE PER
CONTINUITÀ
Ç
i. lim−
x→0
3(x2 − 4x + 2) − 12
e x
x2 (1 − 2x)2
Ñ
å
= lim−
x→0
1
é
1
é
3(x2 − 4x + 2) e− x2
(1 − 2x)2
x2
Poiché
lim−
x→0
3(x2 − 4x + 2)
=6
(1 − 2x)2
e
1
e− x2
x−2
x−2
lim− 2 = lim− 1 = lim− x−2 =
x→0
x→0 e
x→0 e x2
x
lim−
x→0
1
1
−2x−3
= lim− x−2 = lim− e− x2 = 0
−2
x
−3
x→0
e (−2x ) x→0 e
si ha
Ç
lim
x→0−
Ç
ii. lim+
x→0
3(x2 − 4x + 2) − 12
e x
x2 (1 − 2x)2
å
3(x2 − 4x + 2) − 12
e x
x2 (1 − 2x)2
å
=0
Ñ
= lim+
x→0
3(x2 − 4x + 2) e− x2
(1 − 2x)2
x2
Poiché
lim+
x→0
3(x2 − 4x + 2)
=6
(1 − 2x)2
e
1
x−2
e− x2
x−2
lim+ 2 = lim+ 1 = lim+ x−2 =
x→0 e
x→0
x→0 e x2
x
lim+
x→0
−2x−3
1
− 12
x
=0
=
lim
=
lim
e
−2
−2
x→0+
ex (−2x−3 ) x→0+ ex
si ha
Ç
lim
x→0+
3(x2 − 4x + 2) − 12
e x
x2 (1 − 2x)2
å
=0
Poiché lim− fe0 (x) = 0 e lim+ fe0 (x) = 0, fe è derivabile in x = 0 e fe0 (0) = 0.
x→0
x→0

2

 3(x
fe0 (x) = 

− 4x + 2) − 12
e x
2
x (1 − 2x)2
0
ô
9. Intervalli di concavità e convessità, punti di flesso
(a) La funzione è derivabile due volte sul dominio.
421
ñ
ô
1
1
∪ , +∞
se x ∈ ]−∞, 0[ ∪ 0,
2
2
se x = 0
ñ
CAPITOLO 3. STUDIO DI UNA FUNZIONE
(b) Poiché il calcolo della derivata seconda è complesso non determiniamo gli intervalli di concavità, convessità e i punti di flesso.
10. Grafico
y
×
O
−
x
1
2
A
3
2
B
Ç
Figura 3.1: grafico di f (x) =
3.4
3x − 12
e x
1 − 2x
å
Discussione di equazioni con parametro
Lo studio di funzione permette di determinare il numero di radici di equazioni parametriche
della forma g(x, k) = 0 in un insieme D al variare di k, dove il parametro k compare allo
stesso grado.
Si procede nel seguente modo:
1. si isola il parametro k, ottenendo k = f (x)
2. si considera il sistema:


y


= f (x)
y=k



x ∈ D ∩ Df
3. si traccia il grafico della funzione f su D ∩ Df
4. il numero di radici dell’equazione data si determina studiando le intersezioni tra il
grafico della funzione e la retta di equazione y = k al variare di k
422
3.4. DISCUSSIONE DI EQUAZIONI CON PARAMETRO
5. per i valori di x appartenenti a D e non appartenenti a Df , si determina, se esiste, il
corrispondente valore di k
423
Capitolo 4
Problemi di massimo e minimo
Per risolvere i problemi di massimo e minimo:
1. si indica con x una delle variabili del problema
2. si esprimono, in funzione di x, le altre variabili
3. si determina l’insieme D al quale le variabili devono appartenere
4. si determina la funzione della quale si cerca il massimo o il minimo
5. si determina il massimo o il minimo della funzione su D
424
Capitolo 5
Risoluzione di equazioni e disequazioni
con il metodo grafico
5.1
Equazioni
Con il metodo grafico si può stabilire se, in un dato insieme, un’equazione è risolubile; in
caso affermativo si può determinare il numero delle soluzioni e, per ciascuna di esse, un
intervallo a cui appartengono.
Per risolvere un’equazione nella forma normale h(x) = 0 con il metodo grafico:
1. si trasforma l’equazione nella forma f (x) = g(x)
2. si rappresentano graficamente le funzioni f e g sullo stesso sistema di riferimento
3. si determina il numero delle soluzioni dell’equazione data che è uguale al numero di
intersezioni tra i due grafici
4. per ogni soluzione, che è l’ascissa dei punti di intersezione tra i due grafici, si determina
un intervallo a cui appartiene
5.2
Disequazioni
Per risolvere una disequazione nella forma normale h(x) > 0 con il metodo grafico:
1. si trasforma la disequazione nella forma f (x) > g(x)
2. si rappresentano graficamente le funzioni f e g sullo stesso sistema di riferimento
3. le soluzioni della disequazione sono gli intervalli per i quali il grafico di f si svolge al
di sopra di quello di g
Per le disequazioni nella forma normale h(x) > 0, h(x) < 0, h(x) 6 0 si procede in modo
analogo.
Osservazione
La risoluzione di equazioni e disequazioni con il metodo grafico si può utilizzare nello studio
di funzione.
425
CAPITOLO 5. RISOLUZIONE DI EQUAZIONI E DISEQUAZIONI CON
IL METODO GRAFICO
Esempio 5.2.1.
Studiamo la funzione
f (x) =
|x − 3| x−1
e
x−1
1. Dominio
D = ]−∞, 1[ ∪ ]1, +∞[
2. Parità, disparità, periodicità
Poiché il dominio non è simmetrico rispetto all’origine, la funzione non è pari e non è
dispari.
La funzione non è periodica.
3. Intersezioni con gli assi cartesiani
Determiniamo le intersezioni con l’asse x, trovando gli zeri della funzione:
|x − 3| x−1
e
=0
x−1
|x − 3| = 0
x=3
Il grafico interseca l’asse x in A(3, 0)
3
Poiché 0 appartiene al dominio, calcoliamo f (0): f (0) = − ; il grafico interseca l’asse
e
Ç
å
3
y in B 0, − .
e
4. Segno
Determiniamo il segno della funzione, risolvendo la disequazione f (x) > 0:
|x − 3| x−1
e
>0
x−1
|x − 3|
>0
x−1
|x − 3| > 0 ⇒ x 6= 3
x−1>0⇒x>1
1
3
+ × + 0 +
− × + + +
− × + 0 +
La funzione è:
positiva su ]1, 3[∪]3, +∞[,
nulla per x = 3,
negativa su ] − ∞, 1[.
426
5.2. DISEQUAZIONI
5. Limiti
Calcoliamo i limiti agli estremi del dominio:
|x − 3| x−1
e
=
x→−∞ x − 1
lim
−x + 3 x−1
e
=0
x→−∞ x − 1
lim
lim−
|x − 3| x−1
e
= −∞
x−1
lim+
|x − 3| x−1
e
= +∞
x−1
x→1
x→1
|x − 3| x−1
e
=
x→+∞ x − 1
x − 3 x−1
lim
e
= +∞
x→+∞ x − 1
lim
6. Continuità
La funzione è continua sul dominio; x = 1 è un punto singolare di seconda specie.
7. Asintoti
Il grafico ha un asintoto orizzontale di equazione y = 0. Il grafico ha un asintoto
verticale di equazione x = 1.
|x − 3| x−1
e
x
−
1
=
lim
x→+∞
x
x − 3 x−1
e
=
x→+∞ x2 − x
x x−1
lim
e
=
x→+∞ x2
lim
ex−1
=
x→+∞ x
Applicando il teorema di De L’Hôpital si ottiene
lim
lim ex−1 = +∞
x→+∞
non ci sono asintoti obliqui.
8. Intervalli di monotonia, punti di massimo e minimo
(a) La funzione è derivabile su
D0 = ]−∞, 1[ ∪ ]1, 3[∪]3, +∞[
427
CAPITOLO 5. RISOLUZIONE DI EQUAZIONI E DISEQUAZIONI CON
IL METODO GRAFICO
(b) Calcoliamo la derivata prima:
|x − 3|
(x − 1) − (|x − 3|)
|x − 3| x−1
e
=
f 0 (x) = x − 3
ex−1 +
2
(x − 1)
x−1
x−1
1
|x − 3| x−1
|x − 3|
x − 3) − 1
e
=
ex−1 +
2
(
(x − 1)
x−1
Ç
|x − 3|
e
å
2
|x − 3| x−1
e
=
e|x−1| +
2
(x − 3)(x − 1)
x−1
x−1 |x
− 3|
x−1
Ç
2
+1
(x − 3)(x − 1)
ex−1
|x − 3| x2 − 4x + 5
x − 1 (x − 3)(x − 1)
ex−1
|x − 3|(x2 − 4x + 5)
(x − 1)2 (x − 3)
å
Osservazione
La derivata prima si può anche calcolare eliminando il valore assoluto

x − 3 x−1


e

−1
f (x) =  x
−x + 3


x−1
ex−1
se x > 3
se x < 1 ∨ 1 < x < 3

2

x−1 x


e
− 4x + 5
(x − 1)2
f 0 (x) = 
−x2 + 4x − 5


ex−1
(x − 1)2
se x > 3
se x < 1 ∨ 1 < x < 3
(c) Determiniamo i punti di stazionarietà, risolvendo l’equazione f 0 (x) = 0:
ex−1
|x − 3|(x2 − 4x + 5)
=0
(x − 1)2 (x − 3)
x2 − 4x + 5 =
impossibile
non ci sono punti di stazionarieta
(d) Studiamo il segno della derivata prima, risolvendo la disequazione f 0 (x) > 0:
ex−1
|x − 3|(x2 − 4x + 5)
>0
(x − 1)2 (x − 3)
1
>0
x−3
428
5.2. DISEQUAZIONI
x>3
f0
f
1
3
− ×
& ×
− ×
& •
+
%
La funzione è:
crescente in senso stretto su [3, +∞[,
decrescente in senso stretto su ] − ∞, −1[ e su ]1, 3].
x = 3 è un punto di minimo relativo, 0 è il minimo relativo.
(e) non ci sono punti di massimo e minimo assoluti
(f) In 3 la funzione è continua e non derivabile.
lim− f 0 (x) = lim− ex−1
1
−x2 + 4x − 5
= − e2
2
(x − 1)
2
lim+ f 0 (x) = lim+ ex−1
1
x2 − 4x + 5
= e2
2
(x − 1)
2
x→3
x→3
x→3
x→3
x = 3 è un punto angoloso
9. Intervalli di concavità e convessità, punti di flesso
(a) La funzione è derivabile due volte su
D0 = ]−∞, 1[ ∪ ]1, 3[∪]3, +∞[
(b) Calcoliamo la derivata seconda, partendo da

2

x−1 x


e
− 4x + 5
(x − 1)2
f 0 (x) = 
−x2 + 4x − 5


ex−1
(x − 1)2

3

x−1 x


e

se x > 3
se x < 1 ∨ 1 < x < 3
− 5x2 + 11x − 11
(x − 1)3
f 00 (x) = 
3
−x + 5x2 − 11x + 11


ex−1
(x − 1)3
se x > 3
se x < 1 ∨ 1 < x < 3
(c) Determiniamo i punti che annullano la derivata seconda, risolvendo l’equazione
f 00 (x) = 0. Consideriamo
ex−1
x3 − 5x2 + 11x − 11
= 0 con x > 3
(x − 1)3
x3 − 5x2 + 11x − 11 = 0
poiché non esistono valori razionali che annullano il polinomio, utilizziamo il
metodo grafico.
429
CAPITOLO 5. RISOLUZIONE DI EQUAZIONI E DISEQUAZIONI CON
IL METODO GRAFICO
i. Trasformiamo l’equazione nella forma
x3 = 5x2 − 11x + 11
ii. Rappresentiamo graficamente la funzione g(x) = x3 :
y
x
O
Figura 5.1: grafico di g(x) = x3
iii. Rappresentiamo graficamente la funzione h(x) = 5x2 − 11x + 11 sullo stesso
sistema di riferimento del grafico di g:
430
5.2. DISEQUAZIONI
y
A
x
O
1
4
Figura 5.2: grafico di g(x) = x3 e h(x) = 5x2 − 11x + 11
I grafici si intersecano nel punto A di ascissa α ∈]1, 4[
Poiché g(2) = 8,h(2) = 9, g(3) = 27,h(3) = 23
α ∈]2, 3[
L’equazione è impossibile perchè α < 3.
Consideriamo
ex−1
−x3 + 5x2 − 11x + 11
= 0 con x < 1 ∨ 1 < x < 3
(x − 1)3
x3 − 5x2 + 11x − 11 = 0
Per il calcolo precedente si ottiene
α ∈]2, 3[
La soluzione è accettabile.
Calcoliamo la corrispondente ordinata:
f (α) =
3 − α α−1
e
α−1
3 − α α−1
C α,
e
α−1
Ç
å
431
CAPITOLO 5. RISOLUZIONE DI EQUAZIONI E DISEQUAZIONI CON
IL METODO GRAFICO
Poiché
f (2) = e
f (3) = 0
f (α) ∈]0, e[
(d) Studiamo il segno della derivata seconda, risolvendo la disequazione
f 00 (x) > 0: Consideriamo
ex−1
x3 − 5x2 + 11x − 11
> 0 con x > 3
(x − 1)3
x3 − 5x2 + 11x − 11 > 0
x3 > 5x2 − 11x + 11
x>3
Consideriamo
ex−1
−x3 + 5x2 − 11x + 11
> 0 con x < 1 ∨ 1 < x < 3
(x − 1)3
−x3 + 5x2 − 11x + 11
>0
x−1
−x3 +5x2 −11x+11 > 0 ⇒ x3 −5x2 +11x−11 < 0 ⇒ x3 < 5x2 −11x+11 ⇒ x < α
x−1>0⇒x>1
1
α
3
+ × + 0 − × ×
− × + + + × ×
− × + 0 − × ×
1<x<α
f 00
f
−
∩
1
α
× +
× ∪
0
•
3
−
∩
× +
• ∪
La funzione è:
concava in senso stretto su ] − ∞, 1[ e su [α, 3],
convessa in senso stretto su ]1, α] e su [3, +∞[
x = α e x = 3 sono punti di flesso
432
5.2. DISEQUAZIONI
10. Grafico
y
e
C
A
O
−
3
e
2
B
Figura 5.3: grafico di f (x) =
433
3
|x − 3| x−1
e
x−1
x
Capitolo 6
Approssimazioni di funzioni
6.1
Introduzione
Molte funzioni possono essere approssimate con polinomi.
Si può avere un’approssimazione di tipo globale (il polinomio approssima la funzione sul
dominio o su un suo sottoinsieme) o di tipo locale (il polinomio approssima la funzione nelle
vicinanze di un punto del dominio).
Nell’approssimazione di tipo locale, si determina un polinomio di grado n che, in un dato
punto x0 , soddisfa le seguenti condizioni:
• assume lo stesso valore della funzione
• le derivate successive fino all’ordine n coincidono con le corrispondenti derivate successive della funzione
Il polinomio che si ottiene con questo metodo si dice polinomio di Taylor di grado n associato
alla funzione con base x0 .
Nell’approssimazione di tipo globale si determina un polinomio di grado 6 n − 1 che in
n punti assume lo stesso valore della funzione (interpolazione matematica) oppure che in
n punti il suo valore si avvicina il più possibile al valore della funzione (interpolazione
statistica)
6.2
Approssimazione locale
6.2.1
Polinomio di Taylor
Consideriamo una funzione f : D → R derivabile in un punto x0 ∈ D.
lim
x→x0
f (x) − f (x0 )
= f 0 (x0 )
x − x0
Posto
ϕ(x) =
f (x) − f (x0 )
− f 0 (x0 )
x − x0
434
6.2. APPROSSIMAZIONE LOCALE
si ha:
lim ϕ(x) = 0
x→x0
ϕ(x) =
f (x) − f (x0 )
− f 0 (x0 ) ⇒ f (x) = f (x0 ) + f 0 (x0 )(x − x0 ) + ϕ(x)(x − x0 )
x − x0
Posto
P1 (x) = f (x0 ) + f 0 (x0 )(x − x0 )
e osservato che ϕ(x)(x − x0 ) = o(x − x0 ) per x → x0 , si ha
f (x) = P1 (x) + o(x − x0 ) per x → x0
Quindi una funzione derivabile è approssimabile con un polinomio di primo grado.
Il risultato ottenuto si può generalizzare.
Definizione 6.2.1 (Polinomio di Taylor).
Data una funzione f : D → R derivabile n volte in un punto x0 ∈ D si dice polinomio di
Taylor di grado n associato alla funzione f con base x0 il polinomio
Pn (x) = f (x0 ) +
f 00 (x0 )
f (n) (x0 )
f 0 (x0 )
(x − x0 ) +
(x − x0 )2 + · · · +
(x − x0 )n
1!
2!
n!
Teorema 6.2.1.
Se f : D → R è derivabile n volte in x0 ∈ D
allora
f (x) = Pn (x) + o ((x − x0 )n ) per x → x0
L’espressione Pn (x) + o((x − x0 )n ) si dice sviluppo di Taylor della funzione f per x → x0 .
Se x0 = 0, allora l’espressione Pn (x) + o(xn ) si dice sviluppo di Maclaurin.
6.2.2
Sviluppi notevoli di Maclaurin
Si può dimostrare che, per x → 0
1. ex = 1 + x +
1 2
1
x + . . . + xn + o(xn )
2!
n!
2. sin(x) = x −
1 3 1 5
(−1)n 2n+1
x + x + ... +
x
+ o(x2n+2 )
3!
5!
(2n + 1)!
3. cos(x) = 1 −
1 2 1 4
(−1)n 2n
x + x + ... +
x + o(x2n+1 )
2!
4!
(2n)!
1
2
4. tan(x) = x + x3 + x5 + o(x6 )
3
15
435
CAPITOLO 6. APPROSSIMAZIONI DI FUNZIONI
!
!
α 2
α n
5. (1 + x) = 1 + αx +
x + ... +
x + o(xn ), α ∈ R
2
n
!
α
α(α − 1) · . . . · (α − n + 1)
dove
=
n
n!
α
6.
1
= (1 − x)−1 = 1 + x + x2 + . . . + xn + o(xn )
1−x
1
(−1)n−1 n
1
x + o(xn )
7. ln(1 + x) = x − x2 + x3 + . . . +
2
3
n
1
1
(−1)n 2n+1
8. arctan(x) = x − x3 + x5 + . . . +
x
+ o(x2n+2 )
3
5
2n + 1
6.3
6.3.1
Approssimazione globale
Interpolazione matematica
Interpolare una funzione f noti i valori di f in n punti distinti x1 , . . . , xn , significa determinare un polinomio P di grado 6 n − 1 tale che
f (xi ) = P (xi ) con i = 1 . . . n
Interpolazione polinomiale
L’interpolazione con un polinomio di grado n − 1 di una funzione f si effettua conoscendo
i valori di f in n punti x1 , . . . , xn .
Il polinomio interpolante si ottiene determinando i valori di ai del generico polinomio di
grado n − 1
P (x) = an−1 xn−1 + . . . + a0
I coefficienti ai si determinano risolvendo il sistema


 f (x1 )




= an−1 xn−1
+ . . . + a0
1
...
f (xn ) = an−1 xn−1
+ . . . + a0
n
6.3.2
Interpolazione statistica: metodo dei minimi quadrati
L’interpolazione statistica di una funzione consiste nel determinare un polinomio o una funzione non polinomiale che in n punti x1 , . . . xn assuma valori che soddisfino una condizione
di accostamento prefissata.
Il metodo più utilizzato è quello dei minimi quadrati. Indicando con f la funzione da interpolare e con g la funzione interpolante dipendente da m parametri a1 , . . . , am , la condizione
di accostamento del metodo dei minimi quadrati è determinare i valori dei parametri in
modo che sia minima la somma dei quadrati delle differenze tra i valori yi = f (xi ) e i valori
436
6.3. APPROSSIMAZIONE GLOBALE
g(xi ).
Quindi si deve trovare il minimo della funzione
h(a1 , . . . , am ) =
n
X
(yi − g(xi , a1 , . . . am ))2
i=1
Se una funzione in una variabile è derivabile, condizione necessaria per determinare il minimo
è che la derivata si annulli. In modo analogo, se una funzione in più variabili è derivabile
rispetto a ogni variabile, condizione necessaria per determinare il minimo è che tutte le
derivate parziali si annullino.
La derivata parziale rispetto a una variabile, si ottiene considerando tutte le altre variabili
come costanti.
Risolvendo il sistema formato dalle equazioni che annullano le derivate parziali si ottengono
i punti di stazionarietà.
Poiché la funzione è una somma di quadrati, i punti di stazionarietà sono punti di minimo.
Consideriamo il caso in cui la funzione g è lineare. Negli altri casi si procede in modo analogo
Interpolazione lineare
L’interpolazione lineare di una funzione f con il metodo dei minimi quadrati si effettua
determinando i valori dei parametri a, b della funzione g(x) = ax + b conoscendo i valori di
f nei punti x1 , . . . , xn in modo che sia minima
h(a, b) =
n
X
(yi − g(xi , a, b))2
i=1
h(a, b) =
n
X
(yi − axi − b)2
i=1
Determiniamo le derivate parziali di h rispetto ad a e b
n
n Ä
ä
X
∂h X
=
2 (yi − axi − b) (−xi ) = 2
ax2i − xi yi + bxi =
∂a i=1
i=1
2
n
X
a
x2
i
−
i=1
n
X
xi y i + b
i=1
n
X
!
xi
i=1
n
n
X
∂h X
=
2 (yi − axi − b) (−1) = 2
(axi − yi + b) =
∂b
i=1
i=1
2 a
n
X
xi −
i=1
n
X
!
yi + nb
i=1
Risolviamo il sistema che si ottiene annullando le derivate parziali




2








2
n
X
a
x2
i
a
i=1
n
X
i=1
−
xi −
n
X
i=1
n
X
xi y i + b
n
X
!
xi = 0
i=1
!
yi + nb = 0
i=1
437
CAPITOLO 6. APPROSSIMAZIONI DI FUNZIONI









a



















b







n
n
X
x i yi −
i=1
n
X
=
n
x2i −
n
X
=
n
yi
xi
n
n
X
X
x2
y
i−
i
n
X
i=1
i=1
!2
n
X
i=1
i=1
xi
i=1
n
X
i=1
n
X
x2i −
xi
n
X
xi y i
i=1
i=1
!2
n
X
i=1
xi
i=1
Osservazione
Negli esercizi può essere conveniente utilizzare la formula finale per ricavare a e utilizzare
Pn
b=
i=1
n
yi
Pn
−a
i=1
xi
n
per ricavare b
438
Capitolo 7
Calcolo integrale
7.1
Primitive di una funzione
Definizione 7.1.1 (Primitiva di una funzione).
Siano I un intervallo e f : I → R una funzione.
Si dice primitiva di f su I ogni funzione F : I → R derivabile su I tale che
F 0 (x) = f (x) ∀x ∈ I.
Teorema 7.1.1.
Siano I un intervallo e f : I → R.
Se
f è continua su I
allora
f ammette una primitiva su I.
Teorema 7.1.2.
Siano I un intervallo, f : I → R e F : I → R una primitiva di f su I.
La funzione G : I → R è una primitiva di f su I, se e solo se,
∃c ∈ R/G(x) = F (x) + c ∀x ∈ I
Dimostrazione
Se F è una primitiva di f su I, allora F è derivabile su I e G = F + c è derivabile su I.
Poiché
D(G) = D(F + c) = D(F ) = f
G = F + c è una primitiva di f su I.
Viceversa, se F e G sono due primitive di f su I, allora G0 (x) = F 0 (x) ∀x ∈ I, da cui
G0 (x) − F 0 (x) = 0 ∀x ∈ I.
Pertanto (G − F )0 (x) = 0 ∀x ∈ I e quindi, per il corollario del teorema di Lagrange,
∃c ∈ R/(G − F )(x) = c ∀x ∈ I, cioè
G(x) = F (x) + c ∀x ∈ I
Dal teorema precedente segue che, se F è una primitiva di f su I, allora, ∀c ∈ R, F + c è
l’insieme di tutte le primitive di f su I.
439
CAPITOLO 7. CALCOLO INTEGRALE
7.2
Integrale indefinito
Definizione 7.2.1 (Integrale indefinito).
Siano I un intervallo e f : I → R una funzione.
Si dice integrale indefinito di f l’insieme di tutte le primitive di f su I e si indica con
Z
f (x) dx
Quindi, se F è una primitiva di f su I, si avrà
Z
f (x) dx = F (x) + c
La funzione f si dice funzione integranda.
7.2.1
Integrali indefiniti elementari
Dalla definizione di integrale indefinito e dalla tabella delle derivate elementari si può ricavare la tabella degli integrali indefiniti elementari.
Le formule indicate sono sempre riferite a funzioni definite su intervalli I ⊆ R.
Z
Z
Z
0 dx = c
1 dx = x + c
xα dx =
xα+1
+ c per α 6= −1
α+1
1
dx = ln(|x|) + c
x
Z
ax
ax dx =
+c
ln(a)
Z
Z
Z
Z
ex dx = ex + c
sin(x) dx = − cos(x) + c
cos(x) dx = sin(x) + c
Z
1
dx = tan(x) + c
cos2 (x)
Z
1
dx = − cot(x) + c
sin (x)
2
1
dx = arcsin(x) + c
1 − x2
Z
1
dx = arctan(x) + c
1 + x2
Z
√
440
7.2. INTEGRALE INDEFINITO
Z
Z
sinh(x) dx = cosh(x) + c
cosh(x) dx = sinh(x) + c
1
dx = tanh(x) + c
cosh2 (x)
Z
1
dx = − coth(x) + c
sinh2 (x)
Z
√
1
√
dx
=
settsinh(x)
+
c
=
ln(x
+
x2 + 1) + c
x2 + 1
Z
√
1
√
x2 − 1) + c
dx
=
settcosh(x)
+
c
=
ln(x
+
x2 − 1
OsservazioneZ
1
1
Nell’integrale
dx si intende che la funzione f (x) = è definita su un intervallo I non
x
x
contenente l’origine.
Quindi si può scrivere:Z
1
dx = ln(x) + c
se I ⊆]0, +∞[, allora
Zx
1
dx = ln(−x) + c
se I ⊆] − ∞, 0[, allora
x
Z
7.2.2
Proprietà degli integrali indefiniti
Teorema 7.2.1.
Siano I un intervallo e f : I → R.
Se
1. f ammette primitiva su I
2. k è una costante non nulla
allora
kf ammette primitiva su I e
Z
kf (x) dx = k
Z
f (x) dx
Dimostrazione
Sia
Z
f (x) dx = F (x) + c
Poiché
D(kF ) = kD(F ) = kf
kF è una primitiva di kf , quindi
Z
Å
kf (x) dx = kF (x) + c1 = k F (x) +
c1 ã
= k (F (x) + c) = k
k
441
Z
f (x) dx
CAPITOLO 7. CALCOLO INTEGRALE
Teorema 7.2.2.
Siano I un intervallo e f, g : I → R
Se
f e g ammettono primitiva su I
allora
f + g ammette primitiva su I e
Z
(f (x) + g(x)) dx =
Z
f (x) dx +
Z
g(x) dx
Dimostrazione
Siano
Z
f (x) dx = F (x) + c1 ,
Z
g(x) dx = G(x) + c2
Poiché
D(F + G) = D(F ) + D(G) = f + g
F + G è una primitiva di f + g, quindi
Z
(f (x) + g(x)) dx = F (x) + G(x) + c = F (x) + c1 + G(x) + c2 =
7.2.3
Z
f (x) dx +
Z
g(x) dx
Generalizzazione degli integrali indefiniti elementari
Teorema 7.2.3.
Siano I un intervallo e f, g : I → R
Se
1. f è continua su I con primitiva F
2. g è continua su I
3. g è derivabile su I con derivata prima continua su I
4. il codominio di g è incluso in I
allora
Z
f (g(x)) · g 0 (x)dx = F (g(x)) + c
Dimostrazione
D (F (g(x)) + c) = F 0 (g(x)) · g 0 (x) = f (g(x)) · g 0 (x)
Utilizzando il teorema precedente, si possono generalizzare gli integrali indefiniti elementari.
Z
(f (x))α+1
+ c per α 6= −1
(f (x)) f (x) dx =
α+1
α 0
442
7.3. METODI DI INTEGRAZIONE DEGLI INTEGRALI INDEFINITI
Z
f 0 (x)
dx = ln(|f (x)|) + c
f (x)
Z
af (x) f 0 (x) dx =
Z
ef (x) f 0 (x) dx = ef (x) + c
Z
sin(f (x))f 0 (x) dx = − cos(f (x)) + c
Z
cos(f (x))f 0 (x) dx = sin(f (x)) + c
Z
f 0 (x)
dx = tan(f (x)) + c
cos2 (f (x))
Z
f 0 (x)
dx = − cot(f (x)) + c
sin2 (f (x))
f 0 (x)
Z
»
1 − (f (x))2
af (x)
+c
ln(a)
dx = arcsin(f (x)) + c
Z
f 0 (x)
dx = arctan(f (x)) + c
1 + (f (x))2
Z
sinh(f (x))f 0 (x) dx = cosh(f (x)) + c
Z
cosh(f (x))f 0 (x) dx = sinh(f (x)) + c
Z
f 0 (x)
dx = tanh(f (x)) + c
cosh2 (f (x))
Z
f 0 (x)
dx = − coth(f (x)) + c
sinh2 (f (x))
f 0 (x)
Z
»
(f (x))2 + 1
f 0 (x)
Z
»
(f (x))2 − 1
7.3
7.3.1
Å
q
Å
q
dx = settsinh (f (x)) + c = ln f (x) +
dx = settcosh (f (x)) + c = ln f (x) +
ã
(f (x))2 + 1 + c
ã
(f (x))2 − 1 + c
Metodi di integrazione degli integrali indefiniti
Integrazione per sostituzione
Per calcolare alcuni integrali si può utilizzare il metodo di sostituzione che consiste nel
sostituire la variabile di integrazione x con un’altra variabile t funzione
di x.
Z
Data la funzione f : I → R continua su I, per calcolare l’integrale f (x)dx con il metodo
di sostituzione:
443
CAPITOLO 7. CALCOLO INTEGRALE
1. si pone x = g(t), dove g : I1 → R è una funzione continua su I1 , con derivata prima
continua e sempre diversa da zero su I1 e tale che g(I1 ) ⊆ I
2. tenendo conto che
dx
= g 0 (t), si ha dx = g 0 (t)dt
dt
3. si calcola l’integrale
Z
f (g(t))g 0 (t)dt, ottenendo F (t) + c
4. si determina l’inversa della funzione g, ottenendo t = g −1 (x)
5.
Z
f (x)dx = F (g −1 (x)) + c
Osservazione
A volte è più conveniente porre t = h(x).
Osservazione
Tutti gli integrali delle funzioni composte che abbiamo considerato si possono calcolare con
il metodo di sostituzione.
Esempio 7.3.1.
Calcolare l’integrale
Z
sin5 (x) cos(x)dx
Si pone
t = sin(x)
da cui
dt = cos(x)dx
Si sostituisce nell’integrale:
Z
t5 dt
Si calcola l’integrale:
Z
t5 dt =
t6
+c
6
Si sostituisce la variabile t:
Z
sin5 (x) cos(x)dx =
1 6
sin (x) + c
6
Osservazione
Alcune funzioni irrazionali si possono integrare con il metodo di sostituzione, utilizzando le
funzioni iperboliche.
444
7.3. METODI DI INTEGRAZIONE DEGLI INTEGRALI INDEFINITI
Esempio 7.3.2.
Calcolare l’integrale
1
Z
»
(x2 − 9)3
dx
Si pone
x = 3 cosh(t)
da cui
dx = 3 sinh(t)dt
Si sostituisce nell’integrale:
1
Z
»
3
27
Z
2
(9 cosh (t) − 9)3
3 sinh(t)dt =
1
1
sinh(t)dt =
3
9
sinh (t)
Z
1
Z
»
93 sinh6 (t)
3 sinh(t)dt =
1
dt
sinh2 (t)
Si calcola l’integrale:
1
1 cosh(t)
1
cosh(t)
+c
− coth(t) + c = −
+c=− »
9
9 sinh(t)
9 cosh2 (t) − 1
Si sostituisce la variabile cosh(t) =
−
1
9
x
3
2
x
−1
9
7.3.2
x
:
3
1
x
+c=− √ 2
+c
9 x −9
Integrazione per parti
Per calcolare l’integrale del prodotto di due funzioni può essere utile il metodo di integrazione
per parti.
Si può osservare che, in generale, l’integrale del prodotto di due funzioni è diverso dal
prodotto degli integrali.R
Osserviamo anche che f 0 (x)dx = f (x) + c.
Consideriamo il prodotto di due funzioni f, g e calcoliamone la derivata:
(f (x)g(x))0 = f 0 (x)g(x) + f (x)g 0 (x)
da cui
f (x)g 0 (x) = (f (x)g(x))0 − f 0 (x)g(x)
445
CAPITOLO 7. CALCOLO INTEGRALE
Integrando entrambi i membri, si ottiene:
Z
Z
0
f (x)g (x)dx =
Z
0
(f (x)g(x)) dx −
0
f (x)g (x)dx = f (x)g(x) −
Z
Z
f 0 (x)g(x)dx
f 0 (x)g(x)dx
f (x) si chiama fattore finito, g 0 (x) si chiama fattore differenziale.
Abbiamo dimostrato la formula di integrazione per parti:
l’integrale del prodotto di due funzioni è uguale al prodotto del fattore finito per una primitiva del fattore differenziale diminuito dell’integrale del prodotto della derivata del fattore
finito per la primitiva del fattore differenziale.
Osservazione
R
R
A volte, per calcolare f (x)dx, si può scrivere f (x) · 1dx e applicare il metodo di integrazione per parti, considerando g 0 (x) = 1 come fattore differenziale.
7.3.3
Integrazione delle funzioni razionali fratte
Per integrare le funzioni razionali fratte si trasforma la frazione in una somma di frazioni
di cui si conosce l’integrale.
Consideriamo una funzione razionale fratta in cui il grado del numeratore è minore di quello
del denominatore e il denominatore è di secondo grado:
f (x) =
ex + f
+ bx + c
ax2
con
a ∈ R − {0}, b, c, e, f ∈ R (e, f ) 6= (0, 0)
Distinguiamo tre casi.
1. Il denominatore ammette due zeri reali distinti x1 , x2 , cioè si scompone in
a(x − x1 )(x − x2 )
ex + f
ex + f
A
B
=
=
+
+ bx + c
a(x − x1 )(x − x2 )
a(x − x1 ) x − x2
ax2
I numeri A e B si determinano applicando il principio di identità dei polinomi.
Z
ex + f
dx =
2
ax + bx + c
Z
A
dx +
a(x − x1 )
Z
B
dx
x − x2
2. Il denominatore ammette due zeri reali coincidenti x1 , cioè si scompone in
a(x − x1 )2 .
ex + f
ex + f
A
B
=
=
+
2
+ bx + c
a(x − x1 )
a(x − x1 ) (x − x1 )2
ax2
I numeri A e B si determinano applicando il principio di identità dei polinomi.
Z
ex + f
dx =
2
ax + bx + c
Z
A
dx +
a(x − x1 )
Z
B
dx
(x − x1 )2
446
7.3. METODI DI INTEGRAZIONE DEGLI INTEGRALI INDEFINITI
3. Il denominatore ammette due zeri complessi coniugati, cioè è irriducibile in R. In questo caso si trasforma la frazione nella somma di due frazioni, aventi come denominatore
quello della frazione data, in modo che:
• la prima ha come numeratore una costante per la derivata del denominatore
• la seconda ha come numeratore una costante
Esempio 7.3.3.
Calcolare l’integrale
Z
5x + 3
dx
2x2 + x + 1
Poiché la derivata del denominatore è 4x + 1
Ç
å
Ç
12
12
5
5
4x +
4x + 1 − 1 +
5x + 3
4
5
4
5
=
=
2
2
2
2x + x + 1
2x + x + 1
2x + x + 1
Ç
å
=
å
5
7
4x + 1 +
5 4x + 1
7
1
4
5
=
+
=
2
2
2
2x + x + 1
4 2x + x + 1 4 2x + x + 1
Considerata la frazione
2x2
1
+x+1
trasformiamola in modo che il denominatore sia la somma di 1 e del quadrato di un
binomio e il numeratore una costante per la derivata del binomio:
2x2
1
=
+x+1
1
1
å = Ç
å =
1
1
1
1
1
1
−
+
2 x2 + x +
2 x2 + x +
2
2
2
16 16 2
Ç
1
1
í =
! = àÇ
å2
å
1
7
1 2
x+
+
x+
7
4
16
4
+1
7
8
16
Ç
2
8
7
1
! = Ç
=
å
å
1 2
1 2
4
4
√ x+ √
√ x+ √
+1
+1
7
7
7
7
√
8 7 4
4
√
√
√
2 7
7 4 7
7
=
Ç
å2
Ç
å
7
4
1
4
1 2
√ x+ √
√ x+ √
+1
+1
7
7
7
7
7
8
Ç
447
CAPITOLO 7. CALCOLO INTEGRALE
Quindi:
Z
5
5x + 3
dx =
+x+1
4
Z
2x2
4
√ Z
√
4x + 1
72 7
7
dx +
dx =
Ç
å
2
2x + x + 1
4 7
4
1 2
√ x+ √
+1
7
7
√
Ç
å
4
7
1
5
2
ln(2x + x + 1) +
arctan √ x + √ + c
4
2
7
7
I metodi visti precedentemente si possono generalizzare nel caso in cui il denominatore sia
un polinomio di grado maggiore di 2 e il numeratore di grado inferiore, tenendo conto che:
• per ogni zero xi reale con molteplicità 1 si scrive
Ai
x − xi
• per ogni zero xi reale con molteplicità r si scrive
B1
Br
+ ... +
x − xi
(x − xi )r
• per ogni polinomio ax2 + bx + c di secondo grado, che ha due zeri complessi coniugati,
Cx + D
si scrive 2
ax + bx + c
Nel caso in cui il grado del numeratore è maggiore o uguale al grado del denominatore, si
effettua la divisione tra il numeratore e il denominatore:
R(x)
P (x)
= Q(x) +
S(x)
S(x)
dove Q(x) è il quoziente, R(x) è il resto e il grado di R(x) è minore di quello di S(x).
Quindi, l’integrale della funzione data è uguale alla somma dell’integrale di un polinomio e di una funzione razionale fratta avente numeratore con grado minore di quello del
denominatore:
Z
P (x)
dx =
S(x)
7.3.4
Z
Q(x)dx +
Z
R(x)
dx
S(x)
Integrali di funzioni con valore assoluto
Per calcolare l’integrale di una funzione con valore assoluto si applica la definizione di valore
assoluto, tenendo conto che si deve integrare su un intervallo.
Esempio 7.3.4.
• Calcolare l’integrale
Z
1
dx
|x|
Poiché

1



1
= x1
|x| 

−
x
se x > 0
se x < 0
448
7.4. INTEGRALE DEFINITO
se I ⊆]0, +∞[, allora
Z
1
dx =
|x|
Z
1
dx = ln(x) + c
x
se I ⊆] − ∞, 0[, allora
Z
1
dx =
|x|
Z
1
dx = −
−x
Z
1
dx = − ln(|x|) + c = − ln(−x) + c
x
• Calcolare l’integrale
Z
|x|dx
Poiché

x
se x > 0
|x| = 
−x se x < 0
 2

x

+ c1
se x > 0
|x|dx =  2 2
x

−
+ c2 se x < 0
2
Poiché la primitiva deve essere continua sull’intervallo su cui è definita, imponiamo la
continuità in 0:
Z
lim
Ç 2
x
2
x→0+
å
+ c1 = c1
x2
lim− − + c2 = c2
x→0
2
La primitiva è continua in 0 se c1 = c2 = c, quindi
å
Ç
Z
7.4
 2
x



+c
se x > 0
|x|dx =  2 2
x

−
+ c se x < 0
2
Integrale definito
Definizione 7.4.1 (Partizione).
Dato un intervallo [a, b], si dice partizione di [a, b] un insieme di punti P = {x0 , x1 , . . . , xn−1 , xn }
tale che
a = x0 < x1 < . . . < xn1 < xn = b
La partizione P = {x0 , x1 , . . . , xn−1 , xn } genera n intervalli di ampiezza ∆xi = xi − xi−1
per i = 1, . . . , n.
449
CAPITOLO 7. CALCOLO INTEGRALE
Definizione 7.4.2 (Integrale inferiore e superiore).
Date una funzione f : [a, b] → R limitata su [a, b] e una partizione P = {x0 , x1 , · · · , xn−1 , xn }
di [a, b] siano:
li =
inf
x∈[xi−1 ,xi ]
Li =
f (x)
sup
f (x)
x∈[xi−1 ,xi ]
per i = 1, . . . , n.
Poniamo:
s(P, f ) =
n
X
li ∆xi
i=1
S(P, f ) =
n
X
Li ∆xi
i=1
Z b
a
Z b
a
f (x)dx = sup s(f, P)
f (x)dx = inf S(f, P)
I numeri reali sup s(f, P) e inf S(f, P) sono calcolati al variare di tutte le possibili partizioni
P di [a, b] e si dicono rispettivamente integrale inferiore di f su [a, b] e integrale superiore
di f su [a, b].
y
x
O
x0
a
x1
x2
x3
x4
x5
Figura 7.1: s(P, f )
450
x6
b
7.4. INTEGRALE DEFINITO
y
x
O
x0
a
x1
x2
x3
x4
x5
x6
b
Figura 7.2: S(P, f )
Gli integrali superiore e inferiore esistono.
Infatti, poiché f è limitata su [a, b], esistono m, M ∈ R tali che
m 6 f (x) 6 M ∀x ∈ [a, b]
quindi, per ogni partizione P
m(b − a) 6 s(P, f ) 6 S(P, f ) 6 M (b − a)
Al variare della partizione P, i numeri s(P, f ) formano un insieme non vuoto e superioremente limitato che quindi ammette estremo superiore.
Al variare della partizione P, i numeri S(P, f ) formano un insieme non vuoto e inferiormente limitato che quindi ammette estremo inferiore.
Definizione 7.4.3 (Funzione integrabile secondo Riemann).
Una funzione f : [a, b] → R limitata su [a, b] si dice integrabile secondo Riemann su [a, b],
se e solo se l’integrale inferiore e superiore coincidono; il valore comune dei due integrali si
dice integrale definito (o integrale) di f su [a, b] e si indica con
Z b
f (x)dx
a
L’insieme delle funzioni integrabili secondo Riemann su [a, b] si indica con R([a, b])
Teorema 7.4.1.
Sia f : [a, b] → R
Se
f è continua su [a, b]
allora
f ∈ R([a, b])
Teorema 7.4.2.
Sia f : [a, b] → R
451
CAPITOLO 7. CALCOLO INTEGRALE
Se
f è monotona su [a, b]
allora
f ∈ R([a, b])
Teorema 7.4.3.
Sia f : [a, b] → R
Se
1. f è limitata su [a, b]
2. f ammette al più un numero finito di punti di discontinuità su [a, b]
allora
f ∈ R([a, b])
Osservazione
Una funzione limitata su un intervallo chiuso e limitato può ammettere solo punti di
discontinuità di prima o terza specie.
7.4.1
Proprietà dell’integrale definito
Teorema 7.4.4.
Siano f, g : [a, b] → R
Se
f, g ∈ R([a, b])
allora
f + g ∈ R([a, b]) e
Z b
(f (x) + g(x))dx =
a
Z b
f (x)dx +
a
Z b
g(x)dx
a
Teorema 7.4.5.
Siano λ ∈ R e f : [a, b] → R
Se
f ∈ R([a, b])
allora
λf ∈ R([a, b]) e
Z b
a
λf (x)dx = λ
Z b
f (x)dx
a
452
7.4. INTEGRALE DEFINITO
Teorema 7.4.6.
Siano f, g : [a, b] → R
Se
f, g ∈ R([a, b])
allora
f · g ∈ R([a, b])
Teorema 7.4.7.
Sia f : [a, b] → R
Se
f ∈ R([a, b])
allora
|f | ∈ R([a, b]) e
Z b
a
Z b
f (x)dx 6
|f (x)|dx
a
Teorema 7.4.8.
Siano f, g : [a, b] → R
Se
1. f, g ∈ R([a, b])
2. f (x) 6 g(x) ∀x ∈ [a, b]
allora
Z b
a
f (x)dx 6
Z b
g(x)dx
a
Osservazione
In particolare, se
1. f ∈ R([a, b])
2. f (x) > 0 ∀x ∈ [a, b]
allora
Z b
a
f (x)dx > 0
Teorema 7.4.9.
Sia f : [a, b] → R
Se
1. f ∈ R([a, b])
453
CAPITOLO 7. CALCOLO INTEGRALE
2. [c, d] ⊆ [a, b]
allora
f ∈ R([c, d])
Teorema 7.4.10.
Sia f : [a, b] → R
Se
1. f ∈ R([a, b])
2. a < c < b
allora
Z b
f (x)dx =
a
Z c
f (x)dx +
Z b
a
f (x)dx
c
Definizione 7.4.4.
Se f ∈ R([a, b]) si pone
Z a
f (x)dx = −
Z b
f (x)dx
a
b
Definizione 7.4.5.
Se f ∈ R([a, b]) si pone
Z a
f (x)dx = 0
a
Teorema 7.4.11.
Sia f : [a, b] → R
Se
f ∈ R([a, b])
allora
Z β
f (x)dx =
α
7.4.2
Z γ
f (x)dx +
α
Z β
f (x)dx ∀α, β, γ ∈ [a, b]
γ
Funzione integrale
Definizione 7.4.6 (Funzione integrale).
Data f ∈ R([a, b]), sia F : [a, b] → R la funzione definita da
F (x) =
Z x
f (t)dt
a
La funzione F si dice funzione integrale di f .
454
7.4. INTEGRALE DEFINITO
Osservazione
La definizione è ben data perché, ∀x ∈ [a, b], [a, x] ⊆ [a, b] e quindi f ∈ R([a, x]).
Osservazione
F (a) =
Z a
f (t)dt = 0
a
F (b) =
Z b
f (t)dt
a
Teorema 7.4.12 (Teorema fondamentale del calcolo integrale o di Torricelli Barrow).
Sia f : [a, b] → R
Se
f è continua su [a, b]
allora
F : [a, b] → R
definita da F (x) =
Z x
f (t)dt è derivabile su [a, b] e
a
F 0 (x) = f (x) ∀x ∈ [a, b]
Osservazione
Il teorema fondamentale del calcolo integrale si può generalizzare:
Teorema 7.4.13.
Siano f : [a, b] → R e g : D → [a, b]
Se
1. f è continua su [a, b]
2. g è derivabile su D
allora
F :D→R
definita da F (x) =
Z g(x)
f (t)dt è derivabile su D e
a
F 0 (x) = f (g(x)) · g 0 (x) ∀x ∈ D
Esempio 7.4.1.
Determinare la derivata della funzione
F (x) =
Z x2
2
e−t dt
1
su
I = [1, 2]
455
CAPITOLO 7. CALCOLO INTEGRALE
Poiché
1 6 x2 6 4∀x ∈ [1, 2]
g(x) = x2
è derivabile su [1, 2]
f (x) = e−x
2
è continua su [1, 4], la funzione F è derivabile su [1, 2] e
F 0 (x) = e−(x
2 )2
2x = 2xe−x
4
Teorema 7.4.14 (Corollario del teorema fondamentale del calcolo integrale).
Sia f : [a, b] → R Se
1. f è continua su [a, b]
2. F : [a, b] → R è una primitiva di f su [a, b]
allora
Z b
f (x)dx = F (b) − F (a)
a
Il risultato ottenuto non dipende dalla primitiva scelta.
Infatti, se G è un’altra primitiva di f su [a, b], allora G(x) = F (x) + c e
G(b) − G(a) = F (b) + c − F (a) − c = F (b) − F (a)
Il teorema si può applicare anche quando a > b.
Utilizzeremo questo
teorema per calcolare gli integrali definiti.
Z
b
f (x)dx = F (b) − F (a) si può anche scrivere come
L’uguaglianza
a
7.5
Z b
a
f (x)dx = [F (x)]ba .
Metodi di integrazione degli integrali definiti
7.5.1
Integrazione per sostituzione
Il metodo di integrazione per sostituzione si può applicare anche per il calcolo diZ integrali
b
definiti. Data la funzione f : [a, b] → R continua su [a, b], per calcolare l’integrale
f (x)dx
a
con il metodo di sostituzione:
1. si pone x = g(t), dove g : [c, d] → R è una funzione continua su [c, d], con derivata
prima continua e sempre diversa da zero su [c, d] e tale che g([c, d]) ⊆ [a, b]
2. si determina l’inversa della funzione g, ottenendo t = g −1 (x)
3.
Z b
a
f (x)dx =
Z g−1 (b)
g −1 (a)
f (g(t))g 0 (t)dt
456
7.6. VALOR MEDIO
7.5.2
Integrazione per parti
Il metodo di integrazione per parti si può applicare anche per il calcolo di integrali definiti:
Z b
0
f (x)g (x)dx =
a
7.6
[f (x)g(x)]ba
−
Z b
f 0 (x)g(x)dx
a
Valor medio
Definizione 7.6.1.
Data f ∈ R([a, b]) si dice valor medio di f su [a, b] il numero reale
1
Mf ([a, b]) =
b−a
Z b
f (x)dx
a
Teorema 7.6.1 (Teorema del valor medio).
Sia f : [a, b] → R
Se
f è continua su [a, b]
allora
∃c ∈ [a, b]/f (c) = Mf ([a, b])
7.7
Significato geometrico dell’integrale definito
Se f ∈ R([a, b]) e f (x) > 0 ∀x ∈ [a, b], allora
Z b
f (x)dx è l’area della regione di piano
a
delimitata dal grafico della funzione f , dall’asse x e dalle rette di equazione x = a e x = b.
y
x
O
a
b
Figura 7.3: area
7.8
Aree
Il significato geometrico dell’integrale definito si può utilizzare per calcolare l’area di regioni
di piano delimitate da curve.
457
CAPITOLO 7. CALCOLO INTEGRALE
Per calcolare l’area di una regione di piano non intrecciata delimitata dal grafico di due
funzioni e da due segmenti paralleli all’asse y, è sufficiente partire da un punto qualunque del
contorno e, percorrendolo in senso orario, sommare gli integrali definiti delle varie funzioni.
7.9
Volumi
7.9.1
Volumi di solidi di rotazione attorno all’asse x
Data una funzione f : [a, b] → R, consideriamo il solido che si ottiene dalla rotazione attorno
all’asse x della regione di piano delimitata dal grafico di f , dall’asse x, dalle rette x = a e
x = b.
Il volume di tale solido si può immaginare come la somma di infinite aree di cerchi aventi
centro sull’asse x e raggio f (x) con x ∈ [a, b]: l’area di ciascun cerchio è π(f (x))2 .
Il volume è quindi uguale all’integrale definito tra a e b di π(f (x))2 ; in simboli
V =π
Z b
(f (x))2 dx
a
7.9.2
Volumi di solidi di rotazione attorno all’asse y
Data una funzione f : [a, b] → [c, d] invertibile con a > 0, consideriamo il solido che si
ottiene dalla rotazione attorno all’asse y della regione di piano delimitata dal grafico di f ,
dall’asse y, dalle rette y = c e y = d
Sia f −1 : [c, d] → [a, b] la funzione inversa di f .
Il volume di tale solido si può immaginare come la somma di infinite aree di cerchi aventi
centro sull’asse y e raggio f −1 (x) con x ∈ [c, d]: l’area di ciascun cerchio è π(f −1 (x))2 .
Il volume è quindi uguale all’integrale definito tra c e d di π(f −1 (x))2 ; in simboli
V =π
Z d
(f −1 (x))2 dx
c
Osservazione
I volumi di solidi di rotazione attorno all’asse y si possono vedere come somma di infinite
aree laterali di cilindri.
Esempio 7.9.1.
Calcolare il volume del solido ottenuto dalla rotazione attorno all’asse y della regione di
piano delimitata dal grafico di f (x) = x2 , dall’asse y, dalle rette y = f (0) e y = f (4) Il
volume del solido si può immaginare come somma di infinite aree laterali di cilindri aventi
raggio x, altezza f (4) − f (x), con x ∈ [0, 4] Poiché l’area laterale di ciascun cilindro è
2πx (f (4) − f (x)) si ha
V = 2π
Z 4
0
2
x(16−x )dx = 2π
Z 4
0
x4
(16x−x )dx = 2π 8x −
4
3
ñ
2
458
ô4
= 2π (128 − 64) = 2π64 = 128π
0
7.10. INTEGRALI IMPROPRI
7.9.3
Volumi di solidi data la base e le sezioni
Consideriamo un esempio.
Esempio 7.9.2.
Data la funzione f (x) = −x2 + 2x, la regione finita di piano delimitato dal grafico di f e
dall’asse x è la base di un solido S, le cui sezioni, ottenute con piani perpendicolari all’asse
x, sono tutte quadrati. Calcoliamo il volume di S.
Determiniamo le ascisse dell’intersezione del grafico di f con l’asse x:
−x2 + 2x = 0
x=0∨x=2
Poiché f (x) > 0∀x ∈ [0, 2] il volume di tale solido si può immaginare come la somma di
infinite aree di quadrati aventi lato f (x) con x ∈ [0, 2]: l’area di ciascun quadrato è (f (x))2 .
Il volume è quindi uguale all’integrale definito tra 0 e 2 di (f (x))2 ; in simboli
V =
Z 2
(f (x))2 dx
0
V =
Z 2
2
2
(−x + 2x) dx =
Z 2
(x4 − 4x3 + 4x2 )dx =
0
0
ñ 5
x
4
− x4 + x3
5
3
7.10
ô2
=
0
32
16
32
− 16 +
=
5
3
15
Integrali impropri
Nella definizione di integrale secondo Reimann abbiamo considerato funzioni limitate definite su un intervallo chiuso e limitato. L’integrale si può generalizzare eliminando l’ipotesi
di limitatezza della funzione o dell’intervallo.
7.10.1
Funzione illimitata su intervallo limitato
Sia f : [a, b[→ R una funzione illimitata su [a, b[ e integrabile secondo Reimann su ogni
intervallo [a, c], con a < c < b.
Se esiste
lim
c→b−
Z c
f (x)dx
a
allora si pone
Z b
a
f (x)dx = lim−
L’integrale
c→b
Z b
Z c
f (x)dx
a
f (x)dx si dice integrale improprio di f su [a, b[.
a
Se il limite è finito, l’integrale improprio si dice convergente; se il limite è ±∞, l’integrale
improprio si dice divergente; se il limite non esiste, l’integrale improprio non esiste.
459
CAPITOLO 7. CALCOLO INTEGRALE
Sia f :]a, b] → R una funzione illimitata su ]a, b] e integrabile secondo Reimann su ogni
intervallo [c, b], con a < c < b.
Se esiste
lim+
Z b
c→a
f (x)dx
c
allora si pone
Z b
a
f (x)dx = lim+
Z b
c→a
7.10.2
f (x)dx
c
Funzione limitata su intervallo illimitato
Sia f : [a, +∞[→ R una funzione limitata su [a, +∞[ e integrabile secondo Reimann su ogni
intervallo [a, c], con c > a.
Se esiste
Z c
lim
c→+∞ a
f (x)dx
allora si pone
Z +∞
f (x)dx = lim
Z c
c→+∞ a
a
L’integrale
Z +∞
f (x)dx
f (x)dx si dice integrale improprio di f su [a, +∞[.
a
Se il limite è finito l’integrale improprio si dice convergente; se il limite è ±∞ l’integrale
improprio si dice divergente; se il limite non esiste l’integrale improprio non esiste.
Sia f :] − ∞, b] → R una funzione limitata su ] − ∞, b] e integrabile secondo Reimann su
ogni intervallo [c, b], con c < b.
Se esiste
Z b
lim
c→−∞ c
f (x)dx
allora si pone
Z b
f (x)dx = lim
−∞
Z b
c→−∞ c
f (x)dx
Sia f : R → R una funzione limitata su R e integrabile secondo Reimann su ogni intervallo
[α, β].
Si pone
Z +∞
−∞
f (x)dx =
Z a
−∞
f (x)dx +
Z +∞
f (x)dx
a
La definizione data non dipende dalla scelta di a.
460
Capitolo 8
Calcolo numerico
8.1
Metodi numerici per la risoluzione di equazioni
La determinazione di valori approssimati delle soluzioni di un’equazione si effettua in due
passi:
1. separazione delle soluzioni
2. calcolo di un valore approssimato di una soluzione
8.1.1
Separazione delle soluzioni
La separazione delle soluzioni consiste nel determinare gli intervalli che contengono un’unica
soluzione.
Per effettuare la separazione delle soluzioni di un’equazione f (x) = 0 si può tracciare il grafico della funzione f oppure utilizzare il metodo grafico per la risoluzione di un’equazione,
oppure applicare teoremi di esistenza e di unicità della soluzione.
Riprendiamo il teorema di esistenza degli zeri.
Teorema 8.1.1 (Teorema di esistenza degli zeri).
Sia f : [a, b] → R
Se
1. f è continua su [a, b]
2. f (a)f (b) < 0
allora
∃x0 ∈]a, b[/f (x0 ) = 0
Teorema 8.1.2 (Teorema di esistenza e unicità degli zeri).
Sia f : [a, b] → R
Se
1. f è continua su [a, b]
461
CAPITOLO 8. CALCOLO NUMERICO
2. f (a)f (b) < 0
3. f è monotona in senso stretto su [a, b]
allora
∃!x0 ∈]a, b[/f (x0 ) = 0
Teorema 8.1.3 (Secondo teorema di esistenza e unicità degli zeri).
Sia f : [a, b] → R
Se
1. f è continua su [a, b]
2. f è derivabile due volte su [a, b]
3. f (a)f (b) < 0
4. f 00 (x) > 0 o f 00 (x) < 0 ∀x ∈]a, b[
allora
∃!x0 ∈]a, b[/f (x0 ) = 0
8.1.2
Calcolo di un valore approssimato
Stabilita l’esistenza di una soluzione in un intervallo, si possono applicare diversi metodi
numerici per determinare valori della soluzione con l’approssimazione desiderata.
8.1.3
Metodo di bisezione
Data l’equazione f (x) = 0, sia [a, b] un intervallo tale che:
1. f è definita e continua su [a, b]
2. f (a)f (b) < 0
Per determinare, con il metodo di bisezione, il valore approssimato della soluzione x0
dell’equazione f (x) = 0 in [a, b]:
1. si pone a1 = a, b1 = b, c1 =
a1 + b 1
:
2
• se f (c1 ) = 0, allora c1 è la soluzione dell’equazione
a2 + b 2
2
a2 + b 2
• se f (c1 ) · f (a1 ) < 0, allora si pone a2 = a1 , b2 = c1 , c2 =
2
• se f (c1 ) · f (a1 ) > 0, allora si pone a2 = c1 , b2 = b1 , c2 =
2. si ripete il procedimento per l’intervallo [a2 , b2 ] e così via fino ad ottenere l’intervallo
[an , bn ]
462
8.1. METODI NUMERICI PER LA RISOLUZIONE DI EQUAZIONI
I valori a1 , . . . , an sono approssimazioni per difetto della soluzione x0 ; i valori b1 , . . . , bn sono
approssimazioni per eccesso della soluzione x0 .
Se si vuole ottenere la soluzione approssimata a meno di ε, si deve avere bn − an < ε; poiché
b−a
b−a
bn − an = n−1 , si deve avere n−1 < ε.
2
2
Dall’ultima
si può ricavare il valore di n che fornisce la precisione desiderata:
å
Ç relazione
b−a
+ 1.
n > log2
ε
In questo caso ogni valore apparternente all’intervallo [an , bn ] approssima la soluzione a meno di ε.
Se si desidera un valore approssimato della soluzione con un numero n di cifre decimali esatte, è sufficiente fermarsi quando nei due estremi dell’intervallo la cifra decimale ennesima è
la stessa.
Esempio 8.1.1.
Data l’equazione x3 − 2x − 2 = 0 determinare le soluzioni con una approssimazione a meno
di 10−3 .
Separazione delle radici
Per separare le radici, possiamo rappresentare graficamente la funzione
f (x) = x3 − 2x − 2, oppure utilizzare il metodo grafico per la risoluzione di un’equazione
ottenendo che l’equazione data ha una sola soluzione α ∈ [1, 2]. Calcolo del valore approssimato
Controlliamo se la funzione f (x) = x3 − 2x − 2 soddisfa le ipotesi del metodo di bisezione
nell’intervallo [1, 2].
Poiché
1. f è continua su [1, 2]
2. f (1) = −3 < 0
3. f (2) = 2 > 0
possiamo applicare il metodo di bisezione.
n
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
an
1
1,5
1,75
1,75
1,75
1,75
1,7657
1,7657
1,7657
1,7677
1,7687
f (an )
−
−
−
−
−
−
−
−
−
−
−
bn
f (bn ) cn =
2
2
2
1,875
1,8125
1,7813
1,7813
1,7735
1,7696
1,7696
1,7696
463
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
an + bn
f (cn )
2
1,5
−
1,75
−
1,875
+
1,8125
+
1,7813
+
1,7657
−
1,7735
+
1,7696
+
1,7677
−
1,7687
−
1,7691
−
b n − an
1
0,5
0,25
0,125
0,0625
0,0312
0,0156
0,0078
0,0039
0,002
0,001
CAPITOLO 8. CALCOLO NUMERICO
Il valore approssimato della soluzione a meno di 10−3 appartiene all’intervallo [1.7687, 1.7696].
Per ottenere il valore della soluzione con 3 cifre decimali esatte, si determina ancora una
riga della tabella:
n
an
12
f (an )
−
1,7691
bn
1,7696
f (bn ) cn =
+
an + b n
f (cn )
2
1,7693
+
b n − an
0,0005
Il valore approssimato della soluzione con 3 cifre decimali esatte è 1.769.
8.1.4
Metodo di Newton
Data l’equazione f (x) = 0, sia [a, b] un intervallo tale che
1. f è definita, continua e derivabile due volte su [a, b]
2. f (a)f (b) < 0
3. f 00 (x) > 0 ∨ f 00 (x) < 0 ∀x ∈ [a, b]
Per determinare, con il metodo di Newton, il valore approssimato dell’unica soluzione x0
dell’equazione f (x) = 0 in [a, b]:
1. si considera la tangente al grafico di f nel punto avente ascissa nell’estremo dell’intervallo in cui la funzione e la sua derivata seconda hanno lo stesso segno.
Se, per esempio, l’estremo è a, l’equazione della tangente è:
y − f (a) = f 0 (a)(x − a)
2. si determina l’ascissa dell’intersezione della tangente con l’asse x, ottenendo
x1 = a −
f (a)
f 0 (a)
3. si ripete il procedimento con l’intervallo [x1 , b] e così via, ottenendo
xn+1 = xn −
f (xn )
f 0 (xn )
Se l’estremo scelto è a, allora i valori x1 , . . . , xn+1 sono approssimazioni per difetto della
soluzione x0 ; se l’estremo scelto è b, allora i valori x1 , . . . , xn+1 sono approssimazioni per
eccesso della soluzione x0 .
Se si vuole ottenere la soluzione con una approssimazione a meno di ε, si può porre
|xn+1 − xn | < ε; in alcuni casi (ad esempio funzioni con derivata in a molto maggiore
di 1) questo criterio di arresto può fallire.
464
8.2. METODI NUMERICI PER IL CALCOLO DI INTEGRALI
Esempio 8.1.2.
Data l’equazione x3 − 2x − 2 = 0, determinare le soluzioni approssimate a meno di 10−3 .
Abbiamo visto che l’equazione ha una sola soluzione α ∈ [1, 2].
Calcolo del valore approssimato
Controlliamo se la funzione f (x) = x3 − 2x − 2 soddisfa le ipotesi del metodo di Newton
nell’intervallo [1, 2].
Poiché
1. f è definita, continua e derivabile due volte su [1, 2]
2. f (1)f (2) < 0
3. f 00 (x) = 6x > 0 ∀x ∈ [1, 2]
possiamo applicare il metodo di Newton.
Calcoliamo la derivata prima e la derivata seconda:
f 0 (x) = 3x2 − 2
f 00 (x) = 6x
Poiché f 00 (x) > 0 e f (2) = 2 > 0, scegliamo 2 come estremo di partenza:
n
xn
f (xn )
1
2
3
2
1,8
1,7699
2
0,232
0,0048
f 0 (xn )
10
7,72
7,398
xn+1 = xn −
f (xn )
|xn+1 − xn |
f 0 (xn )
1,8
1,7699
1,7692
0,2
0,03
0,0006
Il valore approssimato della soluzione a meno di 10−3 è 1.7692.
8.2
Metodi numerici per il calcolo di integrali
Per calcolare
Z b
f (x)dx quando non si conosce una primitiva di f , si possono utilizzare dei
a
metodi numerici che forniscono un valore approssimato dell’integrale.
8.2.1
Metodo dei rettangoli
Per calcolare
Z b
f (x)dx utilizzando il metodo dei rettangoli:
a
1. si considera una partizione P = {x0 , x1 , . . . , xn−1 , xn } di [a, b] tale che gli intervalli
che essa genera abbiano la stessa ampiezza, cioè
∆xi =
b−a
per i = 1, . . . , n
n
465
CAPITOLO 8. CALCOLO NUMERICO
2. si calcolano i valori f (xi ) che la funzione assume nei vari punti della partizione
3. si calcola
S1 =
n−1
X
i=0
X
b − a n−1
b−a
f (xi ) =
f (xi )
n
n i=0
oppure
S2 =
n−1
X
i=0
X
b − a n−1
b−a
f (xi+1 ) =
f (xi+1 )
n
n i=0
Possiamo osservare che, se f è non negativa su [a, b], allora:
S1 è la somma delle aree dei rettangoli che hanno come base l’ampiezza degli intervalli
[xi , xi+1 ] e come altezza il valore della funzione nell’estremo sinistro dell’intervallo;
S2 è la somma delle aree dei rettangoli che hanno come base l’ampiezza degli intervalli
[xi , xi+1 ] e come altezza il valore della funzione nell’estremo destro.
y
x
O
x0
x1
x2
x3
xn−1 xn
Figura 8.1: S1
466
8.2. METODI NUMERICI PER IL CALCOLO DI INTEGRALI
y
x
O
x0
x1
x2
x3
xn−1 xn
Figura 8.2: S2
Poiché lim S1 = lim S2 =
n→+∞
n→+∞
Z b
a
f (x)dx, S1 e S2 approssimano l’integrale.
Esempio 8.2.1.
Calcolare
Z 2
2
e−x dx
0
Utilizziamo il metodo dei rettangoli con n = 10.
L’ampiezza di ciascun intervallo è
∆xi =
i
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
2−0
= 0.2
10
xi
0
0,2
0,4
0,6
0,8
1
1,2
1,4
1,6
1,8
2
f (xi )
1
0,960789
0,852144
0,697676
0,527292
0,367879
0,236928
0,140858
0,077305
0,039164
0,018316
S1 = 0, 2(f (x0 ) + . . . + f (x9 )) = 0, 2 · 4, 90003 = 0, 980007
S2 = 0, 2(f (x1 ) + . . . + f (x10 )) = 0, 2 · 3, 91835 = 0, 783670
467
CAPITOLO 8. CALCOLO NUMERICO
8.2.2
Metodo dei trapezi
Z b
Per calcolare
f (x)dx utilizzando il metodo dei trapezi:
a
1. si considera una partizione P = {x0 , x1 , . . . , xn−1 , xn } di [a, b] tale che gli intervalli
che essa genera abbiano la stessa ampiezza, cioè
∆xi =
b−a
per i = 1, . . . , n
n
2. si calcolano i valori f (xi ) che la funzione assume nei vari punti della partizione
3. si calcola
S=
n−1
X
i=0
b−a
n
X f (xi ) + f (xi+1 )
b − a f (xi ) + f (xi+1 )
b − a n−1
=
=
n
2
n i=0
2
X
f (x0 ) n−1
f (xn )
+
f (xi ) +
2
2
i=1
!
Possiamo osservare che, se f è non negativa su [a, b], S è la somma delle aree dei trapezi che
hanno come altezza l’ampiezza degli intervalli [xi , xi+1 ] e come basi i valori della funzione
negli estremi dell’intervallo.
y
x
O
x0 x1 x2 x3
xn−1xn
Figura 8.3: metodo dei trapezi
Poiché lim S =
Z b
n→+∞
f (x)dx, S approssima l’integrale.
a
Esempio 8.2.2.
Calcolare
Z 2
2
e−x dx
0
Utilizziamo il metodo dei trapezi con n = 10.
L’ampiezza di ciascun intervallo è
∆xi =
2−0
= 0.2
10
468
8.2. METODI NUMERICI PER IL CALCOLO DI INTEGRALI
i
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
xi
0
0,2
0,4
0,6
0,8
1
1,2
1,4
1,6
1,8
2
f (xi )
1
0,960789
0,852144
0,697676
0,527292
0,367879
0,236928
0,140858
0,077305
0,039164
0,018316
Ç
f (x10 )
f (x0 )
+ f (x1 ) + . . . + f (x9 ) +
S = 0, 2
2
2
469
å
= 0, 2 · 4, 409195 = 0, 881839
Capitolo 9
Calcolo combinatorio
9.1
Prodotto Cartesiano
Definizione 9.1.1 (Prodotto Cartesiano).
Si dice prodotto cartesiano di due insiemi A e B l’insieme A × B delle coppie ordinate con
il primo elemento appartenente ad A e il secondo appartenente a B.
In simboli:
A × B = {(a, b)/a ∈ A ∧ b ∈ B}
Osservazione
A×∅=∅×A=∅×∅=∅
Nel prodotto cartesiano i due insiemi possono anche coincidere; in questo caso A × A viene
anche indicato con A2 .
Nel caso di tre insiemi, gli elementi di A × B × C sono delle triple ordinate il cui primo
elemento appartiene ad A, il secondo a B e il terzo a C.
Il prodotto cartesiano di n insiemi coincidenti si dice potenza n-esima cartesiana di A, si
indica con An ed è formato dalle ennuple ordinate di elementi di A.
Per determinare tutte le ennuple di un prodotto cartesiano si può utilizzare un diagramma
ad albero.
L’albero si costriusce dall’alto verso il basso.
Dal primo nodo si disegna un ramo per ogni elemento del primo insieme; dai nodi ottenuti
si disegna un ramo per ogni elemento del secondo insieme e così via.
Per determinare le ennuple è sufficiente seguire i rami.
Dato un insieme A, indichiamo con |A| il numero di elementi di A.
Teorema 9.1.1.
Se |A| = m e |B| = n, allora |A × B| = m · n
Teorema 9.1.2.
Se A ha m elementi, allora An ha mn elementi.
470
9.2. DISPOSIZIONI SEMPLICI
9.2
Disposizioni semplici
Definizione 9.2.1 (Disposizioni semplici).
Si dicono disposizioni semplici o disposizioni i gruppi ordinati di k elementi distinti che si
possono formare con n elementi distinti (1 ≤ k ≤ n), in modo che ogni gruppo differisca o
per l’ordine o per almeno un elemento.
Il numero delle disposizioni semplici di n elementi a gruppi di k si indica con Dn,k .
Teorema 9.2.1 (Numero disposizione semplici).
Il numero delle disposizioni semplici di n elementi a gruppi di k è uguale al prodotto di k
numeri naturali consecutivi decrescenti, il primo dei quali è n:
Dn,k = n(n − 1) · . . . · (n − k + 1)
Dimostrazione
Consideriamo n elementi e k posti allineati.
Al primo posto possiamo collocare uno qualsiasi degli n elementi, al secondo posto possiamo
collocare uno qualsiasi degli n − 1 elementi rimasti, e procedendo così, al k-esimo posto
possiamo collocare uno qualsiasi degli n − k + 1 elementi rimasti.
Quindi
Dn,k = n(n − 1) · . . . · (n − k + 1)
9.3
Disposizioni con ripetizione
Definizione 9.3.1 (Disposizioni con ripetizione).
Si dicono disposizioni con ripetizione i gruppi ordinati di k elementi, non necessariamente
distinti, che si possono formare con n elementi distinti, in modo che ogni gruppo differisca
o per l’ordine o per almeno un elemento o per il numero di volte che uno stesso elemento è
ripetuto.
r
Il numero delle disposizioni con ripetizione di n elementi a gruppi di k si indica con Dn,k
.
Teorema 9.3.1 (Numero disposizione con ripetizione).
Il numero delle disposizioni con ripetizione di n elementi a gruppi di k è uguale a nk , cioè:
r
Dn,k
= nk
Dimostrazione
Sia A = {a1 , . . . .an } un insieme costituito da n elementi distinti.
Il numero delle disposizioni con ripetizione di n elementi presi a gruppi di k è il numero di
elementi di Ak , cioè
r
Dn,k
= nk
471
CAPITOLO 9. CALCOLO COMBINATORIO
9.4
Permutazioni
Definizione 9.4.1 (Permutazioni).
Si dicono permutazioni i gruppi ordinati che si possono formare con n elementi distinti, in
modo che ogni gruppo differisca per l’ordine.
Le permutazioni di n elementi sono le disposizioni semplici di n elementi a gruppi di n.
Il numero delle permutazioni di n elementi si indica con Pn .
Teorema 9.4.1 (Numero Permutazioni).
Il numero delle permutazioni di n elementi è n fattoriale, cioè:
Pn = n!
Dimostrazione
Pn = Dn,n = n(n − 1) · . . . · (n − n + 1) = n(n − 1) · . . . · 1 = n!
9.5
Permutazioni con elementi ripetuti
Definizione 9.5.1 (Permutazioni con elementi ripetuti).
Si dicono permutazioni con elementi ripetuti i gruppi ordinati che si possono formare con
n elementi con almeno due uguali in modo che ogni gruppo differisca per l’ordine.
Il numero delle permutazioni con elementi ripetuti di n elementi di cui n1 uguali, . . ., nr
r
.
uguali, si indica con Pn,n
1 ,...,nr
Teorema 9.5.1 (Numero delle permutazioni con elementi ripetuti).
Il numero delle permutazioni di n elementi di cui n1 uguali, . . ., nr uguali è dato dal rapporto
tra tutte le permutazioni possibili e il prodotto delle possibili permutazioni degli oggetti che
si ripetono:
r
Pn,n
=
1 ,...,nr
9.6
n!
n1 ! · . . . · nr !
Combinazioni semplici
Definizione 9.6.1 (Combinazioni semplici).
Si dicono combinazioni semplici o combinazioni i gruppi di k elementi distinti, che si possono
formare con n elementi distinti (1 ≤ k ≤ n) in modo che ogni gruppo differisca per almeno
un elemento.
Il numero delle combinazioni semplici di n elementi a gruppi di k si indica con Cn,k .
Teorema 9.6.1 (Numero combinazioni semplici).
Il numero delle combinazioni semplici di n elementi a gruppi di k è uguale al rapporto tra
le disposizioni semplici di n elementi a gruppi di k e le permutazioni di k elementi:
Cn,k =
Dn,k
n(n − 1) · . . . · (n − k + 1)
=
Pk
k!
472
9.7. COEFFICIENTI BINOMIALI E LORO PROPRIETÀ
Dimostrazione
Le disposizioni semplici di n elementi a gruppi di k si possono ottenere dalle combinazioni
semplici permutando i k elementi di ogni combinazione:
Dn,k = Cn,k Pk
quindi
Cn,k =
9.7
Dn,k
Pk
Coefficienti binomiali e loro proprietà
Definizione 9.7.1 (Coefficiente binomiale).
Dati n.k ∈ N con k ≤ n, si dice coefficiente binomiale il numero
!
n!
n
=
k!(n − k)!
k
!
n
si legge n su k.
k
Teorema 9.7.1 (Proprietà del coefficiente binomiale).
1. se 1 ≤ k ≤ n, allora
Cn,k
n
=
k
!
!
2.
n
n
=
k
n−k
!
3. Formula di Stifel.
Se k ≤ n − 1, allora
!
!
n
n+1
n
+
=
k
k+1
k+1
!
Dimostrazione
1. Cn,k =
n(n − 1) · . . . · (n − k + 1)
Dn,k
=
=
Pk
k!
!
n(n − 1) · . . . · (n − k + 1)(n − k)!
n!
n
=
=
k!(n − k)!
k!(n − k)!
k
473
CAPITOLO 9. CALCOLO COMBINATORIO
!
2.
n
n!
=
k
k!(n − k)!
!
n
n!
n!
=
=
n−k
(n − k)!(n − (n − k))!
(n − k)!k!
Quindi
!
!
!
!
n
n
=
k
n−k
3.
n
n
n!
n!
+
=
+
=
k
k+1
k!(n − k)! (k + 1)!(n − k − 1)!
n!
n!
+
=
k!(n − k)(n − k − 1)! (k + 1)k!(n − k − 1)!
n!(k + 1) + n!(n − k)
n!(k + 1 + n − k)
=
=
(k + 1)k!(n − k)(n − k − 1)!
(k + 1)k!(n − k)(n − k − 1)!
n!(n + 1)
=
(k + 1)k!(n − k)(n − k − 1)!
(n + 1)!
n+1
=
(k + 1)!(n − k)!
k+1
!
474
Capitolo 10
Probabilità
10.1
Eventi
Definizione 10.1.1 (Fenomeni casuali).
Un fenomeno si dice casuale se è non deterministico, cioè se il suo esito non è determinabile
a priori.
Si dice prova o esperimento la singola esecuzione di un fenomeno casuale
Definizione 10.1.2 (Spazio degli eventi).
Si dice spazio degli eventi o spazio campione di un fenomeno casuale l’insieme di tutti i
possibili esiti del fenomeno casuale.
Lo spazio degli eventi si indica in genere con S o con Ω.
Definizione 10.1.3 (Evento).
Si dice evento un sottoinsieme dello spazio degli eventi.
Definizione 10.1.4 (Evento elementare).
Si dice evento elementare un evento costituito da un un solo elemento.
Definizione 10.1.5 (Evento certo).
Si dice evento certo lo spazio campione.
Definizione 10.1.6 (Evento impossibile).
Si dice evento impossibile l’insieme vuoto
Siano A e B due eventi legati allo stesso fenomeno casuale.
Definizione 10.1.7 (Evento somma).
Si dice evento somma di A e B l’evento che risulta dal verificarsi di almeno uno degli eventi
A o B e si indica con A ∪ B.
Definizione 10.1.8 (Evento prodotto).
Si dice evento prodotto di A e B l’evento che risulta dal verificarsi di entrambi gli eventi A
e B e si indica con A ∩ B.
475
CAPITOLO 10. PROBABILITÀ
Definizione 10.1.9 (Evento complementare).
Si dice evento complementare di A l’evento che si verifica quando non si verifica A e si
indica con A.
Vediamo alcune proprietà degli eventi che derivano direttamente dalle definizioni e dalle
proprietà delle operazioni tra insiemi.
S = ∅, ∅ = S, A ∪ A = S, A ∩ A = ∅
Definizione 10.1.10 (Eventi incompatibili).
Gli eventi A e B si dicono incompatibili se sono disgiunti, cioè se A ∩ B = ∅
Due eventi incompatibili non possono verificarsi simultaneamente.
Definizione 10.1.11 (Eventi compatibili).
Gli eventi A e B si dicono compatibili se non sono disgiunti, cioè se A ∩ B 6= ∅
Due eventi compatibili possono verificarsi simultaneamente.
Definizione 10.1.12 (Sistema completo di eventi).
Più eventi formano un sistema completo di eventi se la loro unione è lo spazio degli eventi.
10.2
Definizione classica di probabilità
Definizione 10.2.1 (Probabilità).
Se un fenomeno casuale ha n esiti equiprobabili, si dice probabilità di un evento A associato
al fenomeno il rapporto tra il numero di esiti favorevoli ad A e il numero n di esiti possibili
e si indica con P (A).
Questa definizione, dovuta a Laplace, è intuitiva e si basa su giudizi di simmetria.
10.2.1
Proprietà della probabilità classica
Teorema 10.2.1 (Proprietà della probabilità classica).
Siano A e B due eventi associati allo stesso fenomeno casuale e S lo spazio degli eventi.
1. P (A) ≥ 0 per ogni evento A
2. P (S) = 1
3. Se A e B sono eventi incompatibili, allora P (A ∪ B) = P (A) + P (B)
4. P (A) = 1 − P (A)
5. P (∅) = 0
6. Se A ⊆ B, allora P (A) ≤ P (B)
7. 0 ≤ P (A) ≤ 1 per ogni evento A
476
10.2. DEFINIZIONE CLASSICA DI PROBABILITÀ
Dimostrazione
1. Poiché la probabilità è il rapporto tra un numero positivo o nullo e un numero positivo,
è positiva o nulla.
2. Poiché per l’evento S il numero n degli esiti possibili è uguale a quello degli esiti
n
favorevoli, P (S) = = 1.
n
3. Siano n il numero degli esiti possibili degli eventi A e B, m il numero degli esiti
favorevoli ad A e k il numero degli esiti favorevoli a B.
Poichè gli eventi sono incompatibili, m + k è il numero degli esiti favorevoli a A ∪ B.
P (A ∪ B) =
m k
m+k
=
+ = P (A) + P (B)
n
n
n
4. Poiché A ∪ A = S, gli eventi A e A sono incompatibili, si ha:
1 = P (S) = P (A ∪ A) = P (A) + P (A)
da cui
P (A) = 1 − P (A)
5. Poiché ∅ = S
P (∅) = 1 − P (S) = 1 − 1 = 0
6. Se A ⊆ B, allora B = A ∪ (B − A) e A ∩ (B − A) = ∅.
P (B) = P (A ∪ (B − A)) = P (A) + P (B − A) ≥ P (A)
7. Poiché, per ogni evento A, ∅ ⊆ A ⊆ S
0 = P (∅) ≤ P (A) ≤ P (S) = 1
10.2.2
Critiche alla definizione classica
1. non sempre gli eventi sono equiprobabili (dado truccato)
2. non sempre i casi possibili sono in numero finito
3. la definizione è circolare: si usa la parola “equiprobabili” ( stessa probabilità) per
definire la probabilità
477
CAPITOLO 10. PROBABILITÀ
10.3
Definizione frequentistica di probabilità
Consideriamo un fenomeno casuale, come ad esempio il lancio di un dado. Eseguiamo n
prove di quel fenomeno in condizioni identiche, sia v il numero di prove in cui si verifica
l’evento A.
Definizione 10.3.1 (Frequenza relativa).
Se, nell’esecuzione di n prove di un fenomeno casuale, l’evento A si è verificato v volte,
si dice frequenza relativa f dell’evento A il rapporto tra il numero delle prove favorevoli
all’evento e il numero delle prove totali. In simboli:
f=
v
n
Se n è piccolo, la frequenza ha un carattere aleatorio, cioè può cambiare notevolmente se si
ripete lo stesso numero di prove.
Se n è grande, la frequenza perde sempre di più il carattere aleatorio e diventa quasi costante
al ripetersi dei gruppi di prove.
Questo si è visto in molti casi sperimentali.
Definizione 10.3.2 (Probabilità).
Si dice probabilità frequentistica dell’evento A la frequenza relativa dell’evento A per n
molto grande e si indica con P (A).
10.3.1
Critiche alla definizione frequentistica
Nella definizione di probabilità frequentistica non è specificato quanto deve essere grande
n, inoltre è difficile effettuare molte prove nelle stesse condizioni.
10.4
Definizione assiomatica di probabilità
La definizione assiomatica di probabilità è dovuta a Kolmogorov.
Definizione 10.4.1 (Probabilità ).
Dato lo spazio degli eventi S, a ogni evento A incluso in S è associato un numero reale
P (A) detto probabilità di A che soddisfa i seguenti assiomi:
1. P (A) ≥ 0
2. P (S) = 1
3. se A e B sono sono eventi incompatibili, allora
P (A ∪ B) = P (A) + P (B)
478
10.4. DEFINIZIONE ASSIOMATICA DI PROBABILITÀ
10.4.1
Proprietà della probabilità assiomatica
Teorema 10.4.1 (Proprietà della probabilità assiomatica).
1. Per ogni evento A, P (A) = 1 − P (A)
2. P (∅) = 0
3. Se A e B sono due eventi tali che A ⊆ B, allora P (A) ≤ P (B)
4. Per ogni evento A, 0 ≤ P (A) ≤ 1
5. Per ogni coppia di eventi A, B
P (A ∪ B) = P (A) + P (B) − P (A ∩ B)
6. Se A1 , . . . , An sono eventi a due a due incompatibili, allora
P (A1 ∪ . . . ∪ An ) = P (A1 ) + . . . + P (An )
7. Se A1 , . . . , An sono eventi a due a due incompatibili e A1 ∪ . . . ∪ An = S, allora
P (A1 ) + . . . + P (An ) = 1
Dimostrazione
1. Poiché A ∪ A = S e gli eventi A, A sono incompatibili, si ha:
1 = P (S) = P (A ∪ A) = P (A) + P (A)
da cui
P (A) = 1 − P (A)
2. Poiché ∅ = S, si ha
P (∅) = 1 − P (S) = 1 − 1 = 0
3. Se A ⊆ B, allora B = A ∪ (B − A) e A ∩ (B − A) = ∅.
Quindi
P (B) = P (A ∪ (B − A)) = P (A) + P (B − A) ≥ P (A)
4. Poiché, per ogni evento A, ∅ ⊆ A ⊆ S, si ha
0 = P (∅) ≤ P (A) ≤ P (S) = 1
479
CAPITOLO 10. PROBABILITÀ
5. Scriviamo A ∪ B e B come unione di eventi incompatibili:
A ∪ B = A ∪ (A ∩ B)
B = (A ∩ B) ∪ (A ∩ B)
Applichiamo l’assioma 3:
P (A ∪ B) = P (A) + P (A ∩ B) da cui P (A ∩ B) = P (A ∪ B) − P (A)
P (B) = P (A ∩ B) + P (A ∩ B) da cui P (A ∩ B) = P (B) − P (A ∩ B)
Uguagliando i secondi membri delle uguaglianze precedenti, si ottiene:
P (A ∪ B) − P (A) = P (B) − P (A ∩ B)
da cui
P (A ∪ B) = P (A) + P (B) − P (A ∩ B)
6. Dimostriamo la proprietà utilizzando il principio di induzione.
Per n = 1 P (A1 ) = P (A1 ), quindi la proprietà è vera.
Supponiamo la proprietà vera per n e dimostriamola per n + 1
Ipotesi:
P (A1 ∪ . . . ∪ An ) = P (A1 ) + . . . + P (An )
Tesi:
P (A1 ∪ . . . ∪ An+1 ) = P (A1 ) + . . . + P (An+1 )
Dimostrazione
P (A1 ∪ . . . ∪ An ∪ An+1 ) = P ((A1 ∪ . . . ∪ An ) ∪ An+1 ) =
P (A1 ∪ . . . ∪ An ) + P (An+1 ) = P (A1 ) + . . . + P (An ) + P (An+1 )
7. 1 = P (S) = P (A1 ∪ . . . ∪ An ) = P (A1 ) + . . . + P (An )
Osservazione
Se S è formato dagli eventi elementari A1 , . . . , An , allora
P (A1 ) + . . . + P (An ) = 1
Quindi, come probabilità per gli eventi elementari possiamo scegliere qualsiasi numero positivo purché la somma sia 1.
In particolare, se supponiamo che gli eventi elementari siano equiprobabili, possiamo pren1
dere come probabilità per ogni evento il numero ; se A è un evento composto formato da
n
m
m di questi eventi elementari, la sua probabilità è .
n
In questo modo abbiamo ottenuto la definizione di probabilità classica
480
10.5. PROBABILITÀ CONDIZIONATA
10.5
Probabilità condizionata
Definizione 10.5.1 (Probabilità condizionata).
Si dice probabilità dell’evento A condizionato all’evento B la probabilità del verificarsi
dell’evento A sapendo che si è verificato l’evento B e si indica con P (A/B).
La formula della probabilità condizionata, nel caso di definizione classica di probabilità è
un teorema; nel caso di definizione assiomatica di probabilità, è una definizione.
Se consideriamo la definizione classica di probabilità, si ha il seguente
Teorema 10.5.1 (Teorema della probabilità condizionata).
Dati due eventi A e B, si ha
P (A/B) =
P (A ∩ B)
P (B)
Dimostrazione
Per la probabilità condizionata P (A/B), i casi possibili sono gli eventi elementari di B:
indichiamo con |B| il loro numero.
I casi favorevoli sono gli eventi elementari di A ∩ B: indichiamo con |A ∩ B| il loro numero.
Quindi
P (A/B) =
|A ∩ B| |S|
P (A ∩ B)
|A ∩ B|
=
=
|B|
|S| |B|
P (B)
Se consideriamo la definizione assiomatica di probabilità, si ha la seguente
Definizione 10.5.2 (Probabilità condizionata).
Si dice probabilità dell’evento A condizionato all’evento B, con P (B) > 0, il rapporto tra
P (A ∩ B) e P (B). In simboli:
P (A/B) =
10.6
P (A ∩ B)
P (B)
Teorema del prodotto
Teorema 10.6.1 (Teorema del prodotto).
Dati due eventi A e B, si ha
P (A ∩ B) = P (A)P (B/A)
Dimostrazione
P (B/A) =
P (B ∩ A)
P (A ∩ B)
=
P (A)
P (A)
da cui
P (A ∩ B) = P (A)P (B/A)
481
CAPITOLO 10. PROBABILITÀ
10.7
Eventi indipendenti
Definizione 10.7.1 (Eventi indipendenti).
Due eventi si dicono indipendenti se il verificarsi di uno non modifica la probabilità dell’altro.
Se A e B sono due eventi indipendenti, P (A/B) = P (A) e P (B/A) = P (B).
Teorema 10.7.1 (Teorema del prodotto di eventi indipendenti).
Se A e B sono due eventi indipendenti, allora
P (A ∩ B) = P (A)P (B)
Dimostrazione
P (A ∩ B) = P (A)P (B/A) = P (A)P (B)
Teorema 10.7.2 (Teorema della somma di eventi indipendenti).
Se A e B sono due eventi indipendenti, allora
P (A ∪ B) = P (A) + P (B) − P (A)P (B)
Dimostrazione
P (A ∪ B) = P (A) + P (B) − P (A ∩ B) = P (A) + P (B) − P (A)P (B)
10.8
Teorema delle probabilità totali
Teorema 10.8.1 (Teorema delle probabilità totali).
Dati n eventi H1 , . . . , Hn che formano una partizione dello spazio degli eventi S e l’evento
A ⊆ S, si ha:
P (A) = P (H1 )P (A/H1 ) + . . . + P (Hn )P (A/Hn )
Dimostrazione
A = (H1 ∩ A) ∪ . . . ∪ (Hn ∩ A)
Poiché gli eventi Hi ∩ A sono incompatibili a due a due
P (A) = P ((H1 ∩ A) ∪ . . . ∪ (H1 ∩ A)) =
P (H1 ∩ A) + . . . + P (H1 ∩ A) = P (H1 )P (A/H1 ) + . . . + P (Hn )P (A/Hn )
Osservazione
Per risolvere problemi che utilizzano il teorema delle probabilità totali può essere conveniente costruire un diagramma ad albero con le probabilità su ogni ramo.
Per determinare la probabilità richiesta:
1. Si considerano i rami che portano alll’evento desiderato
2. Si moltiplicano le probabilità lungo ogni ramo considerato e si sommano i prodotti
ottenuti.
482
10.9. TEOREMA DI BAYES
10.9
Teorema di Bayes
Teorema 10.9.1 (Teorema di Bayes).
Dati n eventi H1 , . . . , Hn che formano una partizione dello spazio degli eventi S e l’evento
A ⊆ S, si ha:
P (Hi /A) =
P (Hi )P (A/Hi )
P (H1 )P (A/H1 ) + . . . + P (Hn )P (A/Hn )
Dimostrazione
P (Hi /A) =
P (Hi ∩ A)
P (Hi )P (A/Hi )
=
P (A)
P (H1 )P (A/H1 ) + . . . + P (Hn )P (A/Hn )
Osservazione
Il teorema di Bayes si chiama anche teorema delle probabilità delle cause, poiché permette
di determinare la probabilità secondo la quale un evento, che si suppone già realizzato, sia
dovuto a una certa causa piuttosto che a un’altra.
Osservazione
Per risolvere problemi che utilizzano il teorema di Bayes può essere conveniente costruire il
diagramma ad albero delle probabilità totali.
La probabilità della causa che ci interessa è data dal rapporto tra il prodotto delle probabilità
del ramo con la causa e l’evento considerato e la somma dei prodotti delle probabilità dei
rami che portano all’evento considerato.
10.10
Probabilità e calcolo combinatorio
In molti problemi di probabilità si parla di estrazioni:
1. Estrazione con reinserimento: dopo un’estrazione l’oggetto estratto viene reinserito e
quindi può essere di nuovo estratto.
Da un punto di vista combinatorio si avranno disposizioni con ripetizione.
2. Estrazione senza reinserimento: dopo un’estrazione l’oggetto non viene reinserito e
quindi non può essere di nuovo estratto.
Da un punto di vista combinatorio si avranno disposizioni senza ripetizione
3. Estrazioni simultanee: si estraggono contemporaneamente più oggetti.
Da un punto di vista combinatorio si avranno combinazioni semplici
Da un punto di vista di calcolo delle probabilità, l’estrazione senza reinserimento e l’estrazione simultanea danno gli stessi risultati.
483
Capitolo 11
Variabili aleatorie discrete
11.1
Distribuzione di probabilità
Definizione 11.1.1 (Variabile aleatoria discreta).
Si dice variabile aleatoria discreta una funzione che a ogni evento elementare di uno spazio degli eventi S associa uno e un solo numero reale appartenente a un’insieme finito o
infinitamente numerabile.
Normalmente le variabili aleatorie si indicano con le lettere maiuscole X, Y ecc.
A ogni variabile aleatoria si associa la sua distribuzione di probabilità.
Definizione 11.1.2 (Distribuzione di probabilità).
Si dice distribuzione di probabilità di una variabile aleatoria discreta l’insieme formato dai
valori assunti dalla variabile con le rispettive probabilità.
La distribuzione di probabilità di una variabile aleatoria X si può rappresentare nel seguente
modo:
®
x 1 . . . xn
p1 . . . pn
´
con 0 ≤ pi ≤ 1 e ni=1 pi = 1.
Con abuso di linguaggio identificheremo la variabile aleatoria con la sua distribuzione di
probabilità e scriveremo
P
®
x . . . xn
X= 1
p1 . . . pn
´
La distribuzione di probabilità può anche essere data in forma analitica, utilizzando la
funzione di probabilità:
P (X = xi ) = f (xi ) con i = 1, . . . , n
dove la funzione di probabilità f (xi ) deve soddisfare le seguenti condizioni:
f (xi ) ≥ 0 con i = 1, . . . , n
484
11.2. FUNZIONE DI RIPARTIZIONE
n
X
f (xi ) = 1
i=1
Si possono determinare più variabili aleatorie associate allo stesso fenomeno casuale.
Se un fenomeno casuale non ha esito numerico, a ogni risultato non numerico si può associare
un numero.
Per esempio, se una variabile può assumere solo due valori (testa o croce nel lancio di una
moneta), un valore si considera successo e si associa 1 e l’altro non successo e si associa 0.
Quindi la variabile X rappresenta il numero di successi.
11.2
Funzione di ripartizione
Definizione 11.2.1 (Funzione di ripartizione).
Si dice funzione di ripartizione di una variabile aleatoria X, la funzione F : R → R che
a ogni x ∈ R associa la probabilità che la variabile aleatoria assuma un valore minore o
uguale a x, cioè F (x) = P (X ≤ x).
Teorema 11.2.1.
Se X è una variabile aleatoria e F è la sua funzione di ripartizione, allora
1. P (X > x) = 1 − F (x)
2. P (a < X ≤ b) = F (b) − F (a)
Dimostrazione
1. Poiché l’evento X > x è il complementare dell’evento X ≤ x, si ha
P (X > x) = 1 − P (X ≤ x) = 1 − F (x)
2. P (a < X ≤ b) = P (X ≤ b) − P (X ≤ a) = F (b) − F (a)
11.3
Funzione di una variabile aleatoria
Siano X una variabile aleatoria e u una funzione definita sull’insieme dei valori assunti da
X.
La variabile aleatoria u(X) è la variabile aleatoria che ha come valori u(xi ) e come probabilità quelle di X.
Se alcuni valori si ripetono si scrivono una volta sola e si sommano le probabilità.
11.4
Probabilità condizionata
Definizione 11.4.1 (Probabilità condizionata).
Date due variabili aleatorie X, Y si chiama probabilità condizionata e si indica con
P (Y = l/X = k)
la probabilità che la variabile Y assuma il valore l sapendo che la variabile X ha assunto il
valore k.
485
CAPITOLO 11. VARIABILI ALEATORIE DISCRETE
Con Y /(X = k) indichiamo la distribuzione di probabilità della variabile aleatoria Y
condizionata all’evento X = k.
11.5
Eventi indipendenti
Definizione 11.5.1 (Eventi indipendenti).
Date due variabili aleatorie X, Y , gli eventi Y = l e X = k si dicono indipendenti se
P (Y = l/X = k) = P (Y = l).
Definizione 11.5.2 (Variabili indipendenti).
Date due variabili aleatorie X, Y , si dice che Y è indipendente da X = k.se P (Y = l/X =
k) = P (Y = l) per ogni valore l assunto dalla variabile Y .
Si dice che Y è indipendente da X se P (Y = l/X = k) = P (Y = l) per ogni valore l assunto
dalla variabile Y e per ogni valore k assunto dalla variabile X.
Teorema 11.5.1 (Variabili indipendenti).
Date due variabili aleatorie X, Y , se X è indipendente da Y , allora Y è indipendente da X.
11.6
Distribuzione congiunta
Definizione 11.6.1 (Probabilità congiunta).
Date due variabili aleatorie X, Y si dice probabilità congiunta e si indica con P (X = k, Y =
l) la probabilità che la variabile X assuma il valore k e la variabile Y assuma il valore l.
Teorema 11.6.1 (Teorema del prodotto).
Date due variabili aleatorie X, Y , si ha
P (X = k, Y = l) = P (X = k)P (Y = l/X = k)
Se gli eventi sono indipendenti si ha
P (X = k, Y = l) = P (X = k)P (Y = l)
.
11.6.1
Tabella delle distribuzioni congiunte e marginali
Date due variabili aleatorie X e Y , la distribuzione delle probabilità congiunte si può
rappresentare con una tabella a doppia entrata.
Definizione 11.6.2 (Distribuzioni marginali).
Se alla tabella delle distribuzioni congiunte di due variabili aleatorie X, Y si aggiunge la
colonna con la somma delle probabilità di ogni riga e la riga con la somma delle probabilità di
ogni colonna, si ottengono le distribuzione di probabilità di X e Y dette anche distribuzioni
marginali.
486
11.7. TEOREMA DELLE PROBABILITÀ TOTALI
x1
y1
Y
...
yn
P (X = x1 , Y = y1 )
...
P (X = x1 , Y = yn )
n
X
P (X = x1 , Y = yj )
j=1
X
...
xm
...
...
P (X = xm , Y = y1 )
...
...
P (X = xm , Y = yn )
...
n
X
P (X = xm , Y = yj )
j=1
m
X
P (X = xi , Y = y1 )
...
i=1
11.7
m
X
P (X = xi , Y = yn )
i=1
Teorema delle probabilità totali
Teorema 11.7.1 (Teorema delle probabilità totali).
Date due variabili aleatorie X e Y con distribuzione di probabilità rispettivamente:
®
´
®
x . . . xm
y . . . yn
X= 1
, Y = 10
p1 . . . pm
p1 . . . p0n
´
si ha
P (Y = yj ) =
m
X
P (X = xi )P (Y = yj /X = xi )
i=1
Dimostrazione
P (Y = yj ) =
m
X
P (X = xi , Y = yj ) =
i=1
11.8
m
X
P (X = xi )P (Y = yj /X = xi )
i=1
Teorema di Bayes
Teorema 11.8.1 (Teorema di Bayes).
Date due variabili aleatorie X e Y con distribuzione di probabilità rispettivamente:
®
´
®
x . . . xm
y . . . yn
X= 1
, Y = 10
p1 . . . pm
p1 . . . p0n
´
si ha
P (X = xi )P (Y = yj /X = xi )
P (X = xi /Y = yj ) = X
m
P (X = xi )P (Y = yj /X = xi )
i=1
Dimostrazione
P (X = xi /Y = yj ) =
P (Y = yj , X = xi )
P (X = xi , Y = yj )
=
=
P (Y = yj )
P (Y = yj )
P (X = xi )P (Y = yj /X = xi )
m
X
i=1
P (X = xi , Y = yj )
P (X = xi )P (Y = yj /X = xi )
=X
m
P (X = xi )P (Y = yj /X = xi )
i=1
487
CAPITOLO 11. VARIABILI ALEATORIE DISCRETE
11.9
Funzione di due variabili aleatorie
Siano X, Y due variabili aleatorie e u una funzione definita sul prodotto cartesiano degli
insiemi dei valori assunti da X e da Y .
La variabile aleatoria u(X, Y ) è la variabile aleatoria che ha come valori u(xi , yj ) e come
probabilità le probabilità congiunte di X e Y .
Se alcuni valori si ripetono, si scrivono una volta sola e si sommano le probabilità.
488
Capitolo 12
Speranza matematica e varianza
12.1
Speranza matematica
Definizione 12.1.1 (Speranza matematica).
Data una variabile aleatoria X con distribuzione di probabilità:
®
x . . . xn
X= 1
p1 . . . pn
´
si dice media o speranza matematica o valore atteso o valor medio la somma dei prodotti
dei valori per le rispettive probabilità e si indica con E[X]. in simboli:
E[X] = x1 p1 + . . . + xn pn
12.1.1
Giochi equi
Definizione 12.1.2 (Gioco equo).
Sia X una variabile aletoria associata a un gioco.
Il gioco si dice equo se
E[X] = 0
12.1.2
Proprietà della speranza matematica
Teorema 12.1.1 (Proprietà della speranza matematica).
1. La speranza matematica di una variabile aleatoria costante è la costante stessa
2. Se X è una variabile aleatoria e a, b sono due costanti, allora E[aX + b] = aE[X] + b
3. La speranza matematica della somma di due variabili aleatorie è uguale alla somma
delle speranze matematiche, cioè E[X + Y ] = E[X] + E[Y ]
4. E[aX + bY ] = aE[X] + bE[Y ]
489
CAPITOLO 12. SPERANZA MATEMATICA E VARIANZA
5. La speranza matematica del prodotto di due variabili aleatorie indipendenti è uguale
al prodotto delle speranze matematiche, cioè E[XY ] = E[X]E[Y ]
6. La speranza matematica della variabile aleatoria Y = X −E[X], detta variabile scarto,
è 0; quindi la variabile scarto è equa
Dimostrazione
1. Una variabile aleatoria costante ha la seguente distribuzione di probabilità
®
X=
c
1
´
La speranza matematica è c · 1 = c
2. Se
®
x . . . xn
X= 1
p1 . . . pn
´
allora
®
ax1 + b . . . axn + b
aX + b =
p1 . . . pn
´
E[aX + b] = (ax1 + b)p1 + . . . + (axn + b)pn =
a(x1 p1 + . . . + xn pn ) + b(p1 + . . . + pn ) = aE[X] + b
3. Se
®
x . . . xm
X= 1
p1 . . . pm
´
e
®
y . . . yn
Y = 10
p1 . . . p0n
´
allora
®
x1 + y1 . . . xm + yn
X +Y =
P (X = x1 , Y = y1 ) . . . P (X = xm , Y = yn )
E[X + Y ] =
m
X
i=1
m
X
i=1
m
X
i=1
Ñ
n
X
Ñ
n
X
é
(xi + yj )P (X = xi , Y = yj )
n
X
j=1
=
j=1
é
xi P (X = xi , Y = yj )
+
j=1
Ñ
´
é
xi P (X = xi , Y = yj )
+
m
X
Ñ
n
X
i=1
j=1
n
X
m
X
j=1
i=1
é
yj P (X = xi , Y = yj )
=
!
yj P (X = xi , Y = yj ) =
490
12.2. VARIANZA
m
X
Ñ
xi
i=1
m
X
n
X
é
P (X = xi , Y = yj )
n
X
+
j=1
yj
j=1
n
X
xi P (X = xi ) +
i=1
m
X
!
P (X = xi , Y = yj ) =
i=1
yj P (Y = yj ) = E[X] + E[Y ]
j=1
4. E[aX + bY ] = E[aX] + E[bY ] = aE[X] + bE[Y ]
5. Se
®
x . . . xm
X= 1
p1 . . . pm
´
e
®
y . . . yn
Y = 10
p1 . . . p0n
´
allora
®
´
x1 y1 . . . xm yn
XY =
P (X = x1 , Y = y1 ) . . . P (X = xm , Y = yn )
E[XY ] =
m
X
i=1
m
X
i=1
m
X
i=1
m
X
Ñ
n
X
n
X
é
(xi · yj )P (X = xi , Y = yj )
=
j=1
é
(xi · yj )P (X = xi )P (Y = yj )
=
j=1
Ñ
n
X
é
xi P (X = xi )yj P (Y = yj )
=
j=1
Ñ
xi P (X = xi )
i=1
m
X
Ñ
n
X
é
yj P (Y = yj )
=
j=1
xi P (X = xi )E[Y ] = E[Y ]
i=1
m
X
xi P (X = xi ) = E[Y ]E[X] = E[X]E[Y ]
i=1
6. E [X − E[X]] = E[X] − E[X] = 0
12.2
Varianza
Definizione 12.2.1 (Varianza).
Data una variabile aleatoria X con distribuzione di probabilità:
®
x . . . xn
X= 1
p 1 . . . pn
´
si dice varianza la media del quadrato dello scarto e si indica con V ar[X]. In simboli:
î
ó
V ar[X] = E (X − E[X])2 = (x1 − E[X])2 p1 + . . . + (xn − E[X])2 pn
491
CAPITOLO 12. SPERANZA MATEMATICA E VARIANZA
La varianza si indica anche con σ 2 [X].
Osserviamo che la varianza è positiva o nulla.
Definizione 12.2.2 (Deviazione standard).
Data una variabile aleatoria X con distribuzione di probabilità:
®
x . . . xn
X= 1
p1 . . . pn
´
si dice scarto quadratico medio o deviazione standard la radice quadrata della varianza e si
indica con σ[X]. In simboli:
σ[X] =
»
»
V ar[X] =
»
E [(X − E[X])2 ] =
(x1 − E[X])2 p1 + . . . + (xn − E[X])2 pn
Definizione 12.2.3 (Covarianza).
Date due variabili aleatorie X, Y si dice covarianza di X e Y la speranza matematica del
prodotto delle variabili scarto e si indica con Cov[X, Y ]. In simboli
Cov[X, Y ] = E [(X − E[X])(Y − E[Y ])]
Teorema 12.2.1 (Proprietà della covarianza).
Cov[X, Y ] = E[XY ] − E[X]E[Y ]
Dimostrazione
Cov[X, Y ] = E [(X − E[X])(Y − E[Y ])] =
E [XY − XE[Y ] − Y E[X] + E[X]E[Y ])] =
E[XY ] − E[X]E[Y ] − E[X]E[Y ] + E[X]E[Y ] = E[XY ] − E[X]E[Y ]
12.2.1
Proprietà della varianza
Teorema 12.2.2 (Proprietà della varianza).
1. V ar[X] = E[X 2 ] − (E[X])2
2. Se X è una variabile aleatoria e a, b sono costanti, allora V ar[aX + b] = a2 V ar[X]
3. La varianza della somma di due variabili aleatorie indipendenti è uguale alla somma
delle varianze cioè V ar[X + Y ] = V ar[X] + V ar[Y ]
4. La varianza della somma di due variabili aleatorie dipendenti è uguale alla somma
delle varianze e del doppio della covarianza, cioè V ar[X + Y ] = V ar[X] + V ar[Y ] +
2Cov[X, Y ]
Dimostrazione
492
12.3. VARIABILE ALEATORIA STANDARDARDIZZATA
1. V ar[X] = E [(X − E[X])2 ] = E [X 2 − 2XE[X] + (E[X])2 ] =
E[X 2 ] − 2E[X]E[X] + (E[X])2 = E[X 2 ] − (E[X])2
2. V ar[aX + b] = E[(aX + b)2 ] − (E[aX + b])2 =
E[a2 X 2 + 2abX + b2 ] − (aE[X] + b)2 =
a2 E[X 2 ] + 2abE[X] + b2 − a2 (E[X])2 − 2abE[X] − b2 =
Ä
ä
a2 E[X 2 ] − a2 (E[X])2 = a2 E[X 2 ] − (E[X])2 = a2 V ar[X]
3. V ar[X + Y ] = E[(X + Y )2 ] − (E[X + Y ])2 =
E[X 2 + 2XY + Y 2 ] − (E[X] + E[Y ])2 =
E[X 2 ] + 2E[X]E[Y ] + E[Y 2 ] − (E[X])2 − 2E[X]E[Y ] − (E[Y ])2 =
E[X 2 ] − (E[X])2 + E[Y 2 ] − (E[Y ])2 = V ar[X] + V ar[Y ]
4. V ar[X + Y ] = E[(X + Y )2 ] − (E[X + Y ])2 =
E[X 2 + 2XY + Y 2 ] − (E[X] + E[Y ])2 =
E[X 2 ] + 2E[XY ] + E[Y 2 ] − (E[X])2 − 2E[X]E[Y ] − (E[Y ])2 =
E[X 2 ] − (E[X])2 + E[Y 2 ] − (E[Y ])2 + 2 (E[XY ] − E[X][Y ]) =
V ar[X] + V ar[Y ] + 2Cov[X, Y ]
12.3
Variabile aleatoria standardardizzata
Definizione 12.3.1 (Variabile aleatoria standardizzata).
Una variabile aleatoria si dice standardizzata se ha media 0 e deviazione standard 1
Teorema 12.3.1.
Data una variabile aleatoria X, la variabile aleatoria
X − E[X]
σ[X]
è standardizzata.
Dimostrazione
X − E[X]
1
=
(E[X] − E[X]) = 0
E
σ[X]
σ[X]
ñ
ô
1
X − E[X]
V ar
=
V ar[X] = 1
σ[X]
(σ[X])2
ñ
ô
493
CAPITOLO 12. SPERANZA MATEMATICA E VARIANZA
12.4
Coefficiente di variazione
Definizione 12.4.1 (Coefficiente di variazione).
Si dice coefficiente di variazione di una variabile aleatoria X con media non nulla, il rapporto
tra la deviazione standard e la media e si indica con CV . In simboli:
CV =
12.5
σ[X]
E[X]
Coefficiente di correlazione
Definizione 12.5.1 (Coefficiente di correlazione ).
Si dice coefficiente di correlazione di due variabili aleatorie X, Y con deviazione standard
non nulla, il rapporto tra la covarianza e il prodotto delle deviazioni standard e si indica
con rXY . In simboli:
rXY =
Cov[X, Y ]
σ[X]σ[Y ]
Se le variabili aleatorie X e Y non sono correlate, il coefficiente di correlazione è 0.
494
Capitolo 13
Distribuzioni discrete fondamentali
13.1
Distribuzione simmetrica
Definizione 13.1.1 (Variabile aleatoria simmetrica).
Una variabile aleatoria S si dice simmetrica se ha la seguente distribuzione di probabilità:


x1
S= 1
n

...
xn 
1 
...
n
Un caso particolare di variabile aleatoria simmetrica è quella i cui valori sono 1, . . . , n.
13.1.1
Media e varianza
Teorema 13.1.1.
Data una variabile aleatoria simmetrica


1
S= 1
n
E[X] =

...
n 
1 
n
...
n+1
n2 − 1
, V ar[X] =
2
12
Dimostrazione
1. E[X] = 1
1
1
1
1 n(n + 1)
n+1
+ . . . + n = (1 + . . . + n) =
=
n
n
n
n
2
2
1
1
1
1
2. E[X ] = 1 + . . . + n2 = (1 + . . . + n2 ) =
n
n
n
n
2
Ç 3
n
n2 n
+
+
3
2
6
n2 n 1
n+1
V ar[X] = E[X ] − (E[X]) =
+ + −
3
2 6
2
2
Ç
2
å
=
n2 n 1
+ +
3
2 6
å2
=
n2 n 1 n2 + 2n + 1
4n2 + 6n + 2 − 3n2 − 6n − 3
n2 − 1
+ + −
=
=
3
2 6
4
12
12
495
CAPITOLO 13. DISTRIBUZIONI DISCRETE FONDAMENTALI
13.2
Indicatore o variabile aleatoria di Bernoulli
Definizione 13.2.1 (Variabile aleatoria di Bernoulli).
Una variabile aleatoria I si dice di Bernoulli se ha la seguente distribuzione di probabilità:
®
I=
0
1−p
13.2.1
´
1
p
®
=
0
q
1
p
´
Media e varianza
Teorema 13.2.1.
Data una variabile aleatoria di Bernoulli
®
´
0 1
I=
q p
E[I] = p, V ar[I] = pq
Dimostrazione
1. E[I] = 0q + 1p = p
2. Poiché
®
2
I =
0
q
´
1
p
si ha
E[I 2 ] = 0q + 1p = p
V ar[I] = E[I 2 ] − (E[I])2 = p − p2 = p(1 − p) = pq
13.3
Somma di due variabili aleatorie di Bernoulli equidistribuite
Siano X e Y due variabili aleatorie di Bernoulli indipendenti e equidistribuite:
®
X=Y =
0
q
1
p
´
Determiniamo Z = X + Y
La distribuzione congiunta è:
Y
0
1
0
q2
pq
1
pq
p2
X
®
Z=
0+0
q2
0+1
pq
1+0
pq
1+1
p2
´
®
=
0
q2
1
2pq
2
p2
´
496
13.4. DISTRIBUZIONE BINOMIALE
13.4
Distribuzione binomiale
Definizione 13.4.1 (Variabile aleatoria binomiale).
Consideriamo n prove indipendenti effettuate nelle stesse condizioni. In ogni prova si può
verificare un evento (successo) con probabilità p o il suo complementare (insuccesso) con
probabilità q = 1 − p.
La variabile aleatoria B che rappresenta il numero di successi si dice variabile binomiale di
ordine n e parametro p.
Teorema 13.4.1.
La funzione di probabilità della variabile aleatoria binomiale B di ordine n e parametro p
è:
!
n k
P (B = k) =
p (1 − p)n−k
k
Dimostrazione
Una combinazione in cui l’evento A si verifica k volte è:
. . A}
A
. . A} |A .{z
| .{z
k
n−k
Poiché gli eventi sono indipendenti, si ha:
. . A} P (A) · . . . · P (A)) = P (A) · . . . · P (A) = pk (1 − p)n−k
P (A
. . A} A
| .{z
| .{z
k
n−k
|
{z
k
}
|
{z
n−k
}
Il numero dei casi nei !quali A si verifica k volte è il numero di combinazioni di n elementi
n
a gruppi di k, cioè
.
k
Quindi, la probabilità che A si verifichi k volte, è
!
n k
P (B = k) =
p (1 − p)n−k
k
Una variabile aleatoria con distribuzione binomiale si può anche vedere come somma di n
variabili di Bernoulli indipendenti ed equidistribuite.
13.4.1
Media e varianza
Teorema 13.4.2.
Data una variabile aleatoria binomiale B di ordine n e parametro p,
E[B] = np, V ar[B] = npq
Dimostrazione
Poiché B è la somma di variabili aleatorie di Bernoulli indipendenti e equidistribuite Ik , si
ha:
1. E[B] = E[I1 + . . . + In ] = E[I1 ] + . . . E[In ] = np
2. V ar[B] = V ar[I1 + . . . + In ] = V ar[I1 ] + . . . + V ar[In ] = npq
497
CAPITOLO 13. DISTRIBUZIONI DISCRETE FONDAMENTALI
13.4.2
Numero di successi più probabile
Teorema 13.4.3.
Data una variabile aleatoria binomiale B di ordine n e parametro p, il numero di successi
più probabile è il numero k0 tale che
np − q ≤ k0 ≤ np − q + 1
Dimostrazione
La distribuzione di probabilità di una variabile aleatoria binomiale prima cresce e poi decresce oppure può anche solo decrescere.
Quindi, per trovare il numero di successi più probabile, è sufficiente effettuare il rapporto
tra due valori successivi della probabilità e vedere quando diventa minore di 1.
!
n
pk+1 q n−k−1
k+1
n!pk+1 q n−k−1
k!(n − k)!
p
n−k
(n − k)p
!
=
·
=
·
=
(k + 1)!(n − k − 1)! n!pk q n−k
k+1
q
(k + 1)q
n k n−k
p q
k
(n − k)p
< 1 ⇔ (n − k)p < (k + 1)q ⇔ np − kp < kq + q ⇔
(k + 1)q
−k(p + q) < q − np ⇔ k > np − q
La distribuzione cresce per k < np − q e decresce per k > np − q.
Il numero di successi più probabile è il numero k0 tale che np − q ≤ k0 ≤ np − q + 1.
Poiché l’intervallo ha ampiezza 1, se np−q è un intero, per k0 si hanno due valori, altrimenti
se ne ha uno solo.
13.5
Distribuzione ipergeometrica
Definizione 13.5.1 (Variabile aleatoria ipergeometrica).
Da un urna con r palline rosse e b palline bianche, si effettuano n estrazioni senza reinserimento.
La variabile aleatoria X che rappresenta il numero di palline rosse estratte si dice variabile
ipergeometrica di ordine n e parametri r, b.
Teorema 13.5.1.
La funzione di probabilità della variabile aleatoria ipergeometrica X ordine n e parametri
r, b è:
P (X = k) =
r
k
!
b
n−k
!
r+b
n
!
498
13.6. DISTRIBUZIONE GEOMETRICA (PRIMO SUCCESSO)
Dimostrazione
!
r
Il numero di modi in cui si possono scegliere k palline rosse è
.
k
!
b
Il numero di modi in cui si possono scegliere le restanti n − k palline bianche è
.
n−k
!
!
r
b
Quindi, i casi favorevoli sono
.
k n−k
!
r+b
I casi possibili sono
.
n
La probabilità che, su n palline estratte, k siano rosse è
P (X = k) =
13.5.1
r
k
!
b
n−k
!
r+b
n
!
Media e varianza
Teorema 13.5.2.
Data una variabile aleatoria X, con distribuzione ipergeometrica di ordine n e parametri
r, b
E[X] = n
r
r
b r+b−n
r+b−n
, V ar[X] = n
= npq
r+b
r+br+br+b−1
r+b−1
Osservazione
La media di una variabile aleatoria ipergeometrica è uguale a quella di una variabile binor
miale, infatti
= p.
r+b
La varianza di una variabile aleatoria ipergeometrica differisce da quella di una variabile
r+b−n
r
b
binomiale per il fattore
, infatti
=pe
= q.
r+b−1
r+b
r+b
13.5.2
Approssimazione della distribuzione ipergeometrica con la
distribuzione binomiale
La distribuzione ipergeometrica, con r + b grande, si può approssimare con la distribuzione
r
.
binomiale con p =
r+b
13.6
Distribuzione geometrica (primo successo)
Definizione 13.6.1 (Variabile aleatoria geometrica).
Consideriamo prove indipendenti effettuate nelle stesse condizioni. In ogni prova si può
verificare un evento (successo) con probabilità p o il suo complementare (insuccesso) con
probabilità q = 1 − p.
La variabile aleatoria X che rappresenta il numero prove necessario per avere il primo
successo, si dice variabile geometrica di parametro p.
499
CAPITOLO 13. DISTRIBUZIONI DISCRETE FONDAMENTALI
Teorema 13.6.1.
La funzione di probabilità della variabile aleatoria geometrica X di parametro p è:
P (X = n) = q n−1 p
Dimostrazione
Poiché si devono avere n − 1 insuccessi e poi un successo, si ha
P (X = n) = q n−1 p
La distribuzione si dice geometrica perché il rapporto tra P (X = n + 1) e P (X = n) è
costante e vale q; infatti
qnp
P (X = n + 1)
= n−1 = q
P (X = n)
q p
La distribuzione geometrica ha infiniti valori e dipende solo dal parametro p.
Essendo q < 1, le probabilità sono descrescenti e dopo un po’ diventano trascurabili.
Teorema 13.6.2.
Data una variabile aleatoria geometrica X di parametro p, si ha:
+∞
X
P (X = i) = 1
i=1
Dimostrazione
+∞
X
P (X = i) =
i=1
13.6.1
+∞
X
q i−1 p = lim
i=1
n→+∞
n
X
q i−1 p
i=1
= lim p
n→+∞
1 − qn
p
=
=1
1−q
1−q
Media e varianza
Teorema 13.6.3.
Data una variabile aleatoria geometrica X di parametro p, si ha
1
q
E[X] = , V ar[X] = 2
p
p
13.7
Distribuzione di Poisson
Definizione 13.7.1 (Variabile aleatoria di Poisson).
Si dice variabile aleatoria di Poisson di parametro λ, la variabile aleatoria X che assume i
λk
valori 0, 1, 2, 3, . . . con probabilità P (X = k) = e−λ dove λ è una costante positiva.
k!
Questa distribuzione si presenta in molti fenomeni casuali, per esempio il numero di chiamate
telefoniche al minuto di un centralino, il numero di errori di stampa per pagina di un testo
voluminoso, il numero di incidenti, ecc.
500
13.7. DISTRIBUZIONE DI POISSON
13.7.1
Media e varianza
Teorema 13.7.1.
Data una variabile aleatoria di Poisson X di parametro λ
E[X] = λ, V ar[X] = λ
13.7.2
Andamento della distribuzione di Poisson
Sia X una variabile aleatoria di Poisson di parametro λ.
Se λ < 1, la distribuzione assume valore massimo per X = 0.
Se λ = 1, la distribuzione assume valore massimo per X = 0 e X = 1.
Se λ > 1, la distribuzione cresce, raggiunge un massimo e decresce più lentamente di quanto
è cresciuta.
13.7.3
Approssimazione della distribuzione binomiale con la distribuzione di Poisson
La distribuzione binomiale, con p piccolo e n grande, si può approssimare con la distribuzione
di Poisson di parametro λ = np.
501
Capitolo 14
Variabili aleatorie continue
14.1
Densità di probabilità
Definizione 14.1.1 (Variabile aleatoria continua).
Una variabile aleatoria X si dice continua se assume tutti i valori di un intervallo.
Definizione 14.1.2 (Densità di probabilità).
Una funzione f : R → R si dice densità di probabilità se soddisfa le seguenti proprietà:
1. f (x) ≥ 0 ∀x ∈ R
2.
Z +∞
f (x)dx = 1
−∞
La seconda proprietà afferma che l’area compresa tra il grafico di f e l’asse delle x deve
essere uguale 1.
La densità di probabilità è la corrispondente della funzione di probabilità delle variabili
aleatorie discrete.
Indicando con P (a < X < b) la probabilità che la variabile X assuma un valore appartenente
all’intervallo ]a, b[, si ha:
P (a < X < b) =
Z b
f (x)dx
a
Se X è una variabile aleatoria continua, la probabilità che assuma un determinato valore è
nulla; quindi
P (a < X < b) = P (a ≤ X ≤ b)
14.2
Funzione di ripartizione
Definizione 14.2.1 (Funzione di ripartizione).
Si dice funzione di ripartizione di una variabile aleatoria X, la funzione F : R → R che
ad ogni x ∈ R associa la probabilità che la variabile aleatoria assuma un valore minore o
uguale a x, cioè F (x) = P (X ≤ x).
502
14.3. SPERANZA MATEMATICA
Se f è densità di probabilità, allora la funzione di ripartizione è
F (x) =
Z x
f (y)dy
−∞
Se F è la funzione di ripartizione, allora la densità di probabilità è
f (x) = F 0 (x)
La funzione di ripartizione F è non descrescente e
lim F (x) = 1
x→+∞
Infatti
lim F (x) = lim
x→+∞
Z x
x→+∞ −∞
f (y)dy =
Z +∞
f (y)dy = 1
−∞
Teorema 14.2.1.
Data una variabile aleatoria continua X, con funzione di ripartizione F , si ha
P (a < X < b) = F (b) − F (a)
Dimostrazione
P (a < X < b) =
Z b
f (x)dx =
a
14.3
Z b
f (x)dx −
−∞
Z a
f (x)dx = F (b) − F (a)
−∞
Speranza matematica
Definizione 14.3.1 (Speranza matematica).
Data una variabile aleatoria continua X con densità di probabilità f , si dice media o
speranza matematica o valore atteso e si indica con E[X] l’integrale
Z +∞
xf (x)dx
−∞
Questa espressione è una generalizzazione per le variabili aleatorie continue dell’espressione
data per le variabili aleatorie discrete ed ha le stesse proprietà della speranza matematica
delle variabili aleatorie discrete.
Se la densità di probabilità di una variabile aleatoria continua X è una funzione pari, allora
E[X] = 0; infatti xf (x) è una funzione dispari e quindi l’integrale è 0.
14.4
Varianza
Definizione 14.4.1 (Varianza).
Data una variabile aleatoria continua X con densità di probabilità f (x), si dice varianza e
si indica con V ar[X] la speranza matematica del quadrato dello scarto, in simboli:
V ar[X] =
Z +∞
(x − E[X])2 f (x)dx
−∞
503
CAPITOLO 14. VARIABILI ALEATORIE CONTINUE
La varianza delle variabili aleatorie continue ha le stesse proprietà della varianza delle
variabili aleatorie discrete, in particolare
V ar[X] = E[X 2 ] − (E[X])2
Definizione 14.4.2 (Deviazione standard).
Data una variabile aleatoria continua X con densità di probabilità f (x), si dice deviazione
standard o scarto quadratico medio la radice quadrata della varianza, e si indica con σ[X].
In simboli:
σ[X] =
sZ
+∞
(x − E[X])2 f (x)dx
−∞
504
Capitolo 15
Distribuzioni continue fondamentali
15.1
Distribuzione uniforme
Definizione 15.1.1 (Distribuzione uniforme).
Una variabile aleatoria continua ha distribuzione uniforme su un intervallo [a, b], se la probabilità che assuma un valore appartenente ad un intervallo I incluso in [a, b] è data dal
rapporto tra l’ampiezza di I e l’ampiezza di [a, b].
La funzione di ripartizione della distribuzione uniforme su un intervallo [a, b] è





F (x) = 



0
x−a
b−a
1
per
x<a
per
a≤x≤b
per
x>b
Effetuando la derivata si ricava che la densità di probabilità della distribuzione uniforme su
un intervallo [a, b] è





0
1
f (x) = 
b−a



0
15.1.1
per
x<a
per
a≤x≤b
per
x>b
Media e varianza
Teorema 15.1.1.
Data una variabile aleatoria X, con distribuzione uniforme sull’intervallo [a, b], si ha
1. E[X] =
a+b
2
2. V ar[X] =
(b − a)2
12
Dimostrazione
E[X] =
Z +∞
−∞
xf (x)dx =
Z b
a
x
1
1 b2 − a2
a+b
dx =
=
b−a
b−a 2
2
505
CAPITOLO 15. DISTRIBUZIONI CONTINUE FONDAMENTALI
2
E[X ] =
Z +∞
2
x f (x)dx =
−∞
Z b
a
V ar[X] = E[X 2 ] − (E[X])2 =
15.2
x2
1
b2 + ba + a2
dx =
b−a
3
(b − a)2
b2 + ba + a2 (a + b)2
−
=
3
4
12
Distribuzione normale o di Gauss
Definizione 15.2.1 (Distribuzione normale).
Una variabile aleatoria continua ha distribuzione normale di parametri µ e σ 2 se la densità
di probabilità è:
f (x) = √
(x−µ)2
1
e− 2σ2
2πσ 2
La distribuzione normale è la più importante tra tutte le distribuzioni per i seguenti motivi:
1. alcuni fenomeni obbediscono rigorosamente a una distribuzione normale, come per
esempio la direzione di una molecola in un gas
2. molti fenomeni si possono approssimare con una distribuzione normale, come per
esempio l’altezza di un essere umano
3. con la distribuzione normale si possono approssimare molte altre distribuzioni di
probabilità
La distribuzione normale di parametri µ e σ 2 si indica con N (µ, σ 2 ): µ è la speranza matematica e σ 2 è la varianza.
Il suo grafico, simmetrico rispetto alla retta x = µ, ha la forma di una campana, ha il
massimo per x = µ, due punti di flesso per x = µ ± σ e tende a 0 per x tendente a ±∞.
15.2.1
Distribuzione normale standardizzata
Definizione 15.2.2 (Distribuzione normale standardizzata).
Una variabile aleatoria normale di parametri µ = 0 e σ 2 = 1 si dice standardizzata e la sua
densità di probabilità è:
x2
1
f (x) = √ e− 2
2π
Se si ha una variabile aleatoria con distribuzione normale, per trovare la probabilità che la
variabile aleatoria assuma un valore compreso tra a e b si deve calcolare l’integrale
Z b
a
(x−µ)2
1
√
e− 2σ2 dx
2πσ 2
Poiché i valori dell’integrale sopra scritto si possono ottonere solo con metodi numerici,
per calcolare la probabilità si utilizzano delle tavole che danno i valori della funzione di
506
15.2. DISTRIBUZIONE NORMALE O DI GAUSS
ripartizione per la normale standardizzata.
Se la distribuzione normale X = N (µ, σ 2 ) non è standardizzata, la si standardizza ponendo:
X −µ
σ
Se si deve calcolare P (X ≤ x1 ), si possono utilizzare le tavole della normale standardizzata
ricordando che
Å
x1 − µ ã
P (X ≤ x1 ) = P Z ≤
σ
e che, poiché Z è simmetrica,
Z=
P (Z ≤ −k) = P (Z ≥ k) = 1 − P (Z ≤ k)
Figura 15.1: funzione di ripartizione della variabile aleatoria normale standardizzata
15.2.2
Teorema limite centrale
Teorema 15.2.1 (Teorema del limite centrale).
Sia Sn una variabile aleatoria somma di n variabili aleatorie indipendenti ciascuna con la
stessa distribuzione di probabilità, con speranza matematica µ e varianza σ 2 . Al crescere di
n, Sn tende ad assumere una distribuzione normale con media nµ e varianza nσ 2 .
507
CAPITOLO 15. DISTRIBUZIONI CONTINUE FONDAMENTALI
15.2.3
Approssimazione della distribuzione binomiale con la normale
Teorema 15.2.2.
Una variabile binomiale X di parametri n e p, per n tendente a +∞, tende a una distribuX − np
.
zione normale standardizzata Z = √
npq
La variabile binomiale si può approssimare se npq > 10.
15.2.4
Approssimazione della distribuzione di Poisson con la normale
Teorema 15.2.3.
Una variabile di Poisson X di parametro λ, per λ tendente a +∞, tende a una distribuzione
X −λ
normale standardizzata Z = √ .
λ
508
Capitolo 16
Geometrie non euclidee
16.1
Introduzione
Euclide basò la geometria su cinque assiomi (formulati in modo un po’ diverso da quello
che abbiamo visto noi):
1. Si può condurre una linea retta da un qualsiasi punto ad ogni altro punto.
2. Si può prolungare illimitatamente una retta finita in linea retta.
3. Si può descrivere un cerchio con qualsiasi centro e raggio qualsiasi.
4. Tutti gli angoli retti sono uguali fra loro.
5. Se, in un piano, una retta, intersecando due altre rette, forma con esse, da una medesima parte, angoli interni la cui somma è minore di due angoli retti, allora queste
due rette, se indefinitamente prolungate, finiscono con l’incontrarsi dalla parte detta.
509
CAPITOLO 16. GEOMETRIE NON EUCLIDEE
t
s
α
α0
r
Figura 16.1: quinto assioma di Euclide
Il quinto assioma è molto diverso dagli altri:
1. è espresso con la forma se allora tipica dei teoremi
2. non si può verificare sperimentalmente, perché per effettuare la verifica dovremmo
disporre di una regione illimitata.
Il quinto assioma si può anche enunciare nella seguente forma equivalente:
Assioma 16.1.1 (Quinto assioma di Euclide).
Dati una retta r e un punto P , la parallela ad r per P è unica
P
r
Figura 16.2: quinto assioma di Euclide
Nei secoli, molti matematici cercarono di dimostrare il quinto assioma. Non riuscendo a
dimostrarlo in modo diretto, a un certo punto, cercarono di dimostrarlo per assurdo: assunsero validi i primi quattro assiomi, negarono il quinto e cercarono di arrivare a una
contraddizione.
Uno di questi matematici è Giovanni Gerolamo Saccheri. Il suo scopo era
1. supporre vera la negazione del quinto assioma
510
16.2. GEOMETRIA IPERBOLICA
2. dedurre dal nuovo sistema di assiomi (i primi quattro più la negazione del quinto)
tutta una serie di teoremi loro conseguenza
3. pervenire ad un assurdo
In verità, egli non giunse ad alcun assurdo, ma a risultati diversi da quelli previsti dalla
geometria euclidea, che ritenne inaccettabili in quanto contrari alla nostra percezione.
In ogni caso, la dimostrazione per assurdo di Saccheri indicò la strada per la creazione di
geometrie in cui il quinto assioma non era valido, cioè di geometrie non euclidee.
Costruire una geometria basata sulla negazione del quinto assioma era molto complesso sia
a livello teorico, sia a livello socio-culturale: da due millenni la geometria di Euclide era
stata da tutti ritenuta l’unica valida e possibile. Il quinto assioma era poco intuitivo, ma la
sua negazione lo era ancora di meno Alla scoperta di geometrie non euclidee giunsero più o
meno contemporaneamente Gauss e Lobacevskij (e altri). Gauss, a causa del clima culturale
del suo tempo, non pubblicò nulla di quanto andava creando. Il merito dell’elaborazione di
tali geometrie andò, perciò, inizialmente a Lobacevskij. Lobacevskij ipotizzo un sistema in
cui per un punto esterno ad una retta passano infinite rette parallele alla retta data, creando
la geometria iperbolica. Pochi anni dopo Riemann partendo dalla premessa che non esistono
rette parallele a una retta data, sviluppò la geometria ellittica.
16.2
Geometria iperbolica
Ci sono alcuni modelli che descrivono la geometria iperbolica di Lobacevskij, analizziamo il
modello di Poincaré e quello di Klein.
Il modello di Poincarè è costruito considerando
1. come piano, la regione piana della geometria euclidea interna ad una circonferenza
2. come punto, ciascuno dei punti euclidei interni alla circonferenza
3. come retta, i diametri della circonferenza privati degli estremi e ogni arco di circonferenza con gli estremi sulla circonferenza, interno alla circonferenza, ortogonale ad
essa e privato degli estremi.
511
CAPITOLO 16. GEOMETRIE NON EUCLIDEE
L
I
K
B
G
A
N
Figura 16.3: modello di Poincaré
Nella figura K, L, G sono punti mentre A, B, N, I non lo sono, il diametro AB esclusi gli
estremi è una retta, l’arco N I esclusi gli estremi è una retta.
Il quinto assioma di Euclide non è più valido. Infatti, se con rette parallele si intende rette
che non hanno punti in comune, si ha che per un punto P non appartenente alla retta r si
possono condurre più rette parallele a r
B
C
D
P
A
I
r
N
Figura 16.4: negazione del quinto assioma
Nella figura le rette AB, CD passanti per P sono parallele a r
Nella geometria iperbolica la somma degli angoli interni di un triangolo è minore di due
angoli retti.
512
16.2. GEOMETRIA IPERBOLICA
A
t
s
B
C r
Figura 16.5: triangolo iperbolico
Il modello di Klein è costruito considerando
1. come piano, la regione piana della geometria euclidea interna ad una circonferenza
2. come punto, ciascuno dei punti euclidei interni alla circonferenza
3. come retta, ciascuna corda della della circonferenza privata degli estremi
L
I
K
G
B
A
N
Figura 16.6: modello di Klein
Nella figura K, L, G sono punti mentre A, B, N, I non lo sono, la corda IN esclusi gli estremi
è una retta, AB è un segmento.
513
CAPITOLO 16. GEOMETRIE NON EUCLIDEE
Il quinto assioma di Euclide non è più valido. Infatti, se con rette parallele si intende rette
che non hanno punti in comune, si ha che per un punto P non appartenente alla retta r si
possono condurre più rette parallele a r
I
L
K
B
P
r
N
A
Figura 16.7: negazione del quinto assioma
Nella figura le rette IA, KB, N L passanti per P sono parallele a r
16.3
Geometria ellittica
La geometria ellittica si ottiene sostituendo il quinto assioma di Euclide con un nuovo
assioma detto assioma di Riemann.
Assioma 16.3.1 (Assioma di Riemann).
Due rette qualsiasi di un piano hanno sempre almeno un punto in comune
Da questo assioma segue che non esistono rette parallele.
Il modello ellittico è costruito considerando
1. come piano, la superficie di una sfera
2. come punto, qualsiasi coppia di punti diametralmente opposti appartenenti alla superficie sferica
3. come retta, ogni circonferenza massima
514
16.3. GEOMETRIA ELLITTICA
P2
r
P1
Figura 16.8: geometria ellittica
Nella figura la coppia P1 , P2 è un punto, r è una retta. Il quinto assioma di Euclide non è
più valido. Infatti, se con rette parallele si intende rette che non hanno punti in comune, si
ha che per un punto P1 , P2 non appartenente alla retta r non si può condurre nessuna retta
parallela a r.
Nella geometria ellittica la somma degli angoli interni di un triangolo è maggiore di due
angoli retti, in particolare esistono triangoli con tutti e tre gli angoli retti.
90◦
90◦
90◦
Figura 16.9: triangolo con tre angoli retti
515
Capitolo 17
Geometria dello spazio
17.1
Introduzione
Nella geometria dello spazio si assumono come termini primitivi il punto, la retta, il piano
e lo spazio.
Definizione 17.1.1 (Semispazio).
Si dice semispazio ciascuna delle due parti in cui un piano divide lo spazio, compreso il
piano.
Il piano si dice origine per ciascun semispazio.
17.2
Assiomi della geometria dello spazio
Assioma 1
Per tre punti non allineati passa uno e un solo piano.
Assioma 2
Se due punti di una retta appartengono a un piano, allora la retta giace sul piano.
Assioma 3
Ogni piano divide lo spazio in due semispazi tali che, per ogni coppia di punti P e Q non
appartenenti al piano, si ha uno solo dei due seguenti casi:
• se P e Q appartengono allo stesso semispazio allora il segmento P Q non interseca il
piano
• se P e Q appartengono a semispazi opposti allora il segmento P Q interseca il piano
Teorema 17.2.1.
Se due piani distinti hanno un punto in comune, allora hanno in comune una retta passante
per quel punto.
17.3
17.3.1
Rette e piani
Posizioni relative tra due rette
Due rette nello spazio si dicono:
516
17.3. RETTE E PIANI
• incidenti, se hanno un solo punto in comune
• parallele, se non hanno punti in comune e giacciono sullo stesso piano oppure se sono
coincidenti
• sghembe, se non hanno punti in comune e non giacciono sullo stesso piano
Due rette incidenti o parallele si dicono complanari.
17.3.2
Posizioni relative tra retta e piano
Una retta e un piano nello spazio si dicono:
• incidenti, se hanno un solo punto in comune
• paralleli, se non hanno punti in comune o se la retta giace sul piano
Teorema 17.3.1.
Se per una retta r parallela ad un piano α si conduce un secondo piano β che interseca α
secondo una retta s, allora le rette r ed s sono parallele.
Dimostrazione
Se r giace su α, s coincide con r e quindi r ed s sono parallele.
Se r non giace su α, r e s non hanno punti in comune perché r non ha punti in comune con
α; inoltre r e s sono complanari (sono contenute nel piano β) e quindi sono parallele.
17.3.3
Posizioni relative tra due piani
Due piani nello spazio si dicono:
• incidenti, se hanno una sola retta in comune
• paralleli, se non hanno punti in comune o se sono coincidenti
L’insieme di tutti i piani paralleli a un dato piano α si dice fascio improprio di piani generato
da α.
L’insieme di tutti i piani che hanno una retta r in comune si dice fascio proprio di piani
generato da r.
17.3.4
Retta e piano perpendicolari
Teorema 17.3.2.
Tutte le rette perpendicolari ad una retta data in un suo punto giacciono sullo stesso piano.
Definizione 17.3.1.
Una retta ed un piano si dicono perpendicolari quando la retta interseca il piano ed è
perpendicolare a tutte le rette del piano che passano per il punto di intersezione, detto
piede della perpendicolare.
517
CAPITOLO 17. GEOMETRIA DELLO SPAZIO
Teorema 17.3.3.
Dati un punto e un piano, esiste una sola retta passante per il punto e perpendicolare al
piano.
Teorema 17.3.4.
Dati un punto e una retta, esiste un solo piano passante per il punto e perpendicolare alla
retta.
Teorema 17.3.5.
Piani perpendicolari alla stessa retta sono paralleli.
Teorema 17.3.6.
Rette perpendicolari allo stesso piano sono parallele.
Teorema 17.3.7.
Se una retta r è parallela ad una retta s e perpendicolare ad un piano α, allora s è
perpendicolare ad α.
Teorema 17.3.8.
Se una retta r è perpendicolare ad un piano α, allora ogni piano contenente r è perpendicolare ad α.
Teorema 17.3.9 (Teorema delle 3 perpendicolari).
Se dal piede P di una perpendicolare r ad un piano α si conduce la perpendicolare t ad una
retta qualunque s del piano, s risulta perpendicolare al piano individuato da r e t.
β
r
s
t
P
α
Figura 17.1: teorema delle 3 perpendicolari
Teorema 17.3.10 (Teorema di Talete nello spazio).
Un fascio di piani paralleli determina su due rette trasversali segmenti corrispondenti
direttamente proporzionali.
518
17.4. DIEDRI E ANGOLOIDI
17.3.5
Proiezioni, distanze, angoli
La proiezione di un punto su un piano è il piede della perpendicolare condotta dal punto al
piano.
La lunghezza del segmento che ha per estremi il punto e la sua proiezione sul piano si dice
distanza del punto dal piano.
Se una retta è parallela ad un piano, tutti i suoi punti sono equidistanti dal piano; tale
distanza si dice distanza della retta dal piano.
Si dice angolo di una retta con un piano l’angolo acuto che la retta forma con la sua
proiezione sul piano.
Teorema 17.3.11.
Date due rette a, b sghembe, esiste una e una sola retta r perpendicolare a entrambe.
Si dice distanza tra due rette sghembe la lunghezza del segmento della retta perpendicolare
a entrambe compreso tra le due rette.
17.4
Diedri e angoloidi
Definizione 17.4.1 (Diedro).
Si dice diedro ciascuna delle due parti di spazio delimitate da due semipiani che hanno la
stessa origine, compresi i semipiani stessi.
I due semipiani si dicono facce del diedro e la loro origine comune si dice spigolo del diedro.
Definizione 17.4.2 (Sezione di un diedro).
Si dice sezione di un diedro l’angolo che si ottiene intersecando il diedro con un piano non
parallelo al suo spigolo.
Se il piano è perpendicolare allo spigolo, la sezione si dice normale.
Le sezioni normali di uno stesso diedro sono congruenti.
Inoltre, diedri congruenti hanno sezioni normali congruenti e viceversa.
Definizione 17.4.3 (Ampiezza di un diedro).
Si dice ampiezza di un diedro l’ampiezza della sua sezione normale.
Definizione 17.4.4 (Diedro retto).
Si dice diedro retto un diedro la cui ampiezza è un angolo retto.
Due piani incidenti si dicono perpendicolari, se formano quattro diedri retti.
Definizione 17.4.5 (Angoloide).
Siano α un piano, K un poligono convesso di n lati contenuto in α e V un punto non
appartenente ad α.
Si dice angoloide l’insieme di tutte le semirette uscenti da V e passanti per i punti di K.
519
CAPITOLO 17. GEOMETRIA DELLO SPAZIO
Il punto V si dice vertice dell’angoloide, le n semirette di origine V passanti per i vertici di
K si dicono spigoli, gli n angoli formati da due spigoli consecutivi si dicono facce.
V
K
α
Figura 17.2: angoloide
17.5
Prisma
Definizione 17.5.1 (Prisma indefinito).
Si dice prisma indefinito il solido costituito da tutte le rette parallele tra loro passanti per
i punti di un poligono convesso e non contenute nel piano di questo.
Le rette del prisma che passano per i vertici del poligono si dicono spigoli.
L’insieme di tutte le rette del prisma che incontrano un lato del poligono formano una
striscia di piano che si dice faccia.
Se il poligono ha n lati e quindi n vertici, il prisma risulta delimitato da n diedri.
Le sezioni di un prisma indefinito con piani paralleli tra loro sono poligoni congruenti.
Definizione 17.5.2 (Prisma).
Si dice prisma finito, o semplicemente prisma, la parte di prisma indefinito compresa tra
due piani paralleli distinti (piani delle basi).
520
17.5. PRISMA
β
α
Figura 17.3: prisma
I poligoni contenuti nei piani delle basi si dicono basi.
La distanza tra i piani delle basi si dice altezza del prisma.
Le facce di un prisma sono parallelogrammi.
Gli spigoli di un prisma sono congruenti.
Definizione 17.5.3 (Prisma retto).
Si dice prisma retto un prisma in cui gli spigoli sono perpendicolari ai piani delle basi.
Le facce di un prisma retto sono rettangoli.
Definizione 17.5.4 (Prisma regolare).
Si dice prima regolare un prisma retto che ha come basi poligoni regolari.
In un prisma regolare le facce sono rettangoli congruenti.
Definizione 17.5.5 (Parallelepipedo).
Si dice parallelepipedo un prisma le cui basi sono parallelogrammi.
Le facce opposte di un parallelepipedo sono parallele e congruenti.
Le diagonali di un parallelepipedo si intersecano nel loro punto medio, che è il centro di
simmetria del parallelepipedo.
Definizione 17.5.6 (Parallelepipedo rettangolo).
Si dice parallelepipedo rettangolo un parallelepipedo retto le cui basi sono rettangoli.
521
CAPITOLO 17. GEOMETRIA DELLO SPAZIO
Figura 17.4: parallelepipedo rettangolo
Le diagonali di un parallelepipedo rettangolo sono congruenti.
Definizione 17.5.7 (Cubo).
Si dice cubo o esaedro regolare un parallelepipedo rettangolo con base un quadrato con gli
spigoli congruenti ai lati della base.
17.6
Piramide
Definizione 17.6.1 (Piramide).
Dati un angoloide di vertice V e un piano α non contenente V che interseca tutti i suoi
spigoli, si dice piramide l’intersezione tra l’angoloide e il semispazio di origine α che contiene
V.
Il punto V si dice vertice della piramide; l’intersezione tra il piano α e l’angoloide si dice
base della piramide, il segmento di perpendicolare condotto dal vertice al piano α si dice
altezza.
La somma degli angoli delle facce di vertice quello della piramide è minore di un angolo
giro.
Definizione 17.6.2 (Piramide retta).
Si dice piramide retta una piramide che ha per base un poligono circoscrittibile ad una
circonferenza, il cui centro coincide con il piede dell’altezza.
522
17.7. POLIEDRI
Figura 17.5: piramide retta
In una piramide retta, il piede delle altezze della facce laterali coincide con i punti di
tangenza del poligono di base con la circonferenza inscritta.
Le altezze della facce laterali sono congruenti.
Definizione 17.6.3 (Apotema).
Si dice apotema di una piramide retta l’altezza delle facce laterali.
Definizione 17.6.4 (Piramide regolare).
Si dice piramide regolare una piramide retta che ha per base un poligono regolare.
In una piramide regolare le facce laterali sono triangoli isosceli congruenti.
Definizione 17.6.5 (Tronco di piramide).
Dati una piramide di vertice V e un piano α0 non contenente V , parallelo alla base della
piramide, che interseca tutti i suoi spigoli, si dice tronco di piramide l’intersezione tra la
piramide e il semispazio di origine α0 non contenente V .
17.7
Poliedri
Definizione 17.7.1 (Superficie poliedrica).
Si dice superficie poliedrica (convessa) ogni figura formata da più poligoni convessi tali che:
1. siano a due a due non complanari
2. ogni lato sia comune a due poligoni
3. il piano di ogni poligono lasci tutti gli altri nello stesso semispazio
Definizione 17.7.2 (Poliedro).
Si dice poliedro la figura formata da una superficie poliedrica e da tutti i suoi punti interni.
523
CAPITOLO 17. GEOMETRIA DELLO SPAZIO
I poligoni, i loro vertici e i loro lati, sono rispettivamente le facce, i vertici e gli spigoli del
poliedro.
I prismi, le piramidi e i tronchi di piramide sono dei poliedri.
Teorema 17.7.1 (Teorema di Eulero).
Indicati con f, v, s rispettivamente il numero di facce, di vertici e di spigoli di un poliedro,
risulta f + v = s + 2.
I poliedri si distinguono in tetraedri, pentaedri, esaedri, ecc. in base al numero della facce.
Definizione 17.7.3 (Poliedro regolare).
Un poliedro si dice regolare se le sue facce sono poligoni regolari congruenti e tale che in
ogni suo vertice concorra lo stesso numero di facce
Dato un poliedro, in ogni vertice V devono convergere almeno tre facce non complanari e
la somma degli angoli delle facce di vertice V deve essere minore di un angolo giro. Poiché
un triangolo equilatero ha angoli di 60◦ , si possono ottenere tre poliedri regolari, rispettivamente con 3,4 o 5 triangoli che convergono in un vertice.
Poiché un quadrato ha angoli di 90◦ si può ottenere un poliedro regolare con 3 quadrati che
convergono in un vertice.
Poiché un pentagono regolare ha angoli di 108◦ si può ottenere un poliedro regolare con 3
pentagoni che convergono in un vertice.
Poiché un esagono regolare ha angoli di 120◦ non si può ottenere un poliedro regolare. A
magggior ragione non esiste un poliedro regolare avente come facce poligoni con più di 6
lati.
Quindi esistono solo 5 poliedri regolari: tetraedro regolare (4 facce triangolari); ottaedro
regolare (8 facce triangolari); icosaedro regolare (20 facce triangolari); esaedro regolare o
cubo (6 facce quadrate); dodecaedro regolare (12 facce pentagonali).
I poliedri regolari sono anche detti solidi platonici.
17.8
Cilindro
Definizione 17.8.1 (Cilindro indefinito).
Si dice cilindro indefinito il solido costituito da tutte le rette parallele tra loro passanti per
i punti di un cerchio e non contenute nel piano di questo.
Le rette del cilindro indefinito che passano per i punti della circonferenza si dicono generatrici e la circonferenza si dice direttrice.
Definizione 17.8.2 (Cilindro).
Si dice cilindro finito o semplicemente cilindro la parte di cilindro indefinito compresa tra
due piani distinti paralleli a quello della direttrice (piani delle basi).
I cerchi contenuti nei piani delle basi si dicono basi.
La distanza tra i piani delle basi si dice altezza del cilindro.
Definizione 17.8.3 (Cilindro retto).
Si dice cilindro retto un cilindro in cui le generatrici sono perpendicolari ai piani delle basi.
524
17.9. CONO
Il cilindro retto si può vedere come solido ottenuto dalla rotazione di un rettangolo attorno
ad uno dei suoi lati.
Definizione 17.8.4 (Cilindro equilatero).
Si dice cilindro equilatero un cilindro retto in cui l’altezza è congruente al diametro della
base.
17.9
Cono
Definizione 17.9.1 (Cono indefinito).
Siano α un piano, K un cerchio contenuto in α e V un punto non appartenente ad α.
Si dice cono indefinito l’insieme di tutte le semirette uscenti da V e passanti per i punti di
K.
Il punto V si dice vertice del cono indefinito; le semirette del cono indefinito che passano
per i punti della circonferenza si dicono generatrici; la circonferenza si dice direttrice.
Definizione 17.9.2 (Cono).
Dati un cono indefinito di vertice V e un piano α parallelo a quello della direttrice, si dice
cono finito o semplicemente cono l’intersezione tra il cono indefinito e il semispazio di origine
α che contiene V .
Il punto V si dice vertice del cono; l’intersezione tra il piano α e il cono indefinito si dice
base del cono; il segmento di perpendicolare condotto dal vertice al piano α si dice altezza.
Definizione 17.9.3 (Cono retto).
Si dice cono retto un cono in cui la semiretta del cono passante per il centro della direttrice
è perpendicolare al piano della direttrice.
Il cono retto si può vedere come solido ottenuto dalla rotazione di un triangolo rettangolo
attorno ad uno dei suoi cateti.
Definizione 17.9.4 (Apotema).
Si dice apotema di un cono retto ogni segmento che ha per estremi il vertice e un punto
della direttrice.
Definizione 17.9.5 (Cono equilatero).
Si dice cono equilatero un cono retto in cui l’apotema è congruente al diametro della base.
Definizione 17.9.6 (Tronco di cono).
Dati un cono di vertice V e un piano α0 che interseca il cono, non contenente V e parallelo
alla base, si dice tronco di cono l’intersezione tra il cono e il semispazio di origine α0 non
contenente V .
Il tronco di cono retto si può vedere come solido ottenuto dalla rotazione di un trapezio
rettangolo attorno al lato perpendicolare alle basi.
525
CAPITOLO 17. GEOMETRIA DELLO SPAZIO
17.10
Sfera
Definizione 17.10.1 (Superficie sferica).
Si dice superficie sferica di centro C il luogo dei punti dello spazio equidistanti da C.
La distanza tra ciascun punto della superificie sferica e il centro si dice raggio.
Definizione 17.10.2 (Sfera).
Si dice sfera la figura formata da una superficie sferica e dai suoi punti interni.
Il centro e il raggio della superficie sferica sono il centro e il raggio della sfera.
La sfera si può vedere come solido ottenuto dalla rotazione di un cerchio attorno a un suo
diametro.
Definizione 17.10.3 (Calotta sferica).
Si dice calotta sferica ciascuna delle parti in cui una superficie sferica è divisa da un piano
secante.
La circonferenza intersezione tra il piano e la superficie sferica si dice base della calotta
sferica.
Definizione 17.10.4 (Segmento sferico).
Si dice segmento sferico ciascuna delle parti in cui una sfera è divisa da un piano secante.
Si dice base del segmento sferico il cerchio intersezione tra il piano e la sfera.
Si dice asse della calotta o del segmento sferico la retta passante per il centro della sfera
perpendicolare al piano della base.
Si dice altezza della calotta o del segmento sferico la distanza tra il punto di intersezione
tra l’asse e la calotta e il piano della base.
Definizione 17.10.5 (Zona sferica).
Si dice zona sferica la parte di superficie sferica delimitata da due piani secanti paralleli.
Le circonferenze intersezione tra i piani e la superficie sferica si dicono basi della zona sferica.
Definizione 17.10.6 (Segmento sferico a due basi).
Si dice segmento sferico a due basi la parte di sfera delimitata da due piani secanti paralleli.
Si dicono basi del segmento sferico a due basi i cerchi intersezione tra i piani e la sfera.
Si dice asse della zona sferica o del segmento sferico a due basi la retta passante per il centro
della sfera perpendicolare ai piani delle basi.
Si dice altezza della zona sferica o del segmento sferico a due basi la distanza tra i due piani
delle basi.
Definizione 17.10.7 (Settore sferico).
Si dice settore sferico la parte di sfera formata da un segmento sferico e dal cono avente
come vertice il centro della sfera e come base la base del segmento.
Definizione 17.10.8 (Fuso sferico).
Si dice fuso sferico la parte di superficie sferica delimitata da due semipiani aventi per origine
lo stesso diametro.
526
17.11. PRINCIPIO DI CAVALIERI
Definizione 17.10.9 (Spicchio sferico).
Si dice spicchio sferico la parte di sfera delimitata da due semipiani aventi per origine lo
stesso diametro.
La sezione normale del diedro delimitato dai due semipiani si dice angolo del fuso e dello
spicchio.
17.11
Principio di Cavalieri
Definizione 17.11.1 (Solidi equivalenti).
Due solidi si dicono equivalenti se hanno lo stesso volume.
Teorema 17.11.1 (Principio di Cavalieri).
Se due solidi si possono disporre, rispetto a un piano dato, in modo che le loro sezioni con
piani paralleli a quello dato siano equivalenti, allora i due solidi sono equivalenti.
17.12
Aree e volumi
17.12.1
Prisma retto
h
Figura 17.6: prisma retto
L’area laterale di un prisma retto è uguale al prodotto del perimetro di base per l’altezza:
Al = pb h
L’area totale di un prisma retto è uguale alla somma dell’area laterale e del doppio dell’area
di base:
At = Al + 2Ab
Il volume di un prisma retto è uguale al prodotto dell’area di base per l’altezza:
V = Ab h
527
CAPITOLO 17. GEOMETRIA DELLO SPAZIO
17.12.2
Piramide retta
h
a
r
Figura 17.7: piramide retta
L’area laterale di una piramide retta è uguale al prodotto del semiperimetro di base per
l’apotema:
1
A l = pb a
2
L’area totale di una piramide retta è uguale alla somma dell’area laterale e dell’area di base:
At = Al + Ab
Il volume di una piramide retta è uguale alla terza parte del prodotto dell’area di base per
l’altezza:
1
V = Ab h
3
Osservazione
In una piramide retta il quadrato dell’apotema è uguale alla somma dei quadrati dell’altezza
e del raggio del cerchio inscritto nella base:
a2 = h2 + r2
528
17.12. AREE E VOLUMI
17.12.3
Tronco di piramide retta
a
h
Figura 17.8: tronco di piramide retta
L’area laterale di un tronco di piramide retta è uguale prodotto della somma dei semiperimetri di base per l’apotema:
1
Al = (pb + pb0 )a
2
L’area totale di un tronco di piramide retta è uguale alla somma dell’area laterale e delle
aree delle due basi:
At = Al + Ab + Ab0
Il volume di un tronco di piramide retta è uguale alla terza parte del prodotto della somma
delle aree delle due basi e della radice del loro prodotto per l’altezza:
»
1
V = (Ab + Ab0 + Ab Ab0 )h
3
17.12.4
Cilindro retto
h
r
Figura 17.9: cilindro retto
529
CAPITOLO 17. GEOMETRIA DELLO SPAZIO
L’area laterale di un cilindro retto è uguale al prodotto della lunghezza della circonferenza
di base per l’altezza:
Al = 2πrh
L’area totale di un cilindro retto è uguale alla somma dell’area laterale e delle aree delle
due basi:
At = Al + 2Ab = 2πrh + 2πr2 = 2πr(h + r)
Il volume di un cilindro retto è uguale al prodotto dell’area di base per l’altezza:
V = Ab h = πr2 h
17.12.5
Cono retto
h
a
r
Figura 17.10: cono retto
L’area laterale di un cono retto è uguale al prodotto della lunghezza della semicirconferenza
di base per l’apotema:
Al = πra
L’area totale di un cono retto è uguale alla somma dell’area laterale e dell’area di base:
At = Al + Ab = πra + πr2 = πr(a + r)
Il volume di un cono retto è uguale alla terza parte del prodotto dell’area di base per
l’altezza:
1
1
V = Ab h = πr2 h
3
3
Osservazione
In un cono retto il quadrato dell’apotema è uguale alla somma dei quadrati dell’altezza e
del raggio della base:
a2 = h2 + r2
530
17.12. AREE E VOLUMI
17.12.6
Tronco di cono retto
r0
h
a
r
Figura 17.11: tronco di cono retto
L’area laterale di un tronco di cono retto è uguale al prodotto della somma delle lunghezze
delle semicirconferenze di base per l’apotema:
Al = π(r + r0 )a
L’area totale di un tronco di cono retto è uguale alla somma dell’area laterale e delle aree
delle due basi:
At = Al + Ab + Ab0 = π(r + r0 )a + πr2 + πr02
Il volume di un tronco di cono retto è uguale alla terza parte del prodotto della somma
delle aree delle due basi e della radice del loro prodotto per l’altezza:
»
1
π
1
V = (Ab + Ab0 + Ab Ab0 )h = (πr2 + πr02 + πr0 r)h = (r2 + r02 + r0 r)h
3
3
3
17.12.7
Sfera
r
Figura 17.12: sfera
531
CAPITOLO 17. GEOMETRIA DELLO SPAZIO
L’area di una sfera è:
A = 4πr2
Il volume di una sfera è:
4
V = πr3
3
17.12.8
Segmento sferico
Q1
h
r
Figura 17.13: segmento sferico
L’area laterale di un segmento sferico è:
Al = 2πrh
L’area totale di un segmento sferico è:
At = Al + Ab
Il volume di un segmento sferico è:
1
V = πh2 (3r − h)
3
532
17.12. AREE E VOLUMI
17.12.9
Spicchio sferico
Q1
r
α
Figura 17.14: spicchio sferico
L’area di uno spicchio sferico è:
A = 2αr2 + πr2
Il volume di uno spicchio sferico è:
2
V = αr3
3
dove α è l’angolo dello spicchio espresso in radianti.
533
Appendice A
Potenza del continuo
A.1
Insiemi finiti e infiniti
Definizione A.1.1 (Insieme infinito).
Un insieme si dice infinito se esiste una biezione tra esso e un suo sottoinsieme proprio.
Esempio A.1.1.
Dato l’insieme N dei numeri naturali consideriamo l’insieme P dei numeri pari e la funzione
f :N→P
definita nel seguente modo
f (x) = 2x
Poiché f è una biiezione e P è un sottoinsieme proprio di N, l’insieme dei numeri naturali
è infinito
Definizione A.1.2 (Insieme finito).
Un insieme si dice finito se non esiste una biezione tra esso e qualsiasi suo sottoinsieme
proprio.
Esempio A.1.2.
L’insieme A = {1, 2, 3} è finito perché non esiste alcuna biiezione tra esso e un qualunque
suo sottoinsieme proprio
A.2
Cardinalità
Definizione A.2.1 (Cardinalità).
Si dice che gli insiemi A e B hanno la stessa cardinalità o potenza o stesso numero cardinale
se esiste una biezione tra a A e B
Esempio A.2.1.
534
A.3. NUMERABILITÀ
• Gli insiemi N e P hanno la stessa cardinalità perché esiste la biezione
f :N→P
definita da
f (x) = 2x
• Gli insiemi N e N0 hanno la stessa cardinalità perché esiste la biezione
f : N → N0
definita da
f (x) = x + 1
• Ogni insieme finito A ha la stessa cardinalità di un insieme che ha lo stesso numero
di elementi di A
Definizione A.2.2 (Ordinamento dei numeri cardinali).
Si dice che l’insieme A ha cardinalità minore o uguale di quella di un insieme B se esiste
una biezione tra A e un sottoinsieme di B
Osservazione
Un insieme A ha cardinalità minore di quella di un insieme B se ha cardinalità minore o
uguale e non esiste una biezione tra A e B
Teorema A.2.1.
Ogni insieme A ha una cardinalità minore di quella di P (A)
A.3
Numerabilità
Definizione A.3.1 (Numerabilità).
Si dice che un insieme A è numerabile se ha la stessa cardinalità di N
Esempio A.3.1. Gli insiemi P, N sono numerabili
A.3.1
Proprietà degli insiemi numerabili
Teorema A.3.1.
L’unione di due insiemi numerabili è un insieme numerabile
Teorema A.3.2.
L’unione di un insieme numerabile e di uno finito è un insieme numerabile
535
APPENDICE A. POTENZA DEL CONTINUO
A.3.2
Numerabilità dell’insieme dei numeri interi
Teorema A.3.3 (Numerabilità dell’insieme dei numeri interi).
L’insieme Z è numerabile
Dimostrazione
Consideriamo la funzione f : Z → N definita nel seguente modo:

2x + 2
f (x) = 
se x > 0
−2x − 1 se x < 0
Poiché f è una biiezione Z e N hanno la stessa cardinalità e quindi Z è numerabile
A.3.3
Numerabilità dell’insieme dei numeri razionali
Teorema A.3.4 (Numerabilità dell’insieme dei numeri razionali).
L’insieme Q è numerabile
Dimostrazione
Consideriamo l’insieme Q+ dei numeri razionali positivi.
a
Ogni numero razionale positivo può essere scritto nella forma , dove a e b sono numeri
b
interi positivi. Tutti i numeri razionali positivi possono venire, quindi, disposti secondo il
seguente schema.
1
1
1
2
↓
1
3
→
.
%
.
1
4
↓
%
··· ···
Dallo schema
2
1
2
2
2
3
2
4
%
.
%
3
1
3
2
3
3
3
4
→
.
%
.
.
%
··· ··· ··· ···
precedente si ha
4
1
4
2
4
3
4
4
···
%
.
%
.
···
5
1
5
2
→
···
.
···
···
%
5
3
···
···
.
5
4
···
···
%
···
···
1 2 1 1 2 3 4 3 2 1
, , , , , , , , , ,...
1 1 2 3 2 1 1 2 3 4
Eliminando le frazioni equilaventi si ottiene
1 2 1 1 3 4 3 2 1
, , , , , , , , ,...
1 1 2 3 1 1 2 3 4
Consideriamo la funzione f : Q+ → N0 che associa:
1
a1
1
536
···
···
A.4. NUMERI ALGEBRICI E TRASCENDENTI
2
a
1
1
a
2
1
a
3
3
a
1
4
a
1
3
a
2
2
a
3
1
a
4
...
2
3
4
5
6
7
8
9
Poiché f è una biiezione Q+ ha la stessa cardinalità di N0 e quindi di N pertanto Q+ è
numerabile. In modo analogo si dimostra che Q− .
Poiché Q = Q+ ∪ Q− ∪ {0}, Q è numerabile.
A.4
Numeri algebrici e trascendenti
Definizione A.4.1 (Numero algebrico).
Si dice numero algebrico un numero reale o complesso che è soluzione dell’equazione
an xn + . . . + a1 x + a0 = 0 con a0 , . . . , an ∈ Z
Esempio A.4.1.
• 5 è un numero algebrico perché è soluzione dell’equazione x − 5 = 0
• −2 è un numero algebrico perché è soluzione dell’equazione x + 2 = 0
2
è un numero algebrico perché è soluzione dell’equazione 3x − 2 = 0
3
√
• 2 è un numero algebrico perché è soluzione dell’equazione x2 − 2 = 0
√
• 3 2 è un numero algebrico perché è soluzione dell’equazione x3 − 2 = 0
•
• i è un numero algebrico perché è soluzione dell’equazione x2 + 1 = 0
Definizione A.4.2 (Numero trascendente).
Un numero reale o complesso si dice trascendente se non è algebrico
Esempio A.4.2. √
I numeri e, π, eπ , 2 2 sono trascendenti
Teorema A.4.1 (Numerabilità dell’insieme dei numeri algebrici).
L’insieme dei numeri algebrici è numerabile
537
APPENDICE A. POTENZA DEL CONTINUO
A.5
Potenza del continuo
Dimostrata la numerabilità dell’insieme dei numeri razionali e dell’insieme dei numeri algebrici si potrebbe supporre che ogni insieme infinito sia numerabile. Questo non è vero.
Teorema A.5.1.
L’insieme R ha la stessa cardinalità di P (N)
Poiché la cardinalità di N è minore della cardinalità di P (N), l’insieme dei numeri reali
non è numerabile. La potenza dei numeri reali, superiore alla potenza dei numeri naturali,
viene detta potenza del continuo.
A.5.1
Ipotesi del continuo
Abbiamo visto che la potenza dei numeri reali è superiore alla potenza dei numeri naturali.
Georg Cantor ha ipotizzato che:
Non esiste nessun insieme la cui potenza è strettamente compresa fra quella dei numeri
interi e quella dei numeri reali.
Tale ipotesi viene detta ipotesi del continuo.
538
Appendice B
Problemi classici della geometria
euclidea
B.1
Introduzione
I problemi classici della geometria euclidea sono:
1. duplicazione del cubo
2. trisezione dell’angolo
3. quadratura del cerchio
Il primo problema consiste nel determinare il lato di un cubo il cui volume sia doppio di
quello di un cubo dato.
Il secondo problema consiste nel costruire un angolo uguale alla terza parte di un angolo
dato.
Il terzo problema consiste nel determinare un quadrato avente area uguale a quella di un
cerchio dato .
La risoluzione di questi problemi, per i matematici greci, andava fatta unicamente con la
riga e con il compasso (per riga si intende una sbarra dritta, senza graduazione, usata
unicamente per tracciare linee rette).
Si dimostra che con riga e compasso si può:
1. costruire su una semiretta un segmento di lunghezza uguale a quella di un segmento
assegnato
2. tracciare da un punto non appartenente a una retta la parallela e la perpendicolare
alla retta data.
3. costruire su una semiretta un angolo di ampiezza uguale a quella di un angolo assegnato
4. determinare il punto medio di un segmento
5. determinare la bisettrice di un angolo
Per secoli i matematici hanno cercato di risolvere con riga e compasso i problemi classi, ma
nel diciannovesimo secolo si è dimostrata la loro non risolubilità con riga e compasso.
539
APPENDICE B. PROBLEMI CLASSICI DELLA GEOMETRIA
EUCLIDEA
B.2
Numeri costruibili
Definizione B.2.1 (Numeri costruibili).
Fissato nel piano un segmento di lunghezza unitaria, un numero reale a si dice costruibile
se è possibile costruire con riga e compasso un segmento di lunghezza uguale a |a|
Teorema B.2.1 (Numeri costruibili).
1. i numeri interi sono costruibili
2. la somma, la differenza, il prodotto e il rapporto di due numeri reali costruibili sono
costruibili.
3. i numeri razionali sono costruibili
4. la radice quadrata di un numero reale positivo costruibile è costruibile
Dimostriamo l’ultima affermazione.
P
√
B
a
A
1
r
M
C
a
Figura B.1: radice quadrata di a
Dato il numero reale positivo costruibile a, siano A, B, C i punti della retta r tali che AB = 1
e AC = a.
Detto M il punto medio del segmento BC, tracciamo la semicirconferenza di centro M
passante per B. Tracciamo la perpendicolare alla retta r passante per A che interseca la
semicirconferenza nel punto P . Poiché triangolo P BC è rettangolo in P perché inscritto in
una semicirconferenza, applicando il secondo teorema di Euclide si ha
2
AP = ABAC = 1a = a
da cui
AP =
√
a
Teorema B.2.2.
Se un numero è costruibile allora è algebrico
540
B.3. DUPLICAZIONE DEL CUBO
Quindi i numeri trascendenti non sono costruibili.
Il teorema non si può invertire, cioè esistono numeri algebrici che non sono costruibili
Teorema √
B.2.3.
Il numero 3 2 non è costruibile
Teorema B.2.4.
Se l’equazione
ax3 + bx2 + cx + d = 0 con a, b, c, d ∈ Q ∧ a 6= 0
non ammette radici razionali, allora nessuna delle sue radici è un numero costruibile
B.3
Duplicazione del cubo
Il problema della duplicazione del cubo è anche detto problema di Delo.
Delo è un’isola greca dove esistevano due templi dedicati ad Apollo e Latona, ed era famosa
per l’oracolo detto appunto di Delo.
Nel quinto secolo avanti Cristo una terribile peste eliminò un quarto della popolazione di
Atene. Per far cessare l’epidemia l’oracolo chiese di raddoppiare il volume dell’altare di
Apollo, mantenendo la sua forma cubica. La popolazione di Delo, poco esperta di matematica, raddoppiò gli spigoli del cubo e l’epidemia peggiorò. Il popolo consultò Platone, il
quale rispose che Apollo aveva voluto punire la loro ignoranza, perché avevano costruito un
altare cubico di volume otto volte il precedente e non doppio.
Analiticamente, se a è la misura del lato del cubo dato e x quella del lato del cubo di volume
doppio, si ha
x3 = 2a3
Nel caso in cui a = 1 la relazione precedente diventa
x3 = 2
da cui
√
3
x= 2
Poiché il numero
B.4
√
3
2 non è costruibile non è possibile duplicare il cubo con riga e compasso.
Trisezione dell’angolo
Il problema di costruire un angolo uguale alla terza parte di un angolo dato con riga e
compasso è risolubile per alcuni angoli (per esempio 90◦ , 180◦ ) ma non per tutti.
Analiticamente, se α è la misura del angolo dato e x quella della terza parte si ha
x=
α
3
541
APPENDICE B. PROBLEMI CLASSICI DELLA GEOMETRIA
EUCLIDEA
da cui
cos(x) = cos
α
3
Å ã
Poiché
cos(3θ) = 4 cos3 (θ) − 3 cos(θ)
per θ =
α
si ha
3
cos(α) = 4 cos3
Å ã
α
α
− 3 cos
3
3
Å ã
e quindi
cos(α) = 4 cos3 (x) − 3 cos(x)
Nel caso in cui α = 60◦ la relazione precedente diventa
1
= 4 cos3 (x) − 3 cos(x)
2
posto cos(x) = y si ottiene l’equazione algebrica
8y 3 − 6y − 1 = 0
Utilizzando la regola di Ruffini si dimostra che l’equazione non ammette soluzioni razionali, quindi nessuna soluzione reale è costruibile e non è possibile effettuare la trisezione
dell’angolo di 60◦ .
B.5
Quadratura del cerchio
Analiticamente, se r è la misura del raggio del cerchio dato e x quella del lato del quadrato
di area uguale si ha
x2 = πr2
Nel caso in cui r = 1 la relazione precedente diventa
x2 = π
da cui
√
x= π
Nel 1882 Ferdinand von Lindemann dimostrò che π è un numero trascendente e quindi non
costruibile.√
Il numero π non è costruibile, altrimenti lo sarebbe anche π.
542
Indice
I
CLASSE PRIMA RIASSUNTO
1
1 Logica
1.1 Teoria matematica . . . . . . . . . . . . .
1.2 Proposizioni . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.3 Connettivi . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.3.1 Connettivo non . . . . . . . . . . .
1.3.2 Connettivo e . . . . . . . . . . . . .
1.3.3 Connettivo o . . . . . . . . . . . .
1.4 Espressioni logiche . . . . . . . . . . . . .
1.4.1 Tautologie e contraddizioni . . . . .
1.5 Proprietà delle operazioni logiche . . . . .
1.6 Proposizioni aperte e quantificatori . . . .
1.6.1 Proposizioni aperte . . . . . . . . .
1.6.2 Quantificatori . . . . . . . . . . . .
1.7 Implicazione logica . . . . . . . . . . . . .
1.8 Equivalenza logica o biimplicazione logica
1.9 Dimostrazione per assurdo . . . . . . . . .
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2
2
2
3
3
3
4
4
4
4
5
5
6
6
6
7
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8
8
8
8
9
9
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10
10
10
11
11
12
12
12
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2 Insiemi
2.1 Rappresentazione degli insiemi . . . . . . . . . . . . . . .
2.2 Insiemi particolari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.3 Inclusione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.4 Insieme delle parti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.5 Operazioni tra insiemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.5.1 Unione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.5.2 Intersezione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.5.3 Differenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.5.4 Insieme complementare . . . . . . . . . . . . . . .
2.5.5 Proprietà delle operazioni tra insiemi . . . . . . .
2.6 Partizione di un insieme . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.7 Prodotto cartesiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.7.1 Rappresentazione grafica del prodotto cartesiano .
2.7.2 Prodotto cartesiano di più insiemi . . . . . . . . .
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3 Relazioni tra due insiemi
13
3.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
543
INDICE
3.2
3.3
3.4
3.5
Grafo . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Rapprentazione grafica di una relazione
Relazione inversa . . . . . . . . . . . .
Tipi di relazioni . . . . . . . . . . . . .
3.5.1 Relazioni ovunque definite . . .
3.5.2 Relazioni funzionali . . . . . . .
3.5.3 Relazioni suriettive . . . . . . .
3.5.4 Relazioni iniettive . . . . . . . .
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14
14
14
14
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14
14
4 Relazioni in un insieme
4.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . .
4.2 Proprietà delle relazioni in un insieme . .
4.2.1 Proprietà riflessiva . . . . . . . .
4.2.2 Proprietà antiriflessiva . . . . . .
4.2.3 Proprietà simmetrica . . . . . . .
4.2.4 Proprietà antisimmetrica . . . . .
4.2.5 Proprietà transitiva . . . . . . . .
4.3 Relazione d’ordine . . . . . . . . . . . .
4.3.1 Massimo e minimo di un insieme
4.4 Relazione di equivalenza . . . . . . . . .
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17
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23
23
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26
26
5 Numeri naturali
5.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
5.2 Addizione e moltiplicazione . . . . . . . . . . . . . .
5.2.1 Proprietà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
5.3 Relazioni nell’insieme dei numeri naturali . . . . . . .
5.3.1 Relazioni minore e maggiore . . . . . . . . . .
5.3.2 Relazioni divisore e multiplo . . . . . . . . . .
5.4 Criteri di divisibilità . . . . . . . . . . . . . . . . . .
5.5 Numeri primi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
5.6 Massimo comune divisore e minimo comune multiplo
6 Numeri interi
6.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
6.2 Addizione e moltiplicazione . . . . . . . . . . . . . .
6.2.1 Proprietà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
6.2.2 Numeri interi concordi e discordi . . . . . . .
6.3 Sottrazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
6.4 Relazioni nell’insieme dei numeri interi . . . . . . . .
6.4.1 Relazioni minore e maggiore . . . . . . . . . .
6.4.2 Relazioni divisore e multiplo . . . . . . . . . .
6.5 Valore assoluto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
6.6 Massimo comune divisore e minimo comune multiplo
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7 Numeri razionali
27
7.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27
544
INDICE
7.2
7.3
7.4
7.5
7.6
7.7
Addizione e moltiplicazione . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7.2.1 Proprietà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7.2.2 Numeri razionali concordi e discordi . . . . . . . . . .
7.2.3 Proprietà invariantiva . . . . . . . . . . . . . . . . .
Divisione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Relazioni minore e maggiore nell’insieme dei numeri razionali
7.4.1 Ordinamento dei numeri razionali . . . . . . . . . . .
7.4.2 Compatibilità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Densità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Numeri decimali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7.6.1 Trasformazione dei numeri decimali in frazione . . . .
7.6.2 Notazione scientifica . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7.6.3 Ordine di grandezza . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Rapporti e proporzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7.7.1 Proprietà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7.7.2 Percentuali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
8 Numeri reali
8.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
8.2 Numeri irrazionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
8.3 Insieme dei numeri reali . . . . . . . . . . . . . . .
8.4 Addizione e moltiplicazione . . . . . . . . . . . . .
8.5 Sottrazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
8.6 Divisione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
8.7 Relazioni minore e maggiore nell’insieme dei numeri
8.7.1 Compatibilità . . . . . . . . . . . . . . . . .
8.8 Continuità dei numeri reali . . . . . . . . . . . . . .
8.9 Approssimazione dei numeri reali . . . . . . . . . .
. . .
. . .
. . .
. . .
. . .
. . .
reali
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. . .
9 Monomi e polinomi
9.1 Monomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
9.1.1 Monomi in forma normale . . . . . . . . . . . .
9.1.2 Grado di un monomio . . . . . . . . . . . . . .
9.1.3 Monomi simili . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
9.2 Addizione di monomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
9.3 Opposto di un monomio . . . . . . . . . . . . . . . . .
9.4 Moltiplicazione di monomi . . . . . . . . . . . . . . . .
9.4.1 Legge di annullamento del prodotto . . . . . . .
9.5 Elevamento a potenza di monomi . . . . . . . . . . . .
9.6 Divisione di monomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
9.7 Massimo comune divisore e minimo comune multiplo di
9.8 Polinomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
9.8.1 Polinomi in forma normale . . . . . . . . . . . .
9.8.2 Grado di un polinomio . . . . . . . . . . . . . .
9.8.3 Polinomi omogenei, ordinati, completi . . . . . .
9.9 Opposto di un polinomio . . . . . . . . . . . . . . . . .
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44
INDICE
9.10 Moltiplicazione di polinomi . . . . . . . .
9.11 Prodotti notevoli . . . . . . . . . . . . .
9.11.1 Somma di due monomi per la loro
9.11.2 Quadrato di un binomio . . . . .
9.11.3 Quadrato di un trinomio . . . . .
9.11.4 Cubo di un binomio . . . . . . .
9.11.5 Potenza di un binomio . . . . . .
9.12 Polinomi come funzioni . . . . . . . . . .
9.12.1 Principio di identità dei polinomi
9.13 Divisione di polinomi . . . . . . . . . . .
9.13.1 Regola di Ruffini . . . . . . . . .
9.13.2 Teorema del resto . . . . . . . . .
9.13.3 Teorema di Ruffini . . . . . . . .
9.13.4 Divisibilità di binomi notevoli . .
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differenza
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10 Scomposizione di polinomi
10.1 Metodi di scomposizione dei polinomi . . . . . . . . . .
10.1.1 Raccoglimento a fattor comune totale . . . . . .
10.1.2 Raccoglimento a fattor comune parziale . . . . .
10.1.3 Scomposizione mediante prodotti notevoli . . .
10.1.4 Trinomio particolare . . . . . . . . . . . . . . .
10.1.5 Scomposizione con la regola di Ruffini . . . . .
10.2 Osservazioni conclusive sulla scomposizione . . . . . . .
10.3 Massimo comune divisore e minimo comune multiplo di
11 Frazioni algebriche
11.1 Le frazioni algebriche come funzioni . . . . .
11.2 Semplificazione di frazioni algebriche . . . .
11.3 Addizione algebrica di frazioni algebriche . .
11.4 Moltiplicazione di frazioni algebriche . . . .
11.5 Divisione di frazioni algebriche . . . . . . . .
11.6 Frazione di frazioni algebriche . . . . . . . .
11.7 Elevamento a potenza di frazioni algebriche
12 Geometria piana
12.1 Introduzione . . . . . . . . .
12.2 Assiomi di appartenenza . .
12.3 Assiomi di ordinamento . .
12.4 Semiretta, segmento, angolo
12.5 Relazione di congruenza . .
12.5.1 Lunghezza . . . . . .
12.5.2 Ampiezza . . . . . .
12.6 Punto medio . . . . . . . . .
12.7 Bisettrice . . . . . . . . . .
12.8 Angolo retto, acuto, ottuso .
12.9 Rette perpendicolari . . . .
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INDICE
12.10Retta perpendicolare passante per un punto e distanza
12.11Asse di un segmento . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
12.12Angoli complementari, supplementari, esplementari . .
12.13Angoli opposti al vertice . . . . . . . . . . . . . . . . .
12.14Triangoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
12.15Mediane, bisettrici, altezze, assi . . . . . . . . . . . . .
12.16Criteri di congruenza dei triangoli . . . . . . . . . . . .
12.17Proprietà dei triangoli isosceli . . . . . . . . . . . . . .
12.18Disuguaglianze nei triangoli . . . . . . . . . . . . . . .
12.19Assioma di Euclide . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
12.20Rette parallele tagliate da una trasversale . . . . . . .
12.21Applicazioni del parallelismo ai triangoli . . . . . . . .
12.22Triangoli rettangoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
12.23Asse di un segmento e bisettrice di un angolo . . . . . .
12.24Quadrilateri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
12.25Parallelogrammi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
12.26Rettangoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
12.27Rombi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
12.28Quadrati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
12.29Trapezi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
12.30Caso particolare del teorema di Talete . . . . . . . . .
13 Equazioni di primo grado
13.1 Risolubilità di un’equazione . . . . . . . . .
13.1.1 Equazione impossibile . . . . . . . .
13.1.2 Equazione determinata . . . . . . . .
13.1.3 Equazione indeterminata . . . . . . .
13.1.4 Identità . . . . . . . . . . . . . . . .
13.2 Principi di equivalenza delle equazioni . . .
13.2.1 Primo principio di equivalenza . . .
13.2.2 Secondo principio di equivalenza . . .
13.3 Forma normale di un’equazione . . . . . . .
13.4 Grado di un’equazione . . . . . . . . . . . .
13.5 Risoluzione delle equazioni numeriche intere
13.6 Risoluzione delle equazioni numeriche fratte
II
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CLASSE SECONDA
77
1 Sistemi di primo grado
1.1 Introduzione . . . . . . . . . .
1.2 Soluzioni di un sistema . . . .
1.3 Risolubilità di un sistema . .
1.3.1 Sistema impossibile . .
1.3.2 Sistema determinato .
1.3.3 Sistema indeterminato
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2 Radicali
2.1 Radice ennesima aritmetica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.2 Estensione in R dei radicali con indice dispari . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.3 Condizioni di esistenza dei radicali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.4 Proprietà invariantiva dei radicali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.5 Riduzione di più radicali allo stesso indice . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.6 Ordinamento di radicali numerici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.7 Semplificazione di radicali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.8 Moltiplicazione di radicali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.9 Divisione di radicali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.10 Trasporto di un fattore dentro il segno di radice . . . . . . . . . . . . . . . .
2.11 Trasporto di un fattore fuori dal segno di radice . . . . . . . . . . . . . . . .
2.12 Elevamento a potenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.13 Radice di radice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.14 Radicali simili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.15 Addizione algebrica di radicali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.16 Razionalizzazione dei denominatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.16.1 Primo caso: il denominatore è una radice quadrata . . . . . . . . . .
2.16.2 Secondo caso: il denominatore è una radice ennesima . . . . . . . . .
2.16.3 Terzo caso: il denominatore è una somma o differenza di due radicali
quadratici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.16.4 Quarto caso: il denominatore è una somma o differenza di due radicali
cubici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.17 Radicali doppi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.18 I radicali come potenze con esponente razionale . . . . . . . . . . . . . . . .
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3 Equazioni di secondo grado
3.1 Equazioni di secondo grado spurie . . . . . . . . . . .
3.2 Equazioni di secondo grado pure . . . . . . . . . . . .
3.3 Equazioni di secondo grado complete . . . . . . . . .
3.3.1 Formula ridotta . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.4 Relazioni fra soluzioni e coefficienti di un’equazione di
3.5 Scomposizione del trinomio di secondo grado . . . . .
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1.7
1.3.4 Sistema identico . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Principi di equivalenza dei sistemi . . . . . . . . . . . . .
Grado di un sistema . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Metodi di risoluzione dei sistemi di primo grado . . . . .
1.6.1 Metodo di sostituzione . . . . . . . . . . . . . . .
1.6.2 Metodo di riduzione o della combinazione lineare
1.6.3 Matrici e determinanti . . . . . . . . . . . . . . .
1.6.4 Metodo di Cramer . . . . . . . . . . . . . . . . .
Sistemi di tre equazioni in tre incognite . . . . . . . . . .
1.7.1 Metodo di sostituzione . . . . . . . . . . . . . . .
1.7.2 Metodo di Cramer . . . . . . . . . . . . . . . . .
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secondo grado
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INDICE
4 Equazioni di grado superiore al secondo
4.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.2 Equazioni risolubili con la legge dell’annullamento del
4.3 Equazioni binomie . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.4 Equazioni trinomie . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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prodotto
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5 Sistemi di grado superiore al primo
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5.1 Risoluzione di un sistema di secondo grado . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99
5.2 Sistemi con un’equazione di primo grado . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99
5.3 Particolari sistemi di quarto grado . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99
6 Disequazioni
6.1 Intervalli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
6.2 Risolubilità di una disequazione . . . . . . . . .
6.2.1 Disequazione impossibile . . . . . . . . .
6.2.2 Disequazione risolubile . . . . . . . . . .
6.2.3 identità . . . . . . . . . . . . . . . . . .
6.3 Principi di equivalenza delle disequazioni . . . .
6.3.1 Primo principio di equivalenza . . . . .
6.3.2 Secondo principio di equivalenza . . . . .
6.4 Forma normale di una disequazione . . . . . . .
6.5 Grado di una disequazione . . . . . . . . . . . .
6.6 Disequazioni di primo grado . . . . . . . . . . .
6.7 Studio del segno del polinomio di primo grado .
6.8 Disequazioni di secondo grado . . . . . . . . . .
6.9 Studio del segno del polinomio di secondo grado
6.10 Disequazioni di grado superiore al secondo . . .
6.11 Disequazioni fratte . . . . . . . . . . . . . . . .
6.12 Sistemi di disequazioni . . . . . . . . . . . . . .
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7 Circonferenza
7.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7.2 Proprietà della corda . . . . . . . . . . . . . . . .
7.3 Archi, angoli, segmenti circolari e settori circolari
7.4 Posizioni reciproche tra circonferenza e retta . . .
7.5 Posizioni reciproche tra due circonferenze . . . . .
7.6 Angoli alla circonferenza . . . . . . . . . . . . . .
7.7 Punti notevoli di un triangolo . . . . . . . . . . .
7.8 Poligoni inscritti e circoscritti . . . . . . . . . . .
7.9 Poligoni regolari . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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8 Equiestensione
8.1 Figure equiestese . . . . . .
8.2 Primo teorema di Euclide .
8.3 Teorema di Pitagora . . . .
8.4 Secondo teorema di Euclide
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INDICE
8.5
8.6
8.7
Quadratura di un poligono . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 125
Quadratura del cerchio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 125
Area . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 125
9 Grandezze geometriche e misure
126
9.1 Classe di grandezze omogenee . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 126
9.2 Rapporti fra grandezze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 126
9.3 Proporzioni fra grandezze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 127
9.4 La misura delle grandezze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 128
9.5 Aree dei poligoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 128
9.6 Lunghezza della circonferenza e area del cerchio . . . . . . . . . . . . . . . . 129
9.6.1 Lunghezza della circonferenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 129
9.6.2 Lunghezza di un arco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 130
9.6.3 Area del cerchio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 131
9.6.4 Area di un settore circolare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 132
9.7 Teorema di Talete . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133
9.8 Problemi di geometria applicata all’algebra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 134
9.8.1 Relazione tra lato e diagonale di un quadrato . . . . . . . . . . . . . 135
9.8.2 Relazione tra lato e altezza di un triangolo equilatero . . . . . . . . . 135
9.8.3 Relazione tra i lati in un triangolo con gli angoli di 30, 60, 90 gradi . 136
9.8.4 Relazione tra i lati in un triangolo con gli angoli di 45, 45, 90 gradi . 136
9.8.5 Relazione tra lati e altezza in un triangolo isoscele . . . . . . . . . . . 137
9.8.6 Relazione tra lati, diagonali e raggio circonferenza inscritto in un rombo137
9.8.7 Relazione tra basi, lato obliquo e altezza in un trapezio rettangolo . . 138
9.8.8 Relazione tra basi, lato obliquo e altezza in un trapezio isoscele . . . 138
9.8.9 Area di un triangolo in funzione dei lati: formula di Erone . . . . . . 139
9.8.10 Raggio della circonferenza inscritta in un triangolo . . . . . . . . . . 139
9.8.11 Relazione tra lato, apotema di un quadrato e raggio della circonferenza circoscritta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 140
9.8.12 Relazione tra lato, apotema di un quadrato e raggio della circonferenza inscritta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 140
9.8.13 Relazione tra lato, apotema di un esagono e raggio della circonferenza
circoscritta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 141
9.8.14 Relazione tra lato, apotema di un esagono e raggio della circonferenza
inscritta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 141
9.8.15 Relazione tra lato, apotema di un triangolo equilatero e raggio della
circonferenza circoscritta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 142
9.8.16 Relazione tra lato, apotema di un triangolo equilatero e raggio della
circonferenza inscritta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 142
10 Similitudine fra poligoni
10.1 Poligoni simili . . . . . . . . . . . . .
10.2 Criteri di similitudine dei triangoli . .
10.3 La similitudine e i teoremi di Euclide
10.4 La similitudine e la circonferenza . .
10.5 Raggio della circonferenza circoscritta
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triangolo
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INDICE
10.6 La sezione aurea . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 147
10.6.1 Costruzione di Erone della sezione aurea di un segmento . . . . . . . 147
10.6.2 Numero aureo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 148
III
CLASSE TERZA
150
1 Equazioni e disequazioni con valori assoluti e irrazionali
1.1 Valore assoluto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.2 Equazioni con valori assoluti . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.2.1 Equazioni con un valore assoluto . . . . . . . . . . . .
1.2.2 Casi particolari di equazioni con valori assoluti . . . . .
1.2.3 Equazioni con due o più valori assoluti . . . . . . . . .
1.3 Disequazioni con valori assoluti . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.3.1 Disequazioni con un valore assoluto . . . . . . . . . . .
1.3.2 Casi particolari di disequazioni con valori assoluti . . .
1.3.3 Disequazioni con due o più valori assoluti . . . . . . . .
1.4 Equazioni irrazionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.4.1 Equazioni con una radice di indice pari . . . . . . . . .
1.4.2 Equazioni con una radice di indice dispari . . . . . . .
1.4.3 Altri tipi di equazioni irrazionali . . . . . . . . . . . . .
1.5 Disequazioni irrazionali . . . . . »
. . . . . . . . . . . . . . . . .
1.5.1 Disequazioni della forma n f (x) < g(x) con n pari . .
»
1.5.2 Disequazioni della forma n f (x) > g(x) con n pari . .
»
1.5.3 Disequazioni della forma n f (x) < g(x) con n dispari
1.5.4 Disequazioni irrazionali con frazioni . . . . . . . . . . .
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156
2 Piano cartesiano
2.1 Vettori del piano . . . . . . . .
2.2 Componenti di un vettore . . .
2.3 Vettori uguali . . . . . . . . . .
2.4 Modulo di un vettore . . . . . .
2.5 Somma di vettori . . . . . . . .
2.6 Differenza di vettori . . . . . . .
2.7 Prodotto di un numero reale per
2.8 Versori fondamentali . . . . . .
2.9 Prodotto scalare di vettori . . .
2.9.1 Vettori ortogonali . . . .
2.10 Determinante di due vettori . .
2.10.1 Vettori paralleli . . . . .
2.11 Relazione di Chasles . . . . . .
2.12 Distanza tra due punti . . . . .
2.13 Punto medio di un segmento . .
2.14 Baricentro di un triangolo . . .
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161
3 Retta
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un
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vettore
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551
INDICE
3.1
Equazione in forma implicita della retta . . . . . . . . . . . . . . .
3.1.1 Rette parallele all’asse x . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.1.2 Rette parallele all’asse y . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.1.3 Rette passanti per l’origine . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.2 Equazione in forma esplicita della retta . . . . . . . . . . . . . . . .
3.3 Rappresentazione grafica della retta . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.4 Retta passante per due punti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.4.1 Coefficiente angolare della retta passante per due punti . . .
3.4.2 Punti allineati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.5 Retta passante per un punto con dato coefficiente angolare . . . . .
3.6 Rette parallele . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.6.1 Retta passante per un punto parallela a una retta data . . .
3.7 Rette perpendicolari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.7.1 Retta passante per un punto perpendicolare a una retta data
3.7.2 Asse di un segmento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.8 Intersezione tra due rette . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.9 Distanza di un punto da una retta . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.10 Distanza tra due rette parallele . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.11 Bisettrice di un angolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.12 Fasci di rette . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.12.1 Fascio improprio di rette . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.12.2 Fascio proprio di rette . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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4 Parabola
4.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.2 Equazione della parabola con asse parallelo all’asse delle ordinate . .
4.2.1 Equazione della parabola con vertice nell’origine . . . . . . . .
4.2.2 Equazione della parabola passante per l’origine . . . . . . . .
4.2.3 Equazione della parabola avente come asse l’asse y . . . . . .
4.3 Equazione della parabola con asse parallelo all’asse delle ascisse . . .
4.3.1 Equazione della parabola con vertice nell’origine . . . . . . . .
4.3.2 Equazione della parabola passante per l’origine . . . . . . . .
4.3.3 Equazione della parabola avente come asse l’asse x . . . . . .
4.4 Rappresentazione grafica della parabola . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.5 Intersezione retta parabola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.6 Tangenti a una parabola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.6.1 Polare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.6.2 Tangente alla parabola in un punto appartenente alla parabola
4.6.3 Tangenti alla parabola da un punto esterno alla parabola . . .
4.6.4 Tangente alla parabola parallela a una retta . . . . . . . . . .
4.7 Problemi sulla parabola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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. 172
5 Circonferenza
174
5.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 174
5.2 Equazione della circonferenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 174
5.2.1 Equazione della circonferenza con centro nell’origine . . . . . . . . . . 175
552
INDICE
5.3
5.4
5.5
5.6
5.7
5.8
5.2.2 Equazione della circonferenza passante per l’origine . . . . . . . . . . 175
Rappresentazione grafica della circonferenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . 175
Intersezione retta circonferenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 175
Tangenti a una circonferenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 175
5.5.1 Polare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 175
5.5.2 Tangente alla circonferenza in un punto appartenente alla circonferenza176
5.5.3 Tangenti alla circonferenza da un punto esterno alla circonferenza . . 176
5.5.4 Tangenti alla circonferenza parallele a una retta . . . . . . . . . . . . 176
Intersezione tra due circonferenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 177
Problemi sulla circonferenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 177
Fascio di circonferenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 178
5.8.1 Circonferenze secanti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 179
5.8.2 Circonferenze tangenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 179
5.8.3 Circonferenze concentriche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 179
5.8.4 Circonferenze senza punti in comune e non concentriche . . . . . . . . 179
6 Ellisse
180
6.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 180
6.2 Equazione dell’ellisse con i fuochi sull’asse delle ascisse, simmetrici rispetti
all’origine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 180
6.3 Equazione dell’ellisse con i fuochi sull’asse delle ordinate, simmetrici rispetti
all’origine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 180
6.4 Proprietà dell’ellisse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 181
6.4.1 Intersezione con gli assi cartesiani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 181
6.4.2 Limitazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 181
6.4.3 Fuochi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 181
6.4.4 Eccentricità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 182
6.4.5 Area . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 182
6.5 Rappresentazione grafica dell’ellisse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 182
6.6 Intersezione retta ellisse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 182
6.7 Tangenti a un’ellisse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 183
6.7.1 Polare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 183
6.7.2 Tangente all’ellisse in un punto appartenente all’ellisse . . . . . . . . 183
6.7.3 Tangenti all’ellisse da un punto esterno all’ellisse . . . . . . . . . . . . 183
6.7.4 Tangenti all’ellisse parallele a una retta . . . . . . . . . . . . . . . . . 183
6.8 Problemi sull’ellisse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 184
7 Iperbole
185
7.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 185
7.2 Equazione dell’iperbole con i fuochi sull’asse delle ascisse, simmetrici rispetti
all’origine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 185
7.3 Equazione dell’iperbole con i fuochi sull’asse delle ordinate, simmetrici rispetti all’origine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 185
7.4 Proprietà dell’iperbole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 186
7.4.1 Intersezione con gli assi cartesiani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 186
7.4.2 Fuochi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 186
553
INDICE
7.5
7.6
7.7
7.8
7.9
7.10
7.11
7.12
7.13
7.4.3 Eccentricità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7.4.4 Asintoti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Iperbole equilatera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Proprietà dell’iperbole equilatera . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7.6.1 Intersezione con gli assi cartesiani . . . . . . . . . . . . . .
7.6.2 Fuochi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7.6.3 Eccentricità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7.6.4 Asintoti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Iperbole equilatera riferita agli asintoti . . . . . . . . . . . . . . .
7.7.1 Vertici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7.7.2 Fuochi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Rappresentazione grafica dell’iperbole . . . . . . . . . . . . . . . .
Intersezione retta iperbole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Tangenti a un’iperbole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7.10.1 Polare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7.10.2 Tangente all’iperbole in un punto appartenente all’iperbole
7.10.3 Tangenti all’iperbole da un punto esterno all’iperbole . . .
7.10.4 Tangenti all’iperbole parallele a una retta . . . . . . . . . .
Problemi sull’iperbole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Funzione omografica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Problemi sulla funzione omografica . . . . . . . . . . . . . . . . .
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190
190
190
190
191
191
192
8 Coniche
193
8.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 193
8.2 Equazione generale di una conica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 194
8.3 Metodo alternativo per classificare le coniche . . . . . . . . . . . . . . . . . . 194
9 Disequazioni in due variabili
9.1 Soluzioni di una disequazione in due variabili . . . .
9.2 Disequazioni di primo grado . . . . . . . . . . . . .
9.3 Disequazioni di secondo grado . . . . . . . . . . . .
9.4 Sistemi di disequazioni di primo grado . . . . . . .
9.5 Sistemi di disequazioni di grado superiore al primo
10 Funzioni goniometriche
10.1 Misura degli angoli . . . . . . . . . . . . . . . . .
10.2 Circonferenza goniometrica . . . . . . . . . . . . .
10.3 Funzioni seno e coseno . . . . . . . . . . . . . . .
10.3.1 Relazione fondamentale della goniometria
10.3.2 Grafico della funzione seno . . . . . . . . .
10.3.3 Grafico della funzione coseno . . . . . . . .
10.4 Funzioni tangente e cotangente . . . . . . . . . .
10.4.1 Relazioni della goniometria . . . . . . . . .
10.4.2 Grafico della funzione tangente . . . . . .
10.4.3 Grafico della funzione cotangente . . . . .
10.5 Funzioni secante e cosecante . . . . . . . . . . . .
554
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199
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. 201
. 202
. 202
. 204
. 204
. 205
. 206
INDICE
10.5.1 Relazioni della goniometria . . .
10.5.2 Grafico della funzione secante .
10.5.3 Grafico della funzione cosecante
10.6 Dominio, codominio periodo e zeri delle
. . . . .
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funzioni
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goniometriche
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207
208
209
210
11 Formule goniometriche
11.1 Angoli associati . . . . . . . . . . . . . . .
11.1.1 Angoli opposti: α, −α . . . . . . .
π
11.1.2 Angoli complementari: α, − α .
2
11.1.3 Angoli che differiscono di un angolo
11.1.4 Angoli supplementari: α, π − α . .
11.1.5 Angoli che differiscono di un angolo
11.2
11.3
11.4
11.5
11.6
11.7
211
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 211
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 211
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 212
π
retto: α, + α . . . . . . . . . 213
2
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 213
piatto: α, π + α . . . . . . . . . 214
3
11.1.6 Angoli la cui somma è il triplo di un angolo retto: α, π − α . . . . 215
2
3
11.1.7 Angoli che differiscono del triplo di un angolo retto: α, π + α . . . 216
2
Formule di addizione e sottrazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 216
11.2.1 Tangente angolo formato da due rette incidenti . . . . . . . . . . . . 217
Formule di duplicazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 217
Formule di bisezione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 217
Formule parametriche razionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 218
11.5.1 Parametriche del coseno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 218
11.5.2 Parametriche della tangente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 218
Formule di Werner . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 218
Formule di Prostaferesi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 218
12 Equazioni goniometriche
12.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
12.2 Funzioni inverse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
12.2.1 Arcoseno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
12.2.2 Arcocoseno . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
12.2.3 Arcotangente . . . . . . . . . . . . . . . . . .
12.2.4 Arcocotangente . . . . . . . . . . . . . . . . .
12.3 Equazioni goniometriche elementari . . . . . . . . . .
12.3.1 sin (x) = a . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
12.3.2 cos (x) = a . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
12.3.3 tan (x) = a . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
12.3.4 cot (x) = a . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
12.4 Equazioni lineari in seno e coseno . . . . . . . . . . .
12.4.1 Risoluzione con il metodo dell’angolo aggiunto
12.4.2 Risoluzione con le formule parametriche . . .
12.5 Equazioni omogenee in seno e coseno . . . . . . . . .
12.6 Equazioni riconducibili a omogenee . . . . . . . . . .
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. 224
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. 225
. 225
. 225
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. 226
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13 Disequazioni goniometriche
228
13.1 Disequazioni elementari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 228
555
INDICE
13.2
13.3
13.4
13.5
13.1.1 sin (x) > a . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
13.1.2 cos (x) > a . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
13.1.3 tan (x) > a . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
13.1.4 cot (x) > a . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Disequazioni di secondo grado in una funzione goniometrica
Disequazioni fratte e scomponibili in fattori . . . . . . . . .
Disequazioni lineari in seno e coseno . . . . . . . . . . . . .
13.4.1 Risoluzione con il metodo dell’angolo aggiunto . . . .
13.4.2 Risoluzione con le formule parametriche . . . . . . .
Disequazioni omogenee in seno e coseno . . . . . . . . . . . .
13.5.1 Grado pari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
13.5.2 Grado dispari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
14 Trigonometria
14.1 Teoremi sui triangoli rettangoli
14.2 Area di un triangolo . . . . . .
14.3 Teorema della corda . . . . . .
14.4 Teorema dei seni . . . . . . . .
14.5 Teorema del coseno . . . . . . .
IV
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CLASSE QUARTA
228
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229
230
230
230
231
231
232
232
232
233
236
1 Statistica
1.1 Indagine statistica . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.2 Popolazione e unità statistica . . . . . . . . . . . .
1.3 Caratteri statistici e modalità . . . . . . . . . . . .
1.3.1 Caratteri qualitativi o quantitativi . . . . .
1.4 Serie e seriazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.5 Variabili e mutabili statistiche . . . . . . . . . . . .
1.6 Distribuzioni di frequenze . . . . . . . . . . . . . .
1.7 Distribuzioni di frequenze in classi . . . . . . . . . .
1.8 Tabelle . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.9 Grafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.9.1 Grafico a canne d’organo o ortogramma . .
1.9.2 Diagrammi cartesiani . . . . . . . . . . . . .
1.9.3 Diagramma a torta . . . . . . . . . . . . . .
1.9.4 Istogrammi . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.10 Funzione di ripartizione cumulativa delle frequenze
1.11 Frequenza cumulata dal basso . . . . . . . . . . . .
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242
242
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242
242
243
244
2 Valori medi statistici
2.1 Medie algebriche . . . .
2.1.1 Media aritmetica
2.1.2 Media geometrica
2.1.3 Media armonica .
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INDICE
2.2
2.1.4
Medie
2.2.1
2.2.2
Media quadratica
lasche . . . . . . .
Moda . . . . . .
Mediana . . . . .
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3 Variabilità
3.1 Introduzione . . . . . . . . . . . .
3.2 Campo di variazione . . . . . . .
3.3 Varianza e deviazione standard .
3.4 Scarto semplice medio . . . . . .
3.5 Indici di variabilità relativa . . .
3.6 Standardizzazione . . . . . . . . .
3.7 Rapporti statistici . . . . . . . . .
3.7.1 Rapporti di composizione
3.7.2 Rapporti di densità . . . .
3.7.3 Rapporti di derivazione . .
3.7.4 Rapporto di coesistenza .
3.7.5 Numeri indici . . . . . . .
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4 Variabili e mutabili statistiche bivariate
4.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . .
4.2 Distribuzioni di frequenze congiunte . . .
4.3 Distribuzioni marginali . . . . . . . . . .
4.4 Rappresentazioni grafiche . . . . . . . .
4.5 Distribuzioni condizionate . . . . . . . .
4.6 Media e varianza . . . . . . . . . . . . .
5 Strutture algebriche
5.1 Insiemi numerici . . . . . . . .
5.1.1 Numeri naturali . . . .
5.1.2 Numeri pari . . . . . .
5.1.3 Numeri dispari . . . .
5.1.4 Numeri interi . . . . .
5.1.5 Numeri razionali . . .
5.1.6 Numeri irrazionali . . .
5.1.7 Numeri reali . . . . . .
5.1.8 Numeri complessi . . .
5.1.9 Classi di resto . . . . .
5.2 Operazioni . . . . . . . . . . .
5.3 Strutture . . . . . . . . . . . .
5.4 Proprietà delle operazioni . .
5.4.1 Commutativa . . . . .
5.4.2 Idempotenza . . . . . .
5.4.3 Associativa . . . . . .
5.4.4 Esistenza dell’elemento
5.4.5 Esistenza dell’elemento
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nullificatore
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. 253
. 253
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. 254
. 254
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INDICE
5.5
5.6
5.7
5.8
5.4.6 Esistenza dell’elemento inverso . .
5.4.7 Distributiva . . . . . . . . . . . .
5.4.8 Assorbimento . . . . . . . . . . .
Classificazione delle strutture . . . . . .
5.5.1 Semigruppo . . . . . . . . . . . .
5.5.2 Semigruppo commutativo . . . .
5.5.3 Monoide . . . . . . . . . . . . . .
5.5.4 Monoide commutativo . . . . . .
5.5.5 Gruppo . . . . . . . . . . . . . .
5.5.6 Gruppo commutativo . . . . . . .
5.5.7 Anello . . . . . . . . . . . . . . .
5.5.8 Anello commutativo . . . . . . .
5.5.9 Anello con unità . . . . . . . . .
5.5.10 Anello commutativo con unità . .
5.5.11 Dominio di integrità . . . . . . .
5.5.12 Corpo . . . . . . . . . . . . . . .
5.5.13 Campo . . . . . . . . . . . . . . .
Strutture algebriche con insiemi numerici
Morfismo . . . . . . . . . . . . . . . . .
Isomorfismo . . . . . . . . . . . . . . . .
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6 Esponenziali e logaritmi
6.1 Potenze con esponente reale . . . . . . . . . . . . .
6.1.1 Proprietà delle potenze con esponente reale .
6.2 Funzione esponenziale . . . . . . . . . . . . . . . .
6.2.1 Grafico della funzione esponenziale . . . . .
6.2.2 Caratteristiche della funzione esponenziale .
6.3 Logaritmo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
6.3.1 Proprietà dei logaritmi . . . . . . . . . . . .
6.4 Funzione logaritmica . . . . . . . . . . . . . . . . .
6.4.1 Grafico della funzione logaritmica . . . . . .
6.4.2 Caratteristiche della funzione logaritmica . .
6.5 Equazioni esponenziali . . . . . . . . . . . . . . . .
6.5.1 Equazioni esponenziali elementari . . . . . .
6.5.2 Altri tipi di equazioni esponenziali . . . . .
6.6 Disequazioni esponenziali . . . . . . . . . . . . . . .
6.6.1 Disequazioni esponenziali elementari . . . .
6.6.2 Altri tipi di disequazioni esponenziali . . . .
6.7 Equazioni logaritmiche . . . . . . . . . . . . . . . .
6.7.1 Equazioni logaritmiche elementari . . . . . .
6.7.2 Altri tipi di equazioni logaritmiche . . . . .
6.8 Disequazioni logaritmiche . . . . . . . . . . . . . .
6.8.1 Disequazioni logaritmiche elementari . . . .
6.8.2 Altri tipi di disequazioni logaritmiche . . . .
7 Matrici
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558
INDICE
7.1
7.2
7.3
7.4
7.5
7.6
7.7
7.8
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Somma di matrici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7.2.1 Proprietà della somma di matrici . . . . . . . . . . . . . .
Prodotto di un numero reale per una matrice . . . . . . . . . . . .
7.3.1 Proprietà del prodotto di un numero reale per una matrice
Prodotto di matrici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7.4.1 Proprietà del prodotto di matrici . . . . . . . . . . . . . .
Determinante . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7.5.1 Complemento algebrico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7.5.2 Calcolo del determinante con la regola di Laplace . . . . .
7.5.3 Proprietà dei determinanti . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Inversa di una matrice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7.6.1 Proprietà della matrice inversa . . . . . . . . . . . . . . . .
Riduzione di una matrice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Rango di una matrice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
8 Sistemi lineari
8.1 Introduzione . . . . . . . . . . . .
8.2 Risoluzione di un sistema lineare
8.3 Sistemi con parametro . . . . . .
8.4 Sistemi omogenei . . . . . . . . .
9 Trasformazioni Lineari
9.1 Affinità . . . . . . . . . . . . .
9.2 Affinità in forma matriciale . .
9.3 Trasformazione inversa . . . . .
9.4 Trasformazione inversa in forma
9.5 Trasformato di un punto . . . .
9.6 Trasformata di una curva . . . .
9.7 Punti uniti . . . . . . . . . . . .
9.8 Rette unite . . . . . . . . . . .
9.9 Proprietà delle affinità . . . . .
9.10 Composizione di affinità . . . .
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10 Isometrie
10.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
10.2 Proprietà delle isometrie . . . . . . . . . . . . . . .
10.3 Traslazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
10.3.1 Equazioni della traslazione . . . . . . . . . .
10.3.2 Traslazione inversa . . . . . . . . . . . . . .
10.3.3 Punti uniti . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
10.3.4 Rette unite . . . . . . . . . . . . . . . . . .
10.3.5 Proprietà della traslazione . . . . . . . . . .
10.3.6 Composizione di traslazioni . . . . . . . . .
10.4 Rotazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
10.4.1 Equazioni della rotazione di centro l’origine
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INDICE
π
10.4.2 Equazioni della rotazione di centro l’origine e angolo
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2
10.4.3 Rotazione inversa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
10.4.4 Punti uniti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
10.4.5 Rette unite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
10.4.6 Proprietà della rotazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
10.4.7 Composizione di rotazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
10.4.8 Rotazione di centro diverso dall’origine . . . . . . . . . . . . . . . . .
10.5 Simmetria centrale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
10.5.1 Equazioni della simmetria centrale . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
10.5.2 Simmetria centrale di centro l’origine . . . . . . . . . . . . . . . . . .
10.5.3 Simmetria centrale inversa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
10.5.4 Punti uniti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
10.5.5 Rette unite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
10.5.6 Proprietà della simmetria centrale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
10.5.7 Composizione di simmetrie centrali . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
10.5.8 Curva simmetrica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
10.5.9 Centro di simmetria di una curva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
10.6 Simmetria assiale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
10.6.1 Equazioni della simmetria assiale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
10.6.2 Simmetria assiale di asse parallelo all’asse delle ascisse . . . . . . . .
10.6.3 Simmetria assiale di asse parallelo all’asse delle ordinate . . . . . . .
10.6.4 Simmetria assiale di asse la bisettrice del primo e terzo quadrante . .
10.6.5 Simmetria assiale di asse la bisettrice del secondo e quarto quadrante
10.6.6 Simmetria assiale inversa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
10.6.7 Punti uniti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
10.6.8 Rette unite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
10.6.9 Proprietà della simmetria assiale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
10.6.10 Composizione di simmetrie assiali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
10.6.11 Curva simmetrica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
10.7 Isometrie e matrici ortonormali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
11 Similitudini
11.1 Introduzione . . . . . . . . . . .
11.2 Equazioni della similitudine . .
11.2.1 Rapporto di similitudine
11.3 Proprietà della similitudine . . .
11.4 Composizione di similitudini . .
12 Omotetie
12.1 Introduzione . . . . . . .
12.2 Equazione dell’omotetia
12.3 Casi particolari . . . . .
12.4 Omotetia inversa . . . .
12.5 Punti uniti . . . . . . . .
12.6 Rette unite . . . . . . .
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INDICE
12.7 Composizione di omotetie con lo stesso centro . . . . . . . . . . . . . . . . . 311
12.8 Composizione di omotetie e isometrie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 312
13 Dilatazioni e compressioni
313
13.1 Dilatazione e compressione lungo l’asse delle ascisse . . . . . . . . . . . . . . 313
13.1.1 Trasformazione inversa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 313
13.1.2 Punti uniti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 313
13.1.3 Rette unite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 313
13.1.4 Composizione di dilatazioni o compressioni lungo l’asse delle ascisse . 314
13.2 Dilatazione e compressione lungo l’asse delle ordinate . . . . . . . . . . . . . 314
13.2.1 Trasformazione inversa, punti uniti e rette unite . . . . . . . . . . . . 314
13.2.2 Composizione di dilatazioni o compressioni lungo l’asse delle ordinate 315
14 Cambiamento di riferimento
14.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . .
14.2 Traslazione degli assi . . . . . . . . . . .
14.3 Rotazione degli assi . . . . . . . . . . . .
14.4 Riduzione delle coniche a forma canonica
14.5 Coordinate polari . . . . . . . . . . . . .
14.6 Coordinate polari e coordinate cartesiane
15 Successioni
15.1 Introduzione . . . . . . .
15.2 Progressioni aritmetiche
15.3 Progressioni geometriche
15.4 Principio d’induzione . .
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16 Numeri complessi
16.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
16.2 Addizione e moltiplicazione tra numeri complessi . . . . . .
16.2.1 Proprietà dell’addizione e della moltiplicazione . . .
16.3 Coniugato di un numero complesso . . . . . . . . . . . . .
16.4 Modulo di un numero complesso . . . . . . . . . . . . . . .
16.5 Potenze dell’unità immaginaria . . . . . . . . . . . . . . .
16.6 Potenza di un numero complesso . . . . . . . . . . . . . .
16.7 Divisione tra numeri complessi . . . . . . . . . . . . . . . .
16.8 Rappresentazione geometrica dei numeri complessi: il piano
16.9 Rappresentazione dei numeri complessi mediante vettori .
16.10Forma trigonometrica dei numeri complessi . . . . . . . . .
16.10.1 Moltiplicazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
16.10.2 Potenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
16.10.3 Complesso coniugato . . . . . . . . . . . . . . . . .
16.10.4 Divisione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
16.10.5 Radice ennesima . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
16.10.6 Rappresentazione delle radici ennesime . . . . . . .
16.11La funzione esponenziale complessa . . . . . . . . . . . . .
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di Argand-Gauss
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333
INDICE
16.11.1 Proprietà dell’esponenziale complesso . . . .
16.11.2 Formule di Eulero . . . . . . . . . . . . . . .
16.11.3 Forma esponenziale di un numero complesso
16.11.4 Moltiplicazione . . . . . . . . . . . . . . . .
16.11.5 Potenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
16.11.6 Divisione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
16.11.7 Radice ennesima . . . . . . . . . . . . . . .
16.12L’equazione z n − w = 0 in C . . . . . . . . . . . .
16.13Equazioni di secondo grado in C . . . . . . . . . . .
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17 Numeri reali
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17.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 336
17.2 Intervalli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 336
17.3 Estremo superiore, estremo inferiore, massimo e minimo di un insieme . . . . 337
18 Funzioni
18.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
18.2 Funzioni suriettive, iniettive, biiettive . . . . . . . . .
18.3 Funzione inversa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
18.4 Composizione di funzioni . . . . . . . . . . . . . . . .
18.5 Zeri di una funzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
18.6 Funzioni limitate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
18.7 Funzioni monotòne . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
18.8 Classificazione delle funzioni . . . . . . . . . . . . . .
18.8.1 Funzioni iperboliche . . . . . . . . . . . . . .
18.8.2 Inverse delle funzioni iperboliche . . . . . . . .
18.9 Domini di funzioni reali di variabile reale . . . . . . .
18.10Funzioni pari e funzioni dispari . . . . . . . . . . . .
18.11Funzioni periodiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
18.12Intersezioni con gli assi . . . . . . . . . . . . . . . . .
18.13Segno di una funzione . . . . . . . . . . . . . . . . .
18.14Le trasformazioni geometriche e i grafici delle funzioni
18.14.1 Traslazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
18.14.2 Simmetrie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
18.14.3 Valore assoluto . . . . . . . . . . . . . . . . .
18.14.4 Dilatazione e contrazione . . . . . . . . . . . .
19 Topologia
19.1 Intorno . . . . . . . . . . . . . . . . .
19.1.1 Proprietà degli intorni . . . .
19.2 Punti interni ad un insieme . . . . .
19.3 Punti esterni ad un insieme . . . . .
19.4 Punti di frontiera di un insieme . . .
19.5 Punti aderenti ad un insieme . . . . .
19.6 Punti isolati di un insieme . . . . . .
19.7 Punti di accumulazione di un insieme
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INDICE
20 Limiti di funzioni
20.1 Limite finito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
20.2 Limite infinito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
20.3 Limite finito di una funzione all’infinito . . . . . .
20.4 Limite infinito di una funzione all’infinito . . . . .
20.5 Limite destro e limite sinistro . . . . . . . . . . .
20.6 Teoremi sui limiti . . . . . . . . . . . . . . . . . .
20.6.1 Valore assoluto . . . . . . . . . . . . . . .
20.6.2 Addizione . . . . . . . . . . . . . . . . . .
20.6.3 Moltiplicazione . . . . . . . . . . . . . . .
20.6.4 Divisione . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
20.7 Verifica di limiti di alcune funzioni . . . . . . . .
20.8 Forme indeterminate . . . . . . . . . . . . . . . .
20.8.1 Forme indeterminate con funzioni razionali
20.9 Limiti notevoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
20.9.1 Primo limite notevole . . . . . . . . . . . .
20.9.2 Secondo limite notevole . . . . . . . . . . .
20.10Funzioni trascurabili e equivalenti . . . . . . . . .
20.11Infinitesimi e infiniti . . . . . . . . . . . . . . . .
20.11.1 Infinitesimi e loro confronto . . . . . . . .
20.11.2 Infiniti e loro confronto . . . . . . . . . . .
20.12Limiti di una funzione agli estremi del dominio . .
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21 Limiti di successioni
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21.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 366
21.2 Serie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 367
22 Funzioni continue
22.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
22.2 Proprietà delle funzioni continue . . . . . . . . .
22.3 Punti singolari di una funzione . . . . . . . . . .
22.4 Determinazione dei punti singolari . . . . . . . .
22.5 Proprietà delle funzioni continue su un intervallo
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23 Asintoti
372
23.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 372
23.2 Determinazione degli asintoti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 372
V
CLASSE QUINTA
373
1 Calcolo differenziale
1.1 Rapporto incrementale . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.1.1 Significato geometrico del rapporto incrementale
1.2 Derivata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.2.1 Significato geometrico della derivata . . . . . . .
563
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INDICE
1.3
1.4
1.5
1.6
1.7
1.8
1.9
1.2.2 Funzione derivata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.2.3 Derivata destra e derivata sinistra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Calcolo di derivate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.3.1 Derivata della funzione costante . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.3.2 Derivata della funzione identità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.3.3 Derivata della funzione quadratica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.3.4 Derivata della funzione radice quadrata . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.3.5 Derivata della funzione valore assoluto . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.3.6 Derivata della funzione seno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.3.7 Derivata della funzione coseno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.3.8 Derivata della funzione esponenziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.3.9 Derivata della funzione logaritmica . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Continuità delle funzioni derivabili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Regole di derivazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.5.1 Derivata di una somma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.5.2 Derivata del prodotto di una costante per una funzione . . . . . . . .
1.5.3 Derivata di un prodotto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.5.4 Derivata del reciproco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.5.5 Derivata di un quoziente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.5.6 Derivata di una funzione composta . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.5.7 Derivate delle funzioni iperboliche e delle loro inverse . . . . . . . . .
1.5.8 Derivata della funzione inversa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Schema riassuntivo delle derivate elementari e delle regole di derivazione . .
Derivate di ordine superiore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Equazione della retta tangente al grafico della funzione in un suo punto . . .
Equazione della retta tangente al grafico della funzione passante per un punto
non appartenente al grafico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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391
391
2 Teoremi fondamentali del calcolo differenziale
393
2.1 Funzioni monotone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 393
2.2 Estremi relativi e assoluti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 393
2.3 Teorema di Fermat . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 394
2.4 Teorema di Rolle . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 395
2.5 Teorema di Cauchy . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 396
2.6 Teorema di Lagrange . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 397
2.7 Teoremi di De L’Hôpital . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 400
2.8 Determinazione degli intervalli di monotonia e dei punti di massimo e minimo
relativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 401
2.9 Massimi e minimi assoluti di una funzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 402
2.10 Funzioni convesse e funzioni concave . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 403
2.11 Punto di flesso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 404
2.12 Determinazione degli intervalli di concavità e convessità e dei punti di flesso 405
2.13 Classificazione dei punti di non derivabilità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 406
2.14 Metodo delle derivate successive per determinare punti di massimo, minimo
e flesso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 408
564
INDICE
3 Studio di una funzione
3.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.2 Schema riassuntivo per lo studio di una funzione .
3.3 Studio di una funzione prolungabile per continuità
3.4 Discussione di equazioni con parametro . . . . . .
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. 416
. 422
4 Problemi di massimo e minimo
424
5 Risoluzione di equazioni e disequazioni con il metodo grafico
425
5.1 Equazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 425
5.2 Disequazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 425
6 Approssimazioni di funzioni
6.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
6.2 Approssimazione locale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
6.2.1 Polinomio di Taylor . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
6.2.2 Sviluppi notevoli di Maclaurin . . . . . . . . . . . . .
6.3 Approssimazione globale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
6.3.1 Interpolazione matematica . . . . . . . . . . . . . . .
6.3.2 Interpolazione statistica: metodo dei minimi quadrati
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7 Calcolo integrale
7.1 Primitive di una funzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7.2 Integrale indefinito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7.2.1 Integrali indefiniti elementari . . . . . . . . . . . .
7.2.2 Proprietà degli integrali indefiniti . . . . . . . . . .
7.2.3 Generalizzazione degli integrali indefiniti elementari
7.3 Metodi di integrazione degli integrali indefiniti . . . . . . .
7.3.1 Integrazione per sostituzione . . . . . . . . . . . . .
7.3.2 Integrazione per parti . . . . . . . . . . . . . . . . .
7.3.3 Integrazione delle funzioni razionali fratte . . . . .
7.3.4 Integrali di funzioni con valore assoluto . . . . . . .
7.4 Integrale definito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7.4.1 Proprietà dell’integrale definito . . . . . . . . . . .
7.4.2 Funzione integrale . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7.5 Metodi di integrazione degli integrali definiti . . . . . . . .
7.5.1 Integrazione per sostituzione . . . . . . . . . . . . .
7.5.2 Integrazione per parti . . . . . . . . . . . . . . . . .
7.6 Valor medio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7.7 Significato geometrico dell’integrale definito . . . . . . . .
7.8 Aree . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7.9 Volumi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7.9.1 Volumi di solidi di rotazione attorno all’asse x . . .
7.9.2 Volumi di solidi di rotazione attorno all’asse y . . .
7.9.3 Volumi di solidi data la base e le sezioni . . . . . .
7.10 Integrali impropri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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INDICE
7.10.1 Funzione illimitata su intervallo limitato . . . . . . . . . . . . . . . . 459
7.10.2 Funzione limitata su intervallo illimitato . . . . . . . . . . . . . . . . 460
8 Calcolo numerico
8.1 Metodi numerici per la risoluzione di equazioni
8.1.1 Separazione delle soluzioni . . . . . . .
8.1.2 Calcolo di un valore approssimato . . .
8.1.3 Metodo di bisezione . . . . . . . . . . .
8.1.4 Metodo di Newton . . . . . . . . . . .
8.2 Metodi numerici per il calcolo di integrali . . .
8.2.1 Metodo dei rettangoli . . . . . . . . . .
8.2.2 Metodo dei trapezi . . . . . . . . . . .
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9 Calcolo combinatorio
9.1 Prodotto Cartesiano . . . . . . . . .
9.2 Disposizioni semplici . . . . . . . . .
9.3 Disposizioni con ripetizione . . . . .
9.4 Permutazioni . . . . . . . . . . . . .
9.5 Permutazioni con elementi ripetuti .
9.6 Combinazioni semplici . . . . . . . .
9.7 Coefficienti binomiali e loro proprietà
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10 Probabilità
10.1 Eventi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
10.2 Definizione classica di probabilità . . . . . . .
10.2.1 Proprietà della probabilità classica . .
10.2.2 Critiche alla definizione classica . . . .
10.3 Definizione frequentistica di probabilità . . . .
10.3.1 Critiche alla definizione frequentistica .
10.4 Definizione assiomatica di probabilità . . . . .
10.4.1 Proprietà della probabilità assiomatica
10.5 Probabilità condizionata . . . . . . . . . . . .
10.6 Teorema del prodotto . . . . . . . . . . . . . .
10.7 Eventi indipendenti . . . . . . . . . . . . . . .
10.8 Teorema delle probabilità totali . . . . . . . .
10.9 Teorema di Bayes . . . . . . . . . . . . . . . .
10.10Probabilità e calcolo combinatorio . . . . . . .
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. 483
11 Variabili aleatorie discrete
11.1 Distribuzione di probabilità . . . . . . . . . . . . . . .
11.2 Funzione di ripartizione . . . . . . . . . . . . . . . . .
11.3 Funzione di una variabile aleatoria . . . . . . . . . . .
11.4 Probabilità condizionata . . . . . . . . . . . . . . . . .
11.5 Eventi indipendenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
11.6 Distribuzione congiunta . . . . . . . . . . . . . . . . .
11.6.1 Tabella delle distribuzioni congiunte e marginali
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486
INDICE
11.7 Teorema delle probabilità totali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 487
11.8 Teorema di Bayes . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 487
11.9 Funzione di due variabili aleatorie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 488
12 Speranza matematica e varianza
12.1 Speranza matematica . . . . . . . . . . . . .
12.1.1 Giochi equi . . . . . . . . . . . . . .
12.1.2 Proprietà della speranza matematica
12.2 Varianza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
12.2.1 Proprietà della varianza . . . . . . .
12.3 Variabile aleatoria standardardizzata . . . .
12.4 Coefficiente di variazione . . . . . . . . . . .
12.5 Coefficiente di correlazione . . . . . . . . . .
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13 Distribuzioni discrete fondamentali
495
13.1 Distribuzione simmetrica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 495
13.1.1 Media e varianza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 495
13.2 Indicatore o variabile aleatoria di Bernoulli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 496
13.2.1 Media e varianza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 496
13.3 Somma di due variabili aleatorie di Bernoulli equidistribuite . . . . . . . . . 496
13.4 Distribuzione binomiale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 497
13.4.1 Media e varianza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 497
13.4.2 Numero di successi più probabile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 498
13.5 Distribuzione ipergeometrica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 498
13.5.1 Media e varianza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 499
13.5.2 Approssimazione della distribuzione ipergeometrica con la distribuzione binomiale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 499
13.6 Distribuzione geometrica (primo successo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 499
13.6.1 Media e varianza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 500
13.7 Distribuzione di Poisson . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 500
13.7.1 Media e varianza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 501
13.7.2 Andamento della distribuzione di Poisson . . . . . . . . . . . . . . . . 501
13.7.3 Approssimazione della distribuzione binomiale con la distribuzione di
Poisson . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 501
14 Variabili aleatorie continue
14.1 Densità di probabilità . . .
14.2 Funzione di ripartizione .
14.3 Speranza matematica . . .
14.4 Varianza . . . . . . . . . .
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15 Distribuzioni continue fondamentali
15.1 Distribuzione uniforme . . . . . . . . . . . .
15.1.1 Media e varianza . . . . . . . . . . .
15.2 Distribuzione normale o di Gauss . . . . . .
15.2.1 Distribuzione normale standardizzata
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INDICE
15.2.2 Teorema limite centrale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 507
15.2.3 Approssimazione della distribuzione binomiale con la normale . . . . 508
15.2.4 Approssimazione della distribuzione di Poisson con la normale . . . . 508
16 Geometrie non euclidee
509
16.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 509
16.2 Geometria iperbolica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 511
16.3 Geometria ellittica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 514
17 Geometria dello spazio
17.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . .
17.2 Assiomi della geometria dello spazio . . .
17.3 Rette e piani . . . . . . . . . . . . . . .
17.3.1 Posizioni relative tra due rette . .
17.3.2 Posizioni relative tra retta e piano
17.3.3 Posizioni relative tra due piani . .
17.3.4 Retta e piano perpendicolari . . .
17.3.5 Proiezioni, distanze, angoli . . . .
17.4 Diedri e angoloidi . . . . . . . . . . . . .
17.5 Prisma . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
17.6 Piramide . . . . . . . . . . . . . . . . . .
17.7 Poliedri . . . . . . . . . . . . . . . . . .
17.8 Cilindro . . . . . . . . . . . . . . . . . .
17.9 Cono . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
17.10Sfera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
17.11Principio di Cavalieri . . . . . . . . . . .
17.12Aree e volumi . . . . . . . . . . . . . . .
17.12.1 Prisma retto . . . . . . . . . . . .
17.12.2 Piramide retta . . . . . . . . . . .
17.12.3 Tronco di piramide retta . . . . .
17.12.4 Cilindro retto . . . . . . . . . . .
17.12.5 Cono retto . . . . . . . . . . . . .
17.12.6 Tronco di cono retto . . . . . . .
17.12.7 Sfera . . . . . . . . . . . . . . . .
17.12.8 Segmento sferico . . . . . . . . .
17.12.9 Spicchio sferico . . . . . . . . . .
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A Potenza del continuo
A.1 Insiemi finiti e infiniti . . . . . . . . . . . . . . . . . .
A.2 Cardinalità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
A.3 Numerabilità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
A.3.1 Proprietà degli insiemi numerabili . . . . . . .
A.3.2 Numerabilità dell’insieme dei numeri interi . .
A.3.3 Numerabilità dell’insieme dei numeri razionali
A.4 Numeri algebrici e trascendenti . . . . . . . . . . . .
A.5 Potenza del continuo . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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INDICE
A.5.1 Ipotesi del continuo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 538
B Problemi classici della geometria
B.1 Introduzione . . . . . . . . . . .
B.2 Numeri costruibili . . . . . . . .
B.3 Duplicazione del cubo . . . . .
B.4 Trisezione dell’angolo . . . . . .
B.5 Quadratura del cerchio . . . . .
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euclidea
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