Parte I CLASSE PRIMA RIASSUNTO 1 Capitolo 1 Logica 1.1 Teoria matematica Una teoria esprime per mezzo di un linguaggio preciso concetti e loro proprietà. Ogni termine, ogni proposizione di una teoria ha un significato univoco. Una teoria è composta da alcuni termini primitivi, per esempio nella geometria la retta. Di questi termini non è data una definizione. Con i termini primitivi, mediante le definizioni, si definiscono altri termini che a loro volta possono essere utilizzati per definirne altri: per esempio il segmento. Con i termini si costruiscono alcune proposizioni dette postulati o assiomi che sono verità assunte a priori. Con i termini si costruiscono altre proposizioni dette teoremi che si devono dimostrare. In un teorema si distingue un’ipotesi e una tesi. L’ipotesi è formata da proposizioni vere da cui, attraverso la dimostrazione, deve scaturire la verità della tesi, utilizzando gli assiomi e i teoremi già dimostrati. Consideriamo la teoria delle proposizioni detta anche logica. 1.2 Proposizioni Alla base della logica ci sono le proposizioni. Definizione 1.2.1 (Proposizione). Si dice proposizione un’affermazione vera o falsa. I concetti di vero e falso li assumiamo come primitivi, cioè li useremo senza definirli. Per rappresentare le proposizioni uilizzeremo le lettere minuscole p, q, r, . . .. Per indicare che una proposizione è vera utilizzeremo il simbolo V , per indicare che una proposizione è falsa utilizzeremo il simbolo F . Con le proposizioni e con i valori che possono assumere si costruiscono delle tabelle che si chiamano tavole di verità. Per determinare tutti i casi possibili nelle tavole di verità si procede nel seguente modo: • con una sola proposizione i valori possibili sono V e F ; 2 1.3. CONNETTIVI • con due proposizioni nella colonna della prima si scrivono due V e due F , nella colonna della seconda si scrive in modo alternato V , F . • con tre proposizioni, nella colonna della prima si scrivono quattro V e quattro F , nella colonna della seconda si scrivono in modo alternato due V e due F , nella colonna della terza si scrive in modo alternato V , F . 1.3 Connettivi Le proposizioni che abbiamo visto sono dette proposizioni elementari perché non sono scomponibili in altre proposizioni. Le proposizioni elementari, legate insieme con delle particelle chiamate connettivi, formano le proposizioni composte. I connettivi più importanti sono: non, e, o. 1.3.1 Connettivo non Il connettivo non si può anche trovare nella forma inglese not. Il simbolo è ¬ davanti alla proposizione, l’operazione logica associata è la negazione. Definizione 1.3.1 (Negazione). Si dice negazione di una proposizione p quella proposizione che è vera se p è falsa, falsa se p è vera. La negazione di p si indica con ¬p p ¬p V F F V 1.3.2 Connettivo e Il connettivo e si può anche trovare nella forma inglese and o nella forma latina et. Il simbolo è ∧. L’operazione logica associata è la congiunzione Definizione 1.3.2 (Congiunzione). Si dice congiunzione di due proposizioni p e q quella proposizione che è vera se sono entrambe vere, falsa negli altri casi. La congiunzione di p e q si indica con p ∧ q p q p∧q V V F F V F V F V F F F 3 CAPITOLO 1. LOGICA 1.3.3 Connettivo o Il connettivo o si può anche trovare nella forma inglese or o nella forma latina vel. Il simbolo è ∨. L’operazione logica associata è la disgiunzione. Definizione 1.3.3 (Disgiunzione). Si dice disgiunzione di due proposizioni p e q quella proposizione che è vera se almeno una delle due proposizioni è vera, falsa negli altri casi. La disgiunzione di p e q si indica con p ∨ q p q p∨q V V F F V F V F V V V F 1.4 Espressioni logiche I connettivi visti possono essere applicati, oltre che a proposizioni elementari, anche a proposizioni composte e ottenere le espressioni logiche. 1.4.1 Tautologie e contraddizioni Definizione 1.4.1 (Tautologia). Si dice tautologia un’espressione logica vera per qualsiasi valore delle variabili che la compongono. Definizione 1.4.2 (Contraddizione). Si dice contraddizione un’espressione logica falsa per qualsiasi valore delle variabili che la compongono. Una tautologia la indicheremo con T e una contraddizione con C. 1.5 Proprietà delle operazioni logiche Siano p e q e r delle proposizioni. Valgono le seguenti proprietà: 1. proprietà commutativa: p∧q ⇔q∧p p∨q ⇔q∨p 2. proprietà associativa: p ∧ (q ∧ r) ⇔ (p ∧ q) ∧ r p ∨ (q ∨ r) ⇔ (p ∨ q) ∨ r 4 1.6. PROPOSIZIONI APERTE E QUANTIFICATORI 3. proprietà di idempotenza: p∧p⇔p p∨p⇔p 4. proprietà distributiva: p ∧ (q ∨ r) ⇔ (p ∧ q) ∨ (p ∧ r) p ∨ (q ∧ r) ⇔ (p ∨ q) ∧ (p ∨ r) 5. proprietà di assorbimento: p ∧ (p ∨ q) ⇔ p p ∨ (p ∧ q) ⇔ p 6. leggi di De Morgan: ¬(p ∧ q) ⇔ ¬p ∨ ¬q ¬(p ∨ q) ⇔ ¬p ∧ ¬q 7. proprietà con tautologie e contraddizioni p∧T ⇔p p∧C ⇔C p∨T ⇔T p∨C ⇔p p ∧ ¬p ⇔ C p ∨ ¬p ⇔ T 1.6 1.6.1 Proposizioni aperte e quantificatori Proposizioni aperte Definizione 1.6.1 (Proposizione aperta). Si dice proposizione aperta una proposizione con una o più variabili Se alle variabili si sostituiscono dei valori la proposizione aperta diventa una proposizione. Definizione 1.6.2 (Dominio). Si dice dominio di una proposizione aperta e si indica con D l’insieme dal quale si possono prendere i valori da sostituire alle variabili Definizione 1.6.3 (Insieme di verità). Si dice insieme di verità della proposizione aperta p(x) l’insieme dei valori del dominio che la rendono vera 5 CAPITOLO 1. LOGICA 1.6.2 Quantificatori Un altro modo per ottenere una proposizione da una proposizione aperta è utilizzare i quantificatori. Esistono due quantificatori, il quantificatore esistenziale, indicato con il simbolo ∃ che significa “esiste almeno un” e il quantificatore universale indicato con il simbolo ∀ che significa “tutti” o “per ogni”. La proposizione ∃x ∈ D/p(x) si legge “esiste almeno un elemento x appartenente a D tale che p(x)”. La proposizione ∀x ∈ D, p(x) si legge “per ogni elemento x appartenente a D, p(x)”. Teorema 1.6.1 (Leggi di De Morgan). ¬(∀x ∈ D, p(x)) ⇔ ∃x ∈ D/¬p(x) ¬(∃x ∈ D/p(x)) ⇔ ∀x ∈ D, ¬p(x) Le leggi di De Morgan dicono rispettivamente che • “non è vero che tutti gli x godono p(x)” è equivalente a “esiste almeno un x che non gode p(x)” • “non è vero che esiste almeno un x che gode p(x)” è equivalente a “tutti gli x non godono p(x)” 1.7 Implicazione logica Definizione 1.7.1 (Implicazione logica). Date due proposizioni aperte I(x) e T (x) con x ∈ D, se ogni valore di x che renda verà I(x) rende vera anche T (x) si dice che I(x) implica logicamente T (x) e si scrive I(x) ⇒ T (x) Osservazioni 1. I( x) si chiama ipotesi, T (x) si chiama tesi. 2. I(x) ⇒ T (x) si può anche leggere “se I(x) allora T (x)”. 3. I(x) si chiama condizione sufficiente per T (x) e T (x) si chiama condizione necessaria per I(x). 1.8 Equivalenza logica o biimplicazione logica Definizione 1.8.1 (Biimplicazione logica). Date due proposizioni aperte A(x) e B(x), se per ogni x ∈ D assumono lo stesso valore di verità si dice che A(x) biimplica logicamente B(x) oppure A(x) equivale logicamente a B(x) e si scrive A(x) ⇔ B(x) Osservazioni 6 1.9. DIMOSTRAZIONE PER ASSURDO 1. A(x) ⇔ B(x) si può anche leggere “A(x) se e solo se B(x)” . 2. A(x) si chiama condizione necessaria e sufficiente per B(x) e B(x) si chiama condizione necessaria e sufficiente per A(x). 3. Dire che A(x) ⇔ B(x) è come dire A(x) ⇒ B(x) e B(x) ⇒ A(x) 1.9 Dimostrazione per assurdo All’inizio del capitolo abbiamo introdotto i concetti di teorema specificando che la dimostrazione permette di arrivare dall’ipotesi alla tesi. Esiste un altro tipo di dimostrazione, detta per assurdo che consiste nel negare la tesi e arrivare ad una contraddizione. Infatti (I(x) ⇒ T (x)) ⇔ (¬T (x) ⇒ ¬I(x)) Esempio 1.9.1. x è divisibile per 4 ⇒ x è divisibile per 2 è equivalente a x è non è divisibile per 2 implica x è non è divisibile per 4 7 Capitolo 2 Insiemi 2.1 Rappresentazione degli insiemi Gli insiemi si possono rappresentare in vari modi: 1. elencando gli elementi racchiusi tra parentesi graffe: A = {1, 2, 3, 4, 5} 2. tramite la proprietà caratteristica, cioè una proprietà che è vera per tutti e soli gli elementi dell’insieme: A = {x ∈ N0 /x < 6} Negli insiemi non contano l’ordine o le ripetizioni, l’insieme {1, 2, 3, 4, 5} = {2, 1, 4, 3, 5} = {1, 1, 1, 2, 3, 4, 5} 2.2 Insiemi particolari 1. insieme unitario: insieme con un solo elemento: {a} 2. insieme vuoto: insieme con nessun elemento, si indica con ∅ o {} 2.3 Inclusione Definizione 2.3.1 (Inclusione). Si dice che l’insieme A è incluso nell’insieme B se e solo se ogni elemento di A appartiene a B e si scrive A ⊆ B Osservazioni 1. Se A è incluso in B si dice che A è un sottoinsieme di B. 2. L ’insieme vuoto è incluso in qualsiasi insieme e ogni insieme è incluso in se stesso. 8 2.4. INSIEME DELLE PARTI 3. Dato un insieme A, l’insieme vuoto e A si dicono sottoinsiemi impropri di A, gli altri sottoinsiemi di A si dicono propri. 4. A = B ⇔ A ⊆ B ∧ B ⊆ A 5. Se A non è incluso in B, si scrive A * B 6. A ⊇ B ⇔ B ⊆ A Definizione 2.3.2 (Inclusione stretta). Si dice che l’insieme A è incluso strettamente nell’insieme B se e solo se A ⊆ B ∧ A 6= B e si scrive A ⊂ B Osservazioni 1. Se A non è incluso strettamente in B, si scrive A 6⊂ B 2. A ⊃ B ⇔ B ⊂ A 2.4 Insieme delle parti Definizione 2.4.1 (Insieme delle parti). Si dice insieme delle parti di un insieme A l’insieme costituito da tutti i sottoinsiemi di A e si indica con P (A) Osservazione Se A ha n elementi allora P (A) ha 2n elementi 2.5 2.5.1 Operazioni tra insiemi Unione Definizione 2.5.1 (Unione). Si dice unione di due insiemi A e B l’insieme costituito dagli elementi che appartengono ad A o a B e si scrive A ∪ B Osservazioni 1. Se A ⊆ B allora A ∪ B = B 2. A ∪ A = A 3. A ∪ ∅ = A 9 CAPITOLO 2. INSIEMI 2.5.2 Intersezione Definizione 2.5.2 (Intersezione). Si dice Intersezione di due insiemi A e B l’insieme costituito dagli elementi comuni ad A e B e si scrive A ∩ B Osservazioni 1. Se A ⊆ B allora A ∩ B = A 2. A ∩ A = A 3. A ∩ ∅ = ∅ Definizione 2.5.3 (Insiemi disgiunti). Due insiemi si dicono disgiunti se la loro intersezione è l’insieme vuoto, cioè se non hanno elementi in comune 2.5.3 Differenza Definizione 2.5.4 (Differenza). Si dice differenza di due insiemi A e B l’insieme costituito dagli elementi di A che non appartengo a B e si scrive A − B Osservazioni 1. Se A ⊆ B allora A − B = ∅ 2. Se A ∩ B = ∅ allora A − B = A 3. A − A = ∅ 4. A − ∅ = A 2.5.4 Insieme complementare Definizione 2.5.5 (Insieme complementare). Si dice insieme complementare di un insieme A ⊆ B rispetto a B, l’insieme B − A e si scrive CB (A) Osservazioni 1. CA (A) = ∅ 2. CA (∅) = A 10 2.6. PARTIZIONE DI UN INSIEME 2.5.5 Proprietà delle operazioni tra insiemi Siano A, B, C degli insiemi inclusi nell’insieme U . Valgono le seguenti proprietà: 1. proprietà commutativa: A∪B =B∪A A∩B =B∩A 2. proprietà associativa: A ∪ (B ∪ C) = (A ∪ B) ∪ C A ∩ (B ∩ C) = (A ∩ B) ∩ C 3. proprietà di idempotenza: A∪A=A A∩A=A 4. proprietà distributiva: A ∪ (B ∩ C) = (A ∪ B) ∩ (A ∪ C) A ∩ (B ∪ C) = (A ∩ B) ∪ (A ∩ C) 5. proprietà di assorbimento: A ∪ (A ∩ B) = A A ∩ (A ∪ B) = A 6. leggi di De Morgan: CU (A ∪ B) = CU (A) ∩ CU (B) CU (A ∩ B) = CU (A) ∪ CU (B) 2.6 Partizione di un insieme Definizione 2.6.1 (Partizione). Si dice partizione di un insieme A non vuoto un insieme di sottoinsiemi di A tale che 1. nessun sottoinsieme è vuoto 2. i sottoinsiemi sono disgiunti a due a due 3. l’unione di tutti i sottoinsiemi è uguale all’insieme A 11 CAPITOLO 2. INSIEMI 2.7 Prodotto cartesiano Definizione 2.7.1 (Prodotto cartesiano). Si dice prodotto cartesiano di due insiemi A e B l’insieme costituito dalle coppie ordinate con il primo elemento appartenente ad A e il secondo appartenente a B e si scrive A × B In simboli: A × B = {(a, b)/a ∈ A ∧ b ∈ B} Osservazioni 1. A × ∅ = ∅ × A = ∅ × ∅ = ∅ 2. Nel prodotto cartesiano i due insiemi possono anche coincidere; in questo caso A × A viene anche indicato con A2 . 3. Se A ha m elementi e B ha n elementi, allora A × B ha m · n elementi. 2.7.1 Rappresentazione grafica del prodotto cartesiano Il prodotto cartesiano A × B si può rappresentare graficamente in due modi 1. utilizzando i diagrammi sagittali: dopo aver rappresentato gli insiemi A e B con i diagrammi di Eulero-Venn si disegnano delle frecce che congiungono tutti gli elementi di A con tutti gli elementi di B. 2. utilizzando i diagrammi cartesiani: si disegnano una retta orizzontale rA e una retta verticale rB ; gli elementi di A si rappresentano con dei punti su rA , gli elementi di B si rappresentano con punti dei punti su rB . La coppia (a, b) è rappresentata dal punto P intersezione tra la retta verticale passante per a e la retta orizzontale passante per b 2.7.2 Prodotto cartesiano di più insiemi La definizione di prodotto cartesiano si può estendere a più di due insiemi. Nel caso di tre insiemi A, B, C, gli elementi di A × B × C sono delle triple ordinate il cui primo elemento appartiene ad A, il secondo a B e il terzo a C. Il prodotto cartesiano di n insiemi uguali ad A si dice potenza n-esima cartesiana di A, si indica con An ed è formato dalle ennuple ordinate di elementi di A. Per determinare tutte le ennuple di un prodotto cartesiano si può utilizzare un diagramma ad albero. L’albero si costriusce dall’alto verso il basso. Dal primo nodo si disegna un ramo per ogni elemento del primo insieme; dai nodi ottenuti si disegna un ramo per ogni elemento del secondo insieme e così via. Per determinare le ennuple è sufficiente seguire i rami. 12 Capitolo 3 Relazioni tra due insiemi 3.1 Introduzione Definizione 3.1.1 (Relazione). Si dice relazione dall’insieme A nell’insieme B una proposizione aperta in due variabili che ad elementi di A associa elementi di B. Una relazione la indichiamo con R. L’insieme A si chiama insieme di partenza, l’insieme B si chiama insieme di arrivo. Se in una relazione R, x ∈ A è in relazione con y ∈ B, si dice che y è immagine di x, x è controimmagine di y e si scrive xRy. L’insieme degli elementi di A che hanno almeno un’immagine in B si dice dominio e si indica con D. L’insieme degli elementi di B che hanno almeno una controimmagine in A si dice codominio e si indica con C. Il codominio di una relazione è l’insieme delle immagini degli elementi del dominio. 3.2 Grafo Definizione 3.2.1 (Grafo). Data una relazione R da A in B si dice grafo e si indica con G il sottoinsieme del prodotto cartesiano A × B formato da tutte e sole le coppie di elementi in relazione tra di loro, in simboli: G = {(x, y) ∈ A × B/xRy} ⊆ A × B Poiché la relazione è la proprietà caratteristica del grafo, grafo e relazione si possono identificare, quindi la relazione si può anche definire nel seguente modo: Definizione 3.2.2 (Relazione). Si dice relazione dall’insieme A nell’insieme B un sottoinsieme del prodotto cartesiano A×B 13 CAPITOLO 3. RELAZIONI TRA DUE INSIEMI 3.3 Rapprentazione grafica di una relazione Poichè una relazione è un sottoinsieme del prodotto cartesiano possiamo rappresentarla graficamente con i metodi visti per il prodotto cartesiano. 3.4 Relazione inversa Definizione 3.4.1 (Relazione inversa). Data la relazione R da A in B, si dice relazione inversa di R e si indica con R −1 la relazione da B in A definita nel seguente modo: yR −1 x ⇔ xRy ∀x ∈ A, ∀ y ∈ B Il grafo della relazione inversa si ottiene invertendo gli elementi di ogni coppia del grafo della relazione data. 3.5 3.5.1 Tipi di relazioni Relazioni ovunque definite Definizione 3.5.1 (Relazione ovunque definita). Una relazione R da A in B si dice ovunque definita se e solo se ogni elemento di A ha almeno un’immagine 3.5.2 Relazioni funzionali Definizione 3.5.2 (Relazione funzionale). Una relazione R da A in B si dice funzionale se e solo se ogni elemento di A ha al più un’immagine 3.5.3 Relazioni suriettive Definizione 3.5.3 (Relazione suriettiva). Una relazione R da A in B si dice suriettiva se e solo se ogni elemento di B ha almeno una controimmagine 3.5.4 Relazioni iniettive Definizione 3.5.4 (Relazione iniettiva). Una relazione R da A in B si dice iniettiva se e solo se ogni elemento di B ha al più una controimmagine 14 Capitolo 4 Relazioni in un insieme 4.1 Introduzione Se gli insiemi A e B tra cui è definita una relazione coincidono, si ha una relazione che va da A in A; essa si può anche interpretare come relazione tra gli elementi di A e in questo caso si dice relazione in A. 4.2 Proprietà delle relazioni in un insieme Una relazione in un insieme può godere delle seguenti proprietà: • riflessiva • antiriflessiva • simmetrica • antisimmetrica • transitiva 4.2.1 Proprietà riflessiva Definizione 4.2.1 (Riflessiva). Una relazione R in un insieme A gode della proprietà riflessiva se e solo se ∀x ∈ A xRx cioè ogni elemento è in relazione con se stesso. 4.2.2 Proprietà antiriflessiva Definizione 4.2.2 (Antiriflessiva). Una relazione R in un insieme A gode della proprietà antiriflessiva se e solo se ∀x ∈ A x Rx cioè ogni elemento non è in relazione con se stesso. 15 CAPITOLO 4. RELAZIONI IN UN INSIEME 4.2.3 Proprietà simmetrica Definizione 4.2.3 (Simmetrica). Una relazione R in un insieme A gode della proprietà simmetrica se e solo se ∀x, y ∈ A xRy ⇒ yRx cioè se un elemento x è in relazione con un elemento y allora y deve essere in relazione con x 4.2.4 Proprietà antisimmetrica Definizione 4.2.4 (Antisimmetrica). Una relazione R in un insieme A gode della proprietà antisimmetrica se e solo se ∀x, y ∈ A x 6= y ∧ xRy ⇒ y Rx cioè se un elemento x è in relazione con un elemento y 6= x allora y non deve essere in relazione con x Esiste una definizione equivalente di proprietà antisimmetrica che può essere utile nelle dimostrazioni: Definizione 4.2.5 (Antisimmetrica). Una relazione R in un insieme A gode della proprietà antisimmetrica se e solo se ∀x, y ∈ A xRy ∧ yRx ⇒ x = y cioè se un elemento x è in relazione con un elemento y e y è in relazione con x allora gli elementi sono uguali 4.2.5 Proprietà transitiva Definizione 4.2.6 (Transitiva). Una relazione R in un insieme A gode della proprietà transitiva se e solo se ∀x, y, z ∈ A xRy ∧ yRz ⇒ xRz cioè se un elemento x è in relazione con un elemento y e y è in relazione con un elemento z allora x è in relazione con z 4.3 Relazione d’ordine Definizione 4.3.1 (Relazione d’ordine). Una relazione in un insieme si dice d’ordine se e solo se gode delle proprietà riflessiva, antisimmetrica, transitiva. Definizione 4.3.2 (Relazione d’ordine stretto). Una relazione in un insieme si dice d’ordine stretto se e solo se gode delle proprietà antiriflessiva, antisimmetrica, transitiva. 16 4.4. RELAZIONE DI EQUIVALENZA Definizione 4.3.3 (Elementi confrontabili). Data una relazione d’ordine R in un insieme A, due elementi x, y ∈ A con x 6= y si dicono confrontabili se e solo se xRy ∨ yRx Definizione 4.3.4 (Relazione d’ordine totale). Una relazione d’ordine R in un insieme A si dice totale se e solo se tutti gli elementi sono confrontabili, in simboli ∀x, y ∈ A, con x 6= y xRy ∨ yRx Definizione 4.3.5 (Relazione d’ordine parziale). Una relazione d’ordine R in un insieme A si dice parziale se e solo se non è totale Osservazione Le definizioni date valgono anche per le relazioni di ordine stretto. 4.3.1 Massimo e minimo di un insieme Dati un insieme non vuoto A e una relazione d’ordine R in A, si hanno le seguenti definizioni: Definizione 4.3.6 (Massimo). Si dice che M ∈ A è il massimo di A, se e solo se ∀x ∈ A xRM e si indica con max (A). Definizione 4.3.7 (Minimo). Si dice che m ∈ A è il minimo di A, se e solo se ∀x ∈ A mRx e si indica con min (A). 4.4 Relazione di equivalenza Definizione 4.4.1 (Relazione di equivalenza). Una relazione in un insieme si dice relazione di equivalenza se e solo se gode delle proprietà riflessiva, simmetrica, transitiva. Definizione 4.4.2 (Classe di equivalenza). Dati una relazione di equivalenza R in un insieme A e x ∈ A, si dice classe di equivalenza di rappresentante x l’insieme di tutti gli elementi di A che sono in relazione con x e si indica con [x], in simboli: [x] = {y ∈ A/yRx} Teorema 4.4.1 (Classi di equivalenza e partizione). Data una relazione di equivalenza R in un insieme A, le classi di equivalenza che si ottengono formano una partizione di A Definizione 4.4.3 (Insieme quoziente). Data una relazione di equivalenza R in un insieme A, si dice insieme quoziente di A rispetto a R e si indica con A/R l’insieme che ha come elementi le classi di equivalenza, in simboli: A/R = {[a]/a ∈ A} 17 Capitolo 5 Numeri naturali 5.1 Introduzione L’insieme dei numeri naturali è infinito e viene indicato con N. N = {0, 1, 2, 3, 4, 5, . . .} Con N0 indichiamo l’insieme dei numeri naturali privati dello 0: N0 = {1, 2, 3, 4, 5, . . .} 5.2 Addizione e moltiplicazione 5.2.1 Proprietà Vediamo ora alcune proprietà dell’addizione 1. proprietà commutativa: ∀a, b ∈ N a + b = b + a 2. proprietà associativa: ∀a, b, c ∈ N a + (b + c) = (a + b) + c 3. proprietà di esistenza dell’elemento neutro: ∃0 ∈ N/∀a ∈ N a + 0 = 0 + a = a Vediamo ora alcune proprietà della moltiplicazione 1. proprietà commutativa: ∀a, b ∈ N a · b = b · a 18 5.3. RELAZIONI NELL’INSIEME DEI NUMERI NATURALI 2. proprietà associativa: ∀a, b, c ∈ N a · (b · c) = (a · b) · c 3. proprietà di esistenza dell’elemento neutro: ∃1 ∈ N/∀a ∈ N a · 1 = 1 · a = a Vale inoltre la proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto all’addizione: ∀a, b, c ∈ N a · (b + c) = (a · b) + (a · c) ∀a, b, c ∈ N (a + b) · c = (a · c) + (b · c) Oltre alle proprietà viste la moltiplicazione gode delle seguenti proprietà 1. proprietà di esistenza dell’elemento nullificatore: ∃0 ∈ N/∀a ∈ N a · 0 = 0 · a = 0 2. legge di annullamento del prodotto ∀a, b ∈ N a · b = 0 ⇔ a = 0 ∨ b = 0 5.3 5.3.1 Relazioni nell’insieme dei numeri naturali Relazioni minore e maggiore Definizione 5.3.1 (Relazione minore o uguale). Dati a, b ∈ N si dice che a è minore o uguale di b se e solo se esiste d ∈ N tale che a + d = b, in simboli: a 6 b ⇔ ∃d ∈ N/a + d = b con a, b ∈ N Teorema 5.3.1 (Relazione minore o uguale). La relazione minore o uguale in N è d’ordine. Definizione 5.3.2 (Relazione minore ). Dati a, b ∈ N si dice che a è minore di b se e solo se a è minore o uguale di b e a è diverso da b, in simboli: a < b ⇔ a 6 b ∧ a 6= b con a, b ∈ N Definizione 5.3.3 (Relazione maggiore o uguale). Dati a, b ∈ N si dice che a è maggiore o uguale di b se e solo se b è minore o uguale di a, in simboli: a > b ⇔ b 6 a con a, b ∈ N Definizione 5.3.4 (Relazione maggiore). Dati a, b ∈ N si dice che a è maggiore di b se e solo se b è minore di a, in simboli: a > b ⇔ b < a con a, b ∈ N La relazione d’ordine minore o uguale è totale e permette di rappresentare i numeri naturali su una retta orientata. Ogni numero naturale ammette successivo: il successivo di n è n + 1 19 CAPITOLO 5. NUMERI NATURALI Compatibilità La relazione d’ordine minore o uguale è compatibile con le operazioni di addizione e moltiplicazione: • ∀a, b, c ∈ N a 6 b ⇒ a + c 6 b + c • ∀a, b ∈ N, c ∈ N0 a 6 b ⇒ a · c 6 b · c La compatibilità vale anche per le relazioni minore, maggiore o uguale, maggiore, uguale. 5.3.2 Relazioni divisore e multiplo Definizione 5.3.5 (Relazione divisore). Dati a, b ∈ N si dice che a è divisore di b se e solo se esiste q ∈ N tale che aq = b, in simboli: a|b ⇔ ∃q ∈ N/aq = b con a, b ∈ N Teorema 5.3.2 (Relazione divisore). La relazione divisore in N è d’ordine. Osservazione La relazione divisore in N è di ordine parziale perché per esempio 2 non è in relazione con 3. Definizione 5.3.6 (Relazione multiplo). Dati a, b ∈ N si dice che a è multiplo di b se e solo se b è divisore di a, in simboli: a è multiplo di b ⇔ b|a con a, b ∈ N Definizione 5.3.7 (Numero pari). Un numero naturale si dice pari se è un multiplo di 2 L’insieme dei numeri pari si indica con P Definizione 5.3.8 (Numero dispari). Un numero naturale si dice dispari se non è un multiplo di 2 L’insieme dei numeri dispari si indica con D Osservazione Un generico numero pari si indica con 2n e un generico numero dispari si indica con 2n + 1 dove n ∈ N 5.4 Criteri di divisibilità I criteri di divisibilità ci permottono di stabilire se un numero è divisibile per un altro senza effettuare la divisione. 1. Un numero naturale è divisibile per 2 se l’ultima cifra è pari 20 5.5. NUMERI PRIMI 2. Un numero naturale è divisibile per 3 se la somma delle cifre è un multiplo di 3 3. Un numero naturale è divisibile per 5 se l’ultima cifra è 0 o 5 4. Un numero naturale è divisibile per 11 se la differenza tra la somma delle cifre di posto pari e la somma delle cifre di posto dispari è un multiplo di 11 5.5 Numeri primi Definizione 5.5.1 (Numero primo). Si dice numero primo un numero naturale maggiore di 1 che ha come divisori solo 1 e se stesso Teorema 5.5.1 (Numeri primi infiniti). L’insieme dei numeri primi è infinito Teorema 5.5.2 (Teorema fondamentale dell’aritmetica). Ogni numero naturale maggiore di 1 si può scrivere come prodotto di fattori primi e tale scomposizione è unica, a meno dell’ordine dei fattori 5.6 Massimo comune divisore e minimo comune multiplo Definizione 5.6.1 (Massimo comune divisore). Si dice massimo comune divisore di due numeri a, b ∈ N0 il maggiore dei divisori comuni ad a e a b e si indica con MCD(a, b) Per calcolare il MCD(a, b), con a 6= 1 ∧ b 6= 1: 1. si scompongono a e b in fattori primi 2. il massimo comune divisore è il prodotto dei fattori comuni presi una volta sola con il minimo esponente, 1 se non ci sono fattori comuni Inoltre MCD(a, 1) = 1 Definizione 5.6.2 (Numeri primi tra loro). Due numeri a, b ∈ N0 si dicono primi tra loro se MCD(a, b) = 1 Osservazione Due numeri primi tra loro non necessariamente sono primi. Definizione 5.6.3 (Minimo comune multiplo). Si dice minimo comune multiplo di due numeri a, b ∈ N0 il minore dei multipli comuni ad a e a b non nulli e si indica con mcm(a, b) Per calcolare il mcm(a, b), con a 6= 1 ∧ b 6= 1: 21 CAPITOLO 5. NUMERI NATURALI 1. si scompongono a e b in fattori primi 2. il minimo comune multiplo è il prodotto dei fattori comuni e non comuni presi una volta sola con il massimo esponente Inoltre mcm(a, 1) = a Teorema 5.6.1 (Massimo comune divisore e minimo comune multiplo). Il prodotto tra il massimo comune divisore e il minimo comune multiplo di due numeri è uguale al prodotto dei due numeri. In simboli: MCD(a, b) · mcm(a, b) = a · b 22 Capitolo 6 Numeri interi 6.1 Introduzione I numeri interi si esprimono scrivendo i numeri naturali preceduti dal segno − (numeri interi negativi) o dal segno + (numeri interi positivi). Lo 0 non è preceduto da alcun segno. L’insieme dei numeri interi è infinito e viene indicato con Z. Z = {. . . , −5, −4, −3, −2, −1, 0, +1, +2, +3, +4, +5, . . .} Con Z− indichiamo l’insieme dei numeri interi negativi Z− = {. . . , −3, −2, −1} Con Z+ indichiamo l’insieme dei numeri interi positivi Z+ = {+1, +2, +3, . . .} Con Z0 indichiamo l’insieme dei numeri interi privati dello 0: Z0 = {. . . , −5, −4, −3, −2, −1, +1, +2, +3, +4, +5, . . .} 6.2 Addizione e moltiplicazione 6.2.1 Proprietà Vediamo ora alcune proprietà dell’addizione 1. proprietà commutativa: ∀a, b ∈ Z a + b = b + a 2. proprietà associativa: ∀a, b, c ∈ Z a + (b + c) = (a + b) + c 23 CAPITOLO 6. NUMERI INTERI 3. proprietà di esistenza dell’elemento neutro: ∃0 ∈ Z/∀a ∈ Z a + 0 = 0 + a = a 4. proprietà di esistenza dell’elemento opposto: ∀a ∈ Z∃ − a ∈ Z/a + (−a) = −a + a = 0 Vediamo ora alcune proprietà della moltiplicazione 1. proprietà commutativa: ∀a, b ∈ Z a · b = b · a 2. proprietà associativa: ∀a, b, c ∈ Z a · (b · c) = (a · b) · c 3. proprietà di esistenza dell’elemento neutro: ∃ + 1 ∈ Z/∀a ∈ Z a · (+1) = +1 · a = a Vale inoltre la proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto all’addizione: ∀a, b, c ∈ Z a · (b + c) = (a · b) + (a · c) ∀a, b, c ∈ Z (a + b) · c = (a · c) + (b · c) Oltre alle proprietà viste la moltiplicazione gode delle seguenti proprietà 1. proprietà di esistenza dell’elemento nullificatore: ∃0 ∈ Z/∀a ∈ Z a · 0 = 0 · a = 0 2. legge di annullamento del prodotto ∀a, b ∈ Z a · b = 0 ⇔ a = 0 ∨ b = 0 6.2.2 Numeri interi concordi e discordi Definizione 6.2.1 (Concordi). Due numeri interi non nulli si dicono concordi se hanno lo stesso segno Definizione 6.2.2 (Discordi). Due numeri interi non nulli si dicono discordi se hanno segno diverso 24 6.3. SOTTRAZIONE 6.3 Sottrazione Definizione 6.3.1 (Differenza). La differenza fra due numeri interi a e b è la somma di a con l’opposto di b. In simboli a − b = a + (−b) Osservazione La sottrazione non gode delle proprietà commutativa e associativa. 6.4 6.4.1 Relazioni nell’insieme dei numeri interi Relazioni minore e maggiore Definizione 6.4.1 (Relazione minore o uguale). Dati a, b ∈ Z si dice che a è minore o uguale di b se e solo se esiste d ∈ Z+ ∪ {0} tale che a + d = b, in simboli: a 6 b ⇔ ∃d ∈ Z+ ∪ {0}/a + d = b con a, b ∈ Z Teorema 6.4.1 (Relazione minore o uguale). La relazione minore o uguale in Z è d’ordine. La relazione d’ordine minore o uguale è totale e permette di rappresentare i numeri interi su una retta orientata. In Z si possono definire le relazioni minore, maggiore uguale e maggiore in modo analogo alle definizioni viste in N. Ogni numero intero ammette successivo: il successivo di a è a + 1 Compatibilità La relazione d’ordine minore o uguale è compatibile con le operazioni di addizione e moltiplicazione: • ∀a, b, c ∈ Z a 6 b ⇒ a + c 6 b + c • ∀a, b ∈ Z, c ∈ Z+ a 6 b ⇒ a · c 6 b · c La compatibilità vale anche per le relazioni minore, maggiore o uguale, maggiore. 6.4.2 Relazioni divisore e multiplo Definizione 6.4.2 (Relazione divisore). Dati a, b ∈ Z si dice che a è divisore di b se e solo se esiste q ∈ Z tale che aq = b, in simboli: a|b ⇔ ∃q ∈ Z/aq = b con a, b ∈ Z Teorema 6.4.2 (Relazione divisore). La relazione divisore in Z gode delle proprietà riflessiva e transitiva. 25 CAPITOLO 6. NUMERI INTERI Osservazione La relazione divisore in Z non è una relazione d’ordine perché non gode delle proprietà antisimmetrica. Infatti +3 è divisore di −3 e −3 è divisore di +3 con (−3) 6= (+3). Osservazione In Z si può definire la relazione multiplo in modo analogo alla definizione vista in N Osservazione In Z si definiscono i numeri pari e dispari in modo analogo a quanto visto in N 6.5 Valore assoluto Definizione 6.5.1 (Valore assoluto). Il valore assoluto di un numero intero è il numero stesso se il numero è maggiore o uguale di 0, il suo opposto se il numero è minore di 0. 6.6 Massimo comune divisore e minimo comune multiplo Definizione 6.6.1 (Massimo comune divisore). Si dice massimo comune divisore di due numeri a, b ∈ Z0 il maggiore dei divisori positivi comuni ad a e a b Il massimo comune divisore di a, b si indica con MCD(a, b) Osservazione Il massimo comune divisore di due numeri interi è un numero intero positivo ed è uguale al massimo comune divisore dei loro valori assoluti. Definizione 6.6.2 (Numeri primi tra loro). Due numeri a, b ∈ Z0 si dicono primi tra loro se MCD(a, b) = 1 Definizione 6.6.3 (Minimo comune multiplo). Si dice minimo comune multiplo di due numeri a, b ∈ Z0 il minore dei multipli positivi comuni ad a e a b Il minimo comune multiplo di a, b si indica con mcm(a, b) Osservazione Il minimo comune multiplo di due numeri interi è un numero intero positivo ed è uguale al minimo comune multiplo dei loro valori assoluti. 26 Capitolo 7 Numeri razionali 7.1 Introduzione I numeri razionali si esprimono come rapporto tra due numeri interi con il secondo diverso da 0. L’insieme dei numeri razionali è infinito e viene indicato con Q. ™ m /m ∈ Z ∧ n ∈ Z0 n m Il numero razionale si dice anche frazione, m si dice numeratore, n si dice denominatore. n 0 n Il numero si indica con 0, il numero si indica con 1. n n Un numero razionale si dice negativo se il numeratore e il denominatore sono discordi, positivo se sono concordi. L’insieme dei numeri razionali negativi si indica con Q− , l’insieme dei numeri razionali positivi si indica con Q+ . L’insieme dei numeri razionali privato dello 0 si indica con Q0 . Q= ß 7.2 Addizione e moltiplicazione 7.2.1 Proprietà Vediamo ora alcune proprietà dell’addizione 1. proprietà commutativa: ∀a, b ∈ Q a + b = b + a 2. proprietà associativa: ∀a, b, c ∈ Q a + (b + c) = (a + b) + c 3. proprietà di esistenza dell’elemento neutro: ∃0 ∈ Q/∀a ∈ Q a + 0 = 0 + a = a 27 CAPITOLO 7. NUMERI RAZIONALI 4. proprietà di esistenza dell’elemento opposto: ∀a ∈ Q ∃ − a ∈ Q/a + (−a) = −a + a = 0 Vediamo ora alcune proprietà della moltiplicazione 1. proprietà commutativa: ∀a, b ∈ Q a · b = b · a 2. proprietà associativa: ∀a, b, c ∈ Q a · (b · c) = (a · b) · c 3. proprietà di esistenza dell’elemento neutro: ∃1 ∈ Q/∀a ∈ Q a · 1 = 1 · a = a 4. proprietà di esistenza dell’elemento inverso: ∀a ∈ Q0 ∃a−1 ∈ Q0 /a · a−1 = a−1 · a = 1 Vale inoltre la proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto all’addizione: ∀a, b, c ∈ Q a · (b + c) = (a · b) + (a · c) ∀a, b, c ∈ Q (a + b) · c = (a · c) + (b · c) Oltre alle proprietà viste la moltiplicazione gode delle seguenti proprietà 1. proprietà di esistenza dell’elemento nullificatore: ∃0 ∈ Q/∀a ∈ Q a · 0 = 0 · a = 0 2. legge di annullamento del prodotto ∀a, b ∈ Q a · b = 0 ⇔ a = 0 ∨ b = 0 Osservazioni m m L’opposto del numero razionale è − ; infatti n n m ò ï m ò ï m ò ï −m ò ï mn − nm ò + − = + = =0 n n n n n2 m n 6= 0 è ; infatti L’inverso del numero razionale n m ï ò ï ò ï ò m n mn · = =1 n m nm ï L’inverso di a si dice anche reciproco di a e si può indicare con 28 1 a 7.3. DIVISIONE 7.2.2 Numeri razionali concordi e discordi Definizione 7.2.1 (Concordi). Due numeri razionali non nulli si dicono concordi se sono entrambi positivi o entrambi negativi Definizione 7.2.2 (Discordi). Due numeri razionali non nulli si dicono discordi se uno è positivo e l’altro è negativo 7.2.3 Proprietà invariantiva Teorema 7.2.1 (Proprietà invariantiva). Moltiplicando numeratore e denominatore di un numero razionale per uno stesso numero intero non nullo, si ottiene lo stesso numero razionale, in simboli: ak a = con a ∈ Z, b, k ∈ Z0 b bk Definizione 7.2.3 (Numero razionale ridotto ai minimi termini). Un numero razionale si dice ridotto ai minimi termini se numeratore e denominatore sono primi tra loro Semplificazione di un numero razionale Utilizzando la proprietà invariantiva si può semplificare un numero razionale, cioè ridurlo ai minimi termini, dividendo numeratore e denominatore per il loro massimo comune divisore. Osservazione In pratica, per semplificare un numero razionale, si dividono numeratore e denominatore per un loro divisore comune e si ripete il procedimento fino a quando non diventano primi tra loro. 7.3 Divisione Definizione 7.3.1 (Quoziente). Il quoziente di due numeri razionali a e b con b 6= 0 è il prodotto di a con l’inverso di b. In simboli a:b=a· 1 b Osservazione La divisione tra due numeri razionali a e b con b 6= 0 si può anche indicare in questo modo: a b Osservazione La divisione non gode delle proprietà commutativa e associativa. 29 CAPITOLO 7. NUMERI RAZIONALI La divisione gode della proprietà distributiva a destra rispetto all’addizione e alla sottrazione: ∀a, b ∈ Q, c ∈ Q0 (a + b) : c = (a : c) + (b : c) ∀a, b ∈ Q, c ∈ Q0 (a − b) : c = (a : c) − (b : c) Non si può dividere a 6= 0 per 0, perchè nessun numero razionale moltiplicato per 0 dà a quindi un numero razionale non nullo diviso 0 è impossibile. 0 : 0 è indeterminato perché qualsiasi numero razionale moltiplicato per 0 dà 0 Se a 6= 0 allora 0 : a = 0 7.4 Relazioni minore e maggiore nell’insieme dei numeri razionali Definizione 7.4.1 (Relazione minore o uguale). Dati a, b ∈ Q si dice che a è minore o uguale di b se e solo se esiste d ∈ Q+ ∪ {0} tale che a + d = b, in simboli: a 6 b ⇔ ∃d ∈ Q+ ∪ {0}/a + d = b con a, b ∈ Q Teorema 7.4.1 (Relazione minore o uguale). La relazione minore o uguale in Q è d’ordine. 7.4.1 Ordinamento dei numeri razionali In pratica per ordinare più numeri razionali: 1. si riducono i numeri razionali allo stesso denominatore 2. si confrontano i numeratori Osservazione La relazione d’ordine minore o uguale è totale e permette di rappresentare i numeri razionali su una retta orientata. In Q si possono definire le relazioni minore, maggiore o uguale e maggiore in modo analogo alle definizioni viste in N. 7.4.2 Compatibilità La relazione d’ordine minore o uguale è compatibile con le operazioni di addizione e moltiplicazione: • ∀a, b, c ∈ Q a 6 b ⇒ a + c 6 b + c • ∀a, b ∈ Q, c ∈ Q+ a 6 b ⇒ a · c 6 b · c La compatibilità vale anche per le relazioni minore, maggiore o uguale, maggiore. La compatibilità vale anche per la relazione di uguaglianza: 1. ∀a, b, c ∈ Q a = b ⇒ a + c = b + c 2. ∀a, b ∈ Q, c ∈ Q0 a = b ⇒ a · c = b · c 30 7.5. DENSITÀ 7.5 Densità A differenza dei numeri naturali e interi i numeri razionali non ammettono successivo. Teorema 7.5.1. Dati due numeri razionali a, b con a < b esistono infiniti numeri razionali compresi tra a e b. Dimostrazione a+b ∈ Q è compreso tra a e b, cioè Dati a, b ∈ Q con a < b dimostriamo che 2 a+b a< <b 2 a+b a < b ⇒ a + a < a + b ⇒ 2a < a + b ⇒ a < 2 a+b a < b ⇒ a + b < b + b ⇒ a + b < 2b ⇒ <b 2 quindi a< a+b <b 2 a+b Ripetendo il procedimento tra a e troviamo un altro numero razionale e così via. 2 Osservazione Il teorema precedente ci dice che l’insieme dei numeri razionali è denso 7.6 Numeri decimali Ogni numero razionale si può rappresentare con un numero decimale. m per ottenere la rappresentazione decimale si effettua la divisione Dato il numero razionale n |m| : |n| e se m e n sono discordi si scrive un − davanti al risultato. Il numero decimale che rappresenta un numero razionale può essere: 1. un numero decimale limitato 2. un numero decimale illimitato periodico semplice (le cifre della parte decimale si ripetono periodicamente) 3. un numero decimale illimitato periodico misto (ci sono delle cifre decimali prima di quelle che si ripetono periodicamente) Il numero formato dalle cifre che si ripetono periodicamente si dice periodo, il numero formato dalle cifre decimali che precedono il periodo si dice antiperiodo. Osservazione Un numero razionale non può essere rappresentato con un numero decimale illimitato non periodico. Infatti, poiché il resto della divisione è minore del divisore, dopo un numero di passaggi minore o uguale del divisore si ottiene un resto uguale a uno precedente. Per stabilire a quale tipo di numero decimale corrisponde un numero razionale: 31 CAPITOLO 7. NUMERI RAZIONALI 1. si riduce il numero razionale ai minimi termini 2. si scompone in fattori primi il denominatore 3. si anilizzano i fattori primi (a) se sono presenti solo i fattori 2 o 5, il numero decimale è limitato (b) se non sono presenti i fattori 2 e 5, il numero decimale è illimitato periodico semplice (c) se sono presenti 2 o 5 e altri fattori, il numero decimale è illimitato periodico misto 7.6.1 Trasformazione dei numeri decimali in frazione Per scrivere un numero decimale limitato sotto forma di frazione 1. si scrive al numeratore il numero decimale senza la virgola 2. si scrive al denominatore 1 seguito da tanti 0 quante sono le cifre dopo la virgola 3. si semplica la frazione ottenuta Per scrivere un numero decimale illimitato peridico positivo sotto forma di frazione: 1. si scrive al numeratore la differenza tra il numero decimale senza la virgola e il numero formato da tutte le cifre che precedono il periodo 2. si scrive al denominatore un numero formato da tanti 9 quante sono le cifre del periodo e da tanti 0 quante sono le cifre dell’antiperiodo 3. si semplica la frazione ottenuta Osservazione Per trasformare un numero decimale illimitato periodico negativo in frazione, si fa precedere dal segno meno la frazione ottenuta trasformando il valore assoluto del numero. Osservazione Un numero decimale illimitato periodico con periodo 9 è un numero decimale limitato. Esempio 7.6.1. • 3, 19 = • 3, 9 = 319 − 31 288 16 = = = 3, 2 90 90 5 39 − 3 36 = =4 9 9 32 7.7. RAPPORTI E PROPORZIONI 7.6.2 Notazione scientifica Definizione 7.6.1 (Notazione scientifica). Un numero decimale è scritto in notazione scientifica se è espresso con una sola cifra compresa tra 1 e 9 prima della virgola e moltiplicato per una potenza di 10 con esponente positivo o negativo Per scrivere un numero decimale in notazione scientifica: 1. si pone la virgola dopo la prima cifra diversa da zero che si incontra partendo dalla sinistra del numero 2. l’esponente del dieci è il numero di cifre di cui si spostata la virgola se si è spostata verso sinistra, il suo opposto se si è spostata verso destra. 7.6.3 Ordine di grandezza Definizione 7.6.2 (Ordine di grandezza). Di dice ordine di grandezza di un numero decimale la potenza di 10 più vicina a quel numero Per determinare l’ordine di grandezza di un numero decimale 1. si scrive il numero in notazione scientifica: a · 10n 2. se a < 5, l’ordine di grandezza è 10n altrimenti è 10n+1 7.7 Rapporti e proporzioni Definizione 7.7.1 (Rapporto). Si dice rapporto tra due numeri razionali non nulli il quoziente della divisione tra il primo e il secondo Definizione 7.7.2 (Proporzione). Si dice proporzione l’uguaglianza tra due rapporti La proporzione a:b=c:d si legge a sta a b come c sta a d. a e d si dicono estremi, b e c medi; a e c si dicono antecedenti, b e d conseguenti. Definizione 7.7.3 (Proporzione continua). Si dice proporzione continua una proporzione in cui i medi sono uguali La proporzione a:b=b:c è continua 33 CAPITOLO 7. NUMERI RAZIONALI Definizione 7.7.4 (Medio proporzionale). Si dice medio proporzionale il medio di una proporzione continua Nella proporzione continua a:b=b:c b è il medio proporzionale 7.7.1 Proprietà Teorema 7.7.1 (Proprietà fondamentale delle proporzioni). In ogni proporzione il prodotto dei medi è uguale al prodotto degli estremi. In simboli a : b = c : d ⇒ ad = bc Osservazione Dalla proprietà fondamentale si può ricavare uno dei termini della proporzione. Ricaviamo a 1 1 bc ad = bc ⇒ ad = bc ⇒ a = d d d In modo analogo si ricavano gli altri termini. Teorema 7.7.2 (Proprietà dell’invertire). Se in una proporzione si scambia ogni antecedente con il proprio conseguente si ottiene una nuova proporzione. In simboli a:b=c:d⇒b:a=d:c Teorema 7.7.3 (Proprietà del permutare). Se in una proporzione si scambiano tra loro i due medi o i due estremi si ottiene una nuova proporzione. In simboli a:b=c:d⇒a:c=b:d a:b=c:d⇒d:b=c:a Teorema 7.7.4 (Proprietà del comporre). In una proporzione con la somma dei primi due termini diversa da 0, la somma dei primi due termini sta al secondo come la somma del terzo e quarto termine sta al quarto. In simboli a : b = c : d ⇒ (a + b) : b = (c + d) : d In una proporzione con la somma dei primi due termini diversa da 0, la somma dei primi due termini sta al primo come la somma del terzo e quarto termine sta al terzo. a : b = c : d ⇒ (a + b) : a = (c + d) : c 34 7.7. RAPPORTI E PROPORZIONI La proprietà del comporre si estende nel caso di più rapporti uguali: Teorema 7.7.5 (Proprietà del comporre). In una serie di rapporti uguali con la somma degli antecedenti diversa da 0, la somma degli antecedenti sta a un antecedente come la somma dei conseguenti sta al conseguente corrispondente Teorema 7.7.6 (Proprietà dello scomporre). In una proporzione con la differenza dei primi due termini diversa da 0, la differenza tra i primi due termini sta al secondo come la differenza tra il terzo e e il quarto termine sta al quarto. In simboli a : b = c : d ⇒ (a − b) : b = (c − d) : d In una proporzione con la differenza dei primi due termini diversa da 0, la differenza tra i primi due termini sta al primo come la differenza tra il terzo e il quarto termine sta al terzo. In simboli a : b = c : d ⇒ (a − b) : a = (c − d) : c 7.7.2 Percentuali Definizione 7.7.5 (Percentuale). a con a ∈ Z e si scrive a% Si dice percentuale un numero razionale 100 Esempio 7.7.1. 25 = 25% = 0, 25 100 Poiché la percentuale è un rapporto si possono utilizzare le proporzioni per risolvere alcuni problemi riguardanti le percentuali. 35 Capitolo 8 Numeri reali 8.1 Introduzione Teorema √ 8.1.1. Il numero 2 non è un numero razionale Dimostrazione per assurdo √ Supponiamo per assurdo che 2 sia un numero razionale: allora √ p 2 = con p, q primi fra loro q Elevando al quadrato entrambi i membri si ottiene p2 =2 q2 p2 = 2q 2 Quindi p2 è un numero pari. Se p2 è pari, allora p è pari, cioè p = 2n; sostituendo nell’uguaglianza precedente si ottiene: (2n)2 = 2q 2 4n2 = 2q 2 2n2 = q 2 Quindi q 2 è un numero pari. Se q 2 è pari, allora q è pari, cioè q = 2m, quindi√p e q non sono primi tra loro e questo contraddice l’ipotesi. Poiché la tesi negata è falsa 2 non è un numero razionale. 8.2 Numeri irrazionali Definizione 8.2.1 (Numeri irrazionali). Si dice numero irrazionale ogni numero decimale illimitato non periodico L’insieme dei numeri irrazionali si indica con I. 36 8.3. INSIEME DEI NUMERI REALI 8.3 Insieme dei numeri reali Definizione 8.3.1 (Numeri reale). Si dice numero reale ogni numero razionale o irrazionale Definizione 8.3.2 (Insieme dei numeri reali). L’insieme dei numeri reali è l’unione fra l’insieme dei numeri razionali e l’insieme dei numeri irrazionali L’insieme dei numeri reali si indica con R: R=Q∪I L’insieme dei numeri reali negativi si indica con R− , l’insieme dei numeri reali positivi si indica con R+ . L’insieme dei numeri reali privato dello 0 si indica con R0 . 8.4 Addizione e moltiplicazione Nell’insieme dei numeri reali sono definite le operazioni di addizione e di moltiplicazione. L’addizione si indica con +: a ogni coppia ordinata (α, β) ∈ R × R viene associato γ = α + β ∈ R; α e β si dicono addendi, γ si dice somma. La moltiplicazione si indica con ·: a ogni coppia ordinata (α, β) ∈ R × R viene associato γ = α · β ∈ R; α e β si dicono fattori, γ si dice prodotto. Proprietà Vediamo ora alcune proprietà dell’addizione 1. proprietà commutativa: ∀α, β ∈ R α + β = β + α 2. proprietà associativa: ∀α, β, γ ∈ R α + (β + γ) = (α + β) + γ 3. proprietà di esistenza dell’elemento neutro: ∃0 ∈ R/∀α ∈ R α + 0 = 0 + α = α 4. proprietà di esistenza dell’elemento opposto: ∀α ∈ R ∃ − α ∈ R/α + (−α) = −α + α = 0 Vediamo ora alcune proprietà della moltiplicazione 37 CAPITOLO 8. NUMERI REALI 1. proprietà commutativa: ∀α, β ∈ R α · β = β · α 2. proprietà associativa: ∀α, β, γ ∈ R α · (β · γ) = (α · β) · γ 3. proprietà di esistenza dell’elemento neutro: ∃1 ∈ R/∀α ∈ R α · 1 = 1 · α = α 4. proprietà di esistenza dell’elemento inverso: ∀α ∈ R0 ∃α−1 ∈ R0 /α · α−1 = α−1 · α = 1 Vale inoltre la proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto all’addizione: ∀α, β, γ ∈ R α · (β + γ) = (α · β) + (α · γ) ∀α, β, γ ∈ R (α + β) · γ = (α · γ) + (β · γ) Oltre alle proprietà viste la moltiplicazione gode delle seguenti proprietà 1. proprietà di esistenza dell’elemento nullificatore: ∃0 ∈ R/∀α ∈ R α · 0 = 0 · α = 0 2. legge di annullamento del prodotto ∀α, β ∈ R α · β = 0 ⇔ α = 0 ∨ β = 0 Osservazioni • L’inverso di α si dice anche reciproco di α e si può indicare con 1 α • Le proprietà di esistenza dell’elemento opposto e di quello inverso ci permettono di definire le operazioni di sottrazione e divisione tra numeri reali. 8.5 Sottrazione Definizione 8.5.1 (Differenza). La differenza di due numeri reali α e β è la somma di α con l’opposto di β. In simboli α − β = α + (−β) 38 8.6. DIVISIONE 8.6 Divisione Definizione 8.6.1 (Quoziente). Il quoziente di due numeri reali α e β con β 6= 0 è il prodotto di α con l’inverso di β. In simboli α:β =α· 8.7 1 β Relazioni minore e maggiore nell’insieme dei numeri reali Definizione 8.7.1 (Relazione minore o uguale). Dati α, β ∈ R si dice che α è minore o uguale di β se e solo se esiste γ ∈ R+ ∪ {0} tale che α + γ = β, in simboli: α 6 β ⇔ ∃γ ∈ R+ ∪ {0}/α + γ = β con α, β ∈ R Teorema 8.7.1 (Relazione minore o uguale). La relazione minore o uguale in R è di ordine. Osservazione La relazione minore o uguale è di ordine totale e permette di rappresentare i numeri reali su una retta orientata. In R si possono definire le relazioni minore, maggiore o uguale e maggiore in modo analogo alle definizioni viste in N. 8.7.1 Compatibilità La relazione d’ordine minore o uguale è compatibile con le operazioni di addizione e moltiplicazione: • ∀α, β, γ ∈ R α 6 β ⇒ α + γ 6 β + γ • ∀α, β ∈ R, γ ∈ R+ α 6 β ⇒ α · γ 6 β · γ La compatibilità vale anche per le relazioni minore, maggiore o uguale, maggiore. La compatibilità vale anche per la relazione di uguaglianza: 1. ∀α, β, γ ∈ R α = β ⇒ α + γ = β + γ 2. ∀α, β, γ ∈ R α = β ⇒ α · γ = β · γ 8.8 Continuità dei numeri reali Come i numeri razionali, i numeri reali non ammettono successivo e come per i numeri razionali vale il seguente teorema: Teorema 8.8.1. Dati due numeri reali α, β con α < β esistono infiniti numeri reali compresi tra α e β 39 CAPITOLO 8. NUMERI REALI L’insieme dei numeri reali è caratterizzato dalla proprietà di continuità: Teorema 8.8.2 (Continuità dei numeri reali). Esiste una biezione tra l’insieme dei numeri reali e quello dei punti di una retta orientata: ad ogni numero reale corrisponde un punto della retta e, viceversa, a ogni punto della retta corrisponde un numero reale Questo teorema non vale per i numeri razionali: a ogni numero razionale corrisponde un punto della retta orientata, ma esistono punti della retta a cui non corrisponde alcun numero razionale. Infatti, se consideriamo un quadrato di lato unitario e riportiamo √ il segmento della diagonale sulla retta orientata, troviamo il punto P rappresentativo di 2 che non è razionale √ 0 8.9 2 1 P √ 2 Approssimazione dei numeri reali Ogni numero reale si può approssimare per difetto o per eccesso con un numero razionale. Le operazioni con i numeri reali si eseguono in modo esatto scrivendo i numeri separati dal simbolo dell’operazione. Si possono ottenere valori approssimati di somme e prodotti di numeri reali utilizzando le successioni che approssimano per difetto e per eccesso i numeri dati. Esempio 8.9.1. Eseguiamo la seguente addizione con valori approssimati √ 7+π √ Esprimiamo 7 e π con le successioni di numeri decimali approssimanti per difetto e per eccesso: √ ® 2; 2, 6; 2, 64; 2, 645 . . . 7 3; 2, 7; 2, 65; 2, 646 . . . ® π 3; 3, 1; 3, 14; 3, 141 . . . 4; 3, 2; 3, 15; 3, 142 . . . addizioniamo fra loro i valori per difetto e per eccesso corrispondenti ottenendo le successioni: ® √ 5; 5, 7; 5, 78; 5, 786 . . . 7+π 7; 5, 9; 5, 80; 5, 788 . . . √ Le due successioni individuano un numero reale che è la somma 7 + π. 40 Capitolo 9 Monomi e polinomi 9.1 Monomi Definizione 9.1.1 (Monomio). Si dice monomio ogni prodotto di fattori numerici e letterali, dove gli esponenti dei fattori letterali sono numeri naturali. 9.1.1 Monomi in forma normale Definizione 9.1.2 (Monomio in forma normale). Un monomio si dice in forma normale se è formato da un fattore numerico e da fattori letterali con basi diverse. 9.1.2 Grado di un monomio Definizione 9.1.3 (Grado di un monomio). Si dice grado di un monomio non nullo la somma degli esponenti dei fattori letterali della sua forma normale Definizione 9.1.4 (Grado di un monomio rispetto a una lettera). Si dice grado rispetto a una lettera di un monomio non nullo l’esponente di quella lettera nella sua forma normale 9.1.3 Monomi simili Definizione 9.1.5 (Monomi simili). Due monomi in forma normale si dicono simili se hanno la stessa parte letterale. 9.2 Addizione di monomi Definizione 9.2.1 (Somma). La somma di due monomi simili è il monomio simile a quelli dati che ha come coefficiente la somma dei coefficienti. 41 CAPITOLO 9. MONOMI E POLINOMI 9.3 Opposto di un monomio Definizione 9.3.1 (Opposto). Si dice opposto di un monomio il monomio che, addizionato a quello dato, dà come somma il monomio nullo. Osservazione L’opposto di un monomio si indica ponendo il segno − davanti al monomio racchiuso tra parentesi. 9.4 Moltiplicazione di monomi Definizione 9.4.1 (Moltiplicazione). Il prodotto di due monomi è il monomio che ha come coefficiente il prodotto dei coefficienti e, come parte letterale, il prodotto delle parti letterali dei monomi dati. 9.4.1 Legge di annullamento del prodotto Nell’insieme dei monomi vale la legge di annullamento del prodotto. Infatti se, nella moltiplicazione di due monomi, è presente il monomio nullo, il prodotto è il monomio nullo. Viceversa, se il prodotto di due monomi è il monomio nullo, almeno uno dei fattori è il monomio nullo. 9.5 Elevamento a potenza di monomi Definizione 9.5.1 (Potenza). La potenza con esponente un numero naturale di un monomio non nullo è il monomio che ha come coefficiente la potenza del coefficiente e, come parte letterale, la potenza di ogni fattore della parte letterale del monomio dato. 9.6 Divisione di monomi Definizione 9.6.1 (Quoziente). Il quoziente di due monomi, con il primo divisibile per il secondo, è il monomio che ha come coefficiente il quoziente dei coefficienti e, come parte letterale, il quoziente delle parti letterali dei monomi dati. Osservazioni 1. Il quoziente della divisione di due monomi simili è il quoziente dei coefficienti. Ç 2. å Ç 2 2 ab : 3 å 4 ab 6= 3 Ç å Ç 2 2 3 ab · ab 3 4 å 42 9.7. MASSIMO COMUNE DIVISORE E MINIMO COMUNE MULTIPLO DI MONOMI perché si è effettuato il reciproco solo del coefficiente e non della parte letterale; il procedimento corretto è: Ç å Ç 2 2 ab : 3 å 4 2 3 1 ab = · a = a 3 3 4 2 quindi si deve moltiplicare il primo coefficiente per il reciproco del secondo ed effettuare contemporaneamente la divisione della parti letterali. 9.7 Massimo comune divisore e minimo comune multiplo di monomi Il massimo comune divisore di due o più monomi è il monomio che ha come parte letterale il prodotto delle lettere comuni ai monomi dati con il minimo esponente e come coefficiente un numero qualsiasi. Per comodità come coefficiente si sceglie il MCD dei coefficienti, se questi sono interi; si sceglie 1, se tra i coefficienti c’è almeno una frazione. Il minimo comune multiplo di due o più monomi è il monomio che ha come parte letterale il prodotto delle lettere comuni e non comuni con il massimo esponente e come coefficiente un numero qualsiasi. Per comodità come coefficiente si sceglie il mcm dei coefficienti, se questi sono interi; si sceglie 1, se tra i coefficienti c’è almeno una frazione. 9.8 Polinomi Definizione 9.8.1 (Polinomio). Si dice polinomio la somma algebrica di più monomi. Osservazione Gli elementi che compongono i monomi si dicono fattori, gli elementi che compongono i polinomi si dicono termini. In 3ab + 2c sono fattori 3, a, b, 2, c, mentre 3ab, 2c sono termini del polinomio. 9.8.1 Polinomi in forma normale Definizione 9.8.2 (Polinomio in forma normale). Un polinomio si dice in forma normale quando i suoi termini sono tutti in forma normale e non ci sono monomi simili 9.8.2 Grado di un polinomio Definizione 9.8.3 (Grado di un polinomio). Si dice grado di un polinomio non nullo in forma normale il massimo dei gradi dei suoi termini. Definizione 9.8.4 (Termine noto). Si dice termine noto di un polinomio il termine di grado 0 43 CAPITOLO 9. MONOMI E POLINOMI Definizione 9.8.5 (Grado rispetto a una lettera di un polinomio). Si dice grado rispetto a una lettera di un polinomio non nullo in forma normale il massimo esponente di quella lettera 9.8.3 Polinomi omogenei, ordinati, completi Definizione 9.8.6 (Polinomio omogeneo). Un polinomio in forma normale si dice omogeneo se tutti i suoi termini hanno lo stesso grado Definizione 9.8.7 (Polinomio ordinato). Un polinomio in forma normale si dice ordinato secondo le potenze decrescenti rispetto a una lettera se, leggendo da sinistra a destra, gli esponenti di quella lettera non aumentano. Un polinomio in forma normale si dice ordinato secondo le potenze crescenti rispetto a una lettera se, leggendo da sinistra a destra, gli esponenti di quella lettera non diminuiscono. Definizione 9.8.8 (Polinomio completo). Un polinomio in forma normale si dice completo rispetto ad una lettera se essa vi compare con tutte le potenze da quella di grado maggiore a quella di grado 0. 9.9 Opposto di un polinomio Definizione 9.9.1 (Opposto). Si dice opposto di un polinomio il polinomio che, addizionato a quello dato, dà come somma il polinomio nullo. Osservazione L’opposto di un polinomio si indica ponendo il segno − davanti al polinomio racchiuso tra parentesi. 9.10 Moltiplicazione di polinomi Definizione 9.10.1 (Prodotto). Il prodotto di due polinomi è il polinomio i cui termini si ottengono moltiplicando ogni termine del primo polinomio per ogni termine del secondo polinomio. 9.11 9.11.1 Prodotti notevoli Somma di due monomi per la loro differenza Teorema 9.11.1 (Somma per differenza). Il prodotto della somma di due monomi per la loro differenza è uguale alla differenza fra il quadrato del termine con coefficiente che non cambia segno e il quadrato del termine con coefficiente che cambia segno: (a + b) · (a − b) = a2 − b2 44 9.11. PRODOTTI NOTEVOLI 9.11.2 Quadrato di un binomio Teorema 9.11.2 (Quadrato di un binomio). Il quadrato di un binomio è il polinomio costituito dalla somma dei quadrati dei due termini e del loro doppio prodotto: (a + b)2 = a2 + 2ab + b2 9.11.3 Quadrato di un trinomio Teorema 9.11.3 (Quadrato di un trinomio). Il quadrato di un trinomio è il polinomio costituito dalla somma dei quadrati dei tre termini e dei tre loro doppi prodotti: (a + b + c)2 = a2 + b2 + c2 + 2ab + 2ac + 2bc Osservazione I tre quadrati hanno sempre coefficiente positivo, i coefficienti dei doppi prodotti sono positivi se i coefficienti dei due termini hanno lo stesso segno, negativi in caso contrario. 9.11.4 Cubo di un binomio Teorema 9.11.4 (Cubo di un binomio). Il cubo di un binomio è il polinomio costituito dalla somma dei cubi dei due termini, del triplo prodotto del quadrato del primo termine per il secondo e del triplo prodotto del primo termine per il quadrato del secondo: (a + b)3 = a3 + 3a2 b + 3ab2 + b3 9.11.5 Potenza di un binomio Dato il binomio a + b scriviamo le potenze con esponente 0, 1, 2, 3: (a + b)0 = 1 (a + b)1 = a + b (a + b)2 = a2 + 2ab + b2 (a + b)3 = a3 + 3a2 b + 3ab2 + b3 Possiamo notare che si ottengono dei polinomi con le seguenti caratteristiche: 1. il numero dei termini è uguale all’esponente aumentato di 1; 2. sono polinomi omogenei di grado uguale all’esponente; 3. sono polinomi completi e ordinati in modo decrescente rispetto alla lettera a; 4. sono polinomi completi e ordinati in modo crescente rispetto alla lettera b. 45 CAPITOLO 9. MONOMI E POLINOMI Per determinare i coefficienti dei termini di questi polinomi si utilizza il triangolo di Tartaglia che si costruisce nel seguente modo: 1. la prima riga è formata solo da un 1; 2. la seconda riga è formata da 1 e 1; 3. le altre righe iniziano e terminano con 1 e gli altri numeri si ottengono sommando i due numeri più vicini della riga precedente. Esempio 9.11.1. Costruiamo le prime 6 righe del triangolo di Tartaglia: 1 1 1 1 1 2 3 5 1 3 6 4 1 1 10 1 4 10 1 5 1 Figura 9.1: triangolo di Tartaglia La prima riga del triangolo di Tartaglia fornisce il coefficiente della potenza del binomio con esponente 0, la seconda i coefficienti della potenza del binomio con esponente 1, la terza i coefficienti della potenza del binomio con esponente 2, e così via. Osservazione Se si deve determinare la potenza di un binomio, è opportuno scrivere prima lo sviluppo della potenza del binomio a + b, poi adattarla all’esercizio specifico, sostituendo alla lettera a il primo termine e alla lettera b il secondo termine. 9.12 Polinomi come funzioni Un polinomio in una lettera, per esempio 3x2 + 2x + 5, si può considerare come funzione della variabile x. Per indicare un polinomio generico nella variabile x, scriveremo A(x), B(x), P (x), Q(x), . . . 9.12.1 Principio di identità dei polinomi Teorema 9.12.1 (Principio di identità dei polinomi). Due polinomi sono uguali, se e solo se assumono lo stesso valore per qualsiasi valore assegnato alle variabili 46 9.13. DIVISIONE DI POLINOMI 9.13 Divisione di polinomi Teorema 9.13.1 (Quoziente e resto). Dati i polinomi A(x) di grado n e B(x) di grado m, con n > m, esistono due polinomi Q(x) e R(x) detti rispettivamente quoziente e resto tali che: A(x) = B(x)Q(x) + R(x) con grado di R(x) minore di m I polinomi Q(x)m e R(x) si determinano utilizzando un metodo simile a quello della divisione tra numeri naturali. Esempio 9.13.1. Determiniamo il quoziente e il resto di (8x2 + 3x3 + 4 + 7x) : (2 + 3x) Ordiniamo i polinomi secondo le potenze decrescenti rispetto alla lettera x: (3x3 + 8x2 + 7x + 4) : (3x + 2) Costruiamo lo schema come per la divisione di numeri naturali: 3x3 + 8x2 + 7x + 4 3x + 2 dividiamo il primo termine del dividendo per il primo termine del divisore e scriviamo il risultato sotto il divisore 3x3 + 8x2 + 7x + 4 3x + 2 x2 moltiplichiamo questo risultato per ogni termine del divisore cambiando il segno, scriviamo i prodotti ottenuti sotto il dividendo incolonnando in base al grado (cambiamo il segno per poter effettuare l’addizione invece della sottrazione): 3x3 + 8x2 + 7x + 4 3x + 2 −3x3 − 2x2 x2 effettuiamo l’addizione: 3x3 + 8x2 + 7x + 4 3x + 2 −3x3 − 2x2 x2 // 6x2 + 7x + 4 Ripetiamo il procedimento considerando come dividendo il polinomio ottenuto: 3x3 + 8x2 + 7x + 4 3x + 2 −3x3 − 2x2 x2 + 2x 2 // 6x + 7x + 4 47 CAPITOLO 9. MONOMI E POLINOMI 3x3 + 8x2 + 7x + 4 3x + 2 −3x3 − 2x2 x2 + 2x // 6x2 + 7x + 4 −6x2 − 4x // 3x + 4 Ripetiamo nuovamente il procedimento considerando come dividendo il polinomio ottenuto: 3x3 + 8x2 + 7x + 4 3x + 2 3 2 −3x − 2x x2 + 2x + 1 2 // 6x + 7x + 4 −6x2 − 4x // 3x + 4 −3x − 2 // 2 Poiché il grado dell’ultimo polinomio ottenuto è minore del grado del divisore, il procedimento termina. Il quoziente è Q(x) = x2 + 2x + 1 e il resto è R=2 Poiché il resto non è zero, il polinomio 3x3 + 8x2 + 7x + 4 non è divisibile per il polinomio 3x + 2. Come per i numeri naturali possiamo scrivere: Dividendo = Divisore · Quoziente + Resto cioè: 3x3 + 8x2 + 7x + 4 = (3x + 2) · (x2 + 2x + 1) + 2 infatti: (3x + 2) · (x2 + 2x + 1) + 2 = 3x3 + 6x2 + 3x + 2x2 + 4x + 2 + 2 = 3x3 + 8x2 + 7x + 4 Osservazioni Il grado del resto è minore del grado del divisore perché se fosse maggiore o uguale si potrebbe ancora continuare il procedimento. Il grado del quoziente è dato dalla differenza tra il grado del dividendo e il grado del divisore, infatti, poiché A(x) = B(x)Q(x) + R(x) il grado di A(x) è dato dalla somma dei gradi di B(x) e di Q(x), quindi il grado di Q(x) è dato dalla differenza tra i gradi di A(x) e B(x). In generale, dividendo due polinomi, non si ottiene un polinomio, ma una frazione algebrica; quindi la divisione non è un’operazione nell’insieme dei polinomi. Solo se il resto è zero, si dice che il polinomio dividendo è divisibile per il polinomio divisore. 48 9.13. DIVISIONE DI POLINOMI 9.13.1 Regola di Ruffini Per effettuare la divisione di polinomi nel caso particolare in cui il divisore è del tipo x − k, con k costante non nulla, si può utilizzare la regola di Ruffini. Questa regola permette di operare con i numeri trascurando la variabile. Anche in questo caso vediamo la regola attraverso un esempio. Esempio 9.13.2. Consideriamo la seguente divisione di polinomi: (3x4 + 2x2 − 3x + 1) : (x − 2) Ordiniamo i polinomi in ordine decrescente rispetto alla variabile e posizioniamo i coefficienti del dividendo nel seguente schema, inserendo 0 in corrispondenza dei coefficienti delle potenze mancanti. Il termine noto si scrive a destra della seconda barra verticale. 3 0 2 −3 1 A sinistra della prima barra verticale e sopra la barra orizzontale si scrive l’opposto del termine noto del divisore (si scrive l’opposto per poter effettuare la somma invece della differenza). 3 0 2 −3 1 2 Si riporta sotto la riga orizzontale il primo coefficiente del dividendo: 3 0 2 −3 1 2 3 si moltiplica questo coefficiente per l’opposto del termine noto del divisore, si scrive il risultato sotto il secondo coefficiente del dividendo e si somma: 3 0 2 −3 1 2 6 3 6 Si moltiplica questo risultato per l’opposto del termine noto del divisore, si scrive il nuovo risultato sotto il terzo coefficiente e si somma: 3 0 2 −3 1 2 6 12 3 6 14 49 CAPITOLO 9. MONOMI E POLINOMI Si ripete il procedimento fino ad effettuare la somma con il termine a destra della seconda riga verticale: 3 0 2 −3 1 6 12 28 50 2 3 6 14 25 51 I numeri sotto la riga orizzontale compresi tra le due righe verticali sono i coefficienti del quoziente. Poiché, se il dividendo ha grado n, il quoziente ha grado n−1, al primo coefficiente si associa la variabile con esponente n − 1 e si prosegue diminuendo l’esponente di 1; quindi nel nostro esempio, essendo il dividendo di quarto grado, il quoziente è: Q(x) = 3x3 + 6x2 + 14x + 25 Il numero a destra in basso è il resto, che nel nostro caso vale 51. Se il resto è diverso da 0, il suo grado deve essere minore del grado del divisore, quindi 0; di conseguenza il resto è un numero. Osservazione Se non si inseriscono gli zeri al posto dei coefficienti delle potenze mancanti, il risultato è errato perché, non essendoci la variabile, si sommano termini con grado diverso. Osservazione La regola di Ruffini si può applicare solo con divisori con il termine di primo grado con coefficiente 1. Se il coefficiente è diverso da 1, per poter applicare la regola, 1. si dividono tutti i termini del dividendo e del divisore per il coefficiente del termine di primo grado del divisore 2. si applica la regola di Ruffini con i polinomi ottenuti 3. il quoziente della divisione dei polinomi dati è quello ottenuto con la regola di Ruffini 4. il resto della divisione dei polinomi dati è il prodotto di quello ottenuto con la regola di Ruffini per il coefficiente del termine di primo grado del divisore Osservazione Dalla relazione A(x) = B(x)Q(x) + R(x) dividendo entrambi i membri per a 6= 0 si ottiene B(x) R(x) A(x) = Q(x) + a a a Quindi se si moltiplicano, o si dividono, dividendo e divisore per un numero non nullo, il quoziente non cambia, ma il resto viene moltiplicato, o diviso, per quel numero. 9.13.2 Teorema del resto Teorema 9.13.2 (Teorema del resto). Il resto della divisione tra un polinomio P (x) e x − k è uguale a P (k) 50 9.13. DIVISIONE DI POLINOMI 9.13.3 Teorema di Ruffini Teorema 9.13.3 (Teorema di Ruffini). Un polinomio P (x) è divisibile per il binomio x − k se e solo se P (k) = 0 Osservazione Ogni valore della variabile per il quale il polinomio P (x) si annulla si dice zero del polinomio 9.13.4 Divisibilità di binomi notevoli Teorema 9.13.4. La differenza di due potenze con uguale esponente è divisibile per la differenza delle basi Teorema 9.13.5. La differenza di due potenze con uguale esponente è divisibile per la somma delle basi se e solo se l’esponente è pari Teorema 9.13.6. La somma di due potenze con uguale esponente è divisibile per la somma delle basi se e solo se l’esponente è dispari Teorema 9.13.7. La somma di due potenze con uguale esponente non è divisibile per la differenza delle basi 51 Capitolo 10 Scomposizione di polinomi Definizione 10.0.1 (Polinomi riducibili e irriducibili). Un polinomio si dice riducibile se si può scomporre nel prodotto di polinomi di grado inferiore, altrimenti si dice irriducibile. 10.1 10.1.1 Metodi di scomposizione dei polinomi Raccoglimento a fattor comune totale Per scomporre un polinomio utilizzando il metodo del raccoglimento a fattor comune totale: 1. si determina il MCD di tutti i termini del polinomio 2. il polinomio si scompone nel prodotto tra il MCD e il polinomio i cui termini sono i quozienti della divisione tra i termini del polinomio dato e il MCD Osservazione Poiché il quoziente tra un termine e se stesso è 1 e non 0, il polinomio a3 +a2 +a si scompone in a(a2 + a + 1) e non in a(a2 + a). Quando si raccolgono dei polinomi anche il polinomio raccolto deve essere racchiuso tra parentesi. Per esempio, il polinomio a(x + 2y) + b(x + 2y) si scompone in (x + 2y)(a + b) e non in x + 2y(a + b). 10.1.2 Raccoglimento a fattor comune parziale Se non è possibile effettuare un raccoglimento a fattor comune totale, si può effettuare un raccoglimento a fattor comune parziale fra alcuni termini e, se è possibile, in un secondo passaggio effettuare un raccoglimento a fattor comune totale. Osservazione Nel raccoglimento a fattor comune parziale i fattori raccolti, escluso il primo se ha coefficiente positivo, devono essere preceduti dal segno + o −. Quindi a2 + ab + ac + bc diventa a (a + b) + c (a + b) 52 10.1. METODI DI SCOMPOSIZIONE DEI POLINOMI 10.1.3 Scomposizione mediante prodotti notevoli Differenza di due quadrati a2 − b2 = (a + b) (a − b) Osservazione La somma di due quadrati non può essere scomposta, quindi a2 + b2 è irriducibile perché la somma di due potenze con esponente pari non è divisibile né per la somma, né per la differenza delle basi Quadrato di un binomio a2 + 2ab + b2 = (a + b)2 Osservazione Poiché il binomio è elevato al quadrato, si possono cambiare tutti i segni dei coefficienti dei termini all’interno della parentesi e il risultato non cambia. Quadrato di un trinomio a2 + b2 + c2 + 2ab + 2ac + 2bc = (a + b + c)2 Osservazione Poiché il trinomio è elevato al quadrato, si possono cambiare tutti i segni dei coefficienti dei termini all’interno della parentesi e il risultato non cambia. Cubo di un binomio a3 + 3a2 b + 3ab2 + b3 = (a + b)3 Differenza di due cubi Ä a3 − b3 = (a − b) a2 + ab + b2 ä Osservazione Il polinomio a2 + ab + b2 è irriducibile. Somma di due cubi Ä a3 + b3 = (a + b) a2 − ab + b2 ä Osservazione polinomio a2 − ab + b2 è irriducibile. 53 CAPITOLO 10. SCOMPOSIZIONE DI POLINOMI 10.1.4 Trinomio particolare Dato il trinomio x2 + sx + p, se è possibile determinare due numeri a, b tali che: a+b=s a·b=p si può scomporre il trinomio nel seguente modo: x2 + sx + p = (x + a)(x + b) Per scomporre il trinomio particolare: 1. si determinano i due numeri interi il cui prodotto è il termine noto e la cui somma è il coefficiente del termine di primo grado; 2. il polinomio scomposto è formato dal prodotto tra la somma della variabile con uno dei numeri determinati e la somma della variabile con l’altro numero determinato. 10.1.5 Scomposizione con la regola di Ruffini La regola di Ruffini, quando è applicabile, permette di scomporre un polinomio di grado n nel prodotto di un binomio di primo grado per un polinomio di grado n − 1 utilizzando la proprietà che un polinomio P (x) è divisibile per x − k se e solo se P (k) = 0. Osservazione Se il valore che annulla il polinomio è k, il termine noto del divisore è il suo opposto. Per esempio, se il valore che annulla il polinomio è −5, il divisore è x + 5. Il polinomio dato si può scomporre con la regola di Ruffini se esiste un numero razionale che, sostituito alla variabile, annulla il polinomio. La ricerca degli eventuali numeri razionali k che annullano il polinomio è basata sulla seguente proprietà, di cui diamo l’enunciato senza dimostrazione: Teorema 10.1.1. dato un polinomio P (x) a coefficienti interi, gli eventuali numeri razionali che annullano il polinomio sono da ricercare tra le frazioni aventi per numeratore un divisore del termine noto e per denominatore un divisore del coefficiente del termine di grado massimo. Per stabilire se esiste un numero razionale che, sostituito alla variabile, annulla il polinomio: 1. si determinano tutti i numeri razionali che hanno per numeratore un divisore del termine noto e per denominatore un divisore del coefficiente del termine di grado massimo (se il coefficiente del termine di grado massimo è 1, allora i numeri da determinare sono i divisori del termine noto); 2. si sostituisce ciascun numero nel polinomio finché non si trova quello che lo annulla (se esiste); 3. se nessun numero annulla il polinomio, non lo si può scomporre utilizzando la regola di Ruffini. 54 10.2. OSSERVAZIONI CONCLUSIVE SULLA SCOMPOSIZIONE Per scomporre il polinomio con la regola di Ruffini: 1. si effettua la divisione con la regola di Ruffini in cui il dividendo è il polinomio dato e il divisore è il binomio x − k, dove k è il numero razionale che annulla il polinomio; 2. il polinomio scomposto è formato dal prodotto tra il binomio x − k e il quoziente della divisione perché, se il resto è 0, si ha Dividendo = Divisore · Quoziente Dopo aver effettuato la scomposizione, si esamina se il quoziente Q(x) è scomponibile, in caso affermativo lo si scompone o con uno dei metodi visti precedentemente o con la regola di Ruffini. 10.2 Osservazioni conclusive sulla scomposizione A conclusione dei metodi di scomposizione fin qui analizzati, elenchiamo i criteri in base ai quali privilegiare un metodo piuttosto che un altro. 1. Effettuare, se è possibile, il raccoglimento a fattore comune totale 2. Se non è possibile effettuare il raccoglimento a fattore comune totale, contare i termini del polinomio: • se i termini sono due, verificare se il polinomio è una differenza di due quadrati, o una differenza di due cubi, o una somma di due cubi; • se i termini sono tre, verificare se il polinomio è lo sviluppo del quadrato di un binomio o un trinomio particolare; • se i termini sono quattro, verificare se il polinomio è lo sviluppo del cubo di un binomio; • se i termini sono sei, verificare se il polinomio è lo sviluppo del quadrato di un trinomio. 3. Se non si sono verificate le condizioni dei casi precedenti, controllare se è possibile effettuare un raccoglimento a fattore comune parziale o una scomposizione mediante la regola di Ruffini o una scomposizione mista 4. Dopo aver scomposto il polinomio in fattori si può procedere, se è possibile, a un’ulteriore scomposizione dei singoli fattori. 10.3 Massimo comune divisore e minimo comune multiplo di polinomi Per determinare il massimo comune divisore di polinomi: 1. si scompongono i polinomi in fattori; 55 CAPITOLO 10. SCOMPOSIZIONE DI POLINOMI 2. se si ottengono dei fattori opposti con esponente dispari, si raccoglie un −1 in uno dei fattori. 3. il massimo comune divisore dei polinomi dati è uguale al prodotto dei fattori comuni presi una sola volta con il minimo esponente. Per determinare il minimo comune multiplo di polinomi: 1. si scompongono i polinomi in fattori; 2. se si ottengono dei fattori opposti con esponente dispari, si raccoglie un −1 in uno dei fattori. 3. il minimo comune multiplo dei polinomi dati è uguale al prodotto dei fattori comuni e non comuni presi una sola volta con il massimo esponente. 56 Capitolo 11 Frazioni algebriche 11.1 Le frazioni algebriche come funzioni Una frazione algebrica si può considerare come funzione delle variabili che vi compaiono. Affinché una frazione algebrica sia una funzione, si devono scrivere le condizioni di esistenza (CE). Osservazione Un prodotto è diverso da zero se lo è ogni suo singolo fattore. Una potenza è diversa da zero se lo è la sua base. Per determinare le condizioni di esistenza: 1. si scompone il denominatore; 2. si impone che ogni fattore del denominatore sia diverso da zero. Osservazione Nel porre le condizioni di esistenza di una frazione algebrica non si considera il numeratore. 11.2 Semplificazione di frazioni algebriche Per semplificare una frazione algebrica: 1. si scompongono il numeratore e il denominatore; 2. si scrivono le condizioni di esistenza; 3. si semplifica la frazione dividendo numeratore e denominatore per il loro MCD Osservazione Nella semplificazione si possono semplificare solo i fattori comuni e non i termini; quindi la a+2 non è semplificabile perché al numeratore il fattore è a + 2 e al denominatore frazione a il fattore è a. 57 CAPITOLO 11. FRAZIONI ALGEBRICHE 11.3 Addizione algebrica di frazioni algebriche Per addizionare algebricamente due frazioni algebriche: 1. si scompongono il numeratore e il denominatore di ogni frazione; 2. si scrivono le condizioni di esistenza di ogni frazione; 3. si semplifica ogni frazione; 4. si scrive la frazione che ha come denominatore il minimo comune multiplo dei denominatori; 5. per ottenere il numeratore: (a) si divide il minimo comune multiplo dei denominatori per il denominatore della prima frazione e si moltiplica il quoziente ottenuto per il suo numeratore; (b) si ripete il procedimento per la seconda frazione e si somma algebricamente al risultato precedente; 6. si effettuano i calcoli al numeratore; 7. si scompone il numeratore; 8. si semplifica, se possibile, la frazione ottenuta. Osservazione Nell’addizione algebrica, dopo aver scomposto i denominatori, se tra i fattori dei denominatori ne esistono due opposti, è opportuno raccogliere −1 in uno di essi. 11.4 Moltiplicazione di frazioni algebriche Per moltiplicare due frazioni algebriche: 1. si scompongono il numeratore e il denominatore di ogni frazione; 2. si scrivono le condizioni di esistenza di ogni frazione; 3. si semplificano i fattori comuni al numeratore e al denominatore di una stessa frazione o di frazioni diverse; 4. si scrive la frazione che ha come denominatore il prodotto dei denominatori e come numeratore il prodotto dei numeratori (il prodotto dei numeratori e dei denominatori può non essere calcolato, ma solo indicato). Osservazione Come per l’addizione algebrica, dopo aver scomposto i numeratori e i denominatori, se esistono due fattori opposti con esponente dispari, è opportuno raccogliere −1 in uno di essi. 58 11.5. DIVISIONE DI FRAZIONI ALGEBRICHE 11.5 Divisione di frazioni algebriche Definizione 11.5.1 (Inversa). Si dice inversa, o reciproca, di una frazione algebrica non nulla la frazione che, moltiplicata per quella assegnata, dà come risultato 1. Osservazioni 1. l’inversa di una frazione algebrica si ottiene scambiando il numeratore con il denominatore della frazione assegnata. 2. Per l’esistenza dell’inversa di una frazione algebrica non si devono annullare né il denominatore né il numeratore Pratica per dividere due frazioni algebriche: 1. si scompongono il numeratore e il denominatore di ogni frazione; 2. si scrivono le condizioni di esistenza di ogni frazione; 3. si integrano le condizioni di esistenza imponendo che ogni fattore del numeratore della seconda frazione sia diverso da zero; 4. si moltiplica la prima frazione per l’inversa della seconda. Osservazione Per eseguire divisioni di tre o più frazioni, poiché la divisione non gode della proprietà associativa, si devono effettuare le operazioni nell’ordine indicato. 11.6 Frazione di frazioni algebriche Consideriamo una frazione che ha frazioni algebriche al numeratore e al denominatore. Ogni frazione di questo tipo si può scrivere come divisione tra la frazione algebrica al numeratore e la frazione algebrica al denominatore, quindi si segue il metodo visto precedentemente. 11.7 Elevamento a potenza di frazioni algebriche Per calcolare la potenza con esponente intero positivo di una frazione algebrica : 1. si scompongono il numeratore e il denominatore della frazione; 2. si scrivono le condizioni di esistenza; 3. si semplifica la frazione; 4. si elevano all’esponente intero positivo tutti i fattori del numeratore e del denominatore. Per calcolare la potenza con esponente intero negativo di una frazione algebrica : 59 CAPITOLO 11. FRAZIONI ALGEBRICHE 1. si scompongono il numeratore e il denominatore della frazione; 2. si scrivono le condizioni di esistenza; 3. si integrano le condizioni di esistenza imponendo che ogni fattore del numeratore sia diverso da zero; 4. si semplifica la frazione; 5. si eleva all’opposto dell’esponente l’inversa della frazione data. Osservazione La potenza con esponente 0 di ogni frazione algebrica non nulla è uguale a 1. 60 Capitolo 12 Geometria piana 12.1 Introduzione Noi studiamo la geometria euclidea che è basata sugli assiomi di Euclide. Nella geometria euclidea si assumono come termini primitivi il punto, la retta, il piano, lo spazio. Vediamo alcuni assiomi della geometria del piano 12.2 Assiomi di appartenenza Assioma 12.2.1. Per due punti distinti passa una e una sola retta Assioma 12.2.2. La retta è un sottoinsieme proprio del piano Definizione 12.2.1 (Punti allineati). Tre o più punti si dicono allineati se appartengono alla stessa retta Definizione 12.2.2 (Rette incidenti). Due rette si dicono incidenti se la loro intersezione è un punto Definizione 12.2.3 (Rette parallele). Due rette si dicono parallele se sono coincidenti o se la loro intersezione è l’insieme vuoto 12.3 Assiomi di ordinamento Definizione 12.3.1 (Retta orientata). Si dice retta orientata una retta su cui si è fissato un verso di percorrenza indicato da una freccia Osservazione In una retta orientata se il punto A viene prima del punto B nel verso di percorrenza si dice che A precede B oppure che B segue A 61 CAPITOLO 12. GEOMETRIA PIANA Assioma 12.3.1. Siano A e B due punti di una retta orientata, si verifica uno solo dei seguenti casi 1. A precede B, in simboli A < B 2. A coincide con B, in simboli A ≡ B 3. A segue B, in simboli A > B Assioma 12.3.2. Per ogni coppia di punti A e B di una retta orientata r con A < B esiste un punto M ∈ r che segue A e precede B, un punto N ∈ r che precede A e un punto P ∈ r che segue B Come conseguenza dell’assioma precedente si ha il seguente teorema Teorema 12.3.1. Una retta contiene infiniti punti ed è illimitata Assioma 12.3.3. Dati i punti distinti A, B, C appartenenti a una retta orientata r se A < B ∧ B < C allora A < C. Dati i punti distinti A, B, C appartenenti a una retta orientata r se A > B ∧ B > C allora A > C. 12.4 Semiretta, segmento, angolo Definizione 12.4.1 (Semiretta). Data una retta orientata r e un punto O ∈ r, si dice semiretta di origine O l’insieme formato da O e dai punti che lo seguono o da O e dai punti che lo precedono Definizione 12.4.2 (Segmento). Data una retta orientata r e due punti A, B ∈ r, si dice segmento di estremi A e B l’insieme formato da A, B e dai punti compresi tra A e B Definizione 12.4.3 (Segmenti consecutivi). Due segmenti si dicono consecutivi se hanno un solo estremo in comune Definizione 12.4.4 (Segmenti adiacenti). Due segmenti si dicono adiacenti se sono consecutivi e sono contenuti nella stessa retta Definizione 12.4.5 (Spezzata). Si dice spezzata l’unione di due o più segmenti consecutivi non adiacenti; i segmenti si dicono lati e gli estremi vertici; se il primo vertice e l’ultimo coincidono la spezzata si dice chiusa altrimenti aperta, se due lati non consecutivi della spezzata si incontrano la spezzata si dice intrecciata. Definizione 12.4.6 (Poligonale). Si dice poligonale una spezzata chiusa non intrecciata 62 12.4. SEMIRETTA, SEGMENTO, ANGOLO Definizione 12.4.7 (Poligono). Si dice poligono la figura costituita da una poligonale e dalla parte finita di piano che essa delimita I lati e i vertici della poligonale si dicono lati e vertici del poligono. Il segmento che unisce due vertici non appartenenti allo stesso lato si dice diagonale del poligono. La poligonale si dice anche contorno del poligono Definizione 12.4.8 (Semipiano). Data una retta r, si dice semipiano di frontiera r l’insieme formato da r e e da una delle parti del piano divise da r Assioma 12.4.1 (Partizione del piano). Sia r la frontiere di due semipiani. Se A e B sono due punti che appartengono allo stesso semipiano e non alla frontiera, allora il segmento AB non interseca la retta r. Se C e D sono due punti che appartengo a semipiani diversi allora il segmento CD interseca la retta r Definizione 12.4.9 (Figura convessa e concava). Una figura si dice convessa se presi due punti qualsiasi appartenenti alla figura, il segmento avente per estremi quei punti è contenuto nella figura; altrimenti si dice concava Osservazione Il piano, il semipiano, la retta, la semiretta, il segmento sono figure convesse Definizione 12.4.10 (Angolo). Date due semirette a e b di origine O, si dice angolo di lati a e b e vertice O l’insieme formato dalle semirette e da una delle parti del piano divise dalle semirette Osservazione La parte che contiene i prolungamenti dei lati si dice angolo concavo, l’altra angolo convesso. Se non viene specificato in genere si considera l’angolo convesso Definizione 12.4.11 (Corda). Si dice corda un segmento con gli estremi uno su un lato e l’altro sull’altro lato di un angolo Definizione 12.4.12 (Angoli consecutivi). Due angoli si dicono consecutivi se hanno solo il vertice e un lato in comune Definizione 12.4.13 (Angoli adiacenti). Due angoli si dicono adiacenti se sono consecutivi e i lati non comuni sono contenuti nella stessa retta Definizione 12.4.14 (Angolo piatto). Un angolo si dice piatto se i suoi lati non sono coincidenti e sono contenuti nella stessa retta. Definizione 12.4.15 (Angolo giro). Un angolo si dice giro se i suoi lati sono semirette coincidenti e conincide con l’intero piano 63 CAPITOLO 12. GEOMETRIA PIANA Definizione 12.4.16 (Angolo nullo). Un angolo si dice nullo se i suoi lati sono semirette coincidenti e gli unici punti sono quelli dei suoi lati Definizione 12.4.17 (Angoli opposti al vertice). Due angoli si dicono opposti al vertice se i prolungamenti dei lati di uno sono i lati dell’altro. 12.5 Relazione di congruenza Definizione 12.5.1 (Figure congruenti). Date due figure F e F 0 , se esiste un movimento rigido grazie al quale F si sovrappone a F 0 le figure si dicono congruenti e si scrive F ∼ = F0 La relazione di congruenza è una relazione di equivalenza. 12.5.1 Lunghezza Poiché la relazione di congruenza è una relazione di equivalenza essa determina una partizione dell’insieme dei segmenti di un piano; ogni classe di equivalenza contiene tutti e soli i segmenti congruenti tra loro. Definizione 12.5.2 (Lunghezza). Si dice lunghezza ogni classe di equivalenza di segmenti fra loro congruenti. In altre parole due segmenti congruenti hanno la stessa lunghezza e, viceversa, segmenti con la stessa lunghezza sono congruenti tra loro. Per indicare la lunghezza del segmento AB invece di utilizzare la notazione tipica delle classi di equivalenza [AB] si utilizza la notazione AB. 12.5.2 Ampiezza Poiché la relazione di congruenza è una relazione di equivalenza essa determina una partizione dell’insieme degli angoli di un piano; ogni classe di equivalenza contiene tutti e soli gli angoli congruenti tra loro. Definizione 12.5.3 (Ampiezza). Si dice ampiezza ogni classe di equivalenza di angoli fra loro congruenti. In altre parole due angoli congruenti hanno la stessa ampiezza e, viceversa, angoli con la stessa ampiezza sono congruenti tra loro. Per indicare l’ampiezza di un angolo invece di utilizzare la notazione tipica delle classi di equivalenza si utilizza la notazione stessa dell’angolo. 64 12.6. PUNTO MEDIO 12.6 Punto medio Definizione 12.6.1 (Punto medio). Si dice punto medio di un segmento il punto del segmento che lo divide in due segmenti congruenti 12.7 Bisettrice Definizione 12.7.1 (Bisettrice). Si dice bisettrice di un angolo la semiretta dell’angolo che lo divide in due angoli congruenti 12.8 Angolo retto, acuto, ottuso Definizione 12.8.1 (Angolo retto). Si dice angolo retto un angolo congruente alla metà di un angolo piatto Definizione 12.8.2 (Angolo acuto). Si dice angolo acuto un angolo minore di un angolo retto Definizione 12.8.3 (Angolo ottuso). Si dice angolo ottuso un angolo maggiore di un angolo retto e minore di un angolo piatto 12.9 Rette perpendicolari Definizione 12.9.1 (Rette perpendicolari). Due rette incidenti si dicono perpendicolari se formano quattro angoli retti 12.10 Retta perpendicolare passante per un punto e distanza Teorema 12.10.1 (Perpendicolare). Dati una retta r e un punto P esiste ed è unica la retta s passante per P perpendicolare a r Osservazioni 1. Il punto H in cui la perpendicolare per P a r interseca r si dice piede della perpendicolare oppure proiezione ortogonale di P su r 2. Il segmento di perpendicolare P H di dice distanza di P da r 12.11 Asse di un segmento Definizione 12.11.1 (Asse di un segmento). Si dice asse del segmento AB la retta perpendicolare ad AB passante per il suo punto medio M 65 CAPITOLO 12. GEOMETRIA PIANA 12.12 Angoli complementari, supplementari, esplementari Definizione 12.12.1 (Angoli complementari). Due angoli si dicono complementari se la loro somma è congruente a un angolo retto Definizione 12.12.2 (Angoli supplementari). Due angoli si dicono supplementari se la loro somma è congruente a un angolo piatto Definizione 12.12.3 (Angoli esplementari). Due angoli si dicono esplementari se la loro somma è congruente a un angolo giro Teorema 12.12.1 (Angoli complementari). Angoli complementari di angoli congruenti sono congruenti Teorema 12.12.2 (Angoli supplementari). Angoli supplementari di angoli congruenti sono congruenti Teorema 12.12.3 (Angoli esplementari). Angoli esplementari di angoli congruenti sono congruenti 12.13 Angoli opposti al vertice Teorema 12.13.1 (Angoli opposti al vertice). Due angoli opposti al vertice sono congruenti 12.14 Triangoli Definizione 12.14.1 (Triangolo). Si dice triangolo un poligono di tre lati Definizione 12.14.2 (Angolo interno). Si dice angolo interno ciascuno degli angoli convessi individuato dai lati del triangolo Osservazione Un angolo interno verrà chiamato semplicemente angolo Definizione 12.14.3 (Angolo esterno). Si dice angolo esterno ciascuno degli angoli adiacenti a un angolo interno del triangolo Un triangolo può essere classificato in base ai lati. Definizione 12.14.4 (Triangolo equilatero). Un triangolo si dice equilatero se ha i tre lati congruenti Definizione 12.14.5 (Triangolo isoscele). Un triangolo si dice isoscele se ha due lati congruenti 66 12.15. MEDIANE, BISETTRICI, ALTEZZE, ASSI Definizione 12.14.6 (Triangolo scaleno). Un triangolo si dice scaleno se non ha lati congruenti Un triangolo può essere classificato in base agli angoli. Definizione 12.14.7 (Triangolo rettangolo). Un triangolo si dice rettangolo se ha un angolo retto Definizione 12.14.8 (Triangolo acutangolo). Un triangolo si dice acutangolo se ha tutti gli angoli acuti Definizione 12.14.9 (Triangolo ottusangolo). Un triangolo si dice ottusangolo se ha un angolo ottuso 12.15 Mediane, bisettrici, altezze, assi Definizione 12.15.1 (Mediana). Si dice mediana di un triangolo un segmento che ha come estremi un vertice e il punto medio del lato opposto Definizione 12.15.2 (Bisettrice). Si dice bisettrice di un triangolo il segmento di bisettrice di un angolo che ha come estremi un vertice e un punto del lato opposto Definizione 12.15.3 (Altezze). Si dice altezza di un triangolo il segmento di perpendicolare che ha come estremi un vertice e un punto del lato opposto o del suo prolungamento Definizione 12.15.4 (Assi). Si dice asse di un triangolo l’asse di un lato del triangolo 12.16 Criteri di congruenza dei triangoli Teorema 12.16.1 (Primo criterio di congruenza). Se due triangoli hanno rispettivamente congruenti due lati e l’angolo tra essi compreso allora sono congruenti Teorema 12.16.2 (Secondo criterio di congruenza). Se due triangoli hanno rispettivamente congruenti due angoli e il lato tra essi compreso allora sono congruenti Teorema 12.16.3 (Terzo criterio di congruenza). Se due triangoli hanno rispettivamente congruenti i tre lati allora sono congruenti 67 CAPITOLO 12. GEOMETRIA PIANA 12.17 Proprietà dei triangoli isosceli Teorema 12.17.1 (Angoli alla base di un triangolo isoscele). Un triangolo isoscele ha gli angoli alla base congruenti Teorema 12.17.2. Un triangolo con due angoli congruenti è isoscele Teorema 12.17.3. In un triangolo isoscele le mediane relative ai lati obliqui sono congruenti Teorema 12.17.4. In un triangolo isoscele le bisettrici degli angoli alla base sono congruenti Teorema 12.17.5. In un triangolo isoscele la mediana relativa alla base è anche bisettrice e altezza Teorema 12.17.6. In un triangolo isoscele la bisettrice dell’angolo al vertice è anche mediana e altezza Osservazione Poiché un triangolo equilatero è anche isoscele, i teoremi precedenti valgono anche per i triangoli equilateri: Teorema 12.17.7. In un triangolo equilatero le tre mediane sono congruenti Teorema 12.17.8. In un triangolo equilatero le tre bisettrici sono congruenti Teorema 12.17.9. In un triangolo equilatero le mediane sono anche bisettrici e altezze Teorema 12.17.10. In un triangolo equilatero le bisettrici sono anche mediane e altezze 12.18 Disuguaglianze nei triangoli Teorema 12.18.1. In un triangolo l’angolo esterno è maggiore di ogni angolo interno non adiacente Teorema 12.18.2. In un triangolo un lato è minore della somma e maggiore della differenza degli altri due 12.19 Assioma di Euclide Assioma 12.19.1 (Assioma di Euclide). Dati una retta r e un punto P , la parallela ad r per P è unica Se si nega questo assioma si costruiscono altre geometrie: la geometria ellittica e iperbolica 68 12.20. RETTE PARALLELE TAGLIATE DA UNA TRASVERSALE 12.20 Rette parallele tagliate da una trasversale Consideriamo due rette r e s tagliate in due punti distinti da una retta t detta trasversale. Si generano otto angoli che possono essere classificati a coppie in base alla loro posizione rispetto alle rette date. s t α β δ γ β0 α0 γ0 δ0 r Figura 12.1: angoli formati da due rette tagliate da una trasversale • γ, α0 e δ, β 0 si dicono angoli alterni interni • α, γ 0 e β, δ 0 si dicono angoli alterni esterni • α, α0 e β, β 0 e γ, γ 0 e δ, δ 0 si dicono angoli corrispondenti • γ, β 0 e δ, α0 si dicono angoli coniugati interni • α, δ 0 e β, γ 0 si dicono angoli coniugati esterni Teorema 12.20.1. Due rette r, s tagliate da una trasversale t sono parallele se e solo se formano angoli alterni interni congruenti Teorema 12.20.2. Due rette r, s tagliate da una trasversale t sono parallele se e solo se formano angoli alterni esterni congruenti Teorema 12.20.3. Due rette r, s tagliate da una trasversale t sono parallele se e solo se formano angoli alterni corrispondenti congruenti Teorema 12.20.4. Due rette r, s tagliate da una trasversale t sono parallele se e solo se formano angoli coniugati interni supplementari Teorema 12.20.5. Due rette r, s tagliate da una trasversale t sono parallele se e solo se formano angoli coniugati esterni supplementari 69 CAPITOLO 12. GEOMETRIA PIANA 12.21 Applicazioni del parallelismo ai triangoli Teorema 12.21.1. In un triangolo, ogni angolo esterno è congruente alla somma degli angoli interni non adiacenti Teorema 12.21.2. In un triangolo la somma degli angoli interni è congruente a un angolo piatto Teorema 12.21.3 (Secondo criterio di congruenza generalizzato). Due triangoli sono congruenti se hanno rispettivamente congruenti due angoli e un lato Teorema 12.21.4. In un triangolo isoscele le altezze relative ai lati congruenti sono congruenti 12.22 Triangoli rettangoli Teorema 12.22.1 (Criterio di congruenza dei triangoli rettangoli). Due triangoli rettangoli sono congruenti se hanno rispettivamente congruenti l’ipotenusa e un cateto. Teorema 12.22.2. Due triangoli congruenti hanno altezze congruenti. Teorema 12.22.3. In un triangolo isoscele l’altezza relativa alla base è anche bisettrice e mediana 12.23 Asse di un segmento e bisettrice di un angolo Teorema 12.23.1 (Asse di un segmento). L’asse di un segmento è il luogo dei punti del piano equidistanti dagli estremi del segmento Teorema 12.23.2 (Bisettrice di un angolo). La bisettrice di un angolo è il luogo dei punti del piano equidistanti dai lati dell’angolo 12.24 Quadrilateri Definizione 12.24.1 (Quadrilatero). Si dice quadrilatero un poligono di quattro lati Teorema 12.24.1. In un quadrilatero la somma degli angoli interni è congruente a un angolo giro Teorema 12.24.2. In un poligono di n lati la somma degli angoli interni è congruente alla somma di n − 2 angoli piatti 70 12.25. PARALLELOGRAMMI Teorema 12.24.3. In un quadrilatero la somma degli angoli esterni è congruente a un angolo giro Teorema 12.24.4. In un poligono di n lati la somma degli angoli esterni è congruente a un angolo giro 12.25 Parallelogrammi Definizione 12.25.1 (Parallelogrammo). Si dice parallelogrammo un quadrilatero con i lati opposti paralleli Teorema 12.25.1 (Parallelogrammo). Un parallelogrammo ha gli angoli opposti congruenti, i lati opposti congruenti e le diagonali che si dimezzano Teorema 12.25.2 (Parallelogrammo). Un quadrilatero con i lati opposti congruenti oppure gli angoli opposti congruenti oppure con le diagonali che si dimezzano oppure con due lati congruenti e paralleli è un parallelogrammo 12.26 Rettangoli Definizione 12.26.1 (Rettangolo). Si dice rettangolo un quadrilatero con gli angoli congruenti Osservazioni 1. Un rettangolo è un parallelogrammo 2. Gli angoli di un rettangolo sono retti Teorema 12.26.1 (Rettangolo). Un rettangolo ha le diagonali congruenti Teorema 12.26.2 (Rettangolo). Un paralellogramma con le diagonali congruenti è un rettangolo 12.27 Rombi Definizione 12.27.1 (Rombo). Si dice rombo un quadrilatero con i lati congruenti Osservazione Un rombo è un parallelogrammo Teorema 12.27.1 (Rombo). Un rombo ha le diagonali perpendicolari e bisettrici degli angoli opposti Teorema 12.27.2 (Rombo). Un paralellogrammo con le diagonali perpendicolari oppure con le diagonali bisettrici degli angoli opposti è un rombo 71 CAPITOLO 12. GEOMETRIA PIANA 12.28 Quadrati Definizione 12.28.1 (Quadrato). Si dice quadrato un quadrilatero con i lati e gli angoli congruenti Osservazione Un quadrato è un parallelogrammo, un rombo e un rettangolo Teorema 12.28.1 (Quadrato). Un quadrato ha le diagonali congruenti, perpendicolari e bisettrici degli angoli opposti Teorema 12.28.2 (quadrato). Un paralellogrammo con le diagonali congruenti e perpendicolari oppure con le diagonali congruenti e bisettrici degli angoli opposti è un quadrato 12.29 Trapezi Definizione 12.29.1 (Trapezio). Si dice trapezio un quadrilatero con due lati opposti paralleli e gli altri due non paralleli I lati paralleli si dicono basi, gli altri si dicono lati obliqui. Definizione 12.29.2 (Trapezio isoscele). Un trapezio si dice isoscele se ha i lati obliqui congruenti Definizione 12.29.3 (Trapezio scaleno). Un trapezio si dice scaleno se ha i lati obliqui non congruenti Definizione 12.29.4 (Trapezio rettangolo). Un trapezio si dice rettangolo se ha due angoli retti Teorema 12.29.1. In un trapezio gli angoli adiacenti ai lati obliqui sono supplementari Teorema 12.29.2. In un trapezio isoscele gli angoli adiacenti a ciascuna base sono congruenti Teorema 12.29.3. In un trapezio isoscele le diagonali sono congruenti 12.30 Caso particolare del teorema di Talete Teorema 12.30.1 (Caso particolare del teorema di Talete). Dato un fascio di rette parallele tagliate da due trasversali a segmenti congruenti su una trasversale corrispondono segmenti congruenti sull’altra trasversale. Teorema 12.30.2. In un triangolo il segmento che ha come estremi i punti medi di due lati è parallelo al terzo lato e congruente alla sua metà 72 Capitolo 13 Equazioni di primo grado 13.1 Risolubilità di un’equazione Nella risoluzione di un’equazione in un’incognita in un insieme A si possono presentare i seguenti casi. 13.1.1 Equazione impossibile Definizione 13.1.1 (Equazione impossibile). Un’equazione si dice impossibile se l’insieme delle soluzioni è l’insieme vuoto 13.1.2 Equazione determinata Definizione 13.1.2 (Equazione determinata). Un’equazione si dice determinata se l’insieme delle soluzioni è finito e non vuoto 13.1.3 Equazione indeterminata Definizione 13.1.3 (Equazione indeterminata). Un’equazione si dice indeterminata se l’insieme delle soluzioni è infinito 13.1.4 Identità Definizione 13.1.4 (Identità). Un’equazione si dice identità se l’insieme delle soluzioni coincide con il dominio 13.2 13.2.1 Principi di equivalenza delle equazioni Primo principio di equivalenza Teorema 13.2.1 (Primo principio di equivalenza). Addizionando ad entrambi i membri di un’equazione la stessa espressione algebrica che non modifica il dominio, si ottiene un’equazione equivalente. 73 CAPITOLO 13. EQUAZIONI DI PRIMO GRADO Regola del trasporto Teorema 13.2.2 (Regola del trasporto). Se in un’equazione si sposta un termine da un membro all’altro cambiandone il segno, si ottiene un’equazione equivalente. 13.2.2 Secondo principio di equivalenza Teorema 13.2.3 (Secondo principio di equivalenza). Moltiplicando entrambi i membri di un’equazione per la stessa espressione algebrica, che non modifica il dominio e che in esso non si annulli, si ottiene un’equazione equivalente. Regola del cambiamento dei segni Teorema 13.2.4 (Regola del cambiamento dei segni). Se in un’equazione si cambiano i segni di tutti i termini, si ottiene un’equazione equivalente. Regola di eliminazione dei denominatori Teorema 13.2.5 (Regola di eliminazione dei denominatori). Se in un’equazione avente entrambi i membri costituiti da una sola frazione con lo stesso denominatore si eliminano i denominatori, si ottiene un’equazione equivalente. 13.3 Forma normale di un’equazione Definizione 13.3.1 (Forma normale). Un’equazione si dice in forma normale se il primo membro è un polinomio in forma normale e il secondo membro è 0. 13.4 Grado di un’equazione Definizione 13.4.1 (Grado). Si dice grado di un’equazione intera il grado rispetto all’incognita del polinomio a primo membro della sua forma normale. Osservazione Un’equazione di primo grado è detta equazione lineare. 13.5 Risoluzione delle equazioni numeriche intere Tradizionalmente, invece di quella precedentemente definita, si assume come forma normale di un’equazione di primo grado nell’incognita x la forma ax = b 74 13.6. RISOLUZIONE DELLE EQUAZIONI NUMERICHE FRATTE dove a e b sono numeri reali; il dominio è R. Per risolvere questo tipo di equazioni: 1. si trasforma l’equazione nella forma normale ax = b 2. si analizzano i valori di a e b: (a) se a 6= 0, si dividono entrambi i membri per il coefficiente dell’incognita ottenendo: x= b a l’equazione è determinata e l’insieme delle soluzioni è ® ´ b a S= (b) se a = 0 ∧ b = 0 si ha 0x = 0: l’equazione è un’identità perchè qualsiasi numero moltiplicato per 0 dà 0 e l’insieme delle soluzioni è S=R (c) se a = 0 ∧ b 6= 0 si ha 0x = b: l’equazione è impossibile perché nessun numero moltiplicato per 0 dà un numero diverso da 0 e l’insieme delle soluzioni è S=∅ 13.6 Risoluzione delle equazioni numeriche fratte Per risolvere un’equazione numerica fratta nell’incognita x: 1. si scompongono i denominatori di ogni frazione 2. si scrivono le condizioni di esistenza e si ricava l’incognita per ciascuna di esse 3. si trasforma l’equazione nella forma normale ax = b 4. si analizzano i valori di a e b: b (a) se a 6= 0, si ricava: x = . a b Se soddisfa le condizioni di esistenza, l’equazione è determinata e l’insieme a delle soluzioni è ® ´ S= b a b se non soddisfa le condizioni di esistenza, non è accettabile, l’equazione è a impossibile e l’insieme delle soluzioni è S=∅ 75 CAPITOLO 13. EQUAZIONI DI PRIMO GRADO (b) se a = 0 ∧ b = 0, l’equazione è una identità e l’insieme delle soluzioni è S=D dove D è il dominio (c) se a = 0 ∧ b 6= 0, l’equazione è impossibile e l’insieme delle soluzioni è S=∅ 76 Parte II CLASSE SECONDA 77 Capitolo 1 Sistemi di primo grado 1.1 Introduzione Definizione 1.1.1 (Sistema). Date due equazioni in due incognite, si dice sistema la congiunzione delle due equazioni. Il dominio del sistema è dato dall’intersezione dei domini delle due equazioni. 1.2 Soluzioni di un sistema Definizione 1.2.1 (Soluzione). Si dice soluzione di un sistema ogni coppia del dominio che è soluzione di entrambe le equazioni del sistema L’insieme S delle soluzioni del sistema è dato dall’intersezione degli insiemi delle soluzioni delle due equazioni. 1.3 Risolubilità di un sistema Nella risoluzione di un sistema di due equazioni in due incognite in un insieme A ⊆ R × R si possono presentare i seguenti casi. 1.3.1 Sistema impossibile Definizione 1.3.1 (Sistema impossibile). Un sistema si dice impossibile se l’insieme delle soluzioni è l’insieme vuoto Osservazione Un sistema è impossibile, se almeno una delle equazioni è impossibile oppure se non ci sono soluzioni comuni alle due equazioni 1.3.2 Sistema determinato Definizione 1.3.2 (Sistema determinato). Un sistema si dice determinato se l’insieme delle soluzioni è finito e non vuoto 78 1.4. PRINCIPI DI EQUIVALENZA DEI SISTEMI 1.3.3 Sistema indeterminato Definizione 1.3.3 (Sistema indeterminato). Un sistema si dice indeterminato se l’insieme delle soluzioni è infinito Osservazione Un sistema è indeterminato, se una delle equazioni è un’identità e l’altra equazione è indeterminata oppure se le due equazioni sono equivalenti e indeterminate 1.3.4 Sistema identico Definizione 1.3.4 (Sistema identico). Un sistema si dice identico se l’insieme delle soluzioni coincide con il dominio Osservazione Un sistema è identico, se entrambe le equazioni sono identità. 1.4 Principi di equivalenza dei sistemi Teorema 1.4.1 (Primo principio di equivalenza). Se in un sistema a una equazione si sostituisce un’equazione ad essa equivalente, si ottiene un sistema equivalente a quello dato. Teorema 1.4.2 (Secondo principio di equivalenza: principio di sostituzione). Se in un sistema si ricava un’incognita da un’equazione e si sostituisce l’espressione ottenuta nell’altra equazione, si ottiene un sistema equivalente a quello dato. Teorema 1.4.3 (Terzo principio di equivalenza: principio di combinazione lineare). Se in un sistema si sostituisce un’equazione con una combinazione lineare delle due equazioni che lo costituiscono, si ottiene un sistema equivalente a quello dato. 1.5 Grado di un sistema Definizione 1.5.1 (Grado). Si dice grado di un sistema intero il prodotto dei gradi delle equazioni che lo compongono. 1.6 Metodi di risoluzione dei sistemi di primo grado Per risolvere un sistema di primo grado, lo si trasforma nella forma normale e si analizzano le due equazioni: • se almeno un’equazione è impossibile, il sistema è impossibile • se un’equazione è un’identità e l’altra è indeterminata, il sistema è indeterminato; • se entrambe le equazioni sono identità, il sistema è identico; 79 CAPITOLO 1. SISTEMI DI PRIMO GRADO • in tutti gli altri casi si procede utilizzando uno dei seguenti metodi: sostituzione, riduzione, Cramer. 1.6.1 Metodo di sostituzione Per risolvere un sistema nella forma normale ( ax + by = c con a, b, c, a0 , b0 , c0 ∈ R, (a, b) 6= (0, 0) ∧ (a0 , b0 ) 6= (0, 0) a0 x + b0 y = c0 con il metodo di sostituzione: 1. si ricava un’incognita da un’equazione 2. si sostituisce l’espressione ottenuta nell’altra equazione e la si risolve 3. si sostituisce il valore ricavato al punto 2 nell’espressione dell’altra incognita e la si determina. 1.6.2 Metodo di riduzione o della combinazione lineare Per risolvere un sistema nella forma normale ( ax + by = c con a, b, c, a0 , b0 , c0 ∈ R, (a, b) 6= (0, 0) ∧ (a0 , b0 ) 6= (0, 0) a0 x + b 0 y = c 0 con il metodo di riduzione: 1. si moltiplicano entrambi i membri di ciascuna equazione per numeri opportuni, non entrambi nulli, che rendano opposti i coefficienti di un’incognita nelle due equazioni 2. si addizionano membro a membro le due equazioni e si risolve l’equazione ottenuta 3. si ripete il procedimento per determinare l’altra incognita I punti 1 e 2 equivalgono a sostituire un’equazione con una combinazione lineare delle due equazioni assegnate. Per determinare i numeri opportuni, è sufficiente trovare il minimo comune multiplo dei coefficienti dell’incognita, dividerlo per ogni coefficiente e cambiare il segno a uno di essi. 1.6.3 Matrici e determinanti 1.6.4 Metodo di Cramer Ad ogni sistema nella forma normale ( ax + by = c con a, b, c, a0 , b0 , c0 ∈ R, (a, b) 6= (0, 0) ∧ (a0 , b0 ) 6= (0, 0) a0 x + b 0 y = c 0 80 1.7. SISTEMI DI TRE EQUAZIONI IN TRE INCOGNITE si associano i determinanti a b D = 0 0 = ab0 − a0 b a b Dx = c b = b0 c − bc0 c 0 b0 a c = ac0 − a0 c a0 c 0 D è il determinante della matrice dei coefficienti delle incognite; Dx è il determinante della matrice che si ottiene sostituendo, nella matrice dei coefficienti, la colonna dei coefficienti dell’incognita x con la colonna dei termini noti; Dy è il determinante della matrice che si ottiene sostituendo, nella matrice dei coefficienti, la colonna dei coefficienti dell’incognita y con la colonna dei termini noti. Per risolvere un sistema nella forma normale ( ax + by = c con a, b, c, a0 , b0 , c0 ∈ R, (a, b) 6= (0, 0) ∧ (a0 , b0 ) 6= (0, 0) a0 x + b 0 y = c 0 Dy = con il metodo di Cramer: 1. si calcolano i determinanti D, Dx , Dy 2. si analizzano i valori dei determinanti D, Dx , Dy : (a) se D 6= 0, il sistema è determinato e l’insieme delle soluzioni è ®Ç S= Dx Dy , D D å´ (b) se D = 0 ∧ (Dx 6= 0 ∨ Dy 6= 0), il sistema è impossibile (c) se D = 0 ∧ Dx = 0 ∧ Dy = 0, il sistema è indeterminato 1.7 Sistemi di tre equazioni in tre incognite La forma normale di un sistema di tre equazioni di primo grado in tre incognite è: ax + by + cz = d a x + b y + c0 z = d0 con a, b, c, d, a0 , b0 , c0 , d0 , a00 , b00 , c00 , d00 ∈ R 00 a x + b00 y + c00 z = d 0 0 Per risolvere questi sistemi si trasformano nella forma normale e si analizzano le tre equazioni: • se almeno un’equazione è impossibile, il sistema è impossibile • se un’equazione è un’identità e il sistema formato dalle altre due è indeterminato, il sistema è indeterminato • se tutte le equazioni sono identità, allora il sistema è identico. • In tutti gli altri casi si procede utilizzando i metodi visti per i sistemi con due equazioni. 81 CAPITOLO 1. SISTEMI DI PRIMO GRADO 1.7.1 Metodo di sostituzione Per risolvere un sistema di tre equazioni in tre incognite nella forma normale con il metodo di sostituzione: 1. si ricava un’incognita da un’equazione 2. si sostituisce l’espressione ottenuta nelle altre equazioni trasformandole in due equazioni in due incognite 3. si risolve il sistema formato dalle due equazioni in due incognite con il metodo desiderato 4. si sostituisce, nell’espressione dell’incognita ricavata, la coppia ottenuta al punto 3 e si ricava l’ulteriore incognita. 1.7.2 Metodo di Cramer Ad ogni sistema nella forma normale ax + by + cz = d a x + b y + c0 z = d 0 00 a x + b00 y + c00 z = d00 0 0 si possono associare i determinanti a b c D = a0 b0 c0 a00 b00 c00 d b c D x = d 0 b0 c 0 d00 b00 c00 a d c Dy = a0 d0 c0 a00 d00 c00 a b d Dz = a0 b0 d0 a00 b00 d00 D è il determinante della matrice dei coefficienti delle incognite; Dx , Dy , Dz , sono i determinanti delle matrici che si ottengono sostituendo, nella matrice dei coefficienti, la colonna dei coefficienti dell’incognita con la colonna dei termini noti. Per risolvere un sistema di tre equazioni in tre incognite nella forma normale con il metodo di Cramer: 1. si calcolano i determinanti D, Dx , Dy , Dz 2. si analizzano i valori dei determinanti D, Dx , Dy , Dz : 82 1.7. SISTEMI DI TRE EQUAZIONI IN TRE INCOGNITE (a) se D 6= 0, il sistema è determinato e ha come insieme delle soluzioni ®Ç S= Dx Dy Dz , , D D D å´ (b) se D = 0 ∧ (Dx 6= 0 ∨ Dy 6= 0 ∨ Dz 6= 0), il sistema è impossibile (c) se D = 0 ∧ Dx = 0 ∧ Dy = 0 ∧ Dz = 0, il sistema è indeterminato 83 Capitolo 2 Radicali 2.1 Radice ennesima aritmetica Definizione 2.1.1 (Radice ennesima aritmetica ). Dato un numero naturale n > 0, si dice radice ennesima aritmetica di un numero reale non negativo a quel numero reale non negativo b tale che bn = a √ n a = b ⇔ bn = a, con n ∈ N0 , a, b ∈ R+ ∪ {0} Il numero n è detto indice, il numero a radicando, e Ä √ än n a =a 2.2 √ n a è detto radicale aritmetico. Estensione in R dei radicali con indice dispari Nel caso di indice dispari si può considerare il caso in cui il radicando è negativo. Definizione 2.2.1 (Radice ennesima). Dato un numero naturale n dispari, si dice radice ennesima di un numero reale a quel numero reale b tale che bn = a √ n a = b ⇔ bn = a Per correttezza, per la radice ennesima, sarebbe necessario utilizzare un altro simbolo al fine di non confonderlo con la radice ennesima aritmetica. Utilizziamo lo stesso simbolo considerando la radice ennesima aritmetica se n è pari, e la radice ennesima se n è dispari. Teorema 2.2.1. ∀a, b > 0, a = b ⇔ an = bn ∀n dispari a = b ⇔ an = bn 84 2.3. CONDIZIONI DI ESISTENZA DEI RADICALI Osservazione Se n è dispari, √ √ n −a = − n a Si usa dire che si può trasportare fuori dal simbolo di radice il segno − Il segno − non si può trasportare fuori dal simbolo di radice se l’indice è pari. 2.3 Condizioni di esistenza dei radicali Poiché, se n pari, il radicando non deve essere negativo, se sono presenti delle lettere è necessario scrivere le condizioni di esistenza imponendo che esso sia maggiore o uguale a 0. Osservazione In seguito vedremo proprietà e operazioni riguardanti le radici ennesime aritmetiche. Per applicarle alle radici ennesime si deve porre attenzione al segno del radicale e del radicando 2.4 Proprietà invariantiva dei radicali Teorema 2.4.1 (Proprietà invariantiva ). Il valore di un radicale aritmetico non cambia, se il suo indice e l’esponente del radicando si moltiplicano per uno stesso numero naturale diverso da 0. In simboli: √ √ ∀a > 0, ∀m, n, p ∈ N0 , n am = np amp Osservazioni 1. Se l’indice è dispari e il radicando è negativo, si possono moltiplicare indice e esponente del radicando per un numero dispari 2. Se l’indice è dispari e il radicando è negativo, per applicare la proprietà invariantiva con un numero pari, si deve trasportare fuori dal simbolo di radice il segno −. 3. Se l’indice è dispari e il radicando può essere positivo o negativo, per applicare la proprietà invariantiva con un numero pari, si devono distingure i due casi 4. Se il radicando è costituito da più fattori, per applicare la proprietà invariantiva è sufficiente moltiplicare indice ed esponente di ogni fattore per lo stesso numero. 2.5 Riduzione di più radicali allo stesso indice Per ridurre due o più radicali allo stesso indice: 1. si scompongono i radicandi 2. si scrivono le eventuali condizioni di esistenza 3. si calcola il mcm degli indici 4. si applica la proprietà invariantiva a ciascun radicale moltiplicando il suo indice e l’esponente del radicando per il quoziente tra il mcm e l’indice. 85 CAPITOLO 2. RADICALI 2.6 Ordinamento di radicali numerici Per ordinare più radicali numerici: 1. si riducono i radicali allo stesso indice 2. si confrontano i radicandi 2.7 Semplificazione di radicali Abbiamo visto che per i radicali aritmetici vale la proprietà invariantiva: √ √ ∀a > 0, ∀m, n, p ∈ N0 , n am = np amp per la proprietà simmetrica dell’uguaglianza si può scrivere: √ √ ∀a > 0, ∀m, n, p ∈ N0 , np amp = n am cioè il valore di un radicale aritmetico non cambia, se il suo indice e l’esponente del radicando si dividono per un loro divisore comune. La proprietà invariantiva ci permette quindi di semplificare i radicali. Se il radicando è letterale, nell’eseguire la semplificazione, è necessario mantenere la sua non negatività. √ Dato il radicale √ x2 , che esiste per qualunque valore di x, dividendo indice ed esponente per 2, si ottiene x2 = x; questa uguaglianza non è vera per qualunque valore √ di x perché, se x è negativo, il primo√membro è positivo e il secondo è negativo. Quindi x2 = x solo se x > 0. Se x < 0, allora x2 = −x. Quindi risulta: √ x2 = |x| Generalizzando, se n è pari si ha √ n an = |a| Anche nel caso in cui, semplificando il radicale, il simbolo di radice non venga eliminato, è necessario mantenere la non negatività del radicando, Se l’esponente del radicando è dispari, si dovranno scrivere le condizioni di esistenza, quindi, dopo la semplificazione, non sarà necessario l’inserimento del valore assoluto perché la non negatività del radicando è garantita dalle condizioni di esistenza. Riassumendo, per semplificare un radicale aritmetico: 1. si scompone il radicando 2. si scrivono le eventuali condizioni di esistenza 3. si dividono l’indice e gli esponenti di ogni fattore per un divisore comune 4. si inseriscono eventuali valori assoluti per mantenere la non negatività del radicando Osservazioni √ √ 1. a2 + b2 6= a + b, a2 + b2 non si può semplificare 2. Se l’indice del radicale è dispari non si devono scrivere condizioni di esistenza e inserire valori assoluti 86 2.8. MOLTIPLICAZIONE DI RADICALI 2.8 Moltiplicazione di radicali Teorema 2.8.1 (Prodotto). √ √ √ n n n a · b = ab con a, b > 0, n ∈ N0 Osservazioni 1. Se gli indici non sono uguali, si riducono i radicali allo stesso indice e si effettua la moltiplicazione. 2. Prima di effettuare la moltiplicazione, se è possibile, può essere utile semplificare i singoli radicali. 3. La moltiplicazione si può estendere a più di due radicali. 4. Se uno degli indici è dispari si deve porre attenzione al segno del prodotto 2.9 Divisione di radicali Teorema 2.9.1 (Quoziente). √ √ √ n n n a : b = a : b con a > 0, b > 0, n ∈ N0 1. Se gli indici non sono uguali, si riducono i radicali allo stesso indice e si effettua la divisione. 2. Prima di effettuare la divisione, se è possibile, può essere utile semplificare i singoli radicali. 3. Nel caso di divisioni tra più di due radicali, poiché la divisione non gode della proprietà associativa, si devono effettuare le divisioni nell’ordine con cui sono scritte. 4. Molte volte la divisione viene scritta sotto forma di frazione: √ n a a √ = n n b b 5. Se uno degli indici è dispari si deve porre attenzione al segno del rapporto 2.10 Trasporto di un fattore dentro il segno di radice √ √ √ √ n n n a b = n an b = an b, a > 0, b > 0 per trasportare un fattore non negativo dentro il segno di radice lo si eleva all’indice della radice. Osservazioni 87 CAPITOLO 2. RADICALI 1. Se l’indice è pari e il fattore da trasportare dentro è negativo, si trasporta dentro il suo opposto, mantenendo il segno − davanti al radicale. 2. Se l’indice è pari e il segno del fattore da trasportare dipende dal valore di una o più lettere, si deve considerare il caso in cui il fattore è positivo o nullo e quello in cui è negativo. 3. Se l’indice è dispari ai possono trasportare dentro fattori positivi e negativi. 4. Si possono trasportare dentro solo i fattori e non i termini 2.11 Trasporto di un fattore fuori dal segno di radice Abbiamo visto che è sempre possibile trasportare un fattore dentro il segno di radice aritmetica; in alcuni casi è possibile effettuare l’operazione inversa, cioè trasportare un fattore fuori dal segno di radice. Per effettuare questa operazione, l’esponente del fattore da trasportare fuori dal segno di radice aritmetica deve essere maggiore o uguale dell’indice della radice Consideriamo due casi: 1. Se l’esponente è multiplo dell’indice di radice cioè m = np, si ha √ √ √ √ √ n n n n am b = apn b = n apn · b = ap · b, con a, b > 0, n, p ∈ N0 Quindi per trasportare fuori dal segno di radice aritmetica un fattore con esponente multiplo dell’indice, si divide l’esponente per l’indice 2. Se l’esponente è maggiore, ma non multiplo dell’indice, si divide l’esponente per l’indice ottenendo un quoziente e un resto cioè m = qn + r con r < n, dove m è l’esponente del radicando, q è il quoziente, n è l’indice della radice ed r è il resto. √ √ √ √ √ √ n n n n n am b = aqn+r b = aqn ar b = n aqn · ar b = aq · ar b con a, b > 0, m, n, q, r ∈ N0 In questo caso, dopo il trasporto, il fattore compare fuori e dentro la radice. Quindi per trasportare fuori dal segno di radice aritmetica un fattore con esponente non multiplo dell’indice, si divide l’esponente per l’indice: il quoziente è l’esponente del fattore esterno, il resto è l’esponente del fattore interno. Osservazioni 1. Prima di trasportare un fattore fuori dal segno di radice si deve scomporre il radicando 2. Nel caso di indice pari, prima di trasportare un fattore fuori dal segno di radice si devono scrivere le opportune condizioni di esistenza e, dopo il trasporto, si devono inserire eventuali valori assoluti per mantenere la non negatività del radicale. 3. Nel caso di indice dispari non si devono scrivere condizioni di esistenza e non si devono inserire valori assoluti 4. Nel caso di indice dispari si può trasportare fuori il segno − 5. Si possono trasportare fuori solo i fattori e non i termini 88 2.12. ELEVAMENTO A POTENZA 2.12 Elevamento a potenza Teorema 2.12.1 (Potenza). Ä √ äm n a √ n = am con a > 0, m, n ∈ N0 Osservazioni 1. Nella definizione di potenza abbiamo supposto l’esponente maggiore di 0. Se l’esponente è 0 e il radicando è a > 0, allora: Ä √ ä0 n a = 1; 2. Se l’esponente è intero negativo e il radicando è a > 0, allora: √ Ä √ ä−m n n a = a−m con a > 0, m, n ∈ N0 Infatti, applicando la proprietà delle potenze con esponente negativo, si ottiene: Ä √ ä−m n a √ 1 1 n n 1 √ = √ = = a−m = m n n m m ( a) a a 3. Se l’indice è dispari non si devono porre condizioni di esistenza per la radice 2.13 Radice di radice Teorema 2.13.1 (Radice). »√ p n a= √ np a con a > 0, n, p ∈ N0 Osservazioni 1. Se è presente un fattore fuori dalla radice interna, lo si trasporta dentro. 2. Se entrambi gli indici sono dispari non si devono porre condizioni di esistenza per la radice 2.14 Radicali simili Definizione 2.14.1 (Radicali simili). Due radicali aritmetici si dicono simili se hanno lo stesso indice e lo stesso radicando. 2.15 Addizione algebrica di radicali Teorema 2.15.1 (Somma algebrica). La somma algebrica di due radicali aritmetici simili è il radicale simile ai radicali dati che ha come coefficiente la somma algebrica dei coefficienti. 89 CAPITOLO 2. RADICALI 2.16 Razionalizzazione dei denominatori Le frazioni con radicali si possono trasformare in frazioni in cui i radicali compaiono solo al denominatore o solo al numeratore. Questa operazione si dice razionalizzazione. 2.16.1 Primo caso: il denominatore è una radice quadrata In questo caso per razionalizzare il denominatore si moltiplicano numeratore e denominatore per la radice stessa. In simboli: √ √ √ a b a b a a b √ = √ · √ = Ä√ ä2 = b b b b b con b > 0 Osservazione Se al denominatore è presente un fattore esterno, nella razionalizzazione si moltiplica solo per la radice 2.16.2 Secondo caso: il denominatore è una radice ennesima In questo caso, se l’esponente del radicando è minore dell’indice, si moltiplicano numeratore e denominatore per un radicale con lo stesso indice e con esponente uguale alla differenza tra l’indice e l’esponente; se l’esponente è maggiore dell’indice si trasporta un fattore fuori dal segno di radice. In simboli: √ √ √ √ n n−m a b a n bn−m a n bn−m a n bn−m a √ = √ · √ = √ = √ = n m n m n n−m n m+n−m n n b b b b b b con b > 0, m, n ∈ N0 , m < n Osservazioni 1. In questo caso non si deve moltiplicare per la radice stessa 2. Se l’indice è dispari non si scrivono le condizioni di esistenza per la radice 2.16.3 Terzo caso: il denominatore è una somma o differenza di due radicali quadratici In questo caso, se al denominatore compare la somma di radicali quadratici, si moltiplicano numeratore e denominatore per la differenza dei due radicali; se compare la differenza di radicali quadratici, si moltiplica per la loro somma. In questo modo, al denominatore si ottiene il prodotto notevole somma per differenza. Ä√ Ä√ √ √ ä √ ä √ a b− c a b− c a a b− c √ √ =√ √ ·√ √ = Ä√ ä2 √ 2 = b−c b+ c b+ c b− c b − ( c) 90 2.17. RADICALI DOPPI con b > 0 ∧ c > 0 ∧ b 6= c Ä√ Ä√ √ √ ä √ ä √ a b+ c a b+ c a a b+ c √ √ =√ √ ·√ √ = Ä√ ä2 √ 2 = b−c b− c b− c b+ c b − ( c) con b > 0 ∧ c > 0 ∧ b 6= c Osservazioni 1. In questo caso non si deve moltiplicare per il denominatore stesso 2. Il procedimento si può applicare anche quando uno dei due termini al denominatore non è un radicale; inoltre se compaiono coefficienti davanti ai radicali occorre tenerne conto. 2.16.4 Quarto caso: il denominatore è una somma o differenza di due radicali cubici In questo caso si moltiplicano numeratore e denominatore per l’espressione che permette di ottenere i prodotti notevoli differenza o somma di cubi. In simboli: √ √ Ä√ Ä√ √ ä √ ä √ √ √ 3 3 3 3 3 2 3 a b2 + c2 − 3 bc a b2 + c2 − 3 bc a a b + c2 − 3 bc √ √ √ = = √ = √ √ ·√ Ä√ ä3 √ 3 3 3 3 b+c b+ 3c b + 3 c 3 b2 + 3 c2 − 3 bc b + ( 3 c) con b 6= −c √ √ Ä√ Ä√ √ ä √ ä √ √ √ 3 3 3 3 3 2 3 a b2 + c2 + 3 bc a b2 + c2 + 3 bc a a b + c2 + 3 bc √ √ √ = = √ = √ √ ·√ ä3 Ä√ √ 3 3 3 3 b−c b− 3c b − 3 c 3 b2 + 3 c2 + 3 bc b − ( 3 c) con b 6= c 2.17 Radicali doppi Si dice radicale doppio l’espressione » √ a± b Vale la seguente formula: s s √ √ » √ a + a2 − b a − a2 − b a± b= ± 2 2 con a > 0 ∧ b > 0 ∧ a2 − b > 0 Osservazioni 1. La formula data è utile per semplificare i radicali, se a2 − b è un quadrato perfetto. 2. Se è presente un fattore fuori dalla radice interna, lo si deve trasportare dentro prima di applicare la formula. Osservazione Se si riesce a scomporre il radicando della radice esterna come quadrato di binomio, si può evitare di applicare la formula del radicale doppio. 91 CAPITOLO 2. RADICALI 2.18 I radicali come potenze con esponente razionale Definizione 2.18.1 (Potenza con esponente razionale). m an = √ n am , con a > 0, m, n ∈ N0 Nella definizione di potenza abbiamo supposto l’esponente razionale positivo. Se l’esponente è razionale negativo e se la base è positiva, si ha per definizione: m a− n = 1 1 , con a > 0, m, n ∈ N0 m = √ n an am Osservazione Per trasformare radicali con indice dispari e radicando negativo in potenza con esponente razionale, si deve prima portare fuori il segno − 92 Capitolo 3 Equazioni di secondo grado 3.1 Equazioni di secondo grado spurie Definizione 3.1.1 (Equazione spuria). ax2 + bx = 0 con a, b ∈ R0 Per risolvere le equazioni spurie: 1. si trasforma l’equazione nella forma normale ax2 + bx = 0 2. si scompone il primo membro raccogliendo il fattore x e si ottiene: x (ax + b) = 0 3. si applica la legge dell’annullamento del prodotto uguagliando a 0 i due fattori: x = 0 ∨ ax + b = 0 4. una soluzione è x = 0, l’altra soluzione si ottiene risolvendo l’equazione di primo grado ax + b = 0 x=− b a l’equazione è determinata e l’insieme delle soluzioni è ® b S = 0; − a 3.2 ´ Equazioni di secondo grado pure Definizione 3.2.1 (Equazione pura). ax2 + c = 0 con a, c ∈ R0 93 CAPITOLO 3. EQUAZIONI DI SECONDO GRADO Per risolvere le equazioni pure: 1. si trasforma l’equazione nella forma normale ax2 + c = 0 2. si ricava l’incognita al quadrato: x2 = − c a c 3. se − < 0, cioè a, c sono concordi, poiché nessun numero reale elevato al quadrato è a negativo, l’equazione non ha soluzioni reali, quindi è impossibile in R … … c c c > 0, cioè a, c sono discordi, poiché sia − che − − , elevati al quadrato, a a a … c c danno − si ha x = ± − . a a L’equazione è determinata e l’insieme delle soluzioni è 4. se − ® c c S= − − , − a a 3.3 ´ Equazioni di secondo grado complete Definizione 3.3.1 (Equazione completa). ax2 + bx + c = 0 con a, b, c ∈ R0 Per risolvere le equazioni complete: 1. si trasforma l’equazione nella forma normale ax2 + bx + c = 0 2. si calcola il discriminante ∆ = b2 − 4ac: 3. Se ∆ < 0, allora l’equazione è impossibile in R b 4. Se ∆ = 0, si ha x = − doppia. 2a L’equazione è determinata e l’insieme delle soluzioni è ® b S= − 2a ´ √ −b ± ∆ . 5. Se ∆ > 0, si ha x = 2a L’equazione è determinata e l’insieme delle soluzioni è √ √ ) ( −b − ∆ −b + ∆ S= , 2a 2a La formula risolutiva delle equazioni di secondo grado complete si può anche applicare alle equazioni pure e spurie 94 3.4. RELAZIONI FRA SOLUZIONI E COEFFICIENTI DI UN’EQUAZIONE DI SECONDO GRADO 3.3.1 Formula ridotta Per risolvere un’equazione di secondo grado utilizzando la formula ridotta: 1. si trasforma l’equazione nella forma normale ax2 + bx + c = 0 ∆ b2 − 4ac 2. si calcola il discriminante = = 4 4 Ç å2 b 2 − ac: ∆ < 0, allora l’equazione è impossibile in R 4 3. Se b ∆ 4. Se = 0, si ha x = − 2 doppia. 4 a L’equazione è determinata e l’insieme delle soluzioni è b 2 S = − a b ∆ − ± ∆ 4. 5. Se > 0, si ha x = 2 4 a L’equazione è determinata e l’insieme delle soluzioni è b − 2 S= − a b ∆ − + 4, 2 a 3.4 ∆ 4 Relazioni fra soluzioni e coefficienti di un’equazione di secondo grado Data l’equazione in forma normale ax2 + bx + c = 0 con ∆ > 0, indichiamo con x1 e x2 le soluzioni. x1 + x2 = − x1 · x2 = 3.5 b a c a Scomposizione del trinomio di secondo grado Per scomporre il trinomio di secondo grado ax2 + bx + c: 1. lo si uguaglia a 0 2. si calcola il discriminante 95 CAPITOLO 3. EQUAZIONI DI SECONDO GRADO 3. se il discriminante è negativo, il trinomio è irriducibile in R 4. se il discriminante è nullo, il trinomio si scompone in ax2 + bx + c = a (x − x1 )2 dove x1 è la soluzione doppia dell’equazione ax2 + bx + c = 0 5. se il discriminante è positivo, il trinomio si scompone in ax2 + bx + c = a (x − x1 ) (x − x2 ) dove x1 e x2 sono le soluzioni dell’equazione ax2 + bx + c = 0 96 Capitolo 4 Equazioni di grado superiore al secondo 4.1 Introduzione Esistono formule per risolvere equazioni di terzo e quarto grado. È stato invece dimostrato che non esistono formule per risolvere equazioni di quinto grado o di grado superiore. Noi non risolveremo tutte le equazioni di grado superiore al secondo, ma solo alcuni tipi. 4.2 Equazioni risolubili con la legge dell’annullamento del prodotto Consideriamo equazioni che, ridotte a forma normale, hanno il primo membro scomponibile in fattori di primo e secondo grado. Per risolvere questo tipo di equazioni: 1. si trasforma l’equazione in forma normale 2. si scompone il polinomio a primo membro in fattori di primo e secondo grado 3. si applica la legge dell’annullamento del prodotto uguagliando a 0 tutti i fattori 4. si risolvono le equazioni ottenute 4.3 Equazioni binomie Definizione 4.3.1 (Equazione binomia). Un’equazione si dice binomia se la sua forma normale è axn + b = 0 con a, b ∈ R0 ∧ n ∈ N0 Per risolvere questo tipo di equazioni: 1. si ricava xn = − b a 97 CAPITOLO 4. EQUAZIONI DI GRADO SUPERIORE AL SECONDO 2. se n è dispari, si ha x= n − b a l’equazione è determinata e l’insieme delle soluzioni è ( n S= b − a ) b 3. se n è pari e − < 0, l’equazione non ha soluzioni reali quindi è impossibile in R a b 4. se n è pari e − > 0 si ha a n x=± − b a l’equazione è determinata e l’insieme delle soluzioni è ( S= n b b n − ,− − a a ) Osservazione Se nell’equazione axn + b = 0 il termine noto b è nullo, otteniamo l’equazione axn = 0 che si dice monomia. Un’equazione monomia di grado n ammette n soluzioni reali coincidenti nulle e ha quindi come insieme delle soluzioni S = {0} 4.4 Equazioni trinomie Definizione 4.4.1 (Equazione trinomia). Un’equazione si dice trinomia se la sua forma normale è ax2n + bxn + c = 0 con a, b, c ∈ R0 ∧ n ∈ N0 In particolare, se n = 2, l’equazione si dice biquadratica: ax4 + bx2 + c = 0 Per risolvere questo tipo di equazioni: 1. si pone xn = y e si ottiene l’equazione: ay 2 + by + c = 0 2. si risolve l’equazione di secondo grado: (a) se essa è impossibile in R, allora lo è anche l’equazione trinomia (b) se essa ha come soluzioni y1 , y2 , si risolvono le equazioni binomie xn = y1 e xn = y 2 98 Capitolo 5 Sistemi di grado superiore al primo 5.1 Risoluzione di un sistema di secondo grado Per risolvere un sistema di secondo grado lo si trasforma nella forma normale e lo si risolve con il metodo di sostituzione: 1. si ricava un’incognita dall’equazione di primo grado 2. si sostituisce l’espressione ottenuta nell’altra equazione e la si risolve 3. si sostituiscono i valori ricavati al punto 2 nell’espressione dell’altra incognita e la si determina. 5.2 Sistemi con un’equazione di primo grado Per risolvere un sistema di grado superiore al secondo contenente un’equazione di primo grado: 1. si ricava un’incognita dall’equazione di primo grado 2. si sostituisce l’espressione ottenuta nell’altra equazione e la si risolve 3. si sostituiscono i valori ricavati al punto 2 nell’espressione dell’altra incognita e la si determina. 5.3 Particolari sistemi di quarto grado Consideriamo sistemi la cui forma normale è la seguente: ® x2 + y 2 + ax + by + c = 0 x 2 + y 2 + a0 x + b 0 y + c 0 = 0 Per risolvere questo tipo di sistemi: 1. si moltiplicano entrambi i membri della seconda equazione per −1 99 CAPITOLO 5. SISTEMI DI GRADO SUPERIORE AL PRIMO 2. si applica il metodo di riduzione ottenendo un’equazione di primo grado 3. si risolve con il metodo di sostituzione il sistema formato da una delle due equazioni iniziali e dall’equazione di primo grado ottenuta al punto 2 100 Capitolo 6 Disequazioni 6.1 Intervalli Per la risoluzione delle disequazioni è utile il concetto di intervallo. Si dice R esteso l’insieme R = R ∪ {−∞, +∞}. I simboli −∞, +∞ hanno la seguente proprietà: ∀x ∈ R − ∞ < x < +∞. Dati a, b ∈ R, con a 6 b, si dice intervallo ciascuno dei seguenti sottoinsiemi dei numeri reali: ]a, b[ = {x ∈ R/a < x < b} intervallo aperto [a, b[ = {x ∈ R/a 6 x < b} intervallo semiaperto o semichiuso ]a, b] = {x ∈ R/a < x 6 b} intervallo semiaperto o semichiuso [a, b] = {x ∈ R/a 6 x 6 b} intervallo chiuso [a, +∞[ = {x ∈ R/x > a} intervallo chiuso ]a, +∞[ = {x ∈ R/x > a} intervallo aperto ]−∞, a] = {x ∈ R/x 6 a} intervallo chiuso ]−∞, a[ = {x ∈ R/x < a} intervallo aperto Osservazioni 1. I primi 4 intervalli sono limitati, gli altri sono illimitati. 2. L’insieme R è l’intervallo ]−∞, +∞[. 3. [a, a] = {a} 4. ]a, a] = [a, a[=]a, a[= ∅ Ogni intervallo si può rappresentare graficamente. Dalla definizione data si può notare che ogni intervallo si rappresenta indicando i suoi estremi all’interno di parentesi quadre. La parentesi quadra racchiude l’estremo se esso è compreso, non lo racchiude se esso non è compreso. Negli intervalli illimitati si usano i simboli +∞ e −∞. Nella rappresentazione grafica se un estremo appartiene all’intervallo, lo si rappresenta con un pallino pieno; se non appartiene all’intervallo, lo si rappresenta con una × 101 CAPITOLO 6. DISEQUAZIONI 6.2 Risolubilità di una disequazione Nella risoluzione di una disequazione in un’incognita in un insieme A si possono presentare i seguenti casi. 6.2.1 Disequazione impossibile Definizione 6.2.1 (Disequazioni impossibile). Una disequazione si dice impossibile se l’insieme delle soluzioni è l’insieme vuoto 6.2.2 Disequazione risolubile Definizione 6.2.2 (Disequazioni risolubili). Una disequazione si dice risolubile se l’insieme delle soluzioni non è l’insieme vuoto 6.2.3 identità Definizione 6.2.3 (identità). Una disequazione si dice identità se l’insieme delle soluzioni coincide con il dominio 6.3 6.3.1 Principi di equivalenza delle disequazioni Primo principio di equivalenza Teorema 6.3.1 (Primo principio di equivalenza). Addizionando ad entrambi i membri di una disequazione la stessa espressione algebrica che non modifica il dominio si ottiene una disequazione equivalente. Regola del trasporto Teorema 6.3.2 (Regola del trasporto). Se in una disequazione si sposta un termine da un membro all’altro cambiandone il segno, si ottiene una disequazione equivalente. 6.3.2 Secondo principio di equivalenza Teorema 6.3.3 (Secondo principio di equivalenza). Moltiplicando entrambi i membri di una disequazione per la stessa espressione algebrica, che non modifica il dominio e che in esso sia positiva, si ottiene una disequazione equivalente; moltiplicando entrambi i membri di una disequazione per la stessa espressione algebrica, che non modifica il dominio e che in esso sia negativa e cambiando il verso si ottiene una disequazione equivalente 102 6.4. FORMA NORMALE DI UNA DISEQUAZIONE Regola del cambiamento dei segni Teorema 6.3.4 (Regola del cambiamento dei segni). Se in una disequazione si cambiano i segni di tutti i termini e il verso, si ottiene una disequazione equivalente. Regola di eliminazione dei denominatori Teorema 6.3.5 (Regola di eliminazione dei denominatori). Se in una disequazione avente entrambi i membri costituiti da una sola frazione con lo stesso denominatore positivo si eliminano i denominatori, si ottiene una disequazione equivalente. Osservazione Se al denominatore compare un’incognita che può renderlo anche negativo, il denominatore non può essere eliminato 6.4 Forma normale di una disequazione Definizione 6.4.1 (Forma normale). Una disequazione si dice in forma normale se il primo membro è un polinomio in forma normale e il secondo membro è 0. 6.5 Grado di una disequazione Definizione 6.5.1 (Grado). Si dice grado di una disequazione numerica intera il grado del polinomio a primo membro della sua forma normale. Osservazione Una disequazione di primo grado è detta disequazione lineare. 6.6 Disequazioni di primo grado ax > b ax > b ax < b ax 6 b Per risolvere queste disequazioni: 1. si trasforma la disequazione nella forma normale 2. si analizzano i valori di a e b: 103 CAPITOLO 6. DISEQUAZIONI (a) se a > 0, la disequazione è risolubile e per ottenere la soluzione si dividono entrambi i membri per il coefficiente dell’incognita (b) se a < 0, la disequazione è risolubile e per ottenere la soluzione si dividono entrambi i membri per il coefficiente dell’incognita e si cambia il verso della disequazione (c) se a = 0 la disequazione è impossibile o identità a seconda del valore di b e del segno di disuguaglianza Osservazione La soluzione, nel caso in cui il coefficiente dell’incognita è 0, dipende sia dal termine noto sia dal simbolo di disuguaglianza che compare nella disequazione, riassumiamo nella seguente tabella i casi possibili: Simbolo Termine noto Esempio Soluzione > > > > > > < < < 6 6 6 6.7 negativo nullo positivo negativo nullo positivo negativo nullo positivo negativo nullo positivo 0 > −3 0>0 0>3 0 > −3 0>0 0>3 0 < −3 0<0 0<3 0 6 −3 060 063 R ∅ ∅ R R ∅ ∅ ∅ R ∅ R R Studio del segno del polinomio di primo grado Per studiare il segno del polinomio ax + b: 1. si scrive la disequazione ax + b > 0 2. la si risolve 3. l’insieme delle soluzioni della disequazione è l’intervallo su cui il polinomio è positivo, b il numero reale − è il valore per cui il polinomio è nullo, sul rimanente intervallo il a polinomio è negativo 4. si rappresenta graficamente il segno del polinomio tracciando la retta dei numeri reali e scrivendo il simbolo + in corrispondenza dell’intervallo in cui il polinomio è positivo, 0 dove è nullo e il simbolo − dove è negativo. 104 6.8. DISEQUAZIONI DI SECONDO GRADO 6.8 Disequazioni di secondo grado ax2 + bx + c > 0 ax2 + bx + c > 0 ax2 + bx + c < 0 ax2 + bx + c 6 0 Per risolvere questo tipo di disequazioni: 1. si trasforma la disequazione nella forma normale 2. si scrive l’equazione ax2 + bx + c = 0, detta equazione associata 3. la si risolve 4. si disegna la parabola tenendo conto delle soluzioni e del coefficiente a del termine di secondo grado: (a) se le soluzioni sono reali distinte, la parabola interseca la retta dei numeri reali in corrispondenza delle due soluzioni; (b) se le soluzioni sono reali coincidenti, la parabola interseca la retta dei numeri reali in corrispondenza della soluzione; (c) se non ci sono soluzioni reali, la parabola non interseca la retta dei numeri reali; (d) se a > 0, la parabola ha la concavità rivolta verso l’alto; (e) se a < 0, la parabola ha la concavità rivolta verso il basso; 5. si scrive + in corrispondenza degli intervalli per i quali la parabola è sopra la retta reale, 0 dove la parabola interseca la retta reale, − in corrispondenza degli intervalli per i quali la parabola è sotto la retta reale. 6. si evidenziano ciò che è richiesto dalla disequazione 7. l’insieme delle soluzioni della disequazione è l’unione degli intervalli corrispondenti ai segni evidenziati Osservazione Anche se l’equazione associata è impossibile la disequazione non è detto che sia impossibile 6.9 Studio del segno del polinomio di secondo grado Per studiare il segno del polinomio ax2 + bx + c: 1. si scrive la disequazione ax2 + bx + c > 0 2. la si risolve 105 CAPITOLO 6. DISEQUAZIONI 3. l’insieme delle soluzioni della disequazione sono gli intervalli su cui il polinomio è positivo, le soluzioni dell’equazione associata sono i valori per cui il polinomio è nullo, sui rimanenti intervalli il polinomio è negativo 4. si rappresenta graficamente il segno del polinomio tracciando la retta dei numeri reali e scrivendo + in corrispondenza degli intervalli in cui il polinomio è positivo, 0 dove è nullo e − dove è negativo. In sintesi si può dedurre che 1. se le soluzioni sono reali distinte, il polinomio è concorde con a per i valori di x esterni all’intervallo delle radici, discorde da a per valori interni all’intervallo delle radici; 2. se le soluzioni sono reali coincidenti, il polinomio è concorde con a per ogni x diverso dalla radice 3. se non ci sono soluzioni reali, il polinomio è concorde con a per ogni x reale 6.10 Disequazioni di grado superiore al secondo P (x) > 0 P (x) > 0 P (x) < 0 P (x) 6 0 dove P (x) è un polinomio di grado superiore al secondo in forma normale; il dominio di tali disequazioni è R. Analizziamo le disequazioni per le quali P (x) è scomponibile in fattori di primo e secondo grado. Poiché il segno di un prodotto dipende dal segno dei fattori, la scomposizione permette di studiare il segno del polinomio studiando il segno dei singoli fattori. Per risolvere questo tipo di disequazioni: 1. si trasforma la disequazione nella forma normale 2. si scompone P (x) in fattori di primo e secondo grado 3. si studia il segno di ogni fattore 4. si rappresentano graficamente i segni dei fattori 5. si applica la regola dei segni per ogni intervallo 6. si evidenzia ciò che è richiesto dalla disequazione 7. l’insieme delle soluzioni della disequazione è l’unione degli intervalli corrispondenti ai segni evidenziati 106 6.11. DISEQUAZIONI FRATTE Osservazione In alcune disequazioni di grado superiore al secondo possono comparire fattori elevati ad un esponente. Nel caso di esponente pari la potenza non è mai negativa, quindi, per studiarne il segno: 1. si determinano gli zeri della base 2. nella rappresentazione grafica del segno si scrive 0 in corrispondenza degli zeri trovati e + in tutti gli intervalli. Nel caso di esponente dispari il segno della potenza è lo stesso di quello della base, quindi, per studiarne il segno è sufficiente studiare il segno della base. 6.11 Disequazioni fratte N (x) >0 D (x) N (x) >0 D (x) N (x) <0 D (x) N (x) 60 D (x) dove N (x) e D (x) sono polinomi ridotti a forma normale; il dominio di tali disequazioni è R − {x|x è zero di D (x)} Poiché il segno di un rapporto dipende dai segni del numeratore e del denominatore, trattiamo le disequazioni fratte in modo analogo a quelle di grado superiore al secondo. Per risolvere questo tipo di disequazioni: 1. si trasforma la disequazione in una delle forme precedenti 2. si scompongono numeratore e denominatore in fattori di primo e secondo grado 3. si scrivono le condizioni di esistenza 4. si studia il segno di ogni fattore del numeratore e del denominatore 5. si rappresentano graficamente le condizioni di esistenza inserendo × in corrispondenza dei punti che non le soddisfano 6. si rappresentano graficamente i segni dei fattori 7. si applica la regola dei segni per ogni intervallo 8. si evidenzia ciò che è richiesto dalla disequazione 107 CAPITOLO 6. DISEQUAZIONI 9. l’insieme delle soluzioni della disequazione è l’unione degli intervalli corrispondenti ai segni evidenziati Osservazione Nelle disequazioni fratte si può eliminare il denominatore solo se è positivo sul dominio 6.12 Sistemi di disequazioni Un sistema di disequazioni è formato da due o più disequazioni. Consideriamo solamente sistemi di disequazioni in una incognita. Il dominio del sistema è l’intersezione dei domini delle disequazioni che lo costituiscono. L’insieme delle soluzioni del sistema è l’intersezione degli insiemi delle soluzioni delle singole disequazioni. Per risolvere un sistema di disequazioni in una incognita: 1. si risolvono le singole disequazioni 2. si rappresentano graficamente gli insiemi delle soluzioni delle singole disequazioni 3. si evidenziano gli intervalli che soddisfano tutte le disequazioni 4. l’insieme delle soluzioni del sistema è l’unione degli intervalli evidenziati 108 Capitolo 7 Circonferenza 7.1 Introduzione Definizione 7.1.1 (Circonferenza). Si dice circonferenza di centro C e raggio r il luogo dei punti P del piano tali che P C ∼ = r. Osservazione Due circonferenze sono congruenti se e solo se hanno raggi congruenti Definizione 7.1.2 (Cerchio). Si dice cerchio di centro C e raggio r il luogo dei punti P del piano tali che P C 6 r. Teorema 7.1.1 (Circonferenza passante per tre punti). Per tre punti non allineati passa una e una sola circonferenza Teorema 7.1.2 (Convessità). La circonferenza non è una figura convessa, il cerchio è una figura convessa Definizione 7.1.3 (Corda). Si dice corda un segmento che ha per estremi due punti della circonferenza. Definizione 7.1.4 (Diametro). Si dice diametro una corda passante per il centro Osservazione Poiché un diametro è congruente al doppio di un raggio, tutti i diametri sono congruenti 7.2 Proprietà della corda Teorema 7.2.1. Ogni corda è minore o uguale al diametro Teorema 7.2.2. La perpendicolare ad una corda nel suo punto medio passa per il centro della circonferenza 109 CAPITOLO 7. CIRCONFERENZA Teorema 7.2.3. La perpendicolare ad una corda passante per il centro C di una circonferenza passa per il punto medio della corda Teorema 7.2.4. La retta passante per il centro C e per il punto medio della corda AB, è perpendicolare alla corda B r D A C 7.3 Archi, angoli, segmenti circolari e settori circolari Definizione 7.3.1 (Arco). ¯ ciascuna delle due parti in cui una circonferenza è divisa da due suoi punti Si dice arco AB AeB B A C Figura 7.1: arco Osservazione ¯ si intende il minore dei due archi di estremi A e B. In alternativa, Normalmente con AB per identificare l’arco, si può utilizzare un terzo punto interno all’arco: ˙ ADB 110 7.3. ARCHI, ANGOLI, SEGMENTI CIRCOLARI E SETTORI CIRCOLARI Definizione 7.3.2 (Corda sottesa). ¯ la corda AB Si dice corda sottesa all’arco AB Definizione 7.3.3 (Semicirconferenza). Si dice semicrconferenza l’arco la cui corda sottesa è un diametro Definizione 7.3.4 (Angolo al centro). Si dice angolo al centro un angolo che ha come vertice il centro della circonferenza α C Figura 7.2: angolo al centro Osservazioni ÷ insiste sull’arco AB ¯ 1. Si dice che l’angolo al centro ACB ÷ l’arco AB ¯ e la corda AB si dicono corrispondenti. 2. L’angolo al centro ACB, Teorema 7.3.1. In una circonferenza o in circonferenze congruenti due angoli al centro sono congruenti se e solo se i corrispondenti archi o le corrispondenti corde sono congruenti Definizione 7.3.5 (Segmento circolare a una base). Si dice segmento circolare a una base ognuna delle due parti di cerchio compresa tra un arco e la corda ad esso sottesa B A C Figura 7.3: segmento circolare a una base 111 CAPITOLO 7. CIRCONFERENZA Definizione 7.3.6 (Semicerchio). Si dice semicerchio il segmento circolare a una base con base un diametro Definizione 7.3.7 (Segmento circolare a due basi). Si dice segmento circolare a due basi la parte di cerchio compresa tra due corde parallele B A C D E Figura 7.4: segmento circolare a due basi Definizione 7.3.8 (Settore circolare). Si dice settore circolare l’intersezione tra il cerchio e un angolo al centro C α Figura 7.5: settore circolare 7.4 Posizioni reciproche tra circonferenza e retta Data una circonferenza di centro C e raggio r e una retta, sia d la distanza della retta da C: 1. se d < r, la retta è secante la circonferenza e la interseca in due punti 112 7.5. POSIZIONI RECIPROCHE TRA DUE CIRCONFERENZE 2. se d ∼ = r, la retta è tangente alla circonferenza e la interseca in un punto 3. se d > r, la retta è esterna alla circonferenza e non la interseca Osservazione il raggio passante per il punto di tangenza è perpendicolare alla tangente Teorema 7.4.1 (Tangenti da un punto esterno). I segmenti di tangente da un punto esterno P a una circonferenza sono congruenti 7.5 Posizioni reciproche tra due circonferenze Date due circonferenze di centro rispettivamente C e C 0 e raggi r e r0 con r > r0 , sia d la distanza tra i centri: 1. se d è nulla, le circonferenze sono concentriche 2. se d < r − r0 , la circonferenza di centro C 0 è interna alla circonferenza di centro C; 3. se d ∼ = r − r0 , le circonferenze sono tangenti internamente in un punto 4. se d > r − r0 ∧ d < r + r0 , le circonferenze sono secanti in due punti 5. se d ∼ = r + r0 , le circonferenze sono tangenti esternamente in un punto 6. se d > r + r0 , le circonferenze sono esterne Osservazione Due circonferenze tangenti in un punto hanno in quel punto la stessa retta tangente Definizione 7.5.1 (Corona circolare). Date due circonferenze concentriche si dice corona circolare l’insieme dei punti interni alla circonferenza esterna ed esterni alla circonferenza interna C Figura 7.6: corona circolare 113 CAPITOLO 7. CIRCONFERENZA 7.6 Angoli alla circonferenza Definizione 7.6.1 (Angolo alla circonferenza). Si dice angolo alla circonferenza un angolo che ha il vertice sulla circonferenza e i lati secanti o uno secante e l’altro tangente alla circonferenza C V α Figura 7.7: angolo alla circonferenza Osservazione L’angolo al centro e l’angolo alla circonferenza che insistono sullo stesso arco si dicono corrispondenti Teorema 7.6.1. Un angolo alla circonferenza è congruente alla metà del corrispondente angolo al centro Teorema 7.6.2. Due angoli alla circonferenza che insistono sullo stesso arco sono congruenti 114 7.6. ANGOLI ALLA CIRCONFERENZA V α B M γ C β A Osservazione Angoli alla circonferenza che insistono su archi congruenti sono congruenti; viceversa angoli alla circonferenza congruenti insistono su archi congruenti Teorema 7.6.3. Un angolo alla circonferenza che insiste su una semicirconferenza è retto V α C B A β 115 CAPITOLO 7. CIRCONFERENZA 7.7 Punti notevoli di un triangolo Teorema 7.7.1 (Circocentro). Gli assi dei lati di un triangolo si intersecano in un punto detto circocentro r As F B t D H E C Figura 7.8: circocentro Teorema 7.7.2 (Incentro). Le bisettrici degli angoli di un triangolo si intersecano in un punto detto incentro. A G t B r I K s C H Figura 7.9: incentro Teorema 7.7.3 (Ortocentro). Le rette contenenti le altezze di un triangolo si intersecano in un punto detto ortocentro 116 7.8. POLIGONI INSCRITTI E CIRCOSCRITTI G A H D s F W t r E B C I Figura 7.10: ortocentro Teorema 7.7.4 (Baricentro). Le mediane di un triangolo si incontrano in un punto detto baricentro che divide ogni mediana in due parti: una doppia dell’altra A D F B H r G E I s C Figura 7.11: baricentro 7.8 Poligoni inscritti e circoscritti Definizione 7.8.1 (Poligono inscritto). Un poligono si dice inscritto in una circonferenza se i suoi vertici appartengono alla circonferenza A B C D F E Figura 7.12: poligono inscritto 117 CAPITOLO 7. CIRCONFERENZA Osservazioni 1. se un poligono è inscritto in una circonferenza si dice che la circonferenza è circoscritta al poligono 2. Il raggio della circonferenza è il raggio del poligono 3. I lati del poligono sono corde della circonferenza 4. Gli angoli del poligono sono angoli alla circonferenza Definizione 7.8.2 (Poligono circoscritto). Un poligono si dice circoscritto ad una circonferenza se i suoi lati sono tangenti alla circonferenza G A J F B C K I E D H Figura 7.13: poligono circocritto Osservazioni 1. se un poligono è circoscritto ad una circonferenza si dice che la circonferenza è inscritta nel poligono 2. Il raggio della circonferenza è l’apotema del poligono ed è la distanza di ciascun lato dal centro Osservazioni 1. Un triangolo è sempre inscrivibile in una circonferenza il cui centro è il circocentro del triangolo 2. Un triangolo è sempre circoscrivibile ad una circonferenza il cui centro è l’incentro del triangolo Teorema 7.8.1 (Quadrilatero circoscritto). Un quadrilatero è circoscrivibile a una circonferenza se e solo se la somma di due lati opposti è congruente alla somma degli altri due Teorema 7.8.2 (Quadrilatero inscritto). Un quadrilatero è inscrivibile in una circonferenza se e solo se la somma di due angoli opposti è congruente alla somma degli altri due 118 7.9. POLIGONI REGOLARI 7.9 Poligoni regolari Definizione 7.9.1 (Poligono regolare). Un poligono si dice regolare se ha tutti i lati e tutti gli angoli congruenti Osservazione Se un triangolo ha i lati congruenti ha anche gli angoli. Nei quadrilateri questo non è vero: il rombo ha i lati congruenti ma non necessariamente gli angoli. Il quadrilatero regolare è il quadrato. Teorema 7.9.1. Se una circonferenza è suddivisa in n > 3 archi congruenti, allora: 1. congiungendo i punti di suddivisione si ottiene il poligono regolare inscritto di n lati 2. tracciando le tangenti alla circonferenza nei punti di suddivisione si ottiene il poligono regolare circoscritto di n lati G D F C H E B J A I Teorema 7.9.2. Un poligono regolare è inscrittibile in una circonferenza e circoscrittibile a un’altra circonferenza con lo stesso centro 119 Capitolo 8 Equiestensione 8.1 Figure equiestese Assumiamo il concetto di estensione di una figura come termine primitivo. Definizione 8.1.1 (Equiestese). Due figure F1 e F2 con la stessa estensione si dicono equiestese o equivalenti. In simboli . F1 = F2 Osservazioni 1. la relazione di equiestensione è una relazione di equivalenza 2. due figure congruenti sono equiestese 3. esistono figure equiestese che non sono congruenti Osservazione Somme o differenze di figure equiestese a due a due sono equiestese Definizione 8.1.2 (Figure equiscomponibili). Due figure si dicono equiscomponibili se si possono scomporre in n figure a due a due congruenti. Osservazione Figure equiscomponibili sono equiestese Esempio 8.1.1. 120 8.1. FIGURE EQUIESTESE D C A B G F E H Figura 8.1: figure equiscomponibili Teorema 8.1.1. Se due parallelogrammi hanno ordinatamente congruenti la base e l’altezza, allora sono equiestesi Teorema 8.1.2. Se un parallelogrammo e un rettangolo hanno ordinatamente congruenti la base e l’altezza, allora sono equiestesi Teorema 8.1.3. Un triangolo è equiesteso a un parallelogrammo che ha altezza congruente a quella del triangolo e base congruente alla metà di quella del triangolo I C F β δ G γ α A E B Teorema 8.1.4. Un triangolo è equiesteso a un rettangolo che ha altezza congruente a quella del triangolo e base congruente alla metà di quella del triangolo Teorema 8.1.5. Un trapezio è equiesteso a un triangolo che ha altezza congruente a quella del trapezio e base congruente alla somma delle basi del trapezio 121 CAPITOLO 8. EQUIESTENSIONE I C E β δ G γ α A B F Teorema 8.1.6. Un poligono circoscritto a una circonferenza è equiesteso a un triangolo che ha altezza congruente al raggio della circonferenza e base congruente al perimetro del poligono F E L A D G I C O H B O0 A0 B0 K C0 D0 E0 A00 Teorema 8.1.7. Un poligono regolare è equiesteso a un triangolo avente la base congruente al perimetro del poligono e altezza congruente all’apotema del poligono Teorema 8.1.8. Un poligono di n lati è equiesteso a un altro poligono di n − 1 lati Consideriamo il caso di un poligono di 5 lati 122 8.2. PRIMO TEOREMA DI EUCLIDE F E r D A C B Teorema 8.1.9. Un poligono di n lati è equiesteso a un triangolo 8.2 Primo teorema di Euclide Teorema 8.2.1 (Primo teorema di Euclide). In un triangolo rettangolo il quadrato costruito su un cateto è equiesteso al rettangolo che ha i lati congruenti alla proiezione del cateto sull’ipotenusa e all’ipotenusa stessa D E C α H B A G I Figura 8.2: primo teorema di Euclide 123 CAPITOLO 8. EQUIESTENSIONE 8.3 Teorema di Pitagora Teorema 8.3.1 (Teorema di Pitagora). In un triangolo rettangolo il quadrato costruito sull’ipotenusa è equiesteso alla somma dei quadrati costruiti sui cateti. D E U C J α B A G F Figura 8.3: teorema di Pitagora 8.4 Secondo teorema di Euclide Teorema 8.4.1 (Secondo teorema di Euclide). D In un triangolo rettangolo il quadrato costruito sull’altezza relativa all’ipotenusa è equiesteso al rettangolo che i lati congruenti alle proiezioni dei cateti sull’ipotenusa C α β H A F U B J W Figura 8.4: secondo teorema di Euclide G 124 I 8.5. QUADRATURA DI UN POLIGONO 8.5 Quadratura di un poligono Teorema 8.5.1 (Rettangolo equiesteso a un quadrato). Dato un rettangolo è possibile costruire un quadrato equiesteso ad esso C U α β H A G B J I Figura 8.5: rettangolo eqiuesteso a un quadrato Teorema 8.5.2 (Quadratura di un poligono). Dato un poligono di n lati è possibile costruire un quadrato equiesteso ad esso 8.6 Quadratura del cerchio I matematici si sono impegnati per secoli per risolvere il problema della quadratura del cerchio, cioè costruire, usando solo riga e compasso, un quadrato equiesteso a un cerchio. Nel 1882 Ferdinand von Lindemann dimostrò che la quadratura del cerchio non era possibile 8.7 Area Poiché la relazione di equiestensione è una relazione di equivalenza essa determina una partizione dell’insieme delle figure del piano; ogni classe di equivalenza contiene tutte e sole le figure equiestese tra loro. Definizione 8.7.1 (Area). Si dice area ogni classe di equivalenza di figure fra loro equiestese. In altre parole due figure equiestese hanno la stessa area e, viceversa, figure con la stessa area sono equiestese. Per indicare l’area di una figura F invece di utilizzare la notazione tipica delle classi di equivalenza [F ] si utilizza la notazione AF . 125 Capitolo 9 Grandezze geometriche e misure 9.1 Classe di grandezze omogenee Definizione 9.1.1 (Classe di grandezze geometriche omogenee). Si dice classe di grandezze geometriche omogenee un insieme di enti geometrici in cui è sempre possibile confrontare e addizionare due elementi qualsiasi dell’insieme. L’addizione definita in una classe di grandezze geometriche è associativa, commutativa e ammette come elemento neutro la grandezza nulla. Definizione 9.1.2 (Multiplo). Si dice multiplo di una grandezza A secondo n ∈ N una grandezza B, omogenea a quella data, tale che: 1. B è la somma di n grandezze congruenti ad A, se n > 1; 2. B è uguale ad A, se n = 1; 3. B è la grandezza nulla, se n = 0. e si scrive B = nA Se B è il multiplo di A secondo n 6= 0, allora A si dice sottomultiplo di B secondo n e si 1 scrive A = B. n 9.2 Rapporti fra grandezze Definizione 9.2.1 (Grandezze commensurabili). Due grandezze A e B omogenee si dicono commensurabili se esiste una grandezza, omogenea con le due date, che sia loro sottomultipla comune. Detta U la grandezza sottomultipla ad A e B secondo i numeri naturali m e n, valgono le seguenti relazioni: U= 1 B n 126 9.3. PROPORZIONI FRA GRANDEZZE 1 A da cui A = mU m Da queste relazioni si ottiene 1 m A = mU = m B = B n n m Il numero razionale è detto rapporto fra A e B e si scrive n m A = B n Quindi se due grandezze A e B omogenee non nulle sono commensurabili il loro rapporto è un numero razionale non nullo, e viceversa. U= Definizione 9.2.2 (Grandezze incommensurabili). Due grandezze A e B omogenee si dicono incommensurabili se non esiste una grandezza, omogenea con le due date, che sia loro sottomultipla comune. Teorema 9.2.1. Il lato di un quadrato e la sua diagonale sono segmenti incommensurabili. Nel caso in cui due grandezze A e B siano incommensurabili, il loro rapporto non si può più esprimere mediante un numero razionale, ma si deve ricorrere ai numeri irrazionali; quindi il rapporto fra due grandezze omogenee A e B è un numero reale, razionale se le grandezze sono commensurabili, irrazionale se le grandezze sono incommensurabili. 9.3 Proporzioni fra grandezze Definizione 9.3.1 (Proporzione). Date due grandezze omogenee non nulle A e B, e altre due grandezze omogenee non nulle C e D, si dice che le grandezze sono in proporzione se il rapporto tra A e B è uguale al rapporto tra C e D. In simboli C A = B D oppure A:B=C:D Osservazioni 1. Non è necessario che le quattro grandezze siano tutte omogenee tra loro; è sufficiente che lo siano le prime due e le seconde due. 2. La terminologia usata per le proporzioni tra grandezze è del tutto identica a quella utilizzata per le proporzioni tra numeri 3. Per le proporzioni tra grandezze valgono le proprietà valide in ambito numerico, ovvero le proprietà del comporre, dello scomporre, dell’invertire e, se tutte e quattro le grandezze sono omogenee, del permutare. Non essendo definibile il prodotto tra grandezze geometriche, non è possibile enunciare l’analogo della proprietà fondamentale delle proporzioni numeriche che stabilisce l’uguaglianza tra il prodotto dei medi e il prodotto degli estremi. 127 CAPITOLO 9. GRANDEZZE GEOMETRICHE E MISURE 9.4 La misura delle grandezze Definizione 9.4.1 (Misura). Date due grandezze omogenee A e B, con B diversa dalla grandezza nulla, si dice misura di A rispetto a B il numero reale α tale che A = αB. B si dice unità di misura Osservazioni 1. Di solito la grandezza presa come unità di misura viene indicata con U 2. La misura di una grandezza A si indica con A Una delle unità di misura delle lunghezze è il metro: m Una delle unità di misura delle ampiezze è il grado sessagesimale ◦ , che è la trecentosessantesima parte dell’angolo giro. Una delle unità di misura delle aree è il metro quadrato m2 Osservazione Quando si parla di misure di grandezze le diciture corrette sono “la misura della lunghezza del segmento”, “la misura dell’ampiezza dell’angolo”, “la misura dell’area di un poligono”, “la misura del perimetro di un poligono”. Infatti una grandezza non è un numero, ma ha per misura un numero, che la esprime una volta che si sia scelta l’unità di misura. D’ora in avanti, però, con abuso di linguaggio diremo semplicemente “lunghezza di un segmento”, “ampiezza di un angolo”, “area del poligono”, “perimetro del poligono” anche quando vorremo riferirci alla misura della grandezza. 9.5 Aree dei poligoni Teorema 9.5.1 (Area di un rettangolo). La misura dell’area di un rettangolo è uguale al prodotto delle misure della base e dell’altezza. Teorema 9.5.2 (Area di un parallelogrammo). La misura dell’area di un parallelogrammo è uguale al prodotto della misura di un suo lato per la misura dell’altezza relativa a esso. Teorema 9.5.3 (Area di un quadrato). La misura dell’area di un quadrato è uguale al quadrato della misura del suo lato. Teorema 9.5.4 (Area di un triangolo). La misura dell’area di un triangolo è uguale al semiprodotto della misura della base per la misura dell’altezza. Teorema 9.5.5 (Area di un rombo). La misura dell’area di un rombo è uguale al semiprodotto della misura della diagonale minore per la misura della diagonale maggiore. Teorema 9.5.6 (Area di un trapezio). La misura dell’area di un trapezio è uguale al semiprodotto della misura della somma delle basi per la misura dell’altezza. 128 9.6. LUNGHEZZA DELLA CIRCONFERENZA E AREA DEL CERCHIO Teorema 9.5.7 (Area di un poligono circoscritto a una circonferenza). La misura dell’area di un poligono circoscritto a una circonferenza è uguale al prodotto della misura del semiperimetro del poligono per la misura del raggio della circonferenza. Teorema 9.5.8 (Area di un poligono regolare). La misura dell’area di un poligono regolare è uguale al prodotto della misura del semiperimetro del poligono per la misura dell’apotema del poligono 9.6 9.6.1 Lunghezza della circonferenza e area del cerchio Lunghezza della circonferenza Poiché un arco e un segmento non sono grandezze omogenee non possono essere confrontate. Immaginiamo di deformare l’arco facendolo diventare rettilineo ottendo così un segmento che si dice arco rettificato. L’arco rettificato si può confrontare con i segmenti e quindi si può misurare. In modo analogo avremo la circonferenza rettificata. Con misura della lunghezza della circonferenza si intende la misura della lunghezza della circonferenza rettificata. La misura della lunghezza di una circonferenza si può approssimare tramite il perimetro di poligoni inscritti e circoscritti alla circonferenza stessa. D G C F H O E J B I A Figura 9.1: lunghezza della circonferenza Detto 2pn il perimetro del poligono regolare inscritto di n lati, 2Pn il perimetro del poligono regolare circoscritto di n lati e C la lunghezza della circonferenza di raggio r, si ha che 2pn < C < 2Pn Aumentando il numero dei lati dei poligoni, la differenza tra 2Pn e 2pn diventa sempre più piccola. Se n cresce indefinitamente, 2pn e 2Pn individuano uno e un solo numero che è compreso tra essi per ogni n e che si assume come lunghezza della circonferenza: 2πr 129 CAPITOLO 9. GRANDEZZE GEOMETRICHE E MISURE Il numero π è un numero irrazionale, un’approssimazione di π con 2 cifre decimali è 3, 14. Osservazioni 1. Poiché π è un numero irrazionale, la circonferenza rettificata e uno qualsiasi dei suoi diametri sono segmenti incommensurabili. 2. Nel 1882 Ferdinand von Lindemann dimostrò che π è un numero trascendente cioè che non è soluzione di alcuna equazione polinomiale. Poiché i numeri trascendenti non possono essere costruiti con solo riga e compasso, la dimostrazione che π è trascendente, dimostrò l’impossibilità della quadratura del cerchio Radiante Un’altra unità di misura delle ampiezze è il radiante, abbreviato rad, che è l’angolo al centro che insiste su di un arco avente lunghezza pari al raggio della circonferenza. La definizione data è indipendente dal raggio della circonferenza. π Un angolo giro misura 2π rad, un angolo piatto misura π rad e un angolo retto misura 2 rad. In seguito, per gli angoli espressi in radianti, ometteremo rad. Per passare dalla misura in gradi a quella in radianti o viceversa si può utilizzare la seguente proporzione: misura in gradi : misura in radianti = 180◦ : π 9.6.2 Lunghezza di un arco B l C A α O Figura 9.2: lunghezza di un arco Poiché in una circonferenza gli archi sono proporzionali agli angoli che insistono su di essi, indicando con l la misura della lunghezza dell’arco, con α la misura in gradi dell’angolo che insiste sull’arco e con C la misura della lunghezza della circonferenza si ha l : C = α : 360 130 9.6. LUNGHEZZA DELLA CIRCONFERENZA E AREA DEL CERCHIO da cui l= Cα 360 l= 2πrα 360 l= πrα 180 Se indichiamo con α la misura in radianti dell’angolo che insiste sull’arco si ha l = rα 9.6.3 Area del cerchio Per determinare l’area del cerchio si procede in modo analogo: le aree dei poligoni inscritti e circoscritti tendono ad avvicinarsi all’area del cerchio man mano che il numero dei loro lati aumenta. Poiché 1. l’area di un poligono regolare è uguale al prodotto tra il suo semiperimetro e il suo apotema 2. i perimetri dei poligoni inscritti e circoscritti tendono ad avvicinarsi sempre di più alla misura della lunghezza della circonferenza, quindi il semiperimetro tende a avvicinarsi a πr; 3. l’apotema del poligono inscritto tende ad avvicinarsi sempre di più al raggio della circonferenza, mentre l’apotema del poligono circoscritto coincide sempre con il raggio della circonferenza, quindi l’apotema tende a avvicinarsi a r. si ha che al crescere di n, le misure delle aree dei poligoni inscritti e circoscritti si avvicinano al numero πr · r = πr2 che assumiamo come misura dell’area di un cerchio di raggio r 131 CAPITOLO 9. GRANDEZZE GEOMETRICHE E MISURE 9.6.4 Area di un settore circolare B l S α A O Figura 9.3: area settore circolare Poiché in un cerchio le aree dei settori circolari sono proporzionali agli angoli che insistono sugli archi individuati da essi, indicando con AS la misura dell’area del settore circolare, con α la misura in gradi dell’angolo che insiste sull’arco individuato dal settore circolare e con AC la misura dell’ area del cerchio si ha AS : AC = α : 360 da cui AS = AC α 360 AS = πr2 α 360 Se indichiamo con α la misura in radianti dell’angolo che insiste sull’arco individuato dal settore circolare si ha AS = r2 α 2 Indicando con l la lunghezza dell’arco individuato dal settore circolare, poiché l= πrα 180 si ha AS = lr 2 132 9.7. TEOREMA DI TALETE 9.7 Teorema di Talete Teorema 9.7.1 (Teorema di Talete). Dato un fascio di rette parallele tagliato da due trasversali, il rapporto tra due segmenti AB e CD individuati dal fascio sulla prima trasversale è uguale al rapporto tra i loro corrispondenti A0 B 0 e C 0 D0 individuati dal fascio sulla seconda trasversale. t s A0 A d B0 c B C0 C b a D0 D Figura 9.4: teorema di Talete Teorema 9.7.2. La retta parallela a un lato di un triangolo divide gli altri due lati in segmenti proporzionali. C r D E A B Teorema 9.7.3. Se una retta determina su due lati di un triangolo segmenti proporzionali, allora è parallela al terzo lato. Teorema 9.7.4. La bisettrice di un angolo interno di un triangolo divide il lato opposto in segmenti proporzionali agli altri due 133 CAPITOLO 9. GRANDEZZE GEOMETRICHE E MISURE r E γ C β α δ A B D 9.8 Problemi di geometria applicata all’algebra C a A mc α h b H n B Primo teorema di Euclide a2 = mc b2 = nc Secondo teorema di Euclide h2 = mn Teorema di pitagora c 2 = a2 + b 2 Inoltre, utilizzando la formula dell’area di un triangolo si ha 1 1 ab = ch 2 2 da cui ab = ch 134 9.8. PROBLEMI DI GEOMETRIA APPLICATA ALL’ALGEBRA 9.8.1 Relazione tra lato e diagonale di un quadrato D C d A B l √ d=l 2 d l=√ 2 9.8.2 Relazione tra lato e altezza di un triangolo equilatero A l h C B l 2 h= l√ 3 2 2h l=√ 3 135 H CAPITOLO 9. GRANDEZZE GEOMETRICHE E MISURE 9.8.3 Relazione tra i lati in un triangolo con gli angoli di 30, 60, 90 gradi A l√ 3 2 30◦ l 90◦60◦ B l 2 C 1 BC = AC 2 √ 1 AB = AC 3 2 9.8.4 Relazione tra i lati in un triangolo con gli angoli di 45, 45, 90 gradi C √ l 2 A l l B √ AC = AB 2 AB = BC 136 9.8. PROBLEMI DI GEOMETRIA APPLICATA ALL’ALGEBRA 9.8.5 Relazione tra lati e altezza in un triangolo isoscele A l h H b B b 2 2 2 Ç å2 b 2 h =l − 9.8.6 C b 2 Relazione tra lati, diagonali e raggio circonferenza inscritto in un rombo A D 2 l E D r D B d 2 O d d 2 D 2 C 2 Ç å2 d 2 l = Ç D + 2 å2 Poiché il raggio della circonferenza inscritta è l’altezza del triangolo AOD si ha rl = dD 22 da cui dD r= 22 l 137 CAPITOLO 9. GRANDEZZE GEOMETRICHE E MISURE 9.8.7 Relazione tra basi, lato obliquo e altezza in un trapezio rettangolo C D b l h B A B−b H B l2 = h2 + (B − b)2 9.8.8 Relazione tra basi, lato obliquo e altezza in un trapezio isoscele D C b l h B A B−b l =h + 2 2 2 Ç B−b K 2 B H å2 138 B−b 2 9.8. PROBLEMI DI GEOMETRIA APPLICATA ALL’ALGEBRA 9.8.9 Area di un triangolo in funzione dei lati: formula di Erone A c b h C B x H a−x a Ponendo p = a + b + c si ha A= ãÅ ãÅ ã p Åp p p −a −b −c 2 2 2 2 9.8.10 Raggio della circonferenza inscritta in un triangolo A G I r K B r= H 2A p 139 C CAPITOLO 9. GRANDEZZE GEOMETRICHE E MISURE 9.8.11 Relazione tra lato, apotema di un quadrato e raggio della circonferenza circoscritta D l 2 l l H a 2 A 45◦ 45◦ O r C B √ l=r 2 a= l 2 a= r√ 2 2 9.8.12 Relazione tra lato, apotema di un quadrato e raggio della circonferenza inscritta D l G a r H C F O A B E a=r l = 2r 140 9.8. PROBLEMI DI GEOMETRIA APPLICATA ALL’ALGEBRA 9.8.13 Relazione tra lato, apotema di un esagono e raggio della circonferenza circoscritta E D O F r A C ◦ a 60 H l r B l=r l√ 3 2 r√ 3 a= 2 a= 9.8.14 Relazione tra lato, apotema di un esagono e raggio della circonferenza inscritta D E C O F 60◦ a r A a=r r= l√ 3 2 2r l=√ 3 141 H l B CAPITOLO 9. GRANDEZZE GEOMETRICHE E MISURE 9.8.15 Relazione tra lato, apotema di un triangolo equilatero e raggio della circonferenza circoscritta C r O a r H l A B r = 2a √ l=r 3 9.8.16 Relazione tra lato, apotema di un triangolo equilatero e raggio della circonferenza inscritta C O a A r H B l a=r √ l = 2r 3 142 Capitolo 10 Similitudine fra poligoni 10.1 Poligoni simili Definizione 10.1.1 (Poligoni simili). Due poligoni F e F 0 si dicono simili se hanno gli angoli ordinatamente congruenti e i lati corrispondenti proporzionali e si scrive F ∼ F0 Osservazioni 1. La relazione di similitudine è una relazione di equivalenza. 2. Il rapporto tra i lati proporzionali si dice rapporto di similitudine Teorema 10.1.1 (Proprietà dei poligoni simili). Due poligoni simili con rapporto di similitudine k > 0 hanno • perimetri con rapporto k • aree con rapporto k 2 10.2 Criteri di similitudine dei triangoli Teorema 10.2.1 (Primo criterio di similitudine). Se due triangoli hanno rispettivamente congruenti due angoli allora sono simili Teorema 10.2.2 (Secondo criterio di similitudine). Se due triangoli hanno due lati corrispondenti proporzionali e gli angoli tra essi compresi congruenti allora sono simili Teorema 10.2.3 (Terzo criterio di similitudine). Se due triangoli hanno le coppie di lati corrispondenti con lo stesso rapporto allora sono simili Teorema 10.2.4. Se due triangoli sono simili, il rapporto tra le altezze corrispondenti è uguale al rapporto tra le basi 143 CAPITOLO 10. SIMILITUDINE FRA POLIGONI 10.3 La similitudine e i teoremi di Euclide Teorema 10.3.1 (Primo teorema di Euclide). In un triangolo rettangolo ogni cateto è medio proporzionale tra l’ipotenusa e la sua proiezione sull’ipotenusa C δ γ A α ε β H B Figura 10.1: primo teorema di Euclide Ipotesi π α∼ = 2 π ε∼ = 2 Tesi AH : AC = AC : AB BH : BC = BC : AB Osservazione Se consideriamo le misure dei lati si ha AH : AC = AC : AB applicando la proprietà fondamentale delle proporzioni numeriche si ottiene 2 AC = AHAB che è la stessa formula vista precedentemente Teorema 10.3.2 (Secondo teorema di Euclide). In un triangolo rettangolo l’altezza relativa all’ipotenusa è media proporzionale tra le proiezioni dei cateti sull’ipotenusa C γ A α δ ε ε0β B H Figura 10.2: secondo teorema di Euclide 144 10.4. LA SIMILITUDINE E LA CIRCONFERENZA Ipotesi π 2 π ε∼ = 2 π ε0 ∼ = 2 Tesi α∼ = AH : CH = CH : HB Osservazione Se consideriamo le misure dei lati si ha AH : CH = CH : HB applicando la proprietà fondamentale delle proporzioni numeriche si ottiene 2 CH = AHHB che è la stessa formula vista precedentemente 10.4 La similitudine e la circonferenza Teorema 10.4.1 (Teorema delle corde). Se in una circonferenza due corde si intersecano, i segmenti che si formano su una corda sono i medi e i segmenti che si formano sull’altra corda sono gli estremi di una stessa proporzione D α A C γ F B δ β E Figura 10.3: teorema delle corde Ipotesi AB corda 145 CAPITOLO 10. SIMILITUDINE FRA POLIGONI DE corda Tesi AF : DF = F E : F B Teorema 10.4.2 (Teorema delle secanti). Se da un punto esterno a una circonferenza si conducono due secanti, una secante e la sua parte esterna sono i medi, l’altra secante e la sua parte esterna sono gli estremi di una stessa proporzione P α D A C γ β E B Figura 10.4: teorema delle secanti Ipotesi P B secante P E secante Tesi PB : PE = PD : PA Teorema 10.4.3 (Teorema della secante e della tangente). Se da un punto esterno a una circonferenza si conducono una secante e una tangente, il segmento di tangente è medio proporzionale tra la secante e la sua parte esterna 146 10.5. RAGGIO DELLA CIRCONFERENZA CIRCOSCRITTA A UN TRIANGOLO P α D γ A C β B Figura 10.5: teorema della secante e della tangente Ipotesi P B secante P D tangente Tesi PB : PD = PD : PA 10.5 Raggio della circonferenza circoscritta a un triangolo Teorema 10.5.1 (Raggio della circonferenza circoscritta a un triangolo). Il raggio della circonferenza circoscritta a un triangolo è uguale al rapporto tra il prodotto dei lati e il quadruplo dell’area del triangolo 10.6 La sezione aurea Definizione 10.6.1 (Sezione aurea di un segmento). Si dice sezione aurea di un segmento la parte di segmento che è media proporzionale tra la parte rimanente e il segmento stesso 10.6.1 Costruzione di Erone della sezione aurea di un segmento Dato il segmento AB tracciamo il segmento BO perpendicolare ad AB e congruente alla sua meta. Tracciamo la circonferenza di centro O e raggio OB. Siano H e K i punti di intersezione della circonferenza con la retta AO. Tracciamo la circonferenza di centro A e raggio AH. Sia P il punto di intersezione della circonferenza con AB. Teorema 10.6.1 (Teorema sezione aurea di un segmento). Il segmento AP ottenuto con la costruzione di Erone è la sezione aurea di AB. 147 CAPITOLO 10. SIMILITUDINE FRA POLIGONI K O H A P B Figura 10.6: sezione aurea di un segmento Ipotesi BO⊥AB 1 BO ∼ = AB 2 ∼ AH = AP Tesi AB : AP = AP : P B 10.6.2 Numero aureo Dato il segmento AB sia AP la sua sezione aurea cioè: AB : AP = AP : P B Indicando con l la lunghezza di AB e con x la lunghezza della sua sezione aurea si ottiene l :x=x:l−x da cui x2 = l(l − x) x2 = l2 − lx x2 + lx − l2 = 0 Risolvendo l’equazione nell’incognita x otteniamo √ √ −l + l2 + 4l2 −l − l2 + 4l2 x= ∨x= 2 2 √ √ −l + 5l2 −l − 5l2 x= ∨x= 2 2 √ √ 2 −l + 5l −l − 5l2 x= ∨x= 2 2 148 10.6. LA SEZIONE AUREA √ −l − 5l2 Poiché x è una misura e quindi è positivo la soluzione non è accettabile, quindi 2 si ha √ −l + 5l2 x= 2 √ −l + l 5 x= 2 √ 5−1 x=l 2 Il numero irrazionale 2 ϕ= √ 5−1 si dice numero aureo e si approssima con 1,618 Osservazioni 1. Il numero aureo si può ottenere come somma infinita di frazioni 1 ϕ=1+ 1 1+ 1 1+ 1+ 1 1 + ··· 2. Il numero aureo si può ottenere come somma infinita di radici … ϕ= q 1+ 1+ » 1+ √ 1 + ··· 149 Parte III CLASSE TERZA 150 Capitolo 1 Equazioni e disequazioni con valori assoluti e irrazionali 1.1 Valore assoluto Definizione 1.1.1 (Valore assoluto). Il valore assoluto di un numero reale è il numero stesso se il numero è maggiore o uguale di 0, il suo opposto se il numero è minore di 0. In simboli: x |x| = se x > 0 −x se x < 0 Per il valore assoluto valgono le seguenti proprietà: 1. |x| > 0 ∀x ∈ R 2. |x| = 0 ⇔ x = 0 3. |xy| = |x||y| 4. x |x| = y |y| 5. |x + y| 6 |x| + |y| 6. |x − y| > ||x| − |y|| La definizione data si può generalizzare nel caso di valore assoluto di una funzione: f (x) |f (x)| = se f (x) > 0 −f (x) se f (x) < 0 151 CAPITOLO 1. EQUAZIONI E DISEQUAZIONI CON VALORI ASSOLUTI E IRRAZIONALI 1.2 1.2.1 Equazioni con valori assoluti Equazioni con un valore assoluto |f (x)| = g(x) è equivalente a ( f (x) > 0 ∨ f (x) = g(x) 1.2.2 ( f (x) < 0 − f (x) = g(x) Casi particolari di equazioni con valori assoluti 1. |f (x)| = k con k ∈ R+ ⇔ f (x) = k ∨ f (x) = −k 2. |f (x)| = k con k ∈ R− ⇔ ∃x ∈ R 3. |f (x)| = 0 ⇔ f (x) = 0 4. |f (x)| = |g(x)| ⇔ f (x) = g(x) ∨ f (x) = −g(x) 1.2.3 Equazioni con due o più valori assoluti Per risolvere un’equazione con due o più valori assoluti: 1. si studia il segno degli argomenti dei valori assoluti 2. si rappresenta graficamente lo studio del segno 3. si scrivono tanti sistemi misti quanti sono gli intervalli generati dallo studio del segno 4. si risolvono i sistemi ottenuti 1.3 1.3.1 Disequazioni con valori assoluti Disequazioni con un valore assoluto |f (x)| < g(x) è equivalente a ( f (x) > 0 ∨ f (x) < g(x) ( f (x) < 0 − f (x) < g(x) 152 1.3. DISEQUAZIONI CON VALORI ASSOLUTI 1.3.2 Casi particolari di disequazioni con valori assoluti 1. |f (x)| < k con k ∈ R+ ⇔ −k < f (x) < k 2. |f (x)| 6 k con k ∈ R+ ⇔ −k 6 f (x) 6 k 3. |f (x)| > k con k ∈ R+ ⇔ f (x) < −k ∨ f (x) > k 4. |f (x)| > k con k ∈ R+ ⇔ f (x) 6 −k ∨ f (x) > k 5. |f (x)| < k con k ∈ R− ⇔ ∃x ∈ R ∃x ∈ R 6. |f (x)| 6 k con k ∈ R− ⇔ 7. |f (x)| > k con k ∈ R− ⇔ ∀x ∈ Df 8. |f (x)| > k con k ∈ R− ⇔ ∀x ∈ Df 9. |f (x)| < 0 ⇔ ∃x ∈ R 10. |f (x)| 6 0 ⇔ f (x) = 0 11. |f (x)| > 0 ⇔ f (x) 6= 0 12. |f (x)| > 0 ⇔ ∀x ∈ Df 13. |f (x)| < |g(x)| ⇔ (f (x))2 < (g(x))2 1.3.3 Disequazioni con due o più valori assoluti Per risolvere una disequazione con due o più valori assoluti: 1. si studia il segno degli argomenti dei valori assoluti 2. si rappresenta graficamente lo studio del segno 3. si scrivono tanti sistemi di disequazioni quanti sono gli intervalli generati dallo studio del segno 4. si risolvono i sistemi ottenuti 153 CAPITOLO 1. EQUAZIONI E DISEQUAZIONI CON VALORI ASSOLUTI E IRRAZIONALI 1.4 Equazioni irrazionali Un’equazione irrazionale si risolve trasformandola in un’altra equivalente senza radici, elevando entrambi i membri ad un opportuno esponente. Per far questo si utilizzano le seguenti proprietà: 1. dato n ∈ N dispari a = b ⇔ an = bn ∀a, b ∈ R 2. dato n ∈ N0 pari a = b ⇔ an = bn ∀a, b ∈ [0, +∞[ La seconda proprietà è valida solo se le basi sono positive o nulle. Quindi, quando si eleva ad un esponente pari, si ottiene un’equazione il cui insieme delle soluzioni include quello dell’equazione data; è perciò necessario stabilire se le soluzioni ottenute verificano l’equazione data. In alternativa, prima di elevare ad un esponente pari, si deve determinare il dominio dell’equazione. Esso è dato dall’intersezione tra: 1. condizioni di esistenza dei radicali 2. insieme costituito dai numeri che rendono positivi o nulli entrambi i membri dell’equazione Ottenute le soluzioni della nuova equazione è necessario stabilire se appartengono al dominio. Quando si eleva ad un esponente dispari ai ottiene un’equazione il cui insieme delle soluzioni è quello dell’equazione data; non è quindi necessaria alcuna verifica. 1.4.1 Equazioni con una radice di indice pari L’equazione » n f (x) = g(x) con n pari è equivalente al sistema f (x) >0 g(x) > 0 f (x) = (g(x))n Osservazione Poiché con n pari (g(x))n > 0, la terza equazione implica che f (x) > 0: la prima disequazione è pertanto superflua. » L’equazione n f (x) = g(x) con n pari è quindi equivalente al sistema ( g(x) > 0 f (x) = (g(x))n 1.4.2 Equazioni con una radice di indice dispari L’equazione » n f (x) = g(x) con n dispari è equivalente all’equazione f (x) = (g(x))n 154 1.5. DISEQUAZIONI IRRAZIONALI 1.4.3 Altri tipi di equazioni irrazionali Per risolvere altri tipi di equazioni irrazionali si procede in modo analogo a quanto visto in precedenza. Se gli indici delle radici sono diversi, si elevano entrambi i membri al mcm degli indici. Se, nel caso di indice pari, le condizioni di esistenza e di non negatività sono complicate, si possono omettere; in questo caso, trovate le soluzioni è necessario controllare se sono accettabili sostituendole nell’equazione data. 1.5 1.5.1 Disequazioni irrazionali Disequazioni della forma » n f (x) < g(x) con n pari » n La disequazione f (x) < g(x) con n pari è equivalente al sistema f (x) >0 g(x) > 0 f (x) < (g(x))n » n la disequazione f (x) 6 g(x) con n pari è equivalente al sistema f (x) >0 g(x) > 0 f (x) 6 (g(x))n 1.5.2 Disequazioni della forma La disequazione ( g(x) < 0 ∨ f (x) > 0 ( g(x) < 0 ∨ f (x) > 0 1.5.3 ( n f (x) > g(x) con n pari » n f (x) > g(x) con n pari è equivalente a: g(x) > 0 f (x) > (g(x))n Analogamente la disequazione ( » » n f (x) > g(x) con n pari è equivalente a: g(x) > 0 f (x) > (g(x))n Disequazioni della forma La disequazione » n f (x) < g(x) con n dispari » n f (x) < g(x) con n dispari è equivalente alla disequazione f (x) < (g(x))n La disequazione » n f (x) 6 g(x) con n dispari è equivalente alla disequazione f (x) 6 (g(x))n 155 CAPITOLO 1. EQUAZIONI E DISEQUAZIONI CON VALORI ASSOLUTI E IRRAZIONALI La disequazione » n f (x) > g(x) con n dispari è equivalente alla disequazione » f (x) > g(x) con n dispari è equivalente alla disequazione f (x) > (g(x))n La disequazione n f (x) > (g(x))n 1.5.4 Disequazioni irrazionali con frazioni Consideriamo disequazioni in cui compaiono frazioni che hanno per numeratore o denominatore funzioni irrazionali. Per risolvere questo tipo di disequazioni: 1. si trasforma la disequazione nella forma N (x) > 0 (o nelle forme analoghe per gli altri D(x) simboli di disuguaglianza) 2. si scompongono numeratore e denominatore 3. si determinano le condizioni di esistenza 4. si studia il segno di ogni fattore del numeratore e del denominatore 5. si applica lo schema delle disequazioni fratte 156 Capitolo 2 Piano cartesiano 2.1 Vettori del piano Definizione 2.1.1 (Vettore). Si dice vettore del piano è una grandezza caratterizzata da tre elementi: • direzione • verso • modulo Un vettore si può rappresentare sul piano con un segmento orientato: • la direzione del vettore è la retta su cui giace il segmento orientato • il verso del vettore è quello indicato dal segmento orientato • il modulo del vettore è la lunghezza del segmento orientato Tutti i segmenti orientati paralleli, con lo stesso verso e la stessa lunghezza rappresentano lo stesso vettore. −→ Un vettore si indica con ~u, ~v , . . . oppure con AB, dove A e B sono gli estremi di un segmento orientato che lo rappresenta. Il modulo di un vettore ~v si indica con |~v |. Un vettore di modulo 1 si dice versore. Un vettore di modulo 0 si dice vettore nullo e si rappresenta con un punto (in questo caso direzione e verso non hanno significato) e si indica con ~0. 2.2 Componenti di un vettore Ogni vettore ~v è individuato da due numeri reali vx e vy detti componenti di ~v : Ç v ~v = x vy å 157 CAPITOLO 2. PIANO CARTESIANO Dato un sistema di riferimento cartesiano Oxy e due punti A(xA , yA ) e B(xB , yB ) le com−→ ponenti di AB sono i numeri reali xB − xA e yB − yA : −→ xB − xA AB = yB − yA Ç 2.3 å Vettori uguali Due vettori sono uguali se e solo se hanno le stesse componenti. 2.4 Modulo di un vettore Il modulo del vettore Ç v ~v = x vy å è |~v | = » vx2 + vy2 2.5 Somma di vettori Dati i vettori Ç å Ç ux v ~u = , ~v = x uy vy å si dice somma di ~u e ~v il vettore Ç ux + vx ~u + ~v = uy + vy å Notazione 2.5.1 (Opposto di un vettore). L’opposto del vettore ~v si indica con −~v Osservazione Se Ç v ~v = x vy å allora Ç −vx −~v = −vy å 158 2.6. DIFFERENZA DI VETTORI 2.6 Differenza di vettori Se Ç ux ~u = uy å Ç v e ~v = x vy å allora Ç ux − vx ~u − ~v = uy − vy 2.7 å Prodotto di un numero reale per un vettore Dati il numero reale λ e il vettore Ç ux ~u = uy å si dice prodotto di λ per ~u il vettore Ç λux λ~u = λuy 2.8 å Versori fondamentali ! I vettori ~i = 1 0 ! e ~j = 0 1 hanno modulo 1 e quindi sono versori; si dicono versori fondamentali. Teorema 2.8.1. Dato il vettore Ç ux ~u = uy å si ha ~u = ux~i + uy~j 2.9 Prodotto scalare di vettori Dati i vettori Ç å Ç ux v ~u = , ~v = x uy vy å si dice prodotto scalare di ~u e ~v il numero reale ~u · ~v = ux vx + uy vy 159 CAPITOLO 2. PIANO CARTESIANO 2.9.1 Vettori ortogonali Teorema 2.9.1 (Vettori ortogonali). Due vettori non nulli sono ortogonali se e solo se il loro prodotto scalare è 0. 2.10 Determinante di due vettori Dati i vettori Ç å Ç ux v ~u = , ~v = x uy vy å si dice determinante di ~u e ~v il numero reale det(~u, ~v ) = 2.10.1 ux vx = ux vy − vx uy uy vy Vettori paralleli Teorema 2.10.1 (Vettori paralleli). Due vettori non nulli sono paralleli se e solo se il loro determinante è 0. 2.11 Relazione di Chasles Teorema 2.11.1 (Relazione di Chasles). Dati i punti A(xA , yA ), B(xB , yB ), C(xC , yC ), si ha −→ −→ −−→ AB = AC + CB 5 4 3 2 1 O −1 −1 y A B C x 1 2 3 4 5 6 7 8 Figura 2.1: relazione di Chasles 2.12 Distanza tra due punti La distanza tra i punti A e B è la lunghezza del segmento AB ed è il modulo del vettore −→ AB e si indica con AB. Dati i punti A(xA , yA ) e B(xB , yB ), si ha AB = » (xB − xA )2 + (yB − yA )2 160 2.13. PUNTO MEDIO DI UN SEGMENTO 2.13 Punto medio di un segmento Dati i punti A(xA , yA ) e B(xB , yB ), sia M (xM , yM ) il punto medio del segmento AB. xM yM xA + xB 2 yA + yB = 2 = 2.14 Baricentro di un triangolo Dati i punti A(xA , yA ),B(xB , yB ) e C(xC , yC ), sia G(xG , yG ) il baricentro del triangolo di vertici A, B, C. xA + xB + xC 3 y A + yB + yC yG = 3 xG = 161 Capitolo 3 Retta 3.1 Equazione in forma implicita della retta equazione in forma implicita della retta ax + by + c = 0 con a, b, c ∈ R e (a, b) 6= (0, 0) un vettore parallelo ad essa è −b ~v = a 3.1.1 ! Rette parallele all’asse x Le rette parallele all’asse x hanno equazione y=k In particolare, l’asse x ha equazione y=0 3.1.2 Rette parallele all’asse y Le rette parallele all’asse y hanno equazione x=h In particolare, l’asse y ha equazione x=0 3.1.3 Rette passanti per l’origine Le rette passanti per l’origine hanno equazione ax + by = 0 con (a, b) 6= (0, 0). 162 3.2. EQUAZIONE IN FORMA ESPLICITA DELLA RETTA 3.2 Equazione in forma esplicita della retta Se nell’equazione in forma implicita ax + by + c = 0 della retta r si ha b 6= 0, allora si può ricavare la variabile y: c a y =− x− b b a c Ponendo − = m, − = q si ottiene b b y = mx + q L’equazione ottenuta si dice equazione in forma esplicita della retta; m si dice coefficiente angolare e q termine noto. Il coefficiente angolare m rappresenta l’inclinazione della retta rispetto all’asse x; il termine noto q è l’ordinata del punto di intersezione della retta con l’asse y. Se q = 0 si ottiene y = mx il cui grafico è una retta passante per l’origine. Osservazione L’equazione in forma implicita rappresenta tutte le rette del piano, mentre quella in forma esplicita rappresenta tutte le rette del piano escluse quelle parellele all’asse y. 3.3 Rappresentazione grafica della retta Per rappresentare graficamente una retta non parallela agli assi: 1. si determina l’equazione in forma esplicita 2. si determinano le coordinate di due punti della retta attribuendo valori alla variabile x e ricavando i corrispondenti valori di y 3. si rappresentano graficamente i due punti e si disegna la retta passante per essi 3.4 Retta passante per due punti Consideriamo la retta r passante per i punti A(xA , yA ) e B(xB , yB ). Un punto −→ −→ −→ −→ P (x, y) ∈ r ⇔ AP //AB ⇔ det(AP , AB) = 0 x − xA xB − x A =0 y − yA yB − yA (x − xA )(yB − yA ) − (y − yA )(xB − xA ) = 0 (x − xA )(yB − yA ) = (y − yA )(xB − xA ) 163 CAPITOLO 3. RETTA 3.4.1 Coefficiente angolare della retta passante per due punti Consideriamo la retta r : y = mx+q passante per i punti A(xA , yA ) e B(xB , yB ) con xA 6= xB . m= yB − yA x B − xA 3.4.2 Punti allineati Consideriamo i punti A(xA , yA ), B(xB , yB ), C(xC , yC ). I tre punti sono allineati se e solo se −→ −→ −→ −→ AB//AC ⇔ det(AB, AC) = 0 xB − xA xC − xA =0 yB − yA yC − yA Osservazione Per verificare se tre punti sono allineati si può anche procedere nel seguente modo: 1. si determina l’equazione della retta passante per due di essi 2. si verifica se il terzo punto appartiene alla retta 3.5 Retta passante per un punto con dato coefficiente angolare Consideriamo la retta r passante per il punto P0 (x0 , y0 ) e con coefficiente angolare m. y − y0 = m(x − x0 ) 3.6 Rette parallele Teorema 3.6.1 (Rette parallele). Due rette rappresentate da equazioni in forma esplicita sono parallele se e solo se hanno lo stesso coefficiente angolare. 3.6.1 Retta passante per un punto parallela a una retta data Per determinare l’equazione della retta passante per P0 (x0 , y0 ) parallela a una retta s, nel caso in cui s non sia parallela all’asse y: 1. si determina il coefficiente angolare m di s 2. si utilizza la formula y − y0 = m(x − x0 ) 164 3.7. RETTE PERPENDICOLARI 3.7 Rette perpendicolari Teorema 3.7.1 (Rette perpendicolari). Due rette rappresentate da equazioni in forma esplicita sono perpendicolari se e solo se il prodotto dei coefficienti angolari è −1 Osservazione 1. Il prodotto dei coefficienti angolari è −1 se il coefficiente angolare di una retta è l’inverso e l’opposto del coefficiente angolare dell’altra. 2. Il teorema precedente vale per le rette non parallele all’asse y. Se una retta è parallela all’asse y l’altra è perpendicolare solo se è parallela all’asse x. 3.7.1 Retta passante per un punto perpendicolare a una retta data Per determinare la retta passante per P0 (x0 , y0 ) perpendicolare a una retta s, nel caso in cui s non sia parallela agli assi: 1. si determina il coefficiente angolare m di s 2. si utilizza la formula y − y0 = − 3.7.2 1 (x − x0 ) m Asse di un segmento Per determinare l’equazione dell’asse del segmento AB: 1. si determina il punto medio M del segmento AB 2. si determina l’equazione della retta passante per M perpendicolare ad AB L’equazione dell’asse di un segmento si può anche ricavare utilizzando il seguente teorema Teorema 3.7.2 (Asse di un segmento). L’asse di un segmento è il luogo dei punti equidistanti dagli estremi del segmento Esempio 3.7.1. Determinare l’equazione dell’asse del segmento di estremi A(2, 6), B(−2, 4). Preso P (x, y) imponiamo che AP = BP » (x − 2)2 + (y − 6)2 = » (x + 2)2 + (y − 4)2 2x + y − 5 = 0 165 CAPITOLO 3. RETTA 3.8 Intersezione tra due rette Per determinare l’intersezione tra due rette è sufficiente risolvere il sistema formato dalle equazioni delle due rette. Si possono verificare tre casi: 1. il sistema è determinato: le rette sono incidenti e si intersecano nel punto le cui coordinate sono la soluzione del sistema 2. il sistema è impossibile: le rette sono parallele e distinte 3. il sistema è indeterminato: le rette sono coincidenti 3.9 Distanza di un punto da una retta Teorema 3.9.1 (Distanza di un punto da una retta). Dati il punto P0 (x0 , y0 ) e la retta r : ax + by + c = 0 d(P0 , r) = |ax0 + by0 + c| √ a2 + b 2 Osservazione Per applicare la formula, l’equazione della retta deve essere in forma implicita 3.10 Distanza tra due rette parallele Definizione 3.10.1 (Distanza tra due rette parallele). Si dice distanza tra due rette parallele, la distanza di un punto di una retta dall’altra. Per determinare la distanza tra due rette parallele: 1. si sceglie un punto di una retta 2. si calcola la distanza di quel punto dall’altra retta 3.11 Bisettrice di un angolo Teorema 3.11.1 (Bisettrice di un angolo). La bisettrice di un angolo è il luogo dei punti equidistanti dai lati dell’angolo Osservazione Due rette non parallele individuano quattro angoli, a due a due opposti al vertice. Quindi, applicando il teorema precedente si trovano due bisettrici tra loro perpendicolari. Esempio 3.11.1. Determinare le equazioni delle bisettrici degli angoli formati dalle rette r : 2x + y + 1 = 0 e s : 3x − 2y + 5 = 0. Preso P (x, y) imponiamo che d(P, r) = d(P, s) 166 3.12. FASCI DI RETTE |2x + y + 1| |3x − 2y + 5| √ √ = 5 13 Le equazioni delle due bisettrici sono √ √ √ √ √ √ t : (2 13 − 3 5)x + ( 13 + 2 5)y + 13 − 5 5 = 0 √ √ √ √ √ √ t0 : (2 13 + 3 5)x + ( 13 − 2 5)y + 13 + 5 5 = 0 3.12 3.12.1 Fasci di rette Fascio improprio di rette Definizione 3.12.1 (Fascio improprio di rette). Si dice fascio impropio di rette l’insieme di tutte le rette parallele a una retta data, detta base del fascio. Teorema 3.12.1 (Fascio improprio di rette). Data la retta r : ax + by + c = 0, l’equazione del fascio improprio di base r è ax + by + k = 0 con k ∈ R. 3.12.2 Fascio proprio di rette Definizione 3.12.2 (Fascio proprio di rette). Si dice fascio proprio di rette di centro C l’insieme di tutte le rette passanti per C. Teorema 3.12.2 (Fascio proprio di rette). Date le rette r : ax+by+c = 0, s : a0 x+b0 y+c0 = 0 incidenti nel punto C(x0 , y0 ), l’equazione λ(ax + by + c) + µ(a0 x + b0 y + c0 ) = 0 con λ, µ ∈ R non entrambi nulli è l’equazione del fascio proprio di rette di centro C. Osservazioni 1. Se nell’equazione del fascio di rette λ(ax + by + c) + µ(a0 x + b0 y + c0 ) = 0 si pone λ = 0 si ottiene la retta s, se si pone µ = 0 si ottiene la retta r. Spesso l’equazione del fascio proprio di rette di centro C è data con un solo parametro. Se λ 6= 0, dividendo tutti i termini per λ, si ottiene: ax + by + c + ponendo µ 0 (a x + b0 y + c0 ) = 0 λ µ = k, si ha λ ax + by + c + k(a0 x + b0 y + c0 ) = 0 In questo caso la retta s non si ottiene per alcun valore di k. Per questo motivo l’equazione del fascio è: ax + by + c + k(a0 x + b0 y + c0 ) = 0 ∨ a0 x + b0 y + c0 = 0 167 CAPITOLO 3. RETTA Se invece di due rette del fascio viene dato il centro C(x0 , y0 ), per ottenere l’equazione del fascio proprio di rette è sufficiente determinare due rette passanti per C(x0 , y0 ), per esempio quelle parallele agli assi, l’equazione del fascio è: y − y0 = m(x − x0 ) ∨ x = x0 Osservazione Per risolvere problemi nei quali si devono determinare le rette che intersecano un segmento: 1. si determinano i valori del parametro per i quali si ottengono le rette passanti per gli estremi del segmento 2. se la retta esclusa dal fascio non interseca il segmento si considerano i valori compresi, altrimenti si considerano i valori esterni 168 Capitolo 4 Parabola 4.1 Introduzione Definizione 4.1.1 (Parabola). Dati una retta r e un punto F 6∈ r, si dice parabola di fuoco F e direttrice r il luogo dei punti equidistanti da F e da r. Definizione 4.1.2 (Asse della parabola). Si dice asse della parabola la retta passante per il fuoco perpendicolare alla direttrice. Definizione 4.1.3 (Vertice della parabola). Si dice vertice della parabola il punto di intersezione tra la parabola e il suo asse. 4.2 Equazione della parabola con asse parallelo all’asse delle ordinate Dati la retta parallela all’asse x r : y = k e il punto F (p, q) non appartenente a r (q 6= k), il punto P (x, y) appartiene alla parabola di direttrice r e fuoco F se P F = d(P, r) |y − k| (x − p)2 + (y − q)2 = √ 12 effettuando i calcoli si ottiene » y = ax2 + bx + c con a 6= 0 Data l’equazione della parabola y = ax2 + bx + c, si ha: b 1−∆ • fuoco: F − , 2a 4a Ç • direttrice: r : y = − å 1+∆ 4a 169 CAPITOLO 4. PARABOLA • asse: s : x = − b 2a Ç ∆ b − ,− 2a 4a • vertice: V å • se a > 0 la parabola rivolge la concavità verso l’alto, se a < 0 la parabola rivolge la concavità verso il basso. 4.2.1 Equazione della parabola con vertice nell’origine y = ax2 4.2.2 Equazione della parabola passante per l’origine y = ax2 + bx 4.2.3 Equazione della parabola avente come asse l’asse y y = ax2 + c 4.3 Equazione della parabola con asse parallelo all’asse delle ascisse Dati la retta parallela all’asse y r : x = h e il punto F (p, q) non appartenente a r (p 6= h), il punto P (x, y) appartiene alla parabola di direttrice r e fuoco F se P F = d(P, r) effettuando i calcoli si ottiene x = ay 2 + by + c con a 6= 0 Data l’equazione della parabola x = ay 2 + by + c, si ha: Ç • fuoco: F 1−∆ b ,− , 4a 2a • direttrice: r : x = − • asse: s : y = − Ç • vertice: V å 1+∆ 4a b 2a ∆ b − ,− 4a 2a å • concavità: se a > 0 la parabola rivolge la concavità verso destra, se a < 0 rivolge la concavità verso sinistra 170 4.4. RAPPRESENTAZIONE GRAFICA DELLA PARABOLA 4.3.1 Equazione della parabola con vertice nell’origine x = ay 2 4.3.2 Equazione della parabola passante per l’origine x = ay 2 + by 4.3.3 Equazione della parabola avente come asse l’asse x x = ay 2 + c 4.4 Rappresentazione grafica della parabola Per rappresentare graficamente una parabola si può procedere nel seguente modo 1. si determina la concavità 2. si determina il vertice 3. si determinano le intersezioni con gli assi cartesiani 4. si rappresentano graficamente i punti trovati e si disegna la parabola passante per essi 4.5 Intersezione retta parabola Si possono verificare 4 casi: 1. il sistema ammette due soluzioni reali distinte: la retta è secante la parabola 2. il sistema ammette due soluzioni reali coincidenti: la retta è tangente alla parabola 3. il sistema non ammette soluzioni reali: la retta è esterna alla parabola 4. il sistema ammette una soluzione reale: la retta è secante la parabola ed è parallela all’asse della parabola 4.6 4.6.1 Tangenti a una parabola Polare Definizione 4.6.1 (Polare). Dati la parabola γ : y = ax2 + bx + c e un punto P0 (x0 , y0 ) si dice polare di P0 rispetto a γ la retta r di equazione y + y0 x + x0 = axx0 + b +c 2 2 171 CAPITOLO 4. PARABOLA Dati la parabola γ : x = ay 2 + by + c e un punto P0 (x0 , y0 ) si dice polare di P0 rispetto a γ la retta r di equazione x + x0 y + y0 = ayy0 + b +c 2 2 4.6.2 Tangente alla parabola in un punto appartenente alla parabola Dati la parabola γ e il punto P0 appartenente alla parabola, la polare di P0 rispetto a γ è la tangente alla parabola in P0 4.6.3 Tangenti alla parabola da un punto esterno alla parabola Per trovare le tangenti alla parabola passanti per un punto P0 : 1. si scrive l’equazione del fascio proprio di rette di centro P0 con parametro m 2. si scrive il sistema formato dalle equazioni del fascio e della parabola 3. si determina l’equazione risolvente e si calcola il discriminante 4. si pone il discriminante uguale a 0 e si risolve l’equazione ottenuta nell’incognita m 5. si sostituiscono i valori di m trovati nell’equazione del fascio 4.6.4 Tangente alla parabola parallela a una retta Per trovare la tangente alla parabola parallela alla retta r (non parallela all’asse della parabola): 1. si scrive l’equazione del fascio improprio di rette di base r con parametro k 2. si scrive il sistema formato dalle equazioni del fascio e della parabola 3. si determina l’equazione risolvente e si calcola il discriminante 4. si pone il discriminante uguale a 0 e si risolve l’equazione ottenuta nell’incognita k 5. si sostituisce il valore di k trovato nell’equazione del fascio 4.7 Problemi sulla parabola Per determinare l’equazione di una parabola si può utilizzare la definizione di parabola oppure determinare i valori di a, b, c nell’equazione y = ax2 + bx + c o x = ay 2 + by + c. Nel secondo caso è necessario risolvere un sistema formato da tre equazioni in tre incognite. Per scrivere le equazioni: 172 4.7. PROBLEMI SULLA PARABOLA • si possono utilizzare le formule delle coordinate del fuoco xF = − b 1−∆ 1−∆ b , yF = oppure xF = , yF = − , 2a 4a 4a 2a • si possono utilizzare le formule delle coordinate del vertice xV = − b ∆ ∆ b , yV = − oppure xV = − , yV = − , 2a 4a 4a 2a • si può utilizzare l’equazione dell’asse x=− b b oppure y = − 2a 2a • si può utilizzare l’equazione della direttrice y=− 1+∆ 1+∆ oppure x = − 4a 4a • si possono sostituire le coordinate di un punto nell’equazione della parabola affinché essa passi per quel punto. • si può imporre che il discriminante dell’equazione risolvente il sistema di intersezione tra la tangente e la parabola sia nullo. 173 Capitolo 5 Circonferenza 5.1 Introduzione Definizione 5.1.1 (Circonferenza). Dati il numero reale non negativo r e il punto C, si dice circonferenza di centro C e raggio r il luogo dei punti aventi distanza r da C. 5.2 Equazione della circonferenza Dati il numero reale non negativo r e il punto C(α, β), il punto P (x, y) appartiene alla circonferenza di centro C e raggio r se PC = r » (x − α)2 + (y − β)2 = r effettuando i calcoli si ottiene x2 + y 2 + ax + by + c = 0 Data l’equazione x2 + y 2 + ax + by + c = 0, si ricavano α, β, r: a 2 b β=− 2 2 a b2 r2 = + −c 4 4 α =− Si possono verificare tre casi: • se a2 b 2 + − c < 0 l’equazione non rappresenta una circonferenza reale 4 4 a2 b 2 a b • se + −c = 0 l’equazione rappresenta la circonferenza ridotta al punto C − , − 4 4 2 2 Ç 174 å 5.3. RAPPRESENTAZIONE GRAFICA DELLA CIRCONFERENZA a b a2 b 2 + − c > 0 l’equazione rappresenta la circonferenza di centro C − , − • se 4 4 2 2 2 2 a b raggio r = + −c 4 4 Ç å e Osservazione Nell’equazione di una circonferenza nei termini al quadrato possono avere uno stesso coefficiente diverso da 0. In questo caso per determinare il centro e il raggio è necessario dividere tutti i termini per tale coefficiente. 5.2.1 Equazione della circonferenza con centro nell’origine x2 + y 2 = r 2 5.2.2 Equazione della circonferenza passante per l’origine x2 + y 2 + ax + by = 0 5.3 Rappresentazione grafica della circonferenza 1. si determina il centro 2. si determina il raggio 3. si rappresentano graficamente il centro e si disegna la circonferenza con quel centro e quel raggio 5.4 Intersezione retta circonferenza Si possono verificare 3 casi: 1. il sistema ammette due soluzioni reali distinte: la retta è secante la circonferenza 2. il sistema ammette due soluzioni reali coincidenti: la retta è tangente alla circonferenza 3. il sistema non ammette soluzioni reali: la retta è esterna alla circonferenza 5.5 5.5.1 Tangenti a una circonferenza Polare Definizione 5.5.1 (Polare). Dati la circonferenza γ : x2 + y 2 + ax + by + c = 0 e un punto P0 (x0 , y0 ) distinto dal centro della circonferenza, si dice polare di P0 rispetto a γ la retta r di equazione xx0 + yy0 + a x + x0 y + y0 +b +c=0 2 2 175 CAPITOLO 5. CIRCONFERENZA 5.5.2 Tangente alla circonferenza in un punto appartenente alla circonferenza Dati la circonferenza γ e il punto P0 appartenente alla circonferenza, la polare di P0 rispetto a γ è la tangente alla circonferenza in P0 5.5.3 Tangenti alla circonferenza da un punto esterno alla circonferenza Metodo del discriminante Per trovare le tangenti alla circonferenza passanti per un punto P0 : 1. si scrive l’equazione del fascio proprio di rette di centro P0 con parametro m 2. si scrive il sistema formato dalle equazioni del fascio e della circonferenza 3. si determina l’equazione risolvente e si calcola il discriminante 4. si pone il discriminante uguale a 0 e si risolve l’equazione ottenuta nell’incognita m 5. si sostituiscono i valori di m trovati nell’equazione del fascio Metodo della distanza Per trovare le tangenti alla circonferenza passanti per un punto P0 : 1. si determinano il centro e il raggio della circonferenza 2. si scrive l’equazione del fascio proprio di rette di centro P0 con parametro m 3. si impone che la distanza del centro della circonferenza dalla generica retta del fascio sia uguale al raggio 4. si risolve l’equazione ottenuta nell’incognita m 5. si sostituiscono i valori di m trovati nell’equazione del fascio 5.5.4 Tangenti alla circonferenza parallele a una retta 1. si scrive l’equazione del fascio improprio di rette di base s con parametro k 2. si scrive il sistema formato dalle equazioni del fascio e della circonferenza 3. si determina l’equazione risolvente 4. si calcola il discriminante 5. si pone il discriminante uguale a 0 e si risolve l’equazione ottenuta nell’incognita k 6. si sostituiscono i valori di k trovati nell’equazione del fascio 176 5.6. INTERSEZIONE TRA DUE CIRCONFERENZE Metodo alternativo Per trovare le tangenti alla circonferenza parallele alla retta s si può anche procedere nel seguente modo: 1. si determinano il centro e il raggio della circonferenza 2. si scrive l’equazione del fascio improprio di rette di base s con parametro k 3. si impone che la distanza del centro della circonferenza dalla generica retta del fascio sia uguale al raggio 4. si risolve l’equazione ottenuta nell’incognita k 5. si sostituiscono i valori di k trovati nell’equazione del fascio 5.6 Intersezione tra due circonferenze Si possono verificare 3 casi: 1. il sistema ammette due soluzioni reali distinte: le circonferenze sono secanti in due punti, la distanza tra i centri è minore della somma dei raggi 2. il sistema ammette due soluzioni reali coincidenti: le circonferenze sono tangenti; in particolare: (a) se la distanza tra i centri è uguale alla somma dei raggi, le circonferenze sono tangenti esternamente (b) se la distanza tra i centri è uguale al valore assoluto della differenza dei raggi, le circonferenze sono tangenti internamente 3. il sistema non ammette soluzioni reali: le circonferenze non si intersecano; in particolare: (a) se la distanza tra i centri è maggiore della somma dei raggi, ciascuna circonferenza è esterna all’altra (b) se la distanza tra i centri è minore del valore assoluto della differenza dei raggi, una delle due circonferenze è interna all’altra; se i centri coincidono, le circonferenze sono concentriche 5.7 Problemi sulla circonferenza Per determinare l’equazione di una circonferenza si può utilizzare la definizione di circonferenza oppure determinare i valori di a, b, c nell’equazione x2 + y 2 + ax + by + c = 0. Per scrivere le equazioni: 177 CAPITOLO 5. CIRCONFERENZA • si possono utilizzare le formule delle coordinate del centro a b xC = − , yC = − 2 2 • si può utilizzare la formula del raggio s r= a2 b 2 + −c 4 4 • si possono sostituire le coordinate di un punto nell’equazione della circonferenza affinché essa passi per quel punto. • si può imporre che il discriminante dell’equazione risolvente il sistema di intersezione tra la tangente e la circonferenza sia nullo. 5.8 Fascio di circonferenze Definizione 5.8.1 (Fascio di circonferenze). Date le circonferenze distinte γ1 : x2 + y 2 + a1 x + b1 y + c1 = 0, γ2 : x2 + y 2 + a2 x + b2 y + c2 = 0 si dice fascio di circonferenze generato da γ1 e γ2 l’insieme delle circonferenze rappresentate dall’equazione λ(x2 + y 2 + a1 x + b1 y + c1 ) + µ(x2 + y 2 + a2 x + b2 y + c2 ) = 0 con λ, µ ∈ R,λ 6= −µ Se nell’equazione del fascio di circonferenze λ(x2 + y 2 + a1 x + b1 y + c1 ) + µ(x2 + y 2 + a2 x + b2 y + c2 ) = 0 si pone λ = 0 si ottiene la circonferenza γ2 , se si pone µ = 0 si ottiene la circonferenza γ1 . Se λ 6= 0, dividendo tutti i termini per λ, si ottiene: x 2 + y 2 + a1 x + b 1 y + c 1 + Ponendo µ 2 (x + y 2 + a2 x + b2 y + c2 ) = 0 λ µ = k, si ha λ x2 + y 2 + a1 x + b1 y + c1 + k(x2 + y 2 + a2 x + b2 y + c2 ) = 0 In questo caso la circonferenza γ2 non si ottiene per alcun valore di k. Per questo motivo l’equazione del fascio è: x2 + y 2 + a1 x + b1 y + c1 + k(x2 + y 2 + a2 x + b2 y + c2 ) = 0 ∨ x2 + y 2 + a2 x + b2 y + c2 = 0 con k 6= −1 Osservazione Nell’equazione del fascio di circonferenze abbiamo posto λ 6= −µ: se λ = −µ cioè k = −1, sostituendo nell’equazione del fascio si ottiene l’equazione di una retta: (a1 − a2 )x + (b1 − b2 )y + c1 − c2 = 0 178 5.8. FASCIO DI CIRCONFERENZE Tale retta si dice asse radicale ed è perpendicolare alla retta passante per i centri delle due circonferenze. Il fascio di circonferenze può anche essere generato da una circonferenza x2 + y 2 + ax + by + c + k(a1 x + b1 y + c1 ) = 0 5.8.1 Circonferenze secanti Date le circonferenze distinte γ1 e γ2 secanti nei punti A e B il fascio di circonferenze generato da γ1 e γ2 è formato da tutte le circonferenze passanti per A e B. L’asse radicale è la retta passante per A e B. A e B si dicono punti base del fascio. 5.8.2 Circonferenze tangenti Date le circonferenze distinte γ1 e γ2 tangenti in A il fascio di circonferenze generato da γ1 e γ2 è formato da tutte le circonferenze tangenti a γ1 e γ2 in A. L’asse radicale è la retta tangente in A alle circonferenze del fascio. A si dice punto base del fascio. 5.8.3 Circonferenze concentriche Date le circonferenze distinte γ1 e γ2 0 concentriche, il fascio di circonferenze generato da γ1 e γ2 è formato da tutte le circonferenze concentriche alle circonferenze date. 5.8.4 Circonferenze senza punti in comune e non concentriche Date le circonferenze distinte γ1 e γ2 0 senza punti in comune e non concentriche il fascio di circonferenze generato da γ1 e γ2 è formato da circonferenze senza punti in comune e non concentriche. 179 Capitolo 6 Ellisse 6.1 Introduzione Definizione 6.1.1 (Ellisse). Dati due punti F1 e F2 , si dice ellisse di fuochi F1 e F2 il luogo dei punti per cui è costante la somma delle distanze da F1 e F2 . 6.2 Equazione dell’ellisse con i fuochi sull’asse delle ascisse, simmetrici rispetti all’origine Dati il numero reale positivo a, il numero reale non negativo c e i punti F1 (c, 0) e F2 (−c, 0) il punto P (x, y) appartiene all’ellisse di fuochi F1 e F2 e somma costante 2a se P F1 + P F2 = 2a con 2a > 2c » (x − c)2 + y 2 + » (x + c)2 + y 2 = 2a effettuando i calcoli e ponendo a2 − c 2 = b 2 si ottiene x2 y 2 + 2 = 1 con a > b a2 b 6.3 Equazione dell’ellisse con i fuochi sull’asse delle ordinate, simmetrici rispetti all’origine Dati il numero reale positivo b, il numero reale non negativo c e i punti F1 (0, c) e F2 (0, −c) il punto P (x, y) appartiene all’ellisse di fuochi F1 e F2 e somma costante 2b se P F1 + P F2 = 2b con 2b > 2c » x2 + (y − c)2 + » x2 + (y + c)2 = 2b 180 6.4. PROPRIETÀ DELL’ELLISSE effettuando i calcoli e ponendo b 2 − c 2 = a2 si ottiene x2 y 2 + 2 = 1 con a 6 b a2 b 6.4 Proprietà dell’ellisse 6.4.1 Intersezione con gli assi cartesiani L’ellisse incontra gli assi cartesiani nei punti A1 (a, 0), A2 (−a, 0), B1 (0, b), B2 (0, −b) detti vertici dell’ellisse. Se a > b, i fuochi appartengo all’asse x, il segmento A1 A2 si dice asse maggiore o asse focale, il segmento B1 B2 si dice asse minore. Se a < b, i fuochi appartengo all’asse y, il segmento B1 B2 si dice asse maggiore o asse focale, il segmento A1 A2 si dice asse minore. 6.4.2 Limitazioni L’ellisse è contenuta nel rettangolo delimitato dalle rette x = a, x = −a, y = b, y = −b 6.4.3 Fuochi Data l’ellisse γ : x2 y 2 + 2 =1 a2 b • se a > b, i fuochi sono F1 (c, 0), F2 (−c, 0) con c 2 = a2 − b 2 • se a < b, i fuochi sono F1 (0, c), F2 (0, −c) con c 2 = b 2 − a2 181 CAPITOLO 6. ELLISSE 6.4.4 Eccentricità x2 y 2 Data l’ellisse γ : 2 + 2 = 1 a b • se a > b, si dice eccentricità il rapporto e= c a Poiché c > 0 e a > c si ha: 06e<1 • se a < b, si dice eccentricità il rapporto e= c b Poiché c > 0 e b > c si ha: 06e<1 In particolare se e = 0 si ha c = 0 e a2 = b2 quindi l’equazione dell’ellisse diventa: x2 y 2 + =1 a2 a2 x 2 + y 2 = a2 che è l’equazione della circonferenza di centro O e raggio a. All’aumentare dell’eccentricità l’ellisse è sempre più “schiacciata”. 6.4.5 Area L’area della regione delimitata dall’ellisse γ : 6.5 x2 y 2 + 2 = 1 è πab a2 b Rappresentazione grafica dell’ellisse 1. si determinano i 4 vertici 2. si rappresentano graficamente i 4 vertici e si disegna l’ellisse passante per i vertici 6.6 Intersezione retta ellisse Si possono verificare 3 casi: 1. il sistema ammette due soluzioni reali distinte: la retta è secante l’ellisse 2. il sistema ammette due soluzioni reali coincidenti: la retta è tangente all’ellisse 3. il sistema non ammette soluzioni reali: la retta è esterna all’ellisse 182 6.7. TANGENTI A UN’ELLISSE 6.7 6.7.1 Tangenti a un’ellisse Polare Definizione 6.7.1 (Polare). x2 y 2 Dati l’ellisse γ : 2 + 2 = 1 e un punto P0 (x0 , y0 ) diverso dall’origine, si dice polare di P0 a b rispetto a γ la retta r di equazione xx0 yy0 + 2 =1 a2 b 6.7.2 Tangente all’ellisse in un punto appartenente all’ellisse Dati l’ellisse γ e il punto P0 appartenente all’ellisse, la polare di P0 rispetto a γ è la tangente all’ellisse in P0 6.7.3 Tangenti all’ellisse da un punto esterno all’ellisse Per trovare le tangenti all’ellisse passanti per un punto P0 : 1. si scrive l’equazione del fascio proprio di rette di centro P0 con parametro m 2. si scrive il sistema formato dalle equazioni del fascio e dell’ellisse 3. si determina l’equazione risolvente 4. si calcola il discriminante 5. si pone il discriminante uguale a 0 e si risolve l’equazione ottenuta nell’incognita m 6. si sostituiscono i valori di m trovati nell’equazione del fascio 6.7.4 Tangenti all’ellisse parallele a una retta Per trovare le tangenti all’ellisse parallele alla retta s: 1. si scrive l’equazione del fascio improprio di rette di base s con parametro k 2. si scrive il sistema formato dalle equazioni del fascio e dell’ellisse 3. si determina l’equazione risolvente 4. si calcola il discriminante 5. si pone il discriminante uguale a 0 e si risolve l’equazione ottenuta nell’incognita k 6. si sostituiscono i valori di k trovati nell’equazione del fascio 183 CAPITOLO 6. ELLISSE 6.8 Problemi sull’ellisse Per determinare l’equazione di un’ellisse è necessario determinare i valori di a, b nell’equax2 y 2 zione 2 + 2 = 1. a b È quindi necessario risolvere un sistema formato da due equazioni in due incognite. Per scrivere le equazioni: • si possono utilizzare le formule riguardanti il fuoco c 2 = a2 − b 2 oppure c 2 = b 2 − a2 • si possono utilizzare le formule dell’eccentricità e= c a oppure e= c b • si possono sostituire le coordinate di un punto nell’equazione dell’ellisse affinché essa passi per quel punto. • si può imporre che il discriminante dell’equazione risolvente del sistema di intersezione tra la tangente e l’ellisse sia nullo. 184 Capitolo 7 Iperbole 7.1 Introduzione Definizione 7.1.1 (Iperbole). Dati due punti F1 e F2 , si dice iperbole di fuochi F1 e F2 il luogo dei punti per cui è costante il valore assoluto della differenza delle distanze da F1 e F2 . 7.2 Equazione dell’iperbole con i fuochi sull’asse delle ascisse, simmetrici rispetti all’origine Dati i numeri reali positivi a, c e i punti F1 (c, 0) e F2 (−c, 0) il punto P (x, y) appartiene all’iperbole di fuochi F1 e F2 e differenza costante 2a se P F1 − P F2 = 2a con 2a < 2c » (x − c)2 + y 2 − » (x + c)2 + y 2 = 2a effettuando i calcoli e ponendo c 2 − a2 = b 2 si ottiene x2 y 2 − 2 =1 a2 b 7.3 Equazione dell’iperbole con i fuochi sull’asse delle ordinate, simmetrici rispetti all’origine Dati i numeri reali positivi b, c e i punti F1 (0, c) e F2 (0, −c) il punto P (x, y) appartiene all’iperbole di fuochi F1 e F2 e differenza costante 2b se P F1 − P F2 = 2b con 2b < 2c 185 CAPITOLO 7. IPERBOLE effettuando i calcoli e ponendo c 2 − b 2 = a2 si ottiene x2 y 2 − 2 = −1 a2 b 7.4 7.4.1 Proprietà dell’iperbole Intersezione con gli assi cartesiani L’iperbole γ : x2 y 2 − 2 = 1 non interseca l’asse y e incontra l’asse x nei punti a2 b A1 (a, 0), A2 (−a, 0) detti vertici dell’iperbole. L’asse x si chiama asse traverso, l’asse y si chiama asse non traverso. x2 y 2 L’iperbole γ : 2 − 2 = −1 non interseca l’asse x e incontra l’asse y nei punti a b B1 (0, b), B2 (0, −b) detti vertici dell’iperbole. L’asse y si chiama asse traverso, l’asse x si chiama asse non traverso. 7.4.2 Fuochi Data l’iperbole γ : x2 y 2 − 2 = 1, i fuochi sono a2 b F1 (c, 0), F2 (−c, 0) con c2 = a2 + b2 Data l’iperbole γ : x2 y 2 − 2 = −1, i fuochi sono a2 b F1 (0, c), F2 (0, −c) con c2 = a2 + b2 7.4.3 Eccentricità x2 y 2 Data l’iperbole γ : 2 − 2 = 1, si dice eccentricità il rapporto a b c e= a Poiché 0 < a < c si ha: e>1 186 7.5. IPERBOLE EQUILATERA Data l’iperbole γ : e= x2 y 2 − 2 = −1, si dice eccentricità il rapporto a2 b c b Poiché 0 < b < c si ha: e>1 7.4.4 Asintoti Le equazioni degli asintoti dell’iperbole γ : x2 y 2 − 2 = 1 sono a2 b b b y =− x∨y = x a a x2 y 2 Le equazioni degli asintoti dell’iperbole γ : 2 − 2 = −1 sono a b b b y =− x∨y = x a a 7.5 Iperbole equilatera Data l’iperbole x2 y 2 − 2 = 1, se b = a si ottiene a2 b γ : x 2 − y 2 = a2 γ si dice iperbole equilatera. x2 y 2 Data l’iperbole 2 − 2 = −1, se b = a si ottiene a b γ1 : x2 − y 2 = −a2 γ1 si dice iperbole equilatera. 7.6 7.6.1 Proprietà dell’iperbole equilatera Intersezione con gli assi cartesiani L’iperbole equilatera γ : x2 − y 2 = a2 , non interseca l’asse y e incontra l’asse x nei vertici A1 (a, 0), A2 (−a, 0) L’iperbole equilatera γ1 : x2 − y 2 = −a2 , non interseca l’asse x e incontra l’asse y nei vertici B1 (0, a), B2 (0, −a) 187 CAPITOLO 7. IPERBOLE 7.6.2 Fuochi Data l’iperbole γ : x2 − y 2 = a2 , i fuochi sono F1 (c, 0), F2 (−c, 0) con c= √ 2a Data l’iperbole γ : x2 − y 2 = −a2 , i fuochi sono F1 (0, c), F2 (0, −c) con c= √ 2a 7.6.3 Eccentricità Data l’iperbole γ : x2 − y 2 = a2 , l’eccentricità è c √ e= = 2 a Data l’iperbole γ : x2 − y 2 = −a2 , l’eccentricità è c √ e= = 2 a 7.6.4 Asintoti Data l’iperbole γ : x2 − y 2 = a2 , le equazioni degli asintoti sono y = −x ∨ y = x Data l’iperbole γ : x2 − y 2 = −a2 , le equazioni degli asintoti sono y = −x ∨ y = x 7.7 Iperbole equilatera riferita agli asintoti Dato il sistema di riferimento Oxy e l’iperbole equilatera di equazione x2 − y 2 = −a2 oppure x2 − y 2 = a2 , consideriamo il sistema di riferimento OXY avente come assi cartesiani gli asintoti (gli asintoti dell’iperbole equilatera sono perpendicolari). Si può dimostrare che, a2 2 2 2 e rispetto al nuovo sistema di riferimento, l’equazione x − y = a diventa XY = − 2 2 a l’equazione x2 − y 2 = −a2 diventa XY = . 2 Quindi un’iperbole equilatera riferita agli asintoti ha equazione xy = k con k 6= 0. Se k > 0, il grafico è nel primo e terzo quadrante; se k < 0, il grafico è nel secondo e quarto quadrante. 188 7.8. RAPPRESENTAZIONE GRAFICA DELL’IPERBOLE 7.7.1 Vertici Data l’iperbole γ : xy = k con k > 0, I vertici sono √ √ √ √ V1 ( k, k), V2 (− k, − k) Data l’iperbole γ : xy = k con k < 0 i vertici sono √ √ √ √ V1 ( −k, − −k), V2 (− −k, −k) 7.7.2 Fuochi Nell’iperbole di equazione xy = k con k > 0, i fuochi sono √ √ √ √ F1 ( 2k, 2k), F2 (− 2k, − 2k) Nell’iperbole di equazione xy = k con k < 0, i fuochi sono √ √ √ √ F1 ( −2k, − −2k), F2 (− −2k, −2k) 7.8 Rappresentazione grafica dell’iperbole 1. si determinano i 2 vertici 2. si determinano i 2 asintoti 3. si rappresentano graficamente i 2 vertici e i 2 asintoti e si disegna l’iperbole passante per i vertici e avente gli asintoti trovati 7.9 Intersezione retta iperbole Si possono verificare 5 casi: 1. il sistema ammette due soluzioni reali distinte: la retta è secante l’iperbole 2. il sistema ammette due soluzioni reali coincidenti: la retta è tangente all’iperbole 3. il sistema non ammette soluzioni reali: la retta è esterna all’iperbole 4. il sistema ammette una soluzione reale: la retta è secante l’iperbole ed è parallela a un asintoto 5. il sistema è impossibile: la retta è un asintoto 189 CAPITOLO 7. IPERBOLE 7.10 7.10.1 Tangenti a un’iperbole Polare Definizione 7.10.1 (Polare). x2 y 2 Dati l’iperbole γ : 2 − 2 = 1 e un punto P0 (x0 , y0 ) diverso dall’origine, si dice polare di a b P0 rispetto a γ la retta r di equazione xx0 yy0 − 2 =1 a2 b x2 y 2 Dati l’iperbole γ : 2 − 2 = −1 e un punto P0 (x0 , y0 ) diverso dall’origine, si dice polare di a b P0 rispetto a γ la retta r di equazione xx0 yy0 − 2 = −1 a2 b Dati l’iperbole equilatera riferita agli asintoti γ : xy = k e un punto P0 (x0 , y0 ) diverso dall’origine, la polare di P0 rispetto a γ è la retta r di equazione: xy0 + x0 y =k 2 7.10.2 Tangente all’iperbole in un punto appartenente all’iperbole Dati l’iperbole γ e il punto P0 appartenente all’iperbole, la polare di P0 rispetto a γ è la tangente all’iperbole in P0 7.10.3 Tangenti all’iperbole da un punto esterno all’iperbole Per trovare le tangenti all’iperbole passanti per un punto P0 : 1. si scrive l’equazione del fascio proprio di rette di centro P0 con parametro m 2. si scrive il sistema formato dalle equazioni del fascio e dell’iperbole 3. si determina l’equazione risolvente 4. si calcola il discriminante 5. si pone il discriminante uguale a 0 e si risolve l’equazione ottenuta nell’incognita m 6. si sostituiscono i valori di m trovati nell’equazione del fascio 7.10.4 Tangenti all’iperbole parallele a una retta Per trovare le tangenti all’iperbole parallele alla retta s: 1. si scrive l’equazione del fascio improprio di rette di base s con parametro k 190 7.11. PROBLEMI SULL’IPERBOLE 2. si scrive il sistema formato dalle equazioni del fascio e dell’iperbole 3. si determina l’equazione risolvente 4. si calcola il discriminante 5. si pone il discriminante uguale a 0 e si risolve l’equazione ottenuta nell’incognita k 6. si sostituiscono i valori di k trovati nell’equazione del fascio 7.11 Problemi sull’iperbole Per determinare l’equazione di un’iperbole è necessario determinare i valori di a, b nell’equax2 y 2 x2 y 2 zione 2 − 2 = 1 o nell’equazione 2 − 2 = −1. È quindi necessario risolvere un sistema a b a b formato da due equazioni in due incognite. Per scrivere le equazioni: • si può utilizzare la formula riguardante il fuoco c 2 = a2 + b 2 • si possono utilizzare le formule dell’eccentricità c e= a oppure c e= b • si possono utilizzare le equazioni degli asintoti b b y = − x, y = x a a • si possono sostituire le coordinate di un punto nell’equazione dell’iperbole affinché essa passi per quel punto. • si può imporre che il discriminante dell’equazione risolvente del sistema di intersezione tra la tangente e l’iperbole sia nullo. 7.12 Funzione omografica Si dice funzione omografica la curva di equazione: y= ax + b cx + d con c 6= 0 e ad − bc 6= 0. Si può dimostrare che la funzione omografica rappresenta un’iperbole equilatera con asintoti d a x=− ey= . c c 191 CAPITOLO 7. IPERBOLE 7.13 Problemi sulla funzione omografica Per determinare l’equazione di una funzione omografica è necessario determinare i valori di ax + b a, b, c, d nell’equazione y = . cx + d Poiché c 6= 0 si possono dividere numeratore e denominatore per c ottenendo b a x+ c y= c d x+ c y= hx + k x+l È quindi necessario risolvere un sistema formato da tre equazioni in tre incognite. Per scrivere le equazioni si possono utilizzare le equazioni degli asintoti. Si possono sostituire le coordinate di un punto nell’equazione della funzione omografica affinché essa passi per quel punto. Si può imporre che il discriminante dell’equazione risolvente del sistema di intersezione tra la tangente e la funzione omografica sia nullo. 192 Capitolo 8 Coniche 8.1 Introduzione La parabola, la circonferenza, l’ellisse e l’iperbole si chiamano coniche: esse si possono ottenere come intersezione tra un cono di rotazione e un piano non passante per il vertice del cono. Un cono di rotazione è una superficie generata da una retta, detta generatrice, che ruota intorno ad un asse formando un angolo costante α. Se indichiamo con β l’angolo formato dalla perpendicolare al piano con l’asse del cono, si possono verificare i seguenti casi: 1. se β = 0, cioè il piano è perpendicolare all’asse, si ha una circonferenza 2. se 0 6 β < π − α, si ha un’ellisse 2 π − α, si ha una parabola 2 π 4. se β > − α, si ha un’iperbole 2 3. se β = Figura 8.1: coniche 193 CAPITOLO 8. CONICHE 8.2 Equazione generale di una conica L’equazione di una conica è un’equazione di secondo grado in due incognite: ax2 + bxy + cy 2 + dx + ey + f = 0 con a, b, c non contemporaneamente nulli. Osservazione L’equazione precedente non sempre rappresenta una conica a punti reali. Per esempio x2 + y 2 + 1 = 0 è l’equazione di una circonferenza a punti non reali. Iniziamo a considerare le equazioni in cui manca il termine xy: ax2 + by 2 + cx + dy + e = 0 Da questa equazione come casi particolari si ottengono le curve già analizzate: 1. se a = b 6= 0 si ha una circonferenza 2. se a = 0 ∧ b 6= 0 ∧ c 6= 0 si può ricavare la x e ottenere la parabola con asse orrizontale 3. se b = 0 ∧ a 6= 0 ∧ d 6= 0 si può ricavare la y e ottenere la parabola con asse verticale 4. a 6= 0 ∧ b 6= 0, si ottengono ellissi o iperboli con assi di simmetria paralleli agli assi cartesiani. In questi casi si utilizza il metodo del complemento del quadrato. 5. se il primo membro si può scomporre si hanno delle coniche degeneri che sono unioni di rette. 8.3 Metodo alternativo per classificare le coniche Per classificare una conica, oltre al metodo precedente si possono utilizzare i determinanti. Data la conica di equazione ax2 + bxy + cy 2 + dx + ey + f = 0 ad essa si possono associare due matrici: B= a b 2 d b 2 c d 2 e 2 e f 2 2 á ë b a 2 A= b c 2 Se det(B) 6= 0, la conica non è degenere. Se det(B) = 0 la conica è degenere. Inoltre: 194 8.3. METODO ALTERNATIVO PER CLASSIFICARE LE CONICHE • se det(A) > 0, la conica è un’ellisse • se det(A) = 0, la conica è una parabola • se det(A) < 0, la conica è un’iperbole 195 Capitolo 9 Disequazioni in due variabili 9.1 Soluzioni di una disequazione in due variabili L’insieme delle soluzioni di una disequazioni in due variabili si può rappresentare graficamente con un sottoinsieme del piano cartesiano. 9.2 Disequazioni di primo grado La forma normale di una disequazione di primo grado nelle incognite x, y ha una delle seguenti forme ax + by + c > 0 ax + by + c > 0 ax + by + c < 0 ax + by + c 6 0 dove a, b, c sono numeri reali con (a, b) 6= (0, 0); il dominio di tali disequazioni è R × R. L’insieme delle soluzioni della disequazione si rappresenta graficamente con un semipiano con o senza la frontiera. Per risolvere queste disequazioni: 1. si trasforma la disequazione nella forma normale 2. si rappresenta graficamente la retta r di equazione ax + bx + c = 0 che è la frontiera del semipiano 3. per determinare quale dei due semipiani di frontiera r rappresenta la soluzione della disequazione, si sostituiscono le coordinate di un punto non appartenente a r nella disequazione: se la disequazione è soddisfatta si considera il semipiano a cui appartiene il punto, in caso contrario l’altro semipiano. 196 9.3. DISEQUAZIONI DI SECONDO GRADO 9.3 Disequazioni di secondo grado La forma normale di una disequazione di secondo grado nelle incognite x, y ha una delle seguenti forme ax2 + bxy + cy 2 + dx + ey + f > 0 ax2 + bxy + cy 2 + dx + ey + f > 0 ax2 + bxy + cy 2 + dx + ey + f < 0 ax2 + bxy + cy 2 + dx + ey + f 6 0 dove a, b, c, d, e, f sono numeri reali con (a, b, c) 6= (0, 0, 0); il dominio di tali disequazioni è R × R. L’insieme delle soluzioni della disequazione si rappresenta graficamente con una delle due regioni in cui il piano è diviso da una conica con o senza la conica. Per risolvere queste disequazioni: 1. si trasforma la disequazione nella forma normale 2. si rappresenta graficamente la conica γ di equazione ax2 + bxy + cy 2 + dx + ey + f = 0 3. per determinare quale delle due regioni rappresenta la soluzione della disequazione, si sostituiscono le coordinate di un punto non appartenente a γ nella disequazione: se la disequazione è soddisfatta si considera la regione a cui appartiene il punto, in caso contrario l’altra regione 9.4 Sistemi di disequazioni di primo grado Un sistema di disequazioni di primo grado è formato da due o più disequazioni di primo grado. L’insieme delle soluzioni del sistema è l’intersezione degli insiemi delle soluzioni delle singole disequazioni. Per risolvere il sistema: 1. si rappresentano graficamente gli insiemi delle soluzioni delle singole disequazioni 2. si determina l’intersezione tra le frontiere 3. l’insieme delle soluzioni del sistema è l’intersezione degli insiemi delle soluzioni delle singole disequazioni 9.5 Sistemi di disequazioni di grado superiore al primo Un sistema di disequazioni di grado superiore al primo è formato da due o più disequazioni di cui almeno una di grado superiore al primo. L’insieme delle soluzioni del sistema è l’intersezione degli insiemi delle soluzioni delle singole disequazioni. Per risolvere il sistema: 197 CAPITOLO 9. DISEQUAZIONI IN DUE VARIABILI 1. si rappresentano graficamente gli insiemi delle soluzioni delle singole disequazioni 2. si determina l’intersezione tra le frontiere 3. l’insieme delle soluzioni del sistema è l’intersezione degli insiemi delle soluzioni delle singole disequazioni 198 Capitolo 10 Funzioni goniometriche 10.1 Misura degli angoli Per gli angoli si utilizzano due unità di misura: il grado (sessagesimale) e il radiante. Definizione 10.1.1 (Grado). Si dice grado (sessagesimale) e si indica con giro. ◦ la trecentosesantesima parte di una angolo Quindi un angolo giro misura 360◦ , un angolo piatto misura 180◦ e un angolo retto misura 90◦ . Definizione 10.1.2 (Radiante). Data un circonferenza con centro nel vertice di un angolo, si dice radiante e si indica con rad l’angolo che stacca sulla circonferenza un arco uguale al raggio. Osservazione La definizione data è indipendente dal raggio della circonferenza. Quindi un angolo giro misura 2π rad, un angolo piatto misura π rad e un angolo retto π misura rad. 2 Osservazione Poiché la misura in radianti di un angolo è numericamente uguale alla lunghezza dell’arco individuato su una circonferenza di raggio unitario, possiamo parlare indifferentemente di angolo o di arco. In seguito, per gli angoli espressi in radianti, ometteremo rad. Per passare dalla misura in gradi a quella in radianti o viceversa si può utilizzare la seguente proporzione: misura in gradi : misura in radianti = 180◦ : π 10.2 Circonferenza goniometrica Definizione 10.2.1 (Circonferenza goniometrica). Dato un sistema di riferimento cartesiano OXY si dice circonferenza goniometrica la circonferenza con centro nell’origine e raggio 1. 199 CAPITOLO 10. FUNZIONI GONIOMETRICHE La misura di un angolo α con vertice nell’origine e un lato coincidente con il semiasse positivo delle ascisse, si considera positiva se il semiasse positivo delle ascisse si sovrappone all’altro lato mediante una rotazione antioraria, negativa se la sovvrapposizione avviene con una rotazione oraria. 10.3 Funzioni seno e coseno Definizione 10.3.1 (Seno). Dato l’angolo α con vertice nell’origine e un lato coincidente con il semiasse positivo delle ascisse, si dice seno dell’angolo α e si indica con sin(α) l’ordinata del punto P di intersezione tra l’altro lato e la circonferenza goniometrica. Definizione 10.3.2 (Coseno). Dato l’angolo α con vertice nell’origine e un lato coincidente con il semiasse positivo delle ascisse, si dice coseno dell’angolo α e si indica con cos(α) l’ascissa del punto P di intersezione tra l’altro lato e la circonferenza goniometrica. Osservazioni 1. Se un angolo α individua il punto P sulla circonferenza goniometrica, allora l’angolo α + 2kπ con k ∈ Z individua lo stesso punto P . Quindi, in base alle definizioni date: ∀ α ∈ R, k ∈ Z sin(α + 2kπ) = sin(α) cos(α + 2kπ) = cos(α) Si dice che le funzioni seno e coseno sono periodiche di periodo 2π. π 2. Se 0 < α < , P è nel primo quadrante e quindi il seno è positivo e il coseno 2 positivo. π Se < α < π, P è nel secondo quadrante e quindi il seno è positivo e il coseno 2 negativo. 3 Se π < α < π, P è nel terzo quadrante e quindi il seno è negativo e il coseno 2 negativo. 3 Se π < α < 2π, P è nel quarto quadrante e quindi il seno è negativo e il coseno 2 positivo. 3. Dalle definizioni date segue che −1 6 sin(α) 6 1 ∀α ∈ R −1 6 cos(α) 6 1 ∀α ∈ R 200 è è è è 10.3. FUNZIONI SENO E COSENO 10.3.1 Relazione fondamentale della goniometria cos2 (α) + sin2 (α) = 1 ∀α ∈ R Dalla relazione fondamentale si ricava: » cos(α) = ± 1 − sin2 (α) e » sin(α) = ± 1 − cos2 (α) La scelta del segno dipende dal valore dell’angolo α 10.3.2 Grafico della funzione seno Poiché la funzione seno è periodica di periodo 2π, la rappresentiamo graficamente in [0, 2π] e successivamente estendiamo il grafico. π 6 1 sin(x) 0 2 x 0 π 4 √ 2 2 π 3 √ 3 2 π 3 π π 2π 2 2 0 −1 1 0 y 1 x π 2 O 3 π 2 π 2π −1 Figura 10.1: sin(x) y 1 x −2π − 32 π −π − π2 O π 2 −1 Figura 10.2: sin(x) 201 π 3 π 2 2π 5 π 2 CAPITOLO 10. FUNZIONI GONIOMETRICHE 10.3.3 Grafico della funzione coseno Poiché la funzione coseno è periodica di periodo 2π, la rappresentiamo graficamente in [0, 2π] e successivamente estendiamo il grafico. π 6 √ 3 cos(x) 1 2 x 0 π 4 √ 2 2 π 3 1 2 π 2 π 0 −1 3 π 2π 2 0 1 y 1 x π 2 O 3 π 2 π 2π −1 Figura 10.3: cos(x) y 1 x −2π − 32 π −π − π2 O π 2 π 3 π 2 2π −1 Figura 10.4: cos(x) 10.4 Funzioni tangente e cotangente Definizione 10.4.1 (Tangente). Dato l’angolo α con vertice nell’origine e un lato coincidente con il semiasse positivo delle ascisse, si dice tangente dell’angolo α e si indica con tan(α) l’ordinata del punto T di intersezione tra la retta contenente l’altro lato e la tangente alla circonferenza goniometrica nel punto A(1, 0). Definizione 10.4.2 (Cotangente). Dato l’angolo α con vertice nell’origine e un lato coincidente con il semiasse positivo delle 202 10.4. FUNZIONI TANGENTE E COTANGENTE ascisse, si dice cotangente dell’angolo α e si indica con cot(α) l’ascissa del punto C di intersezione tra la retta contenente l’altro lato e la tangente alla circonferenza goniometrica nel punto B(0, 1). Osservazioni π 1. Se α = + kπ, k ∈ Z un lato dell’angolo e la tangente alla circonferenza goniometrica 2 nel punto A(1, 0) sono paralleli, quindi tan(α) non esiste. 2. Se α = kπ, k ∈ Z un lato dell’angolo e la tangente alla circonferenza goniometrica nel punto B(0, 1) sono paralleli, quindi cot(α) non esiste. Osservazioni 1. Se un angolo α individua il punto T sulla tangente alla circonferenza goniometrica nel punto A(1, 0) allora l’angolo α + kπ con k ∈ Z individua lo stesso punto T . Quindi, in base alle definizione data, indicando con ® ´ π D = x ∈ R/x 6= + kπ, k ∈ Z 2 ∀ α ∈ D, k ∈ Z tan(α + kπ) = tan(α) Si dice che la funzione tangente è periodica di periodo π 2. Se un angolo α individua il punto C sulla tangente alla circonferenza goniometrica nel punto B(0, 1) allora l’angolo α + kπ con k ∈ Z individua lo stesso punto C. Quindi, in base alle definizione data, indicando con ® ´ D = x ∈ R/x 6= kπ, k ∈ Z ∀ α ∈ D, k ∈ Z cot(α + kπ) = cot(α) Si dice che la funzione cotangente è periodica di periodo π π 3. Se 0 < α < , T e C sono nel primo quadrante e quindi la tangente è positiva e 2 cotangente è positiva. π < α < π, T è nel quarto quadrante e C è nel secondo quadrante e quindi Se 2 tangente è negativa e la cotangente è negativa. 3 Se π < α < π, T e C sono nel primo quadrante e quindi la tangente è positiva e 2 cotangente è positiva. 3 Se π < α < 2π, T è nel quarto quadrante e C è nel secondo quadrante e quindi 2 tangente è negativa e la cotangente è negativa. 203 la la la la CAPITOLO 10. FUNZIONI GONIOMETRICHE 10.4.1 tan(α) = Relazioni della goniometria sin(α) π ∀α 6= + kπ cos(α) 2 Osservazione Il coefficiente angolare di una retta è la tangente dell’angolo che la retta forma con il semiasse positivo delle ascisse. Dalla relazione precedente e da quella fondamentale possiamo esprimere il seno e coseno in funzione della tangente. π 1 ∀α 6= + kπ cos(α) = ± » 2 2 1 + tan (α) π tan(α) ∀α = 6 sin(α) = ± » + kπ 2 2 1 + tan (α) La scelta del segno dipende dal valore dell’angolo α cot(α) = cos(α) ∀α 6= kπ sin(α) Se α 6= k π si ha 2 cot(α) = cos(α) 1 = sin(α) tan(α) 10.4.2 Grafico della funzione tangente Poiché la funzione tangente è periodica di periodo π, la rappresentiamo graficamente in ï π ï òπ ò 0, ∪ , π e successivamente estendiamo il grafico. 2 2 π 6 √ 3 tan(x) 0 3 x 0 π 4 π π 3 √ 1 3 0 204 10.4. FUNZIONI TANGENTE E COTANGENTE y 4 3 2 1 x π 2 O π −1 −2 −3 Figura 10.5: tan(x) y 3 2 1 x − 32 π −π − π2 O π 2 π 3 π 2 −1 −2 −3 Figura 10.6: tan(x) 10.4.3 Grafico della funzione cotangente Poiché la funzione cotangente è periodica di periodo π, la rappresentiamo graficamente in ]0, π[ e successivamente estendiamo il grafico. π π 6 4 √ cot(x) 3 1 x π 3 √ 3 3 π 2 0 205 CAPITOLO 10. FUNZIONI GONIOMETRICHE y 4 3 2 1 x π 2 O π −1 −2 −3 −4 Figura 10.7: cot(x) y 3 2 1 x − 32 π −π − π2 O π 2 π 3 π 2 −1 −2 −3 Figura 10.8: cot(x) 10.5 Funzioni secante e cosecante Definizione 10.5.1 (Secante). Dato l’angolo α con vertice nell’origine e un lato coincidente con il semiasse positivo delle ascisse, sia P il punto di intersezione tra l’altro lato e la circonferenza goniometrica. Si dice secante dell’angolo α e si indica con sec(α) l’ascissa del punto S di intersezione tra la tangente alla circonferenza goniometrica nel punto P e l’asse delle ascisse Definizione 10.5.2 (Cosecante). Dato l’angolo α con vertice nell’origine e un lato coincidente con il semiasse positivo delle 206 10.5. FUNZIONI SECANTE E COSECANTE ascisse, sia P il punto di intersezione tra l’altro lato e la circonferenza goniometrica. Si dice cosecante dell’angolo α e si indica con csc(α) l’ordinata del punto C di intersezione tra la tangente alla circonferenza goniometrica nel punto P e l’asse delle ordinate Osservazioni π 1. Se α = + kπ, k ∈ Z la tangente alla circonferenza goniometrica nel punto P e l’asse 2 delle ascisse sono paralleli, quindi sec(α) non esiste. 2. Se α = kπ, k ∈ Z la tangente alla circonferenza goniometrica nel punto P e l’asse delle ordinate sono paralleli, quindi csc(α) non esiste. Osservazione Se un angolo α individua il punto S sull’asse delle ascisse allora l’angolo α + 2kπ con k ∈ Z individua lo stesso punto S. Quindi, in base alle definizione data, indicando con ® ´ π D = x ∈ R/x 6= + kπ, k ∈ Z 2 ∀ α ∈ D, k ∈ Z sec(α + 2kπ) = sec(α) Se un angolo α individua il punto C sull’asse delle ordinate allora l’angolo α + 2kπ con k ∈ Z individua lo stesso punto C. Quindi, in base alle definizione data, indicando con ® ´ D = x ∈ R/x 6= kπ, k ∈ Z ∀ α ∈ D, k ∈ Z csc(α + 2kπ) = csc(α) Si dice che le funzioni secante e cosecante sono periodiche di periodo 2π. Osservazione π Se 0 < α < , S è nel semiasse positivo delle ascisse e C è nel semiasse positivo 2 ordinate e quindi la secante è positiva e la cosecante è positiva. π < α < π, S è nel semiasse negativo delle ascisse e C è nel semiasse positivo Se 2 ordinate e quindi la secante è negativa e la cosecante è positiva. 3 Se π < α < π, S è nel semiasse negativo delle ascisse e C è nel semiasse negativo 2 ordinate e quindi la secante è negativa e la cosecante è negativa. 3 Se π < α < 2π, S è nel semiasse positivo delle ascisse e C è nel semiasse negativo 2 ordinate e quindi la secante è positiva e la cosecante è negativa. 10.5.1 Relazioni della goniometria 1 π ∀α 6= + kπ cos(α) 2 1 csc(α) = ∀α = 6 kπ sin(α) sec(α) = 207 delle delle delle delle CAPITOLO 10. FUNZIONI GONIOMETRICHE 10.5.2 Grafico della funzione secante Poiché laô funzione ñ ôsecanteôè periodica di periodo 2π, la rappresentiamo graficamente in ï π 3 3 πï ∪ , π ∪ π, 2π e successivamente estendiamo il grafico. 0, 2 2 2 2 π π π π 2π 6 4 3 √ 2 3 √ sec(x) 1 2 2 −1 1 3 x 0 y 3 2 1 x π 2 O 3 π 2 π 2π −1 −2 −3 Figura 10.9: sec(x) y 3 2 1 x −2π − 32 π −π − π2 π 2 O −1 −2 −3 Figura 10.10: sec(x) 208 π 3 π 2 2π 10.5. FUNZIONI SECANTE E COSECANTE 10.5.3 Grafico della funzione cosecante Poiché la funzione cosecante è periodica di periodo 2π, la rappresentiamo graficamente in ]0, π[ ∪ ]π, 2π[ e successivamente estendiamo il grafico. π π 4 3 √ √ 2 3 csc(x) 2 2 3 x π 6 π 2 3 π 2 1 −1 y 3 2 1 x O π 2 3 π 2 π 2π −1 −2 −3 Figura 10.11: csc(x) y 3 2 1 x −2π − 32 π −π − π2 O π 2 −1 −2 −3 Figura 10.12: csc(x) 209 π 3 π 2 2π CAPITOLO 10. FUNZIONI GONIOMETRICHE 10.6 Dominio, codominio periodo e zeri delle funzioni goniometriche Per ciascuna delle funzioni goniometriche studiate, evidenziamo dominio, codominio e zeri. Osservazione Per zero di una funzione si intende ogni valore del dominio che la annulla. Funzione Dominio Codominio Periodo Zeri sin(x) cos(x) [−1, 1] [−1, 1] 2π 2π R π R π R R ® tan(x) ´ π x ∈ R/x 6= + kπ, k ∈ Z 2 ® ´ x ∈ R/x 6= kπ, k ∈ Z cot(x) ´ ® sec(x) csc(x) π x ∈ R/x 6= + kπ, k ∈ Z 2 ® ´ x ∈ R/x 6= kπ, k ∈ Z ] − ∞, −1] ∪ [1, +∞[ 2π ] − ∞, −1] ∪ [1, +∞[ 2π 210 kπ π + kπ 2 kπ π + kπ 2 Capitolo 11 Formule goniometriche 11.1 Angoli associati Determiniamo le funzioni goniometriche degli angoli associati ad un angolo α conoscendo le funzioni goniometriche di α. 11.1.1 Angoli opposti: α, −α 1 Y P α −1 X 1 O −α Q −1 Figura 11.1: −α sin (−α) = − sin (α) cos (−α) = cos (α) tan (−α) = sin (−α) − sin (α) π = = − tan (α) con α 6= + kπ, k ∈ Z cos (−α) cos (α) 2 cot (−α) = cos (−α) cos (α) = = − cot (α) con α 6= kπ, k ∈ Z sin (−α) − sin (α) 211 CAPITOLO 11. FORMULE GONIOMETRICHE 11.1.2 Angoli complementari: α, 1 π −α 2 Y Q P α −1 O π −α 2 X 1 −1 Figura 11.2: π −α 2 ã π − α = cos (α) sin 2 Å ã π cos − α = sin (α) 2 Å ã π sin −α π cos (α) Å2 ã = tan −α = = cot (α) con α 6= kπ, k ∈ Z π 2 sin (α) cos −α 2 Å Å ã ã π − α sin (α) π π Å2 ã = cot −α = = tan (α) con α 6= + kπ, k ∈ Z π 2 cos (α) 2 sin −α 2 Å ã cos Å 212 11.1. ANGOLI ASSOCIATI 11.1.3 Angoli che differiscono di un angolo retto: α, Q 1 Y π −α 2 α −1 π +α 2 P X 1 O −1 Figura 11.3: π +α 2 ã π + α = cos (α) 2 ã Å π + α = − sin (α) cos 2 Å ã π Å ã sin + α cos (α) π ã = Å2 tan +α = = − cot (α) con α 6= kπ, k ∈ Z π 2 − sin (α) +α cos 2 Å ã π Å ã cos +α − sin (α) π π ã = Å2 cot +α = = − tan (α) con α 6= + kπ, k ∈ Z π 2 cos (α) 2 +α sin 2 sin Å 11.1.4 Angoli supplementari: α, π − α 1 Q Y π−α P α −1 O −1 Figura 11.4: π − α 213 X 1 CAPITOLO 11. FORMULE GONIOMETRICHE sin (π − α) = sin (α) cos (π − α) = − cos (α) tan (π − α) = sin (π − α) sin (α) π = = − tan (α) con α 6= + kπ, k ∈ Z cos (π − α) − cos (α) 2 cot (π − α) = cos (π − α) − cos (α) = = − cot (α) con α 6= kπ, k ∈ Z sin (π − α) sin (α) 11.1.5 Angoli che differiscono di un angolo piatto: α, π + α 1 Y π+α P α −1 X 1 O Q −1 Figura 11.5: π + α sin (π + α) = − sin (α) cos (π + α) = − cos (α) tan (π + α) = sin (π + α) − sin (α) π = = tan (α) con α 6= + kπ, k ∈ Z cos (π + α) − cos (α) 2 cot (π + α) = cos (π + α) − cos (α) = = cot (α) con α 6= kπ, k ∈ Z sin (π + α) − sin (α) 214 11.1. ANGOLI ASSOCIATI 11.1.6 3 Angoli la cui somma è il triplo di un angolo retto: α, π − α 2 1 Y 3 π−α P 2 α −1 X 1 O Q −1 Figura 11.6: Ç å Ç å 3 π−α 2 3 π − α = − cos (α) sin 2 3 cos π − α = − sin (α) 2 Ç å Ç å 3 Ç å sin π−α 3 − cos (α) 2 Ç å = tan π−α = = cot (α) con α 6= kπ, k ∈ Z 3 2 − sin (α) cos π−α 2 3 Ç å cos π−α 3 − sin (α) π 2 Ç å = π−α = = tan (α) con α 6= + kπ, k ∈ Z cot 3 2 − cos (α) 2 sin π−α 2 215 CAPITOLO 11. FORMULE GONIOMETRICHE 11.1.7 3 Angoli che differiscono del triplo di un angolo retto: α, π + 2 α 1 Y 3 π+α P 2 α −1 X 1 O Q −1 Figura 11.7: Ç 3 π+α 2 å 3 sin π + α = − cos (α) 2 å Ç 3 π + α = sin (α) cos 2 å Ç 3 Ç å π+α sin 3 − cos (α) 2 Ç å = tan π+α = = − cot (α) con α 6= kπ, k ∈ Z 3 2 sin (α) cos π+α 2 Ç å 3 Ç å cos π+α 3 sin (α) π 2 Ç å = cot π+α = = − tan (α) con α 6= + kπ, k ∈ Z 3 2 − cos (α) 2 sin π+α 2 11.2 Formule di addizione e sottrazione cos(α − β) = cos(α) cos(β) + sin(α) sin(β) cos(α + β) = cos(α) cos(β) − sin(α) sin(β) sin (α − β) = sin (α) cos (β) − cos (α) sin (β) sin(α + β) = sin(α) cos(β) + cos(α) sin(β) tan (α − β) = tan (α) − tan (β) π con α, β, α − β 6= + kπ, k ∈ Z 1 + tan (α) tan (β) 2 tan (α + β) = tan (α) + tan (β) π con α, β, α + β 6= + kπ, k ∈ Z 1 − tan (α) tan (β) 2 216 11.3. FORMULE DI DUPLICAZIONE cot (α − β) = cot (α) cot (β) + 1 con α, β, α − β 6= kπ, k ∈ Z cot (β) − cot (α) cot (α + β) = cot (α) cot (β) − 1 con α, β, α + β 6= kπ, k ∈ Z cot (α) + cot (β) 11.2.1 Tangente angolo formato da due rette incidenti m − m0 tan(γ) = 1 + mm0 Se tan(γ) è positivo, γ è l’angolo acuto formato dalle due rette, se tan(γ) è negativo γ è l’angolo ottuso formato dalle due rette. 11.3 Formule di duplicazione sin (2α) = 2 sin (α) cos (α) cos (2α) = cos2 (α) − sin2 (α) Poiché cos2 (α) = 1 − sin2 (α) si ha: cos (2α) = 1 − 2 sin2 (α) Poiché sin2 (α) = 1 − cos2 (α) si ha: cos (2α) = 2 cos2 (α) − 1 tan (2α) = 2 tan (α) π π π con α 6= + kπ, α 6= + k , k ∈ Z 2 1 − tan (α) 2 4 2 cot2 (α) − 1 π cot (2α) = con α 6= k , k ∈ Z 2 cot (α) 2 11.4 Formule di bisezione s α 1 − cos(α) sin =± 2 2 Å ã La scelta del segno dipende dal valore dell’angolo α 2 s 1 + cos(α) α cos =± 2 2 Å ã La scelta del segno dipende dal valore dell’angolo tan cot α sin (α) = con α 6= π + 2kπ, k ∈ Z 2 1 + cos (α) Å ã α sin (α) = con α 6= 2kπ, k ∈ Z 2 1 − cos (α) Å ã 217 α 2 CAPITOLO 11. FORMULE GONIOMETRICHE 11.5 Formule parametriche razionali Å ã 2t α sin (α) = , α 6= π + 2kπ, k ∈ Z con t = tan 2 1+t 2 11.5.1 Parametriche del coseno Å ã 1 − t2 α , α 6= π + 2kπ, k ∈ Z cos (α) = con t = tan 2 1+t 2 11.5.2 Parametriche della tangente Å ã 2t π α tan (α) = , α 6= π + 2kπ, α 6= + kπ, k ∈ Z con t = tan 2 1−t 2 2 cot (α) = Å ã α 1 − t2 con t = tan , α 6= kπ, k ∈ Z 2t 2 11.6 Formule di Werner 1 (sin (α + β) + sin (α − β)) 2 1 cos (α) sin (β) = (sin (α + β) − sin (α − β)) 2 1 cos (α) cos (β) = (cos (α + β) + cos (α − β)) 2 1 sin (α) sin (β) = − (cos (α + β) − cos (α − β)) 2 sin (α) cos (β) = 11.7 Formule di Prostaferesi Å p + qã p − qã sin (p) + sin (q) = 2 sin cos 2 2 ã Å Å p − qã p+q sin sin (p) − sin (q) = 2 cos 2 2 Å Å p + qã p − qã cos (p) + cos (q) = 2 cos cos 2 2 Å ã Å p+q p − qã cos (p) − cos (q) = −2 sin sin 2 2 Å 218 Capitolo 12 Equazioni goniometriche 12.1 Introduzione Definizione 12.1.1 (Identità goniometrica). Si dice identità goniometrica un’equazione goniometrica verificata per ogni valore appartenente al dominio Per risolvere alcune equazioni goniometriche si devono utilizzare le funzioni inverse delle funzioni goniometriche. 12.2 Funzioni inverse 12.2.1 Arcoseno Determiniamo la funzione inversa di g:R→R g (x) = sin (x) La funzione g non è biiettiva. ô ñ π π → [−1, 1] g: − , 2 2 g (x) = sin (x) La funzione g è biiettiva, quindi esiste la funzione inversa g −1 = f : ñ π π f : [−1, 1] → − , 2 2 ô f (x) = arcsin (x) D = [−1, 1] ñ π π f (D) = − , 2 2 ô 219 CAPITOLO 12. EQUAZIONI GONIOMETRICHE Il grafico di f è il simmetrico rispetto alla bisettrice del primo e terzo quadrante del grafico di g(x) = sin(x) Å π ã , 1 alla retta y = 1 Poiché il grafico del seno è tangente in O(0, 0) alla retta y = x, in A 2 Å ã π e in B − , −1 alla retta y = −1, il grafico dell’arcoseno è tangente in O(0, 0) alla retta 2 Å Å πã πã alla retta x = 1 e in B1 −1, − alla retta x = −1. y = x, in A1 1, 2 2 Inoltre ï π πò arcsin(sin(x)) = x ∀x ∈ − , 2 2 sin(arcsin(x)) = x ∀x ∈ [−1, 1] π 2 y x −1 O 1 − π2 Figura 12.1: grafico di f (x) = arcsin (x) Osservazione arcsin(−x) = − arcsin(x) ∀x ∈ [−1, 1] 12.2.2 Arcocoseno Determiniamo la funzione inversa di g:R→R g (x) = cos (x) La funzione g non è biiettiva. g : [0, π] → [−1, 1] g (x) = cos (x) La funzione g è biiettiva, quindi esiste la funzione inversa g −1 = f : f : [−1, 1] → [0, π] 220 12.2. FUNZIONI INVERSE f (x) = arccos (x) D = [−1, 1] f (D) = [0, π] Il grafico di f è il simmetrico rispetto alla bisettrice del primo e terzo quadrante del grafico di g(x) = cos(x) Å π π ã , 0 alla retta y = −x + , in A (0, 1) alla Poiché il grafico del coseno è tangente in C 2 2 retta y = 1 e in B (3.14, −1) alla retta y = −1, il grafico dell’arcocoseno è tangente in Å π πã alla retta y = −x + , in A1 (1, 0) alla retta x = 1 e in B1 (−1, π) alla retta C1 0, 2 2 x = −1. Inoltre arccos(cos(x)) = x ∀x ∈ [0, π] cos(arccos(x)) = x ∀x ∈ [−1, 1] Dato y = arcsin(x) si ha x = sin(y) = cos Å ã π −y 2 ãã π π π arccos(x) = arccos(sin(y)) = arccos cos − y = − y = − arcsin(x) 2 2 2 quindi Å arccos(x) = Å π − arcsin(x) ∀x ∈ [−1, 1] 2 π y x −1 O 1 Figura 12.2: grafico di f (x) = arccos (x) Osservazione arccos(−x) = π − arccos(x) ∀x ∈ [−1, 1] 221 CAPITOLO 12. EQUAZIONI GONIOMETRICHE 12.2.3 Arcotangente Determiniamo la funzione inversa di g : Dg → R g (x) = tan (x) ® ´ π Dg = x ∈ R/x 6= + kπ, k ∈ Z 2 La funzione g non è biiettiva. ñ ô π π →R g: − , 2 2 g (x) = tan (x) La funzione g è biiettiva, quindi esiste la funzione inversa g −1 = f : ô π π f :R→ − , 2 2 ñ f (x) = arctan (x) D=R ô ñ π π f (D) = − , 2 2 Il grafico di f è il simmetrico rispetto alla bisettrice del primo e terzo quadrante del grafico di g(x) = tan(x) Poiché il grafico della tangente è tangente in O(0, 0) alla retta y = x, il grafico dell’arcotangente è tangente in O(0, 0) alla retta y = x. Inoltre ò π πï arctan(tan(x)) = x ∀x ∈ − , 2 2 tan(arctan(x)) = x ∀x ∈ R y π 2 x −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 − π2 Figura 12.3: grafico di f (x) = arctan (x) Osservazione arctan(−x) = − arctan(x) ∀x ∈ R 222 12.2. FUNZIONI INVERSE 12.2.4 Arcocotangente Determiniamo la funzione inversa di g : Dg → R g (x) = cot (x) Dg = {x ∈ R/x 6= kπ, k ∈ Z} La funzione g non è biiettiva. g : ]0, π[ → R g (x) = cot (x) La funzione g è biiettiva, quindi esiste la funzione inversa g −1 = f : f : R → ]0, π[ f (x) = arccot (x) D=R f (D) = ]0, π[ Il grafico di f è il simmetrico rispetto alla bisettrice del primo e terzo quadrante del grafico di g(x) = cot(x) Å π π ã , 0 alla retta y = −x + , il grafico Poiché il grafico della cotangente è tangente in A 2 2 Å πã π dell’arcocotangente è tangente in A1 0, alla retta y = −x + . 2 2 Inoltre arccot(cot(x)) = x ∀x ∈]0, π[ cot(arccot(x)) = x ∀x ∈ R Dato y = arctan(x) si ha ã π x = tan(y) = cot −y 2 Å ãã π π π arccot(x) = arccot(tan(y)) = arccot cot − y = − y = − arctan(x) 2 2 2 Å quindi arccot(x) = π − arctan(x) con x ∈ R 2 223 Å CAPITOLO 12. EQUAZIONI GONIOMETRICHE π y π 2 x −6 −5 −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 Figura 12.4: grafico di f (x) = arccot (x) Osservazione arccot(−x) = − arccot(x) ∀x ∈ R 12.3 12.3.1 Equazioni goniometriche elementari sin (x) = a Per risolvere l’equazione sin(x) = a in modo analitico si analizza il valore di a: • Se a < −1 ∨ a > 1 l’equazione è impossibile. • Se −1 6 a 6 1 si determina un angolo α tale che sin(α) = a; le soluzioni sono x = α + 2kπ ∨ x = π − α + 2kπ, k ∈ Z Osservazione Se nell’equazione sin(x) = a si ha −1 6 a < 0 si può determinare un angolo β tale che sin(β) = |a|; posto α = −β le soluzioni sono x = α + 2kπ ∨ x = π − α + 2kπ, k ∈ Z 12.3.2 cos (x) = a Per risolvere l’equazione cos(x) = a in modo analitico si analizza il valore di a: • Se a < −1 ∨ a > 1 l’equazione è impossibile. • Se −1 6 a 6 1 si determina un angolo α tale che cos(α) = a; le soluzioni sono x = α + 2kπ ∨ x = −α + 2kπ, k ∈ Z Osservazione Se nell’equazione cos(x) = a si ha −1 6 a < 0 si può determinare un angolo β tale che cos(β) = |a|; posto α = π − β le soluzioni sono x = α + 2kπ ∨ x = −α + 2kπ, k ∈ Z 224 12.4. EQUAZIONI LINEARI IN SENO E COSENO 12.3.3 tan (x) = a Per risolvere l’equazione tan(x) = a analiticamente, si scrivono le condizioni di esistenza π x 6= + kπ e si determina un angolo α tale che tan(α) = a; le soluzioni sono 2 x = α + kπ, k ∈ Z Osservazione Se nell’equazione tan(x) = a si ha a < 0 si può determinare un angolo β tale che tan(β) = |a|; posto α = −β le soluzioni sono x = α + kπ, k ∈ Z 12.3.4 cot (x) = a Per risolvere l’equazione cot(x) = a in modo analitico si scrivono le condizioni di esistenza x 6= kπ e si determina un angolo α tale che cot(α) = a; le soluzioni sono x = α + kπ, k ∈ Z Osservazione Se nell’equazione cot(x) = a si ha a < 0 si può determinare un angolo β tale che cot(β) = |a|; posto α = −β le soluzioni sono x = α + kπ, k ∈ Z 12.4 Equazioni lineari in seno e coseno Un’equazione goniometrica si dice lineare in seno e coseno se è della forma a sin(x) + b cos(x) + c = 0 Se a = 0 ∨ b = 0 si ottengono le equazioni goniometriche elementari già analizzate. Consideriamo il caso in cui a 6= 0 ∧ b 6= 0. Per risolvere questo tipo di equazioni si possono utilizzare tre metodi. 12.4.1 Risoluzione con il metodo dell’angolo aggiunto Data l’equazione a sin(x) + b cos(x) + c = 0 dividiamo entrambi i membri per √ √ a2 + b 2 a b c sin(x) + √ 2 cos(x) + √ 2 =0 2 2 +b a +b a + b2 a2 225 CAPITOLO 12. EQUAZIONI GONIOMETRICHE si determina l’angolo α tale che a b cos(α) = √ 2 , sin(α) = √ 2 2 a +b a + b2 sostituendo si ha: c =0 sin(x) cos(α) + cos(x) sin(α) + √ 2 a + b2 c + b2 Abbiamo ottenuto un’equazione elementare. sin(x + α) = − √ 12.4.2 a2 Risoluzione con le formule parametriche Data l’equazione a sin(x) + b cos(x) + c = 0 per risolverla utilizzando le formule parametriche: 1. si verifica se x = π + 2kπ sono soluzioni 2. si pone sin(x) = 2t 1 − t2 e cos(x) = con x 6= π + 2kπ 1 + t2 1 + t2 3. si risolve l’equazione nell’incognita t 4. si sostituisce t con tan 12.5 x e si risolve l’equazione ottenuta nell’incognita x 2 Å ã Equazioni omogenee in seno e coseno Un’equazione in seno e coseno si dice omogenea se tutti i termini hanno lo stesso grado: a sin(x) + b cos(x) = 0 è un’equazione omogenea di primo grado a sin2 (x) + b sin(x) cos(x) + c cos2 (x) = 0 è un’equazione omogenea di secondo grado, ecc. Per risolvere un’equazione omogenea di grado n: 1. se è presente il termine cosn (x), i valori kπ non sono soluzioni, si dividono entrambi i membri per sinn (x) e si risolve l’equazione ottenuta in cot(x) π +kπ non sono soluzioni, si dividono entrambi 2 n i membri per cos (x) e si risolve l’equazione ottenuta in tan(x) 2. se è presente il termine sinn (x), i valori 226 12.6. EQUAZIONI RICONDUCIBILI A OMOGENEE 12.6 Equazioni riconducibili a omogenee Poiché sin2 (x) + cos2 (x) = 1, un’equazione del tipo a sin2 (x) + b sin(x) cos(x) + c cos2 (x) + d = 0 si può trasformare in omogenea moltiplicando d per sin2 (x) + cos2 (x) 227 Capitolo 13 Disequazioni goniometriche 13.1 13.1.1 Disequazioni elementari sin (x) > a Per risolvere la disequazione sin(x) > a si rappresenta la circonferenza goniometrica e la retta r : Y = a. 1 r Y Q P π−α α −1 X 1 O −1 Figura 13.1: sin(x) = a Le soluzioni sono gli angoli individuati dai punti della circonferenza con ordinata maggiore di a 13.1.2 cos (x) > a Per risolvere la disequazione cos(x) > a si rappresenta la circonferenza goniometrica e la retta r : X = a. 228 13.1. DISEQUAZIONI ELEMENTARI 1 Y r P α −1 X 1 O −α Q −1 Figura 13.2: cos(x) = a Le soluzioni sono gli angoli individuati dai punti della circonferenza con ascissa maggiore di a 13.1.3 tan (x) > a π Per risolvere la disequazione tan(x) > a, si scrive la condizione di esistenza x 6= + kπ, 2 si rappresentano la circonferenza goniometrica, la tangente t alla circonferenza nel punto A(1, 0) e la retta r : Y = a. 1 Y t P r π−α −1 α O X 1 −1 Figura 13.3: tan(x) = a La retta r interseca la tangente t nel punto P che individua gli angoli α e π + α. Le soluzioni sono gli angoli individuati dai punti della tangente t con ordinata maggiore di a. 229 CAPITOLO 13. DISEQUAZIONI GONIOMETRICHE 13.1.4 cot (x) > a Per risolvere graficamente la disequazione cot(x) > a, si scrive la condizione di esistenza x 6= kπ, si rappresentano la circonferenza goniometrica, la tangente t alla circonferenza nel punto B(0, 1) e la retta r : X = a. Y r 1B t P π+α α −1 X 1 O −1 Figura 13.4: cot(x) = a La retta r interseca la tangente t nel punto P che individua gli angoli α e π + α. Le soluzioni sono gli angoli individuati dai punti della tangente t con ascissa maggiore di a. 13.2 Disequazioni di secondo grado in una funzione goniometrica Per risolvere una disequazione di secondo grado in una funzione goniometrica: 1. si risolve la disequazione considerando come incognita la funzione goniometrica 2. si risolvono le disequazioni elementari ottenute sulla stessa circonferenza goniometrica 3. si scrivono le soluzioni 13.3 Disequazioni fratte e scomponibili in fattori Consideriamo, disequazioni goniometriche fratte. Per risolvere questo tipo di disequazioni: 1. si trasforma la disequazione in forma normale 2. si scompongono il numeratore e il denominatore 3. si scrivono le condizioni di esistenza 230 13.4. DISEQUAZIONI LINEARI IN SENO E COSENO 4. si rappresentano le condizioni di esistenza su circonferenze concentriche scrivendo × dove non sono soddisfatte 5. si studia il segno di ogni fattore ponendolo maggiore di 0 6. si rappresenta il segno di ogni fattore su circonferenze concentriche tracciando una linea continua dove il fattore è positivo, una linea tratteggiata dove è negativo, scrivendo 0 dove è nullo 7. si applica la regola dei segni 8. si evidenzia ciò che è richiesto dalla disequazione 9. si scrive la soluzione 13.4 Disequazioni lineari in seno e coseno Una disequazione goniometrica si dice lineare in seno e coseno se è della forma a sin(x) + b cos(x) + c > 0 oppure a sin(x) + b cos(x) + c > 0 oppure a sin(x) + b cos(x) + c < 0 oppure a sin(x) + b cos(x) + c 6 0 Se a = 0 ∨ b = 0 si ottengono le disequazioni goniometriche elementari già analizzate. Consideriamo il caso in cui a 6= 0 ∧ b 6= 0. Per risolvere questo tipo di disequazioni si possono utilizzare tre metodi. 13.4.1 Risoluzione con il metodo dell’angolo aggiunto Data la disequazione a sin(x) + b cos(x) + c > 0 dividiamo entrambi i membri per √ √ a2 + b 2 a b c sin(x) + √ 2 cos(x) + √ 2 =0 2 2 +b a +b a + b2 a2 esiste un angolo α tale che cos(α) = √ a b , sin(α) = √ 2 2 +b a + b2 a2 231 CAPITOLO 13. DISEQUAZIONI GONIOMETRICHE sostituendo si ha: c sin(x) cos(α) + cos(x) sin(α) + √ 2 >0 a + b2 c + b2 Abbiamo ottenuto una disequazione elementare. Con gli altri simboli di disuguaglianza si procede analogamente. sin(x + α) > − √ 13.4.2 a2 Risoluzione con le formule parametriche Data la disequazione a sin(x) + b cos(x) + c > 0 per risolverla utilizzando le formule parametriche: 1. si verifica se x = π + 2kπ sono soluzioni 2. si pone sin(x) = 2t 1 − t2 e cos(x) = con x 6= π + 2kπ 1 + t2 1 + t2 3. si risolve la disequazione nell’incognita t 4. si sostituisce t con tan x e si risolvono le disequazioni ottenute. 2 Å ã Con gli altri simboli di disuguaglianza si procede analogamente. 13.5 Disequazioni omogenee in seno e coseno Una disequazione in seno e coseno si dice omogenea se tutti i termini hanno lo stesso grado: a sin(x) + b cos(x) > 0 è una disequazione omogenea di primo grado a sin2 (x) + b sin(x) cos(x) + c cos2 (x) > 0 è una disequazione omogenea di secondo grado, ecc. Il metodo per risolvere questo tipo di disequazione varia se il grado è pari o dispari 13.5.1 Grado pari Per risolvere una disequazione omogenea di grado n pari: 1. si controlla se − π π + 2kπ e + 2kπ sono soluzioni 2 2 2. si dividono entrambi i membri per cosn (x) e si risolve la disequazione ottenuta 232 13.5. DISEQUAZIONI OMOGENEE IN SENO E COSENO 13.5.2 Grado dispari Una disequazione omogenea di primo grado, è una disequazione lineare e si risolve con i metodi visti per questo tipo di disequazioni. Per risolvere una disequazione omogenea di grado n > 1 dispari: 1. si controlla se − π π + 2kπ e + 2kπ sono soluzioni 2 2 2. si raccoglie il fattore cosn (x) e si risolve la disequazione ottenuta 233 Capitolo 14 Trigonometria 14.1 Teoremi sui triangoli rettangoli Teorema 14.1.1 (Teoremi sui triangoli rettangoli). In un triangolo rettangolo: • la misura di un cateto è uguale al prodotto di quella dell’ipotenusa per il coseno dell’angolo acuto adiacente al cateto • la misura di un cateto è uguale al prodotto di quella dell’ipotenusa per il seno dell’angolo opposto al cateto • la misura di un cateto è uguale al prodotto di quella dell’altro cateto per la tangente dell’angolo opposto al primo cateto Riassumendo, nel triangolo rettangolo ABC: • b = a sin(β) • b = a cos(γ) • b = c tan(β) • c = a cos(β) • c = a sin(γ) • c = b tan(γ) 234 14.2. AREA DI UN TRIANGOLO B a C β c α γ b A Figura 14.1: triangolo rettangolo 14.2 Area di un triangolo Teorema 14.2.1 (Area di un triangolo). L’area di un triangolo è uguale al semiprodotto delle misure di due lati per il seno dell’angolo fra essi compreso. 14.3 Teorema della corda Teorema 14.3.1 (Teorema della corda). La lunghezza di una corda di una circonferenza è uguale al prodotto del diametro per il seno di un angolo alla circonferenza che sottende la corda 14.4 Teorema dei seni Teorema 14.4.1 (Teorema dei seni). In un triangolo il rapporto tra la misura di un lato e il seno dell’angolo opposto è costante ed è pari al diametro della circonferenza circoscritta 14.5 Teorema del coseno Teorema 14.5.1 (Teorema del coseno o di Carnot). In un triangolo il quadrato della misura di un lato è uguale alla somma dei quadrati delle misure degli altri lati diminuita del doppio prodotto delle misure di questi lati per il coseno dell’angolo fra essi compreso. Osservazione π Se α = , cioè se il triangolo ABC è rettangolo si ha: 2 Å ã π 2 2 2 a = b + c − 2bc cos 2 2 2 2 a =b +c Abbiamo ottenuto il teorema di Pitagora 235 Parte IV CLASSE QUARTA 236 Capitolo 1 Statistica 1.1 Indagine statistica La statistica studia i fenomeni collettivi: cioè quei fenomeni che si possono determinare solo attraverso molte osservazioni. Dato un fenomeno collettivo la statistica aiuta a descriverlo sinteticamente e a trarre da esso conclusioni rispetto a fenomeni più ampi. Per ottenere i dati si effettua un’indagine statistica. Se si considera l’intera popolazione, il fenomeno è univocamente determinato e si devono solo analizzare i dati per descriverlo sinteticamente: questa è la statistica descrittiva. Se si considera solo un campione, il fenomeno non è univocamente determinato e, sulla base dei dati del campione, si possono trarre indicazioni su tutta la popolazione: questa è la statistica inferenziale. Noi considereremo la statistica descrittiva. 1.2 Popolazione e unità statistica Definizione 1.2.1 (Popolazione statistica). Si dice popolazione statistica l’insieme su cui si studia il fenomeno Definizione 1.2.2 (Unità statistica). Si dice unità statistica ogni elemento della popolazione statistica 1.3 Caratteri statistici e modalità Definizione 1.3.1 (Carattere statistico). Si dice carattere una caratteristica che una unità statistica può avere Definizione 1.3.2 (Modalità). Si dice modalità il modo in cui un carattere si può presentare 1.3.1 Caratteri qualitativi o quantitativi Definizione 1.3.3 (Carattere qualitativo). Un carattere si dice qualitativo quando le sue modalità non sono dei numeri. 237 CAPITOLO 1. STATISTICA Osservazione Consideriamo qualitativi anche i caratteri giorni, mesi e anni. Definizione 1.3.4 (Carattere qualitativo sconnesso). Un carattere qualitativo si dice sconnesso quando le sue modalità non hanno un ordine Definizione 1.3.5 (Carattere qualitativo ordinato). Un carattere qualitativo si dice ordinato quando le sue modalità hanno un ordine Esempio 1.3.1. Sono caratteri qualitativi ordinati • titolo di studio • giorno della settimana • anno Definizione 1.3.6 (Carattere quantitativo). Un carattere si dice quantitativo quando le sue modalità sono dei numeri. Definizione 1.3.7 (Carattere quantitativo discreto). Un carattere quantitativo si dice discreto se le sue modalità sono in numero finito o infinito numerabile Esempio 1.3.2. Sono caratteri quantitativi discreti • numero figli di una famiglia • numero stanze di un appartamento • numero di persone in coda a uno sportello Definizione 1.3.8 (Carattere quantitativo continuo). Un carattere quantitativo si dice continuo se le sue modalità appartengono a un intervallo Esempio 1.3.3. Sono caratteri quantitativi continui • peso • temperatura • lunghezza 238 1.4. SERIE E SERIAZIONI 1.4 Serie e seriazioni Definizione 1.4.1 (Serie statistica). Si dice serie statistica l’insieme dei dati di un’indagine su un carattere quantitativo Esempio 1.4.1. I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono una serie statistica Definizione 1.4.2 (Seriazione statistica). Si dice seriazione statistica l’insieme dei dati di un’indagine su un carattere qualitativo Esempio 1.4.2. Le nazionalità di un insieme di 15 persone sono una seriazione statistica 1.5 Variabili e mutabili statistiche Definizione 1.5.1 (Variabile statistica). Si dice variabile statistica una funzione che a ciascuna unità statistica associa una modalità di un determinato carattere quantitativo Definizione 1.5.2 (Mutabile statistica). Si dice mutabile statistica una funzione che a ciascuna unità statistica associa una modalità di un determinato carattere qualitativo Le variabili e le mutabili statistiche verranno indicate con le lettere X, Y, Z Esempio 1.5.1. Consideriamo una popolazione di 10 studenti e come carattere la classe di appartenenza. Un esempio di mutabile statistica X è il seguente: ® ´ 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 X= 3A 3E 3E 3E 3G 3A 3A 3G 3G 3G 1.6 Distribuzioni di frequenze Definizione 1.6.1 (Frequenza (assoluta)). Si dice frequenza (assoluta) di una modalità il numero di volte in cui tale modalità si presenta Definizione 1.6.2 (Frequenza relativa). Si dice frequenza relativa di una modalità il rapporto tra la frequenza assoluta e il numero di elementi della popolazione Definizione 1.6.3 (Frequenza relativa percentuale). Si dice frequenza relativa percentuale di una modalità la frequenza relativa moltiplicata per 100 Definizione 1.6.4 (Distribuzione di frequenze (assolute)). Si dice distribuzione di frequenze (assolute) di una variabile o mutabile statistica X l’insieme delle coppie formate dalle modalità e dalle frequenze assolute di quelle modalità 239 CAPITOLO 1. STATISTICA Con abuso di linguaggio confonderemo la variabile o mutabile statistica con la sua distribuzione di frequenze assolute ® x x . . . xk X= 1 2 f1 f2 . . . fk ´ Definizione 1.6.5 (Distribuzione di frequenze relative). Si dice distribuzione di frequenze relative di una variabile o mutabile statistica X l’insieme delle coppie formate dalle modalità e dalle frequenze relative di quelle modalità Con abuso di linguaggio confonderemo la variabile o mutabile statistica con la sua distribuzione di frequenze relative ® x x . . . xk X= 1 2 f1 f2 . . . fk ´ Osservazione La somma delle frequenze relative di una variabile statistica è uguale a 1. 1.7 Distribuzioni di frequenze in classi Nel caso di variabili statistiche continue molte osservazione hanno valori diversi e quindi le frequenze assolute hanno valori vicini a 1. Con le variabili statistiche continue oppure con variabili statistiche discrete con valori molto dispersi, è quindi opportuno raggruppare le osservazioni in classi. Ogni classe ha un limite inferiore e un limite superiore. L’ampiezza della classe è la differenza tra il limite superiore e il limite inferiore. Il valore centrale della classe è la semisomma dei limiti e ad esso vengono riferite tutte le osservazioni sulla classe. Per determinare l’ampiezza delle classi: 1. si calcola il campo di variazione delle osservazioni, cioè la differenza tra il valore maggiore e il valore minore. 2. si determina il numero di classi desiderate: normalmente compreso tra 5 e 10 3. l’ampiezza di ogni classe è il rapporto tra il campo di variazione e il numero di classi In alcuni casi, le classi estreme possono avere ampiezza diversa dalle altre. Definizione 1.7.1 (Frequenza (assoluta) di una classe). Si dice frequenza (assoluta) di una classe il numero di elementi della classe. Definizione 1.7.2 (Frequenza relativa di una classe). Si dice frequenza relativa di una classe il rapporto tra la frequenza assoluta e il numero di elementi della popolazione Definizione 1.7.3 (Frequenza relativa percentuale di una classe). Si dice frequenza relativa percentuale di una classe la frequenza relativa moltiplicata per 100 240 1.8. TABELLE Definizione 1.7.4 (Distribuzione di frequenze (assolute) in classi). Si dice distribuzione di frequenze (assolute) in classi di una variabile statistica X l’insieme delle coppie formate dalle classi e dalle frequenze assolute di quelle classi Definizione 1.7.5 (Distribuzione di frequenze relative in classi). Si dice distribuzione di frequenze relative in classi di una variabile statistica X l’insieme delle coppie formate dalle classi e dalle frequenze relative di quelle classi Esempio 1.7.1. In un indagine su 40 persone si sono rilevati i seguenti pesi: 64,5 56,7 58,9 65,5 70,5 85,4 70,0 72,5 57,7 63,5 43,5 45,7 74,5 46,5 52,4 68,3 70,5 77,3 60,0 82,5 67,4 67,8 47,5 55,7 52,8 56,2 57,5 55,2 49,9 75,6 70,5 72,5 87,6 53,5 73,5 65,7 77,2 80,0 87,5 57,7 Il valore minore è 43,5 e quello maggiore è 87,6 Possiamo considerare come valore minore 40 e valore maggiore 90. 50 = 5. Il campo di variazione è: 90 − 40 = 50, se utilizziamo 5 classi, la loro ampiezza è 10 Le classi sono ]40, 50] ]50, 60] ]60, 70] ]70, 80] ]80, 90] La distribuzione di frequenze assolute in classi della variabile statistica X= “peso” è: ® ´ ]40, 50] ]50, 60] ]60, 70] ]70, 80] ]80, 90] X= 5 12 8 11 4 La distribuzione di frequenze relative in classi della variabile statistica X= “peso” è: ]40, 50] X= 1.8 5 40 ]50, 60] ]60, 70] ]70, 80] ]80, 90] 12 8 11 4 40 40 40 40 Tabelle La distribuzione di frequenze molte volte viene rappresentata mediante una tabella. Spesso si rappresentano contemporaneamente le frequenze assolute e quelle relative. Esempio 1.8.1. Se in gruppo di 32 persone ci sono 15 italiani, 10 francesi e 7 inglesi la tabella delle distribuzione di frequenze assolute e relative della mutabile statistica X= “nazionalità” è: Nazionalità Frequenza assoluta Frequenza relativa Italiana 15 Francese 10 Inglese 7 15 32 10 32 7 32 241 CAPITOLO 1. STATISTICA 1.9 Grafici Le distribuzioni di frequenze possono anche essere visualizzate attraverso un grafico. La rappresentazione grafica perde in precisione ma si possono cogliere alcuni aspetti caratteristici in modo immediato. Vedremo alcuni tipi di rappresentazioni grafiche. 1.9.1 Grafico a canne d’organo o ortogramma Definizione 1.9.1 (Ortogramma). Un grafico si dice a canne d’organo o ortogramma se è formato da k rettangoli non contigui ciascuno con la stessa base e altezza pari alle frequenze assolute o relative delle k modalità della variabile o mutabile statistica. I rettangoli possono essere verticali o orizzontali e, se ci sono più variabili, si possono utilizzare diversi colori e affiancare o impilare i rettangoli. 1.9.2 Diagrammi cartesiani I diagrammi cartesiani si possono utilizzare per le variabili statistiche. Il diagramma è costituito da punti che hanno per ascissa le modalità e per ordinata la corrispondente frequenza. Le unità di misura degli assi sono generalmente diverse. 1.9.3 Diagramma a torta Definizione 1.9.2 (Diagramma a torta). Un grafico si dice diagramma a torta o a settori circolari se è formato da un cerchio suddiviso da raggi che formano angoli di ampiezza pari al prodotto della frequenza relativa per 360, quindi l’area di ogni spicchio è proporzionale alla frequenza relativa della modalità corrispondente. Questo tipo di grafico si utilizza per rappresentare frequenze relative e frequenze relative percentuali 1.9.4 Istogrammi Definizione 1.9.3 (Istogramma). Un grafico si dice istogramma se è formato da k rettangoli contigui ciascuno con base coincidente con una classe e area proporzionale alla frequenza assoluta della classe. Gli istogrammi si utilizzano per rappresentare distribuzioni di frequenza in classi. Le altezze si trovano dividendo la frequenza per l’ampiezza della classe. Se le classi hanno la stessa ampiezza l’altezza è proporzionale alla frequenza. Definizione 1.9.4 (Poligono di frequenza). Si dice poligono di frequenza la spezzata che unisce i punti medi delle basi superiori dei rettangoli 242 1.10. FUNZIONE DI RIPARTIZIONE CUMULATIVA DELLE FREQUENZE Osservazione Il poligono di frequenza si può anche estendere alle classi estreme aventi frequenza nulla. Esempio 1.9.1. Rappresentiamo con un istogramma e con il poligono di frequenza la distribuzione di frequenze assolute della variabile statistica X= “peso” vista precedentemente. 18 PESO 16 14 12 10 8 6 4 2 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 Figura 1.1: Istogramma 1.10 Funzione di ripartizione cumulativa delle frequenze Definizione 1.10.1 (Funzione di ripartizione). Si dice funzione di ripartizione (cumulativa delle frequenze) di una variabile statistica X la funzione che associa a ogni x appartenente a R la somma delle frequenze relative associate ai valori minori o uguali di x e si indica con F (x). In simboli F (x) = X f xi xi 6x Esempio 1.10.1. I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono: 5,7,6,6,5,7,8,9,7,8,8,7,5,4,3,7,3,8,9,6 La distribuzione di frequenze relative della variabile statistica X =“voto” è: 3 X=2 20 4 1 20 5 3 20 6 3 20 7 5 20 8 4 20 9 2 20 Determiniamo alcuni valori della funzione di ripartizione F F (−5) = 0, F (2, 9) = 0, F (3) = 2 2 6 18 , F (3, 5) = , F (5) = , F (8) = , F (9) = 1, F (35) = 1 20 20 20 20 243 CAPITOLO 1. STATISTICA Rappresentiamo graficamente la funzione di ripartizione F 1.4 y 1.2 1 0.8 0.6 0.4 0.2 x −2 −1 O 1 2 3 4 5 6 7 8 9 Figura 1.2: funzione di ripartizione 1.11 Frequenza cumulata dal basso Definizione 1.11.1 (Frequenza cumulata dal basso). Data una variabile statistica X si dice frequenza cumulata dal basso di un valore o di una classe la somma delle frequenze assolute associate ai valori minori o uguali di quel valore o di quella classe 244 Capitolo 2 Valori medi statistici 2.1 Medie algebriche Definizione 2.1.1 (Valore medio). Si dice valore medio di una successione di n dati un qualsiasi valore x̄ compreso tra il dato più piccolo e quello più grande cioè xmin 6 x̄ 6 xmax Questa definizione, data da Cauchy, non è utile da un punto di vista operativo. Utilizziamo un’altra definizione di valor medio data da Chisini che soddisfa la definizione di Cauchy. Definizione 2.1.2 (Valore medio). Si dice valore medio di una successione di n dati x1 , . . . , xn rispetto a una funzione f (x1 , . . . , xn ) la costante M che soddisfa la seguente condizione: f (x1 , . . . , xn ) = f (M, . . . , M ) Per applicare questa definizione si individua la funzione f e si determina il valore di M , cioè quel valore costante che sostituito a tutti i dati mantiene invariato il valore della funzione. A seconda della funzione scelta si avranno medie diverse. 2.1.1 Media aritmetica Se come funzione f consideriamo la somma dei dati otteniamo la media aritmetica. Definizione 2.1.3 (Media aritmetica). Si dice media aritmetica di una successione di n dati x1 , . . . , xn quel valore M che sostituito a tutti i dati lascia invariata la somma: M + . . . + M = x1 + . . . + x n nM = x1 + . . . + xn x1 + . . . + xn M= n n X 1 M= xi n i=1 245 CAPITOLO 2. VALORI MEDI STATISTICI Data la variabile statistica X con distribuzione ® x x . . . xk X= 1 2 f1 f2 . . . fk ´ la media aritmetica è M= x1 f 1 + . . . + xk f k f1 + . . . + fk e, indicando con n = f1 + . . . + fk , si ha M= k 1X x i fi n i=1 Se f1 , . . . , fk sono le frequenze relative, poiché f1 + . . . + fk = 1 si ha M= k X xi f i i=1 Osservazione Le frequenze fi si chiamano pesi e la media si dice ponderata Osservazione Se i dati sono distribuiti in classi per calcolare la media aritmetica e le medie successive, si prendono come valori i valori centrali delle classi e come frequenze le frequenze delle classi. Osservazione La media aritmetica è il valor medio più usato e si dice semplicemente media. Definizione 2.1.4 (Scarto). Si dice scarto la differenza tra un valore e la media aritmetica Teorema 2.1.1 (Scarto). La somma degli scarti è 0 2.1.2 Media geometrica Se come funzione f consideriamo il prodotto dei dati otteniamo la media geometrica. Definizione 2.1.5 (Media geometrica). Si dice media geometrica di una successione di n dati positivi x1 , . . . , xn quel valore MG che sostituito a tutti i dati lascia invariato il prodotto: MG · . . . · MG = x1 · . . . · xn MGn = x1 · . . . · xn √ MG = n x1 · . . . · xn à MG = n n Y xi i=1 246 2.1. MEDIE ALGEBRICHE Data la variabile statistica X con distribuzione ® x x . . . xk X= 1 2 f1 f2 . . . fk ´ la media geometrica è MG = q f1 +...+fk xf11 · . . . · xfkk e, indicando con n = f1 + . . . + fk , si ha à MG = n k Y fi xi i=1 Se f1 , . . . , fk sono le frequenze relative, poiché f1 + . . . + fk = 1 si ha MG = k Y fi xi i=1 2.1.3 Media armonica Se come funzione f consideriamo la somma dei reciproci dei dati otteniamo la media armonica. Definizione 2.1.6 (Media armonica). Si dice media armonica di una successione di n dati positivi x1 , . . . , xn quel valore MA che sostituito a tutti i dati lascia invariata la somma dei reciproci: 1 1 1 1 + ... + = + ... + MA MA x1 xn 1 1 n = + ... + MA x1 xn n MA = 1 1 + ... + x1 xn n MA = X n 1 i=1 xi Data la variabile statistica X con distribuzione ® x x . . . xk X= 1 2 f1 f2 . . . fk ´ la media armonica è MA = f1 + . . . + fk f1 fk + ... + x1 xk 247 CAPITOLO 2. VALORI MEDI STATISTICI e, indicando con n = f1 + . . . + fk , si ha n MA = k X fi i=1 xi Se f1 , . . . , fk sono le frequenze relative, poiché f1 + . . . + fk = 1 si ha MA = 1 k X fi i=1 xi 2.1.4 Media quadratica Se come funzione f consideriamo la somma dei quadrati dei dati otteniamo la media quadratica. Definizione 2.1.7 (Media quadratica). Si dice media quadratica di una successione di n dati x1 , . . . , xn quel valore MQ che sostituito a tutti i dati lascia invariata la somma dei quadrati: MQ2 + . . . + MQ2 = x21 + . . . + x2n nMQ2 = x21 + . . . + x2n s x21 + . . . + x2n n Œ n X x2 MQ = i i=1 MQ = n Data la variabile statistica X con distribuzione ® x x . . . xk X= 1 2 f1 f2 . . . fk ´ la media quadratica è à MQ = x21 f1 + . . . + x2k fk f1 + . . . + fk e, indicando con n = f1 + . . . + fk , si ha Œ k X x2 f i i MQ = i=1 n Se f1 , . . . , fk sono le frequenze relative, poiché f1 + . . . + fk = 1 si ha MQ = k X x2 f i i i=1 248 2.2. MEDIE LASCHE Teorema 2.1.2 (Medie algebriche). Data una successione di n dati positivi x1 , . . . , xn si ha MA 6 MG 6 M 6 MQ 2.2 Medie lasche 2.2.1 Moda Le medie algebriche dipendono dai valori della distribuzione, la moda dipende solo dalla frequenza dei dati e non dai dati stessi. Definizione 2.2.1 (Moda). Si dice moda di una successione di n dati x1 , . . . , xn il dato M o che ha frequenza maggiore Osservazione Se tutte le frequenze sono uguali la moda non esiste, se più dati hanno la frequenza maggiore ci sono più mode Osservazione Se i dati sono distribuiti in classi con la stessa ampiezza si determina la classe modale cioè quella che ha la massima frequenza. Osservazione La moda può essere usata anche per caratteri qualitativi e non è influenzata da valori estremi. 2.2.2 Mediana Definizione 2.2.2 (Mediana). Si dice mediana M e di una successione ordinata di n dati x1 , . . . , xn il dato che occupa la n+1 se n è dispari, la media aritmetica dei 2 dati posizione centrale, cioè la posizione 2 n n centrali, cioè di posizione e + 1 se n è pari. 2 2 Data la variabile statistica X con distribuzione ® x x . . . xk X= 1 2 f1 f2 . . . fk ´ con x1 , . . . , xk ordinati in modo crescente, per calcolare la mediana 1. si calcolano le frequenze cumulate 2. si calcola n = f1 + . . . + fk 3. se n è dispari la mediana è il dato corrispondente alla prima frequenza cumulata n+1 maggiore o uguale a ; se n è pari la mediana è la media aritmetica dei 2 dati 2 n corrispondenti rispettivamente alla prima frequenza cumulata maggiore o uguale a 2 n e alla prima frequenza cumulata maggiore o uguale a + 1 2 249 CAPITOLO 2. VALORI MEDI STATISTICI Osservazione Se i dati sono distribuiti in classi si determina la classe mediana con il metodo delle frequenze cumulate visto sopra La mediana non è influenzata da valori estremi. 250 Capitolo 3 Variabilità 3.1 Introduzione Nello studio di un fenomeno statistico ai valori medi è bene associare dei valori che indichino la dispersione dei dati. Questi valori si chiamano indici di dispersione o di variabilità e sono dei numeri non negativi; valgono 0 se i dati sono tutti uguali; più i dati sono dispersi più gli indici sono maggiori. 3.2 Campo di variazione Definizione 3.2.1 (Campo di variazione). Si dice campo di variazione di una successione di n dati x1 , . . . , xn la differenza tra il valore maggiore e il valore minore 3.3 Varianza e deviazione standard Definizione 3.3.1 (Varianza). Si dice varianza di una successione di n dati x1 , . . . , xn la media del quadrato degli scarti. In simboli σ2 = n 1X (xi − M )2 n i=1 dove M è la media aritmetica. Data la variabile statistica X con distribuzione ® x x . . . xk X= 1 2 f1 f2 . . . fk ´ indicando con n = f1 + . . . + fk , la varianza è σ2 = k 1X (xi − M )2 fi n i=1 251 CAPITOLO 3. VARIABILITÀ Se f1 , . . . , fk sono le frequenze relative, poiché f1 + . . . + fk = 1 si ha σ2 = k X (xi − M )2 fi i=1 Osservazione Se i dati sono distribuiti in classi per calcolare la varianza si prendono come valori i valori centrali delle classi e come frequenze le frequenze delle classi. Teorema 3.3.1 (Varianza). La varianza di una successione di n dati x1 , . . . , xn è la differenza tra la media dei quadrati dei dati e il quadrato della media dei dati. In simboli σ2 = n 1X x2 − M 2 n i=1 i Definizione 3.3.2 (Deviazione standard). Si dice deviazione standard o scarto quadratico medio di una successione di n dati x1 , . . . , xn la radice quadrata della varianza. In simboli à σ= n 1X (xi − M )2 n i=1 3.4 Scarto semplice medio Definizione 3.4.1 (Scarto semplice medio). Si dice scarto semplice medio di una successione di n dati x1 , . . . , xn la media dei valori assoluti degli scarti. In simboli S= n 1X |xi − M | n i=1 dove M è la media aritmetica. Data la variabile statistica X con distribuzione ® x x . . . xk X= 1 2 f1 f2 . . . fk ´ indicando con n = f1 + . . . + fk , lo scarto semplice medio è k 1X S= |xi − M | fi n i=1 Se f1 , . . . , fk sono le frequenze relative, poiché f1 + . . . + fk = 1 si ha S= k X |xi − M | fi i=1 Se i dati sono distribuiti in classi per calcolare lo scarto semplice medio si prendono come valori i valori centrali delle classi e come frequenze le frequenze delle classi. 252 3.5. INDICI DI VARIABILITÀ RELATIVA 3.5 Indici di variabilità relativa Finora abbiamo considerato indici di variabilità assoluta. Consideriamo ora indici di variabilità relativa dati dal rapporto tra un indice di variabilità assoluta e un valore medio. L’indice di variabilità relativa più utilizzato è il coefficiente di variazione. Definizione 3.5.1 (Coefficiente di variazione). Si dice coefficiente di variazione di una successione di n dati x1 , . . . , xn il rapporto tra la deviazione standard e la media aritmetica. In simboli cv = σ M 3.6 Standardizzazione Definizione 3.6.1 (dati standardizzati). Una successione di n dati x1 , . . . , xn di dice standardizzata se ha media nulla e deviazione standard 1 Teorema 3.6.1 (dati standardizzati). Data una successione di n dati x1 , . . . , xn , con media M e deviazione standard σ, la successione xn − M x1 − M ,..., σ σ è standardizzata Definizione 3.6.2 (variabile statistica standardizzata). Una variabile statistica X di dice standardizzata se ha media nulla e deviazione standard 1 Teorema 3.6.2 (variabile statistica standardizzata). Data una variabile statistica ® x x . . . xk X= 1 2 f1 f2 . . . fk ´ con media M e deviazione standard σ, la variabile statistica x 1 Z= −M σ f1 x2 − M σ f2 xk − M ... σ ... fk è standardizzata 3.7 Rapporti statistici Definizione 3.7.1 (Rapporto statistico). Si chiama rapporto statistico il rapporto tra due dati di cui almeno uno statistico. 253 CAPITOLO 3. VARIABILITÀ 3.7.1 Rapporti di composizione Definizione 3.7.2 (Rapporti di composizione). Si chiama rapporto di composizione il rapporto tra una parte e il tutto. Esempio 3.7.1. sono rapporti di composizione: • le frequenze relative • la composizione di un cibo • la composizione della spesa di una famiglia 3.7.2 Rapporti di densità Definizione 3.7.3 (Rapporti di densità). Si chiama rapporto di densità il rapporto tra la frequenza di una modalità statistica e una grandezza presa come unità di misura (superficie, intervallo di tempo, ect) Esempio 3.7.2. La densità di popolazione, data dal rapporto tra il numero di abitanti e la superficie del territorio, è un rapporto di densità. 3.7.3 Rapporti di derivazione Definizione 3.7.4 (Rapporti di derivazione). Si chiama rapporto di derivazione il rapporto tra due grandezze statistiche tali che una deriva dall’altra. Esempio 3.7.3. Il rapporto tra il numero di divorzi e il numero di matrimoni è un rapporto di derivazione. 3.7.4 Rapporto di coesistenza Definizione 3.7.5 (Rapporto di coesistenza). Si chiama rapporto di coesistenza il rapporto tra due grandezze statistiche non legate da un nesso di causalità ma che è lo stesso utile confrontare Esempio 3.7.4. Il rapporto tra importazioni e esportazioni è un rapporto di coesistenza. 3.7.5 Numeri indici Definizione 3.7.6 (Numeri indici). ® ´ x1 x2 . . . xk si dicono numeri indici i Data una variabile o mutabile statistica X = f1 f2 . . . fk rapporti, moltiplicati per 100, tra ogni frequenza fi e una di esse assunta come base 254 3.7. RAPPORTI STATISTICI Osservazione La base può essere fissa o mobile, in particolare se ogni numero indice è calcolato usando come denominatore la frequenza della modalità precedente, i numeri indici sono detti a catena. 255 Capitolo 4 Variabili e mutabili statistiche bivariate 4.1 Introduzione Definizione 4.1.1 (Variabile statistica bivariata). Dati due caratteri quantitativi si dice variabile statistica bivariata (o doppia) che indichiamo con (X, Y ) una funzione che associa a ciascuna unità statistica una coppia formata da una modalità del primo carattere e da una modalità del secondo carattere Definizione 4.1.2 (Mutabile statistica bivariata). Dati due caratteri qualitativi si dice mutabile statistica bivariata (o doppia) che indichiamo con (X, Y ) una funzione che associa a ciascuna unità statistica una coppia formata da una modalità del primo carattere e da una modalità del secondo carattere Definizione 4.1.3 (Variabile statistica bivariata mista). Dati due caratteri, uno qualitativo e uno quantitativo, si dice variabile statistica bivariata (o doppia) mista che indichiamo con (X, Y ) una funzione che associa a ciascuna unità statistica una coppia formata da una modalità del primo carattere e da una modalità del secondo carattere 4.2 Distribuzioni di frequenze congiunte Definizione 4.2.1 (Frequenza congiunta (assoluta)). Si dice frequenza congiunta (assoluta) di una coppia di modalità (xi , yj ) il numero di volte in cui tale coppia si presenta. Definizione 4.2.2 (Frequenza congiunta relativa). Si dice frequenza congiunta relativa di una coppia di modalità (xi , yj ) il rapporto tra la frequenza congiunta assoluta e il numero di elementi della popolazione. Se si moltiplica la frequenza congiunta relativa per 100 si ottiene la frequenza congiunta relativa percentuale. Definizione 4.2.3 (Distribuzione congiunta di frequenze (assolute)). Si chiama distribuzione congiunta di frequenze (assolute) di una variabile o mutabile o variabile mista statistica bivariata (X, Y ) l’insieme delle coppie formate dalle coppie (xi , yj ) delle modalità e dalle loro frequenze assolute fij 256 4.3. DISTRIBUZIONI MARGINALI Per rappresentare la distribuzione congiunta di frequenze si utilizza una tabella a doppia entrata X x1 ... xr Y . . . ys . . . f1s ... ... . . . frs y1 f11 ... fr1 Definizione 4.2.4 (Distribuzione congiunta di frequenze relative). Si chiama distribuzione congiunta di frequenze relative di una variabile o mutabile o variabile mista statistica bivariata (X, Y ) l’insieme delle coppie formate dalle coppie (xi , yj ) delle modalità e dalle loro frequenze relative fij La rappresentazione è analoga a quella delle frequenze assolute. 4.3 Distribuzioni marginali Definizione 4.3.1 (Distribuzioni marginali). Se alla tabella delle distribuzioni congiunte delle frequenze assolute o relative di (X, Y ) si aggiunge la colonna con la somma delle frequenze di ogni riga e la riga con la somma delle frequenze di ogni colonna, si ottengono rispettivamente le distribuzione di frequenza di X e Y dette anche distribuzioni marginali. x1 y1 Y ... ys f11 ... f1s s X f1j j=1 X ... xr ... fr1 r X i=1 4.4 fi1 ... ... ... ... frs r X ... n X frj j=1 fis i=1 Rappresentazioni grafiche Le distribuzioni di frequenze delle variabili o mutabili o variabili miste statistiche bivariate possono essere visualizzate attraverso un grafico a tre dimensioni. Invece di un grafico a tre dimensioni si può utilizzare un grafico a due dimensioni, di cui il più noto è il diagramma a dispersione che si ottiene facendo corrispondere in un diagramma cartesiano a ogni coppia cerchi di ampiezza proporzionale alla frequenza della coppia. 257 CAPITOLO 4. VARIABILI E MUTABILI STATISTICHE BIVARIATE 4.5 Distribuzioni condizionate Definizione 4.5.1 (Variabile, mutabile, variabile mista statistiche condizionate). Data una variabile o mutabile o variabile statistica bivariata mista (X, Y ) si dice variabile o mutabile o variabile statistica mista X condizionata a Y = yj che indichiamo con X/Y = yj la funzione che associa a ciascuna unità statistica con modalità del secondo carattere uguale a yj una modalità del primo carattere. Definizione 4.5.2 (Distribuzione condizionata di frequenze (assolute)). Si dice distribuzione condizionata di frequenze (assolute) di una variabile o mutabile o variabile statistica mista condizionata X/Y = yj l’insieme delle coppie formate dalle modalità xi e dalle loro frequenze assolute fij Definizione 4.5.3 (Distribuzione condizionata di frequenze relative). Si dice distribuzione condizionata di frequenze relative di una variabile o mutabile o variabile statistica mista condizionata X/Y = yj l’insieme delle coppie formate dalle modalità xi e dalle loro frequenze relative fij In modo analogo si definisce la variabile o mutabile o variabile statistica mista Y condizionata a X = xi e le sue distribuzioni di frequenza. Esempio 4.5.1. In gruppo di 32 persone ci sono 15 italiani di cui 10 maschi e 5 femmine, 10 francesi di cui 7 maschi e 3 femmine, 7 tedeschi di cui 3 maschi e 4 femmine. La distribuzione di frequenze congiunte assolute della mutabile statistica bivariata (X =“nazionalità”,Y =”sesso”) con le distribuzioni marginali è: Y X It Fr Te M 10 7 3 20 F 5 3 4 12 15 10 7 32 La distribuzione di frequenza della mutabile statistica condizionata X/Y = M è ® It Fr Te X/Y = M = 10 7 3 ´ La distribuzione di frequenza della mutabile statistica condizionata Y /X = It è ® M F Y /X = It = 10 5 ´ 258 4.6. MEDIA E VARIANZA 4.6 Media e varianza Definizione 4.6.1 (Media e varianza). Data una variabile statistica bivariata (X, Y ), indicando con fij le frequenze relative congiunte, la media aritmetica di X è Ñ µx = X é xi · i X fij j la media aritmetica di Y è ! µy = X yj · j X fij i la varianza di X è Ñ σx2 = X é (xi − µx X )2 · f i ij j la varianza di Y è ! σy2 = X 2 (yj − µy ) · j X fij i Definizione 4.6.2 (Covarianza). Data una variabile statistica bivariata (X, Y ), indicando con fij le frequenze relative congiunte, la covarianza di (X, Y ) è σxy = XX i ((xi − µx )(yj − µy )fij ) j Definizione 4.6.3 (Coefficiente di correlazione lineare). Data una variabile statistica bivariata (X, Y ) si chiama coefficiente di correlazione lineare σxy ρ= σx σy Il coefficiente di correlazione lineare ρ gode delle seguenti proprietà: 1. −1 6 ρ 6 1 2. se ρ > 0 la correlazione è diretta o positiva, cioè all’aumentare dei valori di una variabile aumentano anche i valori dell’altra variabile 3. se ρ < 0 la correlazione è inversa o negativa, cioè all’aumentare dei valori di una variabile diminuiscono i valori dell’altra variabile 4. se ρ = 1 la correlazione è perfetta positiva 5. se ρ = −1 la correlazione è perfetta negativa 6. se ρ = 0 non esiste correlazione lineare 259 Capitolo 5 Strutture algebriche 5.1 5.1.1 Insiemi numerici Numeri naturali L’insieme dei numeri naturali viene indicato con N N = {0, 1, 2, 3, . . .} L’insieme dei numeri naturali privato dello 0 viene indicato con N0 N0 = {1, 2, 3, . . .} 5.1.2 Numeri pari L’insieme dei numeri pari viene indicato con P P = {0, 2, 4, . . .} L’insieme dei numeri pari privato dello 0 viene indicato con P0 P0 = {2, 4, . . .} 5.1.3 Numeri dispari L’insieme dei numeri dispari viene indicato con D D = {1, 3, 5, . . .} 5.1.4 Numeri interi L’insieme dei numeri interi viene indicato con Z Z = {. . . , −3, −2, −1, 0, 1, 2, 3, . . .} L’insieme dei numeri interi privato dello 0 viene indicato con Z0 Z0 = {. . . , −3, −2, −1, 1, 2, 3, . . .} 260 5.1. INSIEMI NUMERICI 5.1.5 Numeri razionali L’insieme dei numeri razionali, cioè l’insieme dei numeri decimali limitati e illimitati periodici, viene indicato con Q. L’insieme dei numeri razionali privato dello 0 viene indicato con Q0 5.1.6 Numeri irrazionali L’insieme dei numeri irrazionali, cioè l’insieme dei numeri decimali illimitati non periodici, viene indicato con I. 5.1.7 Numeri reali L’insieme dei numeri reali, cioè l’insieme dei numeri razionali e irrazionali, viene indicato con R. L’insieme dei numeri reali privato dello 0 viene indicato con R0 5.1.8 Numeri complessi L’insieme dei numeri complessi, cioè l’insieme dei numeri della forma a + ib con a, b reali e i unità immaginaria, viene indicato con C. L’insieme dei numeri complessi privato dello 0 viene indicato con C0 5.1.9 Classi di resto Una classe di resto di modulo n è l’insieme dei numeri interi che divisi per n danno lo stesso resto. Esempio 5.1.1. La classe di resto [0] di modulo 3 è formata dai numeri interi che divisi per 3 danno resto 0 [0] = {. . . , −9, −6, −3, 0, 3, 6, 9, . . .} La classe di resto [1] di modulo 3 è formata dai numeri interi che divisi per 3 danno resto 1 [1] = {. . . , −10, −7, −4, −1, 1, 4, 7, 10, . . .} L’insieme delle classi di resto di modulo n, si indica con Zn Esempio 5.1.2. L’insieme delle classi di resto di modulo 3 è Z3 = {[0], [1], [2]} 261 CAPITOLO 5. STRUTTURE ALGEBRICHE 5.2 Operazioni Definizione 5.2.1 (Operazione binaria interna). Si dice operazione binaria interna in un insieme A una funzione da A × A in A. In simboli: f :A×A→A f (a, b) = c a è detto primo termine, b secondo termine e c risultato dell’operazione. Generalmente un’operazione si indica con i simboli ∗ oppure > e invece della notazione c = ∗(a, b) si preferisce la notazione c=a∗b L’operazione si dice binaria perché opera su due termini e interna perché il risultato appartiene all’insieme A. L’insieme A si dice chiuso rispetto all’operazione ∗. 5.3 Strutture Definizione 5.3.1 (Struttura algebrica). Si dice struttura algebrica un insieme A dotato di una o più operazioni ∗1 , ∗2 , . . . , ∗n . La struttura algebrica si indica con: (A, ∗1 , ∗2 , . . . , ∗n ) A è detto supporto o sostegno della struttura, ∗1 prima operazione, ∗2 seconda operazione, e così via. Definizione 5.3.2 (Sottostruttura algebrica). Si dice sottostruttura di una struttura algebrica (A, ∗1 , ∗2 , . . . , ∗n ) la struttura (A0 , ∗1 , ∗2 , . . . , ∗n )) con A0 ⊆ A e A0 chiuso rispetto alle operazione ∗1 , ∗2 , . . . , ∗n . 5.4 5.4.1 Proprietà delle operazioni Commutativa Definizione 5.4.1 (Commutativa). Un’operazione ∗ in un insieme A gode della proprietà commutativa se e solo se ∀a, b ∈ A a ∗ b = b ∗ a 262 5.4. PROPRIETÀ DELLE OPERAZIONI 5.4.2 Idempotenza Definizione 5.4.2 (Idempotenza). Un’operazione ∗ in un insieme A gode della proprietà di idempotenza se e solo se ∀a ∈ A a ∗ a = a 5.4.3 Associativa Definizione 5.4.3 (Associativa). Un’operazione ∗ in un insieme A gode della proprietà associativa se e solo se ∀a, b, c ∈ A (a ∗ b) ∗ c = a ∗ (b ∗ c) 5.4.4 Esistenza dell’elemento neutro Definizione 5.4.4 (Esistenza dell’elemento neutro a sinistra). Un’operazione ∗ in un insieme A gode della proprietà di esistenza dell’elemento neutro a sinistra se e solo se ∃us ∈ A/∀a ∈ A us ∗ a = a Definizione 5.4.5 (Esistenza dell’elemento neutro a destra). Un’operazione ∗ in un insieme A gode della proprietà di esistenza dell’elemento neutro a destra se e solo se ∃ud ∈ A/∀a ∈ A a ∗ ud = a Definizione 5.4.6 (Esistenza dell’elemento neutro). Un’operazione ∗ in un insieme A gode della proprietà di esistenza dell’elemento neutro se e solo se ∃u ∈ A/∀a ∈ A u ∗ a = a ∗ u = a 5.4.5 Esistenza dell’elemento nullificatore Definizione 5.4.7 (Esistenza dell’elemento nullificatore a sinistra). Un’operazione ∗ in un insieme A gode della proprietà di esistenza dell’elemento nullificatore a sinistra se e solo se ∃ns ∈ A/∀a ∈ A ns ∗ a = ns Definizione 5.4.8 (Esistenza dell’elemento nullificatore a destra). Un’operazione ∗ in un insieme A gode della proprietà di esistenza dell’elemento nullificatore a destra se e solo se: ∃nd ∈ A/∀a ∈ A a ∗ nd = nd Definizione 5.4.9 (Esistenza dell’elemento nullificatore). Un’operazione ∗ in un insieme A gode della proprietà di esistenza dell’elemento nullificatore se e solo se ∃n ∈ A/∀a ∈ A n ∗ a = a ∗ n = n 263 CAPITOLO 5. STRUTTURE ALGEBRICHE 5.4.6 Esistenza dell’elemento inverso Definizione 5.4.10 (Esistenza dell’elemento inverso a sinistra). Sia ∗ un’operazione in un insieme A dotata di elemento neutro u. Un elemento a ∈ A ammette elemento inverso a sinistra, se e solo se ∃a0s ∈ A/a0s ∗ a = u Definizione 5.4.11 (Esistenza dell’elemento inverso a destra). Sia ∗ un’operazione in un insieme A dotata di elemento neutro u. Un elemento a ∈ A ammette elemento inverso a destra, se e solo se ∃a0d ∈ A/a ∗ a0d = u Definizione 5.4.12 (Esistenza dell’elemento inverso). Sia ∗ un’operazione in un insieme A dotata di elemento neutro u. Un elemento a ∈ A ammette elemento inverso, se e solo se ∃a0 ∈ A/a ∗ a0 = a0 ∗ a = u Definizione 5.4.13 (Esistenza dell’elemento inverso). Un’operazione ∗ in un insieme A dotata di elemento neutro u gode della proprietà di esistenza dell’elemento inverso, se e solo se ∀a ∈ A ∃a0 ∈ A/a ∗ a0 = a0 ∗ a = u 5.4.7 Distributiva Definizione 5.4.14 (Distributiva a sinistra). Siano ∗ e > due operazioni in un insieme A. L’operazione > gode della proprietà distributiva a sinistra rispetto all’operazione ∗, se e solo se ∀a, b, c ∈ A a>(b ∗ c) = (a>b) ∗ (a>c) Definizione 5.4.15 (Distributiva a destra). Siano ∗ e > due operazioni in un insieme A. L’operazione > gode della proprietà distributiva a destra rispetto all’operazione ∗, se e solo se ∀a, b, c ∈ A (a ∗ b)>c = (a>c) ∗ (b>c) Definizione 5.4.16 (Distributiva). Siano ∗ e > due operazioni in un insieme A. L’operazione > gode della proprietà distributiva rispetto all’operazione ∗, se e solo se gode delle proprietà distributive a destra e a sinistra 5.4.8 Assorbimento Definizione 5.4.17 (Assorbimento). Le operazioni ∗ e > in un insieme A godono della proprietà di assorbimento, se e solo se ∀a, b ∈ A a>(a ∗ b) = a ∗ (a>b) = a 264 5.5. CLASSIFICAZIONE DELLE STRUTTURE 5.5 Classificazione delle strutture Le strutture algebriche si possono classificare in base alle proprietà delle operazioni. Nelle strutture algebriche con un’operazione, indicheremo con ∗ l’operazione, con 0 l’elemento neutro, con −x, l’elemento inverso di x. Nelle strutture algebriche con due operazioni, indicheremo con ∗ la prima operazione, con > la seconda operazione, con 0 l’elemento neutro della prima operazione , con 1 l’elemento neutro della seconda operazione, con −x l’elemento inverso di x rispetto alla prima operazione, con x−1 l’elemento inverso di x rispetto alla seconda operazione 5.5.1 Semigruppo Definizione 5.5.1 (Semigruppo). Una struttura algebrica (A, ∗) si dice semigruppo, se ∗ gode della proprietà associativa 5.5.2 Semigruppo commutativo Definizione 5.5.2 (Semigruppo commutativo). Una struttura algebrica (A, ∗) si dice semigruppo commutativo o abeliano, se ∗ gode delle proprietà associativa e commutativa. 5.5.3 Monoide Definizione 5.5.3 (Monoide). Una struttura algebrica (A, ∗) si dice monoide, se ∗ gode delle proprietà associativa e di esistenza dell’elemento neutro 5.5.4 Monoide commutativo Definizione 5.5.4 (Monoide commutativo). Una struttura algebrica (A, ∗) si dice monoide commutativo o abeliano, se ∗ gode delle proprietà associativa, commutative, di esistenza dell’elemento neutro. 5.5.5 Gruppo Definizione 5.5.5 (Gruppo). Una struttura algebrica (A, ∗) si dice gruppo, se ∗ gode delle proprietà associativa, di esistenza dell’elemento neutro e di esistenza dell’elemento inverso. 5.5.6 Gruppo commutativo Definizione 5.5.6 (Gruppo commutativo). Una struttura algebrica (A, ∗) si dice gruppo commutativo o abeliano, se ∗ gode delle proprietà associativa, commutativa, di esistenza dell’elemento neutro e di esistenza dell’elemento inverso 265 CAPITOLO 5. STRUTTURE ALGEBRICHE Definizione 5.5.7 (Gruppo ciclico). Una gruppo (A, ∗) si dice ciclico, se ∃a ∈ A/∀x ∈ A ∃n ∈ N/x = a . . ∗ a} | ∗ .{z n volte a è detto generatore del gruppo. 5.5.7 Anello Definizione 5.5.8 (Anello). Una struttura algebrica (A, ∗, >) si dice anello, se ∗ gode delle proprietà associativa, commutativa, di esistenza dell’elemento neutro, di esistenza dell’elemento inverso e > gode delle proprietà associativa, e distributiva rispetto a ∗ Definizione 5.5.9 (Divisore dello 0 a sinistra). Sia (A, ∗, >) un anello. Un elemento x ∈ A diverso da 0 si dice divisore dello zero a sinistra se esiste y ∈ A diverso da 0, tale che x>y = 0. Definizione 5.5.10 (Divisore dello 0 a destra). Sia (A, ∗, >) un anello. Un elemento x ∈ A diverso da 0 si dice divisore dello zero a destra se esiste y ∈ A diverso da 0, tale che y>x = 0. Osservazione Se x è divisore dello zero a sinistra y lo è a destra e viceversa. 5.5.8 Anello commutativo Definizione 5.5.11 (Anello commutativo). Una struttura algebrica (A, ∗, >) si dice anello commutativo o abeliano, se ∗ gode delle proprietà associativa, commutativa, di esistenza dell’elemento neutro, di esistenza dell’elemento inverso e > gode delle proprietà associativa, commutativa e distributiva rispetto a ∗ 5.5.9 Anello con unità Definizione 5.5.12 (Anello con unità). Una struttura algebrica (A, ∗, >) si dice anello con unità, se ∗ gode delle proprietà associativa, commutativa, di esistenza dell’elemento neutro, di esistenza dell’elemento inverso e > gode delle proprietà associativa, di esistenza dell’elemento neutro e distributiva rispetto a ∗ 5.5.10 Anello commutativo con unità Definizione 5.5.13 (Anello commutativo con unità). Una struttura algebrica (A, ∗, >) si dice anello commutativo con unità, se ∗ gode delle proprietà associativa, commutativa, di esistenza dell’elemento neutro, di esistenza dell’elemento inverso e > gode delle proprietà associativa, commutativa, di esistenza dell’elemento neutro e distributiva rispetto a ∗ 266 5.6. STRUTTURE ALGEBRICHE CON INSIEMI NUMERICI 5.5.11 Dominio di integrità Definizione 5.5.14 (Dominio di integrità). Si dice dominio di integrità un anello commutativo con unità che non ha divisori dello zero Definizione 5.5.15 (Legge dell’annullamento del prodotto). In un anello (A, ∗, >) vale la legge dell’annullamento del prodotto, se e solo se ∀x, y ∈ A x>y = 0 ⇔ x = 0 ∨ y = 0 Teorema 5.5.1 (Legge dell’annullamento del prodotto). In un anello (A, ∗, >) vale la legge dell’annullamento del prodotto, se e solo se è privo di divisori dello zero. 5.5.12 Corpo Definizione 5.5.16 (Corpo). Una struttura algebrica (A, ∗, >) si dice corpo, se ∗ gode delle proprietà associativa, commutativa, di esistenza dell’elemento neutro, di esistenza dell’elemento inverso e > gode delle proprietà associativa, di esistenza dell’elemento neutro, di esistenza dell’elemento inverso in A0 e distributiva rispetto a ∗ Teorema 5.5.2 (Divisori dello zero). Un corpo (A, ∗, >) è privo di divisori dello 0. 5.5.13 Campo Definizione 5.5.17 (Campo). Una struttura algebrica (A, ∗, >) si dice campo, se ∗ gode delle proprietà associativa, commutativa, di esistenza dell’elemento neutro, di esistenza dell’elemento inverso e > gode delle proprietà associativa, commutativa, di esistenza dell’elemento neutro, di esistenza dell’elemento inverso in A0 e distributiva rispetto a ∗ 5.6 Strutture algebriche con insiemi numerici (N, +) è un monoide commutativo (N, ·) è un monoide commutativo (Z, +) è un gruppo commutativo (Z, ·) è un monoide commutativo (Q, +) è un gruppo commutativo (Q0 , ·) è un gruppo commutativo (R, +) è un gruppo commutativo (R0 , ·) è un gruppo commutativo (C, +) è un gruppo commutativo (C0 , ·) è un gruppo commutativo (Z, +, ·) è un anello commutativo con unità (Q, +, ·) è un campo 267 CAPITOLO 5. STRUTTURE ALGEBRICHE (R, +, ·) è un campo (C, +, ·) è un campo 5.7 Morfismo Definizione 5.7.1 (Morfismo). Date due strutture algebriche (A, ∗) e (A0 , ∗0 ), si dice morfismo una funzione f : A → A0 che gode della seguente proprietà: ∀a, b ∈ A f (a ∗ b) = f (a) ∗0 f (b) La definizione di morfismo si può estendere al caso di strutture dotate di più operazioni. 5.8 Isomorfismo Definizione 5.8.1 (Isomorfismo). Si dice isomorfismo un morfismo biettivo. Definizione 5.8.2 (Strutture isomorfe). Due strutture si dicono isomorfe se esiste un isomorfismo tra di esse. Due strutture isomorfe possono essere tra loro identificate. Definizione 5.8.3 (Ampliamento). Se una struttura (A0 , ∗0 ) è isomorfa ad una sottostruttura (A, ∗) di (B, ∗), si dice che (B, ∗) è un ampliamento di (A0 , ∗0 ) 268 Capitolo 6 Esponenziali e logaritmi 6.1 Potenze con esponente reale 6.1.1 Proprietà delle potenze con esponente reale Per le potenze con base reale positiva e esponente reale valgono le seguenti proprietà: 1. aα · aβ = aα+β aα 2. β = aα−β a 3. (aα )β = aα·β 4. (a · b)α = aα · bα 5. Å ãα 6. a a b −α = aα bα Ç åα = 1 a con a, b ∈ R+ , α, β ∈ R 6.2 Funzione esponenziale Definizione 6.2.1 (funzione esponenziale). Si dice funzione esponenziale la funzione f :R→R f (x) = ax con a ∈ R+ − {1} Osservazione Nella funzione esponenziale si pone a 6= 1 perché se a = 1 si ottiene la funzione costante f (x) = 1. 269 CAPITOLO 6. ESPONENZIALI E LOGARITMI 6.2.1 Grafico della funzione esponenziale Il grafico della funzione esponenziale varia a seconda che 0 < a < 1 o a > 1. Esempio 6.2.1. 8 y 7 6 5 4 3 2 1 x −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 5 6 7 8 −1 Ç åx Figura 6.1: grafico di f (x) = 1 2 Una funzione esponenziale di particolare importanza è f (x) = ex , dove e è un numero irrazionale detto numero di Nepero. Un valore approssimato di e è 2, 718 Esempio 6.2.2. 270 6.2. FUNZIONE ESPONENZIALE 8 y 7 6 5 4 3 2 1 x −7 −6 −5 −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 5 Figura 6.2: grafico di f (x) = ex 6.2.2 Caratteristiche della funzione esponenziale La funzione esponenziale f :R→R f (x) = ax con a ∈ R+ − {1} ha le seguenti carattetistiche: 1. dominio D=R 2. codominio f (D) = R+ 3. il grafico interseca l’asse y nel punto (0, 1) e non interseca l’asse x 4. la funzione è iniettiva 5. se 0 < a < 1 la funzione è decrescente in senso stretto, cioè ∀x1 , x2 ∈ R, x1 < x2 ⇒ ax1 > ax2 6. se a > 1 la funzione è crescente in senso stretto, cioè ∀x1 , x2 ∈ R, x1 < x2 ⇒ ax1 < ax2 271 CAPITOLO 6. ESPONENZIALI E LOGARITMI 6.3 Logaritmo Definizione 6.3.1 (Logaritmo). Dati a ∈ R+ − {1} e b ∈ R+ si dice logaritmo in base a di b l’esponente da dare a a per ottenere b. In simboli: x = loga (b) ⇔ ax = b Il numero b si dice argomento del logaritmo. Dalla definizione si ha loga (1) = 0 e loga (a) = 1 Osservazione Si pone loge (x) = ln(x) e log10 (x) = log(x) 6.3.1 Proprietà dei logaritmi Per i logaritmi valgono le seguenti proprietà. 1. Logaritmo di un prodotto loga (bc) = loga (b) + loga (c) con a ∈ R+ − {1}, b, c ∈ R+ 2. Logaritmo di una potenza loga (bc ) = c loga (b) con a ∈ R+ − {1}, b ∈ R+ , c ∈ R 3. Logaritmo di un quoziente Ç å loga b c = loga (b) − loga (c) con a ∈ R+ − {1}, b, c ∈ R+ 4. Cambiamento di base logc (b) loga (b) = logc (a) con a, c ∈ R+ − {1}, b ∈ R+ 272 6.4. FUNZIONE LOGARITMICA 6.4 Funzione logaritmica Definizione 6.4.1 (funzione logaritmica). Si dice funzione logaritmica la funzione f : R+ → R f (x) = loga (x) con a ∈ R+ − {1} 6.4.1 Grafico della funzione logaritmica Esempio 6.4.1. 5 y 4 3 2 1 x −2 −1 O −1 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 −2 −3 −4 −5 Figura 6.3: grafico di f (x) = log 1 (x) 2 Due funzioni logaritmiche di particolare importanza sono f (x) = log(x) e f (x) = ln(x) Esempio 6.4.2. 273 CAPITOLO 6. ESPONENZIALI E LOGARITMI y 2 1 x O 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 −1 −2 −3 −4 −5 Figura 6.4: grafico di f (x) = log(x) 3 y 2 1 x −1 O −1 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 −2 −3 −4 −5 Figura 6.5: grafico di f (x) = ln(x) 6.4.2 Caratteristiche della funzione logaritmica La funzione logaritmica f : R+ → R f (x) = loga (x) con a ∈ R+ − {1} ha le seguenti carattetistiche: 1. dominio D =]0, +∞[ 274 11 12 6.5. EQUAZIONI ESPONENZIALI 2. codominio f (D) = R 3. il grafico interseca l’asse x nel punto (1, 0) e non interseca l’asse y 4. la funzione è biiettiva 5. se 0 < a < 1 la funzione è decrescente in senso stretto cioè ∀x1 , x2 ∈ R+ , x1 < x2 ⇒ loga (x1 ) > loga (x2 ) 6. se a > 1 la funzione è crescente in senso stretto cioè ∀x1 , x2 ∈ R+ , x1 < x2 ⇒ loga (x1 ) < loga (x2 ) 6.5 Equazioni esponenziali 6.5.1 Equazioni esponenziali elementari Definizione 6.5.1 (Equazione esponenziale elementare). Dati a ∈ R+ − {1}, b ∈ R si dice elementare l’equazione esponenziale: ax = b Per risolvere questo tipo di equazione si analizza il valore di b: • Se b 6 0, poiché la funzione esponenziale è sempre positiva, l’equazione è impossibile • Se b > 0, l’equazione ammette un’unica soluzione x = loga (b) 6.5.2 Altri tipi di equazioni esponenziali Se l’equazione si può scrivere nella forma af (x) = ag(x) l’equazione è equivalente a f (x) = g(x) Per risolvere alcuni tipi di equazioni esponenziali può essere utile effettuare una sostituzione per ottenere un’equazione algebrica. 275 CAPITOLO 6. ESPONENZIALI E LOGARITMI 6.6 Disequazioni esponenziali 6.6.1 Disequazioni esponenziali elementari Definizione 6.6.1 (Disequazioni esponenziali elementari). Dati a ∈ R+ − {1}, b ∈ R si dicono elementari le disequazioni esponenziali: ax > b ax > b ax < b ax 6 b Per risolvere la disequazione ax > b si analizza il valore di b: • Se b 6 0, poiché la funzione esponenziale è sempre positiva, la disequazione è verificata ∀x∈R • Se b > 0 ∧ 0 < a < 1, poiché la funzione esponenziale è decrescente in senso stretto, la soluzione è x < loga (b) • Se b > 0 ∧ a > 1, poiché la funzione è esponenziale crescente in senso stretto, la soluzione è x > loga (b) Analogamente per gli altri casi 6.6.2 Altri tipi di disequazioni esponenziali Se la disequazione si può scrivere nella forma af (x) > ag(x) la disequazione è equivalente a f (x) < g(x) se 0 < a < 1 f (x) > g(x) se a > 1 Analogamente per gli altri casi Per risolvere alcuni tipi di disequazioni esponenziali può essere utile effettuare una sostituzione per ottenere una disequazione algebrica. 276 6.7. EQUAZIONI LOGARITMICHE 6.7 Equazioni logaritmiche 6.7.1 Equazioni logaritmiche elementari Definizione 6.7.1 (Equazione logaritmica elementare). Dati a ∈ R+ − {1}, b ∈ R si dice elementare l’equazione logaritmica: loga (x) = b L’equazione è risolubile qualunque sia il valore di b. L’equazione loga (x) = b è equivalente a x >0 x = ab Dove la disequazione è la condizione di esistenza. Poiché ab > 0, la soluzione è x = ab Osservazione Nelle equazioni logaritmiche elementari la condizione di esistenza si può omettere 6.7.2 Altri tipi di equazioni logaritmiche L’equazione loga (f (x)) = loga (g(x)) è equivalente a f (x) >0 g(x) > 0 f (x) = g(x) Osservazione Le due disequazioni sono le condizioni di esistenza. Osservazione Se l’equazione è riconducibile al tipo precedente, per risolverla: 1. si scrivono le condizioni di esistenza 2. si trasforma l’equazione nella forma loga (f (x)) = loga (g(x)) 277 CAPITOLO 6. ESPONENZIALI E LOGARITMI 3. si uguagliano gli argomenti dei logaritmi f (x) = g(x) 4. si risolve l’equazione ottenuta 5. si controlla se le soluzioni soddisfano le condizioni di esistenza Per risolvere alcuni tipi di equazioni logaritmiche può essere utile effettuare una sostituzione per ottenere un’equazione algebrica. 6.8 Disequazioni logaritmiche 6.8.1 Disequazioni logaritmiche elementari Definizione 6.8.1 (Disequazioni logaritmiche elementari). Dati a ∈ R+ − {1}, b ∈ R si dicono elementari le disequazioni logaritmiche: loga (x) > b loga (x) > b loga (x) < b loga (x) 6 b La disequazione loga (x) > b • se 0 < a < 1, poiché la funzione logaritmica è decrescente in senso stretto, è equivalente a x >0 x < ab e la soluzione è 0 < x < ab • Se a > 1, poiché la funzione logaritmica è crescente in senso stretto, è equivalente a x >0 x > ab e la soluzione è x > ab Analogamente per gli altri casi 278 6.8. DISEQUAZIONI LOGARITMICHE 6.8.2 Altri tipi di disequazioni logaritmiche La disequazione loga (f (x)) > loga (g(x)) è equivalente a f (x) >0 g(x) > 0 se 0 < a < 1 f (x) < g(x) f (x) >0 g(x) > 0 se a > 1 f (x) > g(x) Analogamente per gli altri casi Osservazione Se la disequazione è riconducibile al primo caso dei precedenti, per risolverla: 1. si scrivono le condizioni di esistenza 2. si trasforma nella forma loga (f (x)) > loga (g(x)) 3. si scrive il sistema formato dalle condizioni di esistenza e da • f (x) < g(x) se 0 < a < 1 • f (x) > g(x) se a > 1 4. si risolve il sistema ottenuto Si procede analogamente per le disequazioni riconducibili alle altre forme. Per risolvere alcuni tipi di disequazioni logaritmiche può essere utile, dopo aver scritto le condizioni di esistenza, effettuare una sostituzione per ottenere una disequazione algebrica. 279 Capitolo 7 Matrici 7.1 Introduzione Definizione 7.1.1 (Matrice). Si dice matrice di numeri reali una tabella di numeri reali disposti su righe e colonne L’insieme delle matrici reali di m righe e n colonne si indica con Rm×n . Se la matrice A ∈ Rm×n si dice che è una matrice m × n. In una matrice A l’elemento appartenente alla riga i e colonna j si indica con aij . Quindi la generica matrice A è a11 a12 a21 a22 ... ... am1 am2 á A= . . . a1n . . . a2n ... ... . . . amn ë o A = (aij ) Definizione 7.1.2 (Combinazione lineare di righe). Dati la matrice a11 a12 a21 a22 ... ... am1 am2 á A= . . . a1n . . . a2n ... ... . . . amn ë ∈ Rm×n e i numeri λ, µ ∈ R si dice combinazione linerare delle righe i e j la riga λai1 + µaj1 λai2 + µaj2 . . . λain + µajn In modo analogo si definisce la combinazione lineare di colonne. Definizione 7.1.3 (Matrice quadrata). Si dice matrice quadrata una matrice in cui il numero di righe è uguale al numero di colonne 280 7.2. SOMMA DI MATRICI In una matrice quadrata A si dice diagonale principale la diagonale che contiene gli elementi aii . Definizione 7.1.4 (Trasposta). Si dice trasposta di una matrice A ∈ Rm×n la matrice At ∈ Rn×m che si ottiene scambiando le righe con le colonne Definizione 7.1.5 (Matrice simmetrica). Una matrice si dice simmetrica se è uguale alla sua trasposta Definizione 7.1.6 (Matrice diagonale). Si dice matrice diagonale una matrice quadrata in cui sono nulli tutti gli elementi non appartenenti alla diagonale pricipale Definizione 7.1.7 (Matrice unità o matrice identità). Si dice matrice unità o matrice identità la matrice diagonale in cui gli elementi della diagonale pricipale sono tutti 1 e si indica con I Definizione 7.1.8 (Matrice nulla). Si dice matrice nulla la matrice in cui tutti gli elementi sono 0 e si indica con N Definizione 7.1.9 (Matrice triangolare superiore). Si dice matrice triangolare superiore una matrice quadrata in cui sono nulli tutti gli elementi che si trovano sotto la diagonale principale Definizione 7.1.10 (Matrice triangolare inferiore). Si dice matrice triangolare inferiore una matrice quadrata in cui sono nulli tutti gli elementi che si trovano sopra la diagonale principale 7.2 Somma di matrici Definizione 7.2.1 (Somma di matrici). Date le matrici Ä ä Ä ä A = aij , B = bij ∈ Rm×n si dice somma di A e B la matrice Ä ä A + B = aij + bij ∈ Rm×n 7.2.1 Proprietà della somma di matrici La somma di matrici gode delle seguenti proprietà: 1. commutativa: ∀A, B ∈ Rm×n A + B = B + A 281 CAPITOLO 7. MATRICI 2. associativa: ∀A, B, C ∈ Rm×n A + (B + C) = (A + B) + C 3. esistenza dell’elemento neutro: ∃N ∈ Rm×n /∀A ∈ Rm×n A + N = A (N è la matrice nulla) 4. esistenza dell’opposto: ∀A ∈ Rm×n ∃ − A ∈ Rm×n /A + (−A) = N dove N è la matrice nulla. −A ∈ Rm×n è la matrice i cui elementi sono gli opposti degli elementi delle matrice A 5. ∀A, B ∈ Rm×n (A + B)t = At + B t 7.3 Prodotto di un numero reale per una matrice Definizione 7.3.1 (Prodotto di un numero reale per una matrice). Dati il numero λ ∈ R e la matrice Ä ä A = aij ∈ Rm×n si dice prodotto di λ per A la matrice Ä ä λA = λ · aij ∈ Rm×n 7.3.1 Proprietà del prodotto di un numero reale per una matrice Il prodotto di un numero reale per una matrice gode delle seguenti proprietà: 1. ∀λ, µ ∈ R, ∀A ∈ Rm×n (λµ)A = λ(µA) 2. ∀A ∈ Rm×n 1 · A = A 3. ∀λ, µ ∈ R, ∀A ∈ Rm×n (λ + µ)A = λA + µA 4. ∀λ ∈ R, ∀A, B ∈ Rm×n λ(A + B) = λA + λB 282 7.4. PRODOTTO DI MATRICI 7.4 Prodotto di matrici Definizione 7.4.1 (Prodotto di matrici). Date le matrici Ä ä Ä ä A = aij ∈ Rm×n , B = bij ∈ Rn×p si dice prodotto di A e B la matrice Ä ä A · B = cij ∈ Rm×p dove cij = n X aik · bkj k=1 Osservazione 1. Il prodotto di matrici si può effettuare se il numero di colonne della prima matrice è uguale al numero di righe della seconda. 2. L’elemento cij è dato dal prodotto scalare dei vettori che hanno rispettivamente come componenti gli elementi della riga i della prima matrice e gli elementi della colonna j della seconda matrice. 7.4.1 Proprietà del prodotto di matrici Il prodotto di matrici gode delle seguenti proprietà: 1. associativa: ∀A ∈ Rm×n , B ∈ Rn×p , C ∈ Rp×q A(BC) = (AB)C 2. esistenza dell’elemento neutro a sinistra: ∃I ∈ Rm×m /∀A ∈ Rm×n IA = A (I è la matrice identità) 3. esistenza dell’elemento neutro a destra: ∃I ∈ Rn×n /∀A ∈ Rm×n AI = A (I è la matrice identità) 4. distributiva rispetto all’addizione a sinistra: ∀A ∈ Rm×n , B, C ∈ Rn×p A(B + C) = AB + AC 5. distributiva rispetto all’addizione a destra: ∀A, B ∈ Rm×n , C ∈ Rn×p (A + B)C = AC + BC 283 CAPITOLO 7. MATRICI 6. ∀A ∈ Rm×n , B ∈ Rn×p (AB)t = B t At Osservazione Il prodotto di matrici non gode della proprietà commutativa. Osservazione Per il prodotto di matrici non vale la legge di annullamento del prodotto. Esempio 7.4.1. Date le matrici Ç 1 1 A= 0 0 å e Ç 1 0 B= −1 0 å Il prodotto di A e B è la matrice Ç 0 0 AB = 0 0 å AB è la matrice nulla nonostante sia A che B siano diverse dalla matrice nulla. 7.5 Determinante A ogni matrice quadrata si può associare un numero reale detto determinante Definizione 7.5.1 (Determinante matrice 1 per 1). Data la matrice Ä ä A = a11 ∈ R1×1 il determinante di A è det(A) = a11 = a11 Definizione 7.5.2 (Determinante matrice 2 per 2). Data la matrice Ç å a a A = 11 12 ∈ R2×2 a21 a22 il determinante di A è det(A) = a11 a12 = a11 a22 − a12 a21 a21 a22 284 7.5. DETERMINANTE 7.5.1 Complemento algebrico Definizione 7.5.3 (Complemento algebrico). Data la matrice quadrata Ä ä A = aij ∈ Rn×n si dice complemento algebrico dell’elemento aij e si indica con Aij il prodotto tra (−1)i+j e il determinante della matrice che si ottiene eliminando la riga i e la colonna j dalla matrice A 7.5.2 Calcolo del determinante con la regola di Laplace Definizione 7.5.4 (Determinante matrice n per n). Data la matrice quadrata A ∈ Rn×n il determinante di A è uguale alla somma dei prodotti degli elementi di una riga o colonna di A per i rispettivi complementi algebrici 7.5.3 Proprietà dei determinanti I determinanti godono delle seguenti proprietà. 1. Se A ∈ Rn×n ha una riga o una colonna con tutti gli elementi nulli allora det(A) = 0 2. Se si moltiplicano tutti gli elementi di una riga o di una colonna di A ∈ Rn×n per un fattore λ allora, detta B la nuova matrice, si ha: det(B) = λ det(A) 3. Se in A ∈ Rn×n si scambiano fra loro due righe o due colonne, allora, detta B la nuova matrice, si ha: det(B) = − det(A) 4. Se A ∈ Rn×n ha gli elementi di due righe o due colonne proporzionali, allora det(A) = 0 5. Se in A ∈ Rn×n agli elementi di una riga (colonna) si aggiungono gli elementi di un’altra riga (colonna) moltiplicati per un numero, allora, detta B la nuova matrice, si ha: det(B) = det(A) 6. Se in A ∈ Rn×n una riga (colonna) è combinazione lineare di due righe (colonne) allora det(A) = 0 7. Se A, B ∈ Rn×n , allora det(A · B) = det(A) · det(B) 285 CAPITOLO 7. MATRICI 7.6 Inversa di una matrice Definizione 7.6.1 (Matrice invertibile). Data la matrice quadrata A ∈ Rn×n , si dice che A è invertibile se esiste una matrice quadrata A−1 ∈ Rn×n /A−1 A = AA−1 = I (I è la matrice identità). La matrice A−1 si dice matrice inversa di A. Teorema 7.6.1 (Matrice invertibile). Una matrice quadrata A è invertibile, se e solo se det(A) 6= 0. Per determinare l’inversa di una matrice A invertibile: 1. si scrive la matrice dei complementi algebrici (Aij ) 2. la matrice inversa è A−1 = 1 (Aij )t det(A) Consideriamo il caso di una generica matrice quadrata 2 × 2: Ç a11 a12 a21 a22 å La matrice inversa è: Ç 1 a22 −a12 −a a11 det(A) 21 å Quindi, nel caso di matrice 2 × 2, per determinare l’inversa si moltiplica l’inverso del determinante per la matrice ottenuta scambiando gli elementi della diagonale principale e cambiando il segno degli altri elementi. 7.6.1 Proprietà della matrice inversa La matrice inversa gode delle seguenti proprietà: 1. unicità: data la matrice quadrata A invertibile, la matrice inversa A−1 è unica. 2. invertibilità del prodotto: se le matrici A e B sono invertibili, allora la matrice AB è invertibile e (AB)−1 = B −1 A−1 7.7 Riduzione di una matrice Definizione 7.7.1 (Matrice ridotta per righe). Una matrice A ∈ Rm×n si dice ridotta per righe se in ogni riga non nulla di A c’è un elemento non nullo al di sotto del quale ci sono soltanto zeri. Ogni matrice si può ridurre per righe, cioè trasformare in un’altra matrice ridotta per righe, applicando le seguenti trasformazioni: 286 7.8. RANGO DI UNA MATRICE 1. sommare ad una riga un’altra riga moltiplicata per una costante 2. scambiare due righe 3. moltiplicare una riga per una costante non nulla Per ridurre una matrice per righe è sufficiente la prima trasformazione, ma utilizzando le altre due si possono rendere più facili i passaggi. Per ridurre una matrice per righe: 1. si sceglie un elemento non nullo della prima riga non nulla e si annullano gli elementi che stanno sotto 2. si ripete il procedimento per le altre righe non nulle 7.8 Rango di una matrice Il rango di una matrice A ∈ Rm×n è il numero di righe non nulle della matrice ridotta per righe e si indica con r(A). 287 Capitolo 8 Sistemi lineari 8.1 Introduzione Consideriamo il generico sistema lineare di m equazioni in n incognite: a11 x1 a21 x1 + a12 x2 + · · · + a1n xn = b1 + a22 x2 + · · · + a2n xn = b2 ... am1 x1 + am2 x2 + · · · + amn xn = bm Ponendo á a11 a12 a21 a22 A= ... ... am1 am2 x1 x2 ... xn á X= . . . a1n . . . a2n ... ... . . . amn ë ë b1 b2 B= ... bm il sistema si può scrivere come AX = B. A è la matrice dei coefficienti X è il vettore colonna delle incognite B è il vettore colonna dei termini noti La matrice ë á a11 a12 . . . a1n b1 a21 a22 . . . a2n b2 A|B = ... ... ... ... ... am1 am2 . . . amn bm á ë si dice matrice completa del sistema. 288 8.2. RISOLUZIONE DI UN SISTEMA LINEARE 8.2 Risoluzione di un sistema lineare Si dice soluzione del sistema una qualunque n-upla di numeri reali che soddisfi tutte le equazioni del sistema. Un sistema che ammette almeno una soluzione si dice risolubile o compatibile, altrimenti si dice incompatibile o impossibile. Un sistema risolubile con una sola soluzione si dice determinato. Un sistema lineare si dice ridotto se la matrice dei coefficienti è ridotta per righe. Per ridurre un sistema lineare si considera la matrice completa e si applicano le trasformazioni sulle righe fino a che la matrice dei coefficienti è ridotta. Il sistema ridotto e quello dato sono equivalenti. Per stabilire se un sistema AX = B è risolubile o no e per risolverlo: 1. si scrive la matrice completa A|B 2. si applicano le trasformazioni ad A|B in modo che A sia ridotta per righe 3. si determinano r(A) e r(A|B) 4. si applica il teorema di Rouché-Capelli: (a) se r(A) 6= r(A|B), allora il sistema è impossibile (b) se r(A) = r(A|B), allora il sistema è risolubile. In particolare, se r(A) = r(A|B) = k e n è il numero delle incognite, si ha: • se n = k, allora il sistema è determinato • se n > k, allora il sistema è indeterminato con ∞n−k soluzioni che dipendono da n − k parametri 5. per trovare la soluzione si ricava un’incongita da un’equazione del sistema ridotto e si sostituisce nelle altre equazioni, introducendo eventuali parametri. Un sistema in cui il numero delle incognite è uguale al numero delle equazioni si può anche risolvere con il metodo di Cramer: • se det(A) 6= 0, allora il sistema è determinato • se det(A) = 0, allora il sistema è impossibile o risolubile ma non determinato 8.3 Sistemi con parametro In alcuni sistemi, oltre alle incognite, sono presenti altre lettere dette parametri. In questi casi si deve discutere la risolubilità del sistema al variare dei parametri e determinare eventualmente la soluzione. Esempio 8.3.1. 289 CAPITOLO 8. SISTEMI LINEARI • Discutiamo al variare di m ∈ R il seguente sistema: x + 3y +z =5 mx + 2z = 0 my − z = 0 Scriviamo la matrice completa del sistema Ö A|B = 1 3 1 5 m 0 2 0 0 m −1 0 è Riduciamo per righe R2 → R2 − 2R1 R3 → R3 + R1 Ö 1 3 1 5 m − 2 −6 0 −10 5 1 m+3 0 è R3 → 6R3 + (m + 3)R2 Ö 1 3 1 5 m − 2 −6 0 −10 m2 + m 0 0 −10m è La matrice è ridotta. Se m = 0, r(A) = r(A|B) = 2, quindi, per il teorema di Rouché-Capelli, il sistema è risolubile e ha ∞3−2 = ∞1 soluzioni che dipendono da un parametro: ( x + 3y + z = 5 − 2x − 6y = −10 z = 5 − 5 + 3α − 3α x = 5 − 3α y=α x = 5 − 3α y=α z=0 Se m = −1, r(A) = 2 e r(A|B) = 3, quindi, per il teorema di Rouché-Capelli, il sistema è impossibile. Se m 6= 0 ∧ m 6= −1, r(A) = r(A|B) = 3, quindi, per il teorema di Rouché-Capelli, il sistema è risolubile e ha una soluzione x + 3y +z =5 (m − 2)x − 6y = −10 (m2 + m)x = −10m 290 8.3. SISTEMI CON PARAMETRO x + 3y + z = −10m + 20 x m+1 −10 = m+1 5 − 6y = −10 x + 3y + z = 5 −10m + 20 + 10m + 10 6y = x m+1 −10 = m+1 15 −10 + +z =5 m+1 m+1 5 y= m+1 −10 x = m+1 z =5− 5 m+1 5 m+1 −10 = m+1 y= x −10 m+1 5 y= m+1 5m z = m+1 x = • Discutiamo al variare di h, k ∈ R il seguente sistema: 3x 1 + hx2 + x3 = 1 x1 − x2 + hx3 = −2 4x1 − 3x2 − x3 = k Risolviamolo con il metodo di Cramer. 3 h 1 D = 1 −1 h = 2(h + 2)(2h + 1) 4 −3 −1 Dx1 1 h 1 = −2 −1 h = h2 k + k + h + 7 k −3 −1 291 CAPITOLO 8. SISTEMI LINEARI D x2 3 1 1 = 1 −2 h = −3hk + k + 4h + 15 4 k −1 D x3 3 h 1 = 1 −1 −2 = −hk − 3k − 8h − 17 4 −3 k D = 0 ⇔ h = −2 ∨ h = − 1 2 1 Se h 6= −2 ∧ h 6= − , il sistema è risolubile e ha una soluzione: 2 h2 k + k + h + 7 2(h + 2)(2h + 1) −3hk + k + 4h + 15 x2 = 2(h + 2)(2h + 1) −hk − 3k − 8h − 17 x1 = 2(h + 2)(2h + 1) x1 = Se h = −2, scriviamo la matrice completa del sistema: Ö A|B = 3 −2 1 1 1 −1 −2 −2 4 −3 −1 k è Riduciamo per righe R2 → 3R2 − R1 R3 → 3R3 − 4R1 Ö 3 −2 1 1 0 −1 −7 −7 0 −1 −7 3k − 4 è R3 → R3 − R2 Ö 3 −2 1 1 0 −1 −7 −7 0 0 0 3k + 3 è La matrice è ridotta. Se h = −2 ∧ k 6= −1, r(A) = 2 e r(A|B) = 3, quindi, per il teorema di Rouché-Capelli, il sistema è impossibile. Se h = −2 ∧ k = −1, r(A) = r(A|B) = 2, quindi, per il teorema di Rouché-Capelli, il sistema è risolubile e ha ∞3−2 = ∞1 soluzioni che dipendono da un parametro: ( 3x1 − 2x2 + x3 = 1 − x2 − 7x3 = −7 292 8.3. SISTEMI CON PARAMETRO x 1 = 5 − 5α x2 = 7 − 7α x3 = α 1 Se h = − , scriviamo la matrice completa del sistema: 2 à A|B = 1 1 1 3 − 2 1 −2 1 −1 − 2 4 −3 −1 k í Riduciamo per righe R1 → 2R1 R2 → 2R2 Ö 2 6 −1 2 2 −2 −1 −4 4 −3 −1 k è R2 → 3R2 − R1 R3 → 3R3 − 2R1 Ö 6 −1 2 2 0 −5 −5 −14 0 −7 −7 3k − 4 è R3 → 5R3 − 7R2 Ö 6 −1 2 2 0 −5 −5 −14 0 0 0 15k + 78 è La matrice è ridotta. 1 26 Se h = − ∧ k 6= − , r(A) = 2 e r(A|B) = 3, quindi, per il teorema di Rouché2 5 Capelli, il sistema è impossibile. 1 26 Se h = − ∧ k = − , r(A) = r(A|B) = 2, quindi, per il teorema di Rouché-Capelli, 2 5 il sistema è risolubile e ha ∞3−2 = ∞1 soluzioni che dipendono da un parametro: ( 6x1 − x2 + 2x3 = 2 − 5x1 − 5x2 = −14 x1 =t 14 x2 = −t 5 x = 12 − 7 t 3 5 2 293 CAPITOLO 8. SISTEMI LINEARI 8.4 Sistemi omogenei Definizione 8.4.1 (Sistema omogeneo). Un sistema lineare si dice omogeneo se il vettore colonna dei termini noti è il vettore nullo. I sistemi omogenei sono risolubili in quanto hanno almeno la soluzione in cui tutte le incognite sono uguali a 0. Se il numero di equazioni è uguale al numero di incognite e il determinante della matrice dei coefficienti è diverso da 0 l’unica soluzione è quella in cui tutte le incognite sono uguali a 0. 294 Capitolo 9 Trasformazioni Lineari Definizione 9.0.2 (Trasformazione lineare). Dato un piano π dotato del sistema di riferimento Oxy, si dice trasformazione lineare in π una funzione che a ogni punto P (x, y) ∈ π associa il punto P 0 (x0 , y 0 ) ∈ π le cui coordinate sono: ( 0 x = ax + by + p y = cx + dy + q 0 Le equazioni precedenti si dicono equazioni della trasformazione lineare e la matrice: Ç å a b A= c d si dice matrice della trasformazione. La trasformazione lineare si può anche scrivere T (x, y) = (ax + by + c, dx + ey + f ) 9.1 Affinità Definizione 9.1.1 (Affinità). Dato un piano π dotato del sistema di riferimento Oxy, si dice affinità in π una trasformazione lineare con determinante della matrice associata diverso da 0 Un’affinità è una trasformazione lineare biettiva. Definizione 9.1.2 (Affinità diretta e indiretta). Un’affinità si dice diretta se il determinante della sua matrice è positivo, si dice indiretta se è negativo 9.2 Affinità in forma matriciale L’affinità T di equazioni ( 0 x = ax + by + p y = cx + dy + q 0 295 CAPITOLO 9. TRASFORMAZIONI LINEARI si può anche scrivere Ç 0å x y0 9.3 Ç åÇ å a b = c d Ç å x p + q y Trasformazione inversa Poiché un’affinità T in π è una biezione, dalle sue equazioni si possono ricavare x e y in funzione di x0 e y 0 , ottenendo così le equazioni della trasformazioni inversa T −1 . 9.4 Trasformazione inversa in forma matriciale Data l’affinità T in forma matriciale Ç 0å x y0 Ç åÇ å Ç å Ç å−1 Ç 0 x å a b = c d x p + y q si ha Ç å x a b = y c d 9.5 −p y0 − q Trasformato di un punto Dati l’affinità T e il punto P , il punto trasformato P 0 = T (P ) si ottiene sostituendo le coordinate di P nelle equazioni dell’affinità. 9.6 Trasformata di una curva Date l’affinità T e la curva γ, per ottenere la curva trasformata γ 0 = T (γ): 1. si ricava la trasformazione inversa T −1 2. si sostituiscono le espressioni di x e y ricavate nell’equazione di γ e si tolgono gli apici 9.7 Punti uniti Definizione 9.7.1 (Punto unito). Data l’affinità T , un punto A si dice punto unito di T se è trasformato in se stesso, cioè se T (A) = A. Per determinare i punti uniti di un’affinità: 1. si pone x0 = x e y 0 = y nelle equazioni dell’affinità 2. si risolve il sistema così ottenuto 296 9.8. RETTE UNITE 9.8 Rette unite Definizione 9.8.1 (Retta unita). Data l’affinità T , una retta r si dice retta unita di T se è trasformata in se stessa, cioè se T (r) = r. Per determinare le rette unite di un’affinità: 1. si determina l’affinità inversa 2. si considera una retta di equazione x = h e si determina l’equazione della sua trasformata: • se si ottiene x = h0 , si scrive l’equazione h0 = h e la si risolve. Se h0 è soluzione allora x = h0 è una retta unita • se si ottiene l’equazione di una retta non parallela all’asse y, non vi sono rette unite parallele all’asse y 3. si considera una retta di equazione y = mx + q e si determina l’equazione della sua trasformata: • se si ottiene y = m0 x + q 0 , si scrive il sistema ( m0 = m q0 = q e lo si risolve ricavando il coefficiente angolare e il termine noto delle rette unite non parallele all’asse y • se si ottiene l’equazione di una retta parallela all’asse y non vi sono rette unite non parallele all’asse y Osservazione Se una retta r è unita in una affinità T , allora T (r) = r; quindi per trovare le rette unite si può partire dall’equazione della trasformata di r e evitare il calcolo della trasformazione inversa. 9.9 Proprietà delle affinità Ogni affinità T , con matrice A, gode delle seguenti proprietà: 1. trasforma rette in rette 2. trasforma rette parallele in rette parallele 3. se due rette si intersecano in P , le rette trasformate si intersecano in T (P ) 4. il punto medio del segmento P Q viene trasformato nel punto medio del segmento T (P )T (Q) 297 CAPITOLO 9. TRASFORMAZIONI LINEARI 5. se una figura geometrica ha area S, allora la figura trasformata ha area S 0 = S · | det(A)| 6. trasforma ellissi in ellissi, parabole in parabole, iperboli in iperboli, circonferenze in generale in ellissi 7. se una retta è tangente a una conica, la trasformata della retta è tangente alla trasformata della conica 9.10 Composizione di affinità Se T1 e T2 sono due affinità allora T2 ◦ T1 è ancora un’affinità e, se A1 e A2 sono le matrici di T1 e T2 , allora A2 · A1 è la matrice di T2 ◦ T1 298 Capitolo 10 Isometrie 10.1 Introduzione Definizione 10.1.1 (Isometria). Si dice isometria un’affinità che conserva le distanze. 10.2 Proprietà delle isometrie Ogni isometria, oltre alle proprietà delle affinità, gode delle seguenti proprietà: 1. trasforma un segmento in un segmento congruente 2. trasforma un angolo in un angolo congruente 3. trasforma rette perpendicolari in rette perpendicolari 4. trasforma una figura geometrica in una figura geometrica congruente 10.3 Traslazione Definizione 10.3.1 (Traslazione). Si dice traslazione di vettore ~v un’affinità τ~v che a ogni punto P associa il punto P 0 tale che −−→0 P P = ~v . 10.3.1 Equazioni della traslazione Ç å v Sia τ~v la traslazione di vettore ~v = x . vy τ~v ha equazioni ( 0 x = x + vx y = y + vy 0 299 CAPITOLO 10. ISOMETRIE La matrice è Ç 1 0 A= 0 1 å e il suo determinante è det(A) = 1 0 =1 0 1 La traslazione è un’isometria diretta. la traslazione di vettore nullo è l’identità. 10.3.2 Traslazione inversa La trasformazione inversa della traslazione τ~v è la traslazione τ−~v . 10.3.3 Punti uniti La traslazione τ~v con ~v 6= ~0 non ha punti uniti; la traslazione τ~0 è un’identità e tutti i punti sono uniti. 10.3.4 Rette unite La traslazione τ~v con ~v 6= ~0 ha come rette unite tutte quelle parallele a ~v ; la traslazione τ~0 è un’identità e tutte le rette sono unite. 10.3.5 Proprietà della traslazione Ogni traslazione τ~v , oltre alle proprietà delle isometrie, gode della seguente proprietà: trasforma una retta in una retta parallela 10.3.6 Composizione di traslazioni Teorema 10.3.1 (Composizione di traslazioni). Se τ~u e τ~v sono due traslazioni di vettori rispettivamente ~u e ~v allora τ~v ◦ τ~u è una traslazione di vettore ~u + ~v . 10.4 Rotazione Definizione 10.4.1 (Rotazione). Si dice rotazione di centro C e angolo α un’affinità ρC,α che a C associa C e a ogni punto ◊ CP 0 = α ( mod 2π) P 6= C associa il punto P 0 tale che CP = CP 0 ∧ P Se α > 0 la rotazione è in senso antiorario, se α < 0 la rotazione è in senso orario. 300 10.4. ROTAZIONE 10.4.1 Equazioni della rotazione di centro l’origine Sia ρO,α la rotazione di centro O(0, 0) e angolo α. La rotazione ρO,α ha equazioni ( 0 x = cos(α)x − sin(α)y y = sin(α)x + cos(α)y 0 La matrice è Ç cos(α) − sin(α) A= sin(α) cos(α) å e il suo determinante è cos(α) − sin(α) = cos2 (α) + sin2 (α) = 1 sin(α) cos(α) det(A) = La rotazione è un’isometria diretta. Le affinità con equazioni: ( 0 x = ax − by y = bx + ay 0 con a2 +b2 = 1 sono rotazioni con centro l’origine e angolo α tale che cos(α) = a e sin(α) = b. 10.4.2 Equazioni della rotazione di centro l’origine e angolo La rotazione ρO, π2 ha equazioni ( 0 x = −y y =x 0 10.4.3 Rotazione inversa Data la rotazione di centro O(0, 0) e angolo α. ρO,α : ( 0 x = cos(α)x − sin(α)y y = sin(α)x + cos(α)y 0 la tasformazione inversa è la rotazione di centro O(0, 0) e angolo −α: ( ρ−1 O,α : 10.4.4 x = cos(α)x0 + sin(α)y 0 y = − sin(α)x0 + cos(α)y 0 Punti uniti La rotazione ρO,0 è un’identità e tutti i punti sono uniti. La rotazione ρO,α con α 6= 0 ha O come unico punto unito. 301 π 2 CAPITOLO 10. ISOMETRIE 10.4.5 Rette unite La rotazione ρO,0 è un’identità e tutte le rette sono unite. La rotazione ρO,π ha le rette passanti per O come rette unite. La rotazione ρO,α con α 6= 0 ∧ α 6= π non ha rette unite. 10.4.6 Proprietà della rotazione Ogni rotazione ρO,α gode delle proprietà delle isometrie 10.4.7 Composizione di rotazioni Teorema 10.4.1 (Composizione di rotazioni). Se ρO,α e ρO,β sono due rotazioni di centro O(0, 0) e angolo rispettivamente α e β allora ρO,β ◦ ρO,α è una rotazione di centro O e angolo α + β. 10.4.8 Rotazione di centro diverso dall’origine Finora abbiamo considerato le equazioni della rotazione di centro l’origine. Determiniamo ora le equazioni di una rotazione di centro C qualsiasi. Teorema 10.4.2 (rotazione di centro C). − → ◦ ρO,α ◦ τ− − → ρC,α = τ− OC CO Per la rotazione di centro C e angolo α 6= 0 vale ciò che si è visto per la rotazione di centro O, in particolare: • ha C come unico punto unito • se α = π ha le rette passanti per C come rette unite, se α 6= π non ha rette unite • gode delle proprietà delle isometrie • la composizione di due rotazioni di centro C e angoli rispettivamente α e β è una rotazione di centro C e angolo α + β 10.5 Simmetria centrale Definizione 10.5.1 (Simmetria centrale). Si dice simmetria centrale di centro C(x0 , y0 ) un’affinità σC che a ogni punto P associa il punto P 0 tale che C sia il punto medio di P P 0 . 302 10.5. SIMMETRIA CENTRALE 10.5.1 Equazioni della simmetria centrale Sia σC la simmetrica centrale di centro C(x0 , y0 ). La simmetria centrale σC ha equazioni ( 0 x = −x + 2x0 y = −y + 2y0 0 La matrice è Ç å −1 0 A= 0 −1 e il suo determinante è det(A) = −1 0 =1 0 −1 La simmetria centrale è un’isometria diretta. Osservazione Una simmetria centrale di centro C(x0 , y0 ) è una rotazione di centro C(x0 , y0 ) e angolo α = π. 10.5.2 Simmetria centrale di centro l’origine La simmetria centrale σO di centro l’origine O(0, 0) ha equazioni ( 0 x = −x y = −y 0 10.5.3 Simmetria centrale inversa La trasformazione inversa della simmetria centrale σC è la simmetria centrale σC . 10.5.4 Punti uniti La simmetria centrale σC ha C come unico punto unito. 10.5.5 Rette unite La simmetria centrale σC ha come rette unite quelle del fascio proprio di rette passanti per C. 10.5.6 Proprietà della simmetria centrale Ogni simmetria centrale σC , oltre alle proprietà delle isometrie, gode della seguente proprietà: trasforma una retta in una retta parallela. 303 CAPITOLO 10. ISOMETRIE 10.5.7 Composizione di simmetrie centrali Teorema 10.5.1 (Composizione di simmetrie centrali). Se σC1 e σC2 sono due simmetrie centrali di centro rispettivamente C1 e C2 allora σC2 ◦ σC1 −−−→ è una traslazione di vettore 2C1 C2 . 10.5.8 Curva simmetrica Definizione 10.5.2 (Curva simmetrica). Una curva γ si dice simmetrica rispetto a un punto C se γ è unita rispetto alla simmetria centrale di centro C. Il punto C si dice centro di simmetria di γ. 10.5.9 Centro di simmetria di una curva Per trovare il centro di simmetria di una curva γ: 1. si scrivono le equazioni della simmetria centrale di centro C(x0 , y0 ) 2. si determina l’equazione della curva γ 0 trasformata di γ 3. si impone che le equazioni delle due curve coincidano applicando il principio di identità dei polinomi 10.6 Simmetria assiale Definizione 10.6.1 (Simmetria assiale). Si dice simmetria assiale di asse r un’affinità σr che a ogni punto P ∈ r associa se stesso e a ogni punto P 6∈ r associa il punto P 0 tale che r sia l’asse del segmento P P 0 . 10.6.1 Equazioni della simmetria assiale Sia σr la simmetria assiale di asse r : ax + by + c = 0. Dato il punto P (x, y), il punto P 0 (x0 , y 0 ) è il simmetrico di P rispetto a r se e solo se r è l’asse del segmento P P 0 cioè, indicando con M il punto medio di P P 0 : ( M ∈r P P 0 ⊥r 0 ax + x y + y0 +c=0 2 2 0 (x − x)(−b) + (y 0 − y)a = 0 +b La simmetria assiale σr ha equazioni a2 − b 2 2ab 2ac x − y − a2 + b 2 a2 + b 2 a2 + b 2 2 2 2ab a −b 2bc y0 = − x+ 2 y− 2 2 2 2 a +b a +b a + b2 0 x =− 304 10.6. SIMMETRIA ASSIALE La matrice è a2 − b 2 2ab − 2 − 2 2 a +b a + b2 2ab a2 − b 2 − 2 a + b2 a2 + b2 à A= í e il suo determinante è 2ab a2 − b 2 − 2 2 2 a +b a + b2 det(A) = = −1 2ab a2 − b 2 − 2 a + b2 a2 + b2 − La simmetria assiale è un’isometria indiretta. Osservazione Per ricavare le equazioni della simmetria assiale non è necessario ricordare la formula ottenuta ma si può applicare la definizione. 10.6.2 Simmetria assiale di asse parallelo all’asse delle ascisse simmetria di asse r : y = k ( 0 x =x y 0 = −y + 2k In particolare la simmetria assiale di asse l’asse x ha equazioni ( 0 x =x y = −y 0 10.6.3 Simmetria assiale di asse parallelo all’asse delle ordinate Simmetria assiale di asse r : x = h ( 0 x = −x + 2h y =y 0 In particolare la simmetria assiale di asse l’asse y ha equazioni ( 0 x = −x y =y 0 10.6.4 Simmetria assiale di asse la bisettrice del primo e terzo quadrante Simmetria assiale di asse r : y = x ( 0 x =y y0 = x 305 CAPITOLO 10. ISOMETRIE 10.6.5 Simmetria assiale di asse la bisettrice del secondo e quarto quadrante Simmetria assiale di asse r : y = −x ( 0 x = −y y 0 = −x 10.6.6 Simmetria assiale inversa La trasformazione inversa della simmetria assiale σr è la simmetria assiale σr . 10.6.7 Punti uniti La simmetria assiale σr ha i punti dell’asse r come punti uniti. 10.6.8 Rette unite La simmetria assiale σr ha come rette unite la retta r e le rette perpendicolari a r. 10.6.9 Proprietà della simmetria assiale Ogni simmetria assiale σr gode delle proprietà delle isometrie. 10.6.10 Composizione di simmetrie assiali Teorema 10.6.1 (Composizione di simmetrie assiali). Se σr e σs sono due simmetrie assiali di asse rispettivamente r e s allora 1. se r k s, σs ◦ σr è una traslazione di vettore 2~v dove ~v ha modulo uguale alla distanza tra r e s, direzione perpendicolare a r e s, verso da r a s 2. se r ∩ s = C, σs ◦ σr è una rotazione di centro C e angolo 2α dove α è l’angolo che forma r per sovrapporsi a s in senso antiorario. π In particolare se r⊥s, σs ◦ σr è una rotazione di centro C e angolo 2 = π, cioè una 2 simmetria centrale di centro C 10.6.11 Curva simmetrica Definizione 10.6.2 (Curva simmetrica). Una curva γ si dice simmetrica rispetto a una retta r se γ è unita rispetto alla simmetria assiale di asse r. La retta r si dice asse di simmetria di γ. 306 10.7. ISOMETRIE E MATRICI ORTONORMALI 10.7 Isometrie e matrici ortonormali Abbiamo visto che il determinante della matrice di un’isomteria è uguale a 1 o −1; non vale il viceversa, cioè esistono affinità le cui matrici hanno determinante uguale a 1 o −1 ma che non sono isometrie. Data l’affinità T : ( 0 x = ax + by + p y = cx + dy + q 0 Determiniamo le condizioni a cui devono soddisfare i coefficienti a, b, c, d, p, q affinché sia un’isometria Consideriamo i punti P (x1 , y1 ), Q(x2 , y2 ) e i loro trasformati P 0 (x01 , y10 ), Q0 (x02 , y20 ). 2 2 L’affinità T è un’isometria se e solo se P Q = P 0 Q0 cioè P Q = P 0 Q0 . Poiché 2 P Q = (x2 − x1 )2 + (y2 − y1 )2 e 2 P 0 Q0 = (x02 −x01 )2 +(y20 −y10 )2 = (ax2 +by2 +p−ax1 −by1 −p)2 +(cx2 +dy2 +q−cx1 −dy1 −q)2 = (ax2 + by2 − ax1 − by1 )2 + (cx2 + dy2 − cx1 − dy1 )2 = (a(x2 − x1 ) + b(y2 − y1 ))2 + (c(x2 − x1 ) + d(y2 − y1 ))2 = a2 (x2 −x1 )2 +b2 (y2 −y1 )2 +2ab(x2 −x1 )(y2 −y1 )+c2 (x2 −x1 )2 +d2 (y2 −y1 )2 +2cd(x2 −x1 )(y2 −y1 ) = (a2 + c2 )(x2 − x1 )2 + (b2 + d2 )(y2 − y1 )2 + 2(ab + cd)(x2 − x1 )(y2 − y1 ) Applicando il principio di identità dei polinomi si ottiene 2 a + c2 = 1 b 2 + d2 = 1 ab + cd = 0 Osservazione Per verificare se un’affinità è un’isometria è sufficiente considerare la matrice associata in quanto i valori di p e q sono ininfluenti. Osservazione La matrice di un’isometria è una matrice le cui colonne individuano due vettori di modulo 1 e ortogonali tra loro. Tale matrice si dice matrice ortonormale. 307 Capitolo 11 Similitudini 11.1 Introduzione Definizione 11.1.1 (Similitudine). Si dice similitudine un’affinità che mantiene costante il rapporto tra segmenti corrispondenti. Il rapporto tra il segmento trasformato e quello dato si dice rapporto di similitudine. 11.2 Equazioni della similitudine 1. Un’affinità è una similitudine diretta se ha la matrice con gli elementi della diagonale principale uguali e gli altri opposti. Quindi le equazioni di una similitudine diretta sono ( 0 x = ax + by + p y 0 = −bx + ay + q oppure ( 0 x = ax − by + p y = bx + ay + q 0 con determinante a2 + b 2 > 0 2. Un’affinità è una similitudine indiretta se ha la matrice con gli elementi della diagonale principale opposti e gli altri uguali. Quindi le equazioni di una similitudine indiretta sono ( 0 x = ax + by + p y 0 = bx − ay + q oppure ( 0 x = −ax + by + p y 0 = bx + ay + q con determinante −a2 − b2 < 0 308 11.3. PROPRIETÀ DELLA SIMILITUDINE 11.2.1 Rapporto di similitudine Dalla relazione a2 + c2 = k 2 , poiché c2 = b2 si ottiene k 2 = a2 + b 2 da cui √ k = a2 + b 2 Osservazioni 1. Il rapporto di similitudine è uguale alla radice quadrata del valore assoluto del determinate della matrice della similitudine 2. Le isometrie sono similitudini di rapporto k = 1 11.3 Proprietà della similitudine Ogni similitudine di rapporto k, oltre alle proprietà delle affinità, gode delle seguenti proprietà: 1. trasforma figure geometriche in figure geometriche simili 2. trasforma rette perpendicolari in rette perpendicolari 3. trasforma circonferenze in circonferenze 4. trasforma una figura geometrica di perimetro P in una figura geometrica di perimetro kP 5. trasforma una figura geometrica di area A in una figura geometrica di area k 2 A 11.4 Composizione di similitudini Teorema 11.4.1 (Composizione di similitudini). Se S1 e S2 sono due similitudini di rapporto rispettivamente k1 e k2 allora S2 ◦ S1 è una similitudine di rapporto k2 · k1 . Osservazione Poiché la matrice di S2 ◦S1 è il prodotto delle matrici di S2 e S1 e il determinate del prodotto di due matrice è il prodotto dei determinanti si ha: • la composizione di due similitudini dirette è una similitudine diretta • la composizione di due similitudini indirette è una similitudine diretta • la composizione di una similitudine diretta e una similitudine indiretta è una similitudine indiretta 309 Capitolo 12 Omotetie 12.1 Introduzione Definizione 12.1.1 (Omotetia). Si dice omotetia di centro C e rapporto k 6= 0 un’affinità ωC,k che a ogni punto P associa il −−→ −→ punto P 0 tale che CP 0 = k CP 12.2 Equazione dell’omotetia Sia ωC,k l’omotetia di centro C(x0 , y0 ) e rapporto k 6= 0. L’omotetia ωC,k di centro C(x0 , y0 ) e rapporto k 6= 0 ha equazioni ( 0 x = kx + p y 0 = ky + q con ( p = x0 − kx0 q = y0 − ky0 La matrice è Ç k 0 A= 0 k å con determinante det(A) = k 0 = k2 0 k L’omotetia è un’affinità diretta. Osservazione 1. Ogni omotetia ωC,k è una similitudine diretta di rapporto |k| 2. Data l’omotetia ωC,k , se |k| > 1 si ha un ingradimento, se 0 < |k| < 1 si ha una riduzione 310 12.3. CASI PARTICOLARI 12.3 Casi particolari Consideriamo l’omotetia di centro C(x0 , y0 ) e rapporto k • Se k = 1 si ottiene l’identità ( 0 x =x y =y 0 • Se k = −1 si ottiene la simmetria centrale di centro C ( 0 x = −x + 2x0 y = −y + 2y0 0 12.4 Omotetia inversa La trasformazione inversa dell’omotetia ωC,k è l’omotetia ωC, 1 . k 12.5 Punti uniti L’omotetia ωC,k con k 6= 1 ha C come unico punto unito. Osservazione Per determinare il centro di un’omotetia è sufficiente trovare il punto unito. 12.6 Rette unite L’omotetia ωC,k con k 6= 1 ha come rette unite tutte quelle passanti per C. 12.7 Composizione di omotetie con lo stesso centro Teorema 12.7.1 (Composizione di omotetie con lo stesso centro). Se ωC,k1 e ωC,k2 sono due omotetie di centro C e rapporto rispettivamente k1 e k2 allora ωC,k2 ◦ ωC,k1 è una omotetia di centro C rapporto k2 · k1 . Osservazione 1 è 1. La composizione di due omotetie di centro C e rapporto rispettivamente k e k l’identità. 1 2. La composizione di due omotetie di centro C e rapporto rispettivamente k e − è la k simmetria centrale di centro C. 311 CAPITOLO 12. OMOTETIE 12.8 Composizione di omotetie e isometrie Teorema 12.8.1 (Composizione di omotetie e isometrie). La composizione di un’omotetia di rapporto k e di un’isometria è una similitudine di rapporto k e, viceversa ogni similitudine di rapporto k è data dalla composizione di un’isometria e un’omotetia di rapporto k e centro C scelto a piacere. 312 Capitolo 13 Dilatazioni e compressioni 13.1 Dilatazione e compressione lungo l’asse delle ascisse Definizione 13.1.1 (Dilatazione e compressione lungo l’asse delle ascisse). Dato k 6= 0, l’affinità Tx,k di equazioni ( 0 x = kx y0 = y si dice: • dilatazione di rapporto k lungo l’asse x se |k| > 1 • compressione di rapporto k lungo l’asse x se |k| < 1 Se k = 1 si ha l’identità, se k = −1 si ha la simmetria assiale di asse asse y. La matrice è Ç å k 0 A= 0 1 13.1.1 determinante det(A) = k 0 =k 0 1 Trasformazione inversa La trasformazione inversa della dilatazione (compressione) Tx,k è la compressione (dilatazione) Tx, 1 . k 13.1.2 Punti uniti La dilatazione (compressione) Tx,k con k 6= 1 ha come punti uniti tutti i punti dell’asse y. 13.1.3 Rette unite La dilatazione (compressione) Tx,k con k 6= 1 ha come rette unite l’asse y e tutte quelle parallele all’asse x. 313 CAPITOLO 13. DILATAZIONI E COMPRESSIONI 13.1.4 Composizione di dilatazioni o compressioni lungo l’asse delle ascisse Teorema 13.1.1 (Composizione di dilatazioni o compressioni lungo l’asse delle ascisse). Se Tx,k1 e Tx,k2 sono due dilatazioni o compressioni lungo l’asse x di rapporto rispettivamente k1 e k2 allora Tx,k2 ◦ Tx,k1 è una dilatazione o compressione lungo l’asse x di rapporto k2 · k1 . 1. La composizione di una dilatazione (compressione) e di una compressione (dilatazione) 1 lungo l’asse x di rapporto rispettivamente k e è l’identità. k 2. La composizione di una dilatazione (compressione) e di una compressione (dilatazione) 1 lungo l’asse x di rapporto rispettivamente k e − è la simmetria assiale di asse asse k y. 13.2 Dilatazione e compressione lungo l’asse delle ordinate Definizione 13.2.1 (Dilatazione e compressione lungo l’asse delle ordinate). Dato k 6= 0, l’affinità Ty,k di equazioni ( 0 x =x y = ky 0 si dice: • dilatazione di rapporto k lungo l’asse y se |k| > 1 • compressione di rapporto k lungo l’asse y se |k| < 1 Se k = 1 si ha l’identità, se k = −1 si ha la simmetria assiale di asse asse x. La matrice è Ç 1 0 A= 0 k å 13.2.1 Trasformazione inversa, punti uniti e rette unite con determinante det(A) = 1 0 =k 0 k La trasformazione inversa della dilatazione (compressione) Ty,k è la compressione (dilatazione) Ty, 1 . k La dilatazione (compressione) Ty,k con k 6= 1 ha come punti uniti tutti i punti dell’asse x e come rette unite l’asse x e tutte quelle parallele all’asse y. 314 13.2. DILATAZIONE E COMPRESSIONE LUNGO L’ASSE DELLE ORDINATE 13.2.2 Composizione di dilatazioni o compressioni lungo l’asse delle ordinate Teorema 13.2.1 (Composizione di dilatazioni o compressioni lungo l’asse delle ordinate). Se Ty,k1 e Ty,k2 sono due dilatazioni o compressioni lungo l’asse y di rapporto rispettivamente k1 e k2 allora Ty,k2 ◦ Ty,k1 è una dilatazione o compressione lungo l’asse y di rapporto k2 · k1 . La composizione di una dilatazione (compressione) e di una compressione (dilatazione) lungo 1 l’asse y di rapporto rispettivamente k e è l’identità. k La composizione di una dilatazione (compressione) e di una compressione (dilatazione) lungo 1 l’asse y di rapporto rispettivamente k e − è la simmetria assiale di asse asse x. k 315 Capitolo 14 Cambiamento di riferimento 14.1 Introduzione Le coordinate di un punto nel piano dipendono dal sistema di riferimento scelto. Dati due sistemi di riferimento aventi la stessa unità di misura, determineremo le coordinate di un punto in un sistema, note le coordinate del punto nell’altro sistema. 14.2 Traslazione degli assi Dato un sistema di riferimento Oxy consideriamo il sistema di riferimento O0 XY che si ottiene traslando il sistema Oxy di un vettore ~v di componenti x0 , y0 . Indichiamo con P (x, y) le coordinate del punto P nel sistema Oxy e con P (X, Y ) le coordinate del punto P nel sistema O0 XY . L’origine O0 avrà coordinate O0 (x0 , y0 ). 316 14.3. ROTAZIONE DEGLI ASSI 6 y Y 5 P 4 3 O0 2 X 1 x −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 5 6 7 8 −1 Figura 14.1: traslazione degli assi ( X = x − x0 Y = y − y0 e ( x = X + x0 y = Y + y0 14.3 Rotazione degli assi Dato un sistema di riferimento Oxy consideriamo il sistema OXY che si ottiene ruotando di un angolo α il sistema Oxy. Indichiamo con P (x, y) le coordinate del punto P nel sistema Oxy e con P (X, Y ) le coordinate del punto P nel sistema OXY . 317 CAPITOLO 14. CAMBIAMENTO DI RIFERIMENTO y Y B P X D C β α x A O Figura 14.2: rotazione degli assi ( X = cos(α)x + sin(α)y Y = − sin(α)x + cos(α)y ( x = cos(α)X − sin(α)Y y = sin(α)X + cos(α)Y 14.4 Riduzione delle coniche a forma canonica Utilizzando i cambiamenti di riferimento si possono ridurre le coniche a forma canonica. Consideriamo la conica di equazione: ax2 + bxy + cy 2 + dx + ey + f = 0 nel sistema Oxy. Per trasformarle in forma canonica si deve effettuare una opportuna rotazione che trasforma il sistema Oxy nel sistema OXY in modo tale da eliminare il coefficiente di XY della conica e poi una traslazione ottenuta con il metodo del completamento del quadrato. Esempio 14.4.1. Riduciamo a forma canonica la curva γ : x2 + y 2 + xy + x − 1 = 0 Determiniamo i valori di a e b per i quali la rotazione ( x = aX − bY y = bX + aY 318 14.4. RIDUZIONE DELLE CONICHE A FORMA CANONICA con a2 + b2 = 1 annulli il coefficiente di XY dell’equazione della conica in OXY . Sostituendo nell’equazione della curva otteniamo (aX − bY )2 + (bX + aY )2 + (aX − bY )(bX + aY ) + aX − bY − 1 = 0 Il termine con XY è −2abXY + 2abXY + a2 XY − b2 XY = (a2 − b2 )XY Qundi per determinare la rotazione si deve risolvere il sistema: ( 2 a + b2 = 1 a2 − b 2 = 0 √ √ √ √ 2 2 2 2 = b = − b = b = − 2 ∨ 2√ ∨ 2 √ √2 ∨ √ 2 2 2 2 a = a = a = − a = − 2 2 2 2 Scegliendo la prima soluzione otteniamo la rotazione √ √ 2 2 X− Y x = 2 2 √ √ 2 2 y = X+ Y 2 2 b π cioè una rotazione di . 4 Sostituendo nell’equazione della curva otteniamo √ √ !2 √ √ !2 √ √ ! √ √ ! 2 2 2 2 2 2 2 2 X− Y + X+ Y + X− Y X+ Y + 2 2 2 2 2 2 2 2 √ √ 2 2 X− Y −1=0 2 2 √ √ 3 2 2 1 2 2 X + X+ Y − Y −1=0 2 2 2 2 Utilizziamo ora il metodo di completamento del quadrato per ottenere la traslazione che elimina i termini di primo grado: √ ! Ç å √ 3 2 1 1 1 1 1 2 2 X + X+ + Y − 2Y + =1+ + 2 3 18 2 2 12 4 √ !2 √ !2 3 2 1 2 4 X+ + Y − = 2 6 2 2 3 319 CAPITOLO 14. CAMBIAMENTO DI RIFERIMENTO √ √ 2 2 Effettuiamo una traslazione del sistema OXY di un vettore ~v di componenti − , : 6 2 √ 2 0 X = X + √6 2 Y 0 = Y − 2 Sostituendo nell’equazione della curva otteniamo: 3 02 1 02 4 X + Y = 2 2 3 X 02 Y 02 + =1 8 8 9 3 La curva γ è un’ellisse e la sua forma canonica è X 02 Y 02 + =1 8 8 9 3 π ottenuta con una rotazione di un angolo α = e poi una traslazione di vettore ~v di 4 √ √ 2 2 componenti − , del sistema di riferimento. 6 2 Teorema 14.4.1 (Angolo di rotazione). Data la conica di equazione ax2 + bxy + cy 2 + dx + ey + f = 0 con c 6= 0, l’angolo α della rotazione che elimina il termine XY è π 4 ∨− π 4 se a = c 1 Ç 14.5 Coordinate polari b arctan 2 a−c å se a 6= c Finora abbiamo lavorato con i sistemi di riferimento cartesiani, consideriamo ora un sistema di riferimento polare. Assegnato un punto O, una semiretta avente origine in O, e fissata una unità di misura, si stabilisce un sistema di riferimento polare del piano. Il punto O è detto polo e la semiretta asse polare. Dato un punto qualsiasi P 6= O del piano, ad esso è associata la coppia di numeri reali (ρ, θ) dove: • ρ è la misura del segmento OP 320 14.6. COORDINATE POLARI E COORDINATE CARTESIANE • θ è la misura in radianti dell’angolo che OP forma con l’asse polare (0 6 θ < 2π) I numeri ρ e θ si dicono coordinate polari di P ; in particolare ρ si dice modulo di P , θ si dice anomalia di P . Osservazione Il punto O ha modulo 0 e anomalia indeterminata. Dati un sistema di riferimento polare e una coppia di numeri reali (ρ, θ), con ρ > 0 e 0 6 θ < 2π alla coppia (ρ, θ) è associato il punto P dato dall’intersezione tra la circonferenza di centro O e raggio ρ e la semiretta di origine O formante con l’asse polare l’angolo θ. Abbiamo quindi stabilito una biezione tra i punti del piano (escluso O) e R+ 0 × [0, 2π[. Per indicare che P ha coordinate polari ρ e θ si scrive P (ρ, θ). Un punto P appartiene all’asse polare se ha anomalia 0, cioè P (ρ, 0); P ρ O θ x Figura 14.3: coordinate polari 14.6 Coordinate polari e coordinate cartesiane Consideriamo un sistema di riferimento cartesiano ortogonale Oxy e un sistema di riferimento polare Ox che ha O come polo e l’asse polare che coincide con il semiasse positivo delle ascisse. Indichiamo con P (x, y) le coordinate del punto P nel sistema Oxy e con P (ρ, θ) le coordinate del punto P nel sistema Ox. ( x = ρ cos(θ) y = ρ sin(θ) Queste sono le equazioni per passare dalle coordinate polari a quelle cartesiane. Quindi le equazioni per passare dalle coordinate cartesiane a quelle polari sono ρ = » x2 + y 2 x x2 + y 2 y sin(θ) = √ 2 x + y2 cos(θ) = √ 321 Capitolo 15 Successioni 15.1 Introduzione Definizione 15.1.1 (Successione). Si dice successione a valori reali una funzione a:N→R a(n) = an an è il termine ennesimo della successione. Alcune volte una successione è definita in un sottoinsieme infinito di N. Spesso una successione viene presentata come un elenco ordinato dei primi termini, seguito da alcuni puntini. Esempio 15.1.1. La successione a : N0 → R 1 n è formata da an = 1 1 1, , , . . . 2 3 Una successione può essere definita anche per ricorrenza, assegnando uno o più termini iniziali e la legge che lega un termine ad alcuni termini precedenti. Esempio 15.1.2. • La successione ( a0 = 1 an+1 = an + 2 è formata da 1, 3, 5, 7, . . . 322 15.2. PROGRESSIONI ARITMETICHE • La successione a 0 =1 a1 = 1 an+1 = an + an−1 è formata da 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, . . . ed è detta successione di Fibonacci 15.2 Progressioni aritmetiche Definizione 15.2.1 (Progressione aritmetica). Si dice progressione aritmetica una successione nella quale la differenza tra ogni termine e il precedente è costante. Tale differenza si indica con d e si dice ragione. La forma ricorsiva di una progressione aritmetica è ( a1 = a oppure an+1 = an + d ( a0 = a an+1 = an + d In una progressione aritmetica di ragione d an = a1 + (n − 1)d oppure an = a0 + nd Teorema 15.2.1 (Somma dei primi n termini). La somma dei primi n termini di una progressione aritmetica di ragione d e primo termine a1 è Sn = a1 + an n 2 15.3 Progressioni geometriche Definizione 15.3.1 (Progressione geometrica). Si dice progressione geometrica una successione nella quale il rapporto tra ogni termine e il precedente è costante. Tale rapporto si indica con q e si dice ragione. 323 CAPITOLO 15. SUCCESSIONI Osservazione Dalla definizione di progressione geometrica si deduce che la ragione q deve essere diversa da 0. La forma ricorsiva di una progressione geometrica è ( a1 = a oppure an+1 = an · q ( a0 = a an+1 = an · q In una progressione geometrica di ragione q an = a1 q n−1 oppure an = a0 q n Teorema 15.3.1 (Prodotto dei primi n termini). Il valore assoluto del prodotto dei primi n termini di una progressione geometrica di ragione q e primo termine a1 è |Pn | = » (a1 · an )n Osservazione Se i termini della progressione geometrica sono tutti positivi, allora Pn è positivo. In caso contrario, per determinare il segno di Pn , si applica la regola dei segni. Teorema 15.3.2 (Somma dei primi n termini). La somma dei primi n termini di una progressione geometrica di ragione q 6= 1 e primo termine a1 è S n = a1 15.4 1 − qn 1−q Principio d’induzione Teorema 15.4.1 (Principio di induzione). Sia P (n) una proposizione che coinvolge il numero naturale n. Se: • la proposizione P (k) è vera per qualche k naturale • se è vera P (n) allora è vera P (n + 1) con n > k, cioè P (n) ⇒ P (n + 1) allora P (n) è vera per ogni naturale n > k. Osservazione In genere come k si sceglie 0 o 1. Il principio di induzione è utile per dimostrare teoremi che coinvolgono i numeri naturali. Per dimostrare un teorema, utilizzando il principio di induzione: 1. si dimostra che il teorema è vero per 0 o per 1 324 15.4. PRINCIPIO D’INDUZIONE 2. supponendo che il teorema sia vero per n, si dimostra che è vero per n + 1 Esempio 15.4.1. • La somma dei primi n numeri naturali è n(n + 1) 2 Per n = 1 si ha 1(1 + 1) 1= 2 1=1 Il teorema è vero per n = 1. Supposto che il teorema sia vero per n, cioè che: n(n + 1) 1 + 2 + ... + n = 2 dimostriamo che è vero per n + 1, cioè che (n + 1)(n + 2) 1 + 2 + ... + n + n + 1 = 2 Dimostrazione 1 + 2 + . . . + n + n + 1 = (1 + 2 + . . . + n) + n + 1 = n(n + 1) +n+1= 2 (n + 1)(n + 2) n(n + 1) + 2(n + 1) = 2 2 Poiché il teorema, supposto vero per n, è vero per n + 1, il teorema è vero per ogni n>1 • La somma dei primi n numeri dispari è n2 Per n = 1 si ha 1 = 12 1=1 Il teorema è vero per n = 1. Supposto che il teorema sia vero per n, cioè che: 1 + 3 + . . . + 2n − 1 = n2 dimostriamo che è vero per n + 1, cioè che 1 + 3 + . . . + 2n − 1 + 2n + 1 = (n + 1)2 Dimostrazione 1 + 3 + . . . + 2n − 1 + 2n + 1 = (1 + 3 + . . . + 2n − 1) + 2n + 1 = n2 + 2n + 1 = (n + 1)2 Poiché il teorema, supposto vero per n, è vero per n + 1, il teorema è vero per ogni n>1 325 Capitolo 16 Numeri complessi 16.1 Introduzione Definizione 16.1.1 (Numero complesso). Si dice numero complesso un’espressione della forma a + ib, dove a, b ∈ R e i2 = −1 L’insieme dei numeri complessi si indica con C. Poiché a + i0 = a, R ⊆ C. Osservazione Il numero complesso i si dice unità immaginaria. Definizione 16.1.2 (Parte reale e parte immaginaria). Dato il numero complesso z = a + ib, a si dice parte reale e si indica con Re(z), b si dice parte immaginaria e si indica con Im(z) Definizione 16.1.3 (Numero immaginario). Un numero complesso della forma ib con b 6= 0 si dice immaginario. Osservazione Un numero complesso z è immaginario puro se e solo se Re(z) = 0 e Im(z) 6= 0, è reale se e solo se Im(z) = 0. Definizione 16.1.4 (Uguglianza tra numeri complessi). Due numeri complessi sono uguali se e solo se hanno la stessa parte reale e la stessa parte immaginaria, in simboli: a + ib = c + id ⇔ a = c ∧ b = d 16.2 Addizione e moltiplicazione tra numeri complessi Nell’insieme C, definiamo le operazioni di addizione, che indichiamo con + e di moltiplicazione, che indichiamo con ·: (a + ib) + (c + id) = (a + c) + i(b + d) (a + ib) · (c + id) = (ac − bd) + i(ad + bc) 326 16.3. CONIUGATO DI UN NUMERO COMPLESSO 16.2.1 Proprietà dell’addizione e della moltiplicazione L’addizione in C gode delle seguenti proprietà: 1. commutativa: ∀z, w ∈ C z + w = w + z 2. associativa: ∀z, w, t ∈ C (z + w) + t = z + (w + t) 3. esistenza dell’elemento neutro: ∃0 ∈ C/∀z ∈ C z + 0 = z 4. esistenza dell’ opposto: ∀z ∈ C ∃ − z ∈ C/z + (−z) = 0. Se z = a + ib allora −z = −a − ib La moltiplicazione in C gode delle seguenti proprietà: 1. commutativa: ∀z, w ∈ C z · w = w · z 2. associativa: ∀z, w, t ∈ C (z · w) · t = z · (w · t) 3. esistenza dell’elemento neutro: ∃1 ∈ C/∀z ∈ C z · 1 = z 4. esistenza dell’ inverso: ∀z ∈ C0 ∃z −1 ∈ C/z · z −1 = 1. a −b Se z = a + ib allora z −1 = 2 +i 2 2 a +b a + b2 Vale inoltre la proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto all’addizione: ∀z, w, t ∈ C z · (w + t) = z · w + z · t Osservazione Per determinare l’inverso del numero complesso a + ib, si scrive numeratore e denominatore per a − ib 1 e si moltiplicano a + ib Teorema 16.2.1 (Campo dei numeri complessi). L’insieme dei numeri complessi C dotato delle operazioni di addizione e di moltiplicazione definite precedentemente è un campo. 16.3 Coniugato di un numero complesso Definizione 16.3.1 (Coniugato di un numero complesso). Dato il numero complesso z = a + ib si dice coniugato di z il numero complesso z = a − ib. Teorema 16.3.1 (Prodotto e somma tra un numero complesso e il suo coniugato). Dato z = a + ib si ha 1. z + z = 2a 2. z · z = a2 + b2 327 CAPITOLO 16. NUMERI COMPLESSI Teorema 16.3.2 (Numero complesso reale). Il numero complesso z è reale se e solo se z = z Teorema 16.3.3 (Proprietà del coniugato di un numero complesso). 1. ∀z, w ∈ C z + w = z + w 2. ∀z, w ∈ C z · w = z · w Ç å 3. ∀z ∈ C0 1 z = 1 z Teorema 16.3.4 (Parte reale e parte immaginaria di un numero complesso). Per ogni z ∈ C si ha 1 1. Re z = (z + z) 2 2. Im z = 16.4 1 (z − z) 2i Modulo di un numero complesso Definizione 16.4.1 (Modulo di un numero complesso). √ Si dice modulo del numero complesso z = a + ib il numero reale |z| = a2 + b2 Osservazione |z| = √ zz Il modulo di un numero complesso si indica anche con ρ. Osservazione √ Se z è reale |z| = a2 = |a|, quindi, per un numero reale, il modulo è uguale al valore assoluto. Teorema 16.4.1 (Proprietà del modulo di un numero complesso). 1. ∀z ∈ C |z| > 0 2. ∀z ∈ C |z| = 0 ⇔ z = 0 3. ∀z, w ∈ C |zw| = |z||w| 4. ∀z, w ∈ C |z + w| 6 |z| + |w| 328 16.5. POTENZE DELL’UNITÀ IMMAGINARIA 16.5 Potenze dell’unità immaginaria Teorema 16.5.1 (Potenze dell’unità immaginaria). i0 = 1 i1 = i i2 = −1 i3 = i · i2 = −i i4 = i2 · i2 = 1 i5 = i4 · i = i Indicando con r il resto della divisione tra n e 4 si ha in = ir 16.6 Potenza di un numero complesso Per le potenze di un numero complesso continuano a valere le proprietà viste per i numeri reali. In particolare z 0 = 1 ∀z ∈ C0 . Per effettuare la potenza di un numero complesso è sufficiente applicare la regola della potenza di un binomio. 16.7 Divisione tra numeri complessi Per effettuare la divisione tra due numeri complessi, con il divisore non nullo, è sufficiente effettuare la moltiplicazione tra il dividendo e l’inverso del divisore. In pratica, per effettuare la divisione, si moltiplicano dividendo e divisore per il coniugato del divisore. 16.8 Rappresentazione geometrica dei numeri complessi: il piano di Argand-Gauss I numeri complessi si possono rappresentare su un sistema di riferimento cartesiano. Al numero complesso a + ib corrisponde il punto di coordinate (a, b). Il piano si chiama piano complesso o piano di Argand-Gauss. L’asse delle x si chiama asse reale, l’asse delle y si chiama asse immaginario. 16.9 Rappresentazione dei numeri complessi mediante vettori −→ Il numero complesso z = a + ib è individuato dal vettore OP dove P ha coordinate (a, b) Osservazione Il modulo di un numero complesso è il modulo del vettore che lo individua. 329 CAPITOLO 16. NUMERI COMPLESSI Definizione 16.9.1 (Argomento di un numero complesso). Si dice argomento del numero complesso z 6= 0 e si indica con arg(z) l’angolo θ che il vettore associato al numero forma con il semiasse reale positivo Se il numero complesso è nullo, l’argomento è indeterminato. L’argomento di un numero complesso è definito a meno di multipli di 2π. Noi consideriamo come argomento principale 0 6 arg(z) < 2π. 16.10 Forma trigonometrica dei numeri complessi Ogni numero complesso non nullo è individuato dal modulo e dall’argomento. Teorema 16.10.1 (Forma trigonometrica di un numero complesso). Dato il numero complesso z = a + ib si ha z = ρ(cos(θ) + i sin(θ)) dove ρ = |z| e θ = arg(z) La forma ρ(cos(θ) + i sin(θ)) si dice forma trigonometrica del numero complesso z. Osservazione Dato il numero complesso z = a + ib, si ha √ ρ = a2 + b 2 a + b2 b sin(θ) = √ 2 a + b2 b tan(θ) = a Teorema 16.10.2 (Uguaglianza tra numeri complessi in forma trigonometrica). Dati i numeri complessi cos(θ) = √ a2 z = ρ(cos(θ) + i sin(θ)) e z 0 = ρ0 (cos(θ0 ) + i sin(θ0 )) z = z 0 se e solo se ρ = ρ0 ∧ θ = θ0 + 2kπ per un opportuno k 16.10.1 Moltiplicazione Teorema 16.10.3 (Moltiplicazione tra numeri complessi in forma trigonometrica). Dati z = ρ(cos(θ) + i sin(θ)) e z 0 = ρ0 (cos(θ0 ) + i sin(θ0 )) si ha zz 0 = ρρ0 (cos(θ + θ0 ) + i sin(θ + θ0 )) 330 16.10. FORMA TRIGONOMETRICA DEI NUMERI COMPLESSI 16.10.2 Potenza Teorema 16.10.4 (Potenza di un numero complesso in forma trigonometrica). Dato z = ρ(cos(θ) + i sin(θ)) si ha z n = ρn (cos(nθ) + i sin(nθ)) 16.10.3 Complesso coniugato Teorema 16.10.5 (Complesso coniugato). Dato z = ρ(cos(θ) + i sin(θ)) si ha z = ρ(cos(−θ) + i sin(−θ)) 16.10.4 Divisione Teorema 16.10.6 (divisione tra numeri complessi in forma trigonometrica). Dati z = ρ(cos(θ) + i sin(θ)) e z 0 = ρ0 (cos(θ0 ) + i sin(θ0 )) si ha ρ z = 0 (cos(θ − θ0 ) + i sin(θ − θ0 )) 0 z ρ 16.10.5 Radice ennesima Dato z ∈ C si dice radice ennesima di z ogni numero complesso w tale che wn = z In particolare √ n 0=0 Teorema 16.10.7 (Radice ennesima di un numero complesso in forma trigonometrica). Dato z = ρ(cos(θ) + i sin(θ)) si ha Ç Ç å Ç åå √ θ + 2kπ θ + 2kπ √ n n z = ρ cos + i sin k = 0, . . . , n − 1 n n 331 CAPITOLO 16. NUMERI COMPLESSI Osservazione Per determinare le radici ennesime di un numero complesso in alcuni casi si può utilizzare la forma algebrica Esempio 16.10.1. Dato z = −15 − 8i determiniamo le sue radici quadrate. Se w = x + iy è una radice quadrata di z, si ha w2 = z cioè (x + iy)2 = −15 − 8i x2 − y 2 + i2xy = −15 − 8i da cui ( 2 x − y 2 = −15 2xy = −8 ( x=1 ∨ y = −4 ( x = −1 y=4 Quindi le radici quadrate di −15 − 8i sono 1 − 4i, −1 + 4i 16.10.6 Rappresentazione delle radici ennesime Le radici ennesime di z ∈ C0 con n > 2 rappresentate sul piano complesso sono i vertici di un poligono regolare di n lati inscritto nella circonferenza di centro l’origine e raggio uguale al modulo di ciascuna di esse. Se n = 2 le radici ennesime sono due punti della circonferenza simmetrici rispetto all’origine. Per rappresentare le radici ennesime di z ∈ C0 con n > 2 sul piano complesso: 1. si determina una delle radici ennesime 2. si rappresenta una circonferenza di centro l’origine e raggio uguale al modulo della radice ennesima 3. si rappresenta la radice ennesima trovata 4. si rappresentano le altre radici dividendo la circonferenza in n parti uguali partendo da quella trovata 332 16.11. LA FUNZIONE ESPONENZIALE COMPLESSA 16.11 La funzione esponenziale complessa Definizione 16.11.1 (Esponenziale complesso). Dato z = x + iy ∈ C0 si ha ez = ex (cos(y) + i sin(y)) Si pone e0 = 1 In particolare • se y = 0 cioè z = x si ha ez = ex (cos(0) + i sin(0)) = ex • se x = 0 cioè z = iy si ha ez = eiy = e0 (cos(y) + i sin(y)) = cos(y) + i sin(y) 16.11.1 Proprietà dell’esponenziale complesso 0 1. ∀z, z 0 ∈ C ez ez = ez+z 2. ∀z ∈ C, ∀n ∈ N0 3. ∀z, z 0 ∈ C 16.11.2 0 (ez )n = enz ez z−z 0 0 = e z e Formule di Eulero eiy = cos(y) + i sin(y) e−iy = cos(y) − i sin(y) eiy + e−iy cos(y) = 2 eiy − e−iy sin(y) = 2i 16.11.3 Forma esponenziale di un numero complesso Teorema 16.11.1 (Forma esponenziale di un numero complesso). Dato z = ρ(cos(θ) + i sin(θ)) si ha z = ρeiθ Teorema 16.11.2 (Uguaglianza tra numeri complessi in forma esponenziale). Dati i numeri complessi z = ρeiθ e z 0 = ρ0 eiθ 0 z = z 0 se e solo se ρ = ρ0 ∧ θ = θ0 + 2kπ per un opportuno k 333 CAPITOLO 16. NUMERI COMPLESSI 16.11.4 Moltiplicazione Teorema 16.11.3 (Moltiplicazione tra numeri complessi in forma esponenziale). Dati z = ρeiθ e z 0 = ρ0 eiθ 0 si ha 0 zz 0 = ρρ0 ei(θ+θ ) 16.11.5 Potenza Teorema 16.11.4 (Potenza di un numero complesso in forma esponenziale). Dato z = ρeiθ si ha z n = ρn einθ 16.11.6 Divisione Teorema 16.11.5 (Divisione tra numeri complessi in forma esponenziale). Dati z = ρeiθ e z 0 = ρ0 eiθ 0 si ha z ρ 0 = 0 ei(θ−θ ) 0 z ρ 16.11.7 Radice ennesima Teorema 16.11.6 (Radice ennesima di un numero complesso in forma esponenziale). Dato z = ρeiθ si ha √ n z= √ n ρei θ+2kπ n k = 0, · · · , n − 1 334 16.12. L’EQUAZIONE Z N − W = 0 IN C L’equazione z n − w = 0 in C 16.12 Teorema 16.12.1. L’equazione z n − w = 0 nell’incognita z ∈ C con w ∈ C0 ha n soluzioni distinte: θ + 2kπ √ z = n ρ cos n Ç Ç å Ç θ + 2kπ + i sin n åå k = 0, . . . , n − 1 oppure z= √ n ρei θ+2kπ n k = 0, . . . , n − 1 dove ρ = |w| e θ = arg(w) Osservazione Per risolvere l’equazione z n − w = 0 in C è sufficiente determinare le radici ennesime di w 16.13 Equazioni di secondo grado in C Teorema 16.13.1. L’equazione az 2 + bz + c = 0 nell’incognita z ∈ C con a ∈ C0 , b, c ∈∈ C ha 2 soluzioni: √ −b + ∆ z= 2a dove ∆ = b2 − 4ac Osservazione Nella formula risolutiva compare solo il + perché la radice quadrata è intesa in senso complesso e quindi ha due valori 335 Capitolo 17 Numeri reali 17.1 Introduzione L’insieme R dei numeri reali, dotato delle operazioni di addizione e moltiplicazione, ha la struttura di campo: per tali operazioni valgono le proprietà commutativa, associativa, di esistenza dell’elemento neutro, di esistenza dell’inverso, vale inoltre la proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto all’addizione. L’insieme dei numeri reali è ordinato, cioè su R è definita una relazione chiamata minore o uguale, che si indica con 6, che gode delle proprietà riflessiva, antisimmetrica e transitiva. Due numeri reali sono sempre confrontabili, quindi la relazione 6 è una relazione di ordine totale. Vale inoltre il principio di Archimede: per ogni numero reale esiste un numero naturale maggiore o uguale di esso. Utilizzeremo i simboli −∞ e +∞ che hanno la seguente proprietà: ∀x ∈ R − ∞ < x < +∞ 17.2 Intervalli Gli intervalli sono particolari sottoinsiemi dei numeri reali. Dati a, b ∈ R, con a 6 b si dice intervallo ciascuno dei seguenti insiemi: ]a, b[ = {x ∈ R/a < x < b} intervallo aperto [a, b[ = {x ∈ R/a 6 x < b} intervallo semiaperto o semichiuso ]a, b] = {x ∈ R/a < x 6 b} intervallo semiaperto o semichiuso [a, b] = {x ∈ R/a 6 x 6 b} intervallo chiuso [a, +∞[ = {x ∈ R/x > a} intervallo chiuso ]a, +∞[ = {x ∈ R/x > a} intervallo aperto ]−∞, a] = {x ∈ R/x 6 a} intervallo chiuso ]−∞, a[ = {x ∈ R/x < a} intervallo aperto Osservazioni 1. I primi 4 intervalli sono limitati, gli altri sono illimitati. 2. L’insieme R è l’intervallo ]−∞, +∞[. 336 17.3. ESTREMO SUPERIORE, ESTREMO INFERIORE, MASSIMO E MINIMO DI UN INSIEME 3. [a, a] = {a} 4. ]a, a] = [a, a[=]a, a[= ∅ 17.3 Estremo superiore, estremo inferiore, massimo e minimo di un insieme Sia A un sottoinsieme non vuoto di R. Definizione 17.3.1 (Maggiorante). Si dice che Λ ∈ R è un maggiorante di A, se e solo se ∀x ∈ A x 6 Λ. Definizione 17.3.2 (Insieme superiormente limitato). Si dice che A è superiormente limitato, se e solo se ammette un maggiorante Definizione 17.3.3 (Estremo superiore). Si dice estremo superiore di A il più piccolo dei maggioranti e si indica con sup (A). Se l’estremo superiore esiste, è unico. Si può dimostrare che ogni sottoinsieme di R, non vuoto e superiormente limitato, ammette estremo superiore. Definizione 17.3.4 (Massimo). Si dice che M è il massimo di A, se e solo se M ∈ A ∧ ∀x ∈ A x 6 M e si indica con max (A). Se il massimo esiste, è unico e coincide con l’estremo superiore. Definizione 17.3.5 (Minorante). Si dice che λ ∈ R è un minorante di A, se e solo se ∀x ∈ A x > λ. Definizione 17.3.6 (Insieme inferiormente limitato). Si dice che A è inferiormente limitato, se e solo se ammette un minorante Definizione 17.3.7 (Estremo inferiore). Si dice estremo inferiore di A il più grande dei minoranti e si indica con inf (A). Se l’estremo inferiore esiste, è unico. Si può dimostrare che ogni sottoinsieme di R, non vuoto e inferiormente limitato, ammette estremo inferiore. Definizione 17.3.8 (Minimo). Si dice che m è il minimo di A, se e solo se m ∈ A ∧ ∀x ∈ A x > m e si indica con min (A). Se il minimo esiste, è unico e coincide con l’estremo inferiore. Definizione 17.3.9 (Insieme limitato). Si dice che A è limitato, se e solo se è superiormente e inferiormente limitato Se A è limitato, allora ∃k > 0/∀x ∈ A |x| 6 k. Esempio 17.3.1. Dato A = [−2, 5[, A è limitato e ∀x ∈ A |x| 6 5. 337 Capitolo 18 Funzioni 18.1 Introduzione Definizione 18.1.1 (Funzione). Dati due insiemi D ed E non vuoti, si dice funzione f da D in E una relazione che a ogni elemento di D associa uno e un solo elemento di E. Notazione 18.1.1. Le funzioni si indicano con f ,g,h. Per indicare che una funzione f va da D in E si scrive f :D→E L’insieme D si chiama dominio, l’insieme E si chiama insieme di arrivo. Se in una funzione f : D → E, x ∈ D è in relazione con y ∈ E, si dice che y è immagine di x, x è controimmagine di y e si scrive y = f (x). Se y = f (x), x si dice variabile indipendente e y variabile dipendente. L’insieme delle immagini degli elementi di D si dice codominio e si indica con f (D): f (D) = {f (x) ∈ E/x ∈ D} Se, data la funzione f : D → E, D ed E sono sottoinsiemi dei numeri reali, allora essa è detta funzione reale di variabile reale. In una funzione reale di variabile reale, il dominio può essere dato a priori oppure si considera il dominio massimale; anche l’insieme di arrivo può essere dato a priori oppure si considera R. In una funzione f reale di variabile reale f (x) è l’espressione analitica, y = f (x) è l’equazione cartesiana della funzione. Data la funzione f : D ⊆ R → R, l’insieme G = {(x, f (x)) /x ∈ D} si dice grafo di f . Introdotto un sistema di riferimento cartesiano, l’insieme G può essere rappresentato graficamente ottenendo così il grafico della funzione. Si può osservare che, per ogni funzione, ciascuna retta parallela all’asse y, passante per un elemento di D, incontra in uno e un solo punto il grafico della funzione. Ogni funzione reale di variabile reale è individuata assegnando il dominio, l’insieme di arrivo e l’espressione analitica. 338 18.2. FUNZIONI SURIETTIVE, INIETTIVE, BIIETTIVE Esempio 18.1.1. Data la funzione f :R→R f (x) = sin (x) (espressione analitica) y = sin (x) (equazione cartesiana della funzione) D=R f (D) = [−1, 1] 18.2 Funzioni suriettive, iniettive, biiettive Definizione 18.2.1 (Funzione suriettiva). Una funzione f : D → E si dice suriettiva, se e solo se ogni elemento di E ammette almeno una controimmagine. In simboli: ∀y ∈ E ∃x ∈ D/f (x) = y Se una funzione è suriettiva, il codominio è E. Si può osservare che, data una funzione f : D → E reale di variabile reale, f è suriettiva, se e solo se ciascuna retta parallela all’asse x, passante per un elemento di E, incontra almeno in un punto il grafico della funzione. Definizione 18.2.2 (Funzione iniettiva). Una funzione f : D → E si dice iniettiva, se e solo se ogni elemento di E ammette al più una controimmagine. In simboli: ∀x, x0 ∈ D x 6= x0 ⇒ f (x) 6= f (x0 ) Si può osservare che, data una funzione f : D → E reale di variabile reale, f è iniettiva, se e solo se ciascuna retta parallela all’asse x, passante per un elemento di E, incontra al più in un punto il grafico della funzione. Definizione 18.2.3 (Funzione biiettiva). Una funzione f : D → E si dice biiettiva, se e solo se è iniettiva e suriettiva. Una funzione biiettiva si dice anche biiezione o corrispondenza biunivoca. Dalla definizione si deduce che una funzione f : D → E è una biiezione, se e solo se ogni elemento di E ammette una e una sola controimmagine. Si può osservare che, data una funzione f : D → E reale di variabile reale, f è biiettiva, se e solo se ciascuna retta parallela all’asse x, passante per un elemento di E, incontra in uno e un solo punto il grafico della funzione. 339 CAPITOLO 18. FUNZIONI 18.3 Funzione inversa Definizione 18.3.1 (Funzione inversa). Data la funzione f : D → E, se esiste la funzione f −1 : E → D definita nel seguente modo: x = f −1 (y) ⇔ y = f (x) , ∀x ∈ D, ∀y ∈ E f è invertibile e f −1 è la funzione inversa. Si può osservare che una funzione è invertibile, se e solo se è biiettiva; la funzione inversa è ancora biiettiva. Per una funzione reale di variabile reale, il grafico della sua inversa è il simmetrico rispetto alla bisettrice del primo e terzo quadrante del grafico della funzione data. Una funzione f non invertibile, si può rendere invertibile restringendo opportunamente il dominio e l’insieme di arrivo. Per ricavare la funzione inversa di una funzione invertibile f : D → E: 1. si scrive l’equazione cartesiana della funzione: y = f (x) 2. si ricava la variabile x ottenendo x = f −1 (y) 3. si scambiano le variabili: y = f −1 (x) 4. la funzione inversa è f −1 : E → D 18.4 Composizione di funzioni Definizione 18.4.1 (Funzione composta). Siano f : A → B e g : C → D due funzioni tali che il codominio di f sia incluso nel dominio di g. Si dice funzione composta di f e g la funzione g ◦ f : A → D (g composto f ) definita nel seguente modo: (g ◦ f ) (x) = g (f (x)) , ∀x ∈ A Se il codominio di f non è incluso nel dominio di g si può restringere opportunamente il dominio di f in modo che il suo codominio sia incluso nel dominio di g 18.5 Zeri di una funzione Definizione 18.5.1 (Zero di una funzione). Si dice zero della funzione f : D ⊆ R → R ogni valore del dominio che la annulla. Per determinare gli zeri si risolve l’equazione f (x) = 0 in D. 340 18.6. FUNZIONI LIMITATE 18.6 Funzioni limitate Definizione 18.6.1 (Funzione superiormente limitata). Una funzione f : D → R si dice superiormente limitata se il codominio è superiormente limitato. Definizione 18.6.2 (Funzione inferiormente limitata). Una funzione f : D → R si dice inferiormente limitata se il codominio è inferiormente limitato. Definizione 18.6.3 (Funzione limitata). Una funzione f : D → R si dice limitata se il codominio è limitato. Definizione 18.6.4 (Estremo superiore). Si dice estremo superiore di una funzione f : D → R l’estremo superiore del codominio e si indica con sup (f ). Definizione 18.6.5 (Massimo). Si dice massimo (assoluto) di una funzione f : D → R il massimo del codominio e si indica con max (f ). Se una funzione f è dotata di massimo M , allora esiste x0 ∈ D tale che f (x0 ) = M e ∀x ∈ D f (x) 6 f (x0 ); x0 si dice punto di massimo (assoluto) per la funzione f . Definizione 18.6.6 (Estremo inferiore). Si dice estremo inferiore di una funzione f : D → R l’estremo inferiore del codominio e si indica con inf (f ). Definizione 18.6.7 (Minimo). Si dice minimo (assoluto) di una funzione f : D → R il minimo del codominio e si indica con min (f ). Se una funzione f è dotata di minimo m, allora esiste x0 ∈ D tale che f (x0 ) = m e ∀x ∈ D f (x) > f (x0 ); x0 si dice punto di minimo (assoluto) per la funzione f . 18.7 Funzioni monotòne Definizione 18.7.1 (Funzione monotòne). Dato un intervallo I, una funzione f : I → R si dice: • crescente in senso stretto su I, se ∀x1 , x2 ∈ I x1 < x2 ⇒ f (x1 ) < f (x2 ) • crescente su I, se ∀x1 , x2 ∈ I x1 < x2 ⇒ f (x1 ) 6 f (x2 ) • decrescente in senso stretto su I, se ∀x1 , x2 ∈ I x1 < x2 ⇒ f (x1 ) > f (x2 ) • decrescente su I, se ∀x1 , x2 ∈ I x1 < x2 ⇒ f (x1 ) > f (x2 ) In tutti questi casi si dice che la funzione è monotòna su I. In particolare se la funzione è crescente o decrescente in senso stretto si dice strettamente monotòna o monotòna in senso stretto. 341 CAPITOLO 18. FUNZIONI 18.8 Classificazione delle funzioni Le funzioni reali di variabile reale si possono suddividere in funzioni algebriche e funzioni trascendenti. Una funzione si dice algebrica se è espressa solo mediante le operazioni: addizione, sottrazione, moltiplicazione, divisione, potenza e radice. Una funzione si dice trascendente se non è algebrica. 18.8.1 Funzioni iperboliche Esempio 18.8.1. • La funzione f (x) = sinh (x) = ex − e−x 2 è il seno iperbolico. Il dominio è D=R il codominio f (D) = R e il grafico 3 y 2 1 x −3 −2 −1 O 1 2 3 −1 −2 −3 Figura 18.1: grafico di f (x) = sinh (x) • La funzione f (x) = cosh (x) = ex + e−x 2 342 18.8. CLASSIFICAZIONE DELLE FUNZIONI è il coseno iperbolico. Il dominio è D=R il codominio f (D) = [1, +∞[ e il grafico y 4 3 2 1 x −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 −1 Figura 18.2: grafico di f (x) = cosh (x) • La funzione f (x) = tanh (x) = sinh(x) ex − e−x = x cosh(x) e + e−x è la tangente iperbolica. Il dominio è D=R il codominio f (D) =] − 1, 1[ e il grafico 343 4 CAPITOLO 18. FUNZIONI 3 y 2 1 x −3 −2 −1 O 1 2 3 −1 −2 −3 Figura 18.3: grafico di f (x) = tanh (x) • La funzione cosh(x) ex + e−x = x sinh(x) e − e−x è la cotangente iperbolica. Il dominio è f (x) = coth (x) = D = ]−∞, 0[ ∪ ]0, +∞[ il codominio f (D) =] − ∞, −1[∪]1, +∞[ e il grafico 3 y 2 1 x −3 −2 −1 O 1 2 3 −1 −2 −3 Figura 18.4: grafico di f (x) = coth (x) 344 18.8. CLASSIFICAZIONE DELLE FUNZIONI Teorema 18.8.1. cosh2 (x) − sinh2 (x) = 1 ∀x ∈ R 18.8.2 Inverse delle funzioni iperboliche Esempio 18.8.2. Determiniamo la funzione inversa di g:R→R g (x) = sinh (x) La funzione g è biiettiva, quindi esiste la funzione inversa g −1 = f . La funzione f :R→R f (x) = settsinh (x) ha dominio D=R codominio f (D) = R e grafico 3 y 2 1 x −6 −5 −4 −3 −2 O −1 1 2 3 4 −1 −2 −3 Figura 18.5: grafico di f (x) = settsinh (x) Teorema 18.8.2. settsinh (x) = ln(x + √ x2 + 1) ∀x ∈ R 345 5 6 7 CAPITOLO 18. FUNZIONI Esempio 18.8.3. Determiniamo la funzione inversa di g:R→R g (x) = cosh (x) La funzione g non è biiettiva. g : [0, +∞[ → [1, +∞[ g (x) = cosh (x) La funzione g è biiettiva, quindi esiste la funzione inversa g −1 = f . La funzione f : [1, +∞[→ [0, +∞[ f (x) = settcosh (x) ha dominio D = [1, +∞[ codominio f (D) = [0, +∞[ e grafico 3 y 2 1 x −2 O −1 1 2 3 4 5 6 7 −1 Figura 18.6: grafico di f (x) = settcosh (x) Teorema 18.8.3. settcosh (x) = ln(x + √ x2 − 1) ∀x ∈ [1, +∞[ 346 8 18.9. DOMINI DI FUNZIONI REALI DI VARIABILE REALE 18.9 Domini di funzioni reali di variabile reale Se una funzione è data solo con l’espressione analitica, si deve determinare il dominio massimale. 18.10 Funzioni pari e funzioni dispari Definizione 18.10.1 (Funzione pari). Una funzione f : D → R si dice pari se • x ∈ D ⇒ −x ∈ D • ∀x ∈ D f (−x) = f (x) Per determinare se una funzione è pari, è sufficiente vedere se il dominio è simmetrico rispetto all’origine, calcolare f (−x) e vedere se si ottiene la stessa espressione analitica. Il grafico di una funzione pari è simmetrico rispetto all’asse y. Definizione 18.10.2 (Funzione dispari). Una funzione f : D → R si dice dispari se • x ∈ D ⇒ −x ∈ D • ∀x ∈ D f (−x) = −f (x) Per determinare se una funzione è dispari, è sufficiente vedere se il dominio è simmetrico rispetto all’origine, calcolare f (−x) e vedere se si ottiene l’opposto dell’espressione analitica data. Il grafico di una funzione dispari è simmetrico rispetto all’origine. 18.11 Funzioni periodiche Definizione 18.11.1 (Funzione periodica). Una funzione f : D → R si dice periodica di periodo T 6= 0 se • x∈D ⇔x+T ∈D • ∀x ∈ D f (x + T ) = f (x) Si può osservare che se f è periodica di periodo T , allora: ∀x ∈ D, ∀k ∈ Z x + kT ∈ D ∧ f (x + kT ) = f (x) Se T è il periodo di una funzione, allora anche kT (k 6= 0) è un periodo della funzione. Il minimo tra i periodi positivi, se esiste, viene detto periodo principale. Esistono funzioni periodiche che non hanno periodo principale: nella funzione costante tutti i numeri reali sono periodi ma non esiste il più piccolo positivo. Tutte le volte che si parla di periodo si intende il periodo principale. Per determinare il periodo di una funzione: 347 CAPITOLO 18. FUNZIONI 1. si determina il dominio D 2. si determina T , se esiste, imponendo che ∀x ∈ D f (x + T ) = f (x) 3. si verifica che x ∈ D ⇔ x + T ∈ D Osservazioni 1. Una funzione con dominio inferiormente limitato o superiormente limitato non può essere periodica. 2. Se il dominio di una funzione è R, la condizione x ∈ D ⇔ x + T ∈ D è sempre verificata. In generale non si possono stabilire regole per determinare il periodo delle funzioni. Ci si può solo attenere alle indicazioni che seguono: • se una funzione f è periodica di periodo T , allora la funzione g, definita da g (x) = T f (kx), con k ∈ R − {0}, è periodica di periodo |k| • se si hanno due funzioni periodiche con diversi periodi T1 e T2 , e se esistono multipli interi comuni dei due periodi, allora le funzioni somma, prodotto, quoziente, hanno periodo uguale al minimo comune multiplo dei periodi • se si hanno due funzioni periodiche con lo stesso periodo T , allora le funzioni somma, prodotto, quoziente (se non si ottiene una costante), hanno periodo minore o uguale al periodo comune T 18.12 Intersezioni con gli assi Per determinare gli eventuali punti di intersezione del grafico di una funzione f : D → R con gli assi cartesiani, si risolve il sistema costituito dall’equazione cartesiana della funzione e dall’equazione di uno dei due assi. il grafico interseca l’asse x nei punti che hanno come ascissa gli zeri della funzione e come ordinata 0. Il grafico interseca l’asse y al più in un punto. Se 0 non appartiene al dominio, il sistema è impossibile e quindi il grafico non interseca l’asse y. Se 0 appartiene al dominio, il grafico interseca l’asse y nel punto che ha come ascissa 0 e come ordinata f (0). 18.13 Segno di una funzione Studiare il segno di una funzione f significa determinare gli intervalli nei quali la funzione è positiva, nulla, negativa. Per far questo si risolve la disequazione f (x) > 0 nel dominio. 348 18.14. LE TRASFORMAZIONI GEOMETRICHE E I GRAFICI DELLE FUNZIONI 18.14 Le trasformazioni geometriche e i grafici delle funzioni 18.14.1 Traslazione Il grafico della funzione g (x) = f (x + a) + ! b con (a, b) 6= (0, 0) è il grafico della funzione f −a traslato di un vettore di componenti . b Se a = 0, il vettore è parallelo all’asse y e quindi si ha una traslazione verso l’alto (b > 0) o verso il basso (b < 0). Se b = 0, il vettore è parallelo all’asse x e quindi si ha una traslazione verso destra (a < 0) o verso sinistra (a > 0). Se a 6= 0 ∧ b 6= 0 il vettore non è parallelo agli assi. 18.14.2 Simmetrie Il grafico della funzione g (x) = −f (x) è il simmetrico rispetto all’asse x del grafico di f . Il grafico della funzione g (x) = f (−x) è il simmetrico rispetto all’asse y del grafico di f . Il grafico della funzione g (x) = −f (−x) è il simmetrico rispetto all’origine del grafico di f . 18.14.3 Valore assoluto il grafico della funzione g (x) = |f (x) | è il grafico di f dove f è positiva o nulla, è il simmetrico rispetto all’asse x del grafico di f dove f è negativa. il grafico della funzione g (x) = f (|x|) è il grafico di f per x ∈ D ∧ x > 0, mentre, per −x ∈ D ∧ x < 0, è il simmetrico rispetto all’asse y della parte del grafico di f per x ∈ D ∧ x > 0. 18.14.4 Dilatazione e contrazione Il grafico della funzione g (x) = af (bx) con a, b ∈ R+ e (a, b) 6= (1, 1) è il grafico della funzione f dilatato o contratto. Se a = 1, si ottiene g (x) = f (bx) e, se 0 < b < 1, si ha una dilatazione lungo l’asse x, se b > 1, si ha una contrazione lungo l’asse x. Se b = 1, si ottiene g (x) = af (x) e, se a > 1, si ha una dilatazione lungo l’asse y, se 0 < a < 1, si ha una contrazione lungo l’asse y. Se b 6= 1 ∧ a 6= 1 si ha una dilatazione o contrazione lungo i due assi. 349 Capitolo 19 Topologia 19.1 Intorno Definizione 19.1.1 (Intorno elementare). Si dice intorno elementare di x0 ∈ R ogni intervallo aperto contenente x0 . Definizione 19.1.2 (Intorno). Si dice intorno di x0 ∈ R ogni sottoinsieme di R contenente un intorno elementare di x0 . Un intorno di x0 si indica in uno dei seguenti modi: I (x0 ) , U (x0 ) , V (x0 ) 1. Tutti gli intorni elementari di x0 ∈ R sono intorni di x0 . 2. Per ogni x0 ∈ R, esiste almeno un intorno, Se esiste un intorno di x0 ∈ R, allora ne esistono infiniti. 19.1.1 Proprietà degli intorni 1. Un intorno di x0 ∈ R non è mai vuoto, infatti contiene almeno x0 . 2. L’intersezione di due intorni di x0 è un intorno di x0 . 3. L’intersezione di un numero finito di intorni di x0 è un intorno di x0 4. Se U (x0 ) è un intorno di x0 e U (x0 ) ⊆ A, allora A è un intorno di x0 . 5. Dati x1 , x2 ∈ R con x1 6= x2 , esistono un intorno di x1 e un intorno di x2 tali che la loro intersezione è vuota. 19.2 Punti interni ad un insieme Definizione 19.2.1 (Punto interno). Un punto x0 ∈ R si dice interno ad A ⊆ R se esiste un intorno di x0 incluso in A. L’insieme di tutti i punti interni ad A si dice parte interna di A e si indica con Int (A). Un punto interno ad un insieme appartiene all’insieme. 350 19.3. PUNTI ESTERNI AD UN INSIEME 19.3 Punti esterni ad un insieme Definizione 19.3.1 (Punto esterno). Un punto x0 ∈ R si dice esterno ad A ⊆ R se esiste un intorno di x0 che ha intersezione vuota con A. L’insieme di tutti i punti esterni di A si dice parte esterna di A e si indica con Ext (A). Un punto esterno ad un insieme non appartiene all’insieme. 19.4 Punti di frontiera di un insieme Definizione 19.4.1 (Punto di frontiera). Un punto x0 ∈ R si dice punto di frontiera di A ⊆ R se ogni intorno di x0 contiene dei punti appartenenti a A e dei punti appartenenti al complementare di A. L’insieme di tutti i punti di frontiera di A si dice frontiera di A e si indica con Fr (A). 1. Un punto di frontiera di un insieme può appartenere o non appartenere all’insieme. 2. Int (A) ∪ Ext (A) ∪ Fr (A) = R 3. la parte interna, esterna e di frontiera sono disguinte a due a due 19.5 Punti aderenti ad un insieme Definizione 19.5.1 (Punto aderente). Un punto x0 ∈ R si dice punto aderente ad A ⊆ R se è un punto interno o un punto di frontiera di A. L’insieme di tutti i punti aderenti ad A si dice chiusura di A e si indica con A. 1. Un punto aderente ad un insieme può appartenere o non appartenere all’insieme. 2. A ⊆ A 19.6 Punti isolati di un insieme Definizione 19.6.1 (Punto isolato). Un punto x0 ∈ R si dice punto isolato di A ⊆ R se esiste un intorno di x0 che ha in comune con A solo x0 . Un punto isolato di un insieme appartiene all’insieme. 351 CAPITOLO 19. TOPOLOGIA 19.7 Punti di accumulazione di un insieme Definizione 19.7.1 (Punto di accumulazione). Un punto x0 ∈ R si dice punto di accumulazione di A ⊆ R se è aderente ad A e non è un punto isolato di A. L’insieme dei punti di accumulazione di A viene chiamato derivato di A e si indica con D (A). Un punto di accumulazione di un insieme può appartenere o non appartenere all’insieme. Se x0 ∈ R è un punto di accumulazione di A, ogni intorno di x0 contiene infiniti punti di A 352 Capitolo 20 Limiti di funzioni 20.1 Limite finito Il concetto di limite serve per studiare il comportamento di una funzione f : D → R nelle vicinanze di un punto x0 in cui la funzione può essere definita oppure no; il punto x0 deve essere un punto di accumulazione del dominio. Definizione 20.1.1 (Limite finito). Siano f : D → R e x0 punto di accumulazione di D. Si dice che la funzione f tende al limite l ∈ R per x tendente a x0 , se e solo se per ogni ε positivo esiste un intorno U (x0 ) di x0 tale che per ogni x ∈ U (x0 ) ∩ D − {x0 } si ha |f (x) − l| < ε. In simboli: lim f (x) = l ⇔ ∀ε > 0 ∃ U (x0 ) /∀x ∈ U (x0 ) ∩ D − {x0 } ⇒ |f (x) − l| < ε x→x0 20.2 Limite infinito Definizione 20.2.1 (Limite infinito). Siano f : D → R e x0 punto di accumulazione di D. lim f (x) = +∞ ⇔ ∀M > 0 ∃ U (x0 ) /∀x ∈ U (x0 ) ∩ D − {x0 } ⇒ f (x) > M x→x0 lim f (x) = −∞ ⇔ ∀M > 0 ∃ U (x0 ) /∀x ∈ U (x0 ) ∩ D − {x0 } ⇒ f (x) < −M x→x0 20.3 Limite finito di una funzione all’infinito Definizione 20.3.1 (Limite finito di una funzione all’infinito). Sia f : D → R con D superiormente illimitato. lim f (x) = l ⇔ ∀ε > 0 ∃ N/∀x ∈ D, x > N ⇒ |f (x) − l| < ε x→+∞ Sia f : D → R con D inferiormente illimitato. lim f (x) = l ⇔ ∀ε > 0 ∃ N/∀x ∈ D, x < N ⇒ |f (x) − l| < ε x→−∞ 353 CAPITOLO 20. LIMITI DI FUNZIONI 20.4 Limite infinito di una funzione all’infinito Definizione 20.4.1 (Limite infinito di una funzione all’infinito). Sia f : D → R con D superiormente illimitato. lim f (x) = +∞ ⇔ ∀M > 0 ∃ N/∀x ∈ D, x > N ⇒ f (x) > M x→+∞ lim f (x) = −∞ ⇔ ∀M > 0 ∃ N/∀x ∈ D, x > N ⇒ f (x) < −M x→+∞ Sia f : D → R con D inferiormente illimitato. lim f (x) = +∞ ⇔ ∀M > 0 ∃ N/∀x ∈ D, x < N ⇒ f (x) > M x→−∞ lim f (x) = −∞ ⇔ ∀M > 0 ∃ N/∀x ∈ D, x < N ⇒ f (x) < −M x→−∞ 20.5 Limite destro e limite sinistro Definizione 20.5.1 (Limite sinistro). Siano f : D → R e x0 punto di accumulazione di D∩] − ∞, x0 [. Si dice che la funzione f tende al limite l ∈ R per x tendente a x0 da sinistra, e si scrive lim− f (x) = l, se e solo se x→x0 ∀ε > 0 ∃ U (x0 ) /∀x < x0 con x ∈ U (x0 ) ∩ D ⇒ |f (x) − l| < ε Definizione 20.5.2 (Limite destro). Siano f : D → R e x0 punto di accumulazione di D∩]x0 , +∞[. Si dice che la funzione f tende al limite l ∈ R per x tendente a x0 da destra, e si scrive lim+ f (x) = l, se e solo se x→x0 ∀ε > 0 ∃ U (x0 ) /∀x > x0 con x ∈ U (x0 ) ∩ D ⇒ |f (x) − l| < ε Definizione 20.5.3 (Limite sinistro infinito). Siano f : D → R e x0 punto di accumulazione di D∩] − ∞, x0 [. lim f (x) = +∞ ⇔ ∀M > 0 ∃ U (x0 ) /∀x < x0 con x ∈ U (x0 ) ∩ D ⇒ f (x) > M x→x− 0 lim f (x) = −∞ ⇔ ∀M > 0 ∃ U (x0 ) /∀x < x0 con x ∈ U (x0 ) ∩ D ⇒ f (x) < −M x→x− 0 Definizione 20.5.4 (Limite destro infinito). Siano f : D → R e x0 punti di accumulazione di D∩]x0 , +∞[. lim f (x) = +∞ ⇔ ∀M > 0 ∃ U (x0 ) /∀x > x0 con x ∈ U (x0 ) ∩ D ⇒ f (x) > M x→x+ 0 lim f (x) = −∞ ⇔ ∀M > 0 ∃ U (x0 ) /∀x > x0 con x ∈ U (x0 ) ∩ D ⇒ f (x) < −M x→x+ 0 354 20.6. TEOREMI SUI LIMITI 20.6 Teoremi sui limiti Teorema 20.6.1 (Unicità del limite). Siano f : D → R e x0 punto di accumulazione di D. Se lim f (x) = l ∈ R x→x0 allora l è unico Il teorema vale anche per x → ±∞ e per l = ±∞. Teorema 20.6.2 (Limite destro e limite sinistro). Siano f : D → R e x0 punto di accumulazione di D∩] − ∞.x0 [∩]x0 , +∞[. lim f (x) = l ⇔ lim− f (x) = l ∧ lim+ f (x) = l x→x0 x→x0 x→x0 Osservazione Se 1. x0 è un punto di accumulazione di D 2. limx→x+0 f (x) = l ∈ R 3. il limite sinistro non si può effettuare allora si pone lim f (x) = l x→x0 Analogamente per il limite sinistro. Teorema 20.6.3 (Permanenza del segno). Siano f : D → R e x0 punto di accumulazione di D. Se lim f (x) = l > 0 x→x0 allora ∃ U (x0 ) /∀x ∈ U (x0 ) ∩ D − {x0 } ⇒ f (x) > 0 Se lim f (x) = l < 0 x→x0 allora ∃ U (x0 ) /∀x ∈ U (x0 ) ∩ D − {x0 } ⇒ f (x) < 0 355 CAPITOLO 20. LIMITI DI FUNZIONI Teorema 20.6.4 (Del confronto). Siano f, g, h : D → R e x0 punto di accumulazione di D. Se 1. esiste un intorno V (x0 ) di x0 tale che f (x) 6 h (x) 6 g (x) ∀x ∈ V (x0 ) ∩ D − {x0 } 2. x→x lim f (x) = l 0 3. x→x lim g (x) = l 0 allora lim h (x) = l x→x0 Teorema 20.6.5 (Limite di una funzione composta). Siano f : D → R e x0 punto di accumulazione di D, g : D0 → R e l punto di accumulazione di D0 . Se 1. lim f (x) = l x→x0 2. f (D) ⊆ D0 3. lim g (y) = m y→l allora lim g (f (x)) = m x→x0 Teorema 20.6.6 (Valore assoluto). Siano f : D → R e x0 punto di accumulazione di D. Se lim f (x) = l x→x0 allora lim |f (x) | = |l| x→x0 Teorema 20.6.7 (Limite di una somma). Siano f, g : D → R e x0 punto di accumulazione di D. Se 1. x→x lim f (x) = l 0 2. lim g (x) = m x→x0 allora lim (f (x) + g (x)) = l + m x→x0 356 20.6. TEOREMI SUI LIMITI Teorema 20.6.8 (Limite di un prodotto). Siano f, g : D → R e x0 punto di accumulazione di D. Se 1. x→x lim f (x) = l 0 2. lim g (x) = m x→x0 allora lim f (x) g (x) = lm x→x0 Il teorema si può generalizzare al prodotto di n funzioni. In particolare, se lim f (x) = l, x→x0 allora x→x lim (f (x))n = ln 0 Teorema 20.6.9 (Limite di un quoziente). Siano f, g : D → R e x0 punto di accumulazione di D. Se 1. x→x lim f (x) = l 0 2. lim g (x) = m 6= 0 x→x0 allora lim x→x0 l f (x) = g (x) m Osservazione Poiché per ipotesi m 6= 0, per il teorema della permanenza del segno esiste un intorno di x0 U (x0 ) tale che in ogni punto di U (x0 ) ∩ D − {x0 } la funzione g non si annulla. Teorema 20.6.10. Siano f, g : D → R e x0 punto di accumulazione di D. Se 1. f è limitata 2. lim g (x) = 0 x→x0 allora lim f (x) g (x) = 0 x→x0 + Tutti i teoremi visti valgono anche per x → x− 0 , x → x0 , x → ±∞. Esistono teoremi analoghi in cui il limite è ±∞ e i cui risultati verranno sintetizzati con delle tabelle. In precedenza, quando il limite è 0, si è scritto lim f (x) = 0. Per applicare correttamenx→x0 te le generalizzazioni dei teoremi precedenti, a volte si dovrà scrivere x→x lim f (x) = 0− o 0 lim f (x) = 0+ . x→x0 357 CAPITOLO 20. LIMITI DI FUNZIONI 20.6.1 lim f (x) x→x0 l +∞ −∞ 20.6.2 lim f (x) x→x0 l l l +∞ −∞ ±∞ 20.6.3 lim f (x) x→x0 l l>0 l<0 l>0 l<0 0 −∞ −∞ +∞ +∞ Valore assoluto lim |f (x)| x→x0 |l| +∞ +∞ Addizione lim g (x) x→x0 m +∞ −∞ +∞ −∞ ∓∞ lim (f (x) + g (x)) x→x0 l+m +∞ −∞ +∞ −∞ forma indeterminata Moltiplicazione lim g (x) x→x0 m +∞ +∞ −∞ −∞ ±∞ −∞ +∞ +∞ −∞ lim f (x) · g (x) x→x0 l·m +∞ −∞ −∞ +∞ forma indeterminata +∞ −∞ +∞ −∞ 358 20.7. VERIFICA DI LIMITI DI ALCUNE FUNZIONI 20.6.4 Divisione lim f (x) x→x lim g (x) x→x l m 6= 0 >0 >0 <0 <0 0 0 l l ±∞ +∞ +∞ −∞ −∞ +∞ +∞ −∞ −∞ 0+ 0− 0+ 0− 0 m 6= 0 +∞ −∞ ±∞ m>0 m<0 m>0 m<0 0+ 0− 0+ 0− 0 0 l l l l f (x) 0 g (x) l m +∞ −∞ −∞ +∞ forma indeterminata 0 0 0 forma indeterminata +∞ −∞ −∞ +∞ +∞ −∞ −∞ +∞ lim x→x + I risultati delle tabelle valgono anche per x → x− 0 , x → x0 , x → ±∞. 20.7 Verifica di limiti di alcune funzioni • limx→+∞ x = +∞ √ • limx→+∞ n x = +∞ • dato n dispari, limx→−∞ √ n x = −∞ • Dati i polinomi P (x) e Q (x), con Q (x0 ) 6= 0 lim x→x0 P (x) P (x0 ) = Q (x) Q (x0 ) • limx→+∞ ex = +∞ • limx→−∞ ex = 0 • se a > 1 lim ax = +∞ x→+∞ lim ax = 0 x→−∞ 359 CAPITOLO 20. LIMITI DI FUNZIONI se 0 < a < 1 lim ax = 0 x→+∞ lim ax = +∞ x→−∞ • limx→+∞ ln (x) = +∞ • limx→0+ ln (x) = −∞ • se a > 1 lim loga (x) = +∞ x→+∞ lim loga (x) = −∞ x→0+ se 0 < a < 1 lim loga (x) = −∞ x→+∞ lim loga (x) = +∞ x→0+ • se lim f (x) = 0+ e x→x lim g(x) = +∞ x→x0 0 allora lim f (x)g(x) = 0 x→x0 • se lim f (x) = 0+ e lim g(x) = −∞ x→x0 x→x0 allora lim f (x)g(x) = +∞ x→x0 • limx→±∞ sin (x) = @ • limx→±∞ cos (x) = @ • limx→ π − tan (x) = +∞ 2 limx→ π + tan (x) = −∞ 2 • limx→0− cot (x) = −∞ limx→0+ cot (x) = +∞ 360 20.8. FORME INDETERMINATE 20.8 Forme indeterminate I teoremi sui limiti non si possono applicare se non sono verificate tutte le ipotesi. Per esempio, se nel quoziente di due funzioni il numeratore e il denominatore tendono entrambi 0 a zero, non si può dire nulla sul limite del quoziente. In questo caso si dice che è una 0 forma indeterminata. Le forme indeterminate che si incontrano nei limiti sono le seguenti: 0 ±∞ , , +∞ − ∞, −∞ + ∞, 0 · (±∞) , 1±∞ , (±∞)0 , 00 0 ±∞ 20.8.1 Forme indeterminate con funzioni razionali 0 0 Per calcolare questo tipo di limiti, si devono scomporre numeratore e denominatore e poi semplificare. Forma indeterminata Forme indeterminate +∞ − ∞ e −∞ + ∞ Per calcolare questo tipo di limiti, si deve raccogliere la potenza con esponente maggiore. Per calcolare questo tipo di limiti si può utilizzare il seguente teorema. Teorema 20.8.1. Il limite per x → ±∞ di una funzione razionale intera è uguale al limite del termine di grado massimo. Forme indeterminate ±∞ ±∞ Per calcolare questi limiti si deve raccogliere la potenza con esponente maggiore a numeratore e a denominatore e semplificare. Per calcolare questo tipo di limiti si può utilizzare il seguente teorema. Teorema 20.8.2. Il limite per x → ±∞ del quoziente di polinomi è uguale al limite del rapporto tra i termini di grado massimo. Rapporto e differenza di radici Per calcolare questo tipo di limiti, a volte si deve raccogliere la potenza con esponente maggiore e portare fuori dal segno di radice o applicare la proprietà del prodotto di radicali facendo attenzione al segno del radicando; a volte è necessario razionalizzare. 20.9 20.9.1 lim x→0 Limiti notevoli Primo limite notevole sin (x) =1 x 361 CAPITOLO 20. LIMITI DI FUNZIONI Esempio 20.9.1. tan (x) =1 x→0 x • lim 1 − cos (x) =0 x→0 x • lim 1 − cos (x) 1 = 2 x→0 x 2 • lim a sin (ax) = , con a, b 6= 0 x→0 bx b • lim 20.9.2 Secondo limite notevole Ç lim x→+∞ 1 1+ x Ç lim x→−∞ 1 1+ x åx =e åx =e Esempio 20.9.2. 1 • lim (1 + x) x = e x→0 • lim Å 1+ x→+∞ • lim x→0 a ãbx = eab con a, b 6= 0 x ln(1 + x) =1 x • limx→0 ax − 1 = ln(a) x ex − 1 =1 x→0 x • lim 20.10 Funzioni trascurabili e equivalenti Definizione 20.10.1 (Funzioni trascurabili). Siano f, g : D → R e x0 punto di accumulazione di D. Si dice che f è trascurabile rispetto a g per x → x0 , se e solo se lim x→x0 f (x) =0 g (x) e si scrive f = o(g) per x → x0 . − La definizione data vale anche per x → +∞, per x → −∞, x → x+ 0 e x → x0 . 362 20.10. FUNZIONI TRASCURABILI E EQUIVALENTI Teorema 20.10.1. Siano f, g : D → R e x0 punto di accumulazione di D. Se esiste lim x→x 0 f (x) g (x) allora lim x→x0 f (x) f (x) + o(f ) = x→x lim 0 g (x) g (x) + o(g) Teorema 20.10.2. Siano f, g : D → R e x0 punto di accumulazione di D. Se esiste lim f (x)g (x) x→x0 allora lim (f (x) + o(f )) (g (x) + o(g)) = x→x lim f (x)g (x) x→x0 0 − I teoremi valgono anche per x → +∞, x → −∞, x → x+ 0 e x → x0 . Definizione 20.10.2 (Funzioni equivalenti). Siano f, g : D → R e x0 punto di accumulazione di D. Si dice che f è equivalente a g per x → x0 , se e solo se lim x→x0 f (x) =1 g (x) e si scrive f ∼ g per x → x0 . − La definizione data vale anche per x → +∞, x → −∞, x → x+ 0 e x → x0 . Teorema 20.10.3. Siano f, g, f1 , g1 : D → R e x0 punto di accumulazione di D. Se 1. f ∼ f1 per x → x0 2. g ∼ g1 per x → x0 3. esiste lim x→x0 f1 (x) g1 (x) allora lim x→x 0 f (x) f1 (x) = x→x lim 0 g1 (x) g (x) − Il teorema vale anche per x → +∞, x → −∞, x → x+ 0 , x → x0 e per il limite del prodotto delle funzioni. 363 CAPITOLO 20. LIMITI DI FUNZIONI 20.11 Infinitesimi e infiniti 20.11.1 Infinitesimi e loro confronto Definizione 20.11.1 (Infinitesimo). Siano f : D → R e x0 punto di accumulazione di D. Si dice che f è un infinitesimo per x → x0 , se e solo se lim f (x) = 0 x→x0 − La definizione data vale anche per x → +∞, x → −∞, x → x+ 0 e x → x0 . Definizione 20.11.2 (Infinitesimo dello stesso ordine). Siano f, g : D → R due infinitesimi per x → x0 . Si dice che f è un infinitesimo dello stesso ordine di g per x → x0 se e solo se lim x→x 0 f (x) = l 6= 0 g(x) Definizione 20.11.3 (Infinitesimo di ordine superiore). Siano f, g : D → R due infinitesimi per x → x0 . Si dice che f è un infinitesimo di ordine superiore rispetto a g per x → x0 se e solo se lim x→x0 f (x) =0 g(x) Definizione 20.11.4 (Ordine di infinitesimo). Siano f, g : D → R due infinitesimi per x → x0 . Si dice che α è l’ordine di infinitesimo di f rispetto a g per x → x0 se e solo se lim x→x0 f (x) = l 6= 0 (g(x))α Osservazione La funzione g è detta infinitesimo campione; in genere si sceglie come infinitesimo campione 1 g(x) = x − x0 per x → x0 , g(x) = per x → ±∞ x 20.11.2 Infiniti e loro confronto Definizione 20.11.5 (Infinito). Siano f : D → R e x0 punto di accumulazione di D. Si dice che f è un infinito per x → x0 , se e solo se lim f (x) = ±∞ x→x0 − La definizione data vale anche per x → +∞, x → −∞, x → x+ 0 e x → x0 . 364 20.12. LIMITI DI UNA FUNZIONE AGLI ESTREMI DEL DOMINIO Definizione 20.11.6 (Infiniti dello stesso ordine). Siano f, g : D → R due infiniti per x → x0 . Si dice che f è un infinito dello stesso ordine di g per x → x0 se e solo se lim x→x 0 f (x) = l 6= 0 g(x) Definizione 20.11.7 (Infinito di ordine superiore). Siano f, g : D → R due infiniti per x → x0 . Si dice che f è un infinito di ordine superiore rispetto a g per x → x0 se e solo se lim x→x0 g (x) =0 f (x) Definizione 20.11.8 (Ordine di infinito). Siano f, g : D → R due infiniti per x → x0 . Si dice che α è l’ordine di infinito di f rispetto a g per x → x0 se e solo se lim x→x0 f (x) = l 6= 0 (g(x))α Osservazione La funzione g è detta infinito campione; in genere si sceglie come infinito campione g(x) = 1 per x → x0 , g(x) = x per x → ±∞ x − x0 20.12 Limiti di una funzione agli estremi del dominio Data una funzione f : D → R, si possono calcolare i limiti per x tendente a ogni punto x0 punto di accumulazione di D e, se è possibile, per x tendente a ±∞. Tra questi, i limiti più significativi sono quelli agli estremi del dominio. Se la funzione è periodica, i limiti per x tendente a ±∞ non esistono o non si possono effettuare. Se la funzione è definita per casi è opportuno calcolare i limiti per x tendente ai valori di separazione dei casi. 365 Capitolo 21 Limiti di successioni 21.1 Introduzione Definizione 21.1.1 (Limite di una successione). Sia a : N → R una successione. lim an = l ⇔ ∀ε > 0 ∃ n0 ∈ N/∀n > n0 ⇒ |an − l| < ε n→+∞ Definizione 21.1.2 (Limite infinito di una successione). Sia a : N → R una successione. lim an = +∞ ⇔ ∀M > 0 ∃ n0 ∈ N/∀n > n0 ⇒ an > M n→+∞ lim an = −∞ ⇔ ∀M > 0 ∃ n0 ∈ N/∀n > n0 ⇒ an < −M n→+∞ Definizione 21.1.3 (Successione convergente, divergente, indeterminata). Sia a : N → R una successione. Se lim an = l ∈ R n→+∞ la successione si dice convergente. Se lim an = ±∞ n→+∞ la successione si dice divergente. Se lim an =6 ∃ n→+∞ la successione si dice indeterminata. 366 21.2. SERIE 21.2 Serie Definizione 21.2.1 (Ridotta). Data la successione a1 , a2 , . . . , an , . . ., si dice ridotta ennesima o somma parziale associata alla successione la somma Sn dei primi n termini della successione. In simboli: Sn = a1 + a2 + . . . + an = n X ak k=1 Definizione 21.2.2 (Serie). Data la successione a1 , a2 , . . . , an , . . ., si dice serie associata alla successione la successione delle ridotte. Una serie si indica con a1 + a2 + . . . + an + . . . o +∞ X ak k=1 Definizione 21.2.3 (Serie convergente, divergente, indeterminata). Una serie si dice convergente se la succesione delle ridotte converge a S ∈ R; S si dice somma della serie e si pone S= +∞ X ak k=1 Una serie si dice divergente se la succesione delle ridotte è divergente. Una serie si dice indeterminata se la succesione delle ridotte è indeterminata. 367 Capitolo 22 Funzioni continue 22.1 Introduzione Definizione 22.1.1 (Funzione continua). Una funzione f : D → R si dice continua in x0 ∈ D, se e solo se x0 è un punto isolato oppure x0 non è isolato e lim f (x) = f (x0 ). x→x0 La continuità di una funzione è una proprietà locale. Se f è continua in tutti i punti di un insieme E ⊆ D, si dice che è continua su E. Se f è continua in tutti i punti di D, si dice che è continua sul dominio. 22.2 Proprietà delle funzioni continue Teorema 22.2.1 (Proprietà delle funzioni continue). Siano f, g : D → R e x0 ∈ D. 1. Se f e g sono continue in x0 , allora f + g e f · g sono continue in x0 . 2. Se f e g sono continue in x0 e g (x0 ) 6= 0, allora f è continua in x0 . g 3. Se f (D) ⊆ D, f è continua in x0 e g è continua in f (x0 ), allora g ◦ f è continua in x0 . 22.3 Punti singolari di una funzione Definizione 22.3.1 (Funzione discontinua in un punto). Una funzione f : D → R è discontinua in x0 ∈ D, se e solo se non è continua in x0 . Definizione 22.3.2 (Punto singolare). Un punto x0 ∈ R si dice punto singolare di una funzione f : D → R, se e solo se: f è discontinua in x0 oppure x0 ∈ Fr(D) − D. Si possono avere 3 tipi di singolarità. 368 22.4. DETERMINAZIONE DEI PUNTI SINGOLARI Definizione 22.3.3 (Classificazione dei punti singolari). Siano f : D → R e x0 un punto singolare di f : 1. x0 si dice punto singolare di prima specie, se i limiti destro e sinistro per x tendente a x0 sono finiti e diversi. 2. x0 si dice punto singolare di seconda specie, se tra i limiti destro e sinistro per x tendente a x0 almeno uno è infinito oppure almeno uno non esiste. 3. x0 si dice punto singolare di terza specie, se il limite per x tendente a x0 è finito. La singolarità di terza specie viene anche detta eliminabile. Infatti, se x0 è un punto singolare di terza specie di una funzione f con dominio D lim f (x) = l ∈ R x→x0 La funzione f˜ : D ∪ {x0 } → R definita da f (x) f˜ (x) = l se x ∈ D ∧ x 6= x0 se x = x0 è continua in x0 , quindi x0 non è un punto singolare di f˜. La funzione f˜ si dice prolungamento per continuità di f . Un punto singolare appartenente al dominio della funzione si dice anche punto di discontinuità; per i punti di discontinuità vale la classificazione data per i punti singolari. Se • x0 è un punto singolare • limx→x+ f (x) = l ∈ R 0 • il limite sinistro non si può effettuare allora x0 è un punto singolare di terza specie. Analogamente con il limite sinistro. 22.4 Determinazione dei punti singolari Per classificare un punto singolare x0 si analizza il limite per x tendente a x0 : • se i limiti destro e sinistro sono finiti e diversi, x0 è un punto singolare di prima specie • se tra i limiti destro e sinistro almeno uno è infinito oppure almeno uno non esiste, x0 è un punto singolare di seconda specie • se il limite è finito, x0 è un punto singolare di terza specie • se x0 è un punto singolare e x0 ∈ D, allora x0 è anche un punto di discontinuità 369 CAPITOLO 22. FUNZIONI CONTINUE 22.5 Proprietà delle funzioni continue su un intervallo Teorema 22.5.1. Siano I un intervallo e f : I → R. Se f è continua su I, allora f (I) è un intervallo. Teorema 22.5.2 (Teorema di esistenza degli zeri). Sia f : [a, b] → R. Se 1. f è continua su [a, b] 2. f (a)f (b) < 0 allora ∃x0 ∈]a, b[/f (x0 ) = 0 Teorema 22.5.3 (Generalizzazione del teorema di esistenza degli zeri). Sia f : R → R. Se 1. f è continua su R 2. lim f (x) · lim f (x) = l < 0 oppure lim f (x) · lim f (x) = −∞ x→−∞ x→+∞ x→−∞ x→+∞ allora ∃x0 ∈ R/f (x0 ) = 0 Una conseguenza di questo teorema è che ogni polinomio di grado dispari ha almeno un zero. Teorema 22.5.4 (Teorema di Weierstrass). Sia f : [a, b] → R. Se f è continua su [a, b] allora: 1. esiste x1 ∈ [a, b] tale che f (x) 6 f (x1 ) ∀x ∈ [a, b] 2. esiste x2 ∈ [a, b] tale che f (x) > f (x2 ) ∀x ∈ [a, b] Il teorema di Weierstrass dice che ogni funzione continua su un intervallo chiuso e limitato è dotata di massimo e minimo assoluto. Teorema 22.5.5 (Teorema di continuità della funzione inversa). Siano I un intervallo e f : I → R. Se 1. f è continua su I 370 22.5. PROPRIETÀ DELLE FUNZIONI CONTINUE SU UN INTERVALLO 2. f è monotona in senso stretto su I allora: 1. f è una biiezione tra I e f (I) 2. f −1 : f (I) → I è continua e monotona in senso stretto su f (I) nello stesso senso di f 371 Capitolo 23 Asintoti 23.1 Introduzione Definizione 23.1.1 (Asintoto). Una retta è detta asintoto del grafico di una funzione, se la distanza di un punto generico del grafico da tale retta tende a 0 quando l’ascissa o l’ordinata del punto tendono a ±∞. 23.2 Determinazione degli asintoti Per determinare gli asintoti del grafico di una funzione f si analizzano i limiti agli estremi del dominio: • se lim f (x) = l, allora il grafico ammette un asintoto orizzontale di equazione y = l x→±∞ • se lim± f (x) = ±∞ allora il grafico ammette un asintoto verticale di equazione x = x0 x→x0 • se 1. lim f (x) = ±∞ x→±∞ f (x) = m 6= 0 x 3. lim (f (x) − mx) = q 2. lim x→±∞ x→±∞ allora il grafico ammette un asintoto obliquo di equazione y = mx + q. Osservazione Il grafico di una funzione periodica non ha asintoti orizzontali e obliqui. 372 Parte V CLASSE QUINTA 373 Capitolo 1 Calcolo differenziale 1.1 Rapporto incrementale Definizione 1.1.1 (Rapporto incrementale). Siano f : D → R una funzione e x0 ∈ D un punto non isolato. Si dice rapporto incrementale della funzione f rispetto ad x0 la funzione f (x) − f (x0 ) x − x0 con dominio D − {x0 }. 1.1.1 Significato geometrico del rapporto incrementale Dati i punti P0 (x0 , f (x0 )) e P (x, f (x)) con x 6= x0 , appartenenti al grafico della funzione f , il rapporto incrementale è il coefficiente angolare della retta passante i punti P e P0 . 1.2 Derivata Definizione 1.2.1 (Derivata). Siano f : D → R una funzione e x0 ∈ D un punto non isolato. Si dice che f è derivabile in x0 se il limite per x tendente a x0 del rapporto incrementale esiste ed è finito. Tale limite si dice derivata della funzione f in x0 e si indica con f 0 (x0 ). In simboli f (x) − f (x0 ) f 0 (x0 ) = x→x lim 0 x − x0 dfx0 La derivata della funzione f in x0 si può anche indicare con D(f )(x0 ) o con . dx 1.2.1 Significato geometrico della derivata Dati i punti P0 (x0 , f (x0 )) e P (x, f (x)) con x 6= x0 , appartenenti al grafico della funzione f , per x tendente a x0 il punto P si avvicina al punto P0 e quindi la retta passante per P e P0 si avvicina alla tangente al grafico della funzione in P0 . Pertanto la derivata della funzione in x0 è il coefficiente angolare della tangente al grafico in P0 . 374 1.3. CALCOLO DI DERIVATE 1.2.2 Funzione derivata Se la funzione f è derivabile in tutti i punti di un insieme E ⊆ D si dice che è derivabile su E. Se la funzione f è derivabile in tutti i punti di D si dice che è derivabile sul dominio. Definizione 1.2.2 (Funzione derivata). Sia f : D → R una funzione derivabile in un insieme E ⊆ D. Si dice funzione derivata la funzione che ad ogni x ∈ E associa la derivata di f in x e si df . indica con f 0 o con D(f ) o con dx In simboli f0 : E ⊆ D → R x 7→ f 0 (x) 1.2.3 Derivata destra e derivata sinistra Definizione 1.2.3 (Derivata destra). Siano f : D → R una funzione e x0 ∈ D un punto non isolato. Si dice che f è derivabile in x0 a destra, se il limite per x tendente a x+ 0 del rapporto incrementale esiste ed è finito. Tale limite si dice derivata destra della funzione f in x0 e si indica con f+0 (x0 ). In simboli f+0 (x0 ) = lim+ x→x0 f (x) − f (x0 ) x − x0 Definizione 1.2.4 (Derivata sinistra). Siano f : D → R una funzione e x0 ∈ D un punto non isolato. Si dice che f è derivabile in x0 a sinistra, se il limite per x tendente a x− 0 del rapporto incrementale esiste ed è finito. Tale limite si dice derivata sinistra della funzione f in x0 e si indica con f−0 (x0 ). In simboli f−0 (x0 ) = lim− x→x0 f (x) − f (x0 ) x − x0 Teorema 1.2.1. Sia f : D → R. f è derivabile in x0 ∈ Int(D), se e solo se esistono le derivate destra e sinistra in x0 e sono uguali. 1.3 Calcolo di derivate 1.3.1 Derivata della funzione costante f (x) = k 375 CAPITOLO 1. CALCOLO DIFFERENZIALE D=R Dato x0 ∈ D lim x→x 0 k−k 0 f (x) − f (x0 ) = x→x lim = x→x lim = x→x lim 0 = 0 0 x − x0 0 x − x0 0 x − x0 Quindi f 0 (x0 ) = 0. Data l’arbitrarietà di x0 in D, f è derivabile su D e f 0 (x) = 0. 1.3.2 Derivata della funzione identità f (x) = x D=R Dato x0 ∈ D lim x→x0 x − x0 f (x) − f (x0 ) = lim = lim 1 = 1 x→x x→x0 0 x − x0 x − x0 Quindi f 0 (x0 ) = 1. Data l’arbitrarietà di x0 in D, f è derivabile su D e f 0 (x) = 1. 1.3.3 Derivata della funzione quadratica f (x) = x2 D=R Dato x0 ∈ D x2 − x20 (x − x0 )(x + x0 ) f (x) − f (x0 ) = lim = lim = lim x→x0 x − x x→x0 x→x0 x − x0 x − x0 0 lim (x + x0 ) = 2x0 x→x0 Quindi f 0 (x0 ) = 2x0 . Data l’arbitrarietà di x0 in D, f è derivabile su D e f 0 (x) = 2x. 1.3.4 f (x) = Derivata della funzione radice quadrata √ x D = [0, +∞[ Se x0 = 0, si ha √ f (x) − f (x0 ) x 1 lim = lim+ = lim+ √ = +∞ x→x0 x→0 x→0 x − x0 x x 376 1.3. CALCOLO DI DERIVATE Quindi f non è derivabile in 0. Se x0 > 0, si ha √ √ √ √ x − x0 x − x0 f (x) − f (x0 ) √ = lim = lim √ = lim √ √ x→x0 x→x0 ( x − x→x0 x − x0 x − x0 x0 )( x + x0 ) 1 1 = √ √ x→x0 x + x0 2 x0 1 Quindi f 0 (x0 ) = √ . 2 x0 lim √ 1 Data l’arbitrarietà di x0 in ]0, +∞[, f è derivabile su ]0, +∞[ e f 0 (x) = √ . 2 x 1.3.5 Derivata della funzione valore assoluto f (x) = |x| D=R Se x0 = 0, si ha lim x→x0 f (x) − f (x0 ) |x| = lim x→0 x x − x0 Poiché |x| lim+ =1 x→0 x e |x| lim = −1 x→0− x |x| lim non esiste e quindi f non è derivabile in 0. x→0 x Se x0 > 0, si ha lim x→x 0 f (x) − f (x0 ) |x| − |x0 | x − x0 = x→x lim = x→x lim =1 0 0 x − x0 x − x0 x − x0 Quindi f 0 (x0 ) = 1. Se x0 < 0, si ha lim x→x0 |x| − |x0 | −x + x0 f (x) − f (x0 ) = x→x lim = x→x lim = −1 0 0 x − x0 x − x0 x − x0 Quindi f 0 (x0 ) = −1. Data l’arbitrarietà di x0 in R − {0}, f è derivabile su R − {0} e 1 f 0 (x) = se x > 0 −1 se x < 0 Osservazione Se f (x) = |x| allora f 0 (x) = x |x| = . |x| x 377 CAPITOLO 1. CALCOLO DIFFERENZIALE 1.3.6 Derivata della funzione seno f (x) = sin(x) D=R Dato x0 ∈ D lim x→x0 f (x) − f (x0 ) sin(x) − sin(x0 ) = x→x lim 0 x − x0 x − x0 Posto y = x − x0 , si ha sin(x0 + y) − sin(x0 ) sin(x0 ) cos(y) + cos(x0 ) sin(y) − sin(x0 ) = lim = y→0 y→0 y y lim sin(y) 1 − cos(y) lim cos(x0 ) − sin(x0 ) y→0 y y Ç å = cos(x0 ) Quindi f 0 (x0 ) = cos(x0 ). Data l’arbitrarietà di x0 in D, f è derivabile su D e f 0 (x) = cos(x). 1.3.7 Derivata della funzione coseno f (x) = cos(x) D=R Dato x0 ∈ D lim x→x0 f (x) − f (x0 ) cos(x) − cos(x0 ) = x→x lim 0 x − x0 x − x0 Posto y = x − x0 , si ha cos(x0 + y) − cos(x0 ) cos(x0 ) cos(y) − sin(x0 ) sin(y) − cos(x0 ) = lim = y→0 y→0 y y lim sin(y) 1 − cos(y) lim − sin(x0 ) − cos(x0 ) y→0 y y Ç å = − sin(x0 ) Quindi f 0 (x0 ) = − sin(x0 ). Data l’arbitrarietà di x0 in D, f è derivabile su D e f 0 (x) = − sin(x). 1.3.8 Derivata della funzione esponenziale f (x) = ax (a > 0 ∧ a 6= 1) D=R Dato x0 ∈ D lim x→x0 f (x) − f (x0 ) ax − ax 0 = x→x lim = x→x lim 0 x − x0 0 x − x0 a x0 Ç x a å −1 ax0 x − x0 378 = x→x lim ax0 0 ax−x0 − 1 x − x0 1.3. CALCOLO DI DERIVATE Consideriamo lim x→x0 ax−x0 − 1 x − x0 Posto y = x − x0 , si ha ay − 1 lim = ln(a) y→0 y e lim x→x0 ax − ax 0 = ax0 ln(a) x − x0 Quindi f 0 (x0 ) = ax0 ln(a). Data l’arbitrarietà di x0 in D, f è derivabile su D e f 0 (x) = ax ln(a). In particolare, se f (x) = ex , allora f 0 (x) = ex . 1.3.9 Derivata della funzione logaritmica f (x) = ln(x) D =]0, +∞[ Dato x0 ∈ D lim x→x 0 f (x) − f (x0 ) ln(x) − ln(x0 ) = x→x lim 0 x − x0 x − x0 Posto x − x0 = y, si ha Ç y ln 1 + ln(y + x0 ) − ln(x0 ) x0 lim = lim y→0 y→0 y y Posto å y = z, si ha x0 1 ln (1 + z) 1 = z→0 x0 z x0 lim e lim x→x0 ln(x) − ln(x0 ) 1 = x − x0 x0 Quindi f 0 (x0 ) = 1 . x0 Data l’arbitrarietà di x0 in D, f è derivabile su D e f 0 (x) = 379 1 . x CAPITOLO 1. CALCOLO DIFFERENZIALE 1.4 Continuità delle funzioni derivabili Teorema 1.4.1 (Teorema sulla continuità delle funzioni derivabili). Sia f : D → R. Se f è derivabile in x0 ∈ D allora f è continua in x0 . Dimostrazione Dato x0 ∈ D, se f è derivabile in x0 , allora lim x→x0 f (x) − f (x0 ) = f 0 (x0 ) x − x0 Posto ϕ(x) = f (x) − f (x0 ) − f 0 (x0 ) x − x0 si ha lim ϕ(x) = 0 x→x0 Poiché ϕ(x) = f (x) − f (x0 ) − f 0 (x0 ) ⇒ f (x) = f (x0 ) + f 0 (x0 )(x − x0 ) + ϕ(x)(x − x0 ) x − x0 si ha lim f (x) = lim (f (x0 ) + f 0 (x0 )(x − x0 ) + ϕ(x)(x − x0 )) = f (x0 ) x→x0 x→x0 Quindi f è continua in x0 . Osservazione Il teorema precedente non è invertibile, cioè esistono funzioni continue in un punto non derivabili in quel punto. Per esempio, la funzione valore assoluto è continua in 0 ma non è derivabile in 0. 1.5 1.5.1 Regole di derivazione Derivata di una somma Teorema 1.5.1. Siano f, g : D → R Se f e g sono derivabili in x0 ∈ D allora f + g è derivabile in x0 e (f + g)0 (x0 ) = f 0 (x0 ) + g 0 (x0 ) 380 1.5. REGOLE DI DERIVAZIONE Dimostrazione Dato x0 ∈ D lim x→x0 f (x) + g (x) − f (x0 ) − g (x0 ) (f + g) (x) − (f + g) (x0 ) = x→x lim = 0 x − x0 x − x0 Ç lim x→x0 f (x) − f (x0 ) g (x) − g (x0 ) + x − x0 x − x0 å Poiché lim x→x 0 f (x) − f (x0 ) = f 0 (x0 ) x − x0 e lim x→x0 g (x) − g (x0 ) = g 0 (x0 ) x − x0 si ha lim x→x0 (f + g) (x) − (f + g) (x0 ) = f 0 (x0 ) + g 0 (x0 ) x − x0 Quindi (f + g)0 (x0 ) = f 0 (x0 ) + g 0 (x0 ). Il teorema si può estendere alla funzione derivata: D (f + g) = D (f ) + D (g) 1.5.2 Derivata del prodotto di una costante per una funzione Teorema 1.5.2. Siano k ∈ R e f : D → R. Se f è derivabile in x0 ∈ D allora kf è derivabile in x0 e (kf )0 (x0 ) = kf 0 (x0 ) Dimostrazione Dato x0 ∈ D lim x→x0 kf (x) − kf (x0 ) (kf ) (x) − (kf ) (x0 ) = lim = x→x0 x − x0 x − x0 f (x) − f (x0 ) lim k x→x0 x − x0 Poiché Ç å lim k = k x→x0 381 CAPITOLO 1. CALCOLO DIFFERENZIALE e lim x→x 0 f (x) − f (x0 ) = f 0 (x0 ) x − x0 si ha (kf ) (x) − (kf ) (x0 ) = kf 0 (x0 ) x − x0 Quindi (kf )0 (x0 ) = kf 0 (x0 ). Il teorema si può estendere alla funzione derivata: lim x→x0 D (kf ) = kD (f ) 1.5.3 Derivata di un prodotto Teorema 1.5.3. Siano f, g : D → R Se f e g sono derivabili in x0 ∈ D allora f g è derivabile in x0 e (f g)0 (x0 ) = f 0 (x0 )g(x0 ) + f (x0 )g 0 (x0 ) Dimostrazione Dato x0 ∈ D f (x) g (x) − f (x0 ) g (x0 ) (f g) (x) − (f g) (x0 ) = lim = lim x→x x→x0 0 x − x0 x − x0 f (x) g (x) − f (x)g(x0 ) + f (x)g(x0 ) − f (x0 ) g (x0 ) = lim x→x0 x − x0 Ç å f (x) − f (x0 ) g (x) − g(x0 ) lim g(x0 ) + f (x) x→x0 x − x0 x − x0 Poiché lim g(x0 ) = g(x0 ) x→x0 f (x) − f (x0 ) = f 0 (x0 ) x→x0 x − x0 lim f (x) = f (x0 )(f è derivabile, e quindi continua in x0 lim x→x0 lim x→x0 g (x) − g (x0 ) = g 0 (x0 ) x − x0 si ha (f g) (x) − (f g) (x0 ) = f 0 (x0 )g(x0 ) + f (x0 )g 0 (x0 ) 0 x − x0 Quindi (f g)0 (x0 ) = f 0 (x0 )g(x0 ) + f (x0 )g 0 (x0 ). Il teorema si può estendere alla funzione derivata: lim x→x D (f g) = D (f ) g + f D (g) 382 1.5. REGOLE DI DERIVAZIONE 1.5.4 Derivata del reciproco Teorema 1.5.4. Sia f : D → R. Se 1. f è derivabile in x0 ∈ D 2. f (x0 ) 6= 0 allora 1 è derivabile in x0 e f Ç å0 1 f (x0 ) = − f 0 (x0 ) (f (x0 ))2 Dimostrazione Dato x0 ∈ D con f (x0 ) 6= 0 1 1 1 1 − (x) − (x0 ) f (x) f (x0 ) f f = x→x lim = 0 x − x0 x − x0 Ç å lim x→x0 Ç å f (x0 ) − f (x) Ç å 1 f (x) − f (x0 ) f (x)f (x0 ) lim = lim − x→x0 x→x0 x − x0 f (x)f (x0 ) x − x0 Poiché lim f (x) = f (x0 )(f è derivabile, e quindi continua in x0 x→x0 lim f (x) = − x→x0 lim x→x0 1 1 =− f (x0 ) f (x0 ) f (x) − f (x0 ) = f 0 (x0 ) x − x0 si ha Ç å lim x→x0 Ç å 1 1 (x) − (x0 ) f 0 (x0 ) f f =− x − x0 (f (x0 ))2 Ç å0 1 f 0 (x0 ) . (x0 ) = − f (f (x0 ))2 Il teorema si può estendere alla funzione derivata: Quindi Ç å D 1 f =− D (f ) f2 383 CAPITOLO 1. CALCOLO DIFFERENZIALE 1.5.5 Derivata di un quoziente Teorema 1.5.5. Siano f, g : D → R. Se 1. f e g sono derivabili in x0 ∈ D 2. g(x0 ) 6= 0 allora f è derivabile in x0 e g Ç å0 f g (x0 ) = f 0 (x0 )g(x0 ) − f (x0 )g 0 (x0 ) (g(x0 ))2 Dimostrazione Ç å0 f g Ç 1 (x0 ) = f g f 0 (x0 ) å0 Ç å Ç å0 1 1 (x0 ) = f (x0 ) (x0 ) + f (x0 ) g g 0 1 −g 0 (x0 ) f 0 (x0 )g(x0 ) − f (x0 )g 0 (x0 ) + f (x0 ) = g(x0 ) (g(x0 ))2 (g(x0 ))2 quindi Ç å0 f g (x0 ) = f 0 (x0 )g(x0 ) − f (x0 )g 0 (x0 ) (g(x0 ))2 Il teorema si può estendere alla funzione derivata: Ç å D f g 1.5.6 = D (f ) g − f D (g) g2 Derivata di una funzione composta Teorema 1.5.6. Siano f : D → D0 , g : D0 → R. Se 1. f è derivabile in x0 ∈ D 2. g è derivabile in f (x0 ) ∈ D0 allora g ◦ f è derivabile in x0 e (g ◦ f )0 (x0 ) = g 0 (f (x0 )) f 0 (x0 ) 384 (x0 ) = 1.5. REGOLE DI DERIVAZIONE Il teorema si può estendere alla funzione derivata: D (g ◦ f ) = (D (g)) (f ) · D (f ) Osservazione La regola precedente può essere utilizzata per calcolare la derivata della radice ennesima Esempio 1.5.1. • Calcolare la derivata di f (x) = √ n x con n pari. D = [0, +∞[ La funzione è derivabile su D0 =]0, +∞[ e 1 √ 1 1 1 f 0 (x) = D( n x) = D x n = x n −1 = √ n n n xn−1 • Calcolare la derivata di f (x) = √ n x con n dispari. D=R La funzione è derivabile su D0 =] − ∞, 0[∪]0, +∞[ e √ f 0 (x) = D( n x) = 1.5.7 1 √ n n xn−1 Derivate delle funzioni iperboliche e delle loro inverse Esempio 1.5.2. • Calcolare la derivata di f (x) = sinh(x). D=R La funzione è derivabile su D e 0 f (x) = D(sinh(x)) = D Ç x e − e−x 2 å ex + e−x = = cosh(x) 2 • Calcolare la derivata di f (x) = cosh(x). D=R La funzione è derivabile su D e 0 f (x) = D(cosh(x)) = D Ç x e + e−x 2 385 å = ex − e−x = sinh(x) 2 CAPITOLO 1. CALCOLO DIFFERENZIALE • Calcolare la derivata di f (x) = tanh(x). D=R La funzione è derivabile su D e Ç sinh(x) f (x) = D(tanh(x)) = D cosh(x) 0 å = cosh2 (x) − sinh2 (x) 1 = = 2 cosh (x) cosh2 (x) 1 − tanh2 (x) • Calcolare la derivata di f (x) = coth(x). D =] − ∞, 0[∪]0, +∞[ La funzione è derivabile su D e Ç cosh(x) f (x) = D(coth(x)) = D sinh(x) 0 å = 1 sinh2 (x) − cosh2 (x) =− = 2 sinh (x) sinh2 (x) 1 − coth2 (x) • Calcolare la derivata di f (x) = settsinh(x). D=R La funzione è derivabile su D e 0 Ä f (x) = D(settsinh(x)) = D ln(x + 1 √ x + x2 + 1 √ √ x2 Ç 1 x √ √ + 1) = 1 + x + x2 + 1 x2 + 1 ä å = x2 + 1 + x 1 √ √ = x2 + 1 x2 + 1 • Calcolare la derivata di f (x) = settcosh(x). D = [1, +∞[ La funzione è derivabile su D0 =]1, +∞[ e 0 Ä f (x) = D(settcosh(x)) = D ln(x + 1 √ x + x2 − 1 √ √ x2 Ç 1 x √ − 1) = 1+ √ 2 2 x+ x −1 x −1 ä x2 − 1 + x 1 √ =√ 2 2 x −1 x −1 386 å = 1.5. REGOLE DI DERIVAZIONE 1.5.8 Derivata della funzione inversa Teorema 1.5.7. Sia f : D → E Se 1. f è una biezione 2. f è derivabile in x0 ∈ D 3. f 0 (x0 ) 6= 0 allora f −1 : E → D è derivabile in y0 = f (x0 ) e (f −1 )0 (y0 ) = 1 f 0 (x 0) Esempio 1.5.3. ñ ô π π • Data la funzione f (x) = sin(x), con dominio − , , si consideri f −1 (x) = arcsin(x) 2 2 con dominio [−1, 1]. f 0 (x) = cos(x) ô ñ ô ñ π π π π Poiché f (x) 6= 0 in − , , preso x0 ∈ − , , sia y0 = sin(x0 ) ∈] − 1, 1[. 2 2 2 2 La funzione arcsin è derivabile in y0 e 0 (arcsin)0 (y0 ) = 1 1 1 » = =» cos(x0 ) 1 − y02 1 − sin2 (x0 ) Data l’arbitrarietà di y0 in ] − 1, 1[, la funzione arcsin è derivabile su ] − 1, 1[ e 1 D(arcsin(x)) = √ 1 − x2 Osservazione La funzione arcsin non è derivabile in 1 e in −1. Dimostrazione Se x0 = 1, si ha lim x→x0 f (x) − f (x0 ) = lim− x→1 x − x0 Posto arcsin(x) − arcsin x − x−1 π = y, si ha 2 x = cos(y) 387 π 2 CAPITOLO 1. CALCOLO DIFFERENZIALE e Ç y (cos(y) + 1) y y cos(y) + 1 = lim− − = lim− lim− 2 y→0 y→0 cos(y) − 1 y→0 sin(y) sin(y) − sin (y) å = +∞ Quindi f non è derivabile in 1. Analogamente si dimostra che la funzione arcsin non è derivabile in −1. π • Poiché arccos(x) = −arcsin(x)∀x ∈ [−1, 1] la funzione f (x) = arccos(x) è derivabile 2 su ] − 1, 1[ e D(arccos(x)) = D π 1 − D(arcsin(x)) = − √ 2 1 − x2 Å ã ñ ô π π • Data la funzione f (x) = tan(x), con dominio − , , si consideri f −1 (x) = arctan(x) 2 2 con dominio R. f 0 (x) = 1 + tan2 (x) ô ñ ô ñ π π π π Poiché f (x) 6= 0 in − , , preso x0 ∈ − , , sia y0 = tan(x0 ) ∈ R. 2 2 2 2 La funzione arctan è derivabile in y0 e 1 1 = (arctan)0 (y0 ) = 2 1 + tan (x0 ) 1 + y02 0 Data l’arbitrarietà di y0 in R, la funzione arctan è derivabile in R e 1 D(arctan(x)) = 1 + x2 π • Poiché arccot(x) = − arctan(x)∀x ∈ R la funzione f (x) = arccot(x) è derivabile su 2 Re Å ã π 1 D(arccot(x)) = D − D(arctan(x)) = − 2 1 + x2 • Calcolare la derivata di settsinh(x) utilizzando la regola della derivata della funzione inversa. Data la funzione f (x) = sinh (x), con dominio R, si consideri f −1 (x) = settsinh (x) con dominio R f 0 (x) = cosh(x) Poiché f 0 (x) 6= 0 in R, preso x0 ∈ R, sia y0 = sinh(x0 ) ∈ R. La funzione settsinh è derivabile in y0 e 1 1 1 (settsinh)0 (y0 ) = =» =√ 2 2 cosh(x0 ) y0 + 1 sinh (x0 ) + 1 Data l’arbitrarietà di y0 in R, la funzione settsinh è derivabile in R e 1 D(settsinh(x)) = √ 2 x +1 388 1.6. SCHEMA RIASSUNTIVO DELLE DERIVATE ELEMENTARI E DELLE REGOLE DI DERIVAZIONE • Calcolare la derivata di settcosh(x) utilizzando la regola della derivata della funzione inversa. Data la funzione f (x) = cosh (x), con dominio [0, +∞[, si consideri f −1 (x) = settcosh (x) con dominio [1, +∞[ f 0 (x) = sinh(x) Poiché f 0 (x) 6= 0 in ]0, +∞[, preso x0 ∈]0, +∞[, sia y0 = cosh(x0 ) ∈]1, +∞[. La funzione settcosh è derivabile in y0 e (settcosh)0 (y0 ) = 1 1 1 =» =√ 2 2 sinh(x0 ) y0 − 1 cosh (x0 ) − 1 Data l’arbitrarietà di y0 in ]1, +∞[, la funzione settcosh è derivabile in ]1, +∞[ e D(settcosh(x)) = √ 1.6 1 x2 −1 Schema riassuntivo delle derivate elementari e delle regole di derivazione f (x) D f 0 (x) D0 k R 0 R x R 1 R xn , n ∈ N 0 R nxn−1 R √ xα , α ∈ R0 ]0, +∞[ 1 √ 2 x 1 √ n n xn−1 1 √ 3 3 x2 1 √ n n xn−1 αxα−1 ax , a > 0 ∧ a 6= 1 R ax ln(a) R ex R ex R loga (x) , a > 0 ∧ a 6= 1 ]0, +∞[ ln (x) ]0, +∞[ x √ n √ 3 [0, +∞[ x, n pari [0, +∞[ x R √ n x, n dispari R 1 x ln(a) 1 x 389 ]0, +∞[ ]0, +∞[ R0 R0 ]0, +∞[ ]0, +∞[ ]0, +∞[ CAPITOLO 1. CALCOLO DIFFERENZIALE sin (x) R cos (x) R cos (x) R − sin (x) R ® tan (x) π + kπ R− 2 cot (x) R − {kπ} arcsin (x) [−1, 1] arccos (x) [−1, 1] arctan (x) R arccot (x) R 2ex] sinh (x) cosh (x) settsinh (x) settcosh (x) |x| ] − 1, 1[ R R sinh(x) R = f 0 + g0 (kf )0 = kf 0 (f g)0 = f 0g + f g0 0 f0 f2 f 0g − f g0 = g2 = g 0 (f )f 0 = − = 1 f 0 (x 0) π R− + kπ 2 = 1 + tan (x) cos2 (x) 1 = −1 − cot2 (x) − 2 sin (x) 1 √ 1 − x2 1 −√ 1 − x2 1 1 + x2 1 − 1 + x2 cosh(x) (f + g)0 (f −1 ) (y0 ) 2 R coth (x) 1 f Ç å0 f g (g ◦ f )0 ® 1 1 cosh2 (x) 1 ] − ∞, 0[∪]0, +∞[ − sinh2 (x) 1 √ R x2 + 1 1 √ [1, +∞[ 2 x −1 x |x| = R |x| x tanh (x) Ç å0 ´ con y0 = f (x0 ) 390 ´ R − {kπ} ] − 1, 1[ R R R R ] − ∞, 0[∪]0, +∞[ R ]1, +∞[ ] − ∞, 0[∪]0, +∞[ 1.7. DERIVATE DI ORDINE SUPERIORE Osservazione Per calcolare la derivata di h(x) = (f (x))g(x) , si può procedere nel seguente modo: 1. scrivere h(x) come h(x) = eln(f (x) g(x) ) = eg(x) ln(f (x)) 2. calcolare la derivata di h(x) = eg(x) ln(f (x)) 1.7 Derivate di ordine superiore Siano f : D → R una funzione derivabile su D0 ⊆ D e f 0 : D0 → R la sua funzione derivata. Se f 0 è derivabile su D00 ⊆ D0 , si dice derivata seconda o derivata di ordine 2 di f , la funzione derivata della funzione derivata e si indica con f 00 o con f (2) . In simboli f 00 = D(f 0 ) Analogamente si possono ottenere le derivate successive: f (n) = D(f (n−1) ) Osservazione f (n) = Dn (f ) 1.8 Equazione della retta tangente al grafico della funzione in un suo punto Se la funzione f : D → R è derivabile in x0 ∈ D, il coefficiente angolare della tangente al grafico nel punto P0 (x0 , f (x0 )) è f 0 (x0 ). L’equazione della retta tangente in P0 (x0 , f (x0 )) è y − f (x0 ) = f 0 (x0 ) (x − x0 ) 1.9 Equazione della retta tangente al grafico della funzione passante per un punto non appartenente al grafico Per determinare l’equazione di una retta tangente al grafico della funzione f passante per il punto P1 (x1 , y1 ) non appartenente al grafico: 1. si scrive l’equazione della retta tangente al grafico della funzione in P0 (x0 , f (x0 )): y − f (x0 ) = f 0 (x0 ) (x − x0 ) 2. si impone che la tangente passi per P1 , sostituendo a x e y le coordinate di P1 391 CAPITOLO 1. CALCOLO DIFFERENZIALE 3. si ricava x0 4. si sostituisce il valore di x0 trovato in y − f (x0 ) = f 0 (x0 ) (x − x0 ) 392 Capitolo 2 Teoremi fondamentali del calcolo differenziale 2.1 Funzioni monotone Definizione 2.1.1 (Funzione monotòne). Dato un intervallo I, una funzione f : I → R si dice: • crescente in senso stretto su I, se ∀x1 , x2 ∈ I x1 < x2 ⇒ f (x1 ) < f (x2 ) • crescente su I, se ∀x1 , x2 ∈ I x1 < x2 ⇒ f (x1 ) 6 f (x2 ) • decrescente in senso stretto su I, se ∀x1 , x2 ∈ I x1 < x2 ⇒ f (x1 ) > f (x2 ) • decrescente su I, se ∀x1 , x2 ∈ I x1 < x2 ⇒ f (x1 ) > f (x2 ) In tutti questi casi si dice che la funzione è monotòna su I. In particolare se la funzione è crescente o decrescente in senso stretto si dice strettamente monotòna o monotòna in senso stretto. 2.2 Estremi relativi e assoluti Definizione 2.2.1 (Punto di minimo assoluto). Data la funzione f : D → R, x0 ∈ D si dice punto di minimo assoluto per f se ∀x ∈ D f (x) > f (x0 ) f (x0 ) si dice minimo assoluto. Definizione 2.2.2 (Punto di massimo assoluto). Data la funzione f : D → R, x0 ∈ D si dice punto di massimo assoluto per f se ∀x ∈ D f (x) 6 f (x0 ) f (x0 ) si dice massimo assoluto. 393 CAPITOLO 2. TEOREMI FONDAMENTALI DEL CALCOLO DIFFERENZIALE Definiamo ora i punti di minimo e massimo relativo di una funzione. Definizione 2.2.3 (Punto di minimo relativo). Data la funzione f : D → R, x0 ∈ D si dice punto di minimo relativo per f se ∃ un intorno U (x0 )/∀x ∈ U (x0 ) ∩ D f (x) > f (x0 ) f (x0 ) si dice minimo relativo. Definizione 2.2.4 (Punto di massimo relativo). Data la funzione f : D → R, x0 ∈ D si dice punto di massimo relativo per f se ∃ un intorno U (x0 )/∀x ∈ U (x0 ) ∩ D f (x) 6 f (x0 ) f (x0 ) si dice massimo relativo. Osservazione I punti di massimo e minimo assoluti sono anche punti di massimo e minimo relativo. 2.3 Teorema di Fermat Teorema 2.3.1. Sia f : D → R. Se 1. x0 è un punto di massimo o minimo relativo di f interno a D 2. f è derivabile in x0 allora f 0 (x0 ) = 0 Dimostrazione Supponiamo per assurdo che f 0 (x0 ) 6= 0. Se f 0 (x0 ) > 0 allora lim x→x0 f (x) − f (x0 ) >0 x − x0 Per il teorema della permanenza del segno, esiste un intorno U (x0 ) ⊆ D tale che ∀x ∈ U (x0 ) − {x0 } f (x) − f (x0 ) >0 x − x0 Esiste un intorno di x0 incluso nel dominio perché x0 è interno al dominio. Quindi: x ∈ U (x0 ) ∧ x > x0 ⇒ f (x) > f (x0 ) 394 2.4. TEOREMA DI ROLLE x ∈ U (x0 ) ∧ x < x0 ⇒ f (x) < f (x0 ) Pertanto x0 non è un punto di minimo relativo e non è un punto di massimo relativo: questo contraddice l’ipotesi. Se f 0 (x0 ) < 0 allora lim x→x 0 f (x) − f (x0 ) <0 x − x0 Per il teorema della permanenza del segno, esiste un intorno U (x0 ) ⊆ D tale che ∀x ∈ U (x0 ) − {x0 } f (x) − f (x0 ) <0 x − x0 Esiste un intorno di x0 incluso nel dominio perché x0 è interno al dominio. Quindi: x ∈ U (x0 ) ∧ x > x0 ⇒ f (x) < f (x0 ) x ∈ U (x0 ) ∧ x < x0 ⇒ f (x) > f (x0 ) Pertanto x0 non è un punto di minimo relativo e non è un punto di massimo relativo: questo contraddice l’ipotesi. Quindi f 0 (x0 ) = 0. Osservazione Esistono punti che annullano la derivata prima ma che non sono né di massimo né di minimo relativo. Definizione 2.3.1 (Punto di stazionarietà). Data la funzione f : D → R, x0 ∈ D si dice punto di stazionarietà di f se f è derivabile in x0 e f 0 (x0 ) = 0. Quindi, per determinare i punti di stazionarietà di una funzione: 1. si determina la funzione derivata f 0 2. i punti di stazionarietà sono le soluzioni dell’equazione f 0 (x) = 0 2.4 Teorema di Rolle Teorema 2.4.1. Sia f : [a, b] → R. Se 1. f è continua su [a, b] 2. f è derivabile su ]a, b[ 3. f (a) = f (b) 395 CAPITOLO 2. TEOREMI FONDAMENTALI DEL CALCOLO DIFFERENZIALE allora ∃x0 ∈]a, b[ /f 0 (x0 ) = 0 y f (a) = f (b) x O a x0 b Figura 2.1: teorema di Rolle Osservazione La tangente al grafico della funzione in P0 (x0 , f (x0 )) è parallela all’asse x. Dimostrazione Per il teorema di Weierstrass, la funzione f ammette minimo assoluto m e massimo assoluto M. Se m = M , la funzione f è costante su [a, b] e quindi f 0 (x) = 0 per ogni x ∈]a, b[. Se m < M , siano x1 , x2 ∈ [a, b] tali che f (x1 ) = m e f (x2 ) = M : almeno uno dei due valori, per esempio x1 , appartiene ad ]a, b[, quindi, per il teorema di Fermat, f 0 (x1 ) = 0. 2.5 Teorema di Cauchy Teorema 2.5.1. Siano f, g : [a, b] → R Se 1. f e g sono continue su [a, b] 2. f e g sono derivabili su ]a, b[ 3. g 0 (x) 6= 0 ∀x ∈]a, b[ allora f 0 (x0 ) f (b) − f (a) = 0 ∃x0 ∈]a, b[ / g (b) − g (a) g (x0 ) Dimostrazione Dalle ipotesi segue che g(b) 6= g(a): infatti, se g(b) = g(a), si può applicare il teorema di 396 2.6. TEOREMA DI LAGRANGE Rolle e quindi esisterebbe x0 ∈]a, b[/g 0 (x0 ) = 0, contro l’ipotesi. Consideriamo la funzione h : [a, b] → R definita da h(x) = (g(b) − g(a))f (x) − (f (b) − f (a))g(x) La funzione h è continua su [a, b],derivabile su ]a, b[ e h0 (x) = (g(b) − g(a))f 0 (x) − (f (b) − f (a))g 0 (x) Poiché h(a) = (g(b) − g(a))f (a) − (f (b) − f (a))g(a) = g(b)f (a) − f (b)g(a) h(b) = (g(b) − g(a))f (b) − (f (b) − f (a))g(b) = −g(a)f (b) + f (a)g(b) h(a) = h(b) La funzione h soddisfa le ipotesi del teorema di Rolle, quindi ∃x0 ∈]a, b[ /h0 (x0 ) = 0 (g(b) − g(a))f 0 (x0 ) − (f (b) − f (a))g 0 (x0 ) = 0 (g(b) − g(a))f 0 (x0 ) = (f (b) − f (a))g 0 (x0 ) Quindi f (b) − f (a) f 0 (x0 ) = 0 g (b) − g (a) g (x0 ) 2.6 Teorema di Lagrange Teorema 2.6.1. Sia f : [a, b] → R Se 1. f è continua su [a, b] 2. f è derivabile su ]a, b[ allora ∃x0 ∈]a, b[ / f (b) − f (a) = f 0 (x0 ) b−a y B f (b) f (a) A O x a c b Figura 2.2: teorema di Lagrange 397 CAPITOLO 2. TEOREMI FONDAMENTALI DEL CALCOLO DIFFERENZIALE Osservazione La tangente al grafico della funzione in P0 (x0 , f (x0 )) è parallela alla retta passante per A(a, f (a)), B(b, f (b)). Dimostrazione Consideriamo la funzione g : [a, b] → R definita da g(x) = x; g 0 (x) = 1 6= 0 ∀x ∈]a, b[. Poiché le funzioni f e g soddisfano le ipotesi del teorema di Cauchy ∃x0 ∈]a, b[/ f 0 (x0 ) f (b) − f (a) = b−a 1 Quindi f (b) − f (a) = f 0 (x0 ) b−a Esempio 2.6.1. Data f (x) = x3 − 3x su I = [1, 3] controllare se soddisfa le ipotesi del teorema di Lagrange e, in caso affermativo, determinare i punti che lo verificano. D=R I⊆D f è continua su [1, 3] f è derivabile su ]1, 3[ Sono perciò soddisfatte le ipotesi del teorema di Lagrange, quindi ∃x0 ∈]1, 3[ / f (3) − f (1) = f 0 (x0 ) 3−1 18 + 2 = 3x2 − 3 3−1 10 = 3x2 − 3 3x2 = 13 13 x2 = 3 x=− 13 ∨x= 3 Poiché − 13 3 13 6∈]1, 3[, il punto che verifica il teorema di Lagrange è x = 3 398 13 . 3 2.6. TEOREMA DI LAGRANGE Dal teorema di Lagrange seguono i seguenti corollari. Teorema 2.6.2. Siano I un intervallo e f : I → R. Se 1. f è continua su I 2. f è derivabile su Int(I) 3. f 0 (x) > 0 ∀x ∈ Int(I) allora f è crescente in senso stretto su I. Dimostrazione Siano x1 , x2 ∈ I con x1 < x2 . La funzione f è continua su [x1 , x2 ] e derivabile su ]x1 , x2 [ quindi, per il teorema di Lagrange, ∃x0 ∈]x1 , x2 [ / f (x2 ) − f (x1 ) = f 0 (x0 ) x2 − x1 Poiché f 0 (x0 ) > 0 e x2 − x1 > 0, f (x2 ) > f (x1 ). Data l’arbitrarietà di x1 , x2 in I, f è crescente in senso stretto su I. Teorema 2.6.3. Siano I un intervallo e f : I → R. Se 1. f è continua su I 2. f è derivabile su Int(I) 3. f 0 (x) < 0 ∀x ∈ Int(I) allora f è decrescente in senso stretto su I. Dimostrazione Analoga alla precedente. Teorema 2.6.4. Siano I un intervallo e f : I → R. Se 1. f è continua su I 2. f è derivabile su Int(I) 3. f 0 (x) = 0 ∀x ∈ Int(I) allora f è costante su I. 399 CAPITOLO 2. TEOREMI FONDAMENTALI DEL CALCOLO DIFFERENZIALE Dimostrazione Siano x1 , x2 ∈ I con x1 < x2 . La funzione f è continua su [x1 , x2 ] e derivabile su ]x1 , x2 [ quindi, per il teorema di Lagrange, ∃x0 ∈]x1 , x2 [ / f (x2 ) − f (x1 ) = f 0 (x0 ) x2 − x1 Poiché f 0 (x0 ) = 0 e x2 − x1 = 6 0 f (x2 ) = f (x1 ) = k. Data l’arbitrarietà di x1 , x2 in I, f (x) = k ∀x ∈ I. Teorema 2.6.5. Siano I un intervallo, f, g : I → R. Se 1. f e g sono continue su I 2. f e g sono derivabili su Int(I) 3. f 0 (x) = g 0 (x) ∀x ∈ Int(I) allora ∃k ∈ R/f (x) = g(x) + k ∀x ∈ I Dimostrazione Sia ϕ : I → R la funzione definita da ϕ(x) = f (x) − g(x): ϕ è continua su I, derivabile su Int(I) e ϕ0 (x) = 0 ∀x ∈ Int(I). Per il corollario precedente, ϕ è costante su I. Pertanto f (x) − g(x) = k, cioè f (x) = g(x) + k ∀x ∈ I. 2.7 Teoremi di De L’Hôpital Teorema 2.7.1. Siano f, g : D → R con D =]x0 , b[ o D =]a, x0 [ o D =]a, x0 [∪]x0 , b[. Se 1. f e g sono derivabili su D 2. lim f (x) = 0 x→x0 3. x→x lim g(x) = 0 0 4. g 0 (x) 6= 0 ∀x ∈ D 5. esiste lim x→x0 f 0 (x) g 0 (x) 400 2.8. DETERMINAZIONE DEGLI INTERVALLI DI MONOTONIA E DEI PUNTI DI MASSIMO E MINIMO RELATIVO allora f (x) f 0 (x) lim = lim 0 x→x0 g(x) x→x0 g (x) Teorema 2.7.2. Siano f, g : D → R con D =]x0 , b[ o D =]a, x0 [ o D =]a, x0 [∪]x0 , b[. Se 1. f e g sono derivabili su D 2. lim f (x) = ±∞ x→x0 3. x→x lim g(x) = ±∞ 0 4. g 0 (x) 6= 0 ∀x ∈ D 5. esiste x→x lim 0 f 0 (x) g 0 (x) allora lim x→x 0 f 0 (x) f (x) = x→x lim 0 0 g (x) g(x) I teoremi precedenti si possono applicare anche per D =]a, +∞[ o D =] − ∞, b[, con limiti per x tendente a ±∞ e nei casi di limiti destri e sinistri. 2.8 Determinazione degli intervalli di monotonia e dei punti di massimo e minimo relativo Per determinare gli intervalli di monotonia e i punti di massimo e minimo relativo di una funzione: 1. Si determina l’insieme su cui la funzione è continua 2. Si determina l’insieme su cui la funzione è derivabile. 3. Si calcola la derivata prima. 4. Si determinano i punti di stazionarietà della funzione, cioè i punti che annullano la derivata prima e si calcolano le corrispondenti ordinate. 5. Si studia il segno della derivata prima e lo si rappresenta. Si rappresentano gli intervalli di monotonia inserendo: (a) % in corrispondenza dei segni + (b) & in corrispodenza dei segni − 401 CAPITOLO 2. TEOREMI FONDAMENTALI DEL CALCOLO DIFFERENZIALE (c) • in corrispondenza dello 0, degli estremi del dominio in cui la funzione è continua, della × se la funzione in quel punto è continua e non derivabile (d) × se la funzione non è definita o non è continua. In tal modo, tenendo conto di eventuali punti di discontinuità, si determinano gli intervalli di monotonia e i punti di massimo e minimo relativo con le corrispondenti ordinate. 2.9 Massimi e minimi assoluti di una funzione Per determinare il massimo (assoluto) o il minimo (assoluto) di una funzione continua su un intervallo chiuso e limitato: 1. si determinano i valori della funzione agli estremi dell’intervallo 2. si determinano i valori della funzione nei punti di stazionarietà all’intervallo 3. si determinano i valori della funzione nei punti all’intervallo nei quali la funzione non è derivabile 4. il massimo è il maggiore tra i valori trovati e il minimo è il minore tra i valori trovati Osservazione In questo caso il massimo e il minimo della funzione esistono per il teorema di Weierstrass. Per determinare il massimo (assoluto) o il minimo (assoluto) di una funzione, nel caso in cui l’insieme non sia un intervallo chiuso e limitato o la funzione non sia continua,: 1. si determinano i valori della funzione agli estremi dell’insieme appartenenti ad esso 2. si determinano i valori della funzione nei punti di stazionarietà all’insieme 3. si determinano i valori della funzione nei punti nei quali la funzione non è derivabile 4. si indica con M il maggiore tra i valori trovati e con m il minore tra i valori trovati 5. si calcolano i limiti agli estremi dell’insieme non appartenenti ad esso 6. si calcolano i limiti nei punti di discontinuità 7. se M è maggiore o uguale dei limiti, allora è il massimo, altrimenti il massimo non esiste 8. se m è minore o uguale dei limiti, allora è il minimo, altrimenti il minimo non esiste 402 2.10. FUNZIONI CONVESSE E FUNZIONI CONCAVE 2.10 Funzioni convesse e funzioni concave Definizione 2.10.1 (Funzione convessa). Dato l’intervallo I, una funzione f : I → R si dice convessa su I se, per ogni coppia di punti ¯ A, B appartenenti al grafico della funzione, la corda AB non sta al di sotto dell’arco AB. Definizione 2.10.2 (Funzione convessa in senso stretto). Dato l’intervallo I, una funzione f : I → R si dice convessa in senso stretto su I se, per ogni coppia di punti A, B appartenenti al grafico della funzione, la corda AB sta al di sopra ¯ dell’arco AB. Osservazione Se la funzione è convessa, l’epigrafo, cioè la parte di piano che sta sopra il grafico, è una figura convessa. Definizione 2.10.3 (Funzione concava). Dato l’intervallo I, una funzione f : I → R si dice concava su I se, per ogni coppia di punti ¯ A, B appartenenti al grafico della funzione, la corda AB non sta al di sopra dell’arco AB. Definizione 2.10.4 (Funzione concava in senso stretto). Dato l’intervallo I, una funzione f : I → R si dice concava in senso stretto su I se, per ogni coppia di punti A, B appartenenti al grafico della funzione, la corda AB sta al di sotto ¯ dell’arco AB. Osservazione Se la funzione è concava, l’ipografo, cioè la parte di piano che sta sotto il grafico, è una figura convessa. Teorema 2.10.1. Siano I un intervallo e f : I → R. Se 1. f è continua su I 2. f è derivabile due volte su Int(I) 3. f 00 (x) > 0 ∀x ∈ Int(I) allora f è convessa su I. Teorema 2.10.2. Siano I un intervallo e f : I → R. Se 1. f è continua su I 2. f è derivabile due volte su Int(I) 3. f 00 (x) > 0 ∀x ∈ Int(I) 403 CAPITOLO 2. TEOREMI FONDAMENTALI DEL CALCOLO DIFFERENZIALE allora f è convessa in senso stretto su I. Teorema 2.10.3. Siano I un intervallo e f : I → R. Se 1. f è continua su I 2. f è derivabile due volte su Int(I) 3. f 00 (x) 6 0 ∀x ∈ Int(I) allora f è concava su I. Teorema 2.10.4. Siano I un intervallo e f : I → R. Se 1. f è continua su I 2. f è derivabile due volte su Int(I) 3. f 00 (x) < 0 ∀x ∈ Int(I) allora f è concava in senso stretto su I. 2.11 Punto di flesso Definizione 2.11.1 (Punto di flesso). Data la funzione f : D → R, x0 ∈ D si dice punto di flesso se esistono un intervallo [x1 , x0 ] ⊆ D su cui la funzione è convessa (concava) in senso stretto e un intervallo [x0 , x2 ] ⊆ D su cui la funzione è concava (convessa) in senso stretto. y x O x1 x0 x2 Figura 2.3: punto di flesso 404 2.12. DETERMINAZIONE DEGLI INTERVALLI DI CONCAVITÀ E CONVESSITÀ E DEI PUNTI DI FLESSO Teorema 2.11.1. Siano I un intervallo e f : I → R. Se 1. f è derivabile due volte su Int(I) 2. x0 ∈ Int(I) è un punto di flesso allora f 00 (x0 ) = 0 Non è vero in generale il viceversa, cioè non necessariamente i punti che annullano la derivata seconda sono dei punti di flesso. 2.12 Determinazione degli intervalli di concavità e convessità e dei punti di flesso Per determinare gli intervalli di concavità e convessità e i punti di flesso di una funzione: 1. Si determina l’insieme su cui la funzione è continua. 2. Si determina l’insieme su cui la funzione è derivabile due volte. 3. Si calcola la derivata seconda. 4. Si determinano i punti che annullano la derivata seconda e si calcolano le corrispondenti ordinate. 5. Si studia il segno della derivata seconda e lo si rappresenta. Si rappresentano gli intervalli di concavità e convessità inserendo: (a) ∪ in corrispondenza dei segni + (b) ∩ in corrispodenza dei segni − (c) • in corrispondenza dello 0, degli estremi del dominio in cui la funzione è continua, della × se la funzione in quel punto è continua e non derivabile (d) × se la funzione non è definita o non è continua. In tal modo, tenendo conto di eventuali punti di discontinuità, si determinano gli intervalli di concavità e convessità e i punti di flesso con le corrispondenti ordinate. 405 CAPITOLO 2. TEOREMI FONDAMENTALI DEL CALCOLO DIFFERENZIALE 2.13 Classificazione dei punti di non derivabilità Definizione 2.13.1 (Classificazioni dei punti di non derivabilità). Siano f : D → R una funzione e x0 ∈ D un punto interno a D in cui f è continua e non derivabile. Se lim− x→x0 f (x) − f (x0 ) f (x) − f (x0 ) = lim+ = +∞ x − x0 x − x0 x→x0 oppure lim− x→x0 f (x) − f (x0 ) f (x) − f (x0 ) = lim+ = −∞ x − x0 x − x0 x→x0 allora x0 è un punto di flesso a tangente verticale. Se lim− x→x0 f (x) − f (x0 ) f (x) − f (x0 ) = +∞ e lim+ = −∞ x − x0 x − x0 x→x0 oppure lim− x→x0 f (x) − f (x0 ) f (x) − f (x0 ) = −∞ e lim+ = +∞ x − x0 x − x0 x→x0 allora x0 è un punto di cuspide. Se lim− x→x0 f (x) − f (x0 ) =l∈R x − x0 e lim+ x→x0 f (x) − f (x0 ) = m ∈ R(l 6= m) x − x0 oppure uno dei due limiti è infinito e l’altro è finito, allora x0 è un punto angoloso. y y x O x0 x O x0 Figura 2.4: punto di flesso a tangente verticale 406 2.13. CLASSIFICAZIONE DEI PUNTI DI NON DERIVABILITÀ y y x O x O x0 x0 Figura 2.5: punto di cuspide y y x O x O x0 x0 Figura 2.6: punto angoloso Osservazione Se il dominio D è un intervallo, x0 ∈ D è un estremo e il limite destro o sinistro del rapporto incrementale è ±∞, allora x0 è un punto a tangente verticale. y x O x0 Figura 2.7: punto a tangente verticale Osservazione Se il limite del rapporto incrementale può essere calcolato applicando il teorema dell’Hôpital, allora i punti di non derivabilità si possono anche classificare calcolando il limite sinistro o destro della derivata della funzione. Osservazione Dopo aver trovato e classificato i punti in cui la funzione è continua e non derivabile, si calcolano le corrispondenti ordinate 407 CAPITOLO 2. TEOREMI FONDAMENTALI DEL CALCOLO DIFFERENZIALE 2.14 Metodo delle derivate successive per determinare punti di massimo, minimo e flesso Teorema 2.14.1. Siano I un intervallo e f : I → R Se 1. f è derivabile due volte su Int(I) 2. x0 ∈ Int(I) 3. f 0 (x0 ) = 0 4. f 00 (x0 ) > 0 (f 00 (x0 ) < 0) allora x0 è un punto di minimo (massimo) relativo. Dimostrazione Dato x0 ∈ Int(I), consideriamo il caso in cui f 00 (x0 ) > 0. Poiché f è derivabile due volte su Int(I) e x0 ∈ Int(I): lim x→x0 f 0 (x) f 0 (x) − f 0 (x0 ) = lim = f 00 (x0 ) > 0 x→x0 x − x x − x0 0 Per il teorema della permanenza del segno, esiste un intorno U (x0 ) di x0 tale che: f 0 (x) > 0 ∀x ∈ A = U (x0 ) ∩ Int(I) − {x0 } x − x0 Quindi, in B = {x ∈ A/x < x0 }, f 0 (x) < 0 e in C = {x ∈ A/x > x0 }, f 0 (x) > 0. Per il corollario del teorema di Lagrange, f è decrescente in senso stretto su B e crescente in senso stretto su C, quindi x0 è un punto di minimo relativo. Analogamente si dimostra il caso in cui f 00 (x0 ) < 0. Per determinare i punti di massimo e minimo relativo di una funzione f con il metodo delle derivate successive: 1. si determina l’insieme su cui la funzione f è derivabile due volte 2. si calcola la derivata prima f 0 3. si determinano i punti di stazionarietà della funzione, risolvendo l’equazione f 0 (x) = 0 e si calcolano le corrispondenti ordinate 4. si calcola la derivata seconda f 00 5. si calcola il valore della derivata seconda nei punti di stazionarietà: • se il valore è positivo, il punto di stazionarietà è un punto di minimo relativo • se il valore è negativo, il punto di stazionarietà è un punto di massimo relativo 408 2.14. METODO DELLE DERIVATE SUCCESSIVE PER DETERMINARE PUNTI DI MASSIMO, MINIMO E FLESSO • se il valore è nullo, non si può stabilire se il punto di stazionarietà è di massimo o minimo relativo Teorema 2.14.2. Siano I un intervallo e f : I → R Se 1. f è derivabile tre volte su Int(I) 2. x0 ∈ Int(I) 3. f 00 (x0 ) = 0 4. f 000 (x0 ) 6= 0 allora x0 è un punto di flesso. Per determinare i punti di flesso di una funzione f con il metodo delle derivate successive: 1. si determina l’insieme su cui la funzione f è derivabile tre volte 2. si calcola la derivata seconda f 00 3. si determinano i punti che annullano la derivata seconda, risolvendo l’equazione f 00 (x) = 0 e si calcolano le corrispondenti ordinate 4. si calcola la derivata terza f 000 5. si calcola il valore della derivata terza nei punti che annullano la derivata seconda: • se il valore non è nullo, il punto che annulla la derivata seconda è un punto di flesso • se il valore è nullo, non si può stabilire se il punto è un punto di flesso I teoremi precedenti si possono generalizzare. Teorema 2.14.3. Siano I un intervallo e f : I → R Se 1. f è derivabile n volte (n > 2) su Int(I) 2. x0 ∈ Int(I) 3. f 0 (x0 ) = f 00 (x0 ) = . . . = f (n−1) (x0 ) = 0 4. f (n) (x0 ) > 0 (f (n) (x0 ) < 0) con n pari allora x0 è un punto di minimo (massimo) relativo. 409 CAPITOLO 2. TEOREMI FONDAMENTALI DEL CALCOLO DIFFERENZIALE Teorema 2.14.4. Siano I un intervallo e f : I → R Se 1. f è derivabile n volte (n > 3) su Int(I) 2. x0 ∈ Int(I) 3. f 00 (x0 ) = f 000 (x0 ) = . . . = f (n−1) (x0 ) = 0 4. f (n) (x0 ) 6= 0 con n dispari allora x0 è un punto di flesso. 410 Capitolo 3 Studio di una funzione 3.1 Introduzione Studiare una funzione significa determinare alcune sue proprietà e utilizzarle per rappresentarla graficamente. 3.2 Schema riassuntivo per lo studio di una funzione Per studiare una funzione si seguirà il seguente schema. 1. Dominio Se il dominio non è assegnato, si determina il dominio massimale della funzione: • denominatore 6= 0 • argomento della radice con indice pari > 0 • argomento del logaritmo > 0 π • argomento della tangente 6= + kπ 2 • argomento della cotangente 6= kπ • argomento dell’arcseno compreso uguale tra −1, 1 • argomento dell’arccoseno compreso uguale tra −1, 1 • argomento della cotangente iperbolica 6= 0 • argomento del settcosh > 1 2. Parità, disparità, periodicità Con la parità e disparità si individuano eventuali simmetrie del grafico della funzione: se la funzione è pari, il grafico è simmetrico rispetto all’asse delle ordinate; se la funzione è dispari, il grafico è simmetrico rispetto all’origine. Per determinare se una funzione è pari, è sufficiente vedere se il dominio è simmetrico rispetto all’origine, calcolare f (−x) e vedere se si ottiene la stessa espressione analitica. 411 CAPITOLO 3. STUDIO DI UNA FUNZIONE Per determinare se una funzione è dispari, è sufficiente vedere se il dominio è simmetrico rispetto all’origine, calcolare f (−x) e vedere se si ottiene l’opposto dell’espressione analitica data. Se la funzione è periodica, il grafico è lo stesso in ogni intervallo di ampiezza pari al periodo. Per determinare il periodo di una funzione: (a) si determina il dominio D (b) si determina T , se esiste, imponendo che ∀x ∈ D f (x + T ) = f (x) (c) si verifica che x ∈ D ⇔ x + T ∈ D Osservazioni (a) Una funzione con dominio inferiormente limitato o superiormente limitato non può essere periodica. (b) Se il dominio di una funzione è R, la condizione x ∈ D ⇔ x + T ∈ D è sempre verificata. In generale non si possono stabilire regole per determinare il periodo delle funzioni, e nemmeno regole per dedurre il periodo di funzioni ottenute mediante somme, prodotti o composizioni di altre funzioni periodiche. Ci si può solo attenere alle indicazioni che seguono: • se una funzione f è periodica di periodo T , allora la funzione g, definita da T g (x) = f (kx), con k ∈ R − {0}, è periodica di periodo |k| • se si hanno due funzioni periodiche con diversi periodi T1 e T2 , e se esistono multipli interi comuni dei due periodi, allora le funzioni somma, prodotto, quoziente, hanno periodo uguale al minimo comune multiplo dei periodi • se si hanno due funzioni periodiche con lo stesso periodo T , allora le funzioni somma, prodotto, quoziente (se non si ottiene una costante), hanno periodo minore o uguale al periodo comune T 3. Intersezioni con gli assi cartesiani Si determinano le coordinate degli eventuali punti di intersezione del grafico della funzione con gli assi cartesiani risolvendo il sistema costituito dall’equazione cartesiana della funzione e dall’equazione di uno dei due assi. il grafico interseca l’asse x nei punti che hanno come ascissa gli zeri della funzione e come ordinata 0. Il grafico interseca l’asse y al più in un punto. Se 0 non appartiene al dominio, il sistema è impossibile e quindi il grafico non interseca l’asse y. Se 0 appartiene al dominio, il grafico interseca l’asse y nel punto che ha come ascissa 0 e come ordinata f (0). 412 3.2. SCHEMA RIASSUNTIVO PER LO STUDIO DI UNA FUNZIONE 4. Segno Si determinano gli intervalli nei quali la funzione è positiva, quelli in cui è negativa e quelli in cui è nulla. Per far questo si risolve la disequazione f (x) > 0 nel dominio. 5. Limiti Si calcolano i limiti agli estremi del dominio. Se la funzione è periodica, i limiti per x tendente a ±∞ non esistono o non si possono effettuare. Se la funzione è definita per casi è opportuno calcolare i limiti per x tendente ai valori di separazione dei casi. 6. Continuità Si determina l’insieme in cui la funzione è continua e si classificano gli eventuali punti singolari e di discontinuità. Per determinare i punti singolari di una funzione f : D → R si considerano gli estremi del dominio D (esclusi ±∞). Per classificare un punto singolare x0 si analizza il limite per x tendente a x0 : • se i limiti destro e sinistro sono finiti e diversi, x0 è un punto singolare di prima specie • se tra i limiti destro e sinistro almeno uno è infinito oppure almeno uno non esiste, x0 è un punto singolare di seconda specie • se il limite è finito, x0 è un punto singolare di terza specie • se x0 è un punto singolare e x0 ∈ D, allora x0 è anche un punto di discontinuità Osservazione Se • x0 è un punto singolare • limx→x+ f (x) = l ∈ R 0 • il limite sinistro non si può effettuare allora x0 è un punto singolare di terza specie. Analogamente con il limite sinistro. 7. Asintoti Si determinano le equazioni degli eventuali asintoti orizzontali, verticali e obliqui. In taluni casi è opportuno determinare anche le intersezioni del grafico della funzione con gli asintoti orizzontali e obliqui. Per determinare gli asintoti del grafico di una funzione f si analizzano i limiti agli estremi del dominio: • se lim f (x) = l, allora il grafico ammette un asintoto orizzontale di equazione x→±∞ y=l • se lim± f (x) = ±∞ allora il grafico ammette un asintoto verticale di equazione x→x0 x = x0 413 CAPITOLO 3. STUDIO DI UNA FUNZIONE • se (a) lim f (x) = ±∞ x→±∞ f (x) = m 6= 0 x→±∞ x (c) lim (f (x) − mx) = q (b) lim x→±∞ allora il grafico ammette un asintoto obliquo di equazione y = mx + q. Osservazione Il grafico di una funzione periodica non ha asintoti orizzontali e obliqui. 8. Intervalli di monotonia, punti di massimo e minimo (a) Si determina l’insieme su cui la funzione è derivabile. (b) Si calcola la derivata prima. (c) Si determinano i punti di stazionarietà della funzione, cioè i punti che annullano la derivata prima e si calcolano le corrispondenti ordinate. (d) Si studia il segno della derivata prima: in tal modo, tenendo conto di eventuali punti di discontinuità, si determinano gli intervalli di monotonia e i punti di massimo e minimo relativo con le corrispondenti ordinate. In alternativa, per decidere se un punto di stazionarietà è un punto di massimo o minimo relativo, si può utilizzare il metodo delle derivate successive. (e) Si determinano i punti di massimo e minimo assoluto tenendo conto dei massimi e minimi relativi e dei limiti agli estremi del dominio. (f) Si classificano i punti del dominio in cui la funzione è continua e non derivabile: Definizione 3.2.1 (Classificazioni dei punti di non derivabilità). Siano f : D → R una funzione e x0 ∈ D un punto interno a D in cui f è continua e non derivabile. Se lim− x→x0 f (x) − f (x0 ) f (x) − f (x0 ) = lim+ = +∞ x − x0 x − x0 x→x0 oppure lim− x→x0 f (x) − f (x0 ) f (x) − f (x0 ) = lim+ = −∞ x − x0 x − x0 x→x0 allora x0 è un punto di flesso a tangente verticale. Se lim− x→x0 f (x) − f (x0 ) f (x) − f (x0 ) = +∞ e lim+ = −∞ x − x0 x − x0 x→x0 oppure lim− x→x0 f (x) − f (x0 ) f (x) − f (x0 ) = −∞ e lim+ = +∞ x − x0 x − x0 x→x0 414 3.2. SCHEMA RIASSUNTIVO PER LO STUDIO DI UNA FUNZIONE allora x0 è un punto di cuspide. Se lim− x→x0 f (x) − f (x0 ) =l∈R x − x0 e lim+ x→x0 f (x) − f (x0 ) = m ∈ R(l 6= m) x − x0 oppure uno dei due limiti è infinito e l’altro è finito, allora x0 è un punto angoloso. Se il dominio D è un intervallo, x0 ∈ D è un estremo e il limite destro o sinistro del rapporto incrementale è ±∞, allora x0 è un punto a tangente verticale. 9. Intervalli di concavità e convessità, punti di flesso (a) Si determina l’insieme su cui la funzione è derivabile due volte. (b) Si calcola la derivata seconda. (c) Si determinano i punti che annullano la derivata seconda e si calcolano le corrispondenti ordinate. (d) Si studia il segno della derivata seconda: in tal modo, tenendo conto di eventuali punti di discontinuità, si determinano gli intervalli di concavità e convessità e i punti di flesso con le corrispondenti ordinate. In alternativa, per decidere se un punto che annulla la derivata seconda è un punto di flesso, si può utilizzare il metodo delle derivate successive. In taluni casi può essere utile determinare la tangente al grafico della funzione nei flessi. 10. Grafico Si traccia un grafico qualitativo della funzione, utilizzando i risultati ottenuti nei punti precedenti Osservazioni 1. Se la funzione è definita su due intervalli si può scrivere che è definita sull’unione dei due intervalli. 2. Se la funzione è positiva (negativa) su due intervalli si può scrivere che è positiva (negativa) sull’unione. 3. Se la funzione è crescente (decrescente) in senso stretto su due intervalli disgiunti si scrive che è crescente (decrescente) in senso stretto sul primo e sul secondo (non sull’unione). 4. Se la funzione è crescente (decrescente) in senso stretto su due intervalli con un’estremo in comune si scrive che è crescente (decrescente) in senso stretto sull’intervallo ottenuto dall’unione dei due. 415 CAPITOLO 3. STUDIO DI UNA FUNZIONE 5. Se la funzione è convessa (concava) in senso stretto su due intervalli disgiunti o con un’estremo in comune e in esso non derivabile si scrive che è convessa (concava) in senso stretto sul primo e sul secondo (non sull’unione). 6. Se la funzione è convessa (concava) in senso stretto su due intervalli con un’estremo in comune e in esso derivabile si scrive che è convessa (concava) in senso stretto sull’intervallo ottenuto dall’unione dei due 3.3 Studio di una funzione prolungabile per continuità f (x) = 3x − 12 e x 1 − 2x 1. Dominio Il dominio della funzione f è l’insieme delle soluzioni del sistema: ( 1 − 2x 6= 0 x2 6= 0 1 2 x 6= 0 x 6= Quindi ô ñ ô ñ 1 1 D = ]−∞, 0[ ∪ 0, ∪ , +∞ 2 2 2. Parità, disparità, periodicità Poiché il dominio non è simmetrico rispetto all’origine, la funzione non è pari e non è dispari. La funzione non è periodica. 3. Intersezioni con gli assi cartesiani Determiniamo le intersezioni con l’asse x, trovando gli zeri della funzione: 3x − 12 e x =0 1 − 2x 3x = 0 x=0 impossibile. Il grafico non interseca l’asse x. Poiché 0 non appartiene al dominio, il grafico non interseca l’asse y. 416 3.3. STUDIO DI UNA FUNZIONE PROLUNGABILE PER CONTINUITÀ 4. Segno Determiniamo il segno della funzione, risolvendo la disequazione f (x) > 0: 3x − 12 e x >0 1 − 2x 3x >0 1 − 2x 3x > 0 ⇒ x > 0 1 2 1 − 2x > 0 ⇒ x < 1 2 − × + × + + × + × − 0 − × + × − La funzioneôè: ñ 1 positiva su 0, , 2 ñ ô 1 negativa su ] − ∞, 0[∪ , +∞ . 2 5. Limiti Calcoliamo i limiti agli estremi del dominio: Ç lim x→−∞ 3x − 12 e x 1 − 2x å Poiché 1 3x 3 = − e lim e− x2 = 1 x→−∞ 1 − 2x 2 x→−∞ lim si ha Ç lim x→−∞ Ç lim x→0− 3x − 12 e x 1 − 2x 3x − 12 e x 1 − 2x å =− 3 2 å Poiché lim− x→0 1 3x = 0 e lim− e− x2 = 0 x→0 1 − 2x si ha Ç lim x→0− 3x − 12 e x 1 − 2x å =0 417 CAPITOLO 3. STUDIO DI UNA FUNZIONE Ç lim x→0+ 3x − 12 e x 1 − 2x å Poiché lim+ x→0 1 3x = 0 e lim+ e− x2 = 0 x→0 1 − 2x si ha Ç lim x→0+ 3x − 12 e x 1 − 2x Ç lim− x→ 12 3x − 12 e x 1 − 2x å =0 å Poiché 1 3x = +∞ e lim− e− x2 = e−4 1 − 2x x→ 12 lim− x→ 12 si ha Ç lim− x→ 12 Ç lim+ x→ 12 3x − 12 e x 1 − 2x å 3x − 12 e x 1 − 2x å = +∞ Poiché 1 3x = −∞ e lim+ e− x2 = e−4 1 − 2x x→ 12 lim+ x→ 12 si ha Ç lim+ x→ 12 3x − 12 e x 1 − 2x Ç lim x→+∞ å 3x − 12 e x 1 − 2x = −∞ å Poiché 1 3x 3 = − e lim e− x2 = 1 x→+∞ 1 − 2x 2 x→+∞ lim si ha Ç lim x→+∞ 3x − 12 e x 1 − 2x å =− 3 2 418 3.3. STUDIO DI UNA FUNZIONE PROLUNGABILE PER CONTINUITÀ 6. Continuità 1 La funzione è continua sul dominio; x = 0 è un punto singolare di terza specie; x = 2 è un punto singolare di seconda specie. Poiché x = 0 è un punto singolare di terza specie, la funzione f si può prolungare per continuità in x = 0: ô ñ ô ñ 1 1 se x ∈ ]−∞, 0[ ∪ 0, ∪ , +∞ 2 2 se x = 0 3x − 12 e x fe(x) = 1 − 2x 0 In questo modo ô ñ ô ñ 1 1 Dfe = −∞, ∪ , +∞ 2 2 e fe è continua in 0. 7. Asintoti 3 Il grafico ha un asintoto orizzontale di equazione y = − . 2 1 Il grafico ha un asintoto verticale di equazione x = . 2 Non ci sono asintoti obliqui. 8. Intervalli di monotonia, punti di massimo e minimo (a) La funzione è derivabile sul dominio. (b) Calcoliamo la derivata prima: f 0 (x) = 3(1 − 2x) − 3x(−2) − 12 3x − 12 2x x + e e x 4 = (1 − 2x)2 1 − 2x x 1 3 − 6x + 6x − 12 6 e x + 2 e− x2 = 2 (1 − 2x) x (1 − 2x) Ç 3 6 3x2 + 6 − 12x − 12 − 12 x + e = e x (1 − 2x)2 x2 (1 − 2x) x2 (1 − 2x)2 å (c) Determiniamo i punti di stazionarietà, risolvendo l’equazione f 0 (x) = 0: 3(x2 − 4x + 2) − 12 e x =0 x2 (1 − 2x)2 1 (x2 − 4x + 2)e− x2 = 0 x2 − 4x + 2 = 0 ∆ =4−2=2 4 √ x=2± 2 419 CAPITOLO 3. STUDIO DI UNA FUNZIONE 1 e− x2 = 0 è impossibile Calcoliamo le corrispondenti ordinate: √ √ √ √ 3+2 2 3(2 − 2) − 6−41√2 f (2 − 2) = √ e = −3(2 + 2)e− 2 2 2−3 √ √ √ − 3−2√2 3(2 + 2) − 6+41√2 √ f (2 + 2) = = −3(2 − 2)e 2 e −2 2 − 3 Å Å √ − 3+2√2 ã √ √ − 3−2√2 ã √ 2 , B 2 + 2, −3(2 − 2)e 2 A 2 − 2, −3(2 + 2)e (d) Studiamo il segno della derivata prima, risolvendo la disequazione f 0 (x) > 0: 3(x2 − 4x + 2) − 12 e x >0 x2 (1 − 2x)2 x2 − 4x + 2 > 0 √ √ x<2− 2∨x>2+ 2 0 f0 f + × % × 1 2 + × % × 2− + % √ 0 • 2 2+ − & √ 2 0 • + % La funzione è : ô ñ ô ô î î √ √ 1 1 crescente in senso stretto su ]−∞, 0[, su 0, , su , 2 − 2 e su 2 + 2, +∞ 2√ ó 2 î √ decrescente in senso stretto su 2 − 2, 2 + 2 . Ä √ √ ä − 3+2√2 x = 2 − 2 è un punto di massimo relativo, −3 2 + 2 e 2 è il massimo relativo √ Ä √ ä 3−2√2 x = 2 + 2 è un punto di minimo relativo, −3 2 − + 2 e− 2 è il minimo relativo (e) non ci sono punti di massimo e minimo assoluti (f) Studiamo la derivabilità del prolungamento per continuità di f in x = 0 3x − 12 e x fe(x) = 1 − 2x 0 La funzione fe0 (x) = fe è ô ñ ô ñ ô ñ ô ñ 1 1 se x ∈ ]−∞, 0[ ∪ 0, ∪ , +∞ 2 2 se x = 0 1 1 ∪ , +∞ e, su tale insieme, derivabile su ]−∞, 0[ ∪ 0, 2 2 3(x2 − 4x + 2) − 12 e x x2 (1 − 2x)2 Calcoliamo i limiti per x → 0− e x → 0+ di fe0 (x). 420 3.3. STUDIO DI UNA FUNZIONE PROLUNGABILE PER CONTINUITÀ Ç i. lim− x→0 3(x2 − 4x + 2) − 12 e x x2 (1 − 2x)2 Ñ å = lim− x→0 1 é 1 é 3(x2 − 4x + 2) e− x2 (1 − 2x)2 x2 Poiché lim− x→0 3(x2 − 4x + 2) =6 (1 − 2x)2 e 1 e− x2 x−2 x−2 lim− 2 = lim− 1 = lim− x−2 = x→0 x→0 e x→0 e x2 x lim− x→0 1 1 −2x−3 = lim− x−2 = lim− e− x2 = 0 −2 x −3 x→0 e (−2x ) x→0 e si ha Ç lim x→0− Ç ii. lim+ x→0 3(x2 − 4x + 2) − 12 e x x2 (1 − 2x)2 å 3(x2 − 4x + 2) − 12 e x x2 (1 − 2x)2 å =0 Ñ = lim+ x→0 3(x2 − 4x + 2) e− x2 (1 − 2x)2 x2 Poiché lim+ x→0 3(x2 − 4x + 2) =6 (1 − 2x)2 e 1 x−2 e− x2 x−2 lim+ 2 = lim+ 1 = lim+ x−2 = x→0 e x→0 x→0 e x2 x lim+ x→0 −2x−3 1 − 12 x =0 = lim = lim e −2 −2 x→0+ ex (−2x−3 ) x→0+ ex si ha Ç lim x→0+ 3(x2 − 4x + 2) − 12 e x x2 (1 − 2x)2 å =0 Poiché lim− fe0 (x) = 0 e lim+ fe0 (x) = 0, fe è derivabile in x = 0 e fe0 (0) = 0. x→0 x→0 2 3(x fe0 (x) = − 4x + 2) − 12 e x 2 x (1 − 2x)2 0 ô 9. Intervalli di concavità e convessità, punti di flesso (a) La funzione è derivabile due volte sul dominio. 421 ñ ô 1 1 ∪ , +∞ se x ∈ ]−∞, 0[ ∪ 0, 2 2 se x = 0 ñ CAPITOLO 3. STUDIO DI UNA FUNZIONE (b) Poiché il calcolo della derivata seconda è complesso non determiniamo gli intervalli di concavità, convessità e i punti di flesso. 10. Grafico y × O − x 1 2 A 3 2 B Ç Figura 3.1: grafico di f (x) = 3.4 3x − 12 e x 1 − 2x å Discussione di equazioni con parametro Lo studio di funzione permette di determinare il numero di radici di equazioni parametriche della forma g(x, k) = 0 in un insieme D al variare di k, dove il parametro k compare allo stesso grado. Si procede nel seguente modo: 1. si isola il parametro k, ottenendo k = f (x) 2. si considera il sistema: y = f (x) y=k x ∈ D ∩ Df 3. si traccia il grafico della funzione f su D ∩ Df 4. il numero di radici dell’equazione data si determina studiando le intersezioni tra il grafico della funzione e la retta di equazione y = k al variare di k 422 3.4. DISCUSSIONE DI EQUAZIONI CON PARAMETRO 5. per i valori di x appartenenti a D e non appartenenti a Df , si determina, se esiste, il corrispondente valore di k 423 Capitolo 4 Problemi di massimo e minimo Per risolvere i problemi di massimo e minimo: 1. si indica con x una delle variabili del problema 2. si esprimono, in funzione di x, le altre variabili 3. si determina l’insieme D al quale le variabili devono appartenere 4. si determina la funzione della quale si cerca il massimo o il minimo 5. si determina il massimo o il minimo della funzione su D 424 Capitolo 5 Risoluzione di equazioni e disequazioni con il metodo grafico 5.1 Equazioni Con il metodo grafico si può stabilire se, in un dato insieme, un’equazione è risolubile; in caso affermativo si può determinare il numero delle soluzioni e, per ciascuna di esse, un intervallo a cui appartengono. Per risolvere un’equazione nella forma normale h(x) = 0 con il metodo grafico: 1. si trasforma l’equazione nella forma f (x) = g(x) 2. si rappresentano graficamente le funzioni f e g sullo stesso sistema di riferimento 3. si determina il numero delle soluzioni dell’equazione data che è uguale al numero di intersezioni tra i due grafici 4. per ogni soluzione, che è l’ascissa dei punti di intersezione tra i due grafici, si determina un intervallo a cui appartiene 5.2 Disequazioni Per risolvere una disequazione nella forma normale h(x) > 0 con il metodo grafico: 1. si trasforma la disequazione nella forma f (x) > g(x) 2. si rappresentano graficamente le funzioni f e g sullo stesso sistema di riferimento 3. le soluzioni della disequazione sono gli intervalli per i quali il grafico di f si svolge al di sopra di quello di g Per le disequazioni nella forma normale h(x) > 0, h(x) < 0, h(x) 6 0 si procede in modo analogo. Osservazione La risoluzione di equazioni e disequazioni con il metodo grafico si può utilizzare nello studio di funzione. 425 CAPITOLO 5. RISOLUZIONE DI EQUAZIONI E DISEQUAZIONI CON IL METODO GRAFICO Esempio 5.2.1. Studiamo la funzione f (x) = |x − 3| x−1 e x−1 1. Dominio D = ]−∞, 1[ ∪ ]1, +∞[ 2. Parità, disparità, periodicità Poiché il dominio non è simmetrico rispetto all’origine, la funzione non è pari e non è dispari. La funzione non è periodica. 3. Intersezioni con gli assi cartesiani Determiniamo le intersezioni con l’asse x, trovando gli zeri della funzione: |x − 3| x−1 e =0 x−1 |x − 3| = 0 x=3 Il grafico interseca l’asse x in A(3, 0) 3 Poiché 0 appartiene al dominio, calcoliamo f (0): f (0) = − ; il grafico interseca l’asse e Ç å 3 y in B 0, − . e 4. Segno Determiniamo il segno della funzione, risolvendo la disequazione f (x) > 0: |x − 3| x−1 e >0 x−1 |x − 3| >0 x−1 |x − 3| > 0 ⇒ x 6= 3 x−1>0⇒x>1 1 3 + × + 0 + − × + + + − × + 0 + La funzione è: positiva su ]1, 3[∪]3, +∞[, nulla per x = 3, negativa su ] − ∞, 1[. 426 5.2. DISEQUAZIONI 5. Limiti Calcoliamo i limiti agli estremi del dominio: |x − 3| x−1 e = x→−∞ x − 1 lim −x + 3 x−1 e =0 x→−∞ x − 1 lim lim− |x − 3| x−1 e = −∞ x−1 lim+ |x − 3| x−1 e = +∞ x−1 x→1 x→1 |x − 3| x−1 e = x→+∞ x − 1 x − 3 x−1 lim e = +∞ x→+∞ x − 1 lim 6. Continuità La funzione è continua sul dominio; x = 1 è un punto singolare di seconda specie. 7. Asintoti Il grafico ha un asintoto orizzontale di equazione y = 0. Il grafico ha un asintoto verticale di equazione x = 1. |x − 3| x−1 e x − 1 = lim x→+∞ x x − 3 x−1 e = x→+∞ x2 − x x x−1 lim e = x→+∞ x2 lim ex−1 = x→+∞ x Applicando il teorema di De L’Hôpital si ottiene lim lim ex−1 = +∞ x→+∞ non ci sono asintoti obliqui. 8. Intervalli di monotonia, punti di massimo e minimo (a) La funzione è derivabile su D0 = ]−∞, 1[ ∪ ]1, 3[∪]3, +∞[ 427 CAPITOLO 5. RISOLUZIONE DI EQUAZIONI E DISEQUAZIONI CON IL METODO GRAFICO (b) Calcoliamo la derivata prima: |x − 3| (x − 1) − (|x − 3|) |x − 3| x−1 e = f 0 (x) = x − 3 ex−1 + 2 (x − 1) x−1 x−1 1 |x − 3| x−1 |x − 3| x − 3) − 1 e = ex−1 + 2 ( (x − 1) x−1 Ç |x − 3| e å 2 |x − 3| x−1 e = e|x−1| + 2 (x − 3)(x − 1) x−1 x−1 |x − 3| x−1 Ç 2 +1 (x − 3)(x − 1) ex−1 |x − 3| x2 − 4x + 5 x − 1 (x − 3)(x − 1) ex−1 |x − 3|(x2 − 4x + 5) (x − 1)2 (x − 3) å Osservazione La derivata prima si può anche calcolare eliminando il valore assoluto x − 3 x−1 e −1 f (x) = x −x + 3 x−1 ex−1 se x > 3 se x < 1 ∨ 1 < x < 3 2 x−1 x e − 4x + 5 (x − 1)2 f 0 (x) = −x2 + 4x − 5 ex−1 (x − 1)2 se x > 3 se x < 1 ∨ 1 < x < 3 (c) Determiniamo i punti di stazionarietà, risolvendo l’equazione f 0 (x) = 0: ex−1 |x − 3|(x2 − 4x + 5) =0 (x − 1)2 (x − 3) x2 − 4x + 5 = impossibile non ci sono punti di stazionarieta (d) Studiamo il segno della derivata prima, risolvendo la disequazione f 0 (x) > 0: ex−1 |x − 3|(x2 − 4x + 5) >0 (x − 1)2 (x − 3) 1 >0 x−3 428 5.2. DISEQUAZIONI x>3 f0 f 1 3 − × & × − × & • + % La funzione è: crescente in senso stretto su [3, +∞[, decrescente in senso stretto su ] − ∞, −1[ e su ]1, 3]. x = 3 è un punto di minimo relativo, 0 è il minimo relativo. (e) non ci sono punti di massimo e minimo assoluti (f) In 3 la funzione è continua e non derivabile. lim− f 0 (x) = lim− ex−1 1 −x2 + 4x − 5 = − e2 2 (x − 1) 2 lim+ f 0 (x) = lim+ ex−1 1 x2 − 4x + 5 = e2 2 (x − 1) 2 x→3 x→3 x→3 x→3 x = 3 è un punto angoloso 9. Intervalli di concavità e convessità, punti di flesso (a) La funzione è derivabile due volte su D0 = ]−∞, 1[ ∪ ]1, 3[∪]3, +∞[ (b) Calcoliamo la derivata seconda, partendo da 2 x−1 x e − 4x + 5 (x − 1)2 f 0 (x) = −x2 + 4x − 5 ex−1 (x − 1)2 3 x−1 x e se x > 3 se x < 1 ∨ 1 < x < 3 − 5x2 + 11x − 11 (x − 1)3 f 00 (x) = 3 −x + 5x2 − 11x + 11 ex−1 (x − 1)3 se x > 3 se x < 1 ∨ 1 < x < 3 (c) Determiniamo i punti che annullano la derivata seconda, risolvendo l’equazione f 00 (x) = 0. Consideriamo ex−1 x3 − 5x2 + 11x − 11 = 0 con x > 3 (x − 1)3 x3 − 5x2 + 11x − 11 = 0 poiché non esistono valori razionali che annullano il polinomio, utilizziamo il metodo grafico. 429 CAPITOLO 5. RISOLUZIONE DI EQUAZIONI E DISEQUAZIONI CON IL METODO GRAFICO i. Trasformiamo l’equazione nella forma x3 = 5x2 − 11x + 11 ii. Rappresentiamo graficamente la funzione g(x) = x3 : y x O Figura 5.1: grafico di g(x) = x3 iii. Rappresentiamo graficamente la funzione h(x) = 5x2 − 11x + 11 sullo stesso sistema di riferimento del grafico di g: 430 5.2. DISEQUAZIONI y A x O 1 4 Figura 5.2: grafico di g(x) = x3 e h(x) = 5x2 − 11x + 11 I grafici si intersecano nel punto A di ascissa α ∈]1, 4[ Poiché g(2) = 8,h(2) = 9, g(3) = 27,h(3) = 23 α ∈]2, 3[ L’equazione è impossibile perchè α < 3. Consideriamo ex−1 −x3 + 5x2 − 11x + 11 = 0 con x < 1 ∨ 1 < x < 3 (x − 1)3 x3 − 5x2 + 11x − 11 = 0 Per il calcolo precedente si ottiene α ∈]2, 3[ La soluzione è accettabile. Calcoliamo la corrispondente ordinata: f (α) = 3 − α α−1 e α−1 3 − α α−1 C α, e α−1 Ç å 431 CAPITOLO 5. RISOLUZIONE DI EQUAZIONI E DISEQUAZIONI CON IL METODO GRAFICO Poiché f (2) = e f (3) = 0 f (α) ∈]0, e[ (d) Studiamo il segno della derivata seconda, risolvendo la disequazione f 00 (x) > 0: Consideriamo ex−1 x3 − 5x2 + 11x − 11 > 0 con x > 3 (x − 1)3 x3 − 5x2 + 11x − 11 > 0 x3 > 5x2 − 11x + 11 x>3 Consideriamo ex−1 −x3 + 5x2 − 11x + 11 > 0 con x < 1 ∨ 1 < x < 3 (x − 1)3 −x3 + 5x2 − 11x + 11 >0 x−1 −x3 +5x2 −11x+11 > 0 ⇒ x3 −5x2 +11x−11 < 0 ⇒ x3 < 5x2 −11x+11 ⇒ x < α x−1>0⇒x>1 1 α 3 + × + 0 − × × − × + + + × × − × + 0 − × × 1<x<α f 00 f − ∩ 1 α × + × ∪ 0 • 3 − ∩ × + • ∪ La funzione è: concava in senso stretto su ] − ∞, 1[ e su [α, 3], convessa in senso stretto su ]1, α] e su [3, +∞[ x = α e x = 3 sono punti di flesso 432 5.2. DISEQUAZIONI 10. Grafico y e C A O − 3 e 2 B Figura 5.3: grafico di f (x) = 433 3 |x − 3| x−1 e x−1 x Capitolo 6 Approssimazioni di funzioni 6.1 Introduzione Molte funzioni possono essere approssimate con polinomi. Si può avere un’approssimazione di tipo globale (il polinomio approssima la funzione sul dominio o su un suo sottoinsieme) o di tipo locale (il polinomio approssima la funzione nelle vicinanze di un punto del dominio). Nell’approssimazione di tipo locale, si determina un polinomio di grado n che, in un dato punto x0 , soddisfa le seguenti condizioni: • assume lo stesso valore della funzione • le derivate successive fino all’ordine n coincidono con le corrispondenti derivate successive della funzione Il polinomio che si ottiene con questo metodo si dice polinomio di Taylor di grado n associato alla funzione con base x0 . Nell’approssimazione di tipo globale si determina un polinomio di grado 6 n − 1 che in n punti assume lo stesso valore della funzione (interpolazione matematica) oppure che in n punti il suo valore si avvicina il più possibile al valore della funzione (interpolazione statistica) 6.2 Approssimazione locale 6.2.1 Polinomio di Taylor Consideriamo una funzione f : D → R derivabile in un punto x0 ∈ D. lim x→x0 f (x) − f (x0 ) = f 0 (x0 ) x − x0 Posto ϕ(x) = f (x) − f (x0 ) − f 0 (x0 ) x − x0 434 6.2. APPROSSIMAZIONE LOCALE si ha: lim ϕ(x) = 0 x→x0 ϕ(x) = f (x) − f (x0 ) − f 0 (x0 ) ⇒ f (x) = f (x0 ) + f 0 (x0 )(x − x0 ) + ϕ(x)(x − x0 ) x − x0 Posto P1 (x) = f (x0 ) + f 0 (x0 )(x − x0 ) e osservato che ϕ(x)(x − x0 ) = o(x − x0 ) per x → x0 , si ha f (x) = P1 (x) + o(x − x0 ) per x → x0 Quindi una funzione derivabile è approssimabile con un polinomio di primo grado. Il risultato ottenuto si può generalizzare. Definizione 6.2.1 (Polinomio di Taylor). Data una funzione f : D → R derivabile n volte in un punto x0 ∈ D si dice polinomio di Taylor di grado n associato alla funzione f con base x0 il polinomio Pn (x) = f (x0 ) + f 00 (x0 ) f (n) (x0 ) f 0 (x0 ) (x − x0 ) + (x − x0 )2 + · · · + (x − x0 )n 1! 2! n! Teorema 6.2.1. Se f : D → R è derivabile n volte in x0 ∈ D allora f (x) = Pn (x) + o ((x − x0 )n ) per x → x0 L’espressione Pn (x) + o((x − x0 )n ) si dice sviluppo di Taylor della funzione f per x → x0 . Se x0 = 0, allora l’espressione Pn (x) + o(xn ) si dice sviluppo di Maclaurin. 6.2.2 Sviluppi notevoli di Maclaurin Si può dimostrare che, per x → 0 1. ex = 1 + x + 1 2 1 x + . . . + xn + o(xn ) 2! n! 2. sin(x) = x − 1 3 1 5 (−1)n 2n+1 x + x + ... + x + o(x2n+2 ) 3! 5! (2n + 1)! 3. cos(x) = 1 − 1 2 1 4 (−1)n 2n x + x + ... + x + o(x2n+1 ) 2! 4! (2n)! 1 2 4. tan(x) = x + x3 + x5 + o(x6 ) 3 15 435 CAPITOLO 6. APPROSSIMAZIONI DI FUNZIONI ! ! α 2 α n 5. (1 + x) = 1 + αx + x + ... + x + o(xn ), α ∈ R 2 n ! α α(α − 1) · . . . · (α − n + 1) dove = n n! α 6. 1 = (1 − x)−1 = 1 + x + x2 + . . . + xn + o(xn ) 1−x 1 (−1)n−1 n 1 x + o(xn ) 7. ln(1 + x) = x − x2 + x3 + . . . + 2 3 n 1 1 (−1)n 2n+1 8. arctan(x) = x − x3 + x5 + . . . + x + o(x2n+2 ) 3 5 2n + 1 6.3 6.3.1 Approssimazione globale Interpolazione matematica Interpolare una funzione f noti i valori di f in n punti distinti x1 , . . . , xn , significa determinare un polinomio P di grado 6 n − 1 tale che f (xi ) = P (xi ) con i = 1 . . . n Interpolazione polinomiale L’interpolazione con un polinomio di grado n − 1 di una funzione f si effettua conoscendo i valori di f in n punti x1 , . . . , xn . Il polinomio interpolante si ottiene determinando i valori di ai del generico polinomio di grado n − 1 P (x) = an−1 xn−1 + . . . + a0 I coefficienti ai si determinano risolvendo il sistema f (x1 ) = an−1 xn−1 + . . . + a0 1 ... f (xn ) = an−1 xn−1 + . . . + a0 n 6.3.2 Interpolazione statistica: metodo dei minimi quadrati L’interpolazione statistica di una funzione consiste nel determinare un polinomio o una funzione non polinomiale che in n punti x1 , . . . xn assuma valori che soddisfino una condizione di accostamento prefissata. Il metodo più utilizzato è quello dei minimi quadrati. Indicando con f la funzione da interpolare e con g la funzione interpolante dipendente da m parametri a1 , . . . , am , la condizione di accostamento del metodo dei minimi quadrati è determinare i valori dei parametri in modo che sia minima la somma dei quadrati delle differenze tra i valori yi = f (xi ) e i valori 436 6.3. APPROSSIMAZIONE GLOBALE g(xi ). Quindi si deve trovare il minimo della funzione h(a1 , . . . , am ) = n X (yi − g(xi , a1 , . . . am ))2 i=1 Se una funzione in una variabile è derivabile, condizione necessaria per determinare il minimo è che la derivata si annulli. In modo analogo, se una funzione in più variabili è derivabile rispetto a ogni variabile, condizione necessaria per determinare il minimo è che tutte le derivate parziali si annullino. La derivata parziale rispetto a una variabile, si ottiene considerando tutte le altre variabili come costanti. Risolvendo il sistema formato dalle equazioni che annullano le derivate parziali si ottengono i punti di stazionarietà. Poiché la funzione è una somma di quadrati, i punti di stazionarietà sono punti di minimo. Consideriamo il caso in cui la funzione g è lineare. Negli altri casi si procede in modo analogo Interpolazione lineare L’interpolazione lineare di una funzione f con il metodo dei minimi quadrati si effettua determinando i valori dei parametri a, b della funzione g(x) = ax + b conoscendo i valori di f nei punti x1 , . . . , xn in modo che sia minima h(a, b) = n X (yi − g(xi , a, b))2 i=1 h(a, b) = n X (yi − axi − b)2 i=1 Determiniamo le derivate parziali di h rispetto ad a e b n n Ä ä X ∂h X = 2 (yi − axi − b) (−xi ) = 2 ax2i − xi yi + bxi = ∂a i=1 i=1 2 n X a x2 i − i=1 n X xi y i + b i=1 n X ! xi i=1 n n X ∂h X = 2 (yi − axi − b) (−1) = 2 (axi − yi + b) = ∂b i=1 i=1 2 a n X xi − i=1 n X ! yi + nb i=1 Risolviamo il sistema che si ottiene annullando le derivate parziali 2 2 n X a x2 i a i=1 n X i=1 − xi − n X i=1 n X xi y i + b n X ! xi = 0 i=1 ! yi + nb = 0 i=1 437 CAPITOLO 6. APPROSSIMAZIONI DI FUNZIONI a b n n X x i yi − i=1 n X = n x2i − n X = n yi xi n n X X x2 y i− i n X i=1 i=1 !2 n X i=1 i=1 xi i=1 n X i=1 n X x2i − xi n X xi y i i=1 i=1 !2 n X i=1 xi i=1 Osservazione Negli esercizi può essere conveniente utilizzare la formula finale per ricavare a e utilizzare Pn b= i=1 n yi Pn −a i=1 xi n per ricavare b 438 Capitolo 7 Calcolo integrale 7.1 Primitive di una funzione Definizione 7.1.1 (Primitiva di una funzione). Siano I un intervallo e f : I → R una funzione. Si dice primitiva di f su I ogni funzione F : I → R derivabile su I tale che F 0 (x) = f (x) ∀x ∈ I. Teorema 7.1.1. Siano I un intervallo e f : I → R. Se f è continua su I allora f ammette una primitiva su I. Teorema 7.1.2. Siano I un intervallo, f : I → R e F : I → R una primitiva di f su I. La funzione G : I → R è una primitiva di f su I, se e solo se, ∃c ∈ R/G(x) = F (x) + c ∀x ∈ I Dimostrazione Se F è una primitiva di f su I, allora F è derivabile su I e G = F + c è derivabile su I. Poiché D(G) = D(F + c) = D(F ) = f G = F + c è una primitiva di f su I. Viceversa, se F e G sono due primitive di f su I, allora G0 (x) = F 0 (x) ∀x ∈ I, da cui G0 (x) − F 0 (x) = 0 ∀x ∈ I. Pertanto (G − F )0 (x) = 0 ∀x ∈ I e quindi, per il corollario del teorema di Lagrange, ∃c ∈ R/(G − F )(x) = c ∀x ∈ I, cioè G(x) = F (x) + c ∀x ∈ I Dal teorema precedente segue che, se F è una primitiva di f su I, allora, ∀c ∈ R, F + c è l’insieme di tutte le primitive di f su I. 439 CAPITOLO 7. CALCOLO INTEGRALE 7.2 Integrale indefinito Definizione 7.2.1 (Integrale indefinito). Siano I un intervallo e f : I → R una funzione. Si dice integrale indefinito di f l’insieme di tutte le primitive di f su I e si indica con Z f (x) dx Quindi, se F è una primitiva di f su I, si avrà Z f (x) dx = F (x) + c La funzione f si dice funzione integranda. 7.2.1 Integrali indefiniti elementari Dalla definizione di integrale indefinito e dalla tabella delle derivate elementari si può ricavare la tabella degli integrali indefiniti elementari. Le formule indicate sono sempre riferite a funzioni definite su intervalli I ⊆ R. Z Z Z 0 dx = c 1 dx = x + c xα dx = xα+1 + c per α 6= −1 α+1 1 dx = ln(|x|) + c x Z ax ax dx = +c ln(a) Z Z Z Z ex dx = ex + c sin(x) dx = − cos(x) + c cos(x) dx = sin(x) + c Z 1 dx = tan(x) + c cos2 (x) Z 1 dx = − cot(x) + c sin (x) 2 1 dx = arcsin(x) + c 1 − x2 Z 1 dx = arctan(x) + c 1 + x2 Z √ 440 7.2. INTEGRALE INDEFINITO Z Z sinh(x) dx = cosh(x) + c cosh(x) dx = sinh(x) + c 1 dx = tanh(x) + c cosh2 (x) Z 1 dx = − coth(x) + c sinh2 (x) Z √ 1 √ dx = settsinh(x) + c = ln(x + x2 + 1) + c x2 + 1 Z √ 1 √ x2 − 1) + c dx = settcosh(x) + c = ln(x + x2 − 1 OsservazioneZ 1 1 Nell’integrale dx si intende che la funzione f (x) = è definita su un intervallo I non x x contenente l’origine. Quindi si può scrivere:Z 1 dx = ln(x) + c se I ⊆]0, +∞[, allora Zx 1 dx = ln(−x) + c se I ⊆] − ∞, 0[, allora x Z 7.2.2 Proprietà degli integrali indefiniti Teorema 7.2.1. Siano I un intervallo e f : I → R. Se 1. f ammette primitiva su I 2. k è una costante non nulla allora kf ammette primitiva su I e Z kf (x) dx = k Z f (x) dx Dimostrazione Sia Z f (x) dx = F (x) + c Poiché D(kF ) = kD(F ) = kf kF è una primitiva di kf , quindi Z Å kf (x) dx = kF (x) + c1 = k F (x) + c1 ã = k (F (x) + c) = k k 441 Z f (x) dx CAPITOLO 7. CALCOLO INTEGRALE Teorema 7.2.2. Siano I un intervallo e f, g : I → R Se f e g ammettono primitiva su I allora f + g ammette primitiva su I e Z (f (x) + g(x)) dx = Z f (x) dx + Z g(x) dx Dimostrazione Siano Z f (x) dx = F (x) + c1 , Z g(x) dx = G(x) + c2 Poiché D(F + G) = D(F ) + D(G) = f + g F + G è una primitiva di f + g, quindi Z (f (x) + g(x)) dx = F (x) + G(x) + c = F (x) + c1 + G(x) + c2 = 7.2.3 Z f (x) dx + Z g(x) dx Generalizzazione degli integrali indefiniti elementari Teorema 7.2.3. Siano I un intervallo e f, g : I → R Se 1. f è continua su I con primitiva F 2. g è continua su I 3. g è derivabile su I con derivata prima continua su I 4. il codominio di g è incluso in I allora Z f (g(x)) · g 0 (x)dx = F (g(x)) + c Dimostrazione D (F (g(x)) + c) = F 0 (g(x)) · g 0 (x) = f (g(x)) · g 0 (x) Utilizzando il teorema precedente, si possono generalizzare gli integrali indefiniti elementari. Z (f (x))α+1 + c per α 6= −1 (f (x)) f (x) dx = α+1 α 0 442 7.3. METODI DI INTEGRAZIONE DEGLI INTEGRALI INDEFINITI Z f 0 (x) dx = ln(|f (x)|) + c f (x) Z af (x) f 0 (x) dx = Z ef (x) f 0 (x) dx = ef (x) + c Z sin(f (x))f 0 (x) dx = − cos(f (x)) + c Z cos(f (x))f 0 (x) dx = sin(f (x)) + c Z f 0 (x) dx = tan(f (x)) + c cos2 (f (x)) Z f 0 (x) dx = − cot(f (x)) + c sin2 (f (x)) f 0 (x) Z » 1 − (f (x))2 af (x) +c ln(a) dx = arcsin(f (x)) + c Z f 0 (x) dx = arctan(f (x)) + c 1 + (f (x))2 Z sinh(f (x))f 0 (x) dx = cosh(f (x)) + c Z cosh(f (x))f 0 (x) dx = sinh(f (x)) + c Z f 0 (x) dx = tanh(f (x)) + c cosh2 (f (x)) Z f 0 (x) dx = − coth(f (x)) + c sinh2 (f (x)) f 0 (x) Z » (f (x))2 + 1 f 0 (x) Z » (f (x))2 − 1 7.3 7.3.1 Å q Å q dx = settsinh (f (x)) + c = ln f (x) + dx = settcosh (f (x)) + c = ln f (x) + ã (f (x))2 + 1 + c ã (f (x))2 − 1 + c Metodi di integrazione degli integrali indefiniti Integrazione per sostituzione Per calcolare alcuni integrali si può utilizzare il metodo di sostituzione che consiste nel sostituire la variabile di integrazione x con un’altra variabile t funzione di x. Z Data la funzione f : I → R continua su I, per calcolare l’integrale f (x)dx con il metodo di sostituzione: 443 CAPITOLO 7. CALCOLO INTEGRALE 1. si pone x = g(t), dove g : I1 → R è una funzione continua su I1 , con derivata prima continua e sempre diversa da zero su I1 e tale che g(I1 ) ⊆ I 2. tenendo conto che dx = g 0 (t), si ha dx = g 0 (t)dt dt 3. si calcola l’integrale Z f (g(t))g 0 (t)dt, ottenendo F (t) + c 4. si determina l’inversa della funzione g, ottenendo t = g −1 (x) 5. Z f (x)dx = F (g −1 (x)) + c Osservazione A volte è più conveniente porre t = h(x). Osservazione Tutti gli integrali delle funzioni composte che abbiamo considerato si possono calcolare con il metodo di sostituzione. Esempio 7.3.1. Calcolare l’integrale Z sin5 (x) cos(x)dx Si pone t = sin(x) da cui dt = cos(x)dx Si sostituisce nell’integrale: Z t5 dt Si calcola l’integrale: Z t5 dt = t6 +c 6 Si sostituisce la variabile t: Z sin5 (x) cos(x)dx = 1 6 sin (x) + c 6 Osservazione Alcune funzioni irrazionali si possono integrare con il metodo di sostituzione, utilizzando le funzioni iperboliche. 444 7.3. METODI DI INTEGRAZIONE DEGLI INTEGRALI INDEFINITI Esempio 7.3.2. Calcolare l’integrale 1 Z » (x2 − 9)3 dx Si pone x = 3 cosh(t) da cui dx = 3 sinh(t)dt Si sostituisce nell’integrale: 1 Z » 3 27 Z 2 (9 cosh (t) − 9)3 3 sinh(t)dt = 1 1 sinh(t)dt = 3 9 sinh (t) Z 1 Z » 93 sinh6 (t) 3 sinh(t)dt = 1 dt sinh2 (t) Si calcola l’integrale: 1 1 cosh(t) 1 cosh(t) +c − coth(t) + c = − +c=− » 9 9 sinh(t) 9 cosh2 (t) − 1 Si sostituisce la variabile cosh(t) = − 1 9 x 3 2 x −1 9 7.3.2 x : 3 1 x +c=− √ 2 +c 9 x −9 Integrazione per parti Per calcolare l’integrale del prodotto di due funzioni può essere utile il metodo di integrazione per parti. Si può osservare che, in generale, l’integrale del prodotto di due funzioni è diverso dal prodotto degli integrali.R Osserviamo anche che f 0 (x)dx = f (x) + c. Consideriamo il prodotto di due funzioni f, g e calcoliamone la derivata: (f (x)g(x))0 = f 0 (x)g(x) + f (x)g 0 (x) da cui f (x)g 0 (x) = (f (x)g(x))0 − f 0 (x)g(x) 445 CAPITOLO 7. CALCOLO INTEGRALE Integrando entrambi i membri, si ottiene: Z Z 0 f (x)g (x)dx = Z 0 (f (x)g(x)) dx − 0 f (x)g (x)dx = f (x)g(x) − Z Z f 0 (x)g(x)dx f 0 (x)g(x)dx f (x) si chiama fattore finito, g 0 (x) si chiama fattore differenziale. Abbiamo dimostrato la formula di integrazione per parti: l’integrale del prodotto di due funzioni è uguale al prodotto del fattore finito per una primitiva del fattore differenziale diminuito dell’integrale del prodotto della derivata del fattore finito per la primitiva del fattore differenziale. Osservazione R R A volte, per calcolare f (x)dx, si può scrivere f (x) · 1dx e applicare il metodo di integrazione per parti, considerando g 0 (x) = 1 come fattore differenziale. 7.3.3 Integrazione delle funzioni razionali fratte Per integrare le funzioni razionali fratte si trasforma la frazione in una somma di frazioni di cui si conosce l’integrale. Consideriamo una funzione razionale fratta in cui il grado del numeratore è minore di quello del denominatore e il denominatore è di secondo grado: f (x) = ex + f + bx + c ax2 con a ∈ R − {0}, b, c, e, f ∈ R (e, f ) 6= (0, 0) Distinguiamo tre casi. 1. Il denominatore ammette due zeri reali distinti x1 , x2 , cioè si scompone in a(x − x1 )(x − x2 ) ex + f ex + f A B = = + + bx + c a(x − x1 )(x − x2 ) a(x − x1 ) x − x2 ax2 I numeri A e B si determinano applicando il principio di identità dei polinomi. Z ex + f dx = 2 ax + bx + c Z A dx + a(x − x1 ) Z B dx x − x2 2. Il denominatore ammette due zeri reali coincidenti x1 , cioè si scompone in a(x − x1 )2 . ex + f ex + f A B = = + 2 + bx + c a(x − x1 ) a(x − x1 ) (x − x1 )2 ax2 I numeri A e B si determinano applicando il principio di identità dei polinomi. Z ex + f dx = 2 ax + bx + c Z A dx + a(x − x1 ) Z B dx (x − x1 )2 446 7.3. METODI DI INTEGRAZIONE DEGLI INTEGRALI INDEFINITI 3. Il denominatore ammette due zeri complessi coniugati, cioè è irriducibile in R. In questo caso si trasforma la frazione nella somma di due frazioni, aventi come denominatore quello della frazione data, in modo che: • la prima ha come numeratore una costante per la derivata del denominatore • la seconda ha come numeratore una costante Esempio 7.3.3. Calcolare l’integrale Z 5x + 3 dx 2x2 + x + 1 Poiché la derivata del denominatore è 4x + 1 Ç å Ç 12 12 5 5 4x + 4x + 1 − 1 + 5x + 3 4 5 4 5 = = 2 2 2 2x + x + 1 2x + x + 1 2x + x + 1 Ç å = å 5 7 4x + 1 + 5 4x + 1 7 1 4 5 = + = 2 2 2 2x + x + 1 4 2x + x + 1 4 2x + x + 1 Considerata la frazione 2x2 1 +x+1 trasformiamola in modo che il denominatore sia la somma di 1 e del quadrato di un binomio e il numeratore una costante per la derivata del binomio: 2x2 1 = +x+1 1 1 å = Ç å = 1 1 1 1 1 1 − + 2 x2 + x + 2 x2 + x + 2 2 2 16 16 2 Ç 1 1 í = ! = àÇ å2 å 1 7 1 2 x+ + x+ 7 4 16 4 +1 7 8 16 Ç 2 8 7 1 ! = Ç = å å 1 2 1 2 4 4 √ x+ √ √ x+ √ +1 +1 7 7 7 7 √ 8 7 4 4 √ √ √ 2 7 7 4 7 7 = Ç å2 Ç å 7 4 1 4 1 2 √ x+ √ √ x+ √ +1 +1 7 7 7 7 7 8 Ç 447 CAPITOLO 7. CALCOLO INTEGRALE Quindi: Z 5 5x + 3 dx = +x+1 4 Z 2x2 4 √ Z √ 4x + 1 72 7 7 dx + dx = Ç å 2 2x + x + 1 4 7 4 1 2 √ x+ √ +1 7 7 √ Ç å 4 7 1 5 2 ln(2x + x + 1) + arctan √ x + √ + c 4 2 7 7 I metodi visti precedentemente si possono generalizzare nel caso in cui il denominatore sia un polinomio di grado maggiore di 2 e il numeratore di grado inferiore, tenendo conto che: • per ogni zero xi reale con molteplicità 1 si scrive Ai x − xi • per ogni zero xi reale con molteplicità r si scrive B1 Br + ... + x − xi (x − xi )r • per ogni polinomio ax2 + bx + c di secondo grado, che ha due zeri complessi coniugati, Cx + D si scrive 2 ax + bx + c Nel caso in cui il grado del numeratore è maggiore o uguale al grado del denominatore, si effettua la divisione tra il numeratore e il denominatore: R(x) P (x) = Q(x) + S(x) S(x) dove Q(x) è il quoziente, R(x) è il resto e il grado di R(x) è minore di quello di S(x). Quindi, l’integrale della funzione data è uguale alla somma dell’integrale di un polinomio e di una funzione razionale fratta avente numeratore con grado minore di quello del denominatore: Z P (x) dx = S(x) 7.3.4 Z Q(x)dx + Z R(x) dx S(x) Integrali di funzioni con valore assoluto Per calcolare l’integrale di una funzione con valore assoluto si applica la definizione di valore assoluto, tenendo conto che si deve integrare su un intervallo. Esempio 7.3.4. • Calcolare l’integrale Z 1 dx |x| Poiché 1 1 = x1 |x| − x se x > 0 se x < 0 448 7.4. INTEGRALE DEFINITO se I ⊆]0, +∞[, allora Z 1 dx = |x| Z 1 dx = ln(x) + c x se I ⊆] − ∞, 0[, allora Z 1 dx = |x| Z 1 dx = − −x Z 1 dx = − ln(|x|) + c = − ln(−x) + c x • Calcolare l’integrale Z |x|dx Poiché x se x > 0 |x| = −x se x < 0 2 x + c1 se x > 0 |x|dx = 2 2 x − + c2 se x < 0 2 Poiché la primitiva deve essere continua sull’intervallo su cui è definita, imponiamo la continuità in 0: Z lim Ç 2 x 2 x→0+ å + c1 = c1 x2 lim− − + c2 = c2 x→0 2 La primitiva è continua in 0 se c1 = c2 = c, quindi å Ç Z 7.4 2 x +c se x > 0 |x|dx = 2 2 x − + c se x < 0 2 Integrale definito Definizione 7.4.1 (Partizione). Dato un intervallo [a, b], si dice partizione di [a, b] un insieme di punti P = {x0 , x1 , . . . , xn−1 , xn } tale che a = x0 < x1 < . . . < xn1 < xn = b La partizione P = {x0 , x1 , . . . , xn−1 , xn } genera n intervalli di ampiezza ∆xi = xi − xi−1 per i = 1, . . . , n. 449 CAPITOLO 7. CALCOLO INTEGRALE Definizione 7.4.2 (Integrale inferiore e superiore). Date una funzione f : [a, b] → R limitata su [a, b] e una partizione P = {x0 , x1 , · · · , xn−1 , xn } di [a, b] siano: li = inf x∈[xi−1 ,xi ] Li = f (x) sup f (x) x∈[xi−1 ,xi ] per i = 1, . . . , n. Poniamo: s(P, f ) = n X li ∆xi i=1 S(P, f ) = n X Li ∆xi i=1 Z b a Z b a f (x)dx = sup s(f, P) f (x)dx = inf S(f, P) I numeri reali sup s(f, P) e inf S(f, P) sono calcolati al variare di tutte le possibili partizioni P di [a, b] e si dicono rispettivamente integrale inferiore di f su [a, b] e integrale superiore di f su [a, b]. y x O x0 a x1 x2 x3 x4 x5 Figura 7.1: s(P, f ) 450 x6 b 7.4. INTEGRALE DEFINITO y x O x0 a x1 x2 x3 x4 x5 x6 b Figura 7.2: S(P, f ) Gli integrali superiore e inferiore esistono. Infatti, poiché f è limitata su [a, b], esistono m, M ∈ R tali che m 6 f (x) 6 M ∀x ∈ [a, b] quindi, per ogni partizione P m(b − a) 6 s(P, f ) 6 S(P, f ) 6 M (b − a) Al variare della partizione P, i numeri s(P, f ) formano un insieme non vuoto e superioremente limitato che quindi ammette estremo superiore. Al variare della partizione P, i numeri S(P, f ) formano un insieme non vuoto e inferiormente limitato che quindi ammette estremo inferiore. Definizione 7.4.3 (Funzione integrabile secondo Riemann). Una funzione f : [a, b] → R limitata su [a, b] si dice integrabile secondo Riemann su [a, b], se e solo se l’integrale inferiore e superiore coincidono; il valore comune dei due integrali si dice integrale definito (o integrale) di f su [a, b] e si indica con Z b f (x)dx a L’insieme delle funzioni integrabili secondo Riemann su [a, b] si indica con R([a, b]) Teorema 7.4.1. Sia f : [a, b] → R Se f è continua su [a, b] allora f ∈ R([a, b]) Teorema 7.4.2. Sia f : [a, b] → R 451 CAPITOLO 7. CALCOLO INTEGRALE Se f è monotona su [a, b] allora f ∈ R([a, b]) Teorema 7.4.3. Sia f : [a, b] → R Se 1. f è limitata su [a, b] 2. f ammette al più un numero finito di punti di discontinuità su [a, b] allora f ∈ R([a, b]) Osservazione Una funzione limitata su un intervallo chiuso e limitato può ammettere solo punti di discontinuità di prima o terza specie. 7.4.1 Proprietà dell’integrale definito Teorema 7.4.4. Siano f, g : [a, b] → R Se f, g ∈ R([a, b]) allora f + g ∈ R([a, b]) e Z b (f (x) + g(x))dx = a Z b f (x)dx + a Z b g(x)dx a Teorema 7.4.5. Siano λ ∈ R e f : [a, b] → R Se f ∈ R([a, b]) allora λf ∈ R([a, b]) e Z b a λf (x)dx = λ Z b f (x)dx a 452 7.4. INTEGRALE DEFINITO Teorema 7.4.6. Siano f, g : [a, b] → R Se f, g ∈ R([a, b]) allora f · g ∈ R([a, b]) Teorema 7.4.7. Sia f : [a, b] → R Se f ∈ R([a, b]) allora |f | ∈ R([a, b]) e Z b a Z b f (x)dx 6 |f (x)|dx a Teorema 7.4.8. Siano f, g : [a, b] → R Se 1. f, g ∈ R([a, b]) 2. f (x) 6 g(x) ∀x ∈ [a, b] allora Z b a f (x)dx 6 Z b g(x)dx a Osservazione In particolare, se 1. f ∈ R([a, b]) 2. f (x) > 0 ∀x ∈ [a, b] allora Z b a f (x)dx > 0 Teorema 7.4.9. Sia f : [a, b] → R Se 1. f ∈ R([a, b]) 453 CAPITOLO 7. CALCOLO INTEGRALE 2. [c, d] ⊆ [a, b] allora f ∈ R([c, d]) Teorema 7.4.10. Sia f : [a, b] → R Se 1. f ∈ R([a, b]) 2. a < c < b allora Z b f (x)dx = a Z c f (x)dx + Z b a f (x)dx c Definizione 7.4.4. Se f ∈ R([a, b]) si pone Z a f (x)dx = − Z b f (x)dx a b Definizione 7.4.5. Se f ∈ R([a, b]) si pone Z a f (x)dx = 0 a Teorema 7.4.11. Sia f : [a, b] → R Se f ∈ R([a, b]) allora Z β f (x)dx = α 7.4.2 Z γ f (x)dx + α Z β f (x)dx ∀α, β, γ ∈ [a, b] γ Funzione integrale Definizione 7.4.6 (Funzione integrale). Data f ∈ R([a, b]), sia F : [a, b] → R la funzione definita da F (x) = Z x f (t)dt a La funzione F si dice funzione integrale di f . 454 7.4. INTEGRALE DEFINITO Osservazione La definizione è ben data perché, ∀x ∈ [a, b], [a, x] ⊆ [a, b] e quindi f ∈ R([a, x]). Osservazione F (a) = Z a f (t)dt = 0 a F (b) = Z b f (t)dt a Teorema 7.4.12 (Teorema fondamentale del calcolo integrale o di Torricelli Barrow). Sia f : [a, b] → R Se f è continua su [a, b] allora F : [a, b] → R definita da F (x) = Z x f (t)dt è derivabile su [a, b] e a F 0 (x) = f (x) ∀x ∈ [a, b] Osservazione Il teorema fondamentale del calcolo integrale si può generalizzare: Teorema 7.4.13. Siano f : [a, b] → R e g : D → [a, b] Se 1. f è continua su [a, b] 2. g è derivabile su D allora F :D→R definita da F (x) = Z g(x) f (t)dt è derivabile su D e a F 0 (x) = f (g(x)) · g 0 (x) ∀x ∈ D Esempio 7.4.1. Determinare la derivata della funzione F (x) = Z x2 2 e−t dt 1 su I = [1, 2] 455 CAPITOLO 7. CALCOLO INTEGRALE Poiché 1 6 x2 6 4∀x ∈ [1, 2] g(x) = x2 è derivabile su [1, 2] f (x) = e−x 2 è continua su [1, 4], la funzione F è derivabile su [1, 2] e F 0 (x) = e−(x 2 )2 2x = 2xe−x 4 Teorema 7.4.14 (Corollario del teorema fondamentale del calcolo integrale). Sia f : [a, b] → R Se 1. f è continua su [a, b] 2. F : [a, b] → R è una primitiva di f su [a, b] allora Z b f (x)dx = F (b) − F (a) a Il risultato ottenuto non dipende dalla primitiva scelta. Infatti, se G è un’altra primitiva di f su [a, b], allora G(x) = F (x) + c e G(b) − G(a) = F (b) + c − F (a) − c = F (b) − F (a) Il teorema si può applicare anche quando a > b. Utilizzeremo questo teorema per calcolare gli integrali definiti. Z b f (x)dx = F (b) − F (a) si può anche scrivere come L’uguaglianza a 7.5 Z b a f (x)dx = [F (x)]ba . Metodi di integrazione degli integrali definiti 7.5.1 Integrazione per sostituzione Il metodo di integrazione per sostituzione si può applicare anche per il calcolo diZ integrali b definiti. Data la funzione f : [a, b] → R continua su [a, b], per calcolare l’integrale f (x)dx a con il metodo di sostituzione: 1. si pone x = g(t), dove g : [c, d] → R è una funzione continua su [c, d], con derivata prima continua e sempre diversa da zero su [c, d] e tale che g([c, d]) ⊆ [a, b] 2. si determina l’inversa della funzione g, ottenendo t = g −1 (x) 3. Z b a f (x)dx = Z g−1 (b) g −1 (a) f (g(t))g 0 (t)dt 456 7.6. VALOR MEDIO 7.5.2 Integrazione per parti Il metodo di integrazione per parti si può applicare anche per il calcolo di integrali definiti: Z b 0 f (x)g (x)dx = a 7.6 [f (x)g(x)]ba − Z b f 0 (x)g(x)dx a Valor medio Definizione 7.6.1. Data f ∈ R([a, b]) si dice valor medio di f su [a, b] il numero reale 1 Mf ([a, b]) = b−a Z b f (x)dx a Teorema 7.6.1 (Teorema del valor medio). Sia f : [a, b] → R Se f è continua su [a, b] allora ∃c ∈ [a, b]/f (c) = Mf ([a, b]) 7.7 Significato geometrico dell’integrale definito Se f ∈ R([a, b]) e f (x) > 0 ∀x ∈ [a, b], allora Z b f (x)dx è l’area della regione di piano a delimitata dal grafico della funzione f , dall’asse x e dalle rette di equazione x = a e x = b. y x O a b Figura 7.3: area 7.8 Aree Il significato geometrico dell’integrale definito si può utilizzare per calcolare l’area di regioni di piano delimitate da curve. 457 CAPITOLO 7. CALCOLO INTEGRALE Per calcolare l’area di una regione di piano non intrecciata delimitata dal grafico di due funzioni e da due segmenti paralleli all’asse y, è sufficiente partire da un punto qualunque del contorno e, percorrendolo in senso orario, sommare gli integrali definiti delle varie funzioni. 7.9 Volumi 7.9.1 Volumi di solidi di rotazione attorno all’asse x Data una funzione f : [a, b] → R, consideriamo il solido che si ottiene dalla rotazione attorno all’asse x della regione di piano delimitata dal grafico di f , dall’asse x, dalle rette x = a e x = b. Il volume di tale solido si può immaginare come la somma di infinite aree di cerchi aventi centro sull’asse x e raggio f (x) con x ∈ [a, b]: l’area di ciascun cerchio è π(f (x))2 . Il volume è quindi uguale all’integrale definito tra a e b di π(f (x))2 ; in simboli V =π Z b (f (x))2 dx a 7.9.2 Volumi di solidi di rotazione attorno all’asse y Data una funzione f : [a, b] → [c, d] invertibile con a > 0, consideriamo il solido che si ottiene dalla rotazione attorno all’asse y della regione di piano delimitata dal grafico di f , dall’asse y, dalle rette y = c e y = d Sia f −1 : [c, d] → [a, b] la funzione inversa di f . Il volume di tale solido si può immaginare come la somma di infinite aree di cerchi aventi centro sull’asse y e raggio f −1 (x) con x ∈ [c, d]: l’area di ciascun cerchio è π(f −1 (x))2 . Il volume è quindi uguale all’integrale definito tra c e d di π(f −1 (x))2 ; in simboli V =π Z d (f −1 (x))2 dx c Osservazione I volumi di solidi di rotazione attorno all’asse y si possono vedere come somma di infinite aree laterali di cilindri. Esempio 7.9.1. Calcolare il volume del solido ottenuto dalla rotazione attorno all’asse y della regione di piano delimitata dal grafico di f (x) = x2 , dall’asse y, dalle rette y = f (0) e y = f (4) Il volume del solido si può immaginare come somma di infinite aree laterali di cilindri aventi raggio x, altezza f (4) − f (x), con x ∈ [0, 4] Poiché l’area laterale di ciascun cilindro è 2πx (f (4) − f (x)) si ha V = 2π Z 4 0 2 x(16−x )dx = 2π Z 4 0 x4 (16x−x )dx = 2π 8x − 4 3 ñ 2 458 ô4 = 2π (128 − 64) = 2π64 = 128π 0 7.10. INTEGRALI IMPROPRI 7.9.3 Volumi di solidi data la base e le sezioni Consideriamo un esempio. Esempio 7.9.2. Data la funzione f (x) = −x2 + 2x, la regione finita di piano delimitato dal grafico di f e dall’asse x è la base di un solido S, le cui sezioni, ottenute con piani perpendicolari all’asse x, sono tutte quadrati. Calcoliamo il volume di S. Determiniamo le ascisse dell’intersezione del grafico di f con l’asse x: −x2 + 2x = 0 x=0∨x=2 Poiché f (x) > 0∀x ∈ [0, 2] il volume di tale solido si può immaginare come la somma di infinite aree di quadrati aventi lato f (x) con x ∈ [0, 2]: l’area di ciascun quadrato è (f (x))2 . Il volume è quindi uguale all’integrale definito tra 0 e 2 di (f (x))2 ; in simboli V = Z 2 (f (x))2 dx 0 V = Z 2 2 2 (−x + 2x) dx = Z 2 (x4 − 4x3 + 4x2 )dx = 0 0 ñ 5 x 4 − x4 + x3 5 3 7.10 ô2 = 0 32 16 32 − 16 + = 5 3 15 Integrali impropri Nella definizione di integrale secondo Reimann abbiamo considerato funzioni limitate definite su un intervallo chiuso e limitato. L’integrale si può generalizzare eliminando l’ipotesi di limitatezza della funzione o dell’intervallo. 7.10.1 Funzione illimitata su intervallo limitato Sia f : [a, b[→ R una funzione illimitata su [a, b[ e integrabile secondo Reimann su ogni intervallo [a, c], con a < c < b. Se esiste lim c→b− Z c f (x)dx a allora si pone Z b a f (x)dx = lim− L’integrale c→b Z b Z c f (x)dx a f (x)dx si dice integrale improprio di f su [a, b[. a Se il limite è finito, l’integrale improprio si dice convergente; se il limite è ±∞, l’integrale improprio si dice divergente; se il limite non esiste, l’integrale improprio non esiste. 459 CAPITOLO 7. CALCOLO INTEGRALE Sia f :]a, b] → R una funzione illimitata su ]a, b] e integrabile secondo Reimann su ogni intervallo [c, b], con a < c < b. Se esiste lim+ Z b c→a f (x)dx c allora si pone Z b a f (x)dx = lim+ Z b c→a 7.10.2 f (x)dx c Funzione limitata su intervallo illimitato Sia f : [a, +∞[→ R una funzione limitata su [a, +∞[ e integrabile secondo Reimann su ogni intervallo [a, c], con c > a. Se esiste Z c lim c→+∞ a f (x)dx allora si pone Z +∞ f (x)dx = lim Z c c→+∞ a a L’integrale Z +∞ f (x)dx f (x)dx si dice integrale improprio di f su [a, +∞[. a Se il limite è finito l’integrale improprio si dice convergente; se il limite è ±∞ l’integrale improprio si dice divergente; se il limite non esiste l’integrale improprio non esiste. Sia f :] − ∞, b] → R una funzione limitata su ] − ∞, b] e integrabile secondo Reimann su ogni intervallo [c, b], con c < b. Se esiste Z b lim c→−∞ c f (x)dx allora si pone Z b f (x)dx = lim −∞ Z b c→−∞ c f (x)dx Sia f : R → R una funzione limitata su R e integrabile secondo Reimann su ogni intervallo [α, β]. Si pone Z +∞ −∞ f (x)dx = Z a −∞ f (x)dx + Z +∞ f (x)dx a La definizione data non dipende dalla scelta di a. 460 Capitolo 8 Calcolo numerico 8.1 Metodi numerici per la risoluzione di equazioni La determinazione di valori approssimati delle soluzioni di un’equazione si effettua in due passi: 1. separazione delle soluzioni 2. calcolo di un valore approssimato di una soluzione 8.1.1 Separazione delle soluzioni La separazione delle soluzioni consiste nel determinare gli intervalli che contengono un’unica soluzione. Per effettuare la separazione delle soluzioni di un’equazione f (x) = 0 si può tracciare il grafico della funzione f oppure utilizzare il metodo grafico per la risoluzione di un’equazione, oppure applicare teoremi di esistenza e di unicità della soluzione. Riprendiamo il teorema di esistenza degli zeri. Teorema 8.1.1 (Teorema di esistenza degli zeri). Sia f : [a, b] → R Se 1. f è continua su [a, b] 2. f (a)f (b) < 0 allora ∃x0 ∈]a, b[/f (x0 ) = 0 Teorema 8.1.2 (Teorema di esistenza e unicità degli zeri). Sia f : [a, b] → R Se 1. f è continua su [a, b] 461 CAPITOLO 8. CALCOLO NUMERICO 2. f (a)f (b) < 0 3. f è monotona in senso stretto su [a, b] allora ∃!x0 ∈]a, b[/f (x0 ) = 0 Teorema 8.1.3 (Secondo teorema di esistenza e unicità degli zeri). Sia f : [a, b] → R Se 1. f è continua su [a, b] 2. f è derivabile due volte su [a, b] 3. f (a)f (b) < 0 4. f 00 (x) > 0 o f 00 (x) < 0 ∀x ∈]a, b[ allora ∃!x0 ∈]a, b[/f (x0 ) = 0 8.1.2 Calcolo di un valore approssimato Stabilita l’esistenza di una soluzione in un intervallo, si possono applicare diversi metodi numerici per determinare valori della soluzione con l’approssimazione desiderata. 8.1.3 Metodo di bisezione Data l’equazione f (x) = 0, sia [a, b] un intervallo tale che: 1. f è definita e continua su [a, b] 2. f (a)f (b) < 0 Per determinare, con il metodo di bisezione, il valore approssimato della soluzione x0 dell’equazione f (x) = 0 in [a, b]: 1. si pone a1 = a, b1 = b, c1 = a1 + b 1 : 2 • se f (c1 ) = 0, allora c1 è la soluzione dell’equazione a2 + b 2 2 a2 + b 2 • se f (c1 ) · f (a1 ) < 0, allora si pone a2 = a1 , b2 = c1 , c2 = 2 • se f (c1 ) · f (a1 ) > 0, allora si pone a2 = c1 , b2 = b1 , c2 = 2. si ripete il procedimento per l’intervallo [a2 , b2 ] e così via fino ad ottenere l’intervallo [an , bn ] 462 8.1. METODI NUMERICI PER LA RISOLUZIONE DI EQUAZIONI I valori a1 , . . . , an sono approssimazioni per difetto della soluzione x0 ; i valori b1 , . . . , bn sono approssimazioni per eccesso della soluzione x0 . Se si vuole ottenere la soluzione approssimata a meno di ε, si deve avere bn − an < ε; poiché b−a b−a bn − an = n−1 , si deve avere n−1 < ε. 2 2 Dall’ultima si può ricavare il valore di n che fornisce la precisione desiderata: å Ç relazione b−a + 1. n > log2 ε In questo caso ogni valore apparternente all’intervallo [an , bn ] approssima la soluzione a meno di ε. Se si desidera un valore approssimato della soluzione con un numero n di cifre decimali esatte, è sufficiente fermarsi quando nei due estremi dell’intervallo la cifra decimale ennesima è la stessa. Esempio 8.1.1. Data l’equazione x3 − 2x − 2 = 0 determinare le soluzioni con una approssimazione a meno di 10−3 . Separazione delle radici Per separare le radici, possiamo rappresentare graficamente la funzione f (x) = x3 − 2x − 2, oppure utilizzare il metodo grafico per la risoluzione di un’equazione ottenendo che l’equazione data ha una sola soluzione α ∈ [1, 2]. Calcolo del valore approssimato Controlliamo se la funzione f (x) = x3 − 2x − 2 soddisfa le ipotesi del metodo di bisezione nell’intervallo [1, 2]. Poiché 1. f è continua su [1, 2] 2. f (1) = −3 < 0 3. f (2) = 2 > 0 possiamo applicare il metodo di bisezione. n 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 an 1 1,5 1,75 1,75 1,75 1,75 1,7657 1,7657 1,7657 1,7677 1,7687 f (an ) − − − − − − − − − − − bn f (bn ) cn = 2 2 2 1,875 1,8125 1,7813 1,7813 1,7735 1,7696 1,7696 1,7696 463 + + + + + + + + + + + an + bn f (cn ) 2 1,5 − 1,75 − 1,875 + 1,8125 + 1,7813 + 1,7657 − 1,7735 + 1,7696 + 1,7677 − 1,7687 − 1,7691 − b n − an 1 0,5 0,25 0,125 0,0625 0,0312 0,0156 0,0078 0,0039 0,002 0,001 CAPITOLO 8. CALCOLO NUMERICO Il valore approssimato della soluzione a meno di 10−3 appartiene all’intervallo [1.7687, 1.7696]. Per ottenere il valore della soluzione con 3 cifre decimali esatte, si determina ancora una riga della tabella: n an 12 f (an ) − 1,7691 bn 1,7696 f (bn ) cn = + an + b n f (cn ) 2 1,7693 + b n − an 0,0005 Il valore approssimato della soluzione con 3 cifre decimali esatte è 1.769. 8.1.4 Metodo di Newton Data l’equazione f (x) = 0, sia [a, b] un intervallo tale che 1. f è definita, continua e derivabile due volte su [a, b] 2. f (a)f (b) < 0 3. f 00 (x) > 0 ∨ f 00 (x) < 0 ∀x ∈ [a, b] Per determinare, con il metodo di Newton, il valore approssimato dell’unica soluzione x0 dell’equazione f (x) = 0 in [a, b]: 1. si considera la tangente al grafico di f nel punto avente ascissa nell’estremo dell’intervallo in cui la funzione e la sua derivata seconda hanno lo stesso segno. Se, per esempio, l’estremo è a, l’equazione della tangente è: y − f (a) = f 0 (a)(x − a) 2. si determina l’ascissa dell’intersezione della tangente con l’asse x, ottenendo x1 = a − f (a) f 0 (a) 3. si ripete il procedimento con l’intervallo [x1 , b] e così via, ottenendo xn+1 = xn − f (xn ) f 0 (xn ) Se l’estremo scelto è a, allora i valori x1 , . . . , xn+1 sono approssimazioni per difetto della soluzione x0 ; se l’estremo scelto è b, allora i valori x1 , . . . , xn+1 sono approssimazioni per eccesso della soluzione x0 . Se si vuole ottenere la soluzione con una approssimazione a meno di ε, si può porre |xn+1 − xn | < ε; in alcuni casi (ad esempio funzioni con derivata in a molto maggiore di 1) questo criterio di arresto può fallire. 464 8.2. METODI NUMERICI PER IL CALCOLO DI INTEGRALI Esempio 8.1.2. Data l’equazione x3 − 2x − 2 = 0, determinare le soluzioni approssimate a meno di 10−3 . Abbiamo visto che l’equazione ha una sola soluzione α ∈ [1, 2]. Calcolo del valore approssimato Controlliamo se la funzione f (x) = x3 − 2x − 2 soddisfa le ipotesi del metodo di Newton nell’intervallo [1, 2]. Poiché 1. f è definita, continua e derivabile due volte su [1, 2] 2. f (1)f (2) < 0 3. f 00 (x) = 6x > 0 ∀x ∈ [1, 2] possiamo applicare il metodo di Newton. Calcoliamo la derivata prima e la derivata seconda: f 0 (x) = 3x2 − 2 f 00 (x) = 6x Poiché f 00 (x) > 0 e f (2) = 2 > 0, scegliamo 2 come estremo di partenza: n xn f (xn ) 1 2 3 2 1,8 1,7699 2 0,232 0,0048 f 0 (xn ) 10 7,72 7,398 xn+1 = xn − f (xn ) |xn+1 − xn | f 0 (xn ) 1,8 1,7699 1,7692 0,2 0,03 0,0006 Il valore approssimato della soluzione a meno di 10−3 è 1.7692. 8.2 Metodi numerici per il calcolo di integrali Per calcolare Z b f (x)dx quando non si conosce una primitiva di f , si possono utilizzare dei a metodi numerici che forniscono un valore approssimato dell’integrale. 8.2.1 Metodo dei rettangoli Per calcolare Z b f (x)dx utilizzando il metodo dei rettangoli: a 1. si considera una partizione P = {x0 , x1 , . . . , xn−1 , xn } di [a, b] tale che gli intervalli che essa genera abbiano la stessa ampiezza, cioè ∆xi = b−a per i = 1, . . . , n n 465 CAPITOLO 8. CALCOLO NUMERICO 2. si calcolano i valori f (xi ) che la funzione assume nei vari punti della partizione 3. si calcola S1 = n−1 X i=0 X b − a n−1 b−a f (xi ) = f (xi ) n n i=0 oppure S2 = n−1 X i=0 X b − a n−1 b−a f (xi+1 ) = f (xi+1 ) n n i=0 Possiamo osservare che, se f è non negativa su [a, b], allora: S1 è la somma delle aree dei rettangoli che hanno come base l’ampiezza degli intervalli [xi , xi+1 ] e come altezza il valore della funzione nell’estremo sinistro dell’intervallo; S2 è la somma delle aree dei rettangoli che hanno come base l’ampiezza degli intervalli [xi , xi+1 ] e come altezza il valore della funzione nell’estremo destro. y x O x0 x1 x2 x3 xn−1 xn Figura 8.1: S1 466 8.2. METODI NUMERICI PER IL CALCOLO DI INTEGRALI y x O x0 x1 x2 x3 xn−1 xn Figura 8.2: S2 Poiché lim S1 = lim S2 = n→+∞ n→+∞ Z b a f (x)dx, S1 e S2 approssimano l’integrale. Esempio 8.2.1. Calcolare Z 2 2 e−x dx 0 Utilizziamo il metodo dei rettangoli con n = 10. L’ampiezza di ciascun intervallo è ∆xi = i 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 2−0 = 0.2 10 xi 0 0,2 0,4 0,6 0,8 1 1,2 1,4 1,6 1,8 2 f (xi ) 1 0,960789 0,852144 0,697676 0,527292 0,367879 0,236928 0,140858 0,077305 0,039164 0,018316 S1 = 0, 2(f (x0 ) + . . . + f (x9 )) = 0, 2 · 4, 90003 = 0, 980007 S2 = 0, 2(f (x1 ) + . . . + f (x10 )) = 0, 2 · 3, 91835 = 0, 783670 467 CAPITOLO 8. CALCOLO NUMERICO 8.2.2 Metodo dei trapezi Z b Per calcolare f (x)dx utilizzando il metodo dei trapezi: a 1. si considera una partizione P = {x0 , x1 , . . . , xn−1 , xn } di [a, b] tale che gli intervalli che essa genera abbiano la stessa ampiezza, cioè ∆xi = b−a per i = 1, . . . , n n 2. si calcolano i valori f (xi ) che la funzione assume nei vari punti della partizione 3. si calcola S= n−1 X i=0 b−a n X f (xi ) + f (xi+1 ) b − a f (xi ) + f (xi+1 ) b − a n−1 = = n 2 n i=0 2 X f (x0 ) n−1 f (xn ) + f (xi ) + 2 2 i=1 ! Possiamo osservare che, se f è non negativa su [a, b], S è la somma delle aree dei trapezi che hanno come altezza l’ampiezza degli intervalli [xi , xi+1 ] e come basi i valori della funzione negli estremi dell’intervallo. y x O x0 x1 x2 x3 xn−1xn Figura 8.3: metodo dei trapezi Poiché lim S = Z b n→+∞ f (x)dx, S approssima l’integrale. a Esempio 8.2.2. Calcolare Z 2 2 e−x dx 0 Utilizziamo il metodo dei trapezi con n = 10. L’ampiezza di ciascun intervallo è ∆xi = 2−0 = 0.2 10 468 8.2. METODI NUMERICI PER IL CALCOLO DI INTEGRALI i 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 xi 0 0,2 0,4 0,6 0,8 1 1,2 1,4 1,6 1,8 2 f (xi ) 1 0,960789 0,852144 0,697676 0,527292 0,367879 0,236928 0,140858 0,077305 0,039164 0,018316 Ç f (x10 ) f (x0 ) + f (x1 ) + . . . + f (x9 ) + S = 0, 2 2 2 469 å = 0, 2 · 4, 409195 = 0, 881839 Capitolo 9 Calcolo combinatorio 9.1 Prodotto Cartesiano Definizione 9.1.1 (Prodotto Cartesiano). Si dice prodotto cartesiano di due insiemi A e B l’insieme A × B delle coppie ordinate con il primo elemento appartenente ad A e il secondo appartenente a B. In simboli: A × B = {(a, b)/a ∈ A ∧ b ∈ B} Osservazione A×∅=∅×A=∅×∅=∅ Nel prodotto cartesiano i due insiemi possono anche coincidere; in questo caso A × A viene anche indicato con A2 . Nel caso di tre insiemi, gli elementi di A × B × C sono delle triple ordinate il cui primo elemento appartiene ad A, il secondo a B e il terzo a C. Il prodotto cartesiano di n insiemi coincidenti si dice potenza n-esima cartesiana di A, si indica con An ed è formato dalle ennuple ordinate di elementi di A. Per determinare tutte le ennuple di un prodotto cartesiano si può utilizzare un diagramma ad albero. L’albero si costriusce dall’alto verso il basso. Dal primo nodo si disegna un ramo per ogni elemento del primo insieme; dai nodi ottenuti si disegna un ramo per ogni elemento del secondo insieme e così via. Per determinare le ennuple è sufficiente seguire i rami. Dato un insieme A, indichiamo con |A| il numero di elementi di A. Teorema 9.1.1. Se |A| = m e |B| = n, allora |A × B| = m · n Teorema 9.1.2. Se A ha m elementi, allora An ha mn elementi. 470 9.2. DISPOSIZIONI SEMPLICI 9.2 Disposizioni semplici Definizione 9.2.1 (Disposizioni semplici). Si dicono disposizioni semplici o disposizioni i gruppi ordinati di k elementi distinti che si possono formare con n elementi distinti (1 ≤ k ≤ n), in modo che ogni gruppo differisca o per l’ordine o per almeno un elemento. Il numero delle disposizioni semplici di n elementi a gruppi di k si indica con Dn,k . Teorema 9.2.1 (Numero disposizione semplici). Il numero delle disposizioni semplici di n elementi a gruppi di k è uguale al prodotto di k numeri naturali consecutivi decrescenti, il primo dei quali è n: Dn,k = n(n − 1) · . . . · (n − k + 1) Dimostrazione Consideriamo n elementi e k posti allineati. Al primo posto possiamo collocare uno qualsiasi degli n elementi, al secondo posto possiamo collocare uno qualsiasi degli n − 1 elementi rimasti, e procedendo così, al k-esimo posto possiamo collocare uno qualsiasi degli n − k + 1 elementi rimasti. Quindi Dn,k = n(n − 1) · . . . · (n − k + 1) 9.3 Disposizioni con ripetizione Definizione 9.3.1 (Disposizioni con ripetizione). Si dicono disposizioni con ripetizione i gruppi ordinati di k elementi, non necessariamente distinti, che si possono formare con n elementi distinti, in modo che ogni gruppo differisca o per l’ordine o per almeno un elemento o per il numero di volte che uno stesso elemento è ripetuto. r Il numero delle disposizioni con ripetizione di n elementi a gruppi di k si indica con Dn,k . Teorema 9.3.1 (Numero disposizione con ripetizione). Il numero delle disposizioni con ripetizione di n elementi a gruppi di k è uguale a nk , cioè: r Dn,k = nk Dimostrazione Sia A = {a1 , . . . .an } un insieme costituito da n elementi distinti. Il numero delle disposizioni con ripetizione di n elementi presi a gruppi di k è il numero di elementi di Ak , cioè r Dn,k = nk 471 CAPITOLO 9. CALCOLO COMBINATORIO 9.4 Permutazioni Definizione 9.4.1 (Permutazioni). Si dicono permutazioni i gruppi ordinati che si possono formare con n elementi distinti, in modo che ogni gruppo differisca per l’ordine. Le permutazioni di n elementi sono le disposizioni semplici di n elementi a gruppi di n. Il numero delle permutazioni di n elementi si indica con Pn . Teorema 9.4.1 (Numero Permutazioni). Il numero delle permutazioni di n elementi è n fattoriale, cioè: Pn = n! Dimostrazione Pn = Dn,n = n(n − 1) · . . . · (n − n + 1) = n(n − 1) · . . . · 1 = n! 9.5 Permutazioni con elementi ripetuti Definizione 9.5.1 (Permutazioni con elementi ripetuti). Si dicono permutazioni con elementi ripetuti i gruppi ordinati che si possono formare con n elementi con almeno due uguali in modo che ogni gruppo differisca per l’ordine. Il numero delle permutazioni con elementi ripetuti di n elementi di cui n1 uguali, . . ., nr r . uguali, si indica con Pn,n 1 ,...,nr Teorema 9.5.1 (Numero delle permutazioni con elementi ripetuti). Il numero delle permutazioni di n elementi di cui n1 uguali, . . ., nr uguali è dato dal rapporto tra tutte le permutazioni possibili e il prodotto delle possibili permutazioni degli oggetti che si ripetono: r Pn,n = 1 ,...,nr 9.6 n! n1 ! · . . . · nr ! Combinazioni semplici Definizione 9.6.1 (Combinazioni semplici). Si dicono combinazioni semplici o combinazioni i gruppi di k elementi distinti, che si possono formare con n elementi distinti (1 ≤ k ≤ n) in modo che ogni gruppo differisca per almeno un elemento. Il numero delle combinazioni semplici di n elementi a gruppi di k si indica con Cn,k . Teorema 9.6.1 (Numero combinazioni semplici). Il numero delle combinazioni semplici di n elementi a gruppi di k è uguale al rapporto tra le disposizioni semplici di n elementi a gruppi di k e le permutazioni di k elementi: Cn,k = Dn,k n(n − 1) · . . . · (n − k + 1) = Pk k! 472 9.7. COEFFICIENTI BINOMIALI E LORO PROPRIETÀ Dimostrazione Le disposizioni semplici di n elementi a gruppi di k si possono ottenere dalle combinazioni semplici permutando i k elementi di ogni combinazione: Dn,k = Cn,k Pk quindi Cn,k = 9.7 Dn,k Pk Coefficienti binomiali e loro proprietà Definizione 9.7.1 (Coefficiente binomiale). Dati n.k ∈ N con k ≤ n, si dice coefficiente binomiale il numero ! n! n = k!(n − k)! k ! n si legge n su k. k Teorema 9.7.1 (Proprietà del coefficiente binomiale). 1. se 1 ≤ k ≤ n, allora Cn,k n = k ! ! 2. n n = k n−k ! 3. Formula di Stifel. Se k ≤ n − 1, allora ! ! n n+1 n + = k k+1 k+1 ! Dimostrazione 1. Cn,k = n(n − 1) · . . . · (n − k + 1) Dn,k = = Pk k! ! n(n − 1) · . . . · (n − k + 1)(n − k)! n! n = = k!(n − k)! k!(n − k)! k 473 CAPITOLO 9. CALCOLO COMBINATORIO ! 2. n n! = k k!(n − k)! ! n n! n! = = n−k (n − k)!(n − (n − k))! (n − k)!k! Quindi ! ! ! ! n n = k n−k 3. n n n! n! + = + = k k+1 k!(n − k)! (k + 1)!(n − k − 1)! n! n! + = k!(n − k)(n − k − 1)! (k + 1)k!(n − k − 1)! n!(k + 1) + n!(n − k) n!(k + 1 + n − k) = = (k + 1)k!(n − k)(n − k − 1)! (k + 1)k!(n − k)(n − k − 1)! n!(n + 1) = (k + 1)k!(n − k)(n − k − 1)! (n + 1)! n+1 = (k + 1)!(n − k)! k+1 ! 474 Capitolo 10 Probabilità 10.1 Eventi Definizione 10.1.1 (Fenomeni casuali). Un fenomeno si dice casuale se è non deterministico, cioè se il suo esito non è determinabile a priori. Si dice prova o esperimento la singola esecuzione di un fenomeno casuale Definizione 10.1.2 (Spazio degli eventi). Si dice spazio degli eventi o spazio campione di un fenomeno casuale l’insieme di tutti i possibili esiti del fenomeno casuale. Lo spazio degli eventi si indica in genere con S o con Ω. Definizione 10.1.3 (Evento). Si dice evento un sottoinsieme dello spazio degli eventi. Definizione 10.1.4 (Evento elementare). Si dice evento elementare un evento costituito da un un solo elemento. Definizione 10.1.5 (Evento certo). Si dice evento certo lo spazio campione. Definizione 10.1.6 (Evento impossibile). Si dice evento impossibile l’insieme vuoto Siano A e B due eventi legati allo stesso fenomeno casuale. Definizione 10.1.7 (Evento somma). Si dice evento somma di A e B l’evento che risulta dal verificarsi di almeno uno degli eventi A o B e si indica con A ∪ B. Definizione 10.1.8 (Evento prodotto). Si dice evento prodotto di A e B l’evento che risulta dal verificarsi di entrambi gli eventi A e B e si indica con A ∩ B. 475 CAPITOLO 10. PROBABILITÀ Definizione 10.1.9 (Evento complementare). Si dice evento complementare di A l’evento che si verifica quando non si verifica A e si indica con A. Vediamo alcune proprietà degli eventi che derivano direttamente dalle definizioni e dalle proprietà delle operazioni tra insiemi. S = ∅, ∅ = S, A ∪ A = S, A ∩ A = ∅ Definizione 10.1.10 (Eventi incompatibili). Gli eventi A e B si dicono incompatibili se sono disgiunti, cioè se A ∩ B = ∅ Due eventi incompatibili non possono verificarsi simultaneamente. Definizione 10.1.11 (Eventi compatibili). Gli eventi A e B si dicono compatibili se non sono disgiunti, cioè se A ∩ B 6= ∅ Due eventi compatibili possono verificarsi simultaneamente. Definizione 10.1.12 (Sistema completo di eventi). Più eventi formano un sistema completo di eventi se la loro unione è lo spazio degli eventi. 10.2 Definizione classica di probabilità Definizione 10.2.1 (Probabilità). Se un fenomeno casuale ha n esiti equiprobabili, si dice probabilità di un evento A associato al fenomeno il rapporto tra il numero di esiti favorevoli ad A e il numero n di esiti possibili e si indica con P (A). Questa definizione, dovuta a Laplace, è intuitiva e si basa su giudizi di simmetria. 10.2.1 Proprietà della probabilità classica Teorema 10.2.1 (Proprietà della probabilità classica). Siano A e B due eventi associati allo stesso fenomeno casuale e S lo spazio degli eventi. 1. P (A) ≥ 0 per ogni evento A 2. P (S) = 1 3. Se A e B sono eventi incompatibili, allora P (A ∪ B) = P (A) + P (B) 4. P (A) = 1 − P (A) 5. P (∅) = 0 6. Se A ⊆ B, allora P (A) ≤ P (B) 7. 0 ≤ P (A) ≤ 1 per ogni evento A 476 10.2. DEFINIZIONE CLASSICA DI PROBABILITÀ Dimostrazione 1. Poiché la probabilità è il rapporto tra un numero positivo o nullo e un numero positivo, è positiva o nulla. 2. Poiché per l’evento S il numero n degli esiti possibili è uguale a quello degli esiti n favorevoli, P (S) = = 1. n 3. Siano n il numero degli esiti possibili degli eventi A e B, m il numero degli esiti favorevoli ad A e k il numero degli esiti favorevoli a B. Poichè gli eventi sono incompatibili, m + k è il numero degli esiti favorevoli a A ∪ B. P (A ∪ B) = m k m+k = + = P (A) + P (B) n n n 4. Poiché A ∪ A = S, gli eventi A e A sono incompatibili, si ha: 1 = P (S) = P (A ∪ A) = P (A) + P (A) da cui P (A) = 1 − P (A) 5. Poiché ∅ = S P (∅) = 1 − P (S) = 1 − 1 = 0 6. Se A ⊆ B, allora B = A ∪ (B − A) e A ∩ (B − A) = ∅. P (B) = P (A ∪ (B − A)) = P (A) + P (B − A) ≥ P (A) 7. Poiché, per ogni evento A, ∅ ⊆ A ⊆ S 0 = P (∅) ≤ P (A) ≤ P (S) = 1 10.2.2 Critiche alla definizione classica 1. non sempre gli eventi sono equiprobabili (dado truccato) 2. non sempre i casi possibili sono in numero finito 3. la definizione è circolare: si usa la parola “equiprobabili” ( stessa probabilità) per definire la probabilità 477 CAPITOLO 10. PROBABILITÀ 10.3 Definizione frequentistica di probabilità Consideriamo un fenomeno casuale, come ad esempio il lancio di un dado. Eseguiamo n prove di quel fenomeno in condizioni identiche, sia v il numero di prove in cui si verifica l’evento A. Definizione 10.3.1 (Frequenza relativa). Se, nell’esecuzione di n prove di un fenomeno casuale, l’evento A si è verificato v volte, si dice frequenza relativa f dell’evento A il rapporto tra il numero delle prove favorevoli all’evento e il numero delle prove totali. In simboli: f= v n Se n è piccolo, la frequenza ha un carattere aleatorio, cioè può cambiare notevolmente se si ripete lo stesso numero di prove. Se n è grande, la frequenza perde sempre di più il carattere aleatorio e diventa quasi costante al ripetersi dei gruppi di prove. Questo si è visto in molti casi sperimentali. Definizione 10.3.2 (Probabilità). Si dice probabilità frequentistica dell’evento A la frequenza relativa dell’evento A per n molto grande e si indica con P (A). 10.3.1 Critiche alla definizione frequentistica Nella definizione di probabilità frequentistica non è specificato quanto deve essere grande n, inoltre è difficile effettuare molte prove nelle stesse condizioni. 10.4 Definizione assiomatica di probabilità La definizione assiomatica di probabilità è dovuta a Kolmogorov. Definizione 10.4.1 (Probabilità ). Dato lo spazio degli eventi S, a ogni evento A incluso in S è associato un numero reale P (A) detto probabilità di A che soddisfa i seguenti assiomi: 1. P (A) ≥ 0 2. P (S) = 1 3. se A e B sono sono eventi incompatibili, allora P (A ∪ B) = P (A) + P (B) 478 10.4. DEFINIZIONE ASSIOMATICA DI PROBABILITÀ 10.4.1 Proprietà della probabilità assiomatica Teorema 10.4.1 (Proprietà della probabilità assiomatica). 1. Per ogni evento A, P (A) = 1 − P (A) 2. P (∅) = 0 3. Se A e B sono due eventi tali che A ⊆ B, allora P (A) ≤ P (B) 4. Per ogni evento A, 0 ≤ P (A) ≤ 1 5. Per ogni coppia di eventi A, B P (A ∪ B) = P (A) + P (B) − P (A ∩ B) 6. Se A1 , . . . , An sono eventi a due a due incompatibili, allora P (A1 ∪ . . . ∪ An ) = P (A1 ) + . . . + P (An ) 7. Se A1 , . . . , An sono eventi a due a due incompatibili e A1 ∪ . . . ∪ An = S, allora P (A1 ) + . . . + P (An ) = 1 Dimostrazione 1. Poiché A ∪ A = S e gli eventi A, A sono incompatibili, si ha: 1 = P (S) = P (A ∪ A) = P (A) + P (A) da cui P (A) = 1 − P (A) 2. Poiché ∅ = S, si ha P (∅) = 1 − P (S) = 1 − 1 = 0 3. Se A ⊆ B, allora B = A ∪ (B − A) e A ∩ (B − A) = ∅. Quindi P (B) = P (A ∪ (B − A)) = P (A) + P (B − A) ≥ P (A) 4. Poiché, per ogni evento A, ∅ ⊆ A ⊆ S, si ha 0 = P (∅) ≤ P (A) ≤ P (S) = 1 479 CAPITOLO 10. PROBABILITÀ 5. Scriviamo A ∪ B e B come unione di eventi incompatibili: A ∪ B = A ∪ (A ∩ B) B = (A ∩ B) ∪ (A ∩ B) Applichiamo l’assioma 3: P (A ∪ B) = P (A) + P (A ∩ B) da cui P (A ∩ B) = P (A ∪ B) − P (A) P (B) = P (A ∩ B) + P (A ∩ B) da cui P (A ∩ B) = P (B) − P (A ∩ B) Uguagliando i secondi membri delle uguaglianze precedenti, si ottiene: P (A ∪ B) − P (A) = P (B) − P (A ∩ B) da cui P (A ∪ B) = P (A) + P (B) − P (A ∩ B) 6. Dimostriamo la proprietà utilizzando il principio di induzione. Per n = 1 P (A1 ) = P (A1 ), quindi la proprietà è vera. Supponiamo la proprietà vera per n e dimostriamola per n + 1 Ipotesi: P (A1 ∪ . . . ∪ An ) = P (A1 ) + . . . + P (An ) Tesi: P (A1 ∪ . . . ∪ An+1 ) = P (A1 ) + . . . + P (An+1 ) Dimostrazione P (A1 ∪ . . . ∪ An ∪ An+1 ) = P ((A1 ∪ . . . ∪ An ) ∪ An+1 ) = P (A1 ∪ . . . ∪ An ) + P (An+1 ) = P (A1 ) + . . . + P (An ) + P (An+1 ) 7. 1 = P (S) = P (A1 ∪ . . . ∪ An ) = P (A1 ) + . . . + P (An ) Osservazione Se S è formato dagli eventi elementari A1 , . . . , An , allora P (A1 ) + . . . + P (An ) = 1 Quindi, come probabilità per gli eventi elementari possiamo scegliere qualsiasi numero positivo purché la somma sia 1. In particolare, se supponiamo che gli eventi elementari siano equiprobabili, possiamo pren1 dere come probabilità per ogni evento il numero ; se A è un evento composto formato da n m m di questi eventi elementari, la sua probabilità è . n In questo modo abbiamo ottenuto la definizione di probabilità classica 480 10.5. PROBABILITÀ CONDIZIONATA 10.5 Probabilità condizionata Definizione 10.5.1 (Probabilità condizionata). Si dice probabilità dell’evento A condizionato all’evento B la probabilità del verificarsi dell’evento A sapendo che si è verificato l’evento B e si indica con P (A/B). La formula della probabilità condizionata, nel caso di definizione classica di probabilità è un teorema; nel caso di definizione assiomatica di probabilità, è una definizione. Se consideriamo la definizione classica di probabilità, si ha il seguente Teorema 10.5.1 (Teorema della probabilità condizionata). Dati due eventi A e B, si ha P (A/B) = P (A ∩ B) P (B) Dimostrazione Per la probabilità condizionata P (A/B), i casi possibili sono gli eventi elementari di B: indichiamo con |B| il loro numero. I casi favorevoli sono gli eventi elementari di A ∩ B: indichiamo con |A ∩ B| il loro numero. Quindi P (A/B) = |A ∩ B| |S| P (A ∩ B) |A ∩ B| = = |B| |S| |B| P (B) Se consideriamo la definizione assiomatica di probabilità, si ha la seguente Definizione 10.5.2 (Probabilità condizionata). Si dice probabilità dell’evento A condizionato all’evento B, con P (B) > 0, il rapporto tra P (A ∩ B) e P (B). In simboli: P (A/B) = 10.6 P (A ∩ B) P (B) Teorema del prodotto Teorema 10.6.1 (Teorema del prodotto). Dati due eventi A e B, si ha P (A ∩ B) = P (A)P (B/A) Dimostrazione P (B/A) = P (B ∩ A) P (A ∩ B) = P (A) P (A) da cui P (A ∩ B) = P (A)P (B/A) 481 CAPITOLO 10. PROBABILITÀ 10.7 Eventi indipendenti Definizione 10.7.1 (Eventi indipendenti). Due eventi si dicono indipendenti se il verificarsi di uno non modifica la probabilità dell’altro. Se A e B sono due eventi indipendenti, P (A/B) = P (A) e P (B/A) = P (B). Teorema 10.7.1 (Teorema del prodotto di eventi indipendenti). Se A e B sono due eventi indipendenti, allora P (A ∩ B) = P (A)P (B) Dimostrazione P (A ∩ B) = P (A)P (B/A) = P (A)P (B) Teorema 10.7.2 (Teorema della somma di eventi indipendenti). Se A e B sono due eventi indipendenti, allora P (A ∪ B) = P (A) + P (B) − P (A)P (B) Dimostrazione P (A ∪ B) = P (A) + P (B) − P (A ∩ B) = P (A) + P (B) − P (A)P (B) 10.8 Teorema delle probabilità totali Teorema 10.8.1 (Teorema delle probabilità totali). Dati n eventi H1 , . . . , Hn che formano una partizione dello spazio degli eventi S e l’evento A ⊆ S, si ha: P (A) = P (H1 )P (A/H1 ) + . . . + P (Hn )P (A/Hn ) Dimostrazione A = (H1 ∩ A) ∪ . . . ∪ (Hn ∩ A) Poiché gli eventi Hi ∩ A sono incompatibili a due a due P (A) = P ((H1 ∩ A) ∪ . . . ∪ (H1 ∩ A)) = P (H1 ∩ A) + . . . + P (H1 ∩ A) = P (H1 )P (A/H1 ) + . . . + P (Hn )P (A/Hn ) Osservazione Per risolvere problemi che utilizzano il teorema delle probabilità totali può essere conveniente costruire un diagramma ad albero con le probabilità su ogni ramo. Per determinare la probabilità richiesta: 1. Si considerano i rami che portano alll’evento desiderato 2. Si moltiplicano le probabilità lungo ogni ramo considerato e si sommano i prodotti ottenuti. 482 10.9. TEOREMA DI BAYES 10.9 Teorema di Bayes Teorema 10.9.1 (Teorema di Bayes). Dati n eventi H1 , . . . , Hn che formano una partizione dello spazio degli eventi S e l’evento A ⊆ S, si ha: P (Hi /A) = P (Hi )P (A/Hi ) P (H1 )P (A/H1 ) + . . . + P (Hn )P (A/Hn ) Dimostrazione P (Hi /A) = P (Hi ∩ A) P (Hi )P (A/Hi ) = P (A) P (H1 )P (A/H1 ) + . . . + P (Hn )P (A/Hn ) Osservazione Il teorema di Bayes si chiama anche teorema delle probabilità delle cause, poiché permette di determinare la probabilità secondo la quale un evento, che si suppone già realizzato, sia dovuto a una certa causa piuttosto che a un’altra. Osservazione Per risolvere problemi che utilizzano il teorema di Bayes può essere conveniente costruire il diagramma ad albero delle probabilità totali. La probabilità della causa che ci interessa è data dal rapporto tra il prodotto delle probabilità del ramo con la causa e l’evento considerato e la somma dei prodotti delle probabilità dei rami che portano all’evento considerato. 10.10 Probabilità e calcolo combinatorio In molti problemi di probabilità si parla di estrazioni: 1. Estrazione con reinserimento: dopo un’estrazione l’oggetto estratto viene reinserito e quindi può essere di nuovo estratto. Da un punto di vista combinatorio si avranno disposizioni con ripetizione. 2. Estrazione senza reinserimento: dopo un’estrazione l’oggetto non viene reinserito e quindi non può essere di nuovo estratto. Da un punto di vista combinatorio si avranno disposizioni senza ripetizione 3. Estrazioni simultanee: si estraggono contemporaneamente più oggetti. Da un punto di vista combinatorio si avranno combinazioni semplici Da un punto di vista di calcolo delle probabilità, l’estrazione senza reinserimento e l’estrazione simultanea danno gli stessi risultati. 483 Capitolo 11 Variabili aleatorie discrete 11.1 Distribuzione di probabilità Definizione 11.1.1 (Variabile aleatoria discreta). Si dice variabile aleatoria discreta una funzione che a ogni evento elementare di uno spazio degli eventi S associa uno e un solo numero reale appartenente a un’insieme finito o infinitamente numerabile. Normalmente le variabili aleatorie si indicano con le lettere maiuscole X, Y ecc. A ogni variabile aleatoria si associa la sua distribuzione di probabilità. Definizione 11.1.2 (Distribuzione di probabilità). Si dice distribuzione di probabilità di una variabile aleatoria discreta l’insieme formato dai valori assunti dalla variabile con le rispettive probabilità. La distribuzione di probabilità di una variabile aleatoria X si può rappresentare nel seguente modo: ® x 1 . . . xn p1 . . . pn ´ con 0 ≤ pi ≤ 1 e ni=1 pi = 1. Con abuso di linguaggio identificheremo la variabile aleatoria con la sua distribuzione di probabilità e scriveremo P ® x . . . xn X= 1 p1 . . . pn ´ La distribuzione di probabilità può anche essere data in forma analitica, utilizzando la funzione di probabilità: P (X = xi ) = f (xi ) con i = 1, . . . , n dove la funzione di probabilità f (xi ) deve soddisfare le seguenti condizioni: f (xi ) ≥ 0 con i = 1, . . . , n 484 11.2. FUNZIONE DI RIPARTIZIONE n X f (xi ) = 1 i=1 Si possono determinare più variabili aleatorie associate allo stesso fenomeno casuale. Se un fenomeno casuale non ha esito numerico, a ogni risultato non numerico si può associare un numero. Per esempio, se una variabile può assumere solo due valori (testa o croce nel lancio di una moneta), un valore si considera successo e si associa 1 e l’altro non successo e si associa 0. Quindi la variabile X rappresenta il numero di successi. 11.2 Funzione di ripartizione Definizione 11.2.1 (Funzione di ripartizione). Si dice funzione di ripartizione di una variabile aleatoria X, la funzione F : R → R che a ogni x ∈ R associa la probabilità che la variabile aleatoria assuma un valore minore o uguale a x, cioè F (x) = P (X ≤ x). Teorema 11.2.1. Se X è una variabile aleatoria e F è la sua funzione di ripartizione, allora 1. P (X > x) = 1 − F (x) 2. P (a < X ≤ b) = F (b) − F (a) Dimostrazione 1. Poiché l’evento X > x è il complementare dell’evento X ≤ x, si ha P (X > x) = 1 − P (X ≤ x) = 1 − F (x) 2. P (a < X ≤ b) = P (X ≤ b) − P (X ≤ a) = F (b) − F (a) 11.3 Funzione di una variabile aleatoria Siano X una variabile aleatoria e u una funzione definita sull’insieme dei valori assunti da X. La variabile aleatoria u(X) è la variabile aleatoria che ha come valori u(xi ) e come probabilità quelle di X. Se alcuni valori si ripetono si scrivono una volta sola e si sommano le probabilità. 11.4 Probabilità condizionata Definizione 11.4.1 (Probabilità condizionata). Date due variabili aleatorie X, Y si chiama probabilità condizionata e si indica con P (Y = l/X = k) la probabilità che la variabile Y assuma il valore l sapendo che la variabile X ha assunto il valore k. 485 CAPITOLO 11. VARIABILI ALEATORIE DISCRETE Con Y /(X = k) indichiamo la distribuzione di probabilità della variabile aleatoria Y condizionata all’evento X = k. 11.5 Eventi indipendenti Definizione 11.5.1 (Eventi indipendenti). Date due variabili aleatorie X, Y , gli eventi Y = l e X = k si dicono indipendenti se P (Y = l/X = k) = P (Y = l). Definizione 11.5.2 (Variabili indipendenti). Date due variabili aleatorie X, Y , si dice che Y è indipendente da X = k.se P (Y = l/X = k) = P (Y = l) per ogni valore l assunto dalla variabile Y . Si dice che Y è indipendente da X se P (Y = l/X = k) = P (Y = l) per ogni valore l assunto dalla variabile Y e per ogni valore k assunto dalla variabile X. Teorema 11.5.1 (Variabili indipendenti). Date due variabili aleatorie X, Y , se X è indipendente da Y , allora Y è indipendente da X. 11.6 Distribuzione congiunta Definizione 11.6.1 (Probabilità congiunta). Date due variabili aleatorie X, Y si dice probabilità congiunta e si indica con P (X = k, Y = l) la probabilità che la variabile X assuma il valore k e la variabile Y assuma il valore l. Teorema 11.6.1 (Teorema del prodotto). Date due variabili aleatorie X, Y , si ha P (X = k, Y = l) = P (X = k)P (Y = l/X = k) Se gli eventi sono indipendenti si ha P (X = k, Y = l) = P (X = k)P (Y = l) . 11.6.1 Tabella delle distribuzioni congiunte e marginali Date due variabili aleatorie X e Y , la distribuzione delle probabilità congiunte si può rappresentare con una tabella a doppia entrata. Definizione 11.6.2 (Distribuzioni marginali). Se alla tabella delle distribuzioni congiunte di due variabili aleatorie X, Y si aggiunge la colonna con la somma delle probabilità di ogni riga e la riga con la somma delle probabilità di ogni colonna, si ottengono le distribuzione di probabilità di X e Y dette anche distribuzioni marginali. 486 11.7. TEOREMA DELLE PROBABILITÀ TOTALI x1 y1 Y ... yn P (X = x1 , Y = y1 ) ... P (X = x1 , Y = yn ) n X P (X = x1 , Y = yj ) j=1 X ... xm ... ... P (X = xm , Y = y1 ) ... ... P (X = xm , Y = yn ) ... n X P (X = xm , Y = yj ) j=1 m X P (X = xi , Y = y1 ) ... i=1 11.7 m X P (X = xi , Y = yn ) i=1 Teorema delle probabilità totali Teorema 11.7.1 (Teorema delle probabilità totali). Date due variabili aleatorie X e Y con distribuzione di probabilità rispettivamente: ® ´ ® x . . . xm y . . . yn X= 1 , Y = 10 p1 . . . pm p1 . . . p0n ´ si ha P (Y = yj ) = m X P (X = xi )P (Y = yj /X = xi ) i=1 Dimostrazione P (Y = yj ) = m X P (X = xi , Y = yj ) = i=1 11.8 m X P (X = xi )P (Y = yj /X = xi ) i=1 Teorema di Bayes Teorema 11.8.1 (Teorema di Bayes). Date due variabili aleatorie X e Y con distribuzione di probabilità rispettivamente: ® ´ ® x . . . xm y . . . yn X= 1 , Y = 10 p1 . . . pm p1 . . . p0n ´ si ha P (X = xi )P (Y = yj /X = xi ) P (X = xi /Y = yj ) = X m P (X = xi )P (Y = yj /X = xi ) i=1 Dimostrazione P (X = xi /Y = yj ) = P (Y = yj , X = xi ) P (X = xi , Y = yj ) = = P (Y = yj ) P (Y = yj ) P (X = xi )P (Y = yj /X = xi ) m X i=1 P (X = xi , Y = yj ) P (X = xi )P (Y = yj /X = xi ) =X m P (X = xi )P (Y = yj /X = xi ) i=1 487 CAPITOLO 11. VARIABILI ALEATORIE DISCRETE 11.9 Funzione di due variabili aleatorie Siano X, Y due variabili aleatorie e u una funzione definita sul prodotto cartesiano degli insiemi dei valori assunti da X e da Y . La variabile aleatoria u(X, Y ) è la variabile aleatoria che ha come valori u(xi , yj ) e come probabilità le probabilità congiunte di X e Y . Se alcuni valori si ripetono, si scrivono una volta sola e si sommano le probabilità. 488 Capitolo 12 Speranza matematica e varianza 12.1 Speranza matematica Definizione 12.1.1 (Speranza matematica). Data una variabile aleatoria X con distribuzione di probabilità: ® x . . . xn X= 1 p1 . . . pn ´ si dice media o speranza matematica o valore atteso o valor medio la somma dei prodotti dei valori per le rispettive probabilità e si indica con E[X]. in simboli: E[X] = x1 p1 + . . . + xn pn 12.1.1 Giochi equi Definizione 12.1.2 (Gioco equo). Sia X una variabile aletoria associata a un gioco. Il gioco si dice equo se E[X] = 0 12.1.2 Proprietà della speranza matematica Teorema 12.1.1 (Proprietà della speranza matematica). 1. La speranza matematica di una variabile aleatoria costante è la costante stessa 2. Se X è una variabile aleatoria e a, b sono due costanti, allora E[aX + b] = aE[X] + b 3. La speranza matematica della somma di due variabili aleatorie è uguale alla somma delle speranze matematiche, cioè E[X + Y ] = E[X] + E[Y ] 4. E[aX + bY ] = aE[X] + bE[Y ] 489 CAPITOLO 12. SPERANZA MATEMATICA E VARIANZA 5. La speranza matematica del prodotto di due variabili aleatorie indipendenti è uguale al prodotto delle speranze matematiche, cioè E[XY ] = E[X]E[Y ] 6. La speranza matematica della variabile aleatoria Y = X −E[X], detta variabile scarto, è 0; quindi la variabile scarto è equa Dimostrazione 1. Una variabile aleatoria costante ha la seguente distribuzione di probabilità ® X= c 1 ´ La speranza matematica è c · 1 = c 2. Se ® x . . . xn X= 1 p1 . . . pn ´ allora ® ax1 + b . . . axn + b aX + b = p1 . . . pn ´ E[aX + b] = (ax1 + b)p1 + . . . + (axn + b)pn = a(x1 p1 + . . . + xn pn ) + b(p1 + . . . + pn ) = aE[X] + b 3. Se ® x . . . xm X= 1 p1 . . . pm ´ e ® y . . . yn Y = 10 p1 . . . p0n ´ allora ® x1 + y1 . . . xm + yn X +Y = P (X = x1 , Y = y1 ) . . . P (X = xm , Y = yn ) E[X + Y ] = m X i=1 m X i=1 m X i=1 Ñ n X Ñ n X é (xi + yj )P (X = xi , Y = yj ) n X j=1 = j=1 é xi P (X = xi , Y = yj ) + j=1 Ñ ´ é xi P (X = xi , Y = yj ) + m X Ñ n X i=1 j=1 n X m X j=1 i=1 é yj P (X = xi , Y = yj ) = ! yj P (X = xi , Y = yj ) = 490 12.2. VARIANZA m X Ñ xi i=1 m X n X é P (X = xi , Y = yj ) n X + j=1 yj j=1 n X xi P (X = xi ) + i=1 m X ! P (X = xi , Y = yj ) = i=1 yj P (Y = yj ) = E[X] + E[Y ] j=1 4. E[aX + bY ] = E[aX] + E[bY ] = aE[X] + bE[Y ] 5. Se ® x . . . xm X= 1 p1 . . . pm ´ e ® y . . . yn Y = 10 p1 . . . p0n ´ allora ® ´ x1 y1 . . . xm yn XY = P (X = x1 , Y = y1 ) . . . P (X = xm , Y = yn ) E[XY ] = m X i=1 m X i=1 m X i=1 m X Ñ n X n X é (xi · yj )P (X = xi , Y = yj ) = j=1 é (xi · yj )P (X = xi )P (Y = yj ) = j=1 Ñ n X é xi P (X = xi )yj P (Y = yj ) = j=1 Ñ xi P (X = xi ) i=1 m X Ñ n X é yj P (Y = yj ) = j=1 xi P (X = xi )E[Y ] = E[Y ] i=1 m X xi P (X = xi ) = E[Y ]E[X] = E[X]E[Y ] i=1 6. E [X − E[X]] = E[X] − E[X] = 0 12.2 Varianza Definizione 12.2.1 (Varianza). Data una variabile aleatoria X con distribuzione di probabilità: ® x . . . xn X= 1 p 1 . . . pn ´ si dice varianza la media del quadrato dello scarto e si indica con V ar[X]. In simboli: î ó V ar[X] = E (X − E[X])2 = (x1 − E[X])2 p1 + . . . + (xn − E[X])2 pn 491 CAPITOLO 12. SPERANZA MATEMATICA E VARIANZA La varianza si indica anche con σ 2 [X]. Osserviamo che la varianza è positiva o nulla. Definizione 12.2.2 (Deviazione standard). Data una variabile aleatoria X con distribuzione di probabilità: ® x . . . xn X= 1 p1 . . . pn ´ si dice scarto quadratico medio o deviazione standard la radice quadrata della varianza e si indica con σ[X]. In simboli: σ[X] = » » V ar[X] = » E [(X − E[X])2 ] = (x1 − E[X])2 p1 + . . . + (xn − E[X])2 pn Definizione 12.2.3 (Covarianza). Date due variabili aleatorie X, Y si dice covarianza di X e Y la speranza matematica del prodotto delle variabili scarto e si indica con Cov[X, Y ]. In simboli Cov[X, Y ] = E [(X − E[X])(Y − E[Y ])] Teorema 12.2.1 (Proprietà della covarianza). Cov[X, Y ] = E[XY ] − E[X]E[Y ] Dimostrazione Cov[X, Y ] = E [(X − E[X])(Y − E[Y ])] = E [XY − XE[Y ] − Y E[X] + E[X]E[Y ])] = E[XY ] − E[X]E[Y ] − E[X]E[Y ] + E[X]E[Y ] = E[XY ] − E[X]E[Y ] 12.2.1 Proprietà della varianza Teorema 12.2.2 (Proprietà della varianza). 1. V ar[X] = E[X 2 ] − (E[X])2 2. Se X è una variabile aleatoria e a, b sono costanti, allora V ar[aX + b] = a2 V ar[X] 3. La varianza della somma di due variabili aleatorie indipendenti è uguale alla somma delle varianze cioè V ar[X + Y ] = V ar[X] + V ar[Y ] 4. La varianza della somma di due variabili aleatorie dipendenti è uguale alla somma delle varianze e del doppio della covarianza, cioè V ar[X + Y ] = V ar[X] + V ar[Y ] + 2Cov[X, Y ] Dimostrazione 492 12.3. VARIABILE ALEATORIA STANDARDARDIZZATA 1. V ar[X] = E [(X − E[X])2 ] = E [X 2 − 2XE[X] + (E[X])2 ] = E[X 2 ] − 2E[X]E[X] + (E[X])2 = E[X 2 ] − (E[X])2 2. V ar[aX + b] = E[(aX + b)2 ] − (E[aX + b])2 = E[a2 X 2 + 2abX + b2 ] − (aE[X] + b)2 = a2 E[X 2 ] + 2abE[X] + b2 − a2 (E[X])2 − 2abE[X] − b2 = Ä ä a2 E[X 2 ] − a2 (E[X])2 = a2 E[X 2 ] − (E[X])2 = a2 V ar[X] 3. V ar[X + Y ] = E[(X + Y )2 ] − (E[X + Y ])2 = E[X 2 + 2XY + Y 2 ] − (E[X] + E[Y ])2 = E[X 2 ] + 2E[X]E[Y ] + E[Y 2 ] − (E[X])2 − 2E[X]E[Y ] − (E[Y ])2 = E[X 2 ] − (E[X])2 + E[Y 2 ] − (E[Y ])2 = V ar[X] + V ar[Y ] 4. V ar[X + Y ] = E[(X + Y )2 ] − (E[X + Y ])2 = E[X 2 + 2XY + Y 2 ] − (E[X] + E[Y ])2 = E[X 2 ] + 2E[XY ] + E[Y 2 ] − (E[X])2 − 2E[X]E[Y ] − (E[Y ])2 = E[X 2 ] − (E[X])2 + E[Y 2 ] − (E[Y ])2 + 2 (E[XY ] − E[X][Y ]) = V ar[X] + V ar[Y ] + 2Cov[X, Y ] 12.3 Variabile aleatoria standardardizzata Definizione 12.3.1 (Variabile aleatoria standardizzata). Una variabile aleatoria si dice standardizzata se ha media 0 e deviazione standard 1 Teorema 12.3.1. Data una variabile aleatoria X, la variabile aleatoria X − E[X] σ[X] è standardizzata. Dimostrazione X − E[X] 1 = (E[X] − E[X]) = 0 E σ[X] σ[X] ñ ô 1 X − E[X] V ar = V ar[X] = 1 σ[X] (σ[X])2 ñ ô 493 CAPITOLO 12. SPERANZA MATEMATICA E VARIANZA 12.4 Coefficiente di variazione Definizione 12.4.1 (Coefficiente di variazione). Si dice coefficiente di variazione di una variabile aleatoria X con media non nulla, il rapporto tra la deviazione standard e la media e si indica con CV . In simboli: CV = 12.5 σ[X] E[X] Coefficiente di correlazione Definizione 12.5.1 (Coefficiente di correlazione ). Si dice coefficiente di correlazione di due variabili aleatorie X, Y con deviazione standard non nulla, il rapporto tra la covarianza e il prodotto delle deviazioni standard e si indica con rXY . In simboli: rXY = Cov[X, Y ] σ[X]σ[Y ] Se le variabili aleatorie X e Y non sono correlate, il coefficiente di correlazione è 0. 494 Capitolo 13 Distribuzioni discrete fondamentali 13.1 Distribuzione simmetrica Definizione 13.1.1 (Variabile aleatoria simmetrica). Una variabile aleatoria S si dice simmetrica se ha la seguente distribuzione di probabilità: x1 S= 1 n ... xn 1 ... n Un caso particolare di variabile aleatoria simmetrica è quella i cui valori sono 1, . . . , n. 13.1.1 Media e varianza Teorema 13.1.1. Data una variabile aleatoria simmetrica 1 S= 1 n E[X] = ... n 1 n ... n+1 n2 − 1 , V ar[X] = 2 12 Dimostrazione 1. E[X] = 1 1 1 1 1 n(n + 1) n+1 + . . . + n = (1 + . . . + n) = = n n n n 2 2 1 1 1 1 2. E[X ] = 1 + . . . + n2 = (1 + . . . + n2 ) = n n n n 2 Ç 3 n n2 n + + 3 2 6 n2 n 1 n+1 V ar[X] = E[X ] − (E[X]) = + + − 3 2 6 2 2 Ç 2 å = n2 n 1 + + 3 2 6 å2 = n2 n 1 n2 + 2n + 1 4n2 + 6n + 2 − 3n2 − 6n − 3 n2 − 1 + + − = = 3 2 6 4 12 12 495 CAPITOLO 13. DISTRIBUZIONI DISCRETE FONDAMENTALI 13.2 Indicatore o variabile aleatoria di Bernoulli Definizione 13.2.1 (Variabile aleatoria di Bernoulli). Una variabile aleatoria I si dice di Bernoulli se ha la seguente distribuzione di probabilità: ® I= 0 1−p 13.2.1 ´ 1 p ® = 0 q 1 p ´ Media e varianza Teorema 13.2.1. Data una variabile aleatoria di Bernoulli ® ´ 0 1 I= q p E[I] = p, V ar[I] = pq Dimostrazione 1. E[I] = 0q + 1p = p 2. Poiché ® 2 I = 0 q ´ 1 p si ha E[I 2 ] = 0q + 1p = p V ar[I] = E[I 2 ] − (E[I])2 = p − p2 = p(1 − p) = pq 13.3 Somma di due variabili aleatorie di Bernoulli equidistribuite Siano X e Y due variabili aleatorie di Bernoulli indipendenti e equidistribuite: ® X=Y = 0 q 1 p ´ Determiniamo Z = X + Y La distribuzione congiunta è: Y 0 1 0 q2 pq 1 pq p2 X ® Z= 0+0 q2 0+1 pq 1+0 pq 1+1 p2 ´ ® = 0 q2 1 2pq 2 p2 ´ 496 13.4. DISTRIBUZIONE BINOMIALE 13.4 Distribuzione binomiale Definizione 13.4.1 (Variabile aleatoria binomiale). Consideriamo n prove indipendenti effettuate nelle stesse condizioni. In ogni prova si può verificare un evento (successo) con probabilità p o il suo complementare (insuccesso) con probabilità q = 1 − p. La variabile aleatoria B che rappresenta il numero di successi si dice variabile binomiale di ordine n e parametro p. Teorema 13.4.1. La funzione di probabilità della variabile aleatoria binomiale B di ordine n e parametro p è: ! n k P (B = k) = p (1 − p)n−k k Dimostrazione Una combinazione in cui l’evento A si verifica k volte è: . . A} A . . A} |A .{z | .{z k n−k Poiché gli eventi sono indipendenti, si ha: . . A} P (A) · . . . · P (A)) = P (A) · . . . · P (A) = pk (1 − p)n−k P (A . . A} A | .{z | .{z k n−k | {z k } | {z n−k } Il numero dei casi nei !quali A si verifica k volte è il numero di combinazioni di n elementi n a gruppi di k, cioè . k Quindi, la probabilità che A si verifichi k volte, è ! n k P (B = k) = p (1 − p)n−k k Una variabile aleatoria con distribuzione binomiale si può anche vedere come somma di n variabili di Bernoulli indipendenti ed equidistribuite. 13.4.1 Media e varianza Teorema 13.4.2. Data una variabile aleatoria binomiale B di ordine n e parametro p, E[B] = np, V ar[B] = npq Dimostrazione Poiché B è la somma di variabili aleatorie di Bernoulli indipendenti e equidistribuite Ik , si ha: 1. E[B] = E[I1 + . . . + In ] = E[I1 ] + . . . E[In ] = np 2. V ar[B] = V ar[I1 + . . . + In ] = V ar[I1 ] + . . . + V ar[In ] = npq 497 CAPITOLO 13. DISTRIBUZIONI DISCRETE FONDAMENTALI 13.4.2 Numero di successi più probabile Teorema 13.4.3. Data una variabile aleatoria binomiale B di ordine n e parametro p, il numero di successi più probabile è il numero k0 tale che np − q ≤ k0 ≤ np − q + 1 Dimostrazione La distribuzione di probabilità di una variabile aleatoria binomiale prima cresce e poi decresce oppure può anche solo decrescere. Quindi, per trovare il numero di successi più probabile, è sufficiente effettuare il rapporto tra due valori successivi della probabilità e vedere quando diventa minore di 1. ! n pk+1 q n−k−1 k+1 n!pk+1 q n−k−1 k!(n − k)! p n−k (n − k)p ! = · = · = (k + 1)!(n − k − 1)! n!pk q n−k k+1 q (k + 1)q n k n−k p q k (n − k)p < 1 ⇔ (n − k)p < (k + 1)q ⇔ np − kp < kq + q ⇔ (k + 1)q −k(p + q) < q − np ⇔ k > np − q La distribuzione cresce per k < np − q e decresce per k > np − q. Il numero di successi più probabile è il numero k0 tale che np − q ≤ k0 ≤ np − q + 1. Poiché l’intervallo ha ampiezza 1, se np−q è un intero, per k0 si hanno due valori, altrimenti se ne ha uno solo. 13.5 Distribuzione ipergeometrica Definizione 13.5.1 (Variabile aleatoria ipergeometrica). Da un urna con r palline rosse e b palline bianche, si effettuano n estrazioni senza reinserimento. La variabile aleatoria X che rappresenta il numero di palline rosse estratte si dice variabile ipergeometrica di ordine n e parametri r, b. Teorema 13.5.1. La funzione di probabilità della variabile aleatoria ipergeometrica X ordine n e parametri r, b è: P (X = k) = r k ! b n−k ! r+b n ! 498 13.6. DISTRIBUZIONE GEOMETRICA (PRIMO SUCCESSO) Dimostrazione ! r Il numero di modi in cui si possono scegliere k palline rosse è . k ! b Il numero di modi in cui si possono scegliere le restanti n − k palline bianche è . n−k ! ! r b Quindi, i casi favorevoli sono . k n−k ! r+b I casi possibili sono . n La probabilità che, su n palline estratte, k siano rosse è P (X = k) = 13.5.1 r k ! b n−k ! r+b n ! Media e varianza Teorema 13.5.2. Data una variabile aleatoria X, con distribuzione ipergeometrica di ordine n e parametri r, b E[X] = n r r b r+b−n r+b−n , V ar[X] = n = npq r+b r+br+br+b−1 r+b−1 Osservazione La media di una variabile aleatoria ipergeometrica è uguale a quella di una variabile binor miale, infatti = p. r+b La varianza di una variabile aleatoria ipergeometrica differisce da quella di una variabile r+b−n r b binomiale per il fattore , infatti =pe = q. r+b−1 r+b r+b 13.5.2 Approssimazione della distribuzione ipergeometrica con la distribuzione binomiale La distribuzione ipergeometrica, con r + b grande, si può approssimare con la distribuzione r . binomiale con p = r+b 13.6 Distribuzione geometrica (primo successo) Definizione 13.6.1 (Variabile aleatoria geometrica). Consideriamo prove indipendenti effettuate nelle stesse condizioni. In ogni prova si può verificare un evento (successo) con probabilità p o il suo complementare (insuccesso) con probabilità q = 1 − p. La variabile aleatoria X che rappresenta il numero prove necessario per avere il primo successo, si dice variabile geometrica di parametro p. 499 CAPITOLO 13. DISTRIBUZIONI DISCRETE FONDAMENTALI Teorema 13.6.1. La funzione di probabilità della variabile aleatoria geometrica X di parametro p è: P (X = n) = q n−1 p Dimostrazione Poiché si devono avere n − 1 insuccessi e poi un successo, si ha P (X = n) = q n−1 p La distribuzione si dice geometrica perché il rapporto tra P (X = n + 1) e P (X = n) è costante e vale q; infatti qnp P (X = n + 1) = n−1 = q P (X = n) q p La distribuzione geometrica ha infiniti valori e dipende solo dal parametro p. Essendo q < 1, le probabilità sono descrescenti e dopo un po’ diventano trascurabili. Teorema 13.6.2. Data una variabile aleatoria geometrica X di parametro p, si ha: +∞ X P (X = i) = 1 i=1 Dimostrazione +∞ X P (X = i) = i=1 13.6.1 +∞ X q i−1 p = lim i=1 n→+∞ n X q i−1 p i=1 = lim p n→+∞ 1 − qn p = =1 1−q 1−q Media e varianza Teorema 13.6.3. Data una variabile aleatoria geometrica X di parametro p, si ha 1 q E[X] = , V ar[X] = 2 p p 13.7 Distribuzione di Poisson Definizione 13.7.1 (Variabile aleatoria di Poisson). Si dice variabile aleatoria di Poisson di parametro λ, la variabile aleatoria X che assume i λk valori 0, 1, 2, 3, . . . con probabilità P (X = k) = e−λ dove λ è una costante positiva. k! Questa distribuzione si presenta in molti fenomeni casuali, per esempio il numero di chiamate telefoniche al minuto di un centralino, il numero di errori di stampa per pagina di un testo voluminoso, il numero di incidenti, ecc. 500 13.7. DISTRIBUZIONE DI POISSON 13.7.1 Media e varianza Teorema 13.7.1. Data una variabile aleatoria di Poisson X di parametro λ E[X] = λ, V ar[X] = λ 13.7.2 Andamento della distribuzione di Poisson Sia X una variabile aleatoria di Poisson di parametro λ. Se λ < 1, la distribuzione assume valore massimo per X = 0. Se λ = 1, la distribuzione assume valore massimo per X = 0 e X = 1. Se λ > 1, la distribuzione cresce, raggiunge un massimo e decresce più lentamente di quanto è cresciuta. 13.7.3 Approssimazione della distribuzione binomiale con la distribuzione di Poisson La distribuzione binomiale, con p piccolo e n grande, si può approssimare con la distribuzione di Poisson di parametro λ = np. 501 Capitolo 14 Variabili aleatorie continue 14.1 Densità di probabilità Definizione 14.1.1 (Variabile aleatoria continua). Una variabile aleatoria X si dice continua se assume tutti i valori di un intervallo. Definizione 14.1.2 (Densità di probabilità). Una funzione f : R → R si dice densità di probabilità se soddisfa le seguenti proprietà: 1. f (x) ≥ 0 ∀x ∈ R 2. Z +∞ f (x)dx = 1 −∞ La seconda proprietà afferma che l’area compresa tra il grafico di f e l’asse delle x deve essere uguale 1. La densità di probabilità è la corrispondente della funzione di probabilità delle variabili aleatorie discrete. Indicando con P (a < X < b) la probabilità che la variabile X assuma un valore appartenente all’intervallo ]a, b[, si ha: P (a < X < b) = Z b f (x)dx a Se X è una variabile aleatoria continua, la probabilità che assuma un determinato valore è nulla; quindi P (a < X < b) = P (a ≤ X ≤ b) 14.2 Funzione di ripartizione Definizione 14.2.1 (Funzione di ripartizione). Si dice funzione di ripartizione di una variabile aleatoria X, la funzione F : R → R che ad ogni x ∈ R associa la probabilità che la variabile aleatoria assuma un valore minore o uguale a x, cioè F (x) = P (X ≤ x). 502 14.3. SPERANZA MATEMATICA Se f è densità di probabilità, allora la funzione di ripartizione è F (x) = Z x f (y)dy −∞ Se F è la funzione di ripartizione, allora la densità di probabilità è f (x) = F 0 (x) La funzione di ripartizione F è non descrescente e lim F (x) = 1 x→+∞ Infatti lim F (x) = lim x→+∞ Z x x→+∞ −∞ f (y)dy = Z +∞ f (y)dy = 1 −∞ Teorema 14.2.1. Data una variabile aleatoria continua X, con funzione di ripartizione F , si ha P (a < X < b) = F (b) − F (a) Dimostrazione P (a < X < b) = Z b f (x)dx = a 14.3 Z b f (x)dx − −∞ Z a f (x)dx = F (b) − F (a) −∞ Speranza matematica Definizione 14.3.1 (Speranza matematica). Data una variabile aleatoria continua X con densità di probabilità f , si dice media o speranza matematica o valore atteso e si indica con E[X] l’integrale Z +∞ xf (x)dx −∞ Questa espressione è una generalizzazione per le variabili aleatorie continue dell’espressione data per le variabili aleatorie discrete ed ha le stesse proprietà della speranza matematica delle variabili aleatorie discrete. Se la densità di probabilità di una variabile aleatoria continua X è una funzione pari, allora E[X] = 0; infatti xf (x) è una funzione dispari e quindi l’integrale è 0. 14.4 Varianza Definizione 14.4.1 (Varianza). Data una variabile aleatoria continua X con densità di probabilità f (x), si dice varianza e si indica con V ar[X] la speranza matematica del quadrato dello scarto, in simboli: V ar[X] = Z +∞ (x − E[X])2 f (x)dx −∞ 503 CAPITOLO 14. VARIABILI ALEATORIE CONTINUE La varianza delle variabili aleatorie continue ha le stesse proprietà della varianza delle variabili aleatorie discrete, in particolare V ar[X] = E[X 2 ] − (E[X])2 Definizione 14.4.2 (Deviazione standard). Data una variabile aleatoria continua X con densità di probabilità f (x), si dice deviazione standard o scarto quadratico medio la radice quadrata della varianza, e si indica con σ[X]. In simboli: σ[X] = sZ +∞ (x − E[X])2 f (x)dx −∞ 504 Capitolo 15 Distribuzioni continue fondamentali 15.1 Distribuzione uniforme Definizione 15.1.1 (Distribuzione uniforme). Una variabile aleatoria continua ha distribuzione uniforme su un intervallo [a, b], se la probabilità che assuma un valore appartenente ad un intervallo I incluso in [a, b] è data dal rapporto tra l’ampiezza di I e l’ampiezza di [a, b]. La funzione di ripartizione della distribuzione uniforme su un intervallo [a, b] è F (x) = 0 x−a b−a 1 per x<a per a≤x≤b per x>b Effetuando la derivata si ricava che la densità di probabilità della distribuzione uniforme su un intervallo [a, b] è 0 1 f (x) = b−a 0 15.1.1 per x<a per a≤x≤b per x>b Media e varianza Teorema 15.1.1. Data una variabile aleatoria X, con distribuzione uniforme sull’intervallo [a, b], si ha 1. E[X] = a+b 2 2. V ar[X] = (b − a)2 12 Dimostrazione E[X] = Z +∞ −∞ xf (x)dx = Z b a x 1 1 b2 − a2 a+b dx = = b−a b−a 2 2 505 CAPITOLO 15. DISTRIBUZIONI CONTINUE FONDAMENTALI 2 E[X ] = Z +∞ 2 x f (x)dx = −∞ Z b a V ar[X] = E[X 2 ] − (E[X])2 = 15.2 x2 1 b2 + ba + a2 dx = b−a 3 (b − a)2 b2 + ba + a2 (a + b)2 − = 3 4 12 Distribuzione normale o di Gauss Definizione 15.2.1 (Distribuzione normale). Una variabile aleatoria continua ha distribuzione normale di parametri µ e σ 2 se la densità di probabilità è: f (x) = √ (x−µ)2 1 e− 2σ2 2πσ 2 La distribuzione normale è la più importante tra tutte le distribuzioni per i seguenti motivi: 1. alcuni fenomeni obbediscono rigorosamente a una distribuzione normale, come per esempio la direzione di una molecola in un gas 2. molti fenomeni si possono approssimare con una distribuzione normale, come per esempio l’altezza di un essere umano 3. con la distribuzione normale si possono approssimare molte altre distribuzioni di probabilità La distribuzione normale di parametri µ e σ 2 si indica con N (µ, σ 2 ): µ è la speranza matematica e σ 2 è la varianza. Il suo grafico, simmetrico rispetto alla retta x = µ, ha la forma di una campana, ha il massimo per x = µ, due punti di flesso per x = µ ± σ e tende a 0 per x tendente a ±∞. 15.2.1 Distribuzione normale standardizzata Definizione 15.2.2 (Distribuzione normale standardizzata). Una variabile aleatoria normale di parametri µ = 0 e σ 2 = 1 si dice standardizzata e la sua densità di probabilità è: x2 1 f (x) = √ e− 2 2π Se si ha una variabile aleatoria con distribuzione normale, per trovare la probabilità che la variabile aleatoria assuma un valore compreso tra a e b si deve calcolare l’integrale Z b a (x−µ)2 1 √ e− 2σ2 dx 2πσ 2 Poiché i valori dell’integrale sopra scritto si possono ottonere solo con metodi numerici, per calcolare la probabilità si utilizzano delle tavole che danno i valori della funzione di 506 15.2. DISTRIBUZIONE NORMALE O DI GAUSS ripartizione per la normale standardizzata. Se la distribuzione normale X = N (µ, σ 2 ) non è standardizzata, la si standardizza ponendo: X −µ σ Se si deve calcolare P (X ≤ x1 ), si possono utilizzare le tavole della normale standardizzata ricordando che Å x1 − µ ã P (X ≤ x1 ) = P Z ≤ σ e che, poiché Z è simmetrica, Z= P (Z ≤ −k) = P (Z ≥ k) = 1 − P (Z ≤ k) Figura 15.1: funzione di ripartizione della variabile aleatoria normale standardizzata 15.2.2 Teorema limite centrale Teorema 15.2.1 (Teorema del limite centrale). Sia Sn una variabile aleatoria somma di n variabili aleatorie indipendenti ciascuna con la stessa distribuzione di probabilità, con speranza matematica µ e varianza σ 2 . Al crescere di n, Sn tende ad assumere una distribuzione normale con media nµ e varianza nσ 2 . 507 CAPITOLO 15. DISTRIBUZIONI CONTINUE FONDAMENTALI 15.2.3 Approssimazione della distribuzione binomiale con la normale Teorema 15.2.2. Una variabile binomiale X di parametri n e p, per n tendente a +∞, tende a una distribuX − np . zione normale standardizzata Z = √ npq La variabile binomiale si può approssimare se npq > 10. 15.2.4 Approssimazione della distribuzione di Poisson con la normale Teorema 15.2.3. Una variabile di Poisson X di parametro λ, per λ tendente a +∞, tende a una distribuzione X −λ normale standardizzata Z = √ . λ 508 Capitolo 16 Geometrie non euclidee 16.1 Introduzione Euclide basò la geometria su cinque assiomi (formulati in modo un po’ diverso da quello che abbiamo visto noi): 1. Si può condurre una linea retta da un qualsiasi punto ad ogni altro punto. 2. Si può prolungare illimitatamente una retta finita in linea retta. 3. Si può descrivere un cerchio con qualsiasi centro e raggio qualsiasi. 4. Tutti gli angoli retti sono uguali fra loro. 5. Se, in un piano, una retta, intersecando due altre rette, forma con esse, da una medesima parte, angoli interni la cui somma è minore di due angoli retti, allora queste due rette, se indefinitamente prolungate, finiscono con l’incontrarsi dalla parte detta. 509 CAPITOLO 16. GEOMETRIE NON EUCLIDEE t s α α0 r Figura 16.1: quinto assioma di Euclide Il quinto assioma è molto diverso dagli altri: 1. è espresso con la forma se allora tipica dei teoremi 2. non si può verificare sperimentalmente, perché per effettuare la verifica dovremmo disporre di una regione illimitata. Il quinto assioma si può anche enunciare nella seguente forma equivalente: Assioma 16.1.1 (Quinto assioma di Euclide). Dati una retta r e un punto P , la parallela ad r per P è unica P r Figura 16.2: quinto assioma di Euclide Nei secoli, molti matematici cercarono di dimostrare il quinto assioma. Non riuscendo a dimostrarlo in modo diretto, a un certo punto, cercarono di dimostrarlo per assurdo: assunsero validi i primi quattro assiomi, negarono il quinto e cercarono di arrivare a una contraddizione. Uno di questi matematici è Giovanni Gerolamo Saccheri. Il suo scopo era 1. supporre vera la negazione del quinto assioma 510 16.2. GEOMETRIA IPERBOLICA 2. dedurre dal nuovo sistema di assiomi (i primi quattro più la negazione del quinto) tutta una serie di teoremi loro conseguenza 3. pervenire ad un assurdo In verità, egli non giunse ad alcun assurdo, ma a risultati diversi da quelli previsti dalla geometria euclidea, che ritenne inaccettabili in quanto contrari alla nostra percezione. In ogni caso, la dimostrazione per assurdo di Saccheri indicò la strada per la creazione di geometrie in cui il quinto assioma non era valido, cioè di geometrie non euclidee. Costruire una geometria basata sulla negazione del quinto assioma era molto complesso sia a livello teorico, sia a livello socio-culturale: da due millenni la geometria di Euclide era stata da tutti ritenuta l’unica valida e possibile. Il quinto assioma era poco intuitivo, ma la sua negazione lo era ancora di meno Alla scoperta di geometrie non euclidee giunsero più o meno contemporaneamente Gauss e Lobacevskij (e altri). Gauss, a causa del clima culturale del suo tempo, non pubblicò nulla di quanto andava creando. Il merito dell’elaborazione di tali geometrie andò, perciò, inizialmente a Lobacevskij. Lobacevskij ipotizzo un sistema in cui per un punto esterno ad una retta passano infinite rette parallele alla retta data, creando la geometria iperbolica. Pochi anni dopo Riemann partendo dalla premessa che non esistono rette parallele a una retta data, sviluppò la geometria ellittica. 16.2 Geometria iperbolica Ci sono alcuni modelli che descrivono la geometria iperbolica di Lobacevskij, analizziamo il modello di Poincaré e quello di Klein. Il modello di Poincarè è costruito considerando 1. come piano, la regione piana della geometria euclidea interna ad una circonferenza 2. come punto, ciascuno dei punti euclidei interni alla circonferenza 3. come retta, i diametri della circonferenza privati degli estremi e ogni arco di circonferenza con gli estremi sulla circonferenza, interno alla circonferenza, ortogonale ad essa e privato degli estremi. 511 CAPITOLO 16. GEOMETRIE NON EUCLIDEE L I K B G A N Figura 16.3: modello di Poincaré Nella figura K, L, G sono punti mentre A, B, N, I non lo sono, il diametro AB esclusi gli estremi è una retta, l’arco N I esclusi gli estremi è una retta. Il quinto assioma di Euclide non è più valido. Infatti, se con rette parallele si intende rette che non hanno punti in comune, si ha che per un punto P non appartenente alla retta r si possono condurre più rette parallele a r B C D P A I r N Figura 16.4: negazione del quinto assioma Nella figura le rette AB, CD passanti per P sono parallele a r Nella geometria iperbolica la somma degli angoli interni di un triangolo è minore di due angoli retti. 512 16.2. GEOMETRIA IPERBOLICA A t s B C r Figura 16.5: triangolo iperbolico Il modello di Klein è costruito considerando 1. come piano, la regione piana della geometria euclidea interna ad una circonferenza 2. come punto, ciascuno dei punti euclidei interni alla circonferenza 3. come retta, ciascuna corda della della circonferenza privata degli estremi L I K G B A N Figura 16.6: modello di Klein Nella figura K, L, G sono punti mentre A, B, N, I non lo sono, la corda IN esclusi gli estremi è una retta, AB è un segmento. 513 CAPITOLO 16. GEOMETRIE NON EUCLIDEE Il quinto assioma di Euclide non è più valido. Infatti, se con rette parallele si intende rette che non hanno punti in comune, si ha che per un punto P non appartenente alla retta r si possono condurre più rette parallele a r I L K B P r N A Figura 16.7: negazione del quinto assioma Nella figura le rette IA, KB, N L passanti per P sono parallele a r 16.3 Geometria ellittica La geometria ellittica si ottiene sostituendo il quinto assioma di Euclide con un nuovo assioma detto assioma di Riemann. Assioma 16.3.1 (Assioma di Riemann). Due rette qualsiasi di un piano hanno sempre almeno un punto in comune Da questo assioma segue che non esistono rette parallele. Il modello ellittico è costruito considerando 1. come piano, la superficie di una sfera 2. come punto, qualsiasi coppia di punti diametralmente opposti appartenenti alla superficie sferica 3. come retta, ogni circonferenza massima 514 16.3. GEOMETRIA ELLITTICA P2 r P1 Figura 16.8: geometria ellittica Nella figura la coppia P1 , P2 è un punto, r è una retta. Il quinto assioma di Euclide non è più valido. Infatti, se con rette parallele si intende rette che non hanno punti in comune, si ha che per un punto P1 , P2 non appartenente alla retta r non si può condurre nessuna retta parallela a r. Nella geometria ellittica la somma degli angoli interni di un triangolo è maggiore di due angoli retti, in particolare esistono triangoli con tutti e tre gli angoli retti. 90◦ 90◦ 90◦ Figura 16.9: triangolo con tre angoli retti 515 Capitolo 17 Geometria dello spazio 17.1 Introduzione Nella geometria dello spazio si assumono come termini primitivi il punto, la retta, il piano e lo spazio. Definizione 17.1.1 (Semispazio). Si dice semispazio ciascuna delle due parti in cui un piano divide lo spazio, compreso il piano. Il piano si dice origine per ciascun semispazio. 17.2 Assiomi della geometria dello spazio Assioma 1 Per tre punti non allineati passa uno e un solo piano. Assioma 2 Se due punti di una retta appartengono a un piano, allora la retta giace sul piano. Assioma 3 Ogni piano divide lo spazio in due semispazi tali che, per ogni coppia di punti P e Q non appartenenti al piano, si ha uno solo dei due seguenti casi: • se P e Q appartengono allo stesso semispazio allora il segmento P Q non interseca il piano • se P e Q appartengono a semispazi opposti allora il segmento P Q interseca il piano Teorema 17.2.1. Se due piani distinti hanno un punto in comune, allora hanno in comune una retta passante per quel punto. 17.3 17.3.1 Rette e piani Posizioni relative tra due rette Due rette nello spazio si dicono: 516 17.3. RETTE E PIANI • incidenti, se hanno un solo punto in comune • parallele, se non hanno punti in comune e giacciono sullo stesso piano oppure se sono coincidenti • sghembe, se non hanno punti in comune e non giacciono sullo stesso piano Due rette incidenti o parallele si dicono complanari. 17.3.2 Posizioni relative tra retta e piano Una retta e un piano nello spazio si dicono: • incidenti, se hanno un solo punto in comune • paralleli, se non hanno punti in comune o se la retta giace sul piano Teorema 17.3.1. Se per una retta r parallela ad un piano α si conduce un secondo piano β che interseca α secondo una retta s, allora le rette r ed s sono parallele. Dimostrazione Se r giace su α, s coincide con r e quindi r ed s sono parallele. Se r non giace su α, r e s non hanno punti in comune perché r non ha punti in comune con α; inoltre r e s sono complanari (sono contenute nel piano β) e quindi sono parallele. 17.3.3 Posizioni relative tra due piani Due piani nello spazio si dicono: • incidenti, se hanno una sola retta in comune • paralleli, se non hanno punti in comune o se sono coincidenti L’insieme di tutti i piani paralleli a un dato piano α si dice fascio improprio di piani generato da α. L’insieme di tutti i piani che hanno una retta r in comune si dice fascio proprio di piani generato da r. 17.3.4 Retta e piano perpendicolari Teorema 17.3.2. Tutte le rette perpendicolari ad una retta data in un suo punto giacciono sullo stesso piano. Definizione 17.3.1. Una retta ed un piano si dicono perpendicolari quando la retta interseca il piano ed è perpendicolare a tutte le rette del piano che passano per il punto di intersezione, detto piede della perpendicolare. 517 CAPITOLO 17. GEOMETRIA DELLO SPAZIO Teorema 17.3.3. Dati un punto e un piano, esiste una sola retta passante per il punto e perpendicolare al piano. Teorema 17.3.4. Dati un punto e una retta, esiste un solo piano passante per il punto e perpendicolare alla retta. Teorema 17.3.5. Piani perpendicolari alla stessa retta sono paralleli. Teorema 17.3.6. Rette perpendicolari allo stesso piano sono parallele. Teorema 17.3.7. Se una retta r è parallela ad una retta s e perpendicolare ad un piano α, allora s è perpendicolare ad α. Teorema 17.3.8. Se una retta r è perpendicolare ad un piano α, allora ogni piano contenente r è perpendicolare ad α. Teorema 17.3.9 (Teorema delle 3 perpendicolari). Se dal piede P di una perpendicolare r ad un piano α si conduce la perpendicolare t ad una retta qualunque s del piano, s risulta perpendicolare al piano individuato da r e t. β r s t P α Figura 17.1: teorema delle 3 perpendicolari Teorema 17.3.10 (Teorema di Talete nello spazio). Un fascio di piani paralleli determina su due rette trasversali segmenti corrispondenti direttamente proporzionali. 518 17.4. DIEDRI E ANGOLOIDI 17.3.5 Proiezioni, distanze, angoli La proiezione di un punto su un piano è il piede della perpendicolare condotta dal punto al piano. La lunghezza del segmento che ha per estremi il punto e la sua proiezione sul piano si dice distanza del punto dal piano. Se una retta è parallela ad un piano, tutti i suoi punti sono equidistanti dal piano; tale distanza si dice distanza della retta dal piano. Si dice angolo di una retta con un piano l’angolo acuto che la retta forma con la sua proiezione sul piano. Teorema 17.3.11. Date due rette a, b sghembe, esiste una e una sola retta r perpendicolare a entrambe. Si dice distanza tra due rette sghembe la lunghezza del segmento della retta perpendicolare a entrambe compreso tra le due rette. 17.4 Diedri e angoloidi Definizione 17.4.1 (Diedro). Si dice diedro ciascuna delle due parti di spazio delimitate da due semipiani che hanno la stessa origine, compresi i semipiani stessi. I due semipiani si dicono facce del diedro e la loro origine comune si dice spigolo del diedro. Definizione 17.4.2 (Sezione di un diedro). Si dice sezione di un diedro l’angolo che si ottiene intersecando il diedro con un piano non parallelo al suo spigolo. Se il piano è perpendicolare allo spigolo, la sezione si dice normale. Le sezioni normali di uno stesso diedro sono congruenti. Inoltre, diedri congruenti hanno sezioni normali congruenti e viceversa. Definizione 17.4.3 (Ampiezza di un diedro). Si dice ampiezza di un diedro l’ampiezza della sua sezione normale. Definizione 17.4.4 (Diedro retto). Si dice diedro retto un diedro la cui ampiezza è un angolo retto. Due piani incidenti si dicono perpendicolari, se formano quattro diedri retti. Definizione 17.4.5 (Angoloide). Siano α un piano, K un poligono convesso di n lati contenuto in α e V un punto non appartenente ad α. Si dice angoloide l’insieme di tutte le semirette uscenti da V e passanti per i punti di K. 519 CAPITOLO 17. GEOMETRIA DELLO SPAZIO Il punto V si dice vertice dell’angoloide, le n semirette di origine V passanti per i vertici di K si dicono spigoli, gli n angoli formati da due spigoli consecutivi si dicono facce. V K α Figura 17.2: angoloide 17.5 Prisma Definizione 17.5.1 (Prisma indefinito). Si dice prisma indefinito il solido costituito da tutte le rette parallele tra loro passanti per i punti di un poligono convesso e non contenute nel piano di questo. Le rette del prisma che passano per i vertici del poligono si dicono spigoli. L’insieme di tutte le rette del prisma che incontrano un lato del poligono formano una striscia di piano che si dice faccia. Se il poligono ha n lati e quindi n vertici, il prisma risulta delimitato da n diedri. Le sezioni di un prisma indefinito con piani paralleli tra loro sono poligoni congruenti. Definizione 17.5.2 (Prisma). Si dice prisma finito, o semplicemente prisma, la parte di prisma indefinito compresa tra due piani paralleli distinti (piani delle basi). 520 17.5. PRISMA β α Figura 17.3: prisma I poligoni contenuti nei piani delle basi si dicono basi. La distanza tra i piani delle basi si dice altezza del prisma. Le facce di un prisma sono parallelogrammi. Gli spigoli di un prisma sono congruenti. Definizione 17.5.3 (Prisma retto). Si dice prisma retto un prisma in cui gli spigoli sono perpendicolari ai piani delle basi. Le facce di un prisma retto sono rettangoli. Definizione 17.5.4 (Prisma regolare). Si dice prima regolare un prisma retto che ha come basi poligoni regolari. In un prisma regolare le facce sono rettangoli congruenti. Definizione 17.5.5 (Parallelepipedo). Si dice parallelepipedo un prisma le cui basi sono parallelogrammi. Le facce opposte di un parallelepipedo sono parallele e congruenti. Le diagonali di un parallelepipedo si intersecano nel loro punto medio, che è il centro di simmetria del parallelepipedo. Definizione 17.5.6 (Parallelepipedo rettangolo). Si dice parallelepipedo rettangolo un parallelepipedo retto le cui basi sono rettangoli. 521 CAPITOLO 17. GEOMETRIA DELLO SPAZIO Figura 17.4: parallelepipedo rettangolo Le diagonali di un parallelepipedo rettangolo sono congruenti. Definizione 17.5.7 (Cubo). Si dice cubo o esaedro regolare un parallelepipedo rettangolo con base un quadrato con gli spigoli congruenti ai lati della base. 17.6 Piramide Definizione 17.6.1 (Piramide). Dati un angoloide di vertice V e un piano α non contenente V che interseca tutti i suoi spigoli, si dice piramide l’intersezione tra l’angoloide e il semispazio di origine α che contiene V. Il punto V si dice vertice della piramide; l’intersezione tra il piano α e l’angoloide si dice base della piramide, il segmento di perpendicolare condotto dal vertice al piano α si dice altezza. La somma degli angoli delle facce di vertice quello della piramide è minore di un angolo giro. Definizione 17.6.2 (Piramide retta). Si dice piramide retta una piramide che ha per base un poligono circoscrittibile ad una circonferenza, il cui centro coincide con il piede dell’altezza. 522 17.7. POLIEDRI Figura 17.5: piramide retta In una piramide retta, il piede delle altezze della facce laterali coincide con i punti di tangenza del poligono di base con la circonferenza inscritta. Le altezze della facce laterali sono congruenti. Definizione 17.6.3 (Apotema). Si dice apotema di una piramide retta l’altezza delle facce laterali. Definizione 17.6.4 (Piramide regolare). Si dice piramide regolare una piramide retta che ha per base un poligono regolare. In una piramide regolare le facce laterali sono triangoli isosceli congruenti. Definizione 17.6.5 (Tronco di piramide). Dati una piramide di vertice V e un piano α0 non contenente V , parallelo alla base della piramide, che interseca tutti i suoi spigoli, si dice tronco di piramide l’intersezione tra la piramide e il semispazio di origine α0 non contenente V . 17.7 Poliedri Definizione 17.7.1 (Superficie poliedrica). Si dice superficie poliedrica (convessa) ogni figura formata da più poligoni convessi tali che: 1. siano a due a due non complanari 2. ogni lato sia comune a due poligoni 3. il piano di ogni poligono lasci tutti gli altri nello stesso semispazio Definizione 17.7.2 (Poliedro). Si dice poliedro la figura formata da una superficie poliedrica e da tutti i suoi punti interni. 523 CAPITOLO 17. GEOMETRIA DELLO SPAZIO I poligoni, i loro vertici e i loro lati, sono rispettivamente le facce, i vertici e gli spigoli del poliedro. I prismi, le piramidi e i tronchi di piramide sono dei poliedri. Teorema 17.7.1 (Teorema di Eulero). Indicati con f, v, s rispettivamente il numero di facce, di vertici e di spigoli di un poliedro, risulta f + v = s + 2. I poliedri si distinguono in tetraedri, pentaedri, esaedri, ecc. in base al numero della facce. Definizione 17.7.3 (Poliedro regolare). Un poliedro si dice regolare se le sue facce sono poligoni regolari congruenti e tale che in ogni suo vertice concorra lo stesso numero di facce Dato un poliedro, in ogni vertice V devono convergere almeno tre facce non complanari e la somma degli angoli delle facce di vertice V deve essere minore di un angolo giro. Poiché un triangolo equilatero ha angoli di 60◦ , si possono ottenere tre poliedri regolari, rispettivamente con 3,4 o 5 triangoli che convergono in un vertice. Poiché un quadrato ha angoli di 90◦ si può ottenere un poliedro regolare con 3 quadrati che convergono in un vertice. Poiché un pentagono regolare ha angoli di 108◦ si può ottenere un poliedro regolare con 3 pentagoni che convergono in un vertice. Poiché un esagono regolare ha angoli di 120◦ non si può ottenere un poliedro regolare. A magggior ragione non esiste un poliedro regolare avente come facce poligoni con più di 6 lati. Quindi esistono solo 5 poliedri regolari: tetraedro regolare (4 facce triangolari); ottaedro regolare (8 facce triangolari); icosaedro regolare (20 facce triangolari); esaedro regolare o cubo (6 facce quadrate); dodecaedro regolare (12 facce pentagonali). I poliedri regolari sono anche detti solidi platonici. 17.8 Cilindro Definizione 17.8.1 (Cilindro indefinito). Si dice cilindro indefinito il solido costituito da tutte le rette parallele tra loro passanti per i punti di un cerchio e non contenute nel piano di questo. Le rette del cilindro indefinito che passano per i punti della circonferenza si dicono generatrici e la circonferenza si dice direttrice. Definizione 17.8.2 (Cilindro). Si dice cilindro finito o semplicemente cilindro la parte di cilindro indefinito compresa tra due piani distinti paralleli a quello della direttrice (piani delle basi). I cerchi contenuti nei piani delle basi si dicono basi. La distanza tra i piani delle basi si dice altezza del cilindro. Definizione 17.8.3 (Cilindro retto). Si dice cilindro retto un cilindro in cui le generatrici sono perpendicolari ai piani delle basi. 524 17.9. CONO Il cilindro retto si può vedere come solido ottenuto dalla rotazione di un rettangolo attorno ad uno dei suoi lati. Definizione 17.8.4 (Cilindro equilatero). Si dice cilindro equilatero un cilindro retto in cui l’altezza è congruente al diametro della base. 17.9 Cono Definizione 17.9.1 (Cono indefinito). Siano α un piano, K un cerchio contenuto in α e V un punto non appartenente ad α. Si dice cono indefinito l’insieme di tutte le semirette uscenti da V e passanti per i punti di K. Il punto V si dice vertice del cono indefinito; le semirette del cono indefinito che passano per i punti della circonferenza si dicono generatrici; la circonferenza si dice direttrice. Definizione 17.9.2 (Cono). Dati un cono indefinito di vertice V e un piano α parallelo a quello della direttrice, si dice cono finito o semplicemente cono l’intersezione tra il cono indefinito e il semispazio di origine α che contiene V . Il punto V si dice vertice del cono; l’intersezione tra il piano α e il cono indefinito si dice base del cono; il segmento di perpendicolare condotto dal vertice al piano α si dice altezza. Definizione 17.9.3 (Cono retto). Si dice cono retto un cono in cui la semiretta del cono passante per il centro della direttrice è perpendicolare al piano della direttrice. Il cono retto si può vedere come solido ottenuto dalla rotazione di un triangolo rettangolo attorno ad uno dei suoi cateti. Definizione 17.9.4 (Apotema). Si dice apotema di un cono retto ogni segmento che ha per estremi il vertice e un punto della direttrice. Definizione 17.9.5 (Cono equilatero). Si dice cono equilatero un cono retto in cui l’apotema è congruente al diametro della base. Definizione 17.9.6 (Tronco di cono). Dati un cono di vertice V e un piano α0 che interseca il cono, non contenente V e parallelo alla base, si dice tronco di cono l’intersezione tra il cono e il semispazio di origine α0 non contenente V . Il tronco di cono retto si può vedere come solido ottenuto dalla rotazione di un trapezio rettangolo attorno al lato perpendicolare alle basi. 525 CAPITOLO 17. GEOMETRIA DELLO SPAZIO 17.10 Sfera Definizione 17.10.1 (Superficie sferica). Si dice superficie sferica di centro C il luogo dei punti dello spazio equidistanti da C. La distanza tra ciascun punto della superificie sferica e il centro si dice raggio. Definizione 17.10.2 (Sfera). Si dice sfera la figura formata da una superficie sferica e dai suoi punti interni. Il centro e il raggio della superficie sferica sono il centro e il raggio della sfera. La sfera si può vedere come solido ottenuto dalla rotazione di un cerchio attorno a un suo diametro. Definizione 17.10.3 (Calotta sferica). Si dice calotta sferica ciascuna delle parti in cui una superficie sferica è divisa da un piano secante. La circonferenza intersezione tra il piano e la superficie sferica si dice base della calotta sferica. Definizione 17.10.4 (Segmento sferico). Si dice segmento sferico ciascuna delle parti in cui una sfera è divisa da un piano secante. Si dice base del segmento sferico il cerchio intersezione tra il piano e la sfera. Si dice asse della calotta o del segmento sferico la retta passante per il centro della sfera perpendicolare al piano della base. Si dice altezza della calotta o del segmento sferico la distanza tra il punto di intersezione tra l’asse e la calotta e il piano della base. Definizione 17.10.5 (Zona sferica). Si dice zona sferica la parte di superficie sferica delimitata da due piani secanti paralleli. Le circonferenze intersezione tra i piani e la superficie sferica si dicono basi della zona sferica. Definizione 17.10.6 (Segmento sferico a due basi). Si dice segmento sferico a due basi la parte di sfera delimitata da due piani secanti paralleli. Si dicono basi del segmento sferico a due basi i cerchi intersezione tra i piani e la sfera. Si dice asse della zona sferica o del segmento sferico a due basi la retta passante per il centro della sfera perpendicolare ai piani delle basi. Si dice altezza della zona sferica o del segmento sferico a due basi la distanza tra i due piani delle basi. Definizione 17.10.7 (Settore sferico). Si dice settore sferico la parte di sfera formata da un segmento sferico e dal cono avente come vertice il centro della sfera e come base la base del segmento. Definizione 17.10.8 (Fuso sferico). Si dice fuso sferico la parte di superficie sferica delimitata da due semipiani aventi per origine lo stesso diametro. 526 17.11. PRINCIPIO DI CAVALIERI Definizione 17.10.9 (Spicchio sferico). Si dice spicchio sferico la parte di sfera delimitata da due semipiani aventi per origine lo stesso diametro. La sezione normale del diedro delimitato dai due semipiani si dice angolo del fuso e dello spicchio. 17.11 Principio di Cavalieri Definizione 17.11.1 (Solidi equivalenti). Due solidi si dicono equivalenti se hanno lo stesso volume. Teorema 17.11.1 (Principio di Cavalieri). Se due solidi si possono disporre, rispetto a un piano dato, in modo che le loro sezioni con piani paralleli a quello dato siano equivalenti, allora i due solidi sono equivalenti. 17.12 Aree e volumi 17.12.1 Prisma retto h Figura 17.6: prisma retto L’area laterale di un prisma retto è uguale al prodotto del perimetro di base per l’altezza: Al = pb h L’area totale di un prisma retto è uguale alla somma dell’area laterale e del doppio dell’area di base: At = Al + 2Ab Il volume di un prisma retto è uguale al prodotto dell’area di base per l’altezza: V = Ab h 527 CAPITOLO 17. GEOMETRIA DELLO SPAZIO 17.12.2 Piramide retta h a r Figura 17.7: piramide retta L’area laterale di una piramide retta è uguale al prodotto del semiperimetro di base per l’apotema: 1 A l = pb a 2 L’area totale di una piramide retta è uguale alla somma dell’area laterale e dell’area di base: At = Al + Ab Il volume di una piramide retta è uguale alla terza parte del prodotto dell’area di base per l’altezza: 1 V = Ab h 3 Osservazione In una piramide retta il quadrato dell’apotema è uguale alla somma dei quadrati dell’altezza e del raggio del cerchio inscritto nella base: a2 = h2 + r2 528 17.12. AREE E VOLUMI 17.12.3 Tronco di piramide retta a h Figura 17.8: tronco di piramide retta L’area laterale di un tronco di piramide retta è uguale prodotto della somma dei semiperimetri di base per l’apotema: 1 Al = (pb + pb0 )a 2 L’area totale di un tronco di piramide retta è uguale alla somma dell’area laterale e delle aree delle due basi: At = Al + Ab + Ab0 Il volume di un tronco di piramide retta è uguale alla terza parte del prodotto della somma delle aree delle due basi e della radice del loro prodotto per l’altezza: » 1 V = (Ab + Ab0 + Ab Ab0 )h 3 17.12.4 Cilindro retto h r Figura 17.9: cilindro retto 529 CAPITOLO 17. GEOMETRIA DELLO SPAZIO L’area laterale di un cilindro retto è uguale al prodotto della lunghezza della circonferenza di base per l’altezza: Al = 2πrh L’area totale di un cilindro retto è uguale alla somma dell’area laterale e delle aree delle due basi: At = Al + 2Ab = 2πrh + 2πr2 = 2πr(h + r) Il volume di un cilindro retto è uguale al prodotto dell’area di base per l’altezza: V = Ab h = πr2 h 17.12.5 Cono retto h a r Figura 17.10: cono retto L’area laterale di un cono retto è uguale al prodotto della lunghezza della semicirconferenza di base per l’apotema: Al = πra L’area totale di un cono retto è uguale alla somma dell’area laterale e dell’area di base: At = Al + Ab = πra + πr2 = πr(a + r) Il volume di un cono retto è uguale alla terza parte del prodotto dell’area di base per l’altezza: 1 1 V = Ab h = πr2 h 3 3 Osservazione In un cono retto il quadrato dell’apotema è uguale alla somma dei quadrati dell’altezza e del raggio della base: a2 = h2 + r2 530 17.12. AREE E VOLUMI 17.12.6 Tronco di cono retto r0 h a r Figura 17.11: tronco di cono retto L’area laterale di un tronco di cono retto è uguale al prodotto della somma delle lunghezze delle semicirconferenze di base per l’apotema: Al = π(r + r0 )a L’area totale di un tronco di cono retto è uguale alla somma dell’area laterale e delle aree delle due basi: At = Al + Ab + Ab0 = π(r + r0 )a + πr2 + πr02 Il volume di un tronco di cono retto è uguale alla terza parte del prodotto della somma delle aree delle due basi e della radice del loro prodotto per l’altezza: » 1 π 1 V = (Ab + Ab0 + Ab Ab0 )h = (πr2 + πr02 + πr0 r)h = (r2 + r02 + r0 r)h 3 3 3 17.12.7 Sfera r Figura 17.12: sfera 531 CAPITOLO 17. GEOMETRIA DELLO SPAZIO L’area di una sfera è: A = 4πr2 Il volume di una sfera è: 4 V = πr3 3 17.12.8 Segmento sferico Q1 h r Figura 17.13: segmento sferico L’area laterale di un segmento sferico è: Al = 2πrh L’area totale di un segmento sferico è: At = Al + Ab Il volume di un segmento sferico è: 1 V = πh2 (3r − h) 3 532 17.12. AREE E VOLUMI 17.12.9 Spicchio sferico Q1 r α Figura 17.14: spicchio sferico L’area di uno spicchio sferico è: A = 2αr2 + πr2 Il volume di uno spicchio sferico è: 2 V = αr3 3 dove α è l’angolo dello spicchio espresso in radianti. 533 Appendice A Potenza del continuo A.1 Insiemi finiti e infiniti Definizione A.1.1 (Insieme infinito). Un insieme si dice infinito se esiste una biezione tra esso e un suo sottoinsieme proprio. Esempio A.1.1. Dato l’insieme N dei numeri naturali consideriamo l’insieme P dei numeri pari e la funzione f :N→P definita nel seguente modo f (x) = 2x Poiché f è una biiezione e P è un sottoinsieme proprio di N, l’insieme dei numeri naturali è infinito Definizione A.1.2 (Insieme finito). Un insieme si dice finito se non esiste una biezione tra esso e qualsiasi suo sottoinsieme proprio. Esempio A.1.2. L’insieme A = {1, 2, 3} è finito perché non esiste alcuna biiezione tra esso e un qualunque suo sottoinsieme proprio A.2 Cardinalità Definizione A.2.1 (Cardinalità). Si dice che gli insiemi A e B hanno la stessa cardinalità o potenza o stesso numero cardinale se esiste una biezione tra a A e B Esempio A.2.1. 534 A.3. NUMERABILITÀ • Gli insiemi N e P hanno la stessa cardinalità perché esiste la biezione f :N→P definita da f (x) = 2x • Gli insiemi N e N0 hanno la stessa cardinalità perché esiste la biezione f : N → N0 definita da f (x) = x + 1 • Ogni insieme finito A ha la stessa cardinalità di un insieme che ha lo stesso numero di elementi di A Definizione A.2.2 (Ordinamento dei numeri cardinali). Si dice che l’insieme A ha cardinalità minore o uguale di quella di un insieme B se esiste una biezione tra A e un sottoinsieme di B Osservazione Un insieme A ha cardinalità minore di quella di un insieme B se ha cardinalità minore o uguale e non esiste una biezione tra A e B Teorema A.2.1. Ogni insieme A ha una cardinalità minore di quella di P (A) A.3 Numerabilità Definizione A.3.1 (Numerabilità). Si dice che un insieme A è numerabile se ha la stessa cardinalità di N Esempio A.3.1. Gli insiemi P, N sono numerabili A.3.1 Proprietà degli insiemi numerabili Teorema A.3.1. L’unione di due insiemi numerabili è un insieme numerabile Teorema A.3.2. L’unione di un insieme numerabile e di uno finito è un insieme numerabile 535 APPENDICE A. POTENZA DEL CONTINUO A.3.2 Numerabilità dell’insieme dei numeri interi Teorema A.3.3 (Numerabilità dell’insieme dei numeri interi). L’insieme Z è numerabile Dimostrazione Consideriamo la funzione f : Z → N definita nel seguente modo: 2x + 2 f (x) = se x > 0 −2x − 1 se x < 0 Poiché f è una biiezione Z e N hanno la stessa cardinalità e quindi Z è numerabile A.3.3 Numerabilità dell’insieme dei numeri razionali Teorema A.3.4 (Numerabilità dell’insieme dei numeri razionali). L’insieme Q è numerabile Dimostrazione Consideriamo l’insieme Q+ dei numeri razionali positivi. a Ogni numero razionale positivo può essere scritto nella forma , dove a e b sono numeri b interi positivi. Tutti i numeri razionali positivi possono venire, quindi, disposti secondo il seguente schema. 1 1 1 2 ↓ 1 3 → . % . 1 4 ↓ % ··· ··· Dallo schema 2 1 2 2 2 3 2 4 % . % 3 1 3 2 3 3 3 4 → . % . . % ··· ··· ··· ··· precedente si ha 4 1 4 2 4 3 4 4 ··· % . % . ··· 5 1 5 2 → ··· . ··· ··· % 5 3 ··· ··· . 5 4 ··· ··· % ··· ··· 1 2 1 1 2 3 4 3 2 1 , , , , , , , , , ,... 1 1 2 3 2 1 1 2 3 4 Eliminando le frazioni equilaventi si ottiene 1 2 1 1 3 4 3 2 1 , , , , , , , , ,... 1 1 2 3 1 1 2 3 4 Consideriamo la funzione f : Q+ → N0 che associa: 1 a1 1 536 ··· ··· A.4. NUMERI ALGEBRICI E TRASCENDENTI 2 a 1 1 a 2 1 a 3 3 a 1 4 a 1 3 a 2 2 a 3 1 a 4 ... 2 3 4 5 6 7 8 9 Poiché f è una biiezione Q+ ha la stessa cardinalità di N0 e quindi di N pertanto Q+ è numerabile. In modo analogo si dimostra che Q− . Poiché Q = Q+ ∪ Q− ∪ {0}, Q è numerabile. A.4 Numeri algebrici e trascendenti Definizione A.4.1 (Numero algebrico). Si dice numero algebrico un numero reale o complesso che è soluzione dell’equazione an xn + . . . + a1 x + a0 = 0 con a0 , . . . , an ∈ Z Esempio A.4.1. • 5 è un numero algebrico perché è soluzione dell’equazione x − 5 = 0 • −2 è un numero algebrico perché è soluzione dell’equazione x + 2 = 0 2 è un numero algebrico perché è soluzione dell’equazione 3x − 2 = 0 3 √ • 2 è un numero algebrico perché è soluzione dell’equazione x2 − 2 = 0 √ • 3 2 è un numero algebrico perché è soluzione dell’equazione x3 − 2 = 0 • • i è un numero algebrico perché è soluzione dell’equazione x2 + 1 = 0 Definizione A.4.2 (Numero trascendente). Un numero reale o complesso si dice trascendente se non è algebrico Esempio A.4.2. √ I numeri e, π, eπ , 2 2 sono trascendenti Teorema A.4.1 (Numerabilità dell’insieme dei numeri algebrici). L’insieme dei numeri algebrici è numerabile 537 APPENDICE A. POTENZA DEL CONTINUO A.5 Potenza del continuo Dimostrata la numerabilità dell’insieme dei numeri razionali e dell’insieme dei numeri algebrici si potrebbe supporre che ogni insieme infinito sia numerabile. Questo non è vero. Teorema A.5.1. L’insieme R ha la stessa cardinalità di P (N) Poiché la cardinalità di N è minore della cardinalità di P (N), l’insieme dei numeri reali non è numerabile. La potenza dei numeri reali, superiore alla potenza dei numeri naturali, viene detta potenza del continuo. A.5.1 Ipotesi del continuo Abbiamo visto che la potenza dei numeri reali è superiore alla potenza dei numeri naturali. Georg Cantor ha ipotizzato che: Non esiste nessun insieme la cui potenza è strettamente compresa fra quella dei numeri interi e quella dei numeri reali. Tale ipotesi viene detta ipotesi del continuo. 538 Appendice B Problemi classici della geometria euclidea B.1 Introduzione I problemi classici della geometria euclidea sono: 1. duplicazione del cubo 2. trisezione dell’angolo 3. quadratura del cerchio Il primo problema consiste nel determinare il lato di un cubo il cui volume sia doppio di quello di un cubo dato. Il secondo problema consiste nel costruire un angolo uguale alla terza parte di un angolo dato. Il terzo problema consiste nel determinare un quadrato avente area uguale a quella di un cerchio dato . La risoluzione di questi problemi, per i matematici greci, andava fatta unicamente con la riga e con il compasso (per riga si intende una sbarra dritta, senza graduazione, usata unicamente per tracciare linee rette). Si dimostra che con riga e compasso si può: 1. costruire su una semiretta un segmento di lunghezza uguale a quella di un segmento assegnato 2. tracciare da un punto non appartenente a una retta la parallela e la perpendicolare alla retta data. 3. costruire su una semiretta un angolo di ampiezza uguale a quella di un angolo assegnato 4. determinare il punto medio di un segmento 5. determinare la bisettrice di un angolo Per secoli i matematici hanno cercato di risolvere con riga e compasso i problemi classi, ma nel diciannovesimo secolo si è dimostrata la loro non risolubilità con riga e compasso. 539 APPENDICE B. PROBLEMI CLASSICI DELLA GEOMETRIA EUCLIDEA B.2 Numeri costruibili Definizione B.2.1 (Numeri costruibili). Fissato nel piano un segmento di lunghezza unitaria, un numero reale a si dice costruibile se è possibile costruire con riga e compasso un segmento di lunghezza uguale a |a| Teorema B.2.1 (Numeri costruibili). 1. i numeri interi sono costruibili 2. la somma, la differenza, il prodotto e il rapporto di due numeri reali costruibili sono costruibili. 3. i numeri razionali sono costruibili 4. la radice quadrata di un numero reale positivo costruibile è costruibile Dimostriamo l’ultima affermazione. P √ B a A 1 r M C a Figura B.1: radice quadrata di a Dato il numero reale positivo costruibile a, siano A, B, C i punti della retta r tali che AB = 1 e AC = a. Detto M il punto medio del segmento BC, tracciamo la semicirconferenza di centro M passante per B. Tracciamo la perpendicolare alla retta r passante per A che interseca la semicirconferenza nel punto P . Poiché triangolo P BC è rettangolo in P perché inscritto in una semicirconferenza, applicando il secondo teorema di Euclide si ha 2 AP = ABAC = 1a = a da cui AP = √ a Teorema B.2.2. Se un numero è costruibile allora è algebrico 540 B.3. DUPLICAZIONE DEL CUBO Quindi i numeri trascendenti non sono costruibili. Il teorema non si può invertire, cioè esistono numeri algebrici che non sono costruibili Teorema √ B.2.3. Il numero 3 2 non è costruibile Teorema B.2.4. Se l’equazione ax3 + bx2 + cx + d = 0 con a, b, c, d ∈ Q ∧ a 6= 0 non ammette radici razionali, allora nessuna delle sue radici è un numero costruibile B.3 Duplicazione del cubo Il problema della duplicazione del cubo è anche detto problema di Delo. Delo è un’isola greca dove esistevano due templi dedicati ad Apollo e Latona, ed era famosa per l’oracolo detto appunto di Delo. Nel quinto secolo avanti Cristo una terribile peste eliminò un quarto della popolazione di Atene. Per far cessare l’epidemia l’oracolo chiese di raddoppiare il volume dell’altare di Apollo, mantenendo la sua forma cubica. La popolazione di Delo, poco esperta di matematica, raddoppiò gli spigoli del cubo e l’epidemia peggiorò. Il popolo consultò Platone, il quale rispose che Apollo aveva voluto punire la loro ignoranza, perché avevano costruito un altare cubico di volume otto volte il precedente e non doppio. Analiticamente, se a è la misura del lato del cubo dato e x quella del lato del cubo di volume doppio, si ha x3 = 2a3 Nel caso in cui a = 1 la relazione precedente diventa x3 = 2 da cui √ 3 x= 2 Poiché il numero B.4 √ 3 2 non è costruibile non è possibile duplicare il cubo con riga e compasso. Trisezione dell’angolo Il problema di costruire un angolo uguale alla terza parte di un angolo dato con riga e compasso è risolubile per alcuni angoli (per esempio 90◦ , 180◦ ) ma non per tutti. Analiticamente, se α è la misura del angolo dato e x quella della terza parte si ha x= α 3 541 APPENDICE B. PROBLEMI CLASSICI DELLA GEOMETRIA EUCLIDEA da cui cos(x) = cos α 3 Å ã Poiché cos(3θ) = 4 cos3 (θ) − 3 cos(θ) per θ = α si ha 3 cos(α) = 4 cos3 Å ã α α − 3 cos 3 3 Å ã e quindi cos(α) = 4 cos3 (x) − 3 cos(x) Nel caso in cui α = 60◦ la relazione precedente diventa 1 = 4 cos3 (x) − 3 cos(x) 2 posto cos(x) = y si ottiene l’equazione algebrica 8y 3 − 6y − 1 = 0 Utilizzando la regola di Ruffini si dimostra che l’equazione non ammette soluzioni razionali, quindi nessuna soluzione reale è costruibile e non è possibile effettuare la trisezione dell’angolo di 60◦ . B.5 Quadratura del cerchio Analiticamente, se r è la misura del raggio del cerchio dato e x quella del lato del quadrato di area uguale si ha x2 = πr2 Nel caso in cui r = 1 la relazione precedente diventa x2 = π da cui √ x= π Nel 1882 Ferdinand von Lindemann dimostrò che π è un numero trascendente e quindi non costruibile.√ Il numero π non è costruibile, altrimenti lo sarebbe anche π. 542 Indice I CLASSE PRIMA RIASSUNTO 1 1 Logica 1.1 Teoria matematica . . . . . . . . . . . . . 1.2 Proposizioni . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3 Connettivi . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3.1 Connettivo non . . . . . . . . . . . 1.3.2 Connettivo e . . . . . . . . . . . . . 1.3.3 Connettivo o . . . . . . . . . . . . 1.4 Espressioni logiche . . . . . . . . . . . . . 1.4.1 Tautologie e contraddizioni . . . . . 1.5 Proprietà delle operazioni logiche . . . . . 1.6 Proposizioni aperte e quantificatori . . . . 1.6.1 Proposizioni aperte . . . . . . . . . 1.6.2 Quantificatori . . . . . . . . . . . . 1.7 Implicazione logica . . . . . . . . . . . . . 1.8 Equivalenza logica o biimplicazione logica 1.9 Dimostrazione per assurdo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 2 2 3 3 3 4 4 4 4 5 5 6 6 6 7 . . . . . . . . . . . . . . 8 8 8 8 9 9 9 10 10 10 11 11 12 12 12 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 Insiemi 2.1 Rappresentazione degli insiemi . . . . . . . . . . . . . . . 2.2 Insiemi particolari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.3 Inclusione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.4 Insieme delle parti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.5 Operazioni tra insiemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.5.1 Unione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.5.2 Intersezione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.5.3 Differenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.5.4 Insieme complementare . . . . . . . . . . . . . . . 2.5.5 Proprietà delle operazioni tra insiemi . . . . . . . 2.6 Partizione di un insieme . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.7 Prodotto cartesiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.7.1 Rappresentazione grafica del prodotto cartesiano . 2.7.2 Prodotto cartesiano di più insiemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 Relazioni tra due insiemi 13 3.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 543 INDICE 3.2 3.3 3.4 3.5 Grafo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Rapprentazione grafica di una relazione Relazione inversa . . . . . . . . . . . . Tipi di relazioni . . . . . . . . . . . . . 3.5.1 Relazioni ovunque definite . . . 3.5.2 Relazioni funzionali . . . . . . . 3.5.3 Relazioni suriettive . . . . . . . 3.5.4 Relazioni iniettive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 14 14 14 14 14 14 14 4 Relazioni in un insieme 4.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . 4.2 Proprietà delle relazioni in un insieme . . 4.2.1 Proprietà riflessiva . . . . . . . . 4.2.2 Proprietà antiriflessiva . . . . . . 4.2.3 Proprietà simmetrica . . . . . . . 4.2.4 Proprietà antisimmetrica . . . . . 4.2.5 Proprietà transitiva . . . . . . . . 4.3 Relazione d’ordine . . . . . . . . . . . . 4.3.1 Massimo e minimo di un insieme 4.4 Relazione di equivalenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15 15 15 15 15 16 16 16 16 17 17 . . . . . . . . . 18 18 18 18 19 19 20 20 21 21 . . . . . . . . . . 23 23 23 23 24 25 25 25 25 26 26 5 Numeri naturali 5.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.2 Addizione e moltiplicazione . . . . . . . . . . . . . . 5.2.1 Proprietà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.3 Relazioni nell’insieme dei numeri naturali . . . . . . . 5.3.1 Relazioni minore e maggiore . . . . . . . . . . 5.3.2 Relazioni divisore e multiplo . . . . . . . . . . 5.4 Criteri di divisibilità . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.5 Numeri primi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.6 Massimo comune divisore e minimo comune multiplo 6 Numeri interi 6.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.2 Addizione e moltiplicazione . . . . . . . . . . . . . . 6.2.1 Proprietà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.2.2 Numeri interi concordi e discordi . . . . . . . 6.3 Sottrazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.4 Relazioni nell’insieme dei numeri interi . . . . . . . . 6.4.1 Relazioni minore e maggiore . . . . . . . . . . 6.4.2 Relazioni divisore e multiplo . . . . . . . . . . 6.5 Valore assoluto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.6 Massimo comune divisore e minimo comune multiplo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 Numeri razionali 27 7.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27 544 INDICE 7.2 7.3 7.4 7.5 7.6 7.7 Addizione e moltiplicazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.2.1 Proprietà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.2.2 Numeri razionali concordi e discordi . . . . . . . . . . 7.2.3 Proprietà invariantiva . . . . . . . . . . . . . . . . . Divisione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Relazioni minore e maggiore nell’insieme dei numeri razionali 7.4.1 Ordinamento dei numeri razionali . . . . . . . . . . . 7.4.2 Compatibilità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Densità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Numeri decimali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.6.1 Trasformazione dei numeri decimali in frazione . . . . 7.6.2 Notazione scientifica . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.6.3 Ordine di grandezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . Rapporti e proporzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.7.1 Proprietà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.7.2 Percentuali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8 Numeri reali 8.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.2 Numeri irrazionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.3 Insieme dei numeri reali . . . . . . . . . . . . . . . 8.4 Addizione e moltiplicazione . . . . . . . . . . . . . 8.5 Sottrazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.6 Divisione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.7 Relazioni minore e maggiore nell’insieme dei numeri 8.7.1 Compatibilità . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.8 Continuità dei numeri reali . . . . . . . . . . . . . . 8.9 Approssimazione dei numeri reali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . reali . . . . . . . . . 9 Monomi e polinomi 9.1 Monomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9.1.1 Monomi in forma normale . . . . . . . . . . . . 9.1.2 Grado di un monomio . . . . . . . . . . . . . . 9.1.3 Monomi simili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9.2 Addizione di monomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9.3 Opposto di un monomio . . . . . . . . . . . . . . . . . 9.4 Moltiplicazione di monomi . . . . . . . . . . . . . . . . 9.4.1 Legge di annullamento del prodotto . . . . . . . 9.5 Elevamento a potenza di monomi . . . . . . . . . . . . 9.6 Divisione di monomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9.7 Massimo comune divisore e minimo comune multiplo di 9.8 Polinomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9.8.1 Polinomi in forma normale . . . . . . . . . . . . 9.8.2 Grado di un polinomio . . . . . . . . . . . . . . 9.8.3 Polinomi omogenei, ordinati, completi . . . . . . 9.9 Opposto di un polinomio . . . . . . . . . . . . . . . . . 545 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . monomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27 27 29 29 29 30 30 30 31 31 32 33 33 33 34 35 . . . . . . . . . . 36 36 36 37 37 38 39 39 39 39 40 . . . . . . . . . . . . . . . . 41 41 41 41 41 41 42 42 42 42 42 43 43 43 43 44 44 INDICE 9.10 Moltiplicazione di polinomi . . . . . . . . 9.11 Prodotti notevoli . . . . . . . . . . . . . 9.11.1 Somma di due monomi per la loro 9.11.2 Quadrato di un binomio . . . . . 9.11.3 Quadrato di un trinomio . . . . . 9.11.4 Cubo di un binomio . . . . . . . 9.11.5 Potenza di un binomio . . . . . . 9.12 Polinomi come funzioni . . . . . . . . . . 9.12.1 Principio di identità dei polinomi 9.13 Divisione di polinomi . . . . . . . . . . . 9.13.1 Regola di Ruffini . . . . . . . . . 9.13.2 Teorema del resto . . . . . . . . . 9.13.3 Teorema di Ruffini . . . . . . . . 9.13.4 Divisibilità di binomi notevoli . . . . . . . . . . . . . . differenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10 Scomposizione di polinomi 10.1 Metodi di scomposizione dei polinomi . . . . . . . . . . 10.1.1 Raccoglimento a fattor comune totale . . . . . . 10.1.2 Raccoglimento a fattor comune parziale . . . . . 10.1.3 Scomposizione mediante prodotti notevoli . . . 10.1.4 Trinomio particolare . . . . . . . . . . . . . . . 10.1.5 Scomposizione con la regola di Ruffini . . . . . 10.2 Osservazioni conclusive sulla scomposizione . . . . . . . 10.3 Massimo comune divisore e minimo comune multiplo di 11 Frazioni algebriche 11.1 Le frazioni algebriche come funzioni . . . . . 11.2 Semplificazione di frazioni algebriche . . . . 11.3 Addizione algebrica di frazioni algebriche . . 11.4 Moltiplicazione di frazioni algebriche . . . . 11.5 Divisione di frazioni algebriche . . . . . . . . 11.6 Frazione di frazioni algebriche . . . . . . . . 11.7 Elevamento a potenza di frazioni algebriche 12 Geometria piana 12.1 Introduzione . . . . . . . . . 12.2 Assiomi di appartenenza . . 12.3 Assiomi di ordinamento . . 12.4 Semiretta, segmento, angolo 12.5 Relazione di congruenza . . 12.5.1 Lunghezza . . . . . . 12.5.2 Ampiezza . . . . . . 12.6 Punto medio . . . . . . . . . 12.7 Bisettrice . . . . . . . . . . 12.8 Angolo retto, acuto, ottuso . 12.9 Rette perpendicolari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 546 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . polinomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44 44 44 45 45 45 45 46 46 47 49 50 51 51 . . . . . . . . 52 52 52 52 53 54 54 55 55 . . . . . . . 57 57 57 58 58 59 59 59 . . . . . . . . . . . 61 61 61 61 62 64 64 64 65 65 65 65 INDICE 12.10Retta perpendicolare passante per un punto e distanza 12.11Asse di un segmento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12.12Angoli complementari, supplementari, esplementari . . 12.13Angoli opposti al vertice . . . . . . . . . . . . . . . . . 12.14Triangoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12.15Mediane, bisettrici, altezze, assi . . . . . . . . . . . . . 12.16Criteri di congruenza dei triangoli . . . . . . . . . . . . 12.17Proprietà dei triangoli isosceli . . . . . . . . . . . . . . 12.18Disuguaglianze nei triangoli . . . . . . . . . . . . . . . 12.19Assioma di Euclide . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12.20Rette parallele tagliate da una trasversale . . . . . . . 12.21Applicazioni del parallelismo ai triangoli . . . . . . . . 12.22Triangoli rettangoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12.23Asse di un segmento e bisettrice di un angolo . . . . . . 12.24Quadrilateri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12.25Parallelogrammi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12.26Rettangoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12.27Rombi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12.28Quadrati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12.29Trapezi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12.30Caso particolare del teorema di Talete . . . . . . . . . 13 Equazioni di primo grado 13.1 Risolubilità di un’equazione . . . . . . . . . 13.1.1 Equazione impossibile . . . . . . . . 13.1.2 Equazione determinata . . . . . . . . 13.1.3 Equazione indeterminata . . . . . . . 13.1.4 Identità . . . . . . . . . . . . . . . . 13.2 Principi di equivalenza delle equazioni . . . 13.2.1 Primo principio di equivalenza . . . 13.2.2 Secondo principio di equivalenza . . . 13.3 Forma normale di un’equazione . . . . . . . 13.4 Grado di un’equazione . . . . . . . . . . . . 13.5 Risoluzione delle equazioni numeriche intere 13.6 Risoluzione delle equazioni numeriche fratte II . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65 65 66 66 66 67 67 68 68 68 69 70 70 70 70 71 71 71 72 72 72 . . . . . . . . . . . . 73 73 73 73 73 73 73 73 74 74 74 74 75 CLASSE SECONDA 77 1 Sistemi di primo grado 1.1 Introduzione . . . . . . . . . . 1.2 Soluzioni di un sistema . . . . 1.3 Risolubilità di un sistema . . 1.3.1 Sistema impossibile . . 1.3.2 Sistema determinato . 1.3.3 Sistema indeterminato 547 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 78 78 78 78 78 78 79 INDICE . . . . . . . . . . . 79 79 79 79 80 80 80 80 81 82 82 2 Radicali 2.1 Radice ennesima aritmetica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2 Estensione in R dei radicali con indice dispari . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.3 Condizioni di esistenza dei radicali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.4 Proprietà invariantiva dei radicali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.5 Riduzione di più radicali allo stesso indice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.6 Ordinamento di radicali numerici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.7 Semplificazione di radicali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.8 Moltiplicazione di radicali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.9 Divisione di radicali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.10 Trasporto di un fattore dentro il segno di radice . . . . . . . . . . . . . . . . 2.11 Trasporto di un fattore fuori dal segno di radice . . . . . . . . . . . . . . . . 2.12 Elevamento a potenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.13 Radice di radice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.14 Radicali simili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.15 Addizione algebrica di radicali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.16 Razionalizzazione dei denominatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.16.1 Primo caso: il denominatore è una radice quadrata . . . . . . . . . . 2.16.2 Secondo caso: il denominatore è una radice ennesima . . . . . . . . . 2.16.3 Terzo caso: il denominatore è una somma o differenza di due radicali quadratici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.16.4 Quarto caso: il denominatore è una somma o differenza di due radicali cubici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.17 Radicali doppi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.18 I radicali come potenze con esponente razionale . . . . . . . . . . . . . . . . 84 84 84 85 85 85 86 86 87 87 87 88 89 89 89 89 90 90 90 3 Equazioni di secondo grado 3.1 Equazioni di secondo grado spurie . . . . . . . . . . . 3.2 Equazioni di secondo grado pure . . . . . . . . . . . . 3.3 Equazioni di secondo grado complete . . . . . . . . . 3.3.1 Formula ridotta . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.4 Relazioni fra soluzioni e coefficienti di un’equazione di 3.5 Scomposizione del trinomio di secondo grado . . . . . 93 93 93 94 95 95 95 1.4 1.5 1.6 1.7 1.3.4 Sistema identico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Principi di equivalenza dei sistemi . . . . . . . . . . . . . Grado di un sistema . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Metodi di risoluzione dei sistemi di primo grado . . . . . 1.6.1 Metodo di sostituzione . . . . . . . . . . . . . . . 1.6.2 Metodo di riduzione o della combinazione lineare 1.6.3 Matrici e determinanti . . . . . . . . . . . . . . . 1.6.4 Metodo di Cramer . . . . . . . . . . . . . . . . . Sistemi di tre equazioni in tre incognite . . . . . . . . . . 1.7.1 Metodo di sostituzione . . . . . . . . . . . . . . . 1.7.2 Metodo di Cramer . . . . . . . . . . . . . . . . . 548 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . secondo grado . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90 91 91 92 INDICE 4 Equazioni di grado superiore al secondo 4.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.2 Equazioni risolubili con la legge dell’annullamento del 4.3 Equazioni binomie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.4 Equazioni trinomie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . prodotto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97 97 97 97 98 5 Sistemi di grado superiore al primo 99 5.1 Risoluzione di un sistema di secondo grado . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99 5.2 Sistemi con un’equazione di primo grado . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99 5.3 Particolari sistemi di quarto grado . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99 6 Disequazioni 6.1 Intervalli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.2 Risolubilità di una disequazione . . . . . . . . . 6.2.1 Disequazione impossibile . . . . . . . . . 6.2.2 Disequazione risolubile . . . . . . . . . . 6.2.3 identità . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.3 Principi di equivalenza delle disequazioni . . . . 6.3.1 Primo principio di equivalenza . . . . . 6.3.2 Secondo principio di equivalenza . . . . . 6.4 Forma normale di una disequazione . . . . . . . 6.5 Grado di una disequazione . . . . . . . . . . . . 6.6 Disequazioni di primo grado . . . . . . . . . . . 6.7 Studio del segno del polinomio di primo grado . 6.8 Disequazioni di secondo grado . . . . . . . . . . 6.9 Studio del segno del polinomio di secondo grado 6.10 Disequazioni di grado superiore al secondo . . . 6.11 Disequazioni fratte . . . . . . . . . . . . . . . . 6.12 Sistemi di disequazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 101 . 101 . 102 . 102 . 102 . 102 . 102 . 102 . 102 . 103 . 103 . 103 . 104 . 105 . 105 . 106 . 107 . 108 7 Circonferenza 7.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.2 Proprietà della corda . . . . . . . . . . . . . . . . 7.3 Archi, angoli, segmenti circolari e settori circolari 7.4 Posizioni reciproche tra circonferenza e retta . . . 7.5 Posizioni reciproche tra due circonferenze . . . . . 7.6 Angoli alla circonferenza . . . . . . . . . . . . . . 7.7 Punti notevoli di un triangolo . . . . . . . . . . . 7.8 Poligoni inscritti e circoscritti . . . . . . . . . . . 7.9 Poligoni regolari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 109 . 109 . 109 . 110 . 112 . 113 . 114 . 116 . 117 . 119 8 Equiestensione 8.1 Figure equiestese . . . . . . 8.2 Primo teorema di Euclide . 8.3 Teorema di Pitagora . . . . 8.4 Secondo teorema di Euclide . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 549 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 120 120 123 124 124 INDICE 8.5 8.6 8.7 Quadratura di un poligono . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 125 Quadratura del cerchio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 125 Area . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 125 9 Grandezze geometriche e misure 126 9.1 Classe di grandezze omogenee . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 126 9.2 Rapporti fra grandezze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 126 9.3 Proporzioni fra grandezze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 127 9.4 La misura delle grandezze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 128 9.5 Aree dei poligoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 128 9.6 Lunghezza della circonferenza e area del cerchio . . . . . . . . . . . . . . . . 129 9.6.1 Lunghezza della circonferenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 129 9.6.2 Lunghezza di un arco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 130 9.6.3 Area del cerchio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 131 9.6.4 Area di un settore circolare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 132 9.7 Teorema di Talete . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133 9.8 Problemi di geometria applicata all’algebra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 134 9.8.1 Relazione tra lato e diagonale di un quadrato . . . . . . . . . . . . . 135 9.8.2 Relazione tra lato e altezza di un triangolo equilatero . . . . . . . . . 135 9.8.3 Relazione tra i lati in un triangolo con gli angoli di 30, 60, 90 gradi . 136 9.8.4 Relazione tra i lati in un triangolo con gli angoli di 45, 45, 90 gradi . 136 9.8.5 Relazione tra lati e altezza in un triangolo isoscele . . . . . . . . . . . 137 9.8.6 Relazione tra lati, diagonali e raggio circonferenza inscritto in un rombo137 9.8.7 Relazione tra basi, lato obliquo e altezza in un trapezio rettangolo . . 138 9.8.8 Relazione tra basi, lato obliquo e altezza in un trapezio isoscele . . . 138 9.8.9 Area di un triangolo in funzione dei lati: formula di Erone . . . . . . 139 9.8.10 Raggio della circonferenza inscritta in un triangolo . . . . . . . . . . 139 9.8.11 Relazione tra lato, apotema di un quadrato e raggio della circonferenza circoscritta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 140 9.8.12 Relazione tra lato, apotema di un quadrato e raggio della circonferenza inscritta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 140 9.8.13 Relazione tra lato, apotema di un esagono e raggio della circonferenza circoscritta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 141 9.8.14 Relazione tra lato, apotema di un esagono e raggio della circonferenza inscritta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 141 9.8.15 Relazione tra lato, apotema di un triangolo equilatero e raggio della circonferenza circoscritta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 142 9.8.16 Relazione tra lato, apotema di un triangolo equilatero e raggio della circonferenza inscritta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 142 10 Similitudine fra poligoni 10.1 Poligoni simili . . . . . . . . . . . . . 10.2 Criteri di similitudine dei triangoli . . 10.3 La similitudine e i teoremi di Euclide 10.4 La similitudine e la circonferenza . . 10.5 Raggio della circonferenza circoscritta . . . . a . . . . . . . . un . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . triangolo 550 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 143 . 143 . 143 . 144 . 145 . 147 INDICE 10.6 La sezione aurea . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 147 10.6.1 Costruzione di Erone della sezione aurea di un segmento . . . . . . . 147 10.6.2 Numero aureo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 148 III CLASSE TERZA 150 1 Equazioni e disequazioni con valori assoluti e irrazionali 1.1 Valore assoluto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2 Equazioni con valori assoluti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2.1 Equazioni con un valore assoluto . . . . . . . . . . . . 1.2.2 Casi particolari di equazioni con valori assoluti . . . . . 1.2.3 Equazioni con due o più valori assoluti . . . . . . . . . 1.3 Disequazioni con valori assoluti . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3.1 Disequazioni con un valore assoluto . . . . . . . . . . . 1.3.2 Casi particolari di disequazioni con valori assoluti . . . 1.3.3 Disequazioni con due o più valori assoluti . . . . . . . . 1.4 Equazioni irrazionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.4.1 Equazioni con una radice di indice pari . . . . . . . . . 1.4.2 Equazioni con una radice di indice dispari . . . . . . . 1.4.3 Altri tipi di equazioni irrazionali . . . . . . . . . . . . . 1.5 Disequazioni irrazionali . . . . . » . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.5.1 Disequazioni della forma n f (x) < g(x) con n pari . . » 1.5.2 Disequazioni della forma n f (x) > g(x) con n pari . . » 1.5.3 Disequazioni della forma n f (x) < g(x) con n dispari 1.5.4 Disequazioni irrazionali con frazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 151 151 152 152 152 152 152 152 153 153 154 154 154 155 155 155 155 155 156 2 Piano cartesiano 2.1 Vettori del piano . . . . . . . . 2.2 Componenti di un vettore . . . 2.3 Vettori uguali . . . . . . . . . . 2.4 Modulo di un vettore . . . . . . 2.5 Somma di vettori . . . . . . . . 2.6 Differenza di vettori . . . . . . . 2.7 Prodotto di un numero reale per 2.8 Versori fondamentali . . . . . . 2.9 Prodotto scalare di vettori . . . 2.9.1 Vettori ortogonali . . . . 2.10 Determinante di due vettori . . 2.10.1 Vettori paralleli . . . . . 2.11 Relazione di Chasles . . . . . . 2.12 Distanza tra due punti . . . . . 2.13 Punto medio di un segmento . . 2.14 Baricentro di un triangolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 157 157 157 158 158 158 159 159 159 159 160 160 160 160 160 161 161 3 Retta . . . . . . . . . . . . un . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . vettore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 162 551 INDICE 3.1 Equazione in forma implicita della retta . . . . . . . . . . . . . . . 3.1.1 Rette parallele all’asse x . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.1.2 Rette parallele all’asse y . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.1.3 Rette passanti per l’origine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2 Equazione in forma esplicita della retta . . . . . . . . . . . . . . . . 3.3 Rappresentazione grafica della retta . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.4 Retta passante per due punti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.4.1 Coefficiente angolare della retta passante per due punti . . . 3.4.2 Punti allineati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.5 Retta passante per un punto con dato coefficiente angolare . . . . . 3.6 Rette parallele . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.6.1 Retta passante per un punto parallela a una retta data . . . 3.7 Rette perpendicolari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.7.1 Retta passante per un punto perpendicolare a una retta data 3.7.2 Asse di un segmento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.8 Intersezione tra due rette . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.9 Distanza di un punto da una retta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.10 Distanza tra due rette parallele . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.11 Bisettrice di un angolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.12 Fasci di rette . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.12.1 Fascio improprio di rette . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.12.2 Fascio proprio di rette . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 Parabola 4.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.2 Equazione della parabola con asse parallelo all’asse delle ordinate . . 4.2.1 Equazione della parabola con vertice nell’origine . . . . . . . . 4.2.2 Equazione della parabola passante per l’origine . . . . . . . . 4.2.3 Equazione della parabola avente come asse l’asse y . . . . . . 4.3 Equazione della parabola con asse parallelo all’asse delle ascisse . . . 4.3.1 Equazione della parabola con vertice nell’origine . . . . . . . . 4.3.2 Equazione della parabola passante per l’origine . . . . . . . . 4.3.3 Equazione della parabola avente come asse l’asse x . . . . . . 4.4 Rappresentazione grafica della parabola . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.5 Intersezione retta parabola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.6 Tangenti a una parabola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.6.1 Polare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.6.2 Tangente alla parabola in un punto appartenente alla parabola 4.6.3 Tangenti alla parabola da un punto esterno alla parabola . . . 4.6.4 Tangente alla parabola parallela a una retta . . . . . . . . . . 4.7 Problemi sulla parabola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 162 162 162 162 163 163 163 164 164 164 164 164 165 165 165 166 166 166 166 167 167 167 . . . . . . . . . . . . . . . . . 169 . 169 . 169 . 170 . 170 . 170 . 170 . 171 . 171 . 171 . 171 . 171 . 171 . 171 . 172 . 172 . 172 . 172 5 Circonferenza 174 5.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 174 5.2 Equazione della circonferenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 174 5.2.1 Equazione della circonferenza con centro nell’origine . . . . . . . . . . 175 552 INDICE 5.3 5.4 5.5 5.6 5.7 5.8 5.2.2 Equazione della circonferenza passante per l’origine . . . . . . . . . . 175 Rappresentazione grafica della circonferenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . 175 Intersezione retta circonferenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 175 Tangenti a una circonferenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 175 5.5.1 Polare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 175 5.5.2 Tangente alla circonferenza in un punto appartenente alla circonferenza176 5.5.3 Tangenti alla circonferenza da un punto esterno alla circonferenza . . 176 5.5.4 Tangenti alla circonferenza parallele a una retta . . . . . . . . . . . . 176 Intersezione tra due circonferenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 177 Problemi sulla circonferenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 177 Fascio di circonferenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 178 5.8.1 Circonferenze secanti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 179 5.8.2 Circonferenze tangenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 179 5.8.3 Circonferenze concentriche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 179 5.8.4 Circonferenze senza punti in comune e non concentriche . . . . . . . . 179 6 Ellisse 180 6.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 180 6.2 Equazione dell’ellisse con i fuochi sull’asse delle ascisse, simmetrici rispetti all’origine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 180 6.3 Equazione dell’ellisse con i fuochi sull’asse delle ordinate, simmetrici rispetti all’origine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 180 6.4 Proprietà dell’ellisse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 181 6.4.1 Intersezione con gli assi cartesiani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 181 6.4.2 Limitazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 181 6.4.3 Fuochi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 181 6.4.4 Eccentricità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 182 6.4.5 Area . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 182 6.5 Rappresentazione grafica dell’ellisse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 182 6.6 Intersezione retta ellisse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 182 6.7 Tangenti a un’ellisse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 183 6.7.1 Polare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 183 6.7.2 Tangente all’ellisse in un punto appartenente all’ellisse . . . . . . . . 183 6.7.3 Tangenti all’ellisse da un punto esterno all’ellisse . . . . . . . . . . . . 183 6.7.4 Tangenti all’ellisse parallele a una retta . . . . . . . . . . . . . . . . . 183 6.8 Problemi sull’ellisse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 184 7 Iperbole 185 7.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 185 7.2 Equazione dell’iperbole con i fuochi sull’asse delle ascisse, simmetrici rispetti all’origine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 185 7.3 Equazione dell’iperbole con i fuochi sull’asse delle ordinate, simmetrici rispetti all’origine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 185 7.4 Proprietà dell’iperbole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 186 7.4.1 Intersezione con gli assi cartesiani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 186 7.4.2 Fuochi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 186 553 INDICE 7.5 7.6 7.7 7.8 7.9 7.10 7.11 7.12 7.13 7.4.3 Eccentricità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.4.4 Asintoti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Iperbole equilatera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Proprietà dell’iperbole equilatera . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.6.1 Intersezione con gli assi cartesiani . . . . . . . . . . . . . . 7.6.2 Fuochi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.6.3 Eccentricità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.6.4 Asintoti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Iperbole equilatera riferita agli asintoti . . . . . . . . . . . . . . . 7.7.1 Vertici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.7.2 Fuochi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Rappresentazione grafica dell’iperbole . . . . . . . . . . . . . . . . Intersezione retta iperbole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Tangenti a un’iperbole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.10.1 Polare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.10.2 Tangente all’iperbole in un punto appartenente all’iperbole 7.10.3 Tangenti all’iperbole da un punto esterno all’iperbole . . . 7.10.4 Tangenti all’iperbole parallele a una retta . . . . . . . . . . Problemi sull’iperbole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Funzione omografica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Problemi sulla funzione omografica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 186 187 187 187 187 188 188 188 188 189 189 189 189 190 190 190 190 190 191 191 192 8 Coniche 193 8.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 193 8.2 Equazione generale di una conica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 194 8.3 Metodo alternativo per classificare le coniche . . . . . . . . . . . . . . . . . . 194 9 Disequazioni in due variabili 9.1 Soluzioni di una disequazione in due variabili . . . . 9.2 Disequazioni di primo grado . . . . . . . . . . . . . 9.3 Disequazioni di secondo grado . . . . . . . . . . . . 9.4 Sistemi di disequazioni di primo grado . . . . . . . 9.5 Sistemi di disequazioni di grado superiore al primo 10 Funzioni goniometriche 10.1 Misura degli angoli . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.2 Circonferenza goniometrica . . . . . . . . . . . . . 10.3 Funzioni seno e coseno . . . . . . . . . . . . . . . 10.3.1 Relazione fondamentale della goniometria 10.3.2 Grafico della funzione seno . . . . . . . . . 10.3.3 Grafico della funzione coseno . . . . . . . . 10.4 Funzioni tangente e cotangente . . . . . . . . . . 10.4.1 Relazioni della goniometria . . . . . . . . . 10.4.2 Grafico della funzione tangente . . . . . . 10.4.3 Grafico della funzione cotangente . . . . . 10.5 Funzioni secante e cosecante . . . . . . . . . . . . 554 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 196 . 196 . 196 . 197 . 197 . 197 . . . . . . . . . . . 199 . 199 . 199 . 200 . 201 . 201 . 202 . 202 . 204 . 204 . 205 . 206 INDICE 10.5.1 Relazioni della goniometria . . . 10.5.2 Grafico della funzione secante . 10.5.3 Grafico della funzione cosecante 10.6 Dominio, codominio periodo e zeri delle . . . . . . . . . . . . . . . funzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . goniometriche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 207 208 209 210 11 Formule goniometriche 11.1 Angoli associati . . . . . . . . . . . . . . . 11.1.1 Angoli opposti: α, −α . . . . . . . π 11.1.2 Angoli complementari: α, − α . 2 11.1.3 Angoli che differiscono di un angolo 11.1.4 Angoli supplementari: α, π − α . . 11.1.5 Angoli che differiscono di un angolo 11.2 11.3 11.4 11.5 11.6 11.7 211 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 211 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 211 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 212 π retto: α, + α . . . . . . . . . 213 2 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 213 piatto: α, π + α . . . . . . . . . 214 3 11.1.6 Angoli la cui somma è il triplo di un angolo retto: α, π − α . . . . 215 2 3 11.1.7 Angoli che differiscono del triplo di un angolo retto: α, π + α . . . 216 2 Formule di addizione e sottrazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 216 11.2.1 Tangente angolo formato da due rette incidenti . . . . . . . . . . . . 217 Formule di duplicazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 217 Formule di bisezione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 217 Formule parametriche razionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 218 11.5.1 Parametriche del coseno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 218 11.5.2 Parametriche della tangente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 218 Formule di Werner . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 218 Formule di Prostaferesi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 218 12 Equazioni goniometriche 12.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12.2 Funzioni inverse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12.2.1 Arcoseno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12.2.2 Arcocoseno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12.2.3 Arcotangente . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12.2.4 Arcocotangente . . . . . . . . . . . . . . . . . 12.3 Equazioni goniometriche elementari . . . . . . . . . . 12.3.1 sin (x) = a . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12.3.2 cos (x) = a . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12.3.3 tan (x) = a . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12.3.4 cot (x) = a . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12.4 Equazioni lineari in seno e coseno . . . . . . . . . . . 12.4.1 Risoluzione con il metodo dell’angolo aggiunto 12.4.2 Risoluzione con le formule parametriche . . . 12.5 Equazioni omogenee in seno e coseno . . . . . . . . . 12.6 Equazioni riconducibili a omogenee . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 219 . 219 . 219 . 219 . 220 . 222 . 223 . 224 . 224 . 224 . 225 . 225 . 225 . 225 . 226 . 226 . 227 13 Disequazioni goniometriche 228 13.1 Disequazioni elementari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 228 555 INDICE 13.2 13.3 13.4 13.5 13.1.1 sin (x) > a . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13.1.2 cos (x) > a . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13.1.3 tan (x) > a . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13.1.4 cot (x) > a . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Disequazioni di secondo grado in una funzione goniometrica Disequazioni fratte e scomponibili in fattori . . . . . . . . . Disequazioni lineari in seno e coseno . . . . . . . . . . . . . 13.4.1 Risoluzione con il metodo dell’angolo aggiunto . . . . 13.4.2 Risoluzione con le formule parametriche . . . . . . . Disequazioni omogenee in seno e coseno . . . . . . . . . . . . 13.5.1 Grado pari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13.5.2 Grado dispari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14 Trigonometria 14.1 Teoremi sui triangoli rettangoli 14.2 Area di un triangolo . . . . . . 14.3 Teorema della corda . . . . . . 14.4 Teorema dei seni . . . . . . . . 14.5 Teorema del coseno . . . . . . . IV . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 234 . 234 . 235 . 235 . 235 . 235 CLASSE QUARTA 228 228 229 230 230 230 231 231 232 232 232 233 236 1 Statistica 1.1 Indagine statistica . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2 Popolazione e unità statistica . . . . . . . . . . . . 1.3 Caratteri statistici e modalità . . . . . . . . . . . . 1.3.1 Caratteri qualitativi o quantitativi . . . . . 1.4 Serie e seriazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.5 Variabili e mutabili statistiche . . . . . . . . . . . . 1.6 Distribuzioni di frequenze . . . . . . . . . . . . . . 1.7 Distribuzioni di frequenze in classi . . . . . . . . . . 1.8 Tabelle . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.9 Grafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.9.1 Grafico a canne d’organo o ortogramma . . 1.9.2 Diagrammi cartesiani . . . . . . . . . . . . . 1.9.3 Diagramma a torta . . . . . . . . . . . . . . 1.9.4 Istogrammi . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.10 Funzione di ripartizione cumulativa delle frequenze 1.11 Frequenza cumulata dal basso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 237 237 237 237 237 239 239 239 240 241 242 242 242 242 242 243 244 2 Valori medi statistici 2.1 Medie algebriche . . . . 2.1.1 Media aritmetica 2.1.2 Media geometrica 2.1.3 Media armonica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 245 245 245 246 247 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 556 . . . . . . . . . . . . . . . . INDICE 2.2 2.1.4 Medie 2.2.1 2.2.2 Media quadratica lasche . . . . . . . Moda . . . . . . Mediana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 Variabilità 3.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . 3.2 Campo di variazione . . . . . . . 3.3 Varianza e deviazione standard . 3.4 Scarto semplice medio . . . . . . 3.5 Indici di variabilità relativa . . . 3.6 Standardizzazione . . . . . . . . . 3.7 Rapporti statistici . . . . . . . . . 3.7.1 Rapporti di composizione 3.7.2 Rapporti di densità . . . . 3.7.3 Rapporti di derivazione . . 3.7.4 Rapporto di coesistenza . 3.7.5 Numeri indici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 Variabili e mutabili statistiche bivariate 4.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . 4.2 Distribuzioni di frequenze congiunte . . . 4.3 Distribuzioni marginali . . . . . . . . . . 4.4 Rappresentazioni grafiche . . . . . . . . 4.5 Distribuzioni condizionate . . . . . . . . 4.6 Media e varianza . . . . . . . . . . . . . 5 Strutture algebriche 5.1 Insiemi numerici . . . . . . . . 5.1.1 Numeri naturali . . . . 5.1.2 Numeri pari . . . . . . 5.1.3 Numeri dispari . . . . 5.1.4 Numeri interi . . . . . 5.1.5 Numeri razionali . . . 5.1.6 Numeri irrazionali . . . 5.1.7 Numeri reali . . . . . . 5.1.8 Numeri complessi . . . 5.1.9 Classi di resto . . . . . 5.2 Operazioni . . . . . . . . . . . 5.3 Strutture . . . . . . . . . . . . 5.4 Proprietà delle operazioni . . 5.4.1 Commutativa . . . . . 5.4.2 Idempotenza . . . . . . 5.4.3 Associativa . . . . . . 5.4.4 Esistenza dell’elemento 5.4.5 Esistenza dell’elemento 557 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . neutro . . . nullificatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 248 249 249 249 . . . . . . . . . . . . 251 . 251 . 251 . 251 . 252 . 253 . 253 . 253 . 254 . 254 . 254 . 254 . 254 . . . . . . 256 . 256 . 256 . 257 . 257 . 258 . 259 . . . . . . . . . . . . . . . . . . 260 . 260 . 260 . 260 . 260 . 260 . 261 . 261 . 261 . 261 . 261 . 262 . 262 . 262 . 262 . 263 . 263 . 263 . 263 INDICE 5.5 5.6 5.7 5.8 5.4.6 Esistenza dell’elemento inverso . . 5.4.7 Distributiva . . . . . . . . . . . . 5.4.8 Assorbimento . . . . . . . . . . . Classificazione delle strutture . . . . . . 5.5.1 Semigruppo . . . . . . . . . . . . 5.5.2 Semigruppo commutativo . . . . 5.5.3 Monoide . . . . . . . . . . . . . . 5.5.4 Monoide commutativo . . . . . . 5.5.5 Gruppo . . . . . . . . . . . . . . 5.5.6 Gruppo commutativo . . . . . . . 5.5.7 Anello . . . . . . . . . . . . . . . 5.5.8 Anello commutativo . . . . . . . 5.5.9 Anello con unità . . . . . . . . . 5.5.10 Anello commutativo con unità . . 5.5.11 Dominio di integrità . . . . . . . 5.5.12 Corpo . . . . . . . . . . . . . . . 5.5.13 Campo . . . . . . . . . . . . . . . Strutture algebriche con insiemi numerici Morfismo . . . . . . . . . . . . . . . . . Isomorfismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6 Esponenziali e logaritmi 6.1 Potenze con esponente reale . . . . . . . . . . . . . 6.1.1 Proprietà delle potenze con esponente reale . 6.2 Funzione esponenziale . . . . . . . . . . . . . . . . 6.2.1 Grafico della funzione esponenziale . . . . . 6.2.2 Caratteristiche della funzione esponenziale . 6.3 Logaritmo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.3.1 Proprietà dei logaritmi . . . . . . . . . . . . 6.4 Funzione logaritmica . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.4.1 Grafico della funzione logaritmica . . . . . . 6.4.2 Caratteristiche della funzione logaritmica . . 6.5 Equazioni esponenziali . . . . . . . . . . . . . . . . 6.5.1 Equazioni esponenziali elementari . . . . . . 6.5.2 Altri tipi di equazioni esponenziali . . . . . 6.6 Disequazioni esponenziali . . . . . . . . . . . . . . . 6.6.1 Disequazioni esponenziali elementari . . . . 6.6.2 Altri tipi di disequazioni esponenziali . . . . 6.7 Equazioni logaritmiche . . . . . . . . . . . . . . . . 6.7.1 Equazioni logaritmiche elementari . . . . . . 6.7.2 Altri tipi di equazioni logaritmiche . . . . . 6.8 Disequazioni logaritmiche . . . . . . . . . . . . . . 6.8.1 Disequazioni logaritmiche elementari . . . . 6.8.2 Altri tipi di disequazioni logaritmiche . . . . 7 Matrici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 264 264 264 265 265 265 265 265 265 265 266 266 266 266 267 267 267 267 268 268 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 269 . 269 . 269 . 269 . 270 . 271 . 272 . 272 . 273 . 273 . 274 . 275 . 275 . 275 . 276 . 276 . 276 . 277 . 277 . 277 . 278 . 278 . 279 280 558 INDICE 7.1 7.2 7.3 7.4 7.5 7.6 7.7 7.8 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Somma di matrici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.2.1 Proprietà della somma di matrici . . . . . . . . . . . . . . Prodotto di un numero reale per una matrice . . . . . . . . . . . . 7.3.1 Proprietà del prodotto di un numero reale per una matrice Prodotto di matrici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.4.1 Proprietà del prodotto di matrici . . . . . . . . . . . . . . Determinante . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.5.1 Complemento algebrico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.5.2 Calcolo del determinante con la regola di Laplace . . . . . 7.5.3 Proprietà dei determinanti . . . . . . . . . . . . . . . . . . Inversa di una matrice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.6.1 Proprietà della matrice inversa . . . . . . . . . . . . . . . . Riduzione di una matrice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Rango di una matrice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8 Sistemi lineari 8.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . 8.2 Risoluzione di un sistema lineare 8.3 Sistemi con parametro . . . . . . 8.4 Sistemi omogenei . . . . . . . . . 9 Trasformazioni Lineari 9.1 Affinità . . . . . . . . . . . . . 9.2 Affinità in forma matriciale . . 9.3 Trasformazione inversa . . . . . 9.4 Trasformazione inversa in forma 9.5 Trasformato di un punto . . . . 9.6 Trasformata di una curva . . . . 9.7 Punti uniti . . . . . . . . . . . . 9.8 Rette unite . . . . . . . . . . . 9.9 Proprietà delle affinità . . . . . 9.10 Composizione di affinità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . matriciale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10 Isometrie 10.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.2 Proprietà delle isometrie . . . . . . . . . . . . . . . 10.3 Traslazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.3.1 Equazioni della traslazione . . . . . . . . . . 10.3.2 Traslazione inversa . . . . . . . . . . . . . . 10.3.3 Punti uniti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.3.4 Rette unite . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.3.5 Proprietà della traslazione . . . . . . . . . . 10.3.6 Composizione di traslazioni . . . . . . . . . 10.4 Rotazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.4.1 Equazioni della rotazione di centro l’origine 559 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 280 281 281 282 282 283 283 284 285 285 285 286 286 286 287 . . . . 288 . 288 . 289 . 289 . 294 . . . . . . . . . . 295 . 295 . 295 . 296 . 296 . 296 . 296 . 296 . 297 . 297 . 298 . . . . . . . . . . . 299 . 299 . 299 . 299 . 299 . 300 . 300 . 300 . 300 . 300 . 300 . 301 INDICE π 10.4.2 Equazioni della rotazione di centro l’origine e angolo . . . . . . . . 2 10.4.3 Rotazione inversa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.4.4 Punti uniti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.4.5 Rette unite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.4.6 Proprietà della rotazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.4.7 Composizione di rotazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.4.8 Rotazione di centro diverso dall’origine . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.5 Simmetria centrale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.5.1 Equazioni della simmetria centrale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.5.2 Simmetria centrale di centro l’origine . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.5.3 Simmetria centrale inversa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.5.4 Punti uniti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.5.5 Rette unite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.5.6 Proprietà della simmetria centrale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.5.7 Composizione di simmetrie centrali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.5.8 Curva simmetrica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.5.9 Centro di simmetria di una curva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.6 Simmetria assiale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.6.1 Equazioni della simmetria assiale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.6.2 Simmetria assiale di asse parallelo all’asse delle ascisse . . . . . . . . 10.6.3 Simmetria assiale di asse parallelo all’asse delle ordinate . . . . . . . 10.6.4 Simmetria assiale di asse la bisettrice del primo e terzo quadrante . . 10.6.5 Simmetria assiale di asse la bisettrice del secondo e quarto quadrante 10.6.6 Simmetria assiale inversa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.6.7 Punti uniti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.6.8 Rette unite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.6.9 Proprietà della simmetria assiale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.6.10 Composizione di simmetrie assiali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.6.11 Curva simmetrica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.7 Isometrie e matrici ortonormali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 Similitudini 11.1 Introduzione . . . . . . . . . . . 11.2 Equazioni della similitudine . . 11.2.1 Rapporto di similitudine 11.3 Proprietà della similitudine . . . 11.4 Composizione di similitudini . . 12 Omotetie 12.1 Introduzione . . . . . . . 12.2 Equazione dell’omotetia 12.3 Casi particolari . . . . . 12.4 Omotetia inversa . . . . 12.5 Punti uniti . . . . . . . . 12.6 Rette unite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 560 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 301 301 301 302 302 302 302 302 303 303 303 303 303 303 304 304 304 304 304 305 305 305 306 306 306 306 306 306 306 307 . . . . . 308 . 308 . 308 . 309 . 309 . 309 . . . . . . 310 . 310 . 310 . 311 . 311 . 311 . 311 INDICE 12.7 Composizione di omotetie con lo stesso centro . . . . . . . . . . . . . . . . . 311 12.8 Composizione di omotetie e isometrie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 312 13 Dilatazioni e compressioni 313 13.1 Dilatazione e compressione lungo l’asse delle ascisse . . . . . . . . . . . . . . 313 13.1.1 Trasformazione inversa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 313 13.1.2 Punti uniti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 313 13.1.3 Rette unite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 313 13.1.4 Composizione di dilatazioni o compressioni lungo l’asse delle ascisse . 314 13.2 Dilatazione e compressione lungo l’asse delle ordinate . . . . . . . . . . . . . 314 13.2.1 Trasformazione inversa, punti uniti e rette unite . . . . . . . . . . . . 314 13.2.2 Composizione di dilatazioni o compressioni lungo l’asse delle ordinate 315 14 Cambiamento di riferimento 14.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . 14.2 Traslazione degli assi . . . . . . . . . . . 14.3 Rotazione degli assi . . . . . . . . . . . . 14.4 Riduzione delle coniche a forma canonica 14.5 Coordinate polari . . . . . . . . . . . . . 14.6 Coordinate polari e coordinate cartesiane 15 Successioni 15.1 Introduzione . . . . . . . 15.2 Progressioni aritmetiche 15.3 Progressioni geometriche 15.4 Principio d’induzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16 Numeri complessi 16.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16.2 Addizione e moltiplicazione tra numeri complessi . . . . . . 16.2.1 Proprietà dell’addizione e della moltiplicazione . . . 16.3 Coniugato di un numero complesso . . . . . . . . . . . . . 16.4 Modulo di un numero complesso . . . . . . . . . . . . . . . 16.5 Potenze dell’unità immaginaria . . . . . . . . . . . . . . . 16.6 Potenza di un numero complesso . . . . . . . . . . . . . . 16.7 Divisione tra numeri complessi . . . . . . . . . . . . . . . . 16.8 Rappresentazione geometrica dei numeri complessi: il piano 16.9 Rappresentazione dei numeri complessi mediante vettori . 16.10Forma trigonometrica dei numeri complessi . . . . . . . . . 16.10.1 Moltiplicazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16.10.2 Potenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16.10.3 Complesso coniugato . . . . . . . . . . . . . . . . . 16.10.4 Divisione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16.10.5 Radice ennesima . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16.10.6 Rappresentazione delle radici ennesime . . . . . . . 16.11La funzione esponenziale complessa . . . . . . . . . . . . . 561 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 316 316 316 317 318 320 321 . . . . . . . . . . . . . . . . 322 . 322 . 323 . 323 . 324 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . di Argand-Gauss . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 326 326 326 327 327 328 329 329 329 329 329 330 330 331 331 331 331 332 333 INDICE 16.11.1 Proprietà dell’esponenziale complesso . . . . 16.11.2 Formule di Eulero . . . . . . . . . . . . . . . 16.11.3 Forma esponenziale di un numero complesso 16.11.4 Moltiplicazione . . . . . . . . . . . . . . . . 16.11.5 Potenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16.11.6 Divisione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16.11.7 Radice ennesima . . . . . . . . . . . . . . . 16.12L’equazione z n − w = 0 in C . . . . . . . . . . . . 16.13Equazioni di secondo grado in C . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 333 333 333 334 334 334 334 335 335 17 Numeri reali 336 17.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 336 17.2 Intervalli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 336 17.3 Estremo superiore, estremo inferiore, massimo e minimo di un insieme . . . . 337 18 Funzioni 18.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18.2 Funzioni suriettive, iniettive, biiettive . . . . . . . . . 18.3 Funzione inversa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18.4 Composizione di funzioni . . . . . . . . . . . . . . . . 18.5 Zeri di una funzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18.6 Funzioni limitate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18.7 Funzioni monotòne . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18.8 Classificazione delle funzioni . . . . . . . . . . . . . . 18.8.1 Funzioni iperboliche . . . . . . . . . . . . . . 18.8.2 Inverse delle funzioni iperboliche . . . . . . . . 18.9 Domini di funzioni reali di variabile reale . . . . . . . 18.10Funzioni pari e funzioni dispari . . . . . . . . . . . . 18.11Funzioni periodiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18.12Intersezioni con gli assi . . . . . . . . . . . . . . . . . 18.13Segno di una funzione . . . . . . . . . . . . . . . . . 18.14Le trasformazioni geometriche e i grafici delle funzioni 18.14.1 Traslazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18.14.2 Simmetrie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18.14.3 Valore assoluto . . . . . . . . . . . . . . . . . 18.14.4 Dilatazione e contrazione . . . . . . . . . . . . 19 Topologia 19.1 Intorno . . . . . . . . . . . . . . . . . 19.1.1 Proprietà degli intorni . . . . 19.2 Punti interni ad un insieme . . . . . 19.3 Punti esterni ad un insieme . . . . . 19.4 Punti di frontiera di un insieme . . . 19.5 Punti aderenti ad un insieme . . . . . 19.6 Punti isolati di un insieme . . . . . . 19.7 Punti di accumulazione di un insieme . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 562 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 338 338 339 340 340 340 341 341 342 342 345 347 347 347 348 348 349 349 349 349 349 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 350 . 350 . 350 . 350 . 351 . 351 . 351 . 351 . 352 INDICE 20 Limiti di funzioni 20.1 Limite finito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20.2 Limite infinito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20.3 Limite finito di una funzione all’infinito . . . . . . 20.4 Limite infinito di una funzione all’infinito . . . . . 20.5 Limite destro e limite sinistro . . . . . . . . . . . 20.6 Teoremi sui limiti . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20.6.1 Valore assoluto . . . . . . . . . . . . . . . 20.6.2 Addizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20.6.3 Moltiplicazione . . . . . . . . . . . . . . . 20.6.4 Divisione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20.7 Verifica di limiti di alcune funzioni . . . . . . . . 20.8 Forme indeterminate . . . . . . . . . . . . . . . . 20.8.1 Forme indeterminate con funzioni razionali 20.9 Limiti notevoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20.9.1 Primo limite notevole . . . . . . . . . . . . 20.9.2 Secondo limite notevole . . . . . . . . . . . 20.10Funzioni trascurabili e equivalenti . . . . . . . . . 20.11Infinitesimi e infiniti . . . . . . . . . . . . . . . . 20.11.1 Infinitesimi e loro confronto . . . . . . . . 20.11.2 Infiniti e loro confronto . . . . . . . . . . . 20.12Limiti di una funzione agli estremi del dominio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 353 . 353 . 353 . 353 . 354 . 354 . 355 . 358 . 358 . 358 . 359 . 359 . 361 . 361 . 361 . 361 . 362 . 362 . 364 . 364 . 364 . 365 21 Limiti di successioni 366 21.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 366 21.2 Serie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 367 22 Funzioni continue 22.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22.2 Proprietà delle funzioni continue . . . . . . . . . 22.3 Punti singolari di una funzione . . . . . . . . . . 22.4 Determinazione dei punti singolari . . . . . . . . 22.5 Proprietà delle funzioni continue su un intervallo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 368 . 368 . 368 . 368 . 369 . 370 23 Asintoti 372 23.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 372 23.2 Determinazione degli asintoti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 372 V CLASSE QUINTA 373 1 Calcolo differenziale 1.1 Rapporto incrementale . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.1.1 Significato geometrico del rapporto incrementale 1.2 Derivata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2.1 Significato geometrico della derivata . . . . . . . 563 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 374 374 374 374 374 INDICE 1.3 1.4 1.5 1.6 1.7 1.8 1.9 1.2.2 Funzione derivata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2.3 Derivata destra e derivata sinistra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Calcolo di derivate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3.1 Derivata della funzione costante . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3.2 Derivata della funzione identità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3.3 Derivata della funzione quadratica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3.4 Derivata della funzione radice quadrata . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3.5 Derivata della funzione valore assoluto . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3.6 Derivata della funzione seno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3.7 Derivata della funzione coseno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3.8 Derivata della funzione esponenziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3.9 Derivata della funzione logaritmica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Continuità delle funzioni derivabili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Regole di derivazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.5.1 Derivata di una somma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.5.2 Derivata del prodotto di una costante per una funzione . . . . . . . . 1.5.3 Derivata di un prodotto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.5.4 Derivata del reciproco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.5.5 Derivata di un quoziente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.5.6 Derivata di una funzione composta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.5.7 Derivate delle funzioni iperboliche e delle loro inverse . . . . . . . . . 1.5.8 Derivata della funzione inversa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Schema riassuntivo delle derivate elementari e delle regole di derivazione . . Derivate di ordine superiore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Equazione della retta tangente al grafico della funzione in un suo punto . . . Equazione della retta tangente al grafico della funzione passante per un punto non appartenente al grafico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 375 375 375 375 376 376 376 377 378 378 378 379 380 380 380 381 382 383 384 384 385 387 389 391 391 391 2 Teoremi fondamentali del calcolo differenziale 393 2.1 Funzioni monotone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 393 2.2 Estremi relativi e assoluti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 393 2.3 Teorema di Fermat . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 394 2.4 Teorema di Rolle . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 395 2.5 Teorema di Cauchy . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 396 2.6 Teorema di Lagrange . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 397 2.7 Teoremi di De L’Hôpital . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 400 2.8 Determinazione degli intervalli di monotonia e dei punti di massimo e minimo relativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 401 2.9 Massimi e minimi assoluti di una funzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 402 2.10 Funzioni convesse e funzioni concave . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 403 2.11 Punto di flesso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 404 2.12 Determinazione degli intervalli di concavità e convessità e dei punti di flesso 405 2.13 Classificazione dei punti di non derivabilità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 406 2.14 Metodo delle derivate successive per determinare punti di massimo, minimo e flesso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 408 564 INDICE 3 Studio di una funzione 3.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2 Schema riassuntivo per lo studio di una funzione . 3.3 Studio di una funzione prolungabile per continuità 3.4 Discussione di equazioni con parametro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 411 . 411 . 411 . 416 . 422 4 Problemi di massimo e minimo 424 5 Risoluzione di equazioni e disequazioni con il metodo grafico 425 5.1 Equazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 425 5.2 Disequazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 425 6 Approssimazioni di funzioni 6.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.2 Approssimazione locale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.2.1 Polinomio di Taylor . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.2.2 Sviluppi notevoli di Maclaurin . . . . . . . . . . . . . 6.3 Approssimazione globale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.3.1 Interpolazione matematica . . . . . . . . . . . . . . . 6.3.2 Interpolazione statistica: metodo dei minimi quadrati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 434 434 434 434 435 436 436 436 7 Calcolo integrale 7.1 Primitive di una funzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.2 Integrale indefinito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.2.1 Integrali indefiniti elementari . . . . . . . . . . . . 7.2.2 Proprietà degli integrali indefiniti . . . . . . . . . . 7.2.3 Generalizzazione degli integrali indefiniti elementari 7.3 Metodi di integrazione degli integrali indefiniti . . . . . . . 7.3.1 Integrazione per sostituzione . . . . . . . . . . . . . 7.3.2 Integrazione per parti . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.3.3 Integrazione delle funzioni razionali fratte . . . . . 7.3.4 Integrali di funzioni con valore assoluto . . . . . . . 7.4 Integrale definito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.4.1 Proprietà dell’integrale definito . . . . . . . . . . . 7.4.2 Funzione integrale . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.5 Metodi di integrazione degli integrali definiti . . . . . . . . 7.5.1 Integrazione per sostituzione . . . . . . . . . . . . . 7.5.2 Integrazione per parti . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.6 Valor medio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.7 Significato geometrico dell’integrale definito . . . . . . . . 7.8 Aree . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.9 Volumi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.9.1 Volumi di solidi di rotazione attorno all’asse x . . . 7.9.2 Volumi di solidi di rotazione attorno all’asse y . . . 7.9.3 Volumi di solidi data la base e le sezioni . . . . . . 7.10 Integrali impropri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 439 439 440 440 441 442 443 443 445 446 448 449 452 454 456 456 457 457 457 457 458 458 458 459 459 565 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . INDICE 7.10.1 Funzione illimitata su intervallo limitato . . . . . . . . . . . . . . . . 459 7.10.2 Funzione limitata su intervallo illimitato . . . . . . . . . . . . . . . . 460 8 Calcolo numerico 8.1 Metodi numerici per la risoluzione di equazioni 8.1.1 Separazione delle soluzioni . . . . . . . 8.1.2 Calcolo di un valore approssimato . . . 8.1.3 Metodo di bisezione . . . . . . . . . . . 8.1.4 Metodo di Newton . . . . . . . . . . . 8.2 Metodi numerici per il calcolo di integrali . . . 8.2.1 Metodo dei rettangoli . . . . . . . . . . 8.2.2 Metodo dei trapezi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 461 461 461 462 462 464 465 465 468 9 Calcolo combinatorio 9.1 Prodotto Cartesiano . . . . . . . . . 9.2 Disposizioni semplici . . . . . . . . . 9.3 Disposizioni con ripetizione . . . . . 9.4 Permutazioni . . . . . . . . . . . . . 9.5 Permutazioni con elementi ripetuti . 9.6 Combinazioni semplici . . . . . . . . 9.7 Coefficienti binomiali e loro proprietà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 470 470 471 471 472 472 472 473 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10 Probabilità 10.1 Eventi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.2 Definizione classica di probabilità . . . . . . . 10.2.1 Proprietà della probabilità classica . . 10.2.2 Critiche alla definizione classica . . . . 10.3 Definizione frequentistica di probabilità . . . . 10.3.1 Critiche alla definizione frequentistica . 10.4 Definizione assiomatica di probabilità . . . . . 10.4.1 Proprietà della probabilità assiomatica 10.5 Probabilità condizionata . . . . . . . . . . . . 10.6 Teorema del prodotto . . . . . . . . . . . . . . 10.7 Eventi indipendenti . . . . . . . . . . . . . . . 10.8 Teorema delle probabilità totali . . . . . . . . 10.9 Teorema di Bayes . . . . . . . . . . . . . . . . 10.10Probabilità e calcolo combinatorio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 475 . 475 . 476 . 476 . 477 . 478 . 478 . 478 . 479 . 481 . 481 . 482 . 482 . 483 . 483 11 Variabili aleatorie discrete 11.1 Distribuzione di probabilità . . . . . . . . . . . . . . . 11.2 Funzione di ripartizione . . . . . . . . . . . . . . . . . 11.3 Funzione di una variabile aleatoria . . . . . . . . . . . 11.4 Probabilità condizionata . . . . . . . . . . . . . . . . . 11.5 Eventi indipendenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11.6 Distribuzione congiunta . . . . . . . . . . . . . . . . . 11.6.1 Tabella delle distribuzioni congiunte e marginali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 566 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 484 484 485 485 485 486 486 486 INDICE 11.7 Teorema delle probabilità totali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 487 11.8 Teorema di Bayes . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 487 11.9 Funzione di due variabili aleatorie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 488 12 Speranza matematica e varianza 12.1 Speranza matematica . . . . . . . . . . . . . 12.1.1 Giochi equi . . . . . . . . . . . . . . 12.1.2 Proprietà della speranza matematica 12.2 Varianza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12.2.1 Proprietà della varianza . . . . . . . 12.3 Variabile aleatoria standardardizzata . . . . 12.4 Coefficiente di variazione . . . . . . . . . . . 12.5 Coefficiente di correlazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 489 . 489 . 489 . 489 . 491 . 492 . 493 . 494 . 494 13 Distribuzioni discrete fondamentali 495 13.1 Distribuzione simmetrica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 495 13.1.1 Media e varianza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 495 13.2 Indicatore o variabile aleatoria di Bernoulli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 496 13.2.1 Media e varianza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 496 13.3 Somma di due variabili aleatorie di Bernoulli equidistribuite . . . . . . . . . 496 13.4 Distribuzione binomiale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 497 13.4.1 Media e varianza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 497 13.4.2 Numero di successi più probabile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 498 13.5 Distribuzione ipergeometrica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 498 13.5.1 Media e varianza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 499 13.5.2 Approssimazione della distribuzione ipergeometrica con la distribuzione binomiale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 499 13.6 Distribuzione geometrica (primo successo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 499 13.6.1 Media e varianza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 500 13.7 Distribuzione di Poisson . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 500 13.7.1 Media e varianza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 501 13.7.2 Andamento della distribuzione di Poisson . . . . . . . . . . . . . . . . 501 13.7.3 Approssimazione della distribuzione binomiale con la distribuzione di Poisson . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 501 14 Variabili aleatorie continue 14.1 Densità di probabilità . . . 14.2 Funzione di ripartizione . 14.3 Speranza matematica . . . 14.4 Varianza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 502 . 502 . 502 . 503 . 503 15 Distribuzioni continue fondamentali 15.1 Distribuzione uniforme . . . . . . . . . . . . 15.1.1 Media e varianza . . . . . . . . . . . 15.2 Distribuzione normale o di Gauss . . . . . . 15.2.1 Distribuzione normale standardizzata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 567 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 505 505 505 506 506 INDICE 15.2.2 Teorema limite centrale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 507 15.2.3 Approssimazione della distribuzione binomiale con la normale . . . . 508 15.2.4 Approssimazione della distribuzione di Poisson con la normale . . . . 508 16 Geometrie non euclidee 509 16.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 509 16.2 Geometria iperbolica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 511 16.3 Geometria ellittica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 514 17 Geometria dello spazio 17.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . 17.2 Assiomi della geometria dello spazio . . . 17.3 Rette e piani . . . . . . . . . . . . . . . 17.3.1 Posizioni relative tra due rette . . 17.3.2 Posizioni relative tra retta e piano 17.3.3 Posizioni relative tra due piani . . 17.3.4 Retta e piano perpendicolari . . . 17.3.5 Proiezioni, distanze, angoli . . . . 17.4 Diedri e angoloidi . . . . . . . . . . . . . 17.5 Prisma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17.6 Piramide . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17.7 Poliedri . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17.8 Cilindro . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17.9 Cono . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17.10Sfera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17.11Principio di Cavalieri . . . . . . . . . . . 17.12Aree e volumi . . . . . . . . . . . . . . . 17.12.1 Prisma retto . . . . . . . . . . . . 17.12.2 Piramide retta . . . . . . . . . . . 17.12.3 Tronco di piramide retta . . . . . 17.12.4 Cilindro retto . . . . . . . . . . . 17.12.5 Cono retto . . . . . . . . . . . . . 17.12.6 Tronco di cono retto . . . . . . . 17.12.7 Sfera . . . . . . . . . . . . . . . . 17.12.8 Segmento sferico . . . . . . . . . 17.12.9 Spicchio sferico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . A Potenza del continuo A.1 Insiemi finiti e infiniti . . . . . . . . . . . . . . . . . . A.2 Cardinalità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . A.3 Numerabilità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . A.3.1 Proprietà degli insiemi numerabili . . . . . . . A.3.2 Numerabilità dell’insieme dei numeri interi . . A.3.3 Numerabilità dell’insieme dei numeri razionali A.4 Numeri algebrici e trascendenti . . . . . . . . . . . . A.5 Potenza del continuo . . . . . . . . . . . . . . . . . . 568 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 516 . 516 . 516 . 516 . 516 . 517 . 517 . 517 . 519 . 519 . 520 . 522 . 523 . 524 . 525 . 526 . 527 . 527 . 527 . 528 . 529 . 529 . 530 . 531 . 531 . 532 . 533 . . . . . . . . 534 . 534 . 534 . 535 . 535 . 536 . 536 . 537 . 538 INDICE A.5.1 Ipotesi del continuo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 538 B Problemi classici della geometria B.1 Introduzione . . . . . . . . . . . B.2 Numeri costruibili . . . . . . . . B.3 Duplicazione del cubo . . . . . B.4 Trisezione dell’angolo . . . . . . B.5 Quadratura del cerchio . . . . . 569 euclidea . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 539 . 539 . 540 . 541 . 541 . 542