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Igiene prof. Montagna e De giglio 21-22

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DISPENSA DI IGIENE
Prof. Montagna
Prof. De Giglio
Igiene-Prof.ssa Montagna- 13/10/2021
LEGIONELLOSI
La legionellosi è una malattia relativamente giovane: è stata scoperta per la prima volta in un
albergo negli anni 70’ a Philadelphia. In questa struttura, si riunirono oltre 200 legionari che si
ammalarono di una patologia che ricordava una polmonite e che portò al decesso ben 34 persone.
Si incominciarono a costituire dei gruppi di lavoro che indagavano sulla natura delle polmoniti.
Una volta identificato il batterio (legionella pneumophila), si è scoperto che anche in Italia ci sono
stati diversi casi (anche negli ultimi anni) di questa patologia. Il problema è che questo batterio si
diffonde grazie all’acqua, in particolar modo alla rete idrica, quindi ciò ha posto il problema di
come possa essere possibile eliminarlo. Tutto questo non ha solo coinvolto la nostra nazione ma
anche gli altri stati europei. A Stoccolma risiede l’ELDSNet che si occupa di studiare la legionella. Ci
sono stati casi recenti anche nella città di Bari. Questo batterio è gram- però si distingue in 61
specie diverse e 70 siero gruppi diversi, solo 20 di queste sono associate a patologie umane. La
specie che causa più spesso la malattia è la pneumophila, seguita dalla longbeachae, bozemanae e
la anisa che fanno parte delle cosiddette “legionella species”, ovvero quelle specie di origine
ambientale, legati alle reti idriche naturali ma che hanno causato infezioni nell’uomo e persino la
morte. Questo batterio da un punto di vista diagnostico è difficile da trovare. Lo si trova nell’acqua
anche a -20 gradi, fino ad arrivare a temperature estreme come 45/50 se non anche 60 gradi che
sono temperature insopportabili per l’uomo. La sua prerogativa, quindi, è quella di trovarsi in
condizioni dove è presente acqua in qualunque forma. Ci si contagia attraverso l’inalazione di
aereosol contaminato.
QUADRI CLINICI
Dunque, l’inalazione di acqua contaminata sottoforma di microgocce può essere responsabile
delle malattie in diverse varianti. Alcune di esse non sono diagnosticate realmente. I possibili
quadri clinici sono:
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Infezione inapparente;
Febbre di Pontiac che è una manifestazione simil influenzale a risoluzione spontanea;
Malattia dei Legionari è la forma che è legata ai decessi nei pazienti;
Forme extra polmonari sono fortunatamente rare però quando si manifestano sono
fulminanti e portano il paziente al decesso nel giro di poco tempo (la prof cita il caso di due
pazienti che sono morti nel giro di 48 ore).
Si tratta di una malattia quindi molto difficile da gestire soprattutto se non viene diagnosticata in
tempo: in caso contrario, è sufficiente una terapia con macrolidi se il soggetto non è
particolarmente debilitato. La condizione dell’ospite, la virulenza del ceppo e la carica infettante
sono fattori che influenzeranno l’espressione della malattia.
INFEZIONI INAPPARENTI
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Possono colpire soggetti di tutte le età, anche in ottima salute;
I sintomi possono essere lievi e aspecifici tali da non richiamare l’attenzione del paziente;
La diagnosi in genere viene effettuata facendo il dosaggio degli anticorpi anti-Legionella
spesso in occasione di controlli occasionali o nel corso di indagini siero epidemiche.
FEBBRE DI PONTIAC
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Compare una sindrome febbrile dopo un breve periodo di incubazione (12-36 h);
I dolori sono simili a quelli di una banale influenza (cefalea e mialgie) e si guarisce dopo 2-5
giorni (uno studio ha dimostrato che molti casi di influenza erano in realtà casi di
legionellosi);
Possono essere colpiti di tutte le età anche quelli che godono di ottima salute.
MALATTIA DEI LEGIONARI
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La forma clinicamente predominante;
È una polmonite non produttiva, acuta e severa che può portare il paziente al decesso;
Il periodo di incubazione oscilla tra i 2 e 10 giorni;
La letalità oggi è del 4-15%, dato nettamente calato rispetto al passato grazie
all’introduzione di terapie mirate e soprattutto alla tempestività della somministrazione.
FORME EXTRAPOLMONARI
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Fortunatamente sono rare ma hanno una letalità molto alta;
A livello cutaneo si può sviluppare con il lavaggio di ferite con acqua infetta;
A livello intestinale può dare peritoniti, coliti o pancreatiti;
A livello cardiaco può dare miocarditi acute, pericarditi ed endocarditi.
Generalmente, ma non è la regola, si ammalano di più gli over 65, con prevalenza maggiore nel
sesso maschile più che nel femminile. Sono più vulnerabili anche i soggetti che abusano di alcool e
i fumatori poiché c’è un’alterazione delle vie respiratorie. Fattore di rischio è la BPCO oppure sono
a rischio i pazienti oncologici e diabetici. Possono essere a rischio anche i pazienti
immunodepressi, i pazienti con insufficenza cardiaca e renale terminale. Come detto prima,
chiunque, anche chi è perfettamente sano può sviluppare la malattia.
LETALITÀ
Nei casi nocosomiali la letalità è più alta poiché negli ospedali in genere sono ricoverati pazienti
che già presentano altre patologie per cui è necessario il ricovero. Se la diagnosi è mirata e
precoce, si può fare una terapia mirata che può portare ad una risoluzione rapida del caso. Si
tende spesso a curare la polmonite, soprattutto quella comunitaria, con una terapia antibiotica ad
ampio spettro poiché non è conosciuta l’eziologia.
In questa patologia, non è stata dimostrata la trasmissione interumana tranne in un caso ma
anche in questo frangente, l’ipotesi è stata fortemente contestata. Esistono dei serbatoi naturali
del batterio che non sono solo da intendere come fiumi e laghi ma anche terreno umido a patto
che l’umidità sia sufficiente. In questo ambiente la concentrazione è bassa ma può crescere se si
giunge in bacini artificiali. Possiamo avere casi come l’autolavaggio (le microgocce vengono diffuse
e se contaminate possono infettare), le sedute odontoiatriche (vecchie poltrone), le fontane
ornamentali soprattutto quelle a getto alto che possono veicolare germi che vengono inalati, i
sistemi di giardinaggio per il medesimo motivo e anche dal parrucchiere (in una pubblicazione si
dimostrava un’epidemia di legionellosi in cui furono colpite sole donne. Dopo le indagini, si scoprì
che queste donne erano andate dal parrucchiere che aveva il doccino contaminato dalla
legionella). Anche l’acqua di mare, soprattutto per alcune specie, può favorire lo sviluppo del
patogeno. Nella polpa di cozze e ostriche, è stata dimostrata la presenza di legionella. Quindi tutti
coloro che si tuffano in mare, possono, se debilitati, infettarsi e ammalarsi. Nella rete idrica
artificiale, la temperatura può favorire lo sviluppo del batterio specie se l’acqua è calda
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soprattutto tra 30-45 gradi, può favorire la sua proliferazione (l’acqua fredda la mantiene in vita
ma non le permette una grande riproduzione). La legionella purtroppo resiste anche a pH
leggermente acido. Nel caso della presenza di altri batteri in ambienti polimicrobici, la legionella
può trarne vantaggio soprattutto se è presente la Psedomonas nella stessa rete idrica (alcuni ceppi
di pseudmonas riescono a produrre sostanze antibatteriche che sono particolarmente efficaci
contro la legionella. Per cui in una rete fortemente contaminata da questi batteri, la legionella
quasi sempre non ci sarà). Altro aspetto molto importante è la presenza del Biofilm che altro non è
che un accumulo di componenti di natura organica e inorganica, che non inficiano la potabilità
dell’acqua. A livello della superficie interna delle reti, ci sono delle amebe che sono degli ottimi
bacini di replicazione per i microrganismi e quando questo succede, abbiamo la morte delle amebe
e la liberazione di grandi quantità di batteri.
A basse temperature, la legionella riesce a sopravvivere per diverso tempo ma, a temperature più
alte come 30-45 gradi si riproduce. L’acqua calda sanitaria spesso è uno dei fattori di rischio
principali per l’infezione. L’ ideale sarebbe mantenere l’acqua a temperature molto alte, oltre i 60
gradi ma ciò non è compatibile con l’utilizzo umano e quindi bisogna avvertire i pazienti quando
circola l’acqua bollente ma non sempre questo viene rispettato. Per il pH invece si sa che la
legionella è acido tollerante anche a pH estremi come ph pari a 2 anche se per un tempo molto
breve. È stata trovata legionella in range di pH che vanno da molto acido a molto basico. Un pH
neutro invece è invece causa di un’estrema capacità replicativa del batterio. Tornando al discorso
del biofilm questo si forma per l’accumulo di residui di alimenti, Sali e anche vitamine che
idealmente, depositandosi nella rete idrica, offrono un ambiente ideale per far replicare i batteri.
Inoltre, la legionella è ulteriormente protetta dall’azione dei biocidi grazie all’adesione del biofilm
alla superficie interna del tubo idrico. Gli impianti idrici, quindi, non possono essere trascurati da
un punto di vista manutentivo e da un punto di vista della scrostazione di questi biofilm. La rete
idrica deve essere strutturata in maniera tale che si possa facilmente intervenire per poter
risolvere questi tipi di problemi.
Anche le docce sono fattori di rischio perché l’acqua che utilizziamo ha la temperatura ideale per
la proliferazione del patogeno. Un caso emblematico è rappresentato dalle torri di raffreddamento
che sono state coinvolte, specie se c’è vento, nel determinare veri e propri cluster. Queste nuvole
di acqua possono essere trasmesse anche a distanza di chilometri e questo rende ancora più
difficile capire qual è la provenienza del patogeno. Quando si parla degli ambienti artificiali
bisogna distinguere le strutture nocosomiali dalle strutture comunitarie: le prime accolgono
pazienti fragili in cui il rischio aumenta. Il problema è che nelle strutture comunitarie, non c’è la
stessa attenzione che c’è negli ambienti ospedalieri perché nelle strutture comunitarie, abbiamo
principalmente soggetti sani (sono strutture di questo tipo gli alberghi, palestre, stabilimenti
termali ma anche i campeggi). La prof racconta il caso di un paziente giovanissimo di 30 anni
deceduto per una forma extra polmonare di legionellosi contratta addirittura a casa sua. Spesso si
ha a che fare con gestori di alberghi che non conoscono la legionellosi o che non vogliono sentirne
parlare perché temono una eventuale positività che renderebbe difficile poi la sua eliminazione.
Sono impegni che non solo richiedono tempo ma anche una spesa economica non indifferente.
EPIDEMIOLOGIA
Ogni anno l’ISS produce un documento che attesta il numero di casi registrati ogni anno nel nostro
stato e l’ELSDNET invece produce un documento che attesta il numero di casi a livello europeo che
hanno richiesto l’intervento sulla rete idrica. Tra il 2015 e il 2019 il numero di casi è raddoppiato e
a causa della pandemia Covid si è assistito ad un ulteriore incremento. Questo è dovuto al fatto
che alcuni reparti ospedalieri sono stati chiusi per diverso tempo per utilizzarli eventualmente
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come reparti covid e la rete idrica che non è stata utilizzata ha incrementato il livello di contagio.
Non a caso, una volta riaperto il reparto, è stato necessario intervenire con i mezzi di bonifica
perché purtroppo il batterio era cresciuto. L’Italia è il secondo paese in termini di incidenza della
malattia. Negli ultimi anni si è avuto un grande incremento ma che paradossalmente è un merito
in quanto vuol dire che sta aumentando l’attenzione che si sta ponendo verso questa malattia.
Molte polmoniti, infatti, vengono ad oggi diagnosticate come polmoniti da legionella. A livello
nocosomiale, l’andamento è confortante poiché i casi negli anni stanno diminuendo e nello
specifico, la regione Puglia, ha un numero di casi pari a 4 nel 2019. Ogni anno c’è un report che
viene mandato alla regione e da essa all’ ISS. Questo poi si confronta con l’ente preposto e si cerca
di vedere e di capire cosa è mancato nella trasmissione della notifica. Ci sono delle zone grigie
dove nessuno si ammala di legionellosi ma è abbastanza difficile che questo sia veritiero. Dunque,
molto spesso ci sono dei difetti nella comunicazione dei casi di legionella. L’ osservatorio
epidemiologico della regione Puglia si occupa di sorveglianza sia clinica che ambientale perché
spesso l’attenzione non è quella desiderata. I casi comunitari sono maggiori rispetto ai nocosomiali
che stanno diminuendo perché l’attenzione è alta negli ospedali. Ci sono casi associati ai viaggi che
spesso sfuggono all’attenzione soprattutto se si tratta di forme lievi. Quelli legati a viaggi sono o
legati alla permanenza in hotel oppure alla presenza del batterio in zone dove sono presenti le
terme.
Una cosa che interessa molto al Ministero, attraverso l’Istituto Superiore di Sanità, è capire chi si
ammala di più. Quindi, nella scheda di sorveglianza sono indicate anche le caratteristiche
demografiche e sociali dei soggetti che si ammalano di legionellosi. Come si vede dal grafico:
1. L’età media è superiore a 60 anni (il rischio maggiore è quindi per gli ultrasessantenni);
2. Nella maggior parte dei casi si tratta di pensionati anche perché i pensionati sono i più
anziani;
3. Ci sono poi gli impiegati e così via fino ai commercianti che hanno una bassa rilevanza
numerica (almeno stando a quanto è stato dichiarato finora);
4. La percentuale va a svantaggio del sesso maschile essendo i maschi molto più esposti delle
donne.
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I soggetti che hanno patologie di base sono più esposti al rischio per una serie di ragioni anche
terapeutiche e debilitanti. Nelle analisi dei dati si è rilevato che quasi il 50% dei pazienti
presentava malattie concomitanti tra cui prevalentemente malattie del sistema circolatorio e
respiratorio. Non a caso, infatti, le forme extrapolmonari colpiscono cuore e polmone. Ci sono poi
malattie concomitanti endocrine, neoplasie, diabete (queste ultime due sono patologie di base
che predispongono a qualsiasi tipo di complicanza infettiva) e poi via via, in percentuali inferiori,
altre malattie che coinvolgono altri apparati.
Uno dei punti critici nella diagnosi della malattia è il ruolo del laboratorio che riveste una grande
importanza. Il medico di famiglia, soprattutto, quando c’è un sospetto di polmonite da legionella
deve saper chiedere il test diagnostico di laboratorio più appropriato.
E’ bene ricordare (anche se da medici non si avrà a che fare con i laboratori), allorchè ci si trovi di
fronte all’esigenza di fare una diagnosi eziologica, come scritto sulle varie linee guida e sugli
indirizzi operativi pubblicati dalla regione Puglia per ciò che concerne le strutture sanitarie in
genere e in particolare quelle ospedaliere ma anche le strutture turistico-ricettive, che uno dei test
più frequentemente eseguiti e richiesti è l’ANTIGENE URINARIO. L’antigene urinario è molto
importante perché il soggetto con manifestazione di segni e sintomi di malattia inizia ad eliminare
attraverso le urine l’antigene di legionella già prima delle manifestazioni cliniche. Ovviamente non
si farà questo test perché non si sa che il paziente si sta ammalando. Appena iniziano i primi
sintomi, però, la prima cosa che bisogna chiedere è l’antigene urinario che è subito positivo (è il
metodo diagnostico usato in PRIMA ISTANZA). La sua positività persiste anche fino al secondo
mese dalla malattia ma ha un limite: è possibile effettuare questo test solo se trattasi di legionella
pneumophila sierogruppo 1. Se il soggetto ha una legionellosi da legionella pneumophila
sierogruppi diversi dall’1, quindi dal 2 al 16 (ci sono 16 sierogruppi diversi), l’antigene sarà
negativo dunque falsamente negativo perché in effetti il paziente ha la legionellosi. C’è anche un
altro limite: l’antigene è eliminato SALTUARIAMENTE. E’ possibile quindi, per esempio, che oggi un
soggetto possa avere una sintomatologia attribuibile alla legionellosi da legionella pneumophila
sierogruppo 1 ma l’antigene è negativo. Ecco perché bisogna chiedere 3 antigeni a distanza di
breve tempo l’uno dall’altro (a giorni alterni o 3 in 3 giorni successivi) per essere sicuri che si tratti
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o di una forma di vera e propria legionellosi o di una forma di legionellosi non dovuta a legionella
sierogruppo 1.
Domanda: “Anche nel caso della legionella sierogruppo 1 il rilascio di antigene è intermittente?”
Risposta “Sì, è una caratteristica dell’antigene urinario, non viene eliminato costantemente. Però
molto spesso si arriva ad una diagnosi di legionellosi quando il paziente sta male e quindi necessita
di un ricovero. Inizialmente i sintomi non sono patognomonici di legionellosi. Il medico di famiglia
rileva una sintomatologia polmonare che può essere riportabile a qualsiasi altra manifestazione
clinica e di solito si inizia con l’antibiotico, anche se si sospetta una influenza, per evitare le
complicanze batteriche. L’antibiotico è di solito ad ampio spettro e non sempre agisce su legionella
(che ha bisogno di macrolidi con terapie precise). La situazione quindi peggiora, il paziente va in
insufficienza respiratoria e si procede con il ricovero. Quando il paziente arriva con una
sintomatologia così importante la malattia è in uno stadio avanzato quindi l’antigene urinario è
prodotto in grande quantità ed è più facile ritrovarlo già la prima volta (sarà fortemente positivo).
Se dovesse risultare negativo, si ripete la seconda e terza volta. L’errore che il medico fa è che, di
fronte ad un antigene urinario negativo, conclude che non si tratta di legionellosi e ciò è sbagliato
perché:
1. L’eliminazione non è continua
2. Non è detto che la legionellosi sia da legionella sierogruppo 1.
Se si considerano i casi molto discussi in questi ultimi tempi dai giornali e dalla stampa, si può
evidenziare che questi casi solo in parte sono da legionella 1, ma sono descritti anche casi da
legionella 6, 5. Nel policlinico circola costantemente la 1 e la 6, in altri ospedali circola la 1, in altri
la 5. Ciò significa che se il soggetto si ammala di legionellosi da legionella pneumophila
sierogruppo 2,3,4,5,6 fino a 16 l’antigene urinario sarà negativo ma lui comunque sta avendo la
legionellosi. Non esistono altri kit che siano in grado di rilevare l’antigene che non sia quello del
sierogruppo 1.
Il medico che CONOSCE la malattia (altrimenti se non la conoscesse non lo chiederebbe), se la
prima ricerca dell’antigene urinario dovesse dare esito negativo, insiste con l’antigene urinario
ripetendo il test per la seconda e per la terza volta (se la prima dovesse essere positiva ci si ferma,
non si chiedono le altre due). Se il test risulta negativo per tutte le tre volte, si può chiedere la
titolazione degli anticorpi. In genere, si è abituati a rilevare che in caso di malattia causata da x si
trovano anticorpi anti-x. Per legionella non è così. All’inizio la titolazione anticorpale, 9 volte su 10
è negativa o molto bassa, in base alla fase in cui viene fatta questa richiesta. Quando viene fatta la
richiesta di titolazione anticorpale su un unico campione e il titolo risulta basso o borderline, si
conclude che il paziente non ha niente. In realtà ciò è sbagliato perché nel caso delle legionellosi
quando la prima titolazione risulta bassa si deve necessariamente ricorrere alla seconda
titolazione distanziata di MINIMO 15 giorni dalla prima (anche più) per verificare la
sieroconversione. Quest’ultima è un aumento del titolo anticorpale che dimostra che il soggetto
“sta facendo” quella malattia e man mano che si va avanti aumentano anche gli anticorpi. Quando
ciò succede? Dopo un numero sufficiente di giorni trascorsi dall’inizio dei sintomi. A differenza di
tutte le altre polmoniti batteriche, la legionellosi ha una risposta anticorpale molto lenta.
Se un paziente si ricovera e nel primo giorno di ricovero si effettua un antigene urinario che risulta
negativo e una titolazione in cui il titolo anticorpale risulti molto basso, il medico conclude che non
si tratta di legionellosi. Ciò è sbagliato, bisogna fare il secondo e terzo campione di urine e una
titolazione anticorpale a distanza di 15-20 giorni. E’ possibile (cosa che è accaduta) che il titolo
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anticorpale dopo 15-20 giorni diventi da basso alto. Questo movimento anticorpale significa
malattia in atto. La sieroconversione è un parametro di fondamentale importanza per fare
diagnosi ma molti non lo fanno. Nel frattempo ci si augura che il soggetto sia guarito, avendo fatto
la terapia specifica, e sia andato a casa ma, non avendo studiato la sieroconversione, persiste il
dubbio che abbia fatto legionellosi con antigene urinario negativo e titolo anticorpale basso. Per
questo motivo i casi sono sottostimati perchè la procedura diagnostica è diventata di
fondamentale importanza ai fini di riscontrare una precisa eziologia e quindi di una corretta
notifica.
Questo è uno studio fatto dall’osservatorio epidemiologico Pugliese. Le strutture ospedaliere,
come si vede dalla diapositiva, sono studiate da molto tempo, in quest’ultimo periodo sono state
analizzate 91 strutture. Questi dati devono far riflettere (non si capisce bene a cosa si riferisca).
E’ importante la diagnosi eziologica e sapere se il soggetto ha avuto una polmonite da legionella
perché bisogna identificare la sorgente di infezione. Se il paziente si è recato presso più ospedali o
ha cambiato diversi reparti di uno stesso ospedale, bisogna vedere in quale ospedale è stato
ricoverato nei 10 giorni precedenti l’inizio dei sintomi. Bisogna campionare l’acqua potenzialmente
adoperata dal paziente nei giorni del ricovero. Anche se si tratta di una stessa struttura, le stanze
sono diverse nell’ambito di ogni reparto. I rubinetti non sono tutti uguali. Ad esempio il padiglione
“Chini” ha 7 piani con 7 realtà diverse tanto che da oltre un anno e mezzo si sta lavorando su quel
padiglione perché, dovendo risolvere la contaminazione che si era “installata” senza possibilità di
risoluzione, si sta rifacendo completamente l’impianto idrico. E’ stato inoltre riscontrato che nei
piani più alti c’erano cariche più alte rispetto ai piani bassi seppure nell’ambito dello stesso
padiglione: questo trova giustificazione nel fatto che il campionamento viene fatto aprendo il
rubinetto dalla parte dell’acqua calda (perché è questa l’acqua che favorisce la proliferazione della
legionella) e ai piani alti non arrivava l’acqua calda (n.b l’acqua si definisce calda quando è al di
sopra di 40°). Questo giustifica la stratificazione della carica nei diversi piani dello stesso
padiglione. Al di sotto dei 40° è infatti la temperatura ideale per la proliferazione di legionella che
riesce comunque a sopravvivere a 40-50°. Nel caso del padiglione “Chini” l’acqua non soltanto
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raggiungeva con difficoltà le parti alte perché c’erano problematiche tecniche ma non esisteva
proprio l’acqua calda. I biocidi che si adoperano per purificare la rete idrica, a seconda del tipo,
agiscono grazie all’acqua calda mentre altri non agiscono proprio sull’acqua fredda. Si erano
stabilite, quindi, una serie di situazioni complesse per cui c’erano cariche elevate pur insufflando
l’acqua con disinfettanti ad alto livello. Il motivo era la presenza di un problema tecnico della rete
che impediva la risalita dell’acqua calda e nel momento in cui si faceva la sanificazione portando
l’acqua a temperature elevate (>60°) non si otteneva nulla perché l’acqua calda non arrivava ai
piani alti quindi si trovavano queste cariche elevate di legionella che colonizzavano tutta la rete.
Il prelievo è di fondamentale importanza per capire il grado di contaminazione della rete idrica:
viene fatto nel momento in cui dal rubinetto inizia a scorrere acqua CALDA. Il prelievo in questo
caso è molto più importante in questo caso specifico rispetto a qualunque altro tipo di indagine: se
il prelievo non viene eseguito correttamente cambiano tutti i risultati quindi è fuorviante.
Un altro problema di difficile gestione è la CARICA. Nella slide si vedono 3 range:
1. Carica inferiore a 1000 ufc/L (in verde)
2. Carica compresa tra 1000 e 10000 ufc/L (in giallo)
3. Carica superiore a 10000 ufc/L (in rosso)
Secondo le linee guida nazionali gli interventi di bonifica che bisogna fare sulle reti idriche
dipendono da questi 3 range di cariche. Secondo loro:
-
Se la carica è inferiore a 1000 non bisogna fare nulla perché non è indicativa di rischio di
malattia;
Tra 1000 e 10000 bisogna stare attenti e tenere tutto sotto controllo;
Quando la carica supera 10000 bisogna obbligatoriamente intervenire con sistemi di
bonifica anche in assenza di casi.
Dall’immagine si vede come nel tempo le cariche si sono abbassate quindi si è passati da cariche
superiori a 10000 a cariche inferiori a mille negli ultimi anni. Bisogna anche dire, però, che si sono
avuti casi di malattia anche con cariche molto basse (200-300 ufc/L). Molti anni fa è morta una
signora che aveva avuto la sfortuna di infettarsi con legionella sierogruppo 5 ma con moltissime
patologie di base quindi destinata comunque a morire e purtroppo morta di legionella 5. Questa è
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una cosa molto strana perché la legionella 5 normalmente non è patogena o per lo meno non lo è
come la 1. Nella rete idrica dell’ospedale in cui era stata ricoverata c’era la doppia contaminazione
da legionella sierogruppo 1 e 5. Quindi sfortunatamente la signora si è infettata con il sierogruppo
5 quando in realtà nell’acqua c’era anche il sierogruppo 1 che è notoriamente il più aggressivo,
patogeno, resistente ma anche quello più facile da sanare.
Nelle strutture sanitarie, come le case di cura (grafico in basso), le cariche sono quasi tutte basse
perché sono piccole strutture con una rete idrica più contenuta invece gli ospedali sono più grandi,
hanno reti più complesse, sono più vecchi (la vetustà della struttura è un fattore molto
importante).
In realtà quella delle cariche non è una questione fondamentale nella valutazione finale. Quando si
fanno i controlli “in doppio” con l’ARPA e si trovano cariche discordanti (ad esempio uno trova 200
l’altro 1000) in realtà non c’è differenza. Non ci sono errori di valutazione. La differenza dei
risultati può essere attribuita ad una tempistica di prelievo diversa (se si campiona in due momenti
diversi i numeri possono essere diversi alla fine)o ad una modalità di trasporto che può
condizionare la carica (il trasporto va fatto sempre NON a freddo-a differenza dell’acqua destinata
al consumo umano che va trasportata a temperature basse-e al buio). Questi accorgimenti che
sono di fondamentale importanza portano ad avere risultati diversi quindi si può concludere che
tra 200 e 1000 non cambia niente.
Nelle strutture comunitarie e turistico ricettive la situazione è un po’ diversa perché molte di
queste strutture sono abbastanza nuove di costruzione e ciò può facilitare la rilevazione di cariche
un po’ più basse rispetto a quelle più preoccupanti (ossia superiori a 10000 ufc/L). Recentemente
nelle strutture turistico ricettive non si sta trovando più nulla e ciò significa che anche loro stanno
diventando sensibili al problema.
SPECIE DI LEGIONELLA ISOLATE
C’è una enorme differenza tra ospedali e strutture comunitarie e il motivo non si conosce. La
specie più nota e più diffusa è la legionella pneumophila sierogruppo 1 (in rosso). Tra il 2017 e il
2021 negli ospedali si rileva una grande prevalenza di sierogruppo 1. Se si considerano le strutture
comunitarie, la legionella pneumophila sierogruppo 1 è molto più importante. Non si sa quindi per
quale motivo ciò accade. Bisogna anche verificare questa prevalenza del sierogruppo 1 in funzione
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della tipologia della rete quindi del materiale con cui è costruita la rete idrica. Tutte le altre hanno
prevalenze differenti. Ci sono anche le legionelle miste ossia costituite da più di due sierogruppi o
legionella pneumpohila più legionella species (queste ultime sono tipicamente ambientali).
Il compito che ci si sta ponendo in questo momento è dettare delle regole precise per il controllo e
la prevenzione della legionellosi in qualsiasi tipo di struttura.
1. Uno degli obiettivi è che lo screening e la diagnosi di malattia sia fatta in maniera adeguata
in tutti gli ospedali e laboratori clinici di microbiologia. Nel policlinico di Bari ciò è stato
fatto dando la possibilità ai medici di chiedere nella routine la ricerca di legionella, degli
anticorpi o di valutare la sieroconversione in modo da arrivare ad una notifica ben precisa.
2. Riguardo le modalità di campionamento per la ricerca di legionella bisogna fare una
distinzione tra impianti idrici e aeraulici. Gli impianti idrici sono ben conosciuti per ciò che
concerne le modalità tecniche e di manutenzione che vengono quindi adeguatamente
applicate. Gli impianti aeraulici hanno il grosso difetto di non essere considerati oggetto di
grande attenzione nei processi di manutenzione periodica. Nel 76 quando ci fu il cluster a
Philadelphia si disse che la causa era stato il sistema di condizionamento dell’aria. Fu,
infatti, così perché la sorgente fu identificata nei condizionatori. Ancora oggi a distanza di
30 anni si discute dei condizionatori d’aria come responsabili della legionellosi. Questo non
è assolutamente più pensabile perché gli split sono stati nel frattempo modificati con un
impianto di circuito di acqua chiuso quindi non c’è più nebulizzazione dell’acqua fredda
dell’ambiente per rinfrescare, esce solo ARIA fredda che rinfresca. Ci sono però alcuni
luoghi (ad es pizzerie) in cui viene nebulizzata acqua fredda per raffreddare gli spazi esterni
in estate. Questi non sono adeguati alla prevenzione della legionellosi, con le normative
attuali bisognerà adeguarli. Si può concludere, dunque, che gli split non sono più a rischio
proprio perché l’impiantistica delle nuove macchine è cambiata mentre rimangono ancora i
rischi degli impianti aeraulici. Questo perché c’è un problema di gestione degli impianti
aeraulici: (dice che farà vedere un filmato che mostra ciò che c’è in un impianto aeraulico
comune) la pulizia viene fatta ma a distanza di molto tempo o non viene fatta quindi questi
impianti possono essere diffusori di legionella, miceti e altri patogeni presenti nell’area che
si accumulano sottoforma di biofilm.
3. Necessità di controllare il flusso informativo per correggerlo. Molte volte i flussi informativi
non sono quelli adeguati. C’è ancora chi fa la notifica adottando le schede delle malattie
infettive mentre la notifica della legionellosi si fa su un sistema di notifica ad hoc per
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legionella. Va rettificato ciò che riguarda tutto il flusso della notifica, della scheda di
sorveglianza e dei contatti che il gruppo della prof a Bari ha con l’istituto superiore di sanità
con cui vengono scambiate informazione, dati e ceppi quando ci sono casi di legionellosi
documentata umana (cioè è stato isolato il ceppo nell’uomo) e casi di positività della rete
idrica riportabile al paziente. Bisogna fare dei controlli di tipo molecolare per vedere se il
ceppo del paziente è uguale a quello della rete idrica e poi tutto va mandato all’ISS che
conferma l’eventuale dato inviato
4. A livello soprattutto delle reti ospedaliere bisogna avere un sistema efficace di sorveglianza
e controllo. Ci deve essere un team per il controllo e prevenzione della legionellosi in
ospedale, istituito dalla direzione sanitaria, che deve saper agire per fare questo controllo.
Il team è fatto da specialisti, medici della direzione sanitaria, infettivologi, igienisti,
microbiologi, ingegneri ecc perché ognuno deve poter esprimersi su ciò che è stato fatto e
ciò che è necessario fare altrimenti il controllo e la prevenzione non si può raggiungere.
5. Stabilire procedure e mezzi per la bonifica e la riduzione del rischio;
6. Tenere informata tutta l’equipe ospedaliera per ciò che concerne le norme di base per la
prevenzione della legionellosi perché ci sono responsabilità medico legali.
NORMATIVE DI RIFERIMENTO
Esistono normative regionali. Già nel 2012 la regione ha pubblicato il “sistema regionale di
sorveglianza e controllo della legionellosi” con l’obiettivo di contenere il rischio e ridurre il numero
dei casi.
Successivamente è stata istituita una rete regionale in collaborazione con l’osservatorio
epidemiologico regionale (OER) e l’ARPA Puglia. Sono stati creati tavoli di lavoro come il centro
organizzativo primordiale e periferico. Sono state nominate le persone adatte per fare questo tipo
di controllo. Sono state pubblicate linee guida sia a livello europeo che italiano. Le linee guida
italiane del 2000 sono state sostituite da quelle del 2005 che sono ancora in fase di revisione
perché non sono state adeguate per controllare questo tipo di diagnosi e malattia. Ci sono poi le
linee guida per la prevenzione ed il controllo della legionellosi a livello italiano approvate il 7
maggio del 2015 stilate con l’obiettivo di riempire alcune mancanze emerse da quelle del 2000 e
del 2005. In Puglia ci si è impegnati a recepire queste linee guida del 2015 nazionali con indirizzi
operativi pubblicati nello stesso anno che riguardano le strutture turistico ricettive e ad uso
collettivo. Il termine “uso collettivo” ha destato molte polemiche in quanto si pensava di dover
intervenire solamente sugli alberghi o villaggi turistici ma in realtà si tratta anche di palestre,
scuole, caserme, teatri (anche acquasantiere delle chiese). Questi indirizzi operativi sono rivolti a
tutti gli habitat che possono ospitare legionella: scuole, teatri, cinema, centri commerciali, mezzi di
trasporto (anche qui sono fatti controlli della legionella anche se non c’è acqua potabile ma ci si
può schizzare o lavare le mani), condomini (anche se in questi casi la problematica non è molto
sentita perché “non ne vogliono parlare”), caserme, centri benessere (laddove ci sono le
passeggiate in acqua), fontane pubbliche.
Per quanto riguarda le strutture sanitarie qui c’è una grande sensibilità anche per gli eventi che si
sono verificati a livello nazionale. Si sta cercando di controllare tutto ciò che può essere un rischio
per il paziente:
-attrezzature per la respirazione assistita e apparecchi per aereosol e ossigenoterapia (in molti
ospedali questa viene fatta con acqua di rubinetto mettendo una sonda nasale che insuffla questa
acqua), sonda nasogastrica;
11
-riuniti odontoiatrici;
-sistemi di distribuzione dell’acqua;
-sistemi di condizionamento (umidificazione centralizzata);
-impianti termali: il discorso è in questo caso complesso perché non ci possono essere interventi di
bonifica sull’acqua termale in quanto essa deve essere naturalmente terapeutica.
La letteratura è molto ricca di casi nosocomiali da legionella (si possono trovare su internet) anche
durante il periodo del covid perchè la chiusura di alcuni reparti ha incrementato la moltiplicazione
di questi batteri quindi ritornando in questi reparti senza fare il controllo preventivo dell’acqua
alcuni soggetti sono deceduti per legionellosi.
Sui riuniti si continua ancora a pubblicare. Nel 2008 il gruppo della prof. ha pubblicato molto su
questo argomento. Sono state fatte ricerche importanti, quindi bisogna stare molto attenti
quando si va dal dentista.
Per ciò che concerne le strutture sanitarie ed assistenziali c’è una grande disomgeneità nelle
procedure adottate per il controllo di questa malattia. La disomogeneità è riscontrabile:
-
-
Nei metodi utilizzati per la diagnosi di legionella;
Nelle procedure di campionamento per la ricerca e il conteggio di legionella (e bisogna
ricordare quanto è importante il campionamento);
Nelle procedure per la bonifica e/o per l’abbattimento del rischio (le bonifiche sono spesso
storiche, ataviche mentre ci sono mezzi di bonifica molto più recenti e attuali che si
possono impiegare);
Mancato accertamento eziologico;
Notifica dei casi in tempi e modalità non adeguati.
Questo problema non è molto conosciuto, si cerca di non conoscerlo perché si sa che è complesso.
Nel 2018 un gruppo di lavoro (di cui fa parte anche la prof) ha pubblicato “gli indirizzi operativi per
la sorveglianza clinica e ambientale della legionellosi nelle strutture sanitarie e assistenziali della
regione Puglia” consultabile online.
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C’è un sistema di sorveglianza sulla legionellosi che è schematizzato e descritto nel bollettino
regionale. L’ELDSNet è il sistema di sorveglianza che ha sostituito l’EWGLI (vecchio gruppo di
lavoro che si interessava a livello europeo di legionellosi).
C’è poi tutto il complesso sistema di definizioni che deve essere rivisto e corretto perché nelle
linee guida nazionali che si è stati “obbligati” a recepire ci sono aspetti che non corrispondono alla
realtà. Si stanno quindi rivedendo alcuni aspetti presenti nelle linee guida del 2015.
Si va dal caso accertato a quello probabile, nosocomiale accertato e probabile fino al caso
associato a viaggi (soggiorno fuori casa-anche se il soggetto non ha viaggiato ma ha dormito una
sola notte fuori casa anche a casa di una amica- di durata variabile da una a più notti nei 10 giorni
precedenti l’inizio dei sintomi).
13
Un cluster associato ai viaggi/ nosocomiale vuol dire 2 o più casi che hanno soggiornato nella
stessa struttura ricettiva o sanitaria nell’arco di 2 anni con differenze relative tra cluster
comunitario e focolaio epidemico (molti casi di malattia->10- in una cerchia di popolazione
abbastanza contenuta e in un tempo limitato). In realtà quando si hanno i focolai epidemici si ha
un exploit di casi nell’arco di pochissimo tempo il che permette anche di intervenire per
identificare la sorgente di infezione e avanzare una sorveglianza clinica e ambientale in maniera
adeguata.
14
Igiene – 19/10/21 – Prof. Montagna
LEGIONELLOSI
Quando c’è un caso di legionellosi viene coinvolto principalmente il REPARTO nel quale viene fatta
diagnosi di legionellosi. Quindi il medico deve provvedere alla notifica che è obbligatoria in classe
seconda in questo questo caso. E sia nei dipartimenti di prevenzione, negli stretti, nelle case di cura,
insomma ovunque ci sia il contatto tra il paziente e il caso: in tutto il sistema di sorveglianza, che
deve essere poi rispettato.
Domanda: Nella sieroconversione noi abbiamo detto che con l'Antigene urinario è possibile fare una
diagnosi relativa alla legionella sierotipo 1. Invece con la sieroconversione noi possiamo andare a
diagnosticare tutti i sierotipi di legionella?
Sì, noi abbiamo più ampio raggio per vedere la verifica degli anticorpi: non è limitata soltanto alla 1.
Però, al di là di questo, noi abbiamo necessità di fare la SIEROCONVERSIONE perché è l'unica
formula che ci dimostra realmente il caso in atto di legionellosi. Perché se c'è un movimento
anticorpale vuol dire che tu stai facendo la malattia o l’infezione. È una logica conseguenza di una
stimolazione che subisce il sistema immunitario: di fronte ad un antigene (o ad un qualsiasi particella
in grado di stimolare la produzione di anticorpi) viene attivato e quindi da una carica bassa o nulla
di anticorpi noi abbiamo la sieroconversione, cioè uno sbalzo del titolo Anticorpale almeno di 4
diluizioni, ma in realtà se c'è il movimento bastano anche 2 (secondo la nostra esperienza, se io
passo da 256 al doppio, il triplo di questa di questa titolazione vuol dire che c'è un movimento
anticorpale, quindi è chiaro che il soggetto sta rispondendo ad una stimolazione e quindi viene
diagnosticata la sieroconversione). Questo è un aspetto critico di questa malattia, perché sulla
sieroconversione non si ferma quasi nessuno, in quanto il paziente con polmonite per complicanze
viene necessariamente ricoverato: la polmonite spesso viene curata anche a casa con antibiotici a
largo spettro che nella legionellosi non sono sufficienti, perché la legionella ha bisogno di una
terapia mirata, prevalentemente di macrolidi e quindi si rischia di avere la complicanza che può
sfociare anche nell’exitus negativo. Quando il paziente arriva in ospedale perché sta avendo queste
complicanze e ha già iniziato la terapia antibiotica, il processo di isolamento del microorganismo dal
paziente (che tramite le altre vie respiratorie perde materiale biologico che può essere saliva, che
può essere anche broncoaspirato, stranamente considerato buono anche campione salivare, perché
di solito non va bene) noi rischiamo di non trovare nessun germe responsabile di questa patologia,
perché proprio sotto terapia antibiotica c'è una lenta crescita di qualsiasi organismo presente nel
paziente, quindi la sieroconversione diventa uno strumento indispensabile per fare diagnosi visto
che il dato culturale risulta negativo e l'antigene urinario potrebbe essere negativo pur essendoci in
atto una polmonite da legionella, cioè se non si tratta di legionella pneumofila sierogruppo 1,
l'Antigene Urinario risulterà x 3volte di seguito negativo. Quindi ricordate le tempistiche che
abbiamo detto? Nel caso in cui l’antigene urinario dovesse risultare negativo, si ripete l’indagine
per la seconda e terza volta in giorni diversi. Quindi il secondo test potrebbe essere positivo,
considerata la discontinuità di eliminazione dell’Ag urinario, oppure potrebbe risultare Negativo
anche per la terza volta, il che significherebbe che, non trattasi di legionella pneumofila sierogruppo
1. Questo è il motivo per cui bisogna sopportare la diagnosi sempre con titolazione anticorpale.
Nella stragrande maggioranza la sieroconversione non viene testata, perché si spera che nel
frattempo le terapie varie e le conferme cliniche tramite radiografia, tramite accertamenti clinici
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(che si possono fare al di là di quelli diagnostici di microbiologia) che il paziente sia guarito, quindi
viene dimesso. Nella compilazione della SDO si dice o non si dice che trattassi legionella (non sempre
la compilazione è precisa e puntuale) e quindi la sieroconversione non viene studiata. Perché?
Perché abbiamo detto che bisogna fare un secondo prelievo a distanza almeno di 2 3 settimane dal
primo e ripeto, nel frattempo speriamo che il paziente si sia messo nelle condizioni di essere
dimesso.
Però sarebbe opportuno per verificare l'epidemiologia di questa malattia, spesso sottonotificata.
Perché è importante avere una precisa fotografia del dato epidemiologico, e quindi dell’incidenza, di
questa malattia? Perché ovviamente noi dobbiamo mappare l'andamento della legionellosi per
controllare tutte le varie verifiche che dobbiamo fare sulla rete idrica incriminata (ospedale, albergo,
villaggio turistico, laddove si è verificato il caso), e quindi testare l'efficacia dei sistemi di bonifica che
vengono citati nelle linee guida nazionali del 2015. Però questi, oggi sono in parte contestati, perché
nel frattempo, 5-6 anni di tempo hanno sovvertito i suggerimenti (tant'è vero che dovrebbero uscire le
nuove linee guida aggiornate, rivedute e corrette).
La SORVEGLIANZA
SPECIALE
per
la
legionellosi fu avviata
negli anni ‘80: ci si è
interessati a livello
nazionale, europeo e
internazionale, perché
la legionellosi è una
malattia
che
può
capitare
ovunque
(basta andare in un
albergo che non rispetta le regole). È una patologia pericolosa per il viaggiatore. Nel 1986 venne
formato lo EWGLI (leggi iùgli) come gruppo di lavoro che si interessava dei casi associati ai viaggi (e
quindi anche al turismo) interessandosi esclusivamente a livello europeo di legionellosi; nel 2010 è
diventato invece di interesse più ampio: la sede è stata trasferita da Londra a Stoccolma (dove era
stato nel frattempo avviato tutto il sistema di sorveglianza dell’ECDC [=il CDC europeo in poche
parole]). Tutti gli Stati membri europei che avevano anche compreso Islanda e Norvegia, erano
soggetti a questo sistema di sorveglianza. Già dal 1990 c'è stato l'obbligo di notifica in classe seconda
e questo aveva sottolineato l'importanza che il ministero dava a questa malattia, sia a livello locale,
che a livello europeo-internazionale, proprio perché, pur non essendo trasmissibile da uomo a
uomo, creava un disagio notevole e soprattutto, a quei tempi, ancora molti decessi.
Si è fatta una polemica sulla definizione di caso: questo è quanto riportato negli indirizzi operativi
che abbiamo recepito come provenienti anche dalle linee guida.
16
Ma ci sono degli errori, perché se noi andiamo a leggere punto-punto, vediamo come certe
definizioni sono sbagliate (lo abbiamo anche fatto notare all’Istituto Superiore di Sanità; ecco perché
vi dicevo che le nuove linee guida sono in via di revisione, e speriamo che escano presto!). Si è fatta
una distinzione tra il caso accertato e probabile a livello comunitario e quello accertato e probabile
a livello nosocomiale.
Caso nosocomiale accertato
Come vedete, la definizione riguarda innanzitutto una diagnosi clinica e radiologica (perché la
polmonite è sottoposta e soggetta ad accertamenti di natura clinica: radiografie, sintomatologie...),
ma deve essere necessariamente supportata dalle indagini di laboratorio perché il paziente non ha
segni patognomonici di legionellosi, quindi può essere confusa facilmente con altri tipi di patologie
polmonari. Quindi il paziente deve essere ospedalizzato in maniera continuativa per almeno 10
giorni prima dell'inizio dei sintomi, perché il periodo d’incubazione di questa malattia va da 2 a 8
giorni. Noi ci allarghiamo fino a 10 giorni, perché è compatibile con le circostanze varie, e quindi
questi sono i giorni che dobbiamo considerare “precedenti l'inizio dei sintomi della polmonite” per
poter poi svolgere i successivi passaggi che vanno a confermare o identificare una sorgente di
infezione. Quindi questi 10 giorni sono un punto critico per la definizione di caso nosocomiale
accertato.
Caso nosocomiale probabile
Quando invece è probabile, il paziente è ricoverato per 1-9 dei 10 giorni precedenti l’inizio dei
sintomi, perché ci può essere un giorno a cavallo tra l'ospedalizzazione e la presenza a livello
comunitario (che può essere casa sua, di un amico, un viaggio che ha fatto, qualsiasi cosa). E ed è
questo il caso in cui ci siamo trovati noi recentemente, perché c'era proprio un giorno che era a
cavallo tra la permanenza del paziente a casa e la permanenza in ospedale, e quindi non sapevamo
17
se il caso poter essere definito nosocomiale oppure no. In realtà, poi i test di biologia molecolare ci
hanno confermato che il caso non era di origine nosocomiale, perché dopo aver isolato il ceppo del
paziente, e confrontato con quelli ambientali provenienti dalle analisi svolte sulla rete idrica
ospedaliera, non hanno matchato tra di loro, e quindi non l’abbiamo definito un “caso
nosocomiale”. Però se realizziamo punto-punto questa definizione, il paziente deve essere
ricoverato da uno a 9 giorni nei 10 giorni precedenti l'inizio dei sintomi, l'inizio dei sintomi deve
essere tra il terzo e il nono giorno, la struttura sanitaria possibilmente deve essere associata a uno
più casi precedenti il caso che stiamo analizzando in questo sintomi, oppure circostanze in cui sia
stato possibile isolare un ceppo clinico identico al ceppo ambientale (che è appunto il nostro caso
che vi stavo descrivendo, solo che noi nella nella tipizzazione molecolare abbiamo dimostrato che
non è uguale al ceppo ambientale, quindi non è possibile definirlo un caso nosocomiale).

Paziente ricoverato 1-9 giorni nei 10 giorni precedenti all’inizio dei sintomi (con data di inizio
dei sintomi tra 3° e 9° giorno) in una struttura sanitaria possibilmente associata ad uno o più casi
precedenti rispetto a quello analizzato o circostanze in cui sia stato possibile isolare un ceppo clinico
simile al ceppo ambientale  Caso nosocomiale probabile

Soggetto ricoverato per un periodo da 1 a 9 giorni nei 10 precedenti l’inizio dei sintomi in
strutture non associate precedentemente a casi di legionellosi e in cui non è stata mai stabilita
correlazione tra l’infezione e il reparto interessato  se non ci sono quindi testimonianze tali da
permetterci di confermare l’appartenenza del ceppo clinico a quello ambientale si definisce caso
possibile

Soggiorno fuori casa di durata variabile da 1 a più notti è definito caso associato ai viaggi.
Esempio: un soggetto ammalatosi di legionellosi a Milano che, per non spendere i soldi del pernottamento in hotel,
accettò l’offerta di un paziente di andare a dormire a casa di quest’ultimo per 3 giorni; in questi 3 giorni il paziente
ospitato venne a contatto con l’acqua di questa casa ammalandosi di legionellosi.
Nelle linee guida della regione Puglia è stabilito che in possibili casi di legionella in strutture comunitarie
come i condomini o case private o gestite come bed and breakfast, queste devono essere controllare in
quanto il problema è molto serio
CLUSTER

Cluster associato ai viaggi/nosocomiale  quando si verificano 2 o più casi che hanno
soggiornato nella stessa struttura ricettiva o sanitaria nell’arco di 2 anni (nella vecchia definizione
era nell’arco di 6 mesi

Cluster comunitario  aumento in un arco di tempo limitato di casi in una cerchia ristretta
della popolazione con due o più casi che siano correlati per area di lavoro, residenza o luogo visitato,
fino ad un massimo di dieci casi

Focolaio epidemico comunitario (o epidemia)  aumento del numero di casi di malattia
superiore a 10 casi in una cerchia relativamente ristretta della popolazione in un arco di tempo
limitato con forte sospetto epidemiologico di comune sorgente di infezione con o senza evidenza
microbiologica; è da tener presente che la rete idrica è ampia e sotterranea e va per questo
controllata adeguatamente e per un tempo abbastanza lungo e eventualmente bonificata che
possano essere condivisi con personale altamente specializzato e che necessitano di un successivo
controllo microbiologico.
18
Domanda: In definitiva dobbiamo considerare le linee guida 2015 nazionali e quelle del 2018
regionali per identificare i casi nelle varie strutture?
Risposta: Esatto, poi in Puglia distinguiamo legionellosi comunitarie da nosocomiali avendo
problemi di gestione differenti relative all’aspetto medico legale che non è assolutamente da
sottovalutare, in quanto un caso di legionellosi comporta ricorsi e denunce, soprattutto in presenza
di decesso.
Dimostrare che quest’ultimo sia causato dalla struttura è un sia impegno perchè nella comunitaria
ci sono generalmente pazienti sani, mentre l’ambito sanitario è complesso, ma anche perché ogni
struttura ha esigenze diverse: nel caso delle terme l’acqua termale non può essere sottoposta a
sistemi di bonifica normali perché la sua qualità terapeutica potrebbe essere alterata dalle sostanze
utilizzate.
Un’ulteriore difficoltà è rappresentata dagli ambienti odontoiatrici in quanto, nonostante ci siano
numerose pubblicazioni che mostrano come questi possano essere un luogo in cui il paziente
potrebbe contrarre la Legionella, i dentisti non ritengono sia questo il caso e di conseguenza non
rientrano come sanitari nel sistema che si occupa di segnalare i casi ai vari enti. Ovviamente, ciò va
a discapito della salute del paziente in quanto un’eventuale polmonite da legionellosi richiede una
attenta sorveglianza di interesse nazionale e addirittura internazionale, data la pericolosità della
patologia, come mostra questa flow chart da seguire pedissequamente.
19
Per altro, è necessario come medici e soprattutto come clinici essere a conoscenza del fatto che per
la Legionellosi esistano dei moduli specifici da compilare differenti da quello generico per le malattie
infettive. (la prof consiglia di conoscere e studiare i moduli A e B ELDSnet)
20
In definitiva, quindi, si parte dall’ anamnesi del paziente, per cui è fondamentale conoscere tutti i
luoghi dove egli ha soggiornato nei 10 gg precedenti l’inizio dei sintomi: abitazione, ospedali,
alberghi, piscine, palestre, stabilimenti termali, idromassaggi, trattamenti odontoiatrici, ecc in
quanto vanno effettuati dei sopralluoghi e controlli.
1. La DIAGNOSI si effettua con:
-Rilevazione antigene circolante nelle urine;
-Rilevazione di anticorpi su sieri nella fase acuta e convalescente della malattia (sieroconversione);
-Isolamento del batterio da materiale proveniente dall’apparato respiratorio mediante coltura su
specifici terreni in caso di polmonite produttiva;
-Rilevazione del batterio nei tessuti o nei fluidi corporei mediante test di immunofluorescenza, sia
che si tratti di un soggetto vivo ancora ammalato che di un cadavere in caso di autopsia.
Va specificato che singolarmente nessun metodo è sensibile e specifico al 100%, quindi si impiegano
più metodi contemporaneamente per una diagnosi certa.
(Legionella su piastra: aspetto argentato su terreno di colore nero.)
21
Nel 2015 sono quindi stati pubblicati gli indirizzi operativi per la prevenzione e il controllo della
legionellosi nelle strutture turistico- ricettive e ad uso collettivo della regione Puglia.
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Questa è tutta la flow chart che bisogna tenere a mente e seguire per fare la sorveglianza precisa e
notifica della malattia. Il medico segnalatore deve compilare subito la scheda di sorveglianza
speciale, il referente della ASL interviene per i controlli ambientali per identificare la sorgente di
infezione, si va a finire poi in Regione, all’ Istituto Superiore di Sanità e al Ministero della Salute e da
qui si arriva all’ EDSNET di Stoccolma, quindi è una rete abbastanza complessa. ( si segue la circolare
ministeriale n 400.2/9/5708 del 29/12/1993)
La notifica obbligatoria in classe II va effettuata entro 48 ore dalla prima diagnosi ma anche dal
sospetto di diagnosi, mentre l’indagine epidemiologica deve essere completata entro 30 giorni
dalla data della segnalazione.
In tutto ciò c’è purtroppo sempre l’aspetto medico legale da tenere a mente in quanto l’ASL deve
intervenire con il sistema di sorveglianza e anche con i controlli post bonifica che devono essere fatti
il più presto possibile per evitare diffusione del patogeno. La bonifica è un aspetto difficile da gestire
perché le strutture si servono di sistemi come lo shock termico e l’iperclorazione shock che ormai
non sono metodi appropriati, avendo bisogno di impiantistica adeguata, oltre all’esigenza di
ritrovarsi in presenza di reti idriche performanti che, soprattutto in strutture ospedaliere, sono
ormai antiquate.
In definitiva, la bonifica va eseguita subito in quanto, a parte i tempi tecnici, ci deve essere anche
un controllo microbiologico per cui facilmente si supera, per negligenza o ritardi di vario genere, il
tempo limite dei 30 giorni e, se ciò accade, ne va del nome della struttura che viene segnalata per
il caso dal SISP (servizio igiene di sanità pubblica) con caduta dell’immagine della stessa, sia che si
tratti di strutture turistiche che sanitarie.
Per cui entro 30 gg vanno eseguite le varie procedure ed entro 60 va chiusa la verifica in modo che
il caso non debba essere segnalato.
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Questa è la
scheda
di
notifica
obbligatoria
specifica
di
legionellosi e
in seguito alla
sua
compilazione
si seguono gli
step:
-conferma di
laboratorio;
-anamnesi del
pz controllando i luoghi frequentati nei 10 gg precedenti l’insorgenza dei sintomi ;
-ricerca di altri casi nosocomiali in pz ricoverati nei 6 mesi precedenti l’episodio in esame;
-ricerca della sorgente di infezione;
-avvio di un’indagine ambientale da parte del tecnico della prevenzione tra le sorgenti sospette
emerse dall’ indagine;
-sorveglianza sanitaria nei confronti di altri pazienti che potrebbero essere stati esposti alla stessa
fonte di infezione per almeno 10 gg dall’ultimo contatto, compresi operatori sanitari.
Il medico che
pone
la
diagnosi dovrà
compilare la
scheda
di
sorveglianza
speciale della
legionellosi
che
sarà
inviata al SISP
(servizio
igiene
di
sanità
pubblica) della
Asl
di
competenza; il medico SISP dovrà:
-verificare la corretta compilazione della scheda;
-completarla con i dati risultanti dall’ indagine epidemiologica;
24
-Inviarla al referente regionale per la legionellosi presso l’OER (osservatorio epidemiologico
regionale) che ne curerà la trasmissione all’ Istituto Superiore di Sanità.
Poiché la scheda di sorveglianza va inviata all’ ISS entro 48 ore dalla diagnosi potrebbe essere
incompleta, pertanto tutte le informazioni raccolte successivamente (data di dimissione, esito della
malattia, esito delle indagini, ecc) dovranno essere ritrasmesse all’ ISS che conferma o cancella il
caso.
L’OER si occupa di tenere i contatti con l’ISS, soprattutto di inviare gli esiti delle piastre in quanto,se
si tratta di un ceppo clinico o un ceppo ambientale ,va tipizzato con conferma finale da ISS.
In sintesi, in Puglia c’ è il sistema EDOTTO con l’invio del modello 15 e nuovo flusso separato per
l’invio della scheda di sorveglianza da parte dell’ASL direttamente al centro di riferimento regionale
per la Legionellosi (referente MT Montagna) che la invierà all’ ISS.
Ricapitolando:
 Dobbiamo avere la conferma dal laboratorio
 Dobbiamo fare una accurata anamnesi del paziente, interessandoci dei posti che ha
frequentato nei 10 giorni precedenti l’inizio dei sintomi
 Dobbiamo chiedere e verificare se in quel reparto ci siano stati altri casi di pazienti ricoverati,
nei 6 mesi precedenti l’episodio in esame
 Dobbiamo ricercare la sorgente della infezione, facendo dei controlli microbiologici sulla rete
idrica del reparto coinvolto
 Dobbiamo effettuare una valutazione del rischio nell’impianto struttura con indagini
ambientali iniziali e successive all’intervento di bonifica
 La certezza di un caso di legionella spp di origine nosocomiale si ha solo se c’è un paziente
con polmonite produttiva che ci permette di lavorare sul suo espettorato, sul suo bronco-
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aspirato e quindi di isolare il germe da confrontare con quello ambientale, mediante test
molecolari.
Il ceppo di legionella deve essere identificato a livello di specie e di sierogruppo: i sierogruppi di
legionella pneumophila 1 sono 16 ( quindi da 1 a 16), e al Policlinico, come Centro di riferimento
Regionale, ci sono i monovalenti e quindi si è in grado di distinguere tutti i 16 sierogruppi. Un
laboratorio privato, ma anche la stessa ARPA, in caso di isolamento di ceppo, non procede con la
tipizzazione a livello di sierogruppo ; quindi le risposte che forniscono sono solo del tipo “ legionella
pneumophila sierogruppo 1” o “ legionella pneumophila sierogruppo 2.14”( in genere è questo,
perché molti non hanno nemmeno l’antisiero 15). Ciò accade perché comprare 15 antisieri specifici
costa molto, perciò la risposta fornita dal laboratorio privato ci dice solo se il campione è
contaminato o meno, ma non fornisce altri dettagli, dando una risposta corretta, ma non specifica
che impedisce di risalire alla sorgente dell’infezione.
Naturalmente, questo ha anche un costo diverso per l’utente che, per analizzare il suo campione di
acqua, spenderà meno in un laboratorio privato (ma sempre ben attrezzato) rispetto alla stessa
ARPA o al Policlinico , perché le procedure utilizzate sono diverse.
Tutto questo lavoro richiede anche un periodo di giorni e persino di settimane.
Quali possono essere sorgenti di legionella? acqua di pozzo, terreno bagnato, depuratori , in
generale è molto presente in ambienti umidi per cui, nella stragrande maggioranza dei casi, dove
c’è acqua, c’è legionella!
Talvolta ci viene chiesto di eseguire la ricerca di legionella nelle acque di un pozzo ad es. perché
questa viene usata molto spesso per innaffiare le colture. Sebbene la legionella non sia un
microrganismo a trasmissione oro-fecale (per cui l’acqua contaminata da legionella si può bereperché fino ad ora non è stata mai dimostrata una malattia di origine orofecale per ingestione di
acqua contaminata da legionella o di colture irrigate con acqua contaminata), tuttavia
nell’innaffiatura si spruzza acqua che viene nebulizzata sulle colture e che, a seconda della tecnica
usata per innaffiare e soprattutto a seconda della presenza di più o meno vento, può portare alla
inalazione di gocce contaminate e questo rappresenta il vero pericolo dell’acqua per uso irriguo e
può portare alla infezione o alla malattia.
Una importante azione di prevenzione del rischio si deve fare nelle case poco usate, o nelle strutture
turistiche che vengono aperte solo di estate, nei B&B o nelle case al mare o in montagna ad es. in
cui per mesi non c’è flusso di acqua, quindi c’è acqua stantìa, biofilm, riproduzione batterica in
eccesso e quindi quando per la prima volta si riapre l’acqua, il rischio di inalazione di microrganismi
è altissimo: per questo è utile pertanto far flussare TUTTI i punti di erogazione dell’acqua calda e
fredda per periodi di tempo anche molto alti perché, al contrario di quanto si possa pensare, in
questo modo si vanno solo ad esacerbare possibili danni causati dall’alta carica microbica che si
accumula!
26
I laboratori di riferimento nel Sistema di sorveglianza sono:



ARPA= laboratorio di base; è la prima ad intervenire in caso di legionellosi che non sia un
cluster perché se c’è un cluster interviene il laboratorio regionale.
DIMO è il nostro dipartimento di scienze biomediche e oncologia umani, OER
(= Osservatorio epidemiologico regionale). Questi laboratori regionali intervengono in casi
di cluster e in casi più importanti.
Quando si è isolato il caso clinico, con il ceppo e quello ambientale, i laboratori regionali
effettuano una prima tipizzazione con le indagini molecolari ed inviano tutto ai laboratori
nazionali dell’Istituto superiore di Sanità ( ISS).
27
MA QUALI SONO I PROBLEMI?



L’ARPA ha tempi di refertazione più lunghi
rispetto ai nostri laboratori regionali. Il tempo di
incubazione è sempre di 10 giorni, ma loro
prendono più tempo per aspetti burocratici per
cui forniscono le risposte dopo 13-14 gg.
Inoltre, identificano i ceppi non con sieri
monovalenti, ma solo con sieri polivalenti come
spiegato precedentemente.
Devono inviare al Centro di riferimento regionale sia le piaste oppure i ceppi congelati per
effettuare dei confronti e delle verifiche reciproche tra centri ( anche se questo non accade
mai perché si dice che il ceppo non possa uscire dal laboratorio, secondo le regole
dell’accreditamento, anche se o è una situazione ancora da chiarire)
L’adempimento delle norme per la prevenzione ed il controllo della legionellosi, da un lato non
costituisce obbligo per i responsabili delle strutture turistiche e non ( perché si parla di “linee
guida” ma non di legge), dall’altro però non li esime dalle ripercussioni medico-legali e di
immagine che ne derivano.
Per cui, quando si verifica un caso di legionellosi, il giudice non condanna il responsabile dell’albergo
o della struttura perché si è verificato il caso, ma lo condanna perché non ha fatto niente per
evitarlo. Cioè, se fa tutti i controlli, la sorveglianza, il monitoraggio mensile, trimestrale rispettando
tutti i protocolli, e si verifica un caso, il giudice non condanna “ perché è successo il caso”, ma
condanna “ perché non si è
fatto niente per evitarlo” ( cioè
il proprietario non ha fatto la
prevenzione del rischio, le
indagini
di
sorveglianza
preventiva ecc., questo anche
secondo la legge 81/2008 che
definisce la responsabilità nei
confronti dei dipendenti, dei
collaboratori e degli ospiti ( se
struttura alberghiera) o pazienti
( se ospedale).
Il decreto legislativo 81/2008 definisce l’attuazione della salute nei luoghi di lavoro. Tra le varie
regole che hanno lo scopo di salvaguardare la salute del dipendente (che ad esso si appellerà in
presenza di un caso), c’è anche l’allegato XLVI che definisce il controllo della rete idrica per la
28
prevenzione della legionellosi. “Sono inclusi nella classificazione unicamente gli agenti di cui è noto
che possono provocare malattie infettive in soggetti umani”. In questo decreto, la legionellosi
assume la stessa importanza di altra malattia a trasmissione ambientale o aerodiffusa che sia.
Il Piano di sicurezza dell’acqua (PSA) è stato istituito tanti anni fa dall’OMS e recepito a livello
regionale in Puglia nel Regolamento n.1 del 2014. Questo piano prevede operazioni complesse e
lunghe e diventerà obbligatorio nel 2025.
Alla base di questo piano c’ è l’analisi del rischio, concetto importantissimo; prevede pertanto:
- la individuazione di un responsabile per analisi e valutazione del rischio
- L’istituzione del registro di documenti degli interventi.
Per far questo è necessario creare un team multidisciplinare, con diverse figure professionali,
dall’ingegnere al manutentore, all’elettricista, all’idraulico, al microbiologo, all’igienista.
L’analisi del rischio deve essere effettuata ogni anno, quindi anche prima che i casi si verifichino, e
comunque, sempre;:



ogni volta che c’è un cambiamento edilizio nella struttura o manutenzione su rete idrica
Bisogna considerare tutte le reti idriche con contaminazioni che superano le 1000 unità per
litro ( al policlinico si sta lavorando anche con le 100 unità, perché l’ospedale è molto vecchio
e il rischio è alto);
Bisogna intervenire subito in presenza di un caso
Ad ogni modo, responsabile deve firmare tutto quello che viene fatto dalle varie figure
specialistiche e quindi si tratta di un intervento molto complesso.
L’analisi del rischio ha 3 fasi principali:
1. Valutazione del rischio, che si basa sull’identificazione del responsabile che deve essere
competente e deve istituire il registro della “manutenzione e valutazione del rischio” su cui
deve segnare e firmare tutto ( quindi interventi ordinari, straordinari, se si è intervenuto
sull’impianto idrico e di climatizzazione ecc.)
2. Gestione
3. Comunicazione del rischio
La valutazione del rischio va fatta di solito:


ogni 3 mesi ( perché ogni 3 mesi può cambiare la gestione del reparto in funzione dei
pazienti ricoverati) nei reparti che ospitano pz immunocompromessi, candidati al parto in
acqua e a pratiche sanitarie inerenti le vie aeree;
Ogni 6 mesi per tutti gli altri reparti;
29
Nel registro di valutazione vanno riportati anche tutti i campionamenti e i controlli che si fanno
per ciascun impianto, sia di acqua calda che fredda ( in realtà va fatto un appropriato controllo
termico dell’acqua, con apposito termometro). Tutto questo va registrato, sottoscritto e firmato.
Quindi, in definitiva, la revisione della valutazione del rischio deve essere eseguita ogni volta che
vi siano modifiche degli impianti, della tipologia dei pazienti assistiti o in caso di anomala
presenza di legionella negli impianti, riscontrata a seguito dell’attività di monitoraggio.
GESTIONE DEL RISCHIO
In presenza di un caso di legionellosi si seguono i seguenti step:

Innanzitutto l’allerta per gli altri clinici perché bisogna controllare tutti gli altri casi di
polmonite che si è manifestata tra i pz dopo 48 ore dal ricovero;
La sorgente di infezione sospetta deve essere assolutamente chiusa;
Notificare alle autorità sanitarie entro le 48 ore;
Eseguire l’indagine epidemiologica;
Si effettuano campionamenti ambientali sulla rete idrica;
Ricerca del tipo e della quantità di legionella presente nell’acqua entro le 24 ore dal prelievo
dei campioni per poter fare quanto prima il confronto con il ceppo umano.
Realizzare misure rapide di decontaminazione.






In presenza di cluster l’analisi deve essere effettuata dal laboratorio regionale di riferimento, per
la puglia è l’ OER che provvede a identificare il microrganismo a livello di specie e di interfaccia
con l’ISS.
La gestione del rischio si basa su adeguati controlli e su adeguati interventi di disinfezione. Il sistema
di bonifica utilizzato non si decide in maniera indipendente dall’ambiente in cui ci si trova perché si
devono conoscere:





Caratteristiche degli impianti idrici
Caratteristiche della struttura ( numero e frequenza di utilizzo delle stanze)
l’età della struttura,
Contaminazione idrica (incrostazioni, depositi di calcare, corrosione)
Caratteristiche chimico- fisiche dell’acqua (presenza di Zn, Fe, pH, temperatura, torbidità,
durezza, sostanza organica disciolta).
Sulla base di questa verifica si interviene immettendo nella rete il disinfettante adeguato,
sufficientemente in grado di abbattere o ridurre la carica batterica senza creare né corrosioni, né
rotture, né disincrostazioni gravi da bucare la rete.
Effettuata una adeguata bonifica, entro le 48 h si deve poi verificare l’efficacia del metodo di bonifica
e comunicare in seguito il rischio: In ambiente nosocomiale o comunitario, il personale dipendente
deve essere sempre informato e formato, ovvero consapevole dell’eventuale rischio che corre
lavorando nella struttura. Deve quindi conoscere:

l’utilizzo appropriato dei dispositivi di protezione individuale, se necessari,
30





deve sapere che il lavaggio delle mani e lo scorrimento dell’acqua in genere deve essere
appropriato;
i rubinetti devono sempre tutti erogare acqua ( non devono esistere rubinetti guasti o
chiusi);
il controllo deve essere fatto da persone competenti
i clinici devono saper gestire il caso
se si deve ristrutturare o costruire ex novo un ambiente, bisogna progettare una rete idrica
adeguata, affidando la gestione a personale competente e periodicamente formato con
corsi di formazione.
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Igiene-21/10/21- Prof. Montagna
IL CAMBIAMENTO CLIMATICO
Per cambiamento climatico si intende il cambiamento di determinate caratteristiche del clima che
persiste per lungo tempo, anche per anni.
Nella convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC, 1992) e successivo
protocollo di Kyoto (1997), il cambiamento preso in considerazione è quello attribuibile
direttamente o indirettamente alle attività umane (ad esempio, aumento dei gas serra) e che,
aggiungendosi alla variabilità naturale del clima, altera la composizione globale dell’atmosfera.
Purtroppo ogni anno che passa si hanno grosse problematiche da affrontare, essendo un problema
mondiale con un impatto non risolvibile nell’immediato e, molto probabilmente, nemmeno in
futuro.
Il cambiamento climatico, infatti, ha impatto su:
1- salute umana
Effetti diretti, soprattutto su soggetti fragili e vulnerabili:
-aumento o aggravarsi di malattie cardiovascolari, respiratorie e infettive; relativamente alle
malattie infettive, il cambiamento climatico ha modificato l’adattamento di alcuni microrgansimi a
temperature e habitat nuovi.
-aumento nelle aree urbane di malattie precedentemente confinate, con diffusione ed aumento di
malattie che prima erano più gestibili in quanto localizzate.
-aumento di asma e riniti allergiche (in Italia l’incidenza delle allergie è aumentata al 38% al 2009,
oggi ha abbondantemente superato il 40).
Effetti indiretti:
-epidemie causate da acqua contaminata da microorganismi e forme vegetali solitamente non
presenti dalle nostre parti, come pesci e molluschi ma anche forme algali, per cui ci sono reazioni
allergiche a queste alghe tipiche delle zone tropicali.
-scarsità di acqua causata da eccessiva evaporazione con conseguente cattiva igiene.
-ridotta produzione agricola (malnutrizione).
-cambiamenti nella dieta, introduzione di molti prodotti esotici che prima non erano diffusi nelle
nostre zone.
-sopravvivenza e moltiplicazione di vettori inusuali, quali la zanzara tigre o altre forme infestanti
come le blatte, le quali amano l’ambiente caldo e quindi si moltiplicano molto facilmente in queste
condizioni.
Da non sottovalutare è l’impatto sulla qualità del cibo: questa è molto condizionata dai fattori citati
precedentemente in quanto il cibo è uno dei punti chiave per la società; le minacce legate al clima
per la produzione alimentare globale comprendono i rischi per la raccolta di grano, ortaggi, frutta,
prodotti animali e pesca.
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2- agricoltura/foreste/vegetazione
Il cambiamento climatico aggiunge incertezza alla disponibilità di acqua:
-portata e temperatura dell’acqua
-alterazioni delle esigenze di acqua per le coltivazioni e per il bestiame
-i ghiacciai si sciolgono, cambiando gli equilibri idrologici
-ghiaccio e neve hanno un ruolo fondamentale per rifornire fiumi e laghi
A causa delle variazioni del clima è favorita la riproduzione di alcuni patogeni di origine alimentare,
come accade per i funghi filamentosi che producono micotossine come AFLATOXIN B1, riscontrata
nel mais in Europa, nonostante ad essere particolarmente colpite siano le colture provenienti da
aree tropicali e subtropicali. In questi casi l’animale ingerisce con il mangime la tossina e questa
viene trasformata in sottoprodotto, escreta nel latte sottoforma di Aflatossina M1 che poi noi
consumatori andiamo ad ingerire. Il pericolo di queste sostanze vede uno sviluppo in un arco
temporale di anni che però, in seguito al loro accumulo, potrebbe comportare la comparsa di forme
cancerogene ed immunosoppressive.
Lo sbalzo delle temperature determina perdite alimentari e rifiuti con
-diminuzione di alimenti originariamente destinati al consumo umano
-scarsa qualità alimentare legata al degrado del prodotto
-l’adattamento del sistema alimentare richiederà complessi problemi economici e sociali con
adeguamenti biofisici nella produzione e trasformazione del prodotto
Tali cambiamenti saranno più difficili per la popolazione più povera e vulnerabile.
Gli interventi applicabili in ambito alimentare sono vari:
-sorveglianza: aumentare gli investimenti per valutare l’impatto del cambiamento climatico sulla
sicurezza alimentare, sulla produzione, sui rischi microbiologici e chimici, azione assolutamente
fondamentale.
-migrazione: ridurre la migrazione legata al clima .
-ricerca: implementare la ricerca per definire nuovi approcci in grado di mitigare l’impatto
negativo del cambiamento climatico sulla sicurezza ambientale .
-internazionali: guida internazionale per una dieta sana sostenibile.
-locali: adattare le variazioni locali e regionali delle risorse e delle capacità delle esigenze del
posto.
-approccio sostenibile: è importante creare un approccio sostenibile, riducendo le esigenze
energetiche, la perdita e la produzione di rifiuti .
3- qualità dell’aria
Il problema dell’inquinamento dell’aria è che essa difficilmente può essere controllata negli
ambienti outdoor. Si stima che 30.000 soggetti muoiano ogni giorno a causa della scarsa qualità
dell’aria, dato che si riferisce a circa il 7% dei decessi, non considerando per altro che la
contaminazione dell’aria accorcia la vita di ogni cittadino di almeno 10 mesi.
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I fattori climatici favoriscono l’accumulo di inquinanti atmosferici (particolato e ozono) a livello del
suolo: l’ozono in particolare ha dimostrato effetti sui sintomi respiratori con grave
compromissione della funzionalità polmonare, aumentata reattività delle vie aeree, lesioni del
tratto respiratorio e stress ossidativo sistemico.
A causa della crescente concentrazione di co2 atmosferica, le piante producono più polline,
diventando sempre più allergeniche. Anche la stagione del polline si sta allungando e la fioritura
inizia in anticipo, basti pensare fatto che alberi primaverili fioriscono ormai già a febbraio.
I soggetti affetti da asma sono a maggior rischio di sviluppare esacerbazioni ostruttive, con
esposizione a componenti gassosi e particellari di inquinamento atmosferico.
I temporali possono provocare attacchi di asma nei pazienti pollen-allergici: la pioggia favorirebbe
il rilascio di particelle respirabili, soprattutto in primavera-estate, quando cioè sono elevati i livelli
di polline aereo-disperso.
Il problema dell’aumento delle temperature e dell’umidità si riversa anche negli ambienti indoor,
determinando un aumento dell’umidità nelle strutture edilizie, con il conseguente uso di
condizionatori d’aria e relative problematiche respiratorie.
4- eventi estremi (siccità, inondazioni, cicloni, tsunami)
Due miliardi di persone sono colpite da catastrofi naturali, molte delle quali direttamente o
indirettamente correlate a fenomeni estremi meteorologici, tra cui ondate di calore o di freddo.
I frequenti cambiamenti delle temperature, con picchi estremi, provocano attività ciclonica
tropicale, con effetti sulla balneazione e sull’equilibrio costiero, oltre che comportare l’arrivo di
organismi dannosi per l’uomo.
Si nota, infatti, maggior frequenza di precipitazioni abbondanti, dopo intensi e lunghi periodi di
siccità.
Nel 2011 ci sono stati 302 disastri e circa 206 milioni di persone colpite; i danni economici si
aggirano intorno a 380 miliardi di dollari. Solamente i danni causati dal terremoto e lo tsunami in
Giappone hanno causato danni pari a 20 miliardi circa.
In sud america, paesi come la Colombia e il Brasile sono stati colpiti da forti piogge e inondazioni.
Nel sud degli stati uniti ed in messico, la siccità e gli incendi hanno colpito le colture, gli
allevamenti di bestiame e la produzione di legname, provocando perdite stimate di 10 miliardi di
dollari.
Gli eventi estremi possono causare nei soggetti predisposti polmoniti croniche ostruttive, malattie
da iperventilazione, dispnea ecc; la prima ondata di caldo estivo è spesso associata ad un maggior
numero di vittime correlate alle temperature molto elevate mentre, per quanto riguarda gli effetti
del freddo, le malattie polmonari si sono aggravate con un aumento di asma e bpco.
In termini logistici, invece, a causa di eventi climatici estremi diventa difficile raggiungere
l’assistenza medica, soprattutto se gli individui accusano una mobilità compromessa, basti pensare
agli allagamenti: il cambiamento climatico porta infatti pensanti e frequenti temporali con un
aumento globale ma disomogeneo della precipitazione annuale oltre al fatto che è stato registrato
34
un livello più elevato di muffe in aree allagate o particolarmente umide, con risvolti sui soggetti
asmatici o allergici.
Parallelamente, la stagione estiva diventa progressivamente più calda e secca con un aumento del
particolato in aria il quale trasporta allergeni; gli incendi sono sempre più frequenti, per cui meno
alberi correlano a meno radici e di conseguenza più frane e, dall’altro lato, generano secchezza nel
terreno, la quale comporta uno stato di sofferenza per la vegetazione.
In tutto ciò è aumentato il rischio di contrarre alcune micosi rare prima endemiche solo in alcune
zone (coccidioidomicosi) , in quanto esse attaccano anche persone sane.
5. impatto sul posto di lavoro
Secondo la letteratura scientifica stress termico, patologie varie e decessi sono le principali
conseguenze del cambiamento climatico nei luoghi di lavoro.
Ogni anno il Ministero della Salute fornisce raccomandazioni e linee guida per la sicurezza della
popolazione e dei lavoratori negli scenari di cambiamento climatico; anche l’INAIL se ne interessa:
di recente ha condotto una revisione sistematica delle evidenze scientifiche sui potenziali impatti
sulla salute dell’esposizione professionale a temperature estreme.
L’ambiente outdoor è ad alto rischio per esposizione agli allergeni di origine biologica, radiazioni
UV, dispersione di sostanze chimiche/ pesticidi, alterazioni microclimatiche.
L’ambiente indoor può essere influenzato anche da vari tipi di inquinanti, con aumento dei danni
soprattutto in estate.
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6. salute animale
Il concetto di “one health” è l’idea che la salute umana e la salute degli animali e vegetali siano
interdipendenti e vincolati alla salute degli ecosistemi in cui esistono.
Ci sono infatti situazioni che sembrano limitate solo all’uomo o agli animali ma che in realtà sono
profondamente interconnesse, come mostrato dalle slide seguenti.
Cosa ha impatto sulla salute animale?
 ADATTAMENTI AMBIENTALI: eventi metereologici estremi, l’infertilità del suolo, la
mancanza di acqua, ecosistemi alterati, l’inquinamento e il degrado.
 FATTORI DI RISCHIO come: la crisi economica , il costo degli strumenti di controllo delle
malattie ( compresi i vaccini), la migrazione animale, la richiesta di cibo e acqua, ma di
scarsa qualità.
 MALATTIE EMERGENTI come: malattie trasmesse da nuovi vettori, malattie della fauna
selvatica, l’evoluzione dei patogeni, la ridotta attività dei farmaci, le malattie delle piante.
Esempio: un suolo infertile si riversa sull’animale che non può nutrirsi in modo corretto e,
direttamente, anche su di noi che ci nutriamo di prodotti animali.
Oppure, malattie emergenti vedono sia la necessità di distribuzione dei vaccini che il blocco della
migrazione degli animali con conseguente controllo della fauna selvatica che si ammala.
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Quali interventi sono possibili?
 Un impatto diretto, cioè l’influenza sul ciclo vitale degli agenti patogeni;
 Un impatto indiretto, agendo sull’habitat e sulle competizioni ambientali degli agenti
patogeni. Esso influenza la salute umana.
Possiamo quindi parlare di:
1. Malattia provocata da agenti infettivi e riconoscimento di vettori sensibili al cambiamento
climatico  variazioni nella distribuzione dei vettori, variate frequenze di contatto con
l’ospite, cambiamenti nella prevalenza dell’infezione da parte del patogeno nella
popolazione ospitante o vettoriale, cambiamenti nel carico patogeno ( variazioni nella
riproduzione).
2. Malattie che hanno un impatto economico mortalità non necessariamente elevata ma
grave impatto sulla produzione, infezioni diffuse ( solo alcune controllate da vaccinazione).
3. Malattie condizionate da fattori concorrenti causate da agenti opportunistici o di origine
metabolica immunosoppressione è dovuta a carenza di acqua e cattiva alimentazione.
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In definitiva, il concetto di One Health può essere
rappresentato da una serie di cerchi inglobati gli uni
negli altri, a rappresentare l’interconnessione e, di
conseguenza, la maniera sincrona con cui si
dovrebbe agire per migliorare tutti questi ambiti.
Il clima condiziona quindi l’uomo e gli animali,
attraverso l’aria e la vegetazione presente nei nostri
territori.
Alla fine di questo discorso viene spontaneo chiedersi: di cosa siamo consapevoli, e soprattutto,
cosa siamo in grado di fare per rimediare?
Al momento uno dei problemi maggiori è dato dalla gestione dell’acqua, fondamentale per la vita
e l’ecosistema.
Il cambiamento climatico in atto sta provocando un forte aumento di precipitazioni copiose, di
inondazioni e di frane proprio perché agisce molto sulla qualità dell’aria e dell’acqua. Negli ultimi
40 anni in media 16 persone sono morte ogni anno a causa di frane ed inondazioni e le ondate di
calore causano un incremento medio del 20-30% della mortalità giornaliera negli over 75.
Oltre a questo, oggi si sta assistendo ad un cambiamento della qualità dell’acqua che da limpida e
pura ha modificato le sue caratteristiche.
Nell’ecosistema si distinguono 3 tipologie di acqua:
- superficiale
- profonda
- reflua.
1. Le ACQUE SUPERFICIALI sono quelle dei torrenti, dei laghi naturali o artificiali e dei fiumi.
Essendo superficiale, è un’acqua soggetta a un maggior grado di contaminazione, da qui la
necessità di salvaguardala soprattutto dallo sversamento dei rifiuti.
2. Le ACQUE PROFONDE sono infiltrazioni delle acque piovane e telluriche. Il suolo ha una capacità
di filtrazione spontanea e pertanto l’acqua piovana passa nel sottosuolo e, attraverso una serie
di fessurazioni più o meno abbondanti (che dipendono dalle caratteristiche geologiche del
sottosuolo) ha un diverso grado di infiltrazione che garantisce una sorta di depurazione
spontanea. Questa autodepurazione è limitata dalle capacità filtranti del sottosuolo ma
soprattutto è limitata dalle capacità filtranti di tutto ciò che arriva dal suolo, pertanto non è
potabile e può essere usata in maniera alternativa e differente a seconda delle necessità della
popolazione, anche in base alle leggi che ne regolamentano l’utilizzo.
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3. Le ACQUE METEORICHE sono quelle derivanti da pioggia e neve che una volta erano pure ed i
nostri nonni le raccoglievano in cisterne per poi usarle per diversi usi durante l’anno o in
serbatoi o bacini artificiali veri e propri. Oggi ci sono diverse perplessità sull’uso di queste
acque perché non più pure e quindi il loro utilizzo è limitato.
4. Le ACQUE MARINE offrono invece, ad oggi, un ventaglio di opportunità per le necessità del
futuro in base al carente approvigionamento di acqua da altre fonti. Alle acque marine si può
attingere a seguito di un costoso processo di dissalazione il cui utilizzo è oggi limitato ad
esempio a quelle navi militari che partono per un lungo periodo in mare.
Il grande interesse per la correlazione tra acqua e inquinamento nasce dall’incremento delle
WBD= water borne diseases ovvero malattie a trasmissione idrica che rappresentano un grosso
problema in tutti i Paesi del mondo. Pertanto l’acqua deve essere tutelata e questa è la forte
raccomandazione dell’OMS che stima che 2,5 milioni di soggetti abbiano perso la vita nel 2008 a
causa delle WBD. Ciò è purtroppo un problema serio soprattutto per i Paesi meno sviluppati, a
causa della scarsa qualità igienico-sanitaria delle acque, ma anche per i Paesi industrializzati in cui
diventa sempre più frequente la comparsa di microrganismi resistenti al trattamento di
potabilizzazione. Infatti l’eccessivo uso di disinfettanti, di antibiotici, di sanificanti e ciò che viene
sversato nell’ambiente sta portando alla comparsa di microrganismi che, per necessaria
autodifesa, sviluppano resistenza. Quindi, la farmacoresistenza in senso lato o la microbicoresistenza è stata documentata sia su ceppi di origine nosocomiale che di origine ambientale
perché osservando la distribuzione dei reflui depurati sul suolo i quali, per legge, possono essere
sversati dopo un processo di depurazione, si è notato come questi contengano molte sostanze
farmacologiche; essendo queste acque usate per uso irriguo, il consumo dei prodotti alimentari
irrigati con esse porta nell’uomo alla comparsa di resistenze.
La conseguenza è l’aumento di patologie non a carattere gastroenterico ( zoonosi come
criptosporidiosi, microsporidiosi, micobatteriosi, campilobacteriosi) oppure patologie a
carattere respiratorio come la legionellosi.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità parla di “malattie di origine idrica” ( WBD) causate da:
 batteri, protozoi, virus oppure sostanze chimiche sversate sul suolo come arsenico,
pesticidi e altre;
 legate ad attività ricreative come può essere la balneazione, le piscine, l’agricoltura.
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Si descrivono anche “malattie correlate all’acqua” dette
WATER-WASHED DISEASES causate da scarsa igiene
personale.
Si descrivono anche le WATER-BASED DISEASES, malattie
causate da parassiti che completano il loro ciclo vitale
nell’acqua.
Infine, si descrivono le WATER-RELATED DISEASES,
malattie causate da vettori come le zanzare, per esempio le
zanzare anopheles che richiedono un substrato di acqua
ferma per potersi riprodurre e depositare le proprie larve e
trasmettere la Malaria.
I fattori favorenti le water-borne diseases sono i cambiamenti climatici che a loro volta influenzano
i cambiamenti demografici e sociali.
 cambiamenti demografici e sociali: aumento della popolazione e conseguente incremento
della richiesta e dei consumi di acqua, i fenomeni migratori in aumento, l’allungamento della
vita media;
 modifiche ambientali: deviazione dei corpi idrici (dighe, impianti di irrigazione),
Disboscamenti (gli alberi sono importanti per il riciclo della anidride carbonica e quindi
dell’ossigeno; il disboscamento crea un grave inquinamento atmosferico e un aumento dei
fenomeni di erosione e di frane poiché le radici degli alberi, intrecciandosi, formano una rete
che trattiene la frana impedendole di scendere a valle), riuso di acque reflue ed industriali.
QUAL E’ L’INFLUENZA DELLE ATTIVITA’ ANTROPICHE SULLA QUALITA’ DELLE ACQUE?
 Le ATTIVITA’ AGRICOLE esercitano la loro influenza a causa di un abuso di antiparassitari, di
fitofarmaci e di diserbanti. Questi sono responsabili dello sviluppo di attività mutagene,
teratogene e, talvolta, cancerogene.
 Le ATTIVITA’ INDUSTRIALI con i loro scarichi incontrollati di sostanze chimiche e
potenzialmente tossiche, con i loro residui di lavorazione e i rifiuti.
 Lo SMALTIMENTO NON CONTROLLATO dei reflui civili e degli allevamenti (contaminazione
biologica e chimica).
 INCIDENTI che posso capitare nella rete fognaria e idrica (in particolare, per le acque
sotterranee influiscono rotture e fessurazioni che possono far defluire anche un residuo
nella rete idrica potabile che diventa così contaminata, con rischio di febbre tifoide o epatite
A).
 In Puglia vi è un altro problema, quello della INTRUSIONE MARINA. Nella nostra regione
infatti ci sono molti pozzi che raccolgono acqua sotterranea e, soprattutto nel Salento, questi
rappresentano fonte di approvigionamento idrico quando in estate l’acqua scarseggia. L’
intrusione marina è rilevabile e ciò ci preoccupa perché può essere contaminata da risorse
idriche sotterranee, da processi costieri non idonei e quindi l’acqua del mare, soprattutto
nelle zone costiere, deve essere salvaguardata perché anche la balneazione può essere un
rischio per la contrazione di malattie.
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Le ultime direttive comunitarie sulle acque si stanno ispirando a nuovi criteri di controllo e
sorveglianza, elaborati dall’OMS, dove si parla di APPROCCIO INTEGRATO, cioè una stretta
collaborazione tra diverse figure competenti nel settore che sono in grado di lavorare in sinergia per
un unico scopo che è il Water Safety Plan (WSPs), ovvero un approccio integrato per la valutazione
e gestione del rischio.
Per prevenire il manifestarsi di condizioni di rischio è necessaria:
 Una stretta collaborazione tra autorità sanitarie preposte ai controlli e alla sorveglianza e
tutti coloro che operano nel settore dei servizi idrici.
 Garantire ai cittadini un’informazione corretta e trasparente per la crescita di una cultura
diffusa della salute, del benessere e della salvaguardia ambientale.
Inoltre, l’aumento della popolazione e la sempre maggiore richiesta di acqua rendono necessario un
approccio critico e integrato che, nell’ottica di una valutazione delle caratteristiche del territorio,
delle acque soprattutto sotterranee, coinvolge anche pedologi, geologi e idro-geologi.
In Puglia abbiamo prevalentemente 2 tipi di suolo che hanno diverse capacità di filtrare l’acqua:
- suolo poroso o sabbioso
- suolo non poroso che è il classico terreno carsico, fessurato.
La risorsa idrica è quindi una ricchezza non rinnovabile che deve essere tutelata in termini di
quantità e qualità. Ciò richiede un approccio integrato al fine di TUTELARE LO STATO DI SALUTE
dell’uomo, degli animali, dell’ecosistema e quindi è necessario:
 Un corretto utilizzo di questo elemento fondamentale per la vita
 Un’oculata gestione del territorio
 Un adeguato smaltimento di liquami e rifiuti
L’Approccio “One Health”, pertanto, tende a:
- migliorare la tecnologia al fine di determinare un
miglioramento delle infrastrutture in cui viviamo e
lavoriamo e lo sviluppo dei sistemi di riutilizzo
dell’acqua.
- lo studio sulla resistenza naturale di alcuni
microrganismi a supporto dell’alterata biodiversità
genetica formazione dei cittadini e i soggetti
interessati al problema, per un approccio
integrato.
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42
Igiene, 29/10/21, Prof.ssa
Montagna
LA SORVEGLIANZA DELLE INFEZIONI TRASMISSIBILI IN AMBITO SANITARIO
Nella metà del 1800 James Young Simpson (famoso per l’utilizzo del forcipe ostetrico e del
cloroformio) evidenziò una correlazione diretta tra la mortalità per infezione, dopo amputazione
degli arti, e la grandezza dell’ospedale, condizione associata al sovraffollamento che favoriva la
trasmissione delle infezioni da paziente a paziente.
Passò del tempo e si fecero le prime considerazioni sulle infezioni in ospedale. Semmelweis mise in
correlazione infezione e ambiente ospedaliero.
La febbre puerperale passò alla storia perché uccideva un sacco di donne, soprattutto in ospedali
grandi e poi si scoprì che era possibile che gli stessi medici e studenti, visitando i pazienti potevano
aver trasmesso infezioni dopo aver fatto pratica di dissezione dei cadaveri.
Si scoprì quindi, sempre grazie a Semmelweis, che tutti i componenti di un reparto se si lavavano le
mani in modo più opportuno, usando una soluzione disinfettante, il rischio di infettare il paziente
diminuiva notevolmente. Egli ordinò che tutte le persone del suo reparto si lavassero bene le mani
prima di qualsiasi contatto con le pazienti.
Il lavaggio delle mani ridusse di molto il numero dei
decessi per complicazioni infettive in ambito
nosocomiale.
Il numero di decessi diminuì notevolmente nel corso
degli anni.
Questo personaggio fu allontanato dalla cattedra
università perchè aveva modificato le abitudini dei
vecchi baroni. Solo dopo la sua morte ebbe dei
riconoscimenti.
La sorveglianza epidemiologica in ambito sanitario si sviluppo solo negli anni ’50.
In questo periodo si scoprì attraverso altri personaggi che le infezioni dovevano essere oggetto di
interesse in una grande struttura ospedaliera, che l’infermiera doveva essere co-responsabile per il
controllo delle infezioni ospedaliere.
Negli anni ‘70 si delinea una popolazione di pazienti ad alto rischio di infezioni.
La pandemia da stafilococco aureo resistente alla penicillina fu l’ imput che scatenò questa
rivoluzione ma si impiegarono quasi 20 anni per delineare la popolazione ad alto rischio.
Finalmente gli Stati Uniti istituirono il CDC (Center for disease control and prevention) e poi il
National nosocomial infections survillance system (NNIS).
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Sono entrambi due centri ancora vigenti, attivi.
Negli anni ‘90 i pazienti che sono ricoverati in ospedale e che vivono in gravi condizioni sono
riconosciuti come soggetti ad alto rischio di infezione ospedaliera. Inoltre vengono considerati
anche i pazienti ricoverati in luoghi di cura extra-ospedalieri: residenze sanitarie per anziani,
assistenza domiciliare, esistenza ambulatoriale.
Quindi negli anni ‘90 non si parla più di infezioni ospedaliere (IO) o nosocomiali (IN) ma di ICA quindi
infezioni correlate all’assistenza sanitaria e socio-sanitaria.
Le ICA sono ancora presenti, con numeri anche significativi: 5-10 % dei pazienti ospedalizzati e fino
al 40 % dei pazienti in terapia intensiva.
Circa 5 milioni sono i casi di infezione che si verificano negli ospedali europei ogni anno, con un
impatto economico sul sistema sanitario che oscilla tra 13 e 24 miliardi di euro. Solo una buona
prevenzione e informazione possono ridurre questi numeri.
Le infezioni correlate all’assistenza sono considerate l’evento avverso più frequente nell’ambito
dell’assistenza sanitaria. Sono eventi avversi perché se colpiscono un paziente debilitato questo non
sempre riesce a reagire. Noi possiamo prevenire ciò con una buona sorveglianza epidemiologica. Si
tratta di un sistema di controllo riconosciuto a livello mondiale. Non soltanto l’informazione e la
comunicazione ma è importante anche la formazione di tutti coloro che avranno a che fare in
presente e futuro con l’ ambito ospedaliero.
La sorveglianza riguarda la prevalenza o l’ incidenza della malattia. È il modo di raccogliere quei dati
che esprimono gli esiti degli interventi ospedalieri intrapresi in corso di ricovero. La sorveglianza
deve essere sempre attiva, ogni giorno.
Tuttavia sorvegliare tutte le ICA che si sviluppano in tutti i reparti di tutte le strutture non è possibile,
per questo si sviluppano studi verso problemi specifici, di più frequente riscontro.
Il controllo si basa sull’applicazione di protocolli e procedure inerenti la prevenzione del rischio
infettivo. Esempi:
-lavaggio delle mani (il lavaggio mani è una scoperta molto antica ma poco riconosciuta a quei
tempi);
-sterilizzazione
di
strumenti
chirurgici;
-isolamento
del
pz
se
il
caso
lo
richiede;
-gestione
del
catetere;
-antibiotico
profilassi
in
chirurgia,
che
deve
essere
mirata;
-uso di disinfettanti, tenendo conto però che l’uso di antibiotici ad alto spettro sta aumentando l’
antibiotico resistenza.
La formazione deve essere orientata alla pratica e deve periodicamente rivalutare gli indicatori
previsti dalla procedura (analisi del rischio). Tutti i medici, infermieri, oss, quindi tutti gli operatori
sanitari devono capire cosa è l’analisi del rischio e la prevenzione.
La frequenza delle infezioni varia molto in rapporto al tipo di reparto o di pazienti studiati. Andrebbe
fatta un analisi del rischio reparto per reparto, paziente per paziente.
Spesso si sottovalutano le infezioni urinarie. Per esempio: in caso di urinocoltura positiva bisogna
capire se la causa è una cistite (e poi se questa è bassa o alta), oppure urina contaminata da vaginite,
oppure un prelievo di urine fatto male.
44
Il sito chirurgico: cosa è andato male? La la
sutura? Il disinfettante usato prima e dopo
l’intervento? I guanti non sterili?
Queste sono le % confermate negli anni.
Probabilmente però sono più alte perché vengono
esclusi i casi dubbi.
A livello polmonare, nel sangue (in pz debilitati).
L’anziano e il neonato sono i pazienti più fragili.
L’adulto è quello con maggiore autodifesa ma
comunque l’ambiente ospedaliero è sempre un
rischio.
L’incidenza delle infezioni varia con le dimensioni dell’ospedale, delle misure di controllo adottate,
della durata della degenza e del tipo di chirurgia.
Si è fatto un confronto sul tipo di infezioni ospedaliere.
Negli anni ‘80 queste erano dovute a batteri Gram - in particolare E. Coli e Klebsiella. Oggi con
l’evoluzione dei protocolli, il perfezionamento della sorveglianza si parla meno di Gram -, ecetto le
infezioni da citotossici, da Klebsiella Pneumoniae KPC e Enterococchi vancomicina resistenti (che
sono l’evoluzione dei Gram - di un tempo).
Oggi ci sono purtroppo molte infezioni da Gram + (che sono più resistenti rispetto ai Gram -), in
particolare Enterococchi e Staphilococcus Epidermidis, e da miceti, soprattutto Candida e
Aspergillus. I miceti sono i più ignorati però ammazzano molto più dei batteri perché se non viene
identificata, l’infezione micotica viene trattata con l’antibiotico (che ovviamente non è efficace).
Sono aumentate le infezioni nosocomiali sostenute da batteri Gram - multi-resistenti. KPC e E coli
verocitotossici oppure gli enterococchi VRE hanno subito un picco notevolissimo per l’abuso di
antibiotici nell’ultimo periodo.
MRSA e Enterococchi VRE sono i più frequenti Gram +. Quelli Gram – sono molti di più.
Le ICA sono governate dalle fasce di età estreme, patologie di base concomitanti, traumi importanti,
ferite profonde o ustioni, soggetti con trapianto d’organo. Sono tutti pz ad alto rischio di ICA.
La modalità di trasmissione dell’infezione può essere diretta (tra persona sana e infetta, soprattutto
tramite le mani), indiretta mediante oggetti, mediante droplet (parlando, tossendo), mediante
veicoli di varia natura.
Molte volte si mettono i guanti ma poi si fanno una serie di attività (senza cambiarli) quindi meglio
non usare i guanti… si sta molto più attenti senza guanti in reparto.
Il contatto indiretto avviene attraverso vari veicoli strumentali, meccanici (es. endoscopi o strumenti
chirurgici).
Il contatto tramite goccioline emesse nell’atto di tossire o starnutire.
La via aerea.
La trasmissione a più persone contemporaneamente, attraverso un veicolo comune contaminato
(cibo, sangue, liquidi di infusione, disinfettanti ecc). Abbiamo fatto studi su disinfettanti non aperti
e alcuni li abbiamo trovati contaminati all’origine! Gli alimenti che circolano in ambiente ospedaliero
spesso risultano contaminati da Listeria, la quale può causare una Listeriosi soprattutto in soggetti
debilitati.
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I sistemi di sorveglianza. Periodicamente vengono fatti studi di prevalenza e studi di incidenza.
Questi servono per fare la fotografia reale dei casi di malattia che si verificano annualmente o
giornalmente (one Day study, oggi un po' obsoleto perché di certo non dà una consapevolezza della
realtà) in ospedale. Quelli di incidenza sono validi quando sono considerati più anni nello studio
mentre la prevalenza riguarda l’anno stabilito.
Sorveglianza orientata al degente.
È svolta in reparto attraverso la revisione di documenti sanitari e colloquio con il personale del
reparto.
Studi di prevalenza: n pz con infezione attiva/ n pz presenti al momento dell’osservazione.
Studi di incidenza: n pz che sviluppano infezione attiva, quindi i nuovi casi/ n tot pz a rischio presenti
in un dato periodo.
Ci sono studi fenotipici e genotipici, attraverso tipizzazioni diverse. Le tecniche di laboratorio oggi
sono molto d’avanguardia: ci danno l’identificazione di una sorgente di infezione, ci contentono di
vedere se quel tipo di microrganismo isolato dal pz è di origine ospedaliera o ha altra origine (di
grande importanza nei casi medico-legale). Negli studi genotipici possiamo vedere se ci sono
infezioni crociate e in che modo si sono incrociate e si fanno sicuramente i cluster epidemici, quelli
di maggiore clamore, anche mediatico.
La sorveglianza ambientale è scarsamente intesa e fatta.
La valenza del suo monitoraggio è molto discusso (molti dicono che non serve a niente).
Dobbiamo considerare tre grandi matrici:
1. l’acqua, la prima che prendiamo in considerazione;
2. l’aria, che è un movimento continuo di tutto ciò che è sospeso, dalle particelle, al particolato
ai microrganismi;
3. le superfici, di qualsiasi genere, grande problema perché sono di materiale diverso. Superfici
poco considerate sono quelle di bagno e cucina, dove ci sono vari veicoli di infezione. Lavarsi
le mani bene in queste stanze è fondamentale, in casa e ancora di più in ospedale (in
ospedale pulire il bagno una volta al giorno è poco secondo la prof). Per quanto riguarda la
cucina, questa è a rischio non perché c’è l’acqua potenzialmente contaminata (visto che
l’acquedotto eroga acqua potabile); piuttosto perché le superfici sono un ricettacolo di
microrganismi: la carne è un alimento che può veicolare microrganismi patogeni, le verdure
sicuramente lo sono. Negli ospedali viene di solito servita la mono-porzione, con rispetto di
norme igienico-sanitarie ma spesso arrivano cestini di alimenti, padelloni di alimenti, che
non sempre rispettano le norme igieniche!
46
Queste inoltre sono le
pratiche igieniche che
bisogna applicare per
lavarsi le mani. Ci sono 6
passaggi emanati dall’OMS.
In questi passaggi si pone
molta cura al lavaggio degli
spazi interdigitali sia del
palmo che del dorso della
mano e al lavaggio delle
unghie.
Nell’ambiente ospedaliero,
inoltre, non si può portare
smalti e anelli perché lo smalto potrebbe saltare e essere ricettacolo di microrganismi, cosi come
gli anelli. Tutti questi oggetti non devono mai essere vicini al paziente.
E’ opportuno aggiungere che di solito il pollice è una parte che non viene lavata mai e occorre
che ci sia una insistente preoccupazione nel lavaggio di tutte le punte estreme delle dita sul
palmo della mano che spesso sono ignorate.
Ci sono quindi passaggi step da rispettare nel lavaggio delle mani che vengono lavate con
detergente e soluzione alcolica. Inoltre, in ambiente ospedaliero e prima di accedere in sala
chirurgica, queste procedure durano 3 volte di più.
L’Ambiente Ospedaliero
E’ un ricettacolo di tanti problemi che spesso sono associati alla non curanza dei movimenti del
personale. Uno dei problemi dell’ambiente ospedaliero spesso sottovalutato è la ricircolazione
dell’aria per mezzo dei condizionatori. L’aspergillosi è una malattia micotica che molte volte
viene ignorata e i condizionatori ne sono i principali responsabili (in passato anche di
legionellosi). Quindi la pulizia dei filtri deve essere obbligatoria e frequente e per di più deve
essere in relazione alla frequenza d’uso del condizionatore; un condizionatore che viene usato
più spesso deve anche essere pulito più frequentemente.
Lo scopo del monitoraggio dell’ambiente è capire il grado di contaminazione microbica che può
o è associata alle diverse procedure e apparecchiature impiegate in ambito ospedaliero. Quindi
è importante evidenziare se c’è qualcosa che non va o non è ben gestito, ma questo non è un
capo d’accusa, piuttosto si sta dicendo solo che il monitoraggio e la valutazione dell’ambiente
deve essere eseguita perché se una procedura non è stata rispettata o non è andata bene o una
apparecchiatura non funziona più come deve, l’igienista deve intervenire immediatamente con
osservazione e intervento di controllo per garantire la sicurezza.
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La responsabilità è quella di
segnalare ciò che non va da parte di
chi lo scopre in reparto o laboratorio
di diagnosi e la direzione sanitaria
subito dopo interviene con mezzi e
modi per stanare l’inconveniente
verificatosi.
Identificare la sorgente di infezione
è un punto importante del ruolo
dell’igienista nel caso in cui ci siano
circostanze in cui la sorgente non è
nota (aspergillosi, legionellosi…) e
bisogna verificare se le procedure di
risanamento sono adeguate, se sono aggiornate, se sono state rispettate le norme igienicosanitarie e tutti i mezzi di possibile precauzione, sanificazione e intervento che deve avere lo
scopo di salvaguardare la salute di personale e pazienti.
L’aria non va mai sottovalutata, proprio perché non può essere contenuta e racchiusa e pertanto
diventa il principale veicolo dei microrganismi; è difficile impedire la circolazione degli agenti
infettivi, né di tutto ciò che è in sospensione, né si può limitare la caduta spontanea di
microparticelle sia di natura corpuscolare batterica, virale, micotica o di qualsiasi forma sulle
superfici presenti nell’ambiente (strumenti chirurgici, ferite del paziente…).
E’ capitato che in una sala chirurgica la scialitica era piena di polvere e una folata di vento ha
fatto cadere tutta la polvere sul lettino sterile. Perciò è importante che tutte le superfici devono
essere sanificate, deterse, pulite. E’ importante anche la tipologia di superficie; ad esempio
l’acciaio è facile da sanificare ma non tutto è fatto d’acciaio inossidabile. C’è anche il
legno,plastica,carta…
Oggi come oggi il
ricovero in ospedale può
portare a complicanze
infettive e l’unico mezzo
di prevenzione è la
sorveglianza; in assenza
di questo non si può
tenere sotto controllo il
paziente né l’ambiente
da un punto di vista
microbiologico e chimico
(anestetici
nell’aria
possono nuocere il
personale o chi sta nella stanza), quindi bisogna essere attenti a quelle procedure mediche che
possono esalare sostanze tossiche che si liberano nell’ambiente.
Quindi il controllo microbiologico in ospedale, in sala operatoria e il controllo delle infezioni che
si verificano convergono nel grande capitolo della prevenzione delle infezioni correlate
all’assistenza.
La prevenzione e il controllo è un compito difficile perché non esiste il lavoro del singolo nella
gestione igienica. La gestione parte da un aspetto clinico; il primo potenziale osservatore ma
anche responsabile di questo problema è un clinico che deve essere a conoscenza dei problemi
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che circondano il paziente. Perciò deve avere competenza di laboratorio oltre che conoscere il
paziente. Inoltre, Il clinico e il laboratorio devono collaborare per il bene del paziente perché il
clinico deve sapere quali esami specifici chiedere e collaborare col laboratorio nell’invio di ciò
che ha appena prelevato. A sua volta il laboratorio che riceve questo materiale lavora molto
meglio se il clinico gli fornisce un sospetto. Il sospetto non è limitante, oggi si hanno procedure
di attivazione di questa fase ma non sono l’ideale, se il laboratorio si rende conto che ha bisogno
di un’ altra indagine, è tenuto a contattare il clinico e effettuare l’altra analisi per completare il
pannello per far sapere se il sospetto è fondato o meno. Oggigiorno, purtroppo, il clinico dialoga
difficilmente col laboratorio e il laboratorio non sempre ha possibilità di dialogare col clinico e
chi ci rimette è il paziente. Quindi ci deve essere un controllo a due per far passare la diagnosi
sospetta ad accertata.
Molte volte il paziente critico e la sua gestione rappresentano un problema perché si hanno
difficoltà di comunicazione tra il clinico e il laboratorio, difficoltà di diagnosi precoce che è
l’ideale per il bene del paziente.
Inoltre, altri problemi che devono essere considerati e monitorati sono quelli associati alla
terapia. Ci possono essere problemi di varia natura, perché spesso questa terapia è ad ampio
spettro, non mirata; quindi, il paziente prende antibiotici senza alcun effetto benefico e con
annesso spreco di materiale, soldi e con potenziamento dell’effetto della farmaco-resistenza che
oggi è un grosso problema a livello mondiale.
Tutto questo può essere controllato e ridotto attraverso i sistemi di sorveglianza che si basano
sulla connessione che esiste tra paziente, microrganismo responsabile dell’infezione e
ambiente. L’ambiente non deve essere ignorato perché è la motrice essenziale dell’infezione; la
conoscenza dell’ambiente e di come veicola microrganismi è essenziale per aumentare l’igiene
ambientale.
E’ importante, quindi, considerare che quando in un reparto si usano liquidi di qualsiasi genere
(endovena, sacche di qualsiasi tipo contenente plasma, sangue, fisiologica…) che siano per il
paziente o per apparecchiature, essi sono un ottimo serbatoio per microrganismi. Ci sono stati
casi di Micobacterium Abscessus in pazienti oncologici senza sintomi respiratori ma che dal
broncolavaggio si è evidenziata la presenza del micobatterio. Di solito si adoperano disinfettanti
per il broncoscopio perché è impossibile sterilizzarlo a 120 gradi in quanto i broncoscopi hanno
giunture di plastica e materiale che a temperatura elevata si rovinano; perciò, questi
disinfettanti aumentano la possibilità di trovare batteri di questo tipo.
Si hanno, purtroppo, anche superfici che vengono pulite ma non disinfettate che trasportano
batteri e miceti. Perciò bisogna porre massima attenzione a problemi di questo tipo.
Si ignora, inoltre, che esiste una velocità diversa di sedimentazione di tutte le particelle nell’aria.
Ci sono diametri di 0.1 micrometri fino a 20 che hanno velocità di sedimentazione diverse in
funzione del diametro ed è importante conoscerle per studiare la ricontaminazione della
superficie.
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E’ importante anche considerare
la capacità di sopravvivenza dei
microrganismi sulle superfici
asciutte, perché se sono bagnate
la capacità di sopravvivenza si
allunga di molto nel tempo
(temperatura e umidità sono
fattori favorenti la riproduzione
microbica). Lo studio della
prof.ssa Pasquarella di Parma
(dati nella slide affianco) è molto
utile per questo concetto. A quei
tempi non si parlava ancora di
sopravvivenza sulle superfici; si è
visto che dopo 60 giorni c’è ancora
la possibilità di trovare ancora
microrganismi viventi, quindi c’è
una probabilità di infettarsi. E’ chiaro che dopo 5-10 giorni la carica è alta e il personale presta
maggiore attenzione, ma quando sono molti giorni, molti operatori ne danno poca importanza.
Per tale motivo, occorre prestare attenzione all’igiene ambientale anche dopo molti giorni
perché la probabilità di infezione è ancora presente.
I microrganismi più frequentemente coinvolti nell’ambiente ospedaliero sono:
• Enterococcus faecalis (5 giorni di sopravvivenza);
• Enterococcus faecium (7 giorni);
• Acinetobacter Baumanii soprattutto nei reparti di terapia intensiva, molto difficile da
trattare perché resistente (come Pseudomonas Aeurignosa multiresistente) sopravvive
fino a 2 settimane;
• MRSA può sopravvivere fino a 7 giorni ma può resistere anche fino a 80 giorni con cariche
molto basse.
Bisogna identificare precocemente la circolazione di un patogeno e avviare subito l’indagine
epidemiologica in modo da identificare la sorgente di infezione. Bisogna, con la sorveglianza,
fornire l’andamento periodico delle resistenze, capire cosa circola in un ambiente ospedaliero e
quali sono le vie di trasmissioni più frequenti tramite la biologia molecolare, che, però,
nonostante sia molto importante, da sola non è sufficiente per sorvegliare l’andamento delle
infezioni poiché può dare falsi risultati.
Bisogna prestare attenzione al monitoraggio della circolazione di microrganismi come S. aureus,
P. Aeruginosa, VRE (enterococchi vancomicina-resistenti) e la circolazione di tutti i
microrganismi antibiotico-resistenti perché se questi colonizzano un ospedale, debellarli diventa
molto complicato.
L’importanza della sorveglianza ambientale è molto dibattuta, alcuni la sottovalutano e alcuni
ospedali non hanno neanche team competenti. Non esistono tipologie di interventi ben
delineati, non esistono specifiche normative, ma esistono compiti da assegnare a personale
competente. L’organizzazione di una sorveglianza ambientale richiede molta competenza per
non essere dispersivi e dispendiosi. Si può quindi organizzare un team disciplinare e
interdisciplinare e avviare una sorveglianza.
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Le infezioni associate all’assistenza possono essere sicuramente messe in condizioni di essere
prevenute grazie all’attivazione di procedure specifiche che devono essere liberate, alleggerite
da tutte le procedure non necessarie dei quali lo scopo non è finalizzato; bisogna attivarsi con
attrezzature più avanzate e specifiche per la salvaguardia del paziente assistito in condizioni
asettiche; occorre pianificare e attuare programmi di controllo a diversi livelli (nazionale,
regionale e locale) per garantire la messa in opera di quelle misure che si sono dimostrate efficaci
nel ridurre al minimo il rischio di complicanze infettive. La realtà locale di un ospedale non è
paragonabile a quello di un altro ospedale per dimensioni, organizzazioni, per il sapere del
personale, tipologia dei pazienti…
Si dà inoltre importanza anche alla ferita chirurgica che è il biglietto da visita della qualità di un
ospedale. La ferita chirurgica comporta ovviamente un aumento della durata del paziente come
ricovero e quindi non sempre questo è un biglietto da visita di qualità, poiché se una ferita
chirurgica rimane nel tempo, questo può essere sintomo di cattiva qualità dell’ospedale. La sala
operatoria è l’ambiente a più alto rischio di infezioni ospedaliere cosi come centri di trapianto di
midollo osseo, unità di terapia intensiva, centro dialisi, prematuri e grandi ustionati sono a
rischio di infezione; una volta la suddivisione in reparti non esisteva e questo aumentava il rischio
di infezione.
Queste sono specifiche da portare avanti nell’ambito delle infezioni correlate all’assistenza e
cure ospedaliere che si basa sulla sorveglianza del laboratorio, studi di prevalenza, dati sul
consumo di antibiotici (quanta terapia mirata si esegue) e sorveglianze specifiche del reparto.
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Igiene - 8/11/2021 - prof.ssa Montagna
Sorveglianze in ambito sanitario
I temi più importanti nell’ambito di una sorveglianza interna delle infezioni correlate all’assistenza
sanitaria, soprattutto nel campo delle strutture ospedaliere (perché se si parla di “assistenza” in
senso lato sono incluse anche le RSA, ad esempio) sono:
- studi di incidenza sulle ferite chirurgiche. Le ferite chirurgiche hanno una stretta correlazione con
l’igiene delle mani perché quest’ultima è fondamentale per prevenire le infezioni delle ferite
chirurgiche, la contaminazione di un CVC (catetere venoso centrale) con conseguente batteriemia
ecc… Lo stesso discorso vale anche per i guanti adoperati con le mani, in quanto molti pensano,
sbagliando, che mettendo i guanti inizialmente sterili si possa fare di tutto, dal fumare una
sigaretta, a rispondere al cellulare, al trattare il paziente. Questa NON È igiene delle mani! I guanti
usati come se fossero mani hanno le stesse caratteristiche di contaminazione delle mani stesse.
Bisogna fare attenzione, dunque, all’utilizzo dei DPI (dispositivi di protezione individuali), in
particolar modo dei guanti, poiché essi hanno un margine di rischio molto alto. Oltre a questo,
bisogna tener conto anche delle infezioni invasive perché le emocolture sono lo specchio di una
disseminazione microbica che può causare anche la morte del paziente, non soltanto nell’ambito
dell’utilizzo di un CVC, ma anche nell’ambito di una gestione mal concepita e del paziente stesso.
Per questo è importante avere le mani sempre igienizzate.
Nello specifico, bisogna prestare attenzione agli pneumococchi, microrganismi diplococchi Gram
positivi. Il fatto di essere Gram positivi implica una maggiore resistenza alle terapie antibiotiche,
inoltre gli pneumococchi sono dotati di una capsula che conferisce loro una resistenza maggiore al
trattamento. Questo è un concetto molto importante perché, per esempio, di fronte ad una
meningite bisogna fare attenzione a distinguere quelle meningococciche, che sono più frequenti,
da quelle pneumococciche, più aggressive, più pericolose e letali a causa della maggiore resistenza
del microrganismo al trattamento. Questo perché la terapia antibiotica contro le meningiti
pneumococciche dev’essere immediata e mirata.
L’insorgenza di queste complicanze, di cui si occupa appunto la sorveglianza sanitaria, comporta
necessariamente un aumento della durata del ricovero e della degenza ospedaliera del paziente;
questo significa disagio per il paziente ed aumento dei costi. In media, se tutto va bene, abbiamo
un allungamento della degenza ospedaliera otto giorni, che diventano molti di più in caso di
ricovero in terapia intensiva per complicanze, soprattutto per lo stato più o meno debilitato che
caratterizzerà il paziente.
Per la struttura ospedaliera, i problemi sono i grandi numeri, nel senso che ci sono determinate
complicanze con un’incidenza molto alta; ad esempio, le infezioni delle vie urinarie rappresentano
un disagio notevole per il paziente, che spesso viene cateterizzato e mal gestito dal punto di vista
di un’adeguata pulizia delle mani. La cistite non sempre si può sottoporre ad una terapia
antibiotica ad ampio spettro e se l’infezione è provocata da organismi farmaco resistenti,
sicuramente ci sarà l’insorgenza di complicanze, con allungamento della degenza ospedaliera. Non
sempre i grandi numeri possono essere rispettati, soprattutto in particolari emergenze, come ad
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esempio nella pandemia da SARS CoV-2: si dava priorità ai pazienti con il COVID a discapito dei
pazienti in senso lato, che quindi non potevano godere dei normali usuali trattamenti di ricovero e
terapia.
Un altro problema da tenere in considerazione sono le farmaco resistenze, causate dall’impiego di
terapia antibiotica ad ampio spettro. Molto spesso è il medico di famiglia che la consiglia al
paziente, il quale però sviluppa una resistenza ad ampio giro e il batterio, che inizialmente
sembrava sensibile, diventa resistente. Questo è un problema di sanità pubblica allarmante perché
molte terapie antibiotiche, a volte anche mirate, non sempre riescono ad eradicare l’agente
patogeno, risolvendo le complicanze infettive; questo porta a danno notevole del paziente.
La conseguenza logica è lo spreco di risorse: spreco di denaro, del tempo di ricovero, spreco per il
paziente e per il personale sanitario che deve assisterlo per tempi molto più lunghi. In particolare,
quest’ultimo punto è particolarmente significativo perché una lunga degenza ospedaliera implica
un aumento del rischio infettivo per una serie di ragioni che non sempre si riesce a controllare. Il
paziente deve affrontare alcuni problemi, quali l’aumento della degenza, del trattamento
terapeutico, delle indagini diagnostiche, con un aumento dell’impegno del personale di
laboratorio e del clinico, che deve eseguire la richiesta di indagini in senso lato e aspettare il
referto, gestirlo e agire sul paziente. Tutto ciò comporta sofferenza da parte del paziente, dei suoi
familiari che devono aspettare l’esito del ricovero e dell’intervento terapeutico.
Il ruolo del laboratorio ha un’importanza fondamentale nel controllo delle infezioni ospedaliere,
ma purtroppo spesso viene disatteso perché il clinico pensa molto alla terapia che si fa sul
paziente e a volte non sa leggere o interpretare bene il referto del laboratorio per “ignoranza” (in
senso buono) nel campo microbiologico, il quale è sempre in continua evoluzione.
Il laboratorio ha un ruolo sicuramente identificativo nei confronti dell’agente eziologico
responsabile della complicanza infettiva. Il laboratorio deve avere competenze microbiologiche,
un continuo aggiornamento e soprattutto un continuo confronto con il clinico. Il microbiologo e il
clinico devono interfacciarsi e collaborare, solo in questo modo si può giungere ad una terapia
mirata corretta, che riduce costi, degenza e salva il paziente. Molte volte, però, il prelievo del
campione non viene fatto in maniera adeguata → c’è il rischio di contaminazione nella fase del
prelievo. Il clinico e l’infermiere che lo affianca devono dunque avere una competenza stretta su
ciò che sta facendo e su ciò che sta chiedendo al laboratorio. Il laboratorio deve essere in grado di
capire se il microrganismo che è stato isolato deriva da una contaminazione oppure è
effettivamente responsabile della sintomatologia del paziente.
Ad esempio, l’espettorato è un materiale polimicrobico per natura perché viene raccolto
attraverso l’eliminazione dal cavo orale, il quale è un ambiente in cui vive una certa flora batterica,
della quale fanno parte, ad esempio, le Neisserie, che sono dei colonizzanti eccezionali del cavo
orale. Se nel referto dell’analisi sull’espettorato è evidenziata la presenza delle Neisserie in senso
lato (come genere, non come specie), non bisogna preoccuparsi perché è normale che questo
microrganismo ci sia. Non va segnalato nel referto. Nel referto bisogna scrivere “assenza di
microrganismi patogeni”. Se un laboratorio, soprattutto quelli privati, che vede un tappeto di
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Neisserie nell’espettorato, lo inserisce nel referto, quindi il clinico, che vede una cosa del genere,
dà un antibiotico per ripulire il cavo orale, cosa del tutto inappropriata.
Domanda: se nel referto viene segnalata la contaminazione da Neisserie e il medico dà al paziente
una terapia errata, pensando alle Neisserie come patogeni e non come normale flora batterica, ci
sono responsabilità medico-legali?
Risposta: più che di un errore nella terapia, si tratta di una cattiva interpretazione del referto. Se il
laboratorio scrive N. Meningitidis (e questo NON VA FATTO) o qualsiasi specie non patogena che
normalmente colonizza il cavo orale, il medico che non ha competenze microbiologiche non viene
accusato, ma deve chiamare il laboratorio, interfacciandosi con il microbiologo, oppure va sul libro
di microbiologia a rivedere l’argomento (molto spesso si tende, infatti, a non manifestare la
propria “ignoranza”→ bisogna considerare che nessuno è onnisciente. Le carenze sono tipiche
della nostra natura di uomini. Magari la prima volta il clinico non saprà gestire questa situazione, la
seconda volta sì. “Ignorare” significa anche avere uno stimolo a imparare, documentarsi ed
aggiornarsi.N. Meningitidis è un microrganismo che oggi c’è, domani no, perché è vero che l’uomo
è portatore sano di N. Meningitidis, ma quest’ultimo è molto labile, muore con estrema facilità,
magari con un abbassamento di temperatura. Non è, a livello faringeo, un microrganismo che
genera allarme. È chiaro, però, che in una scuola in cui c’è stato un caso di meningite si fa
l’indagine epidemiologica sugli altri bambini → se si trova un elevato numero di portatori sani,
allora questa situazione ha un significato completamente diverso perché bambini e adolescenti
sono soggetti più esposti alla meningite, e in generale alle malattie e alle complicanze infettive,
così come gli anziani. Tornando alla domanda, non c’è responsabilità medico-legale perché non si
tratta di una meningite non diagnosticata. La meningite, soprattutto la meningococcica, è una
malattia che bisogna saper gestire con prelievi e referti tempestivi perché può essere una malattia
fulminante. Per quanto riguarda il prelievo del liquor, se nell’attesa di inviarlo al laboratorio lo si
mette in frigo, questo è un comportamento sbagliato perché N. Meningitidis è termolabile.
Preferibilmente, il liquor si lascia a temperatura umana oppure a temperatura ambiente.
Per quanto riguarda la gestione del microrganismo isolato in laboratorio, questa dev’essere
competenza del medico clinico e del laboratorio. Se uno dei due non è aggiornato, ci deve essere
la comunicazione tra le due parti. La comunicazione è fondamentale in ambito medio sanitario, ma
allo stesso tempo è molto difficile da mettere in partica per orgoglio, ecc…
L’antibiogramma non si fa di routine perché determina un grande spreco di tempo e materiale: va
fatto solo quando necessario, in caso di sensibilità a un antibiotico in quella specifica sede
d’infezione. Vi sono poi germi particolari che danno un alert perché non sono di facile gestione,
come lo Pseudomonas o l’Acinetobacter, o ancora lo Stafilococco Aureo meticillino-resistente,
l’Enterococco vancomicina-resistente, la Klebsiella Pneumoniae, il Citrobacter Koseri. Questi
hanno una naturale e intrinseca resistenza, per cui il paziente infetto potrà dare epidemie
ospedaliere di difficile gestione: è importantissimo dunque allertare tutto il reparto in caso di
infezione.
I patogeni hanno la possibilità di creare un danno e una patologia, ma non è detto che diano
effettivamente la malattia. In più esistono microrganismi detti commensali o saprofiti che
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comunemente non danno una patologia. Tuttavia, sono denominati patogeni opportunisti perché
al di fuori della loro sede naturale possono determinare una patologia: un esempio classico è
l’Escherichia Coli a livello urinario o la Candida a livello vaginale. Nei soggetti a rischio vi possono
essere complicanze legate proprio a questi patogeni opportunisti.
Quando succedono tutti questi problemi bisogna subito notificare la direzione sanitaria che deve
dare le disposizioni per rispondere al fatto.
il dato epidemiologico dell’infezione è molto importante e deriva direttamente dai dati di
laboratorio. Bisogna considerare quanti esami all’anno sono stati fatti, quanti positivi sono stati
individuati, quali microrganismi sono stati isolati e quali resistenze farmacologiche sono state
documentate. Quindi si studiano le provenienze: il reparto più in crisi è la rianimazione perché
ospita i pazienti più fragili. Si considera anche il materiale studiato: espettorato, tampone vaginale,
sangue, liquor, urine e feci. I liquidi biologici del nostro corpo sono fisiologicamente sterili, quindi
non presentano alcun microrganismo patogeno in condizioni normali, ma possono presentare
microrganismi commensali.
La sorveglianza epidemiologica è un mezzo fondamentale per il controllo delle infezioni
ospedaliere. I microrganismi sentinella sono i microrganismi più diffusi all’interno dell’ospedale e
vanno monitorati nel tempo. Si fa dunque un’analisi degli isolamenti, reparto per reparto, distinti
per microrganismo e materiale biologico: questo permette di valutare più a fondo l’andamento
delle infezioni in particolari sedi dell’organismo. Per questo possiamo dire che le infezioni più
frequenti sono a livello delle vie urinarie, grazie allo studio epidemiologico, e i pazienti più colpiti
sono gli anziani perché fragili e debilitati dal punto di vista immunitario.
In base all’andamento epidemiologico c’è l’indirizzo agli interventi. Le infezioni possono essere
acquisite durante il ricovero se sono la conseguenza della patologia del paziente oppure se vi è
una cattiva gestione dei cateteri urinari. Spesso viene ignorata un’indicazione fondamentale,
ovvero cambiarsi i guanti fra un paziente e l’altro, per una semplice negligenza legata alle
tempistiche.
Il guanto è qualcosa che protegge noi ma non protegge il paziente se questi vengono adoperati tra
più pazienti o addirittura tra più stanze.
Gli obiettivi prioritari sono anticipare la diffusione impropria di un’infezione ospedaliera e, laddove
noi sappiamo della presenza di un microrganismo “alert” in un paziente, bisogna assolutamente
monitorarla nel tempo, a tempi molto ravvicinati, in modo che andiamo a verificare se per caso il
soggetto sta peggiorando o migliorando, o se ci sia diffusione in altri pazienti.
Le antibiotico-resistenze che ci preoccupano di più tra i microrganismi alert sono lo Stafilococco
Aureo meticillino-resistente (MRSA), Pseudomonas Aeruginosa, Klebsiella Pneumoniae,
Acinetobacter, Escherichia Coli.
55
Igiene 09/11/21 – Prof.ssa Montagna
RISCHIO BIOLOGICO NELLE STRUTTURE SANITARIE
Le infezioni ospedaliere, di cui parleremo, vengono spesso sottovalutate tranne quando portano a
morte di alcuni pz, da cui si scaturisce il solito allarmismo che mette a soqquadro la direzione
sanitaria. Uno di questi aspetti è il rischio delle complicanze di infezioni fungine.
Le infezioni fungine sono causate da microrganismi chiamati funghi o miceti, le cui infezioni
stanno aumentando notevolmente in tutto il mondo. Hanno preso una rilevanza degna di nota
quando è arrivato l’AIDS. Infatti con l’avvento dell’AIDS, malattia che colpisce il sistema
immunitario, poichè questi microrganismi opportunisti colpiscono i soggetti fortemente debilitati,
c’è stato un incremento di casi. L’attenzione si è rivolta verso i pz di AIDS perchè non morivano per
la malattia in sè ma si è scoperto, dopo attente analisi, che morivano per complicanze di origine
micotica. È stata necessaria una rivisitazione della classificazione della tassonomia di questi
elementi fungini che attualmente si dividono in 2 filoni molto diversi tra loro: lieviti e muffe. Molte
volte si parla di funghi e muffe ma in realtà i funghi comprendono i lieviti e le muffe. Sono
tipologie di microrganismi diversi tra loro, possono dare complicanze micotiche diverse con
conseguenze altrettanto diverse. Da questo consegue che bisogna conoscere attentamente
l’eziologia della malattia.
I lieviti sono organismi unicellulari. Un esemplare dei lieviti molto conosciuto è la candida,
frequente responsabile di vaginiti nella donna e di sepsi fungine. L’identificazione dei miceti è
importante ai fini della risoluzione del caso patologico perché i tempi cambiano. In più i miceti
sono sensibili agli antibiotici e un uso improprio degli antibiotici favorisce la riproduzione micotica.
Le candide in particolare sono tra i più importanti neutralizzatori di antibiotici. Bisogna tener
presente che facciamo un uso quotidiano dei funghi ogni giorno come con il consumo di latte, di
formaggio, di latticini e del pane; quindi, sono commensali innocui dell’intestino che però in
condizioni patologiche possono sviluppare infezioni fungine. Ciò significa che nella diagnosi
differenziale su certi materiali (come tampone vaginale, un campione di feci o di urine) bisogna
capire se il lievito riscontrato può essere responsabile della patologia in questione o se è una
presenza innocua nel suo habitat naturale. Un esempio di questo è quello che si verifica quando
un soggetto presenta diarrea profusa per diverse motivazioni c’è un aumento notevole di candida
nelle feci perché questa condizione libera l’intestino di moltissimi batteri che si perdono con le feci
e quindi viene meno quel naturale equilibrio tra lieviti e batteri. Perciò il clinico deve sapere che la
diarrea profusa è dovuta ad altro, non a lieviti nonostante ci sia un loro incremento. Infatti, nel
momento in cui il pz ripristina il suo equilibrio intestinale, cioè si ferma la diarrea e le flore
microbiche intestinali tornano al loro equilibrio naturale, ecco che i lieviti spontaneamente
regrediscono per mettersi in equilibrio con i batteri. Conoscere questi particolari della
fisiopatologia servono ai fini delle terapie da impostare sui pz, altrimenti i pz vengono imbottiti di
antibiotici antifungini senza ragione e questo comporta lo squilibrio generale della resistenza ai
farmaci. Quindi i lieviti hanno un loro determinato habitat. Un esempio è il riscontro sulla pelle
della candida parapsilosis, la responsabile delle sepsi più frequenti soprattutto per uso del
catetere con danni anche mortali; mentre la candida albicans è presente solo sulle mucose (da
56
quella della bocca a quella della vagina), il suo habitat naturale, ma mai sullo strato esterno della
pelle perché è una candida endogena. Anche questo risulta un dato molto importante, infatti,
ritrovare una candida albicans in un ambiente non suo porta a manifestazioni cliniche come
vaginite da candida albicans per squilibrio a livello vaginale tanto da acquisire carattere infettivo.
Le muffe invece molto molto raramente colonizzano l’intestino umano, sono funghi filamentosi,
pluricellulari e sono tipicamente colonizzanti l’ambiente. Infatti, banalmente le macchie che
vediamo sui muri e che assoggettiamo all’umidità sono in realtà dei funghi filamentosi che su un
substrato umido si riproducono. Sarà bianca se si tratta di aspergillus campus, nera se si tratta di
aspergillus niger, verde se è un pencillium o aspergillus fogliatus, giallo e verde se aspergillus
flavus. Perciò le muffe saranno molto colorate e il colore dipenderà dalla tipologia della muffa in
questione, a differenza dei funghi che non sono colorati. Le muffe sono eterotrofe, cioè si
adattano su qualsiasi substrato, biologico o non biologico. Un esempio è quello che vediamo
conservando il formaggio in una carta che trattiene l’umidità, come in una busta di plastica, o pane
umido. Dopo qualche giorno, notiamo delle piccole macchie colorate che saranno muffe. Quindi la
parola “ammuffito” deriva proprio dall’esistenza di questi funghi, tipicamente ambientali.
Nell’ambiente troviamo le spore che sono le parti adibite alla riproduzione del microrganismo e
quando la spora si viene a trovare nel suo ambiente naturale idoneo, darà origine alle colonie
fungine, quelle che si notano ad occhio nudo su qualsiasi substrato. Naturalmente sullo strato
biologico si notano particolarmente per la ricchezza di elementi nutritivi che favoriscono la loro
riproduzione. Da questa osservazione nasce uno studio fatto sui cadaveri abbandonati. Studiando
questi cadaveri si è notato come il tipo di fungo ritrovato risale al tempo della morte perchè le
muffe hanno bisogno di tanto tempo per riprodursi (2/15 gg/ 1 mese), a differenza ad es. della
candida che si replica ogni 24/48 h come i batteri. Quindi in base alla tempistica di riproduzione
della determinata muffa si procede con la datazione della morte, assieme agli altri dati legali
accumulati e considerati. Da queste caratteristiche si capisce come queste muffe siano in grado di
colonizzare pz debilitati così da causare complicanze anche mortali.
La prof illustra alcuni esempi come: pane ammuffito, arancia ammuffita, marmellata ammuffita e
infine fa vedere un’immagine di soffitti e ambienti definiti particolarmente umidi ma che in realtà
sono pieni di muffe. I puntini neri sul muro sono colonie fungine che si sono riprodotte. In
un’immagine successiva si vede un sollevamento dell’intonaco. Qual è la differenza tra le due
situazioni? Nell’ultima immagine dove l’intonaco è sollevato ci sono altre tipologie di funghi, quali i
zigomiceti o micorales. Questi sono funghi che crescono sottoforma di filamenti molto lunghi e
sottili, assomigliano a capelli, che prediligono la parte più umida, colonizzando il fondo
dell’intonaco e si riproducono al di sotto. Pian piano che si riproducono l’intonaco si stacca e cade.
Questi miceti prediligono l’ambiente, perciò, li ritroveremo dappertutto perché colonizzeranno
suolo, aria e acqua. Negli ultimi anni si stanno susseguendo molti studi sulla presenza di funghi
filamentosi nell’acqua perché pare che, ingerendo acqua ad alto contenuto di funghi filamentosi,
nei soggetti patologici possiamo avere una colonizzazione intestinale con anche disseminazione
ematogena e complicanze irreversibili. Sono oligotrofi, cioè si adattano su qualsiasi substrato e
sfruttano qualsiasi cosa, perciò, non c’è possibilità di contenimento nell’ambiente. Sono patogeni
57
opportunisti in grado di causare uno stato patologico in un organismo debilitato. Sono note circa
un centinaio di specie.
Le infezioni micotiche possono essere di origine endogena o esogena. La candida dà più
frequentemente infezioni endogene, sono favorite dall’interazione col SI e perciò favorite da
particolari condizioni patologiche.
I fattori che favoriscono la complicanza fungina sono:

carica significativa di agenti patogeni. Il microrganismo da opportunista è diventato
patogeno ma c’è bisogno di una particolare carica significativa;

virulenza dei microrganismi, altrimenti non reca alcun danno e la virulenza è data dal
genere e dalla specie;

appropriata modalità di trasmissione;

suscettibilità diagnostica.
I principali fattori di rischio che favoriscono l’insorgenza di una complicanza micotica sono:

patologia di base;

durata del ricovero;

neutropenia;

cateterizzazione, soprattutto nelle candide;

colonizzazione naturale che ciascuno di noi può avere in funzione di quello che mangia e
beve;

terapie prolungate soprattutto a base di antibiotici;

emodialisi, perché il pz ospedalizzato è sempre a rischio;

ventilazione assistita, o comunque in generale gli ambienti di terapie intensive.
Funghi filamentosi
La prof mostra un’immagine tipica dell’Aspergillo, osservato al microscopio. Sulla base della testa
dell’aspergillo si instaurano gli elementi produttori delle spore, chiamati anche conidi. Le spore per
loro natura si liberano e si disperdono nell’ambiente, quindi nell’ambiente troveremo soltanto
spore. Queste spore sono diverse in grandezza e forme, a seconda del genere del fungo. Un
esempio è la differenza tra i conidi del genere Fusarium e di quelli dell’Aspergillo. I primi sono più
grandi, hanno una forma fusata e una disposizione particolare, che permettono in laboratorio di
identificare il genere e anche la specie. È importante sapere queste caratteristiche perché ad
esempio a livello oculare è difficile trovare un aspergillo, è più facile trovare un fusarium, che
potrebbe almeno offuscare la vista ma in casi gravi anche darmi un’infezione del bulbo oculare. Il
fusarium richiede circa 5-7 gg per proliferare rispetto all’aspergillo che in 2-3 gg si rivela. Quindi se
non sappiamo che il fusarium si trova a livello oculare e ci chiedono di fare una ricerca micotica,
58
potremmo buttar via tutto dopo un paio di giorni, dicendo di non aver notato alcuna crescita e
fare una diagnosi errata. In generale bisogna aspettare fino ai 15 gg per poter notare tutti gli
eventuali miceti. Nel frattempo, però l’esame al microscopio ci aiuta a vedere se c’è qualcosa.
Nell’immagine accanto la prof mostra gli zigomiceti che sono completamente diversi
morfologicamente. Sono funghi filamentosi che raramente colpiscono l’uomo ma quando lo
colpiscono, difficilmente il pz si salva perchè hanno un effetto necrotizzante sul tessuto. Le vie di
trasmissione sono quelle nasali, quindi colonizzano le aree respiratorie, cominciano a macerare il
tessuto e nel giro di 1 settimana/10 gg portano a morte. Questi cadaveri hanno delle facce
completamente maciullate. I pz più colpiti sono quelli diabetici per cui bisogna stare attenti se
hanno qualcosa a livello nasale e al minimo sospetto si procede con la conta micellare. Questi
miceti bisogna saperli coltivare per poter creare le giuste condizioni per avere una crescita. Poi la
crescita sarà rapida, quindi sarà più difficile arrivare a pensare a questo tipo di infezione fungina
piuttosto che a fare la diagnosi.
Un altro fattore favorente le infezioni fungine, che ultimamente viene preso fortemente in
considerazione nel Policlinico, sono i lavori in corso. I lavori in corso, le opere edili in prossimità
degli ospedali creano un sollevamento di polvere che potrebbe essere pericoloso se vicini o dentro
reparti a rischio, come ematologia, oncologia o reparti con pz in dialisi. Allora bisogna adottare e
rispettare certe misure preventive e cautelari, come innalzamento di barriere davanti agli edifici,
per prevenire l’invasione dei funghi portati con la polvere in questi reparti. Il tutto è agevolato dal
fatto che nei reparti è impossibile tenere le finestre completamente chiuse. Perciò bisogna stare
attenti a monitorare il pz più strettamente affinché se ci fosse un campanello d’allarme per
infezioni fungine dovremmo subito agire. Ove necessario dobbiamo:

riorganizzare le attività assistenziali, e trasferirle qualora i lavori durino a lungo;

programmare una sorveglianza speciale per pz a rischio;

gestire le infezioni epidemiche.
I principali pericoli di contaminazione indoor derivano da un sistema aeraulico in cattive condizioni
igieniche e sono di origine chimica (biossido di azoto, monossido di carbonio, biossido di zolfo) e di
origine microbiologica (miceti, virus e batteri). Un tasto ancora dolente negli ospedali è la
manutenzione adeguata e puntuale dei sistemi aeraulici. Molte volte non viene fatta o perlomeno
si pensa che le condutture idrauliche siano esenti da forme di contaminazione microbica, sia
batterica che micotica, perché sono chiuse, non esposte all’esterno, o che basti pulire
semplicemente il filtro. Ma anche la cadenza della pulizia del filtro dipenderà dalla frequenza con
cui la conduttura è usata e dal quantitativo di gente che frequenta quell’ambiente. La classica
pulizia del filtro, fino a poco tempo fa, si faceva per il rischio di legionella. Ormai questo rischio è
stato superato perché questi sistemi non funzionano più da nebulizzatori di aria fredda ma sono
dei circuiti chiusi di acqua. Attualmente il rischio maggiore di infezione è di aspergillosi, infatti se
poniamo questi filtri sotto acqua corrente è facile notare il distacco della polvere. Questa polvere
porta contaminazione. Quindi se queste condutture non sono adeguatamente pulite, quando
raffreddano l’aria vanno a rilasciare un sacco di miceti.
59
In un sistema aeraulico possiamo trovare dei funghi quali: penicillium spp., aspergillus spp.,
clodosporium spp., Alternaria spp. (soprattutto la forma alternata è responsabile di forme
asmatiche e allergiche).
L’aria rappresenta la principale via di diffusione ambientale di miceti. Il tempo di sedimentazione
delle spore è di circa 1 m/l’ora, dipende dalla ventilazione dell’ambiente. Le spore sono vitali in
ambiente secco per molti mesi ma non si riproducono. Nel momento in cui ritrovano un ambiente
umido allora germinano e danno luogo a colonie fungine, visive ad occhio nudo.
Un vecchio studio è stato fatto sulla presenza dei miceti prima e durante uno scavo. Prima si sono
registrate 19 CFU (unità formanti colonie) /m3, di cui 4 di aspergillus fumigatus mentre durante lo
scavo si arriva a circa 20000 CFU.
Il genere più conosciuto dai clinici è l’aspergillus. Sebbene la sua temperatura di riproduzione sia di
30-35 C, in realtà si adatta anche a temperature superiori di 50-54 C. Si sviluppa su qualsiasi
substrato.
Ultimi studi sono stati fatti sulle infezioni fungine trasmesse e favorite dall’acqua. I primi ospedali
erano concepiti come grandi stanze dove raccogliere pz affetti da varie malattie, perciò, spesso si
moriva per altre infezioni trasmesse da altri malati vicini e l’acqua è stata interpretata come una
delle vie di trasmissione più frequente per infezioni nosocomiali. Da qui l’interesse verso l’acqua
come veicolante di infezioni. La studiosa di questa ricerca studiò il caso di un ospedale in Texas e
notò che le infezioni fungine che si sviluppavano nell’acqua erano le stesse che ritrovava nei pz
con complicanze gravi, tanto da indurre morte in essi. Contemporaneamente un altro studioso in
Norvegia scoprì la stessa cosa. Nel 2002 uscì un altro studio sugli aspergilli che dimostrò come
c’era una carica significativamente più alta di questi funghi nei bagni delle stanze dei pz e nei bagni
dei corridoi limitrofi. I ceppi isolati nel pz e quelli dei bagni erano gli stessi, allora questo
dimostrava che la complicanza fungina era di origine nosocomiale. Per questa dimostrazione si
servì di uno studio di genotipizzazione, una indagine molecolare.
Lo studio poi si è allargato a varie specie. Dalla letteratura i miceti più frequenti nell’acqua sono:
alternaria, aspergillus, penicillium e cladosporium. La cosa più importante è avere il sospetto di
un’infezione simile perché poi è il laboratorio che ci viene incontro.
L’aspergillo oggi è la seconda causa più frequente di complicanza nosocomiale. La sua inalazione è
molto molto facile, infatti li respiriamo frequentemente anche noi ma essendo sani, non ci creano
dei danni invece in pz con patologie di base gravi, come malattie onco-patologiche, causerà
complicanze gravi.
Circa 5 milioni di persone nel mondo soffrono di asma collegata ad un’aspergillosi polmonare e
che procurerà un danno importante. Tutto questo è favorito dalla formazione di biofilm nella rete
idrica. I biofilm sono una matrice polimicrobica di diversa natura che ospita anche le amebe e si
comportano da supporti per la riproduzione di legionella (batterio) e anche funghi come
aspergillus. La produzione di biofilm va per gradi; infatti, nella fase 1 c’è poco quanto niente di
materiale e man mano aumenta di dimensioni, tanto da ospitare popolazioni ingestibili di
microrganismi.
60
Le sorgenti di infezioni quindi potranno essere:

uso di acqua contaminata (aspergillosi gastrica e intestinale);

inalazione di conidi o di spore aerodisperse (aspergillosi polmonare);

impianti accidentali che si possono avere tramite ferite (aspergillosi cutanea o
disseminata), motivo per cui in sala operatoria non devono assolutamente essere presenti
funghi.
Quello che possiamo fare è adottare assolutamente misure di prevenzione sia su aria sia su
superfici in ambito sanitario. Ancora non esistono linee guida specifiche per prevenire
l’esposizione a funghi filamentosi, in particolare aspergillus veicolato dall’acqua di rete. Ciò che
manca nella maggior parte degli ospedali è la pulizia. La pulizia è di straordinaria importanza per
rendere efficaci gli interventi di bonifica e sanificazione. Un esempio concreto e frequente è usare
il disinfettante su una superficie dove ci sono già dei residui di sangue. Questa operazione è
inutile, infatti, servirebbe prima pulire la macchia, rimuoverla e poi sanificare perché sennò il
sanificante non agirà in profondità. Sembra ci sia confusione tra pulire, disinfettare e sanificare.
Sono 3 processi del tutto diversi ma accomunati dallo stesso scopo. Purtroppo, quando si vanno a
controllare le superfici in sale operatoria, si trova tanta polvera che per molti è una cosa normale
quando basterebbe una semplice pulizia. Le sale operatorie, poiché molto arredate, sono spesso
caratterizzate dalla presenza di polvere. Da non sottovalutare è la polvere che si deposita sugli
armadi o sui fili, ad esempio, perché questa facilmente potrebbe causare infezioni durante le
operazioni. Quindi non possono essere puliti solo superfici e macchinari! Risultano inutili le
valutazioni di igiene se manca la semplice pulizia. Per quanto riguarda l’acqua, invece, questa
viene costantemente e quotidianamente controllata in Policlinico.
Fonti di infezione sono le stanze chiuse abbandonate o i rubinetti non utilizzati quotidianamente.
Questo vale sia per gli ospedali che per le case.
Domanda: Come facciamo a capire se sono patogeni? Dipende dalla lesione cutanea, in base a
quella si capisce che cosa può essere. Ad es differenza tra leishmania (ha un decorso molto lento e
si estende facilmente, avrà una lesione satellite) e pseudomonas aeruginosa (normalmente non si
trova a livello cutaneo ma se si ritrova lì, ha un decorso molto veloce), accomunate da una lesione
che ha un aspetto necrotizzante. Quando si è davanti ad una lesione cutanea in cui non ci
orientiamo, non abbiamo ipotesi, allora procediamo con una ricerca a tappetto di qualsiasi tipo di
patogeni. Ad es. la sporomicosi che è un’infezione fungina da funghi dimorfi, cioè che possono
comportarsi sia da funghi che da lieviti, che possono colpire anche i soggetti sani perché non hanno
bisogno di un substrato patogeno. I dimorfi sono tendenzialmente africani, asiatici e americani. La
sporomicosi la si riconosce perché si formano delle specie di vescicole lungo l’andamento linfatico
che i dermatologi riconoscono. Il cambiamento climatico potrebbe favorire l’instaurarsi della
coccidiomicosi nelle nostre zone ed è molto più difficile affrontarla e limitarla rispetto alla
sporomicosi. La coccidiomicosi può essere importata da coloro che viaggiano dallAmerica e
dall’Asia, che erano i suoi territori endemici, all’Italia perché stanno arrivando le zanzare che, per
via del cambiamento climatico, potrebbero con più frequenza affacciarsi nelle nostre zone,
61
ripordursi e diventare più difficilmemte debellabili. Le infezioni vanno affrontate insieme, con lo
specialista, l’importante è avere il sospetto: la medicina è fatta di colaborazioni interdisciplinari.
SALE OPERATORIE
Parlando del complesso operatorio, ci si riferisce al blocco operatorio e ai locali di servizio. Il
blocco operatorio comprende:






sale operatorie
ambienti per la preparazione del paziente
l’area per l’anestesia
la zona in cui il paziente si deve svegliare post anestesia
la zona in cui si sterilizza tutta la strumentazione per l’intervento chirurgico
l’area del lavaggio delle mani che il chirurgo deve effettuare in maniera ancora più accurata
rispetto alla normale routine, assieme alla vestizione.
Tra i locali di servizio c’è:



zona filtro
la zona depositi
la centrale vera e propria di sterilizzazione
Nelle sale operatorie non si possono avere ambienti troppo affollati perchè il paziente è a serio
rischio in quanto sta subendo un intervento chirurgico.
Ciò che ci protegge in primis è la nostra cute che deve essere sempre integra e idratata e, nel
momento in cui si entra in sala operatoria, si subisce un’incisione in base al tipo di intervento,
quindi gli organi interni saranno esposti. Gli organi interni sono costituiti da tessuti molto recettivi
a qualsiasi tipo di microorganismo perchè sono molli, umidi, morbidi, tutti fattori che favoriscono
una maggiore proliferazione microbica. Quindi, bisogna assicurare il paziente, rendere alta la
qualità dell’aria che circola nella sala operatoria e avere cura degli impianti di qualsiasi tipo,
assicurare l’igiene delle superfici, anche delle porte che vanno pulite, le pareti, i pavimenti, le
attrezzature, va tutto pulito. Pulire non è equivalente a disinfettare. I fattori che incidono sul
mantenimento dell’alto livello della sala operatoria sono di natura strumentale o di natura
umana.
Le principali sorgenti di infezione sono:


l’equipe chirurgica che deve lavare le mani, mettere la mascherina e condurre tutto il
processo di vestizione in maniera precisa
i pazienti perché una volta che il paziente viene operato, può essere una fonte di infezione:
ad esempio se bisogna fare un intervento all’intestino, qui ci può essere di tutto, quindi
basta toccare un po' di intestino e la contaminazione c’è, per questo bisogna imparare a
gestire queste situazioni
62

l’impianto di ventilazione che è quello che rende l’ambiente idoneo per la sala operatoria:
le temperature devono essere basse perché l’equipe chirurgica non deve assolutamente
sudare, poiché se qualche goccia di sudore dovesse cadere sulla zona dell’intervento del
paziente, ci potrebbe essere contaminazione
Negli anni 2015-2017, la Regione ha finanziato uno studio biennale, chiamato Progetto IM.PA.C.T
(IMproving the health of Patients by supporting dinamyC healTh systems and new technologies)
che ha studiato i fattori di rischio della sala operatoria e ciò che poteva essere migliorato, anche da
un punto di vista ingegneristico, all’interno di una sala operatoria, per ridurre i fattori di rischio
concomitanti per il paziente. Gli obiettivi di questo progetto erano di:
1. valutare le contaminazioni indoor della sala operatoria e le caratteristiche edilizie ed
impiantistiche che ne influenzano le prestazioni
2. promuovere corsi di formazione per pianificare strategie di protezione per le
complicanze post-chirurgiche
La Regione è stata molto attenta nei confronti di questo studio e si è cercato di portarlo avanti con
grande difficoltà, poiché la Puglia è una regione lunga e stretta e raccogliere le informazioni è stato
faticoso. Quando si è partiti con i primi interventi, in particolare con il monitoraggio microbiologico
ambientale che doveva valutare il livello di dispersione aerea e superficiale dei microorganismi in
una sala operatoria, si è scelto di partire con l’analisi di questo dato perché, la concentrazione
microbica dispersa, secondo gli studiosi in generale, rappresenta un indice della qualità dell’aria,
che influisce moltissimo sulla qualità del servizio che si offre al paziente e che dipende molto
dall’efficacia delle procedure di pulizia e sanificazione. Bisogna distinguere tra pulizia e
sanificazione che dovrebbero essere procedure adottate in tutti gli ambienti a rischio ed, in
particolare, nelle sale operatorie.
Bisogna rendersi conto che non esistono né metodi, né frequenze di monitoraggio che siano
riconosciute a livello mondiale per quanto riguarda il campionamento. Questo è un grosso limite
che tutti gli studiosi dell’ambiente hanno, ma che anche con l ‘esperienza del rischio locale, quindi
ciò che facciamo in un ospedale non può sempre essere applicato tale e quale in un altro ospedale.
Bisogna tenerne conto e quindi capire come intervenire per rendere agibile al meglio la sala
operatoria per il paziente. I risvolti medico-legali ci sono e sono frequentissimi: quando c’è
un’infezione post-chirurgica, quando c’è una complicanza o un decesso post-chirurgico, scatta
immediatamente il ricorso, la denuncia, l’intervento medico-legale, il tribunale e tutto ciò che
potete immaginare.
Esistono tre metodi di campionamento:



attivo e passivo, che si adoperano per valutare la carica microbica e micotica nell’ambiente
sed-unit (passivo)
particellare
63
Il campionamento attivo su substrato solido,
l’apparecchio si chiama SAS (Surface Air System).
La punta del SAS è rappresentata
schematicamente. La parte gialla (credo sia
interna rispetto all’immagine) è la piastra
contenente terreno coltura per la crescita
microbica. Che cosa succede? Si attiva il SAS, i
puntini rossi sono i batteri presenti nell’aria, che
sono convogliati sulla piastra, vengono messi ad incubare e,
dopo 1-2 giorni, si va a vedere cosa è cresciuto.
Per questo studio è stato comprato il Coriolis, che è un
campionatore attivo su substrato liquido. A differenza del
primo ci permette di fare indagini molecolari, perché sul
liquido possiamo andare anche a cercare virus, come è stato fatto anche per il coronavirus.
Per il campionamento passivo ci sono tante piastre su cui, per
sedimentazione spontanea cadono i batteri corrispondenti a quei puntini
rossi, si posizionano per un’ora ad un metro da terra e ad un metro da un
ostacolo, in funzione della grandezza della sala operatoria. Si lasciano
aperte per un’ora, per sedimentazione, anche attraverso le particelle,
cadono i batteri, poi si mettono a incubare e dopo 24/48 ore si va a
vedere cosa c’è. Si calcola così l’indice microbico dell’aria.
Il metodo particellare è basato su uno strumento in grado di contare le
particelle presenti nell’ambiente e grazie a questo, possiamo classificare le
sale operatorie in base alla carica particellare, quindi fare una valutazione
della qualità.
Lo studio che è stato fatto partiva
da uno stato della sala operatoria
definito “At rest”, cioè alle 7 del
mattino quando la sala era
idealmente sanificata e vuota. Per
questo studio, sono state scelte le
sale ortopediche perché a livello
internazionale sono proprio le
protesi d’anca e le protesi di
ginocchio a dare statisticamente più
complicanze infettive post-chirurgiche. Molto spesso, una complicanza può dare rigetto della
protesi. Si è fatto un censimento di tutti gli ospedali che hanno una sala dedicata all’ortopedia.
64
Il secondo campionamento è stato fatto sulla sala chirurgica, contando quante persone
costituivano l’equipe chirurgica, contando il numero delle porte della sala e la loro presenza,
quante volte si aprivano e si chiudevano durante gli interventi, se si trattava di porte scorrevoli o a
battenti. Sono state fatte anche fotografie delle sale, anche per vedere come erano impostate,
arredate, ecc. Per fare un controllo più accurato, è stato chiesto l’aiuto a degli ingegneri, studiando
la struttura di inizio della sala operatoria e sono stati convocati anche tecnici esperti del sistema di
condizionamento per valutare il sistema di ventilazione a contaminazione controllata (come
funzionava, come veniva gestito, quanto e se era pulito, come veniva lavato).
Prima di iniziare il lavoro, è stato fatto un censimento dei vari ospedali della Puglia e ci si è
documentati sul numero delle sale, sulla presenza di sale ortopediche e sul tipo di sistema di
ventilazione.
I sistemi di ventilazione possono essere di 3 tipi:



a flusso unidirezionale
a flusso misto, ovvero sia unidirezionale che turbolento
a flusso turbolento
Ciò che ha colpito è che la maggior parte degli ospedali ha riferito che il sistema di ventilazione era
a flusso unidirezionale, che è molto costoso, in quanto è necessario che le pareti intere e il soffitto
siano ricoperte da questo sistema di flusso. Nel momento in cui è stato fatto un controllo di
persona, è stato visto che si trattava in realtà di un flusso misto. Se il flusso è misto, gli interventi
di pulizia, sanificazione e di bonifica dovrebbero essere necessariamente diversi.
Il flusso turbolento è quello che più conosciamo, interessa tutto l’ambiente, riguarda tutta la sala
operatoria, la concentrazione dei diversi contaminanti aereo diffusi è controllata per diluizione
(dipende dal movimento della massa d’aria) ed è un flusso raccomandato per interventi chirurgici
sporchi, cioè non ad alto rischio, di chirurgia generale.
Quello unidirezionale presenta un’enorme piastra che ha la capacità di filtrare tutta l’aria presente
nell’ambiente. Ha un’efficiacia di gran lunga superiore rispetto al turbolento. Viene raccomandato
per gli interventi a maggior rischio di contaminazione e a maggior rischio di complicanza postintervento come negli interventi di cardiochirurgia, interventi di ortopedia di impianto di protesi
per evitare i rigetti, interventi di neurochirurgia, interventi di chirurgia vascolare.
65
Nelle sale operatorie in Puglia c’è il flusso unidirezionale sul tavolo operatorio e tutto intorno c’è il
flusso turbolento. Lo spostamento del personale crea aerodispersione.
Esistevano dei flussi d’aria mobili (li abbiamo ritrovati in un solo ospedale) che possono essere
spostati a piacimento dell’operatore ma funzionano soltanto laddove viene posizionato: molte
volte viene posizionato sul tavolino dei ferri durante l’intervento così lo strumentario è garantito.
Ci sono diversi tipi di macchinari mobili, intendendo tutto ciò che si può muovere quindi anche i
carrelli con le rotelle.
Linee guida ancora vigenti, vengono
rispettate quelle ISPESL.
Classificazione delle sale operatorie in funzione dell’ISO, sono le categorie di classificazione
utilizzate per vedere le qualità delle nostre sale operatorie:
Il flusso unidirezionale classifica le sale operatorie con ISO 5, il flusso turbolento le classifica con
ISO 7.
Tanto più è alto il numero dell’ISO, tanto meno è garantita la qualità della sala operatoria. Di solito
le comuni sale operatorie hanno ISO 5.
66
Problematiche e criticità sullo studio delle sale operatorie: uno dei problemi più grossi è stato
quello circa gli impianti di ventilazione che, è vero che garantisce un rinnovo dell’aria rinnovandola
nella parte interna, quindi nella sala operatoria stessa, però le griglie di ripresa devono essere
pulite costantemente e soprattutto e ci deve essere libertà e garanzia della circolazione dell’aria:
queste griglie in sala operatoria sono posizionate sia in alto che sulle pareti perché il ricircolo deve
avere un suo movimento, ma se per questione di spazio insufficiente dovuto all’aumento delle
strumentazioni che entrano in sala operatoria, non si sa dove posizionare uno strumento e viene
messo lì dove c’è la griglia che dovrebbe facilitare il flusso non va bene perché viene intaccata
quella zona. Questo è una delle osservazioni fatte dopo lo studio: le griglie vano lasciate libere
perché servono per la sanificazione delle sale operatorie.
L’ingegnere ha fatto uno studio BIM (Building
Information Modeling) che ha correlato le
caratteristiche architettoniche impiantistiche delle sale
operatorie con i risultati microbiologici delle sale
operatorie, delle superfici. Ha messo in relazione la
struttura edilizia di quella sala operatoria con i vari
parametri per vedere se potevano essere gestiti o rivalutati.
Confronto tra contaminazione microbiologica e la tipologia di pianta di sala operatoria. Dal pdv
della forma ci sono 4 piante in
Puglia:




Rettangolare
con angoli a 45°
con setti interni
con angoli a 90°
67
In sala operatoria il pavimento è smussato negli angoli per agevolare la pulizia, perché lì si
insinuano sempre polvere, batteri.
L’ingegnere ha fatto anche un confronto con i sistemi di ventilazione: disposizione simmetrica vs
disposizione asimmetrica
Per capire al buio le cose studiate, l’ingegnere ha classificato una sala operatoria di tipo A vs sala
tipo B (tutte quelle diverse rispetto a quelle rientranti nella prima categoria)
Sala operatoria di tipo A:

geometrie regolari in pianta e
alzato

disposizione simmetrica delle
estrazioni del VCCC

predisposizione delle
attrezzature elettromedicali a soffitto

armadi integrati nei pannelli di
rivestimento
68
Questo è il prototipo di sala operatoria di tipo B
Questa è un’immagine reale di com’è una sala operatoria durante un intervento chirurgico,
emergono diversi problemi:



sovraffollate come
personale (esubero
numerario)
affollate come
strumentazione
contaminazioni
dovute a personale che esce in corridoio
69
A questo proposito è stata valutata la carica microbica in funzione del personale: si va da un
minimo di 6 persone ad un massimo di 13, però questi numeri sono anche in funzione delle
dimensioni delle sale operatorie perché un conto è avere 6 persone in una stanza e un altro conto
è averne 13 nella stessa stanza.
Nel complesso lo studio ha
mostrato come per le sale
monitorate si rilevano
generalmente valori di CBT
inferiori rispetto ai limiti di
riferimento.
Si rileva una lieve differenza: nelle
sale di tipo A si osservano una CBT
(conta batterica totale) e un
numero medio di persone inferiori rispetto a quelle di tipo B, seppur le differenze non raggiungano
la significatività statistica. Nelle sale di tipo B, a parità di chirurgia, c’era un’organizzazione
peggiore rispetto alla sala A. Ma anche dal punto di vista funzionale e procedurale proprio perché
quelle mezze pareti rappresentavano degli ostacoli e delle nicchie microbiologiche, gli angoli a 90°
rappresentano una criticità per le nicchie. Tra le due tipologie è risultata preferibile la sala di tipo
A.
Le criticità principali:





equipe formata da un numero eccessivo di persone
carrelli e attrezzature che ostacolavano le bocchette di aerazione
apertura delle porte troppo frequente: ciò significa scambio di aria interno-esterno della
sala operatoria, a prescindere che sia scorrevole o a battente, aumenta la carica microbica.
Le sale operatorie con la porta costantemente aperta avevano una qualità dell’aria migliore
perché c’era meno scambio di aria, soprattutto se il corridoio limitrofo all’ingresso della
sala operatoria era poco vissuto o scarsamente vissuto
DPI non sempre adeguati: se l’intervento durava 6/7/8 ore la mascherina veniva abbassata
e c’era pure l’anestesista che si fumava la sigaretta
mancanza di pulizia dei cavi da parte degli addetti alle pulizie
Le soluzioni invece proposte sono:
70





Nella progettazione dei nuovi ospedali si sta proponendo la presenza di armadi a
scomparsa con chiusura scorrevole; ciò crea uno spazio più ampio nella sala operatoria ed
una facilità di pulizia.
L’attenzione va posta alle procedure di pulizia e sanificazione da migliorare.
In più i sanificanti e disinfettanti non possono essere sempre gli stessi, bisogna alternarli
perché, come esiste un’antibiotico-resistenza, esiste anche una resistenza nei confronti dei
sanificanti che devono essere di qualità perché molto spesso per risparmiare si utilizzano
quelli scadenti che non funzionano per niente nei confronti dei batteri che colonizzano le
sale operatorie.
Eliminare i microrganismi favorisce una diminuzione delle infezioni.
Le sale devono essere asettiche con la sterilizzazione degli strumenti, utilizzo di mascherine
monouso e anche l’abbigliamento.
71
Igiene – 10/11/2021
Prof Montagna
IGIENE ALIMENTARE E SISTEMA HCCP
La contaminazione degli alimenti può avvenire in diverse fasi della filiera di produzione alimentare
(intesa come tutta la serie di processi messi in atto dalla raccolta del prodotto fino al prodotto
finale servito e consumato a tavola):
- al momento della produzione
- durante la preparazione
- dopo la cottura
Le “foodborne disease” sono causate dall’ingestione di alimenti o bevande contaminati; le
principali cause di infezioni alimentari sono dovute a:
• alimenti contaminati già all’origine: arrivano sul mercato già contaminati
• conservazione inadeguata degli alimenti: a temperature che favoriscono la proliferazione
di microrganismi presenti inizialmente in bassa carica o in ambienti umidi
• alimenti cotti ma mal conservati
Fattori che influiscono sulla riproduzione dei microrganismi presenti negli alimenti
TEMPERATURA: è un fattore di grande importanza, influisce in maniera determinante sulla
velocità di riproduzione dei microrganismi presenti nell'alimento.
A seconda del grado di temperatura (si consideri una scala che va da -18°C a 100 °C) e a seconda
del tipo di microrganismo che ha contaminato un alimento, è possibile individuare:
• una zona critica, “la zona pericolosa”: è compresa tra i 5°C ei 60° C con optimum di
crescita a 36-37° (pari alla temperatura corporea) e rappresenta la temperatura ideale per
la riproduzione di gran parte dei batteri presenti in natura.
5°C è una temperatura molto bassa, il che significa che nel nostro frigorifero ci possono
essere i microrganismi che ci arrivano con gli alimenti mal lavati e mal conservati e che
anche a 4-5 °C possono riprodursi.
• temperature sotto i 4° (da -18°C a 4°): sono le temperature di congelamento e
surgelamento dove i batteri presenti non si moltiplicano ma allo stesso tempo non
muoiono. Ciò significa che quando si passa da temperature così basse a temperature della
“zona pericolosa”, i batteri torneranno a moltiplicarsi.
• temperature dai 60° ai 100°: i patogeni più comuni muoiono a temperature oltre i 60°;
temperature pari a 100°C abbattono quasi tutti i microrganismi pertanto rappresentano
la temperatura ideale per la bonifica di un alimento.
Fanno eccezione le spore che, per essere eliminate, richiedono un’esposizione a
temperature pari a 120° per almeno 15-20 minuti.
TEMPO: i microrganismi hanno un tempo necessario per proliferare. Un alimento conservato a
temperatura ambiente nel giro di poche ore può raggiungere cariche batteriche elevate.
Questo dipende dal tipo di batterio che ha contaminato l'alimento:
• i GRAM- sono microrganismi a rapida crescita: a temperatura ambiente possono
riprodursi con una velocità elevata e anche 1-2h sono sufficienti per avere un rialzo della
carica batterica molto importante
• i GRAM+ hanno una crescita più lenta ma in 24h la carica batterica può diventare
sufficientemente elevata.
72
OSSIGENO: la presenza di O2 o CO2, a seconda che il batterio sia aerobio o anaerobio, favorisce la
replicazione
UMIDITA’: i microrganismi si moltiplicano meglio in alimenti che contengono una quantità d’acqua
maggiore dell’80%, definiti ad alto rischio (latte, uova, pesce); invece, se il contenuto d'acqua è
molto basso, minore del 20%, i microrganismi non riescono a riprodursi: i prodotti secchi (pane,
taralli) sono alimenti a basso rischio.
Le muffe possono contaminare gli alimenti ma non producono tossine se non c’è un’elevata
umidità.
GRADO DI ACIDITA’: seppure ci siano microrganismi che prediligono ambienti acidi (muffe che
contaminano agrumi/pomodori) o ambienti basici, la maggior parte dei microrganismi hanno
l’optimum per la loro riproduzione a ph neutro e pertanto prediligono alimenti con ph tra 6.5 e 7.5,
che non sono troppo acidi o basici.
In genere un ph acido inferiore a 4 è in grado di impedire la moltiplicazione: alimenti come
pomodori, agrumi e aceto (troppo acidi) così come l’albume (troppo basico) non favoriscono la
riproduzione batterica.
Invece, alimenti a rischio che favoriscono la proliferazione batterica sono latte, carne, pesce,
patate, pane.
NUTRIMENTO: per moltiplicarsi, i microrganismi hanno bisogno di proteine e zuccheri;
I batteri prediligono gli alimenti ricchi in proteine quali carne, pesce, prodotti a base di uova, latte
e i suoi derivati.
Le muffe si adattano a qualsiasi tipo di ambiente e hanno bisogno generalmente di grande
umidità. Gli alimenti più esposti al rischio di contaminazione da muffe sono quelli ricchi in
carboidrati, come il pane e la frutta (pur essendo acida).
CONTAMINAZIONE ALIMENTARE
Per contaminazione alimentare si intende la presenza o l’introduzione di un pericolo negli
alimenti.
Per pericolo si intende un agente contenuto nell’alimento in grado di produrre un effetto nocivo
sulla salute. Il pericolo (i contaminanti) possono essere:
- di tipo biologico
- di tipo chimico
- di tipo fisico
I contaminanti chimici sono di diversa natura. Possono essere:
• residui di sostanze chimiche usate in agricoltura (pesticidi) e in allevamento (i mangimi
industriali).
I mangimi industriali usati negli allevamenti sono ricchi in ormoni e anabolizzanti allo scopo
di far aumentare la massa degli animali, ma sono ricchi anche di farmaci, soprattutto di
antibiotici. Quando l’animale si nutre, gli antibiotici metabolizzati si accumulano nel
muscolo o possono essere escreti nel latte, contaminando gli alimenti che verranno poi
assunti dall’uomo. Quindi noi ingeriamo alimenti ricchi di antibiotici senza aver fatto una
terapia antibiotica e questo fenomeno è alla base dei processi di farmacoresistenza di
origine ambientale.
73
•
•
•
•
residui di inquinanti industriali e ambientali: per esempio i metalli pesanti tipo il mercurio e
il piombo che vengono usati a livello industriale e a livello ambientale per diverse necessità
e che poi tornano inevitabilmente all'uomo
residui dei processi di lavorazione: ad esempio detergenti e disinfettanti che vengono usati
nelle filiere di produzione alimentare
additivi che vengono aggiunti ad alcuni alimenti, come conservanti e coloranti (es.
venivano impiegati coloranti “rossi” per rendere gli alimenti più appetibili, soprattutto ai
bambini), e che devono essere sempre autorizzati.
sostanze tossiche prodotte da muffe: micotossine
Esistono muffe critiche e muffe tipiche. Le critiche sono quelle che producono micotossine
e quindi sono pericolose per l'uomo, mentre quelle tipiche sono commestibili e servono a
dare un odore/ sapore/ consistenza tipica ad alcuni prodotti, basti pensare al formaggio.
I contaminanti fisici possono essere frammenti solidi provenienti:
• dagli stessi alimenti (peli, spine, ossa, sabbia) se non vengono adeguatamente puliti al
momento della preparazione
• dall’ambiente di lavorazione (residui di legno, vetro, gomma, plastica)
• dagli stessi operatori che preparano gli alimenti ( unghie, peli, capelli); pensate a chi
produce mozzarelle, che deve immergere mani e braccia nell’acqua in cui lavorano il
prodotto. Se non opportunamente depilate, le braccia possono perdere un pelo e noi
possiamo ritrovarlo nel prodotto. Gli operatori possono anche “perdere” pezzettini di
unghie, ecco perché le unghie devono essere tagliate corte e non smaltate, perché si può
anche perdere un pezzettino di smalto. Non si devono portare anelli mentre si lavora un
prodotto, perché può scivolare e ritrovarsi nel prodotto finito.
I contaminanti biologici sono in genere di natura batterica, ma possono essere anche muffe,
lieviti, virus, parassiti.
• batteri: i più pericolosi sono i patogeni (patogeno significa che è in grado di determinare e
di provocare malattia se le circostanze sono favorevoli), ad esempio la Listeria
monocytogenes o la Salmonella sono quelli che più frequentemente determinano
patologie per cui è anche necessario l’intervento ospedaliero. Poi bisogna considerare i
“non patogeni” (cioè quelli considerati utili, che non sono in grado nelle condizioni normali
di determinare malattia), per esempio i commensali della flora intestinale, che in particolari
condizioni possono diventare patogeni definiti opportunisti.
• muffe: si sviluppano in ambienti umidi e crescono anche a T di frigorifero; solitamente
alterano gli alimenti in modo visibile: sull’alimento si trovano delle macchie colorate
prodotte dalle colonie fungine. Alcune specie producono potenti tossine, le micotossine,
responsabili di danni a carico di diversi distretti dell’organismo, soprattutto se ingerite in
grande quantità:
- tumori epatici
- nefriti e insufficienza renale
- problemi ormonali riguardanti la sfera genitale
Per grande quantità si intende l’introduzione attraverso la dieta di certi tipi di alimenti che
più frequentemente possono essere ricchi di micotossine, qualora le conservazioni
inadeguate dovessero favorire la loro produzione: si tratta di prodotti secchi, noci,
mandorle, pistacchi. Ovviamente per aver questo genere di danni si deve mangiare una
quantità elevata di questi prodotti e, poiché il nostro organismo non è in grado di
metabolizzare le micotossine, si crea un accumulo soprattutto a livello epatico. Ecco
74
•
•
perché in genere possono essere responsabili di tumori epatici o cirrosi.
Ad esempio, per l'epatocarcinoma uno dei fattori di rischio e l’aflatossina M1, che è quella
prodotta da aspergillus flavus, uno dei funghi che più produce micotossine. Nei silos in cui
vengono tenuti i foraggi per alimentare gli animali lattiferi (mucche, capre) possono crearsi
le condizioni ideali di temperatura e umidità per la riproduzione fungina: vengono prodotte
le aflatossine G1 e G2, B1 e B2; successivamente l’animale ingerisce il mangime contenente
queste micotossine, le metabolizza e le trasforma in aflatossina M1 che viene escreta con il
latte (l’animale non si ammala). Quando l'uomo consuma latte e derivati contenenti la M1
può ingerire queste micotossine ma non è in grado di metabolizzarle, quindi si accumulano
nel fegato. Una volta ingerita, la micotossina non viene più escreta. Chiaramente il danno a
carico del fegato richiede un accumulo di diversi anni. Ci sono delle regole ben precise per
la vendita di questi prodotti; il latte prima di essere messo in commercio viene valutato
proprio per la concentrazione dell'aflatossina. Se è particolarmente ricco della tossina, ne
viene proibita la vendita.
Anche il prodotto secco è molto controllato perché è uno dei più a rischio. In Italia si fanno
molti dolci a base di mandorle e, poichè la produzione locale non è sufficiente per
soddisfare le esigenze, le importiamo soprattutto dal Canada. I canadesi hanno dei sistemi
di produzione all'avanguardia che permettono la produzione di tonnellate di mandorle,
invece noi le produciamo con sistemi antichi ma sicuramente più salutari. Dunque, siamo
costretti a importarli, ma l’importazione è condizionata dalla qualità della mandorla che
deve avere determinati limiti di micotossine; in particolare si vanno a valutare le
fumonisine.
Esistono anche altre micotossine, ad esempio l'ocratossina che troviamo nel caffè, o la
patulina che si trova nei succhi di frutta.
Quindi le micotossine sono legate a determinati prodotti perché sono tipiche di alcune
specie alimentari.
lieviti: sono funghi invisibili ad occhio nudo che possono alterare gli alimenti ed essere
presenti in elevate quantità; si sviluppano soprattutto in alimenti ricchi in zucchero (pane,
vino). Alcune specie dette “starter” sono utili perché permettono la fermentazione di
prodotti come birre, vino, formaggi (es Saccaromyces cervisie)
virus: sono estremamente piccoli e non si moltiplicano negli alimenti ma solo in cellule
viventi; ne consegue che la loro presenza negli alimenti è legata ad una contaminazione
umana, da parte di individui affetti da infezione virale ed è indice di scarsa igiene (es.
epatite A si trasmette con il consumo di frutti di mare crudi, vegetali contaminati o con
l’acqua non potabile).
CONTAMINAZIONE MICROBICA DEGLI ALIMENTI
La contaminazione microbica degli alimenti può avere origine
- dall’ambiente esterno: acqua, suolo, aria
- dall’ambiente di lavoro: locali di lavoro, impianti, utensili e attrezzature utilizzati per la
produzione, indumenti indossati dal personale
- dagli esseri viventi: dai vegetali, dagli animali (topi, blatte, insetti) e dall’uomo
Hanno un ruolo nelle contaminazioni secondarie
• l’uomo malato: chi lavora nella filiera alimentare non può avere lesioni o malattie della
pelle, infezioni respiratorie, infezioni gastrointestinali, congiuntiviti; il responsabile
dell’HCCP deve fare controlli periodici ed allontanare eventualmente il soggetto malato
75
•
•
il portatore sano: non presenta segni o sintomi della malattia ma può diffondere il
patogeno che ospita attraverso feci, naso o cute; per ovviare al problema si fanno controlli
periodici del tratto orofaringeo e delle feci
chi manipola o conserva gli alimenti in maniera non corretta (ad es. nell’HCCP è vietato
posare a terra anche i contenitori degli alimenti) o non rispetta le corrette pratiche di
igiene personale (ad es. l’igiene delle mani)
Di chi dobbiamo avere più paura del portatore sano o del malato? Del portatore sano perché non
sa di avere la malattia (perchè non ha segni e sintomi di malattia), quindi circola liberamente e ha
la grave responsabilità di distribuire ai vicini, perenti e non parenti la malattia.
Il portatore sano di qualsiasi microrganismo, essendo privo di segni e sintomi, rappresenta la
sorgente di infezione più temibile.
In senso lato, il portatore sano è un soggetto a rischio in qualsiasi ambiente, anche in quello
alimentare, perché siccome è sano svolge la sua attività lavorativa regolarmente e se ha contatto
con gli alimenti può contaminarli
- con le mani non ben lavate
- con un colpo di tosse o con uno starnuto o semplicemente parlando: può perdere le goccioline di
flugge che possono cadere sull’alimento che sta preparando e quindi dar luogo ad una
tossinfezione alimentare da microrganismi che albergano normalmente nell’orofaringe.
Un microrganismo che alberga normalmente nel cavo orofaringeo (nella mucosa delle cavità
nasali e cavo orofaringeo) oltre che sulle mani, e che è responsabile di tossinfezioni alimentari è lo
Staphylococcus Aureus.
Sopravvivenza, crescita e moltiplicazione dei microrganismi negli alimenti
Gli alimenti non sono tutti uguali: quelli che contengono proteine sono molto più a rischio
quindi uova, latte, carne, pesce e frutti di mare.
IGIENE DELLE MANI
Le mani devono essere lavate
• prima di iniziare a lavorare
• tra la manipolazione di cibi crudi e altri cibi
• dopo aver usato il bagno, dopo aver toccato strumenti non attinenti alla manipolazione
degli alimenti (es vecchi strofinacci), dopo aver manipolato materie prime potenzialmente
contaminate, dopo aver starnutito/tossito
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Igiene-11/11/2021-Prof Montagna
Quando è necessario lavare le mani?
Ci laviamo le mani quando iniziamo a fare qualsiasi tipo di attività, e se si parla di alimenti si deve
stare molto attenti a non confondere i posti, le superfici, le forchette, i coltelli o qualsiasi cosa che
si adoperi. Sono da considerare anche gli alimenti crudi di qualsiasi genere, i quali sono molto più a
rischio di un alimento cotto, il quale invece ci dà la garanzia al 100%. Bisogna lavarsi le mani dopo
aver usato il bagno e anche prima, anche con le salviettine; dopo ogni contatto con attrezzature o
oggetti non attinenti; durante la manipolazione degli alimenti e dopo aver manipolato materie
prime contaminate. Si sottovaluta l’uso promiscuo che si fa in cucina, di casa o di una filiera di
produzione o di un ristorante; il ruolo altamente a rischio degli strofinacci che sono umidi.
Tutto ciò che è umido è un fattore predisponente la proliferazione batterica. Quindi chi ha a che
fare con strofinacci, pezze umide che vengono utilizzate per asciugare le superfici, o asciugare i
bicchieri deve stare molto attento.Lo strofinaccio bagnato e umido oltre a raccogliere, come uno
strofinaccio asciutto, tutto ciò che può essere accidentalmente presente sulla superficie, o sulle
mani o sulla pentola o sul piatto, raccoglie molto più di uno strofinaccio asciutto, che sia polvere
batteri ecc. ; soprattutto se poi viene usato anche per altri usi in cucina.
Quando adoperiamo le materie prime, che sono potenzialmente contaminate (es. carne che
dobbiamo cucinare) dobbiamo necessariamente lavarci le mani perché tocchiamo la carne, la
quale è uno degli alimenti a più elevato contenuto di contaminazione. Molte volte nella fretta in
cucina queste accortezze non si hanno. Dovremmo lavarci le mani ogni volta che si starnutisce o
tossisce, se non si fa uso del fazzoletto si deve stare attenti a non asciugare la mano con lo
starnuto sui vestiti o sul braccio.
Dobbiamo stare attenti in caso di ferita, anche se leggera, perché questa diventa una via di
penetrazione per i organismi; la ferita diventa capace di creare uno stato infiammatorio localizzato
(o addirittura necrotico) o a volte generalizzato, come la formazione di pus o alterazione della
cute; se si tratta di ferite profonde si ha in più rischio tetanico possibile ( anche con la rottura di un
vetro e la presenza di un taglio profondo); questo perché la spora tetanica, che è diffusa in tutti gli
ambienti di qualsiasi natura, ha bisogno di uno stato di ferita.
Poi si dovrebbero lavare le mani dopo aver toccato naso, bocca, orecchie capelli e foruncoli
soprattutto se contengono pus (perché ricco di stafilococco aureus). Per esempio, si deve stare
attenti anche al comune “premere il punto nero”, quella pressione se non disinfettata bene
significherebbe lasciare in quella zona una piccola porta di introduzione di microrganismi, dalla
quale poi può fuoriuscire invece una zona infiammata di pus; quindi, ci si deve lavare le mani e
disinfettare le mani anche con semplice alcol.
Le orecchie e il naso sono le zone più ricche di batteri, in quanto cavità comunicanti con l’esterno;
soprattutto le orecchie che contengono il cerume(che però di per se ha una funzione anti
batterica), quindi un po’ di cerume ci deve essere sempre ma l’eccesso si toglie, altrimenti possono
determinarsi stati di otiti ecc.
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Dopo aver mangiato, bevuto e fumato le mani si lavano, dovrebbe essere una abitudine. Il fumo
infatti è legato all’uso di sigarette che hanno un contatto con delle superfici che possono essere
contaminate.
Un punto critico sono le uova, le quali sono dei potenziali contaminanti di alimento e possono
essere contaminata soprattutto da Salmonelle che rappresentano il rischio maggiore. Le
salmonelle possono trovarsi sia dentro che fuori l’uovo stesso; questo perché l’ambiente in cui
vivono le galline è ricco di agenti patogeni o potenzialmente tali e quindi è possibile che
l’eventuale salmonella giunga a livello del tuorlo o sul guscio (in questo caso se il terreno, o sulla
paglia, dove vengono depositate le uova è contaminato dalle feci animali). Quindi quando
maneggiamo le uova dobbiamo stare attenti a lavarci le mani, come tutti gli alimenti crudi,
ricordando anche che la gallina è un serbatoio naturale per le Salmonelle.
Bisogna lavarci le mani anche dopo aver maneggiato imballaggi, per esempio carta o cartone e
ogni altro materiale oppure dopo aver toccato animali. Questo perché si tratta di materiali
solitamente porosi, il che comporta un accumulo di batteri e germi. È quindi molto importante il
passaggio del trasporto e dell’imballaggio. Bisogna stare attenti anche agli animali che si hanno in
casa o se si gestisce animali, i quali sono soggetti a microrganismi di varia natura compresi i
patogeni. Ci si deve lavare le mani anche dopo aver smaltito o toccato i rifiuti e qualsiasi cosa
sporca, senza ricorrere per esempio all’uso di guanti nell’atto di buttare la spazzatura. Anche dopo
aver compiuto le operazioni di pulizia e sanificazione di locali e attrezzature.
Quali sono i passaggi per lavarsi le mani:
Prima ci si bagna le mani →5 passaggi → lavaggio del polso (soprattutto nelle filiere di produzione
alimentare in cui si lavora con maniche corte o facilmente si tira su la manica della maglia) →si
sciacqua e si asciuga → e poi si asciuga il rubinetto con lo stesso fazzoletto monouso.
I rubinetti del lavabo devono essere azionabili a comando e non manuale per prevenire la
contaminazione degli alimenti (si ricorda che l’uso della saponetta non è più consentito nei luoghi
pubblici, non è consigliato neanche in famiglia; si preferisce il sapone liquido con dispenser; negli
ambienti pubblici è vietato anche l’uso di rubinetti manuali, per questo si usano i rubinetti a
pedale o col sensore)
Si ricorda che, in una filiera di produzione alimentare:
-
-
-
Le unghie dei lavoratori devono essere corte pulite e senza smalto (perché lo smalto può
scheggiarsi e quel dislivello tra lo smalto e l’unghia può creare ambiente favorevole per
batteri)
Non bisogna usare profumi o dopobarba profumati ad es., perché attirano gli insetti (è
molto importante soprattutto nella giungla o nella foresta, se si fa un viaggio all’estero)
Segnalare al responsabile che ci sono malattie infettive contagiose o ferite infette, infezioni
della pelle, malattie diarroiche, sintomatologie gastroenteriche, ad es. vomito e febbre,
successivamente il soggetto deve essere allontanato necessariamente
Gli operatori addetti al maneggio del denaro, il quale è uno degli elementi più sporchi che
ci siano in quanto girano attraverso migliaia e migliaia di mani, non devono manipolare
78
-
alimenti sconfezionati, altrimenti usare cucchiai, spatole, pinze ecc. Di solito chi serve al
banco NON PUO’ FARE CASSA, esiste una legge per questo!
Il cuoco non può fumare durante la gestione degli alimenti; inoltre, se ha la barba deve
indossare la mascherina
ATTENZIONE AI PIANI DI LAVORO: ci sono delle regole molto precise
•
•
•
I piani di lavoro devono essere PULITI
Gli utensili utilizzati per gli alimenti crudi non devono essere usati per gli alimenti cotti (ad
es. non è consentito assaggiare con il cucchiaio e con lo stesso cucinare)
Attenzioni a stracci e panni umidi e cambiarli spesso o usare carta assorbente monouso
PROBLEMA DEL VESTIARIO
Il medico del SIAN controlla, quando va a fare i sopralluoghi nei luoghi, gli abiti da lavoro, i quali
sono indumenti che devono usati soltanto nell’ambiente posto di lavoro e riposti in appostiti
armadietti individuali. Ogni dipendente deve avere un armadietto a due scomparti: uno per
mettere gli abiti di entrata e uno di uscita specifico per il lavoro. Il camice deve essere chiuso o
abbottonato, i polsini devono avere l’elastico, e deve esserci il raccoglimento dei capelli in cuffietta.
Inoltre, gli abiti di lavoro devono essere:
•
•
•
•
Di colore chiaro, bianchi possibilmente per vedere se si macchia. NON ESISTE CHE SI
CAMBI OGNI SETTIMANA, ma più spesso
Facilmente lavabili (anche a 60° gradi)
Tenuti puliti, taglia appropriata, chiusi con bottoni
I guanti devono essere integri, o meglio lavorare senza guanti ma con mani ben
pulite!
Per la filiera di produzione alimentare, il responsabile deve controllare che tutti questi aspetti
siano rispettati. Quindi la responsabilità è quella del responsabile principale, o di un suo delegato
che deve registrare tutto su un registro, il quale deve essere messo a disposizione dei nas o asl.
IGIENE DEGLI AMBIENTI DI LAVORO
Il processo di sanificazione si divide in due processi molto delicati che devono essere rispettati:
•
•
DETERSIONE → la RIMOZIONE dello SPORCO, fatto con acqua calda possibilmente e
detergente (tra 45-60°) seguito dal risciacquo finale per togliere tutto il detergente
DISINFEZIONE→l’operazione fatta per ridurre o eliminare del tutto i microrganismi
patogeni. Si può fare con mezzi fisici o chimici. Il mezzo fisico consiste nell’ utilizzare
l’acqua, il vapore sotto pressione, ricordando che l’acqua deve essere ben calda
altrimenti non è efficace (>60°); ovviamente si fa con attrezzature particolari perché
a queste temperature si rischia l’ustione. Queste attrezzature non sempre sono
disponibili e quindi spesso si fa disinfezione con mezzi chimici i quali vanno sempre
controllati nel tempo e soprattutto ALTERNATI nel tempo per evitare il fenomeno
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della resistenza dei batteri. (Si ricorda che l’alternanza deve avvenire ogni 3 mesi,
ricordando che deve essere fatta in ospedale e in ogni reparto) .
SE FACCIAMO PRIMA DISINFEZIONE SENZA LA DETERSIONE, L’EFFICACIA NON È LA STESSA,
perché alcuni disinfettanti o detergenti non riescono a eliminare tutti i microrganismi!
I più comuni disinfettanti sono prodotti con cloro attivo (quelli che più frequentemente si usano in
casa). La varichina va buttata di tanto in tanto, nonostante lo sporco! Alcuni disinfettanti devono
essere usati ad una temperatura di acqua giusta, ad esempio la varichina agisce su acqua fredda, e
si lascia agire almeno per un po’ di minuti, circa 30 o più. Ci sono anche i Sali d’ammonio
quaternari che sono molto attivi ma non sempre sono usati perché in alcuni casi, in alcuni
ambienti e in alcune fasi possono addirittura avere un effetto opposto quindi l’uso dipende dalla
superficie nella quale bisogna operare (non è compatibile per esempio con il legno, nylon, cotone
ecc.). Anche le concentrazioni di questi disinfettanti sono importanti, e quindi bisogna leggere il
bugiardino sempre e seguirne tutte le regole.
La frequenza con cui bisogna sanificare è variabile, non ci sono regole fisse, se non quelle del buon
senso, seguendo la quantità e la qualità dell’intervento che dobbiamo effettuare. Si sanifica ogni
volta che si usano stoviglie e piani di lavoro, e non va rimandata a più di 1h, per evitare che lo
sporco si secchi e diventi quindi tenace. Si deve pulire quindi:
•
•
•
•
Ogni giorno a fine lavorazione superfici di lavoro
Ogni settimana pulire i forni, i frigoriferi (è un ambiente molto critico, bisogna stare
attenti a riporre gli alimenti nel frigo!), le cappe aspiranti soprattutto in cucina
Ogni mese porte, le finestre, gli armadi, i magazzini e gli armadi
Si fanno pulizie speciali, per esempio i lampadari, i congelatori e le pareti non
lavabili
Si ricorda che nelle filiere alimentari ci sono le “camere” fredde che devono essere pulite e non ci
devono essere contaminazioni di alimenti cotti in questa camera, soprattutto non ci deve essere
assolutamente il motore della camera fredda sporca di polvere.
GESTIONE DEI RIFIUTI
-
I rifiuti alimentati, se sono prodotti non commestibili, devono essere rimossi al più presto
I rifiuti vanno considerati come materiale igienicamente rischioso. Per questo devono
essere depositati in contenitori chiudibili con apertura-chiusura a pedale. I contenitori
devono essere tenuti in buone condizioni igieniche ed essere disinfettabili
- I rifiuti vanno allontanati e smaltiti frequentemente in maniera igienica e rispettosa
dell’ambiente e anche per evitare che siano causa di attrazione e sviluppo di infestanti
(topi, serpenti ratti, gatti ecc.)
CONTROLLO DEGLI INFESTANTI
-
RODITORI (topi e ratti)
INSETTI STRISCIANTI (scarafaggi, blatte e formiche)
INSETTI VOLANTI (mosche, zanzare e vespe)
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-
ARACNIDI (es acari): hanno discreta resistenza alle sostanze chimiche e possono essere
veicolati anche a distanza dal vento. Gli acari sono molto presenti nel letto, poiché trovano
un ambiente ideale: umido e caldo. È quindi consigliato far areare gli ambienti a prima
mattina a letto disfatto.
- MAMMIFERI: Pipistrelli (che liberano anche urina in volo) e mammiferi domestici (cani e
gatti) e uccelli
La PREVENZIONE DELLE INFEZIONI consiste nel:
-
mantenere le aree esterne sgombre e pulite evitando lo stoccaggio di materiali vari a
ridosso dei muri
- usare porte esterne a chiusura ermetica. In una filiera di produzione alimentare il deposito
dei rifiuti, prima dello smaltimento, va fatto al di fuori degli ambienti di lavoro (lontano
dalla cucina). Le porte devono essere a chiusura ermetica perché l’attrazione degli
infestanti all’odore del cibo è molto alta e quindi non dobbiamo dare la possibilità agli
stessi di penetrare attraverso una porta mal chiusa/non ermetica.
- installare reticelle contro gli insetti alle finestre; la zanzariera deve essere pulita, integra e
in linea con lo spazio da proteggere, deve aderire perfettamente.
- Sigillare tutte le fessure ed intercapedini presenti nella struttura. In filiera di produzione le
pareti devono essere lavabili o essere rivestite con mattonelle perfettamente integre e con
fughe non troppo profonde! Quando le mattonelle si scheggiano vanno subito cambiate
perché qualsiasi superficie discontinua può divenire ricettacolo di microbi.
- Mantenere integra la tinteggiatura di mura e soffitti
- Evitare lo stazionamento di imballaggi e di materiali inutilizzabili
- Dotare i locali di adeguata illuminazione
- Mantenere puliti i locali di servizio (stracci, scopini devono essere riposti in spazi non a
contatto con il pavimento)
Nel piano di auto controllo aziendale (AHCCP) devono essere previsti:
-
Protocollo operativo per il controllo degli infestanti che comprenda le ispezioni periodiche
finalizzate a controllare e segnalare ogni presenza di infestazione (per mezzo di un
operatore competente che conosca e controlli sia i locali che i parassiti). Il team che
effettua questi controlli deve essere riportato col nome e la relativa mansione nel manuale
di auto controllo, e ogni volta che ciascuno interviene per qualsiasi motivo, deve riportare
l’attività, datarla e firmarla a proprio nome.
- Interventi di disinfestazione per l’eliminazione degli infestanti
- Applicazione di trappole per insetti, zanzariere, grate di protezione contro i roditori.
Facciamo chiarezza:
•
•
DISINFEZIONE: AGISCE CONTRO LA CARICA MICROBICA
DISINFESTAZIONE: CONTRO GLI AGENTI INFESTANTE.
Esempi:
o DERATTIZZAZIONE: CONTRO I TOPI
o DEBLATTIZZAZIONE: CONTRO LE BLATTE
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CONSERVAZIONE DEGLI ALIMENTI
Si distinguono gli alimenti: umidi e secchi. I secchi hanno un lungo periodo di conservazione e
quindi scadenza più lunga, rispetto agli umidi (carne, uova).
Es. i cibi secchi, cioè a basso contenuto di acqua come la pasta, possono essere tenuti a
temperatura ambiente in idonee condizioni di aerazione, pulizia e scarsa umidità. (le temperature
elevate, ambienti umidi e senza areazione rappresentano le condizioni ideali per la moltiplicazione
di vermetti, farfalline, formiche ecc. soprattutto in abitazioni chiuse per molti mesi)
Quindi, in una filiera di produzione alimentare bisogna:
-
-
Sempre sollevare da terra qualsiasi cosa di alimentare come scatolami, ecc.
Le confezioni o contenitori devono essere chiusi (per evitare l’ammuffimento o
irrancidimento e sviluppo di insetti). La scadenza vale solo per il prodotto sigillato, una
volta aperto, la scadenza non è più quella e l’alimento andrebbe subito consumato. Tipico
esempio è quello della marmellata: dopo il suo utilizzo, si crea uno spazio d’aria tra la
marmellata e il tappo nel quale può essersi infiltrata un po’ di muffa che in condizioni ideali
(elevato quantitativo di zucchero) può replicarsi abbondantemente.
Gli alimenti devono essere separati in reparti o settori destinati a prodotti non alimentari.
Quando si vanno a comprare prodotti simili tra di loro, i nuovi vanno posizionati dietro ai
vecchi, perché altrimenti si rischia di conservare prodotti che alla fine superano la scadenza
e si guastano.
Gli ALIMENTI DEPERIBILI vanno conservati a FREDDO per rallentare la replicazione di possibili
patogeni; gli alimenti deperibili non prevedono la stessa conservazione di quelli secchi; infatti,
hanno tempi di conservazione meno lunghi. Questi alimenti necessitano della catena del freddo
che NON deve essere MAI interrotta, altrimenti si rischia l’ammuffimento.
Si può assaggiare il cibo durante la preparazione? SI, ma solo cambiando la posata di volta in
volta, e soprattutto da persona a persona.
COTTURA
Un alimento ben cotto è quello che si cuoce nel cuore dell’alimento stesso, a meno che non sia un
particolare alimento come la fiorentina che debba rimanere al sangue (ricorda però che la
fiorentina è un taglio di carne che viene prodotta per quel tipo di cottura, per cui è già controllata
in origine). Ovviamente se non si ha garanzia di chi ci sta vendendo il prodotto, questo va cotto e
per cuocerlo bene il calore deve arrivare al cuore del prodotto stesso.
Ricapitolando: quando dobbiamo cuocere gli alimenti il calore deve arrivare al CUORE DEL
PRODOTTO e la temperatura deve essere uguale o superiore a 75° per almeno 10 min, questo
serve a garantire che l’eventuale salmonella sia morta.
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Frittura, bollitura e cottura in umido sono metodi di cottura che di solito garantiscono il
raggiungimento della T di sicurezza, infatti l’acqua bolle a 100°C e quindi qualsiasi germe muore.
L’olio supera i 100°C per cui tutto ciò che viene cotto tramite frittura è sicuro da un punto di vista
igienico sanitario.
Nel forno, per alimenti di grossa pezzatura, è necessario verificare tramite termometro a sonda
che sia raggiunta la temperatura al cuore del prodotto. Nelle grandi filiere di produzione
alimentari sono usati termometri che vedono se nel cuore del prodotto si è raggiunta la
temperatura almeno di 60-70°.
ALIMENTI COTTI
Un prodotto cotto, il giorno dopo, non è detto che sia buono, dipende da come lo si conserva. Nei
frigoriferi il prodotto che sia cotto o crudo non si conserva MAI “NUDO”, quindi va coperto con un
coperchio/piatto/carta. Il prodotto cotto ci inganna, perché abbiamo l’impressione che essendo
cotto non vada protetto ulteriormente. Quando il prodotto viene preso dal frigorifero per essere
consumato deve essere scaldato; se è sfuggita l’attenzione della copertura dell’alimento dobbiamo
riscaldarlo adeguatamente, raggiungendo nuovamente i 60°. Nelle filiere questo va controllato
tramite adeguati termometri.
Quindi per riscaldare un alimento già cotto e conservato è necessario che il calore penetri fino al
cuore del prodotto, raggiungendo T>65°per almeno 3 minuti.
FRIGORIFERO
Tali regole valgono sia per la filiera ma anche per le nostre abitazioni.
- Il freddo non abbate/uccide una carica microbica ma impedisce la replicazione.
- Per ogni tipo di alimento esiste un periodo max di conservazione da RISPETTARE
- Il frigo deve essere mantenuto pulito per evitare la contaminazione crociata.
REFRIGERAZIONE
Nel frigo avviene la refrigerazione utile a mantenere al freddo il prodotto. È necessario rispettare
le stratificazioni (cassetto della carne, della verdura ecc.)
Nei nuovi frigoriferi questa stratificazione viene indicata con delle immagini/indicazioni.
In generale:
•
•
•
I cibi cotti vanno nel ripiano alto. Perché questa zona garantisce la protezione per
eventuali contaminazioni crociate.
Formaggi/carne/ pesce vanno riposti nel piano intermedio
Verdure vanno riposte nel ripiano piu basso. Se invertiamo i rapporti e mettiamo la
verdura in alto quello che sta sulla verdura può cadere sui vari piani, contaminando la
carne, l’alimento cotto ecc. Ovviamente la verdura va riposta al chiuso, anche in
contenitori specifici.
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Questa disposizione dipende anche dalla diversa temperatura impostata dai frigoriferi (soprattutto
quelli nuovi) in base ai vari ripiani. In questi frigoriferi, infatti, la temperatura più bassa si riscontra
nel piano più alto (che quindi è più fresco).
Domanda: se il cibo è conservato coperto e in frigo, è possibile mangiarlo senza riscaldarlo? Si, se
è cotto e ben conservato.
RICORDA che l’insalata deve essere lavata in acqua corrente (vale anche per l’insalata in busta
nonostante l’etichetta riporti già l’avvenuto lavaggio). La prof racconta di uno studio eseguito
personalmente e indirizzato a ricercare eventuali microrganismi in queste buste di insalata. Lo
studio ha confermato la presenza di germi e in particolare di CRIPTOSPORIDIOSI.
Come si lava l’insalata?
L’insalata va posta in uno scolapasta e sotto l’acqua corrente, agitandola e muovendola tra le
mani. Non si consiglia l’uso di altre sostanze come amuchina o bicarbonato, nonostante vengano
continuamente consigliate da medici e soprattutto da ginecologhi alle donne gravide.
Non si consiglia assolutamente l’ammollo dell’insalata nelle vaschette (con o senza
amuchina/bicarbonato) in quanto i germi non verrebbero allontanati dall’alimento.
CONSERVAZIONE A FREDDO:
Refrigerazione tra 0 e 10°C → rallenta o ferma la replicazione batterica, ma non uccide. Ci
sono anche batteri che sono predisposti a riprodursi a +4° come la Pseudomonas PUTIDA,
che però a 37° non si trova a differenza della Aeruginosa.
- Congelamento a -15° → blocca la crescita batterica. Se il prodotto resta troppo a lungo a
questa temperatura perde le sue proprietà nutritive.
- Surgelazione -18° →mantiene le proprietà nutritive. (di solito è la temperatura dei freezer
dei nostri comuni frigoriferi)
Se dobbiamo conservare qualcosa per lungo tempo è meglio surgelare, perché a – 18° il prodotto
resta integro da pdv nutritivo.
-
Il prodotto surgelato conservato a -18° C una volta scongelato deve essere subito consumato
(entro 24h) e non può essere ricongelato. Lo scongelamento non dovrebbe avvenire fuori dal frigo
a temperatura ambiente, perché avverrebbe troppo velocemente (soprattutto d’estate)
inducendo una alterazione del prodotto oltre che una la proliferazione batterica troppo veloce.
Lo scongelamento, quindi, deve avvenire NEL FRIGO.
Lo scongelamento:
-
Deve essere effettuato al fine di far replicare meno organismi
Può essere fatto al microonde
I vegetali o aromi congelati possono essere scongelati direttamente in ebollizione
I prodotti ittici vanno messi in acqua corrente o in frigo
La carne deve scongelarsi in frigo
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In casi di emergenza si può iniziare lo scongelamento a temperatura ambiente per poi terminarlo
in frigo. Tutto ciò dipende dal tipo di alimento (se a base di acqua, uova, carne ecc.) perché ci sono
organismi che a T ambiente si replicano molto velocemente come i GRAM -, mentre i GRAM +
richiedono più tempo, quindi in base al tipo di prodotto e alla possibile contaminazione (da gram+
o -) va valutato il modo migliore di scongelamento.
Ciò non toglie che da pdv igienico sanitario lo scongelamento in frigo è quello più consigliato!
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Igiene – 12/11/2021 – prof.ssa Montagna
MALATTIE TRASMESSE DA ALIMENTI
È un termine generico usato per indicare malattie che vengono acquisite con l’ingestione di
alimenti contaminati. Si distinguono:
1. Intossicazioni alimentari, ovvero l’ingestione di sostanze tossiche (es. funghi che
producono tossine, pesticidi usati in ambito alimentare, enterotossina che può essere
ingerita tramite cozze avariate). A seconda del tipo di sostanza ingerita, potrà essere più o
meno grave.
2. Infezioni alimentari, cioè ingestione di un alimento contaminato da un microrganismo.
L’alimento è solo un substrato di trasporto, perciò la moltiplicazione del patogeno avverrà
all’interno dell’individuo che lo ha ingerito.
3. Tossinfezioni, in cui il microrganismo, veicolato dall’alimento, trova nell’alimento stesso un
substrato per riprodursi abbondantemente. Quindi si ingerisce un alimento fortemente
contaminato sia in termini di carica (perché il microrganismo si è già riprodotto) sia in
termini di tossine eventualmente prodotte.
Tra le infezioni alimentari e le tossinfezione c’è un’importante differenza in termini di tempi di
incubazione. Vediamo degli esempi:



Infezione alimentare da HAV o da febbre tifoide  tempo di incubazione di 20-40 giorni,
un periodo lungo.
Tossinfezione alimentare da botulismo  da 1-2 giorni fino a massimo 6-8 giorni.
Dipenderà da quanto cibo si mangia e da quanta tossina è stata prodotta.
Tossinfezione alimentare da Stafilococco Aureo Enterotossico  2-3 ore
È importante che venga definito con tutti e tre i nomi perché gli Stafilococchi sono
tantissimi, molti sono commensali o saprofiti dell’organismo (Epidermidis, Saprofiticus,
Hominis). L’Aureo è patogeno, ma non è detto che produca malattia.
Nell’ambito degli Stafilococchi Aurei ci sono quelli enterotossici, che producono
enterotossina.
Quindi quando ingerisco una cozza che contiene il virus dell’Epatite A o Salmonella Typhi, quel
microorganismo ha bisogno di tempo per potersi riprodurre e localizzare nell’organo bersaglio,
ecco perché il periodo di incubazione è così lungo (qui la prof dice da 15-20 giorni fino a 40-60
giorni, un po’ diversamente da quanto detto sopra).
Quando invece mangio un cornetto alla crema contaminato con Stafilococco Aureo Enterotossico,
che non cambia le caratteristiche organolettiche del prodotto (il cornetto è ugualmente saporito),
il cornetto sarà anche ricco di enterotossina, che appena ingerita fa subito effetto.
Elenco dei patogeni più importanti: Stafilococco Aureo Enterotossico, Salmonelle (responsabili di
Salmonellosi o di Febbre Tifoide), Clostridium Perfringens e soprattutto C. Botulinum, HAV, virus
Vibrio Parahaemolyticus, Anisakis (parassita).
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Chi lavora in una filiera di produzione alimentare non può assolutamente essere portatore di
Stafilococco Aureo, la cui localizzazione tipica è la cavità oro-faringea.
Infatti è semplice, ad esempio in una pasticceria, eliminare il batterio parlando, starnutendo e
tossendo, attraverso le goccioline di Flügge, senza che io sia consapevole di averlo (a meno di una
sintomatologia da tonsillite tipica dell’Aureo).
La conseguenza è la contaminazione del prodotto, le cui proprietà organolettiche sono inalterate.
La cottura dell’alimento ucciderà il batterio (oltre i >60 °C gli organismi muoiono), ma non
abbatterà l’enterotossina, che nel caso dell’Aureo Enterotossico è termostabile.
Per queste motivazioni, chi lavora nella filiera di produzione alimentare fa periodicamente il
tampone oro-faringeo per vedere se è portatore dello Stafilococco.
Analogamente si fa coprocoltura per la ricerca di tutte le tipologie di Salmonella.
Inoltre, chi lavora nel settore alimentare deve periodicamente seguire dei corsi di aggiornamento,
almeno ogni 2-4 anni, a responsabilità del gestore della filiera.
SISTEMA H.A.C.C.P.
È un acronimo che sta per Hazard Analysis and Critical Control Point. Si tratta di un manuale, per
ogni filiera di produzione alimentare, di cui è responsabile il proprietario della filiera o un suo
delegato, in cui si vanno a valutare tutti i punti critici di controllo che possono essere causa di
contaminazione dell’alimento in produzione.
Questo sistema serve a valutare tutte le condizioni e le misure necessarie per garantire sicurezza e
idoneità degli alimenti, in modo da mettere in commercio prodotti alimentari esenti da qualsiasi
rischio di malattia. Questo è un compito sia del produttore che del rivenditore.
È chiaro che la responsabilità del produttore sull’alimento è valida fin quando il prodotto viene
imballato e mandato al rivenditore; dal momento in cui il prodotto entra in commercio subentrano
delle responsabilità di tutti coloro che intervengono fino al consumatore.
SI parla di responsabilità dettate da leggi precise.
Cenno storico: l’H.A.C.C.P nasce negli anni ’60 negli USA quando occorrevano regole per
l’alimentazione agli astronauti, per evitare che stessero male in orbita. In breve tempo divenne
obbligatorio per tutti e in Italia lo è da diversi anni (1997, da Internet).
Le varie fasi: produzione agricola, produzione
e trasformazione, trasporto e distribuzione,
commercio ambulante, preparazione
domestica, azienda commerciale, trasporto e
servizio fino al consumo. Tutta questa
complessa catena deve essere garantita al
100% affinché il consumatore possa avere
prodotti sicuri.
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Il manuale H.A.C.C.P parte sempre con una descrizione dell’ambiente di lavoro, che si basa su
alcuni punti cardine: numero di piani e di stanze, ampiezza delle stanze, numero di porte e
finestre. Inoltre, nella stesura del manuale si pone molta attenzione alla fase di produzione e ai
sistemi di sicurezza relativi alla ambiente.
Ciò che viene scritto nel manuale diventa la base della gestione alimentare e proprio il
manuale H.A.C.C.P è la prima cosa che i NAS chiedono di mostrare quando arrivano, senza
preavviso, per un controllo. In caso non venga mostrato dal responsabile, a prescindere dalle
motivazioni, ci sono delle sanzioni.
Quando durante l’ispezione dei NAS si riscontra qualche piccola problematica, questa viene
segnalata nel verbale di ispezione e vi si pone rimedio in maniera immediata (es. operatore che
non porta la mascherina, camice sporco).
Al contrario, il manuale H.A.C.C.P è qualcosa che non si cambia facilmente, perché questo
significherebbe intervenire sulla struttura di lavoro, il che comporta consumo di tempo e risorse
economiche.
È un concetto importante perché molte persone del settore confondono il verbale di ispezione con
il manuale H.A.C.C.P.
Stilare il manuale è una procedura complessa, può richiedere anche diversi sopralluoghi, e deve
riportare anche la pianta organica (ovvero quante persone lavorano e con quali mansioni), le fonti
di approvvigionamento (da chi compri le materie prime) e numerosi altri aspetti, che rendono il
discorso complesso ma interessante.
L’igiene degli alimenti è in continua evoluzione, ci sono sempre nuovi prodotti e nuovi sistemi
alimentari. Oggi si tende a dare molta importanza al packaging, ovvero ai contenitori alimentari,
con corsi di formazione appositi su come conservare al meglio i prodotti.
Un esempio calzante è il latte, alimento facilmente alterabile dai batteri poiché ricchissimo di
nutrienti, il quale è contenuto oggi non più in bottiglie di vetro ma in contenitori con un foglio di
alluminio al suo interno, che deve garantire molte cose e non rilasciare alcuna sostanza.
Il latte, da un punto di vista igienico-termico, può essere:
o PASTORIZZATO, con pastorizzazione alta o bassa
La pastorizzazione è un sistema di bonifica che comporta l’eliminazione di tutti i
microrganismi patogeni nel latte
o STERILIZZATO, in cui sono stati eliminati tutti i microrganismi, patogeni e non patogeni,
comprese le spore.
Ne consegue che nel latte pastorizzato ci sono residui di microrganismi NON patogeni, che noi
possiamo tranquillamente ingerire.
Stesso concetto è applicabile per l’acqua potabile, che è priva di patogeni, ma non sterile.
Una delle due opzioni deve esserci sempre, perché il latte per legge deve essere venduto privo di
patogeni.
Quindi il latte pastorizzato, in cui non ci sono i patogeni ma altri batteri non patogeni, ad un certo
punto si può “guastare”, in quanto substrato estremamente nutriente per i microrganismi, alcuni
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dei quali riescono a riprodursi anche a +4°C (temperatura del frigorifero). La scadenza di qualche
giorno serve proprio ad avvertirci di questa possibilità.
Lo notiamo semplicemente mettendo sul fornetto il latte guasto, questo si addensa e si formerà la
“ricotta”: a quel punto lo buttiamo.
Immaginiamo di aprire un brick di latte sterile o pastorizzato e lasciarlo aperto in casa per qualche
giorno, come faccio a capire se posso ancora consumare quel latte o se devo buttarlo?
Metto il latte a bollire sul fuoco, se questo non andrà bene appena si riscalderà farà subito la
ricotta, e quindi non può essere bevuto.
Se non si forma, arrivati a 60/70°C, la panna monta (mentre il latte bolle a 101°C).
Togliendo la panna 2/3 volte questa non si formerà più perché la parte grassa si è esaurita e
continuando a riscaldare il latte fino a raggiungere la bollitura, avrò attuato un sistema di bonifica
domestica del latte.
Le malattie veicolate da alimenti sono trasmesse da acqua o alimenti contaminati e l’alimento
funge solo da veicolo ed il microrganismo patogeno non necessariamente si moltiplica al suo
interno; mentre nelle tossificazioni alimentari i patogeni si moltiplicano all’interno dell’alimento
producendo tossine.
Quando si mangiano alimenti contaminati da Salmonella typhi si rischia di ammalarsi di febbre
tifoide.
La via di infezione è parenterale, con trasmissione oro-fecale; nel caso della febbre tifoide l’uomo
funge da sorgente e serbatoio di infezione.
Il serbatoio di un microrganismo è l’habitat naturale in cui esso si trova, ad esempio per la
Legionella il serbatoio è l’acqua che ne rappresenta l’ambiente naturale; per la febbre tifoide il
serbatoio è l’uomo ma ne rappresenta anche la sorgente, ovvero il punto di emigrazione
dell’infezione che può essere distribuita nell’ambiente.
Nel caso della febbre tifoide ci si ammala mangiando alimenti crudi o poco cotti contaminati da
Salmonella, generalmente ci si riferisce ad insalate e frutti di mare (responsabili anche dell’Epatite
A) soprattutto le cozze nere e le ostriche, perché sono molluschi che si nutrono attraverso un
processo di filtrazione, concentrando tutto quello che trova nel gemello, il potere di filtrazione dei
molluschi è di 10-20litri di acqua in pochissimo tempo.
Il virus dell’epatite A è molto più piccolo di un batterio, per cui il mollusco impiega più tempo per
digerirlo in quanto il processo di filtrazione è un processo di autodepurazione. Questo è il motivo
per cui le cozze per legge non possono essere vendute immerse in acqua di mare.
In mare si distinguono a seguito di analisi eco-biologiche dell’acqua tre zone: A, B e C.
La zona A presenta acque che risultano “pulite” ovvero non contaminate.
Ogni coltura deve ovviamente essere fatta a distanza dalla costa, e mai sotto costa perché è la
parte più contaminata.
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Se la mitilicoltura viene allestita in una zona B, che risulta parzialmente controllata, le cozze
devono essere sottoposte a processo di filtrazione in vasche di depurazione, facendole stazionare
per almeno 24/48h e dopodiché possono essere vendute.
Nella zona C, non si può fare miticoltura perché è una zona molto contaminata.
Durante le festività ed in estate, quando la richiesta di mitili aumenta, il rivenditore non riesce a
soddisfare la richiesta e se la miticoltura proviene dalla zona B non li fa stazionare in vasca di
depurazione per il tempo corretto e le rivende, aumentando il rischio di contaminazione a seguito
di consumo di questi alimenti crudi.
La pepata di cozze prevede un riscaldamento delle cozze per permetterne l’apertura, per cui non si
va incontro ad una completa cottura, quindi questo metodo di cottura non essendo completo, non
rappresenta un metodo sufficiente per abbattere il rischio di contaminazione. Anche utilizzando il
solo limone, si altera il gusto ma non si ha alcun effetto sulla riduzione del rischio di
contaminazione.
Le verdure si contaminano perché a volte in campagna si concima con concimi naturali di origine
animale (per legge non possono essere usati tal quale, devono essere essiccati e seguire dei
processi prima del loro utilizzo) o si innaffia con acqua non perfettamente esente da
contaminazione; per cui prima del consumo le verdure devono essere lavate molto bene,
soprattutto quelle a foglia riccia che risultano essere più contaminate per ovvie ragioni strutturali.
Questi esempi valgono sia per la febbre tifoide che per l’epatite A.
Dopo il ciclo clinico della febbre tifoide, che durava quattro settimane con trattamento antibiotico,
l’intestino nella fase terminale della malattia diventa sede elettiva finale della salmonella typhi e
viene eliminata con le feci. Nella fase di convalescenza che segue lo stato di malattia, vi è una
“bonifica” spontanea e naturale dovuta alla terapia antibiotica che viene data dal clinico.
La sicurezza che il soggetto si stia “bonificando” sta nel fare per tre giorni alternati consecutivi la
coprocultura, ovvero la ricerca della salmonella nelle feci, se per tre indagini consecutive il
soggetto risulta negativo, ha terminato il periodo di rischio di eliminazione della salmonella, per
cui anche a livello di precauzioni familiari e personali il rischio termina.
Se le tre coproculture non sono tutte negative, il soggetto è diventato un produttore cronico e
diviene un problema se il soggetto opera in un ambiente di lavoro alimentare: il portatore
convalescente e quello cronico non possono vivere o lavorare in un ambiente di lavoro alimentare
perché rischia di contaminare la produzione, per cui il portatore cronico rischia di perdere il
lavoro, per essere riammesso deve eseguire una colecistectomia, perché il batterio si va a
localizzare non solo in intestino ed eliminato con le feci e debellato dall’uso degli antibiotici, ma
anche in colecisti dove la sua presenza diventa permanente in quanto gli antibiotici che hanno
avuto efficacia nell’intestino, non agiscono in colecisti, motivo per cui il soggetto risulta positivo in
coprocultura ed è inutile continuare ad utilizzare antibiotici.
In caso di soggetto portatore cronico:
90
- Se il soggetto svolge attività di alimentarista o simile va allontanato dall’attività
- Colecistectomia per essere reintrodotto a lavoro
Per quanto concerne la prevenzione in ambiente familiare del soggetto infetto:
-
Isolamento del malato fino alla negatività di 3 coprocolture eseguite a intervalli di almeno
24 ore (la prima dopo guarigione clinica e comunque dopo 3 gg dalla fine del trattamento
antibiotico).
- Se il soggetto svolge attività di alimentarista o simile va allontanato dall’attività fino a
bonifica
- Sorveglianza sanitaria per 20gg per i conviventi
- Disinfezione effetti del malato e bonifica ambientale
Il tasso di rischio dello stafilococco aureo è ipoteticamente più elevato rispetto alla salmonella
perché questa è localizzata nell’intestino, per cui con le classiche forme di prevenzione igieniche il
rischio di trasmissione è più basso, con lo stafilococco aureo, è difficile che il soggetto porti
costantemente la mascherina, il portatore sano continua a eliminare il batterio parlando,
starnutendo ecc. per cui il contagio è più facile, motivo per il quale in filiere alimentari si fanno
spesso tamponi e l’individuazione di un positivo porta al suo allontanamento, bonifica con
antibiotici con una successiva reintroduzione al lavoro.
L’utilizzo di antibiotici nel caso dello stafilococco aureo è però più efficacie in quanto esiste un
antibiotico ad azione faringea, ma se il batterio si localizza a livello delle tonsille che diventano
criptiche, esso rappresenta un substrato favorevole, e qui l’azione dell’antibiotico è più
difficoltosa, nei casi più gravi si va incontro a tonsillectomia.
È più facile curare un soggetto affetto da stafilococco da uno affetto cronicamente da salmonella.
Per prevenire il contagio, oltre alle normali pratiche igieniche bisogna:
-
Proteggere gli alimenti dal contatto con le mosche (veicoli)
Cuocere tutti i cibi in tutte le loro parti
Evitare il contatto tra alimenti di diverso genere (soprattutto cibi cotti/cibi crudi)
Attenzione al ghiaccio e all’acqua che deve essere sempre perfettamente imbottigliata.
BRUCELLOSI
È una zoonosi ubiquitaria trasmessa all’uomo dagli animali per via diretta (professionale) o
indiretta (alimentare).
Le Brucelle sono batteri molto resistenti all’essiccamento ed all’invecchiamento e possono
sopravvivere fino a 3-4 mesi in alimenti come burro o formaggio.
È una malattia ancora presente soprattutto nelle nostre zone e colpisce l’animale, è una tipica
malattia che può essere trasmessa non soltanto attraverso la via indiretta e quindi alimentare, ma
anche indiretta mediante manipolazione di alimenti o accudendo un animale malato di brucellosi,
per cui si può ammalare l’allevatore e il veterinario.
91
Si tratta dei batteri Gram – più piccoli in assoluto che sono estremamente volatili, per cui quando
si ha a che fare con un prodotto abortivo da animale affetto da brucellosi, si lavora con
mascherine per cui bisogna chiudere i locali, inoltre bisogna stare attenti alle ferite poiché il
batterio non può essere solamente inalato ma anche infettare per trasmissione indiretta.
Le brucelle, sebbene così piccole e così particolari (bisogna fare molta attenzione anche in
coltivazioni in laboratorio), sono abbastanza resistenti, alcuni formaggi fatti necessariamente con il
latte crudo non pastorizzato per mantenere le caratteristiche organolettiche, possono trasmettere
brucellosi, motivo per cui nella filiera alimentare ci sono anche questi controlli se parliamo di una
filiera che riguarda latte e derivati, ogni produzione alimentare ha detto regole rigide che bisogna
rispettare.
TOSSINFEZIONI ALIMENTARI
La caratteristica principale per quanto riguarda le tossinfezioni da un punto di vista clinico è il
periodo di incubazione molto più breve. Gli agenti patogeni più comuni sono le Salmonellosi
minori, lo Stafilococco Aureus Enterotossico e il Clostridium Botulinum.

Salmonellosi Minori
Le salmonellosi minori sono tossinfezioni sostenute da patogeni del genere Salmonella di cui fanno
parte 2000 specie di cui la capostipite è la Salmonella Typhi, che, però, è completamente diversa
dalle altre per quanto riguarda la manifestazione clinica. Le salmonellosi sono molto più frequenti
di quanto si può immaginare e le specie più frequenti ma anche quelle più pericolose sono la
Enteritidis e la Typhimurimu che spesso colpiscono i bambini. A differenza della salmonella Typhi
che trova nell’uomo il serbatoio e la sorgente, le salmonellosi hanno come serbatoio gli animali e
la sorgente può essere l’uomo e quindi si può entrare a contatto con i polli, con gli animali di
grossa taglia ma anche con le tartarughe e anche le tartarughe che si hanno in caso possono
disseminare salmonelle e quindi chi ha in casa o in giardino la tartaruga deve stare attento a certe
norme igieniche normali.
Da un punto di vista clinico le salmonellosi si presentano con diarrea profusa e febbre. Quindi un
soggetto con salmonellosi deve fare anche molta attenzione all’igiene anche a casa perché può
facilmente disseminare salmonelle. Inoltre, bambini e anziani sono molto a rischio di andare
incontro a disidratazione perché la diarrea è molto profusa e in alcuni casi può essere richiesta
l’ospedalizzazione perché se i liquidi non vengono subito reintegrati, come può succedere in un
anziano che tende a bere di meno, i pazienti rischiano anche di morire. Per cui la salmonellosi
rimane comunque una patologia benigna ma che in alcuni casi, se non trattata, può portare anche
ad un esito infausto.
Le norme di prevenzione per quanto riguarda la salmonellosi dipendono esclusivamente dal
consumatore: quindi, ad esempio, comprando la carne è bene che il consumatore, in caso di
scarse rassicurazioni da parte del fornitore (spesso si viene a creare un rapporto di fiducia tra
consumatore e fornitore per cui il fornitore può già indicare eventuali prodotti a rischio e quindi
sconsiglia di comprarli), deve avere cura di cuocere molto bene il prodotto. Importante è anche il
trasporto degli alimenti: la carne deve essere sempre trasportata refrigerata; ovviamente nel
tragitto dal supermercato a casa si può evitare però in caso di viaggi è indicato il traporto
92
refrigerato. Se ci sono avanzi di un alimento dopo essere stato cotto, nel caso non si abbia
l’accortezza di riporlo coperto, va cotto nuovamente prima del consumo.

Tossinfezione da Stafilococco Aureo Enterotossico
La tossinfezione da Stafilococco Aureo Enterotossico si può contrarre con l’assunzione di latte e
dei suoi derivati perché lo stafilococco alberga nella cavità faringea e anche parlando si può contaminare
facilmente l’alimento. Lo stafilococco è un grande contenitore di tossina che è termostabile e quindi ad
esempio viene fatta la crema il riscaldamento uccide lo stafilococco ma non la tossina e quindi mangiando
quella crema si sta male. Le caratteristiche organolettiche degli alimenti contaminati non cambiano. perché
lo stafilococco alberga nella cavità faringea e anche parlando si può contaminare facilmente l’alimento. Lo
stafilococco è un grande contenitore di tossina che è termostabile e quindi ad esempio viene fatta la crema
il riscaldamento uccide lo stafilococco ma non la tossina e quindi mangiando quella crema si sta male
considerando anche che le caratteristiche organolettiche degli alimenti contaminati non cambiano.
Dopo l’assunzione dell’alimento dopo un periodo di incubazione che dipende da quanta tossina
viene ingerita si incomincia a star male e a vomitare. La diarrea si presenta meno frequentemente.
Molto spesso se questa manifestazione clinica avviene sul singolo non viene diagnosticata perché,
dopo aver rimesso continuamente e quindi aver espulso completamente la tossina, il soggetto sta
bene come se non fosse successo niente. Quindi se ciò avviene sul singolo è facile pensare che
possa derivare da un problema digestione e non si pensa a una tossinfezione; se invece questi
sintomi compaiono in una comunità che hanno consumato nella stessa occasione (ad esempio un
matrimonio) un alimento e che poi stanno male e quindi l’attenzione viene subito sollecitata e
scattano indagini epidemiologiche e si cerca di capire l’origine dell’alimento che non è stato
conservato bene. Spesso capita nelle occasioni festive perché quando ci sono da servire tante
persone ci sono delle circostanze in cui la torta, che solitamente non viene consumata, viene
lasciata senza refrigerazione, magari in giornate calde, e quindi si dà modo allo stafilococco di
riprodursi e produrre tossine e quindi quando poi la torta viene mangiata e distribuita chi la
mangia poi sta male. Il quadro clinico tende a risolversi spontaneamente dopo 1-2 giorni.
La prevenzione per quanto riguarda lo Stafilococco Aureo Enterotossico è a carico del produttore e
ciò prevede:




Controllo periodico sul cavo faringeo degli operatori, perché i soggetti che lavorano a
contatto non devono essere nemmeno portatori sani;
In presenza di processi infettivi sulle mani (piodermiti, foruncoli) gli operatori devono
indossare guanti e se la situazione è importante il soggetto deve essere allontanato e fatto
rientrare quando il problema è risolto;
Non deve essere mai interrotta la catena del freddo perché il batterio si riproduce e
produce la tossina trovando delle condizioni ideali (nei termini di temperatura e umidità) e
quindi anche cuocendo dopo l’alimento riusciremmo ad uccidere il batterio ma non la
tossina che è termostabile e quindi metteremmo a rischio il consumatore.
Botulismo
Il botulismo è una tossinfezione molto pericolosa perché mortale. È causata da Clostridium
Botulinum che è un microorganismo sporigeno quindi si riproduce soltanto in assenza assoluta di
93
ossigeno e quindi gli alimenti più incriminati sono le conserve; non tanto quelle industriali, che
sono soggette a controlli, ma sono a rischio quelle domestiche dove l’attenzione non è tale da
evitare questo tipo di contaminazione; infatti la grande maggioranza dei casi è da conserve
domestiche e principalmente da conserve di prodotti che derivano da uno stretto contatto con il
suolo in quanto il Clostridium Botulinum è molto presente nel suolo: quindi carciofi, funghi,
melanzane, peperoni. A rischio sono le conserve sott’olio perché il Clostridium Botulinum non si
riproduce, anche se in assenza di ossigeno, in ambiente acido; quindi, le conserve sott’aceto sono
garantite così come la salsa di pomodoro che è acido. Ma sono garanzia anche i prodotti
zuccherati, ad esempio le marmellate. Invece l’olio è ambiente ideale sia per eliminare l’ossigeno
perché quando si fanno le conserve in boccaccio si riempie fino al bordo di olio proprio per
eliminare l’ossigeno (perché in presenza di ossigeno perché si formerebbero muffe che alterano le
caratteristiche organolettiche del prodotto).
Nell’ambiente si trovano le spore che in condizioni ottimali, quindi in assenza di ossigeno, si
trasforma in bacillo; trasformazione che porta alla produzione della tossina che non altera le
caratteristiche organolettiche del prodotto; quindi, quando apriamo le conserve, se siamo attenti
sentiamo uno sfiato, altrimenti non percepiremo nessuna differenza con un prodotto che non
contiene la tossina. Mangiando la conserva viene quindi ingerita la tossina e dopo uno-sette giorni
(il periodo di tempo dipende da quanta tossina viene ingerita) si iniziano a manifestare i primi
sintomi che sono patognomonici per questo tipo di malattia perché abbiamo subito delle reazioni
a livello facciale: diplopia; ptosi palpebrale; midriasi. Se questi segni non sono così evidenti subito
si hanno disfagia, afonia, secchezza delle fauci; quindi, c’è qualcosa che non va a livello facciale. È
fondamentale riconoscere subito questa condizione perché quanto più precocemente si interviene
tanto meglio si risolve la condizione: ad esempio ci sono stati soggetti che sono rimasti balbuzienti
perché non è stata recuperata completamente la capacità fonatoria. L’unica maniera per poter
intervenire è con un siero antitossina. La morte sopravviene dopo 3-10 giorni per paralisi
respiratoria e cardiaca perché la tossina diffonde.
La prevenzione va fatta quindi soprattutto per le conserve sott’olio fatte in casa. Ad esempio, se si
vogliono mangiare delle conserve fatte in casa di cui però non si è certi della provenienza,
considerano che la tossina è termolabile, si può denaturare la tossina mettendo la conserva a
bagnomaria (mettendo acqua in una padella e nell’acqua si mette il boccaccio aperto e si mette a
riscaldare e prima ancora che inizia a bollire la tossina se c’è viene eliminata). Per le conserve di
origine industriale invece non c’è pericolo perché le produzioni avvengono in barattoli di latta che
hanno una parete rigida e la parte superiore e inferiore che è più sottile e che, quindi, nel caso in
cui si produca la tossina si bomberebbe perché si produce anche gas. Quindi a livello industriale
prima che la conserva venga messa in commercio c’è un sistema di controllo che evidenzia
l’eventuale bombaggio e automaticamente scarta il prodotto. Questo non è possibile per i prodotti
fatti in casa perché sono solitamente in barattoli di vetro con il solo tappo in latta.
Quindi, le norme igieniche-sanitarie da rispettare nella catena alimentare sono:



mani sempre pulite;
superfici sempre pulite;
attenzione agli animali in casa perché portatori di microrganismi;
94




i rifiuti vanno gestiti con accuratezza perché lo smaltimento deve essere fatto
adeguatamente;
le verdure devono essere lavate bene;
gli alimenti critici vanno cotti al cuore dell’alimento e vanno conservati in maniera
adeguata;
evitare il contatto tra il crudo e il cotto.
95
22/10/2021- Igiene generale e applicata – Prof. Osvalda De Giglio
ACQUA
Oggi introdurremo l’argomento dell’acqua. Le fonti di approvvigionamento dell’acqua quali sono?
Nelle nostre case arriva l’acqua dell’acquedotto, quest’acqua che arriva al nostro rubinetto da dove
proviene? Fonti di approvvigionamento di acqua potabile sono le acque superficiali, acque
profonde e acque reflue.
Sebbene l’ultimo punto può suonare strano,in alcuni paesi in cui piove poco e c’è uno scarso
approvvigionamento idrico, parliamo di zone dove fa molto caldo e l’acqua evapora subito o piove
poche volte all’anno (es. Iran o Iraq), si ricorre alla trasformazione dell’acqua reflua in acqua
potabile. E’ una procedura tipica di alcune zone, in Italia non è concessa nonostante ci siano varie
sperimentazioni.
Per acque superficiali intendiamo acque di torrenti, fiumi, laghi naturali o artificiali, o bacini e
dighe artificiali.
Abbiamo poi le acque profonde che derivano da infiltrazione di acque piovane nel sottosuolo.
Vengono definite acque telluriche, dove per telluriche si intende acqua sotterranea,di falda.
Abbiamo poi le acque meteoriche che possono essere una buona fonte di approvvigionamento
idrico, parliamo di acqua piovana o derivata dallo scioglimento della neve raccolta in cisterne,
serbatoi o bacini artificiali. Le acque meteoriche,come quelle superficiali o profonde devono essere
trattate prima di poter essere destinate al consumo umano. La potabilizzazione comprende tutta
una serie di trattamenti di disinfezione. Oggi la maggior parte di questi trattamenti si identifica con
la clorazione. In realtà abbiamo anche altri processi come il trattamento con perossido di idrogeno
e ioni argento, trattamento con raggi uv, trattamento con acido peracetico, trattamento a base di
cloro ma con dei trattamenti più aggiornati come biossido di cloro oppure la monoclorammina,
molto recente rispetto ad altri tipi di trattamento.
Abbiamo anche le acque marine, usate in mancanza di altre fonti, subiscono processi di
dissalazione come accade ad esempio sulle navi da crociera.
Le acque reflue sono acque di rifiuto provenienti da abitazioni (acque nere), precipitazioni, lavaggi
di superficie (acque bianche) e da industrie.
Acqua potabile
Il D.Lgs. 31/2001 definisce l’acqua potabile (acqua destinata al consumo umano) nei seguenti
modi:
«Le acque trattate o non trattate, destinate alla preparazione di cibi e bevande, o
per altri usi domestici, a prescindere dalla loro origine, siano esse fornite tramite
una rete di distribuzione, mediante cisterne, in bottiglie o in contenitori.»
96
«Le acque utilizzate in un'impresa alimentare per la fabbricazione, il trattamento,
la conservazione o l'immissione sul mercato di prodotti o di sostanze destinate al
consumo umano, escluse quelle la cui qualità non può avere conseguenze sulla
salubrità del prodotto alimentare finale.»
Quindi l’acqua potabile non serve solo per bere, ma può essere usata anche per preparare cibi e
bevande. Un’ impresa alimentare deve avere quindi nell’elenco di controlli da effettuare anche
quello sull’acqua utilizzata.
L’acqua potabile deve possedere determinate caratteristiche organolettiche, fisiche, chimiche e
microbiologiche. Tutti questi parametri sono previsti nel D.Lgs. 31/2001
Per quanto riguarda le caratteristiche organolettiche dell’acqua potabile prima si diceva che
l’acqua potabile fosse l’acqua limpida, inodore, incolore e insapore. Oggi si parla di sapore
gradevole, perché l’acqua effettivamente ha un sapore.
Qual'è la differenza tra acqua potabile e acqua minerale?. L’acqua minerale è un’acqua
microbiologicamente pura all’origine. Significa che deve essere imbottigliata così come sgorga dalla
sorgente, senza subire nessun tipo di trattamento. L'acqua potabile è invece un’acqua distribuita
tramite gli acquedotti che può essere trattata chimicamente per garantire la salubrità.
Spesso l’acqua minerale è considerata più sicura, invece quella potabile che deriva dalle tubature
può non essere sicura da più punti di vista, possono non esserci controlli sulle cisterne,
sull’autoclave, sui punti terminali ecc… Nelle case con tubature vecchie spesso nella parte
terminale del rubinetto si accumulano detriti, polveri, calcare e quindi l’acqua non fluisce in modo
costante ma a zampilli. In questi casi possiamo prendere il filtrino, il rompigetto e metterlo in un
bicchiere contenente dell’aceto, lo teniamo per una notte e il giorno dopo nel bicchiere troveremo
di tutto, è un rimedio semplice e naturale, l’aceto è un disinfettante naturale. Per questo è
importante fare manutenzione alle tubature, fare i controlli periodici. L’acqua minerale ha come
contro il fatto di essere imbottigliata, la bottiglia è fatta di plastica e questo a lungo andare può
rilasciare sostanze tossiche e nocive come il famoso pet (polietilentereftalato). Nel caso in cui
prendiamo bottiglie lasciate per molto tempo al sole che a volte si deformano pure in estate
dovremmo preferire l’acqua del rubinetto. Sarà importante anche eseguire un periodico ricambio
dei filtri rompigetto, se la situazione è grave usare l’aceto sarà poco utile, si cambieranno i filtri
rompigetto che sono otturati. Spesso ci si chiede se è il caso di mettere dei filtri in casa per le
proprie acque, depuratori, filtri che trasformano anche l’acqua in frizzante e si acquistano da
aziende che promettono acqua ultra pura. Va fatta attenzione a questi sistemi, per esempio è
riportata la durata di 60 giorni del filtro, ma questo dipende tantissimo dalle caratteristiche
chimiche e fisiche dell’acqua nella abitazione: se parliamo di un’acqua che tende ad accumulare
sostanze organiche e detriti calcarei, quei filtri dureranno meno, e se questi non vengono cambiati
prima dei 60 giorni e ci si attiene al manuale del costruttore, queste sostanze si accumulano al
filtro e quando l’acqua esce sarà ancora più contaminata, abbiamo l’effetto contrario.
97
Sempre riguardo le caratteristiche organolettiche l’acqua deve essere:
● Limpida: assenza di torbidità, se prendiamo un bicchiere d’acqua i raggi di luce devono
passare oltre il contenitore per poter parlare di acqua limpida.
● Inodore: assenza di odori terrosi
● Incolore: assenza di colorazioni brune (ox di Ferro), gialle (ox di Manganese)
● Sapore gradevole: assenza di sapore metallico o salato.
Parliamo ora delle caratteristiche fisiche come:
● Temperatura: ideale tra 10 e 15 gradi
● Ph: tra 6.5 e 9.5 (indice indiretto di pericolosità). Il ph più è basico e più sarà aggressivo nei
confronti delle condutture.
● Conducibilità elettrica: deve essere inferiore ai 2500 microsiemens su centimetro (è un
valore tanto più alto quanto maggiori sono i sali minerali che sono disciolti al suo interno)
● Residuo fisso: Indica una misura delle sostanze solide disciolte nell’acqua, e viene misurato
facendo evaporare l’acqua alla temperatura di 180 C° e misurando in milligrammi ciò che
rimane dopo la completa evaporazione, deve essere inferiore ai 1500 mg/L.
Per quanto concerne le caratteristiche chimiche che caratterizzano l’acqua potabile possono
essere di tre tipi:
● In rapporto con le caratteristiche del terreno da cui proviene l’acqua
● Relative a sostanze indesiderabili
● Relative a sostanze tossiche e nocive
1. in rapporto con il terreno da cui proviene l’acqua
L’acqua, a seconda della sua origine, può mostrare un eccesso di cloruri e solfati, l’acqua avrà
quindi un sapore sgradevole o un eccesso di calcio e magnesio, in questo secondo caso avremo un
eccesso di durezza con conseguente incrostazione delle tubature, elettrodomestici a causa della
precipitazione dei bicarbonati sotto forma di carbonati di calcio e magnesio.
2. Relativi a sostanze indesiderabili
Altro parametro chimico dell’acqua potabile, importante da valutare, è relativo alla presenza di
sostanze indesiderabili, principalmente di natura inorganica, che oltre certi limiti alterano le
caratteristiche organolettiche dell’acqua o rappresentano indici di inquinamento.
Esempi sono:
● Ferro e Manganese che ossidandosi passano alla forma trivalente e danno origine a
colorazioni, intorbidamenti e precipitati
● Nitrati che oltre i 50 mg/litro nell’alimentazione dei lattanti sono causa di
metaemoglobinemia infantile
● Fluoro, che se presente in quantità inferiore a 1,5 mg/litro aiuta a prevenire la carie,
mentre valori superiori possono provocare fluorosi di denti e ossa
98
● Sodio, il cui valore massimo ammissibile è inferiore a 200 mg/litro, poiché valori superiori
possono avere un’azione ipertensiva
Le sostanze indesiderabili possono anche essere di natura organica e tra queste si possono citare:
● Ammoniaca, prodotto dalla decomposizione di sostanza organica azotata
● Nitriti, prodotto intermedio di ossidazione dell’ammoniaca
● Nitrati, si formano dalla completa ossidazione dell’azoto ammoniacale, sono quindi alla fine
del ciclo dell’azoto (ammoniaca-nitriti-nitrati) e indicano un inquinamento remoto nel
tempo ad esempio in seguito all’uso di fertilizzanti in agricoltura.
Un parametro importante da tenere in considerazione è il C.O.D. (Chemical Oxygen Demand),
letteralmente domanda chimica di ossigeno. Il suo valore, espresso in milligrammi di ossigeno per
litro (mgO2/L), rappresenta la quantità di ossigeno necessaria per la completa ossidazione dei
composti organici presenti in un campione di acqua. Rappresenta quindi uno dei parametri
comunemente utilizzati per la misura indiretta del tenore di sostanze organiche presenti in
un'acqua. Acque a basso contenuto organico sono migliori ai fini della gradevolezza e della
utilizzabilità.
3. Relativi a sostanze tossiche e nocive
Tale parametro valuta la presenza nell’acqua di:
1. Tensioattivi: indice di inquinamento domestico e industriale
2. Oli minerali: causano iridescenza e opalescenza in superficie
3. Fenoli: sono piuttosto tossici per l’uomo
4. Antiparassitari
5. Vari metalli come cromo, piombo e mercurio
6. Composti organici come benzene e benzopirene
7. Composti derivati dai trattamenti di clorazione delle acque come i trialometani1 con potere
cancerogeno e mutageno
Caratteristiche microbiologiche
La determinazione dei parametri microbiologici ha come scopo quello di escludere la presenza
nell’acqua di microrganismi patogeni capaci di causare infezioni enteriche come ad esempio:
● Infezioni diarroiche virali (rotavirus, enterovirus)
● Infezioni diarroiche batteriche (salmonelle,shigelle,vibrioni)
● Infezioni diarroiche protozoarie (Giardia, Cryptosporidium)
● Febbre tifoide (Salmonella Typhi)
● Epatite virale A e E
Tuttavia, tale determinazione porta con sé alcuni svantaggi,e cioè:
1
Il Trialometano è un composto nel quale tre atomi di idrogeno della molecola di metano (CH4) sono sostituiti con
atomi di uno o più alogeni ad esempio il cloroformio (CHCl3) I trialometani si formano nell’acqua destinata al consumo
umano soprattutto come risultato della reazione del cloro con la materia organica presente naturalmente nelle acque
grezze.
99
-
numerose indagini
analisi complesse presso laboratori specializzati
tempi lunghi e costi elevati
emissione discontinua di patogeni, quindi necessità di ripetere anche più volte lo stesso
esame
Alla luce di questo il decreto legge 31/01 ha stabilito che bisogna effettuare la ricerca solo di alcuni
microrganismi commensali dell’uomo e degli animali, la cui presenza è indice di contaminazione
fecale dell’acqua e in conseguenza della quale essa può contenere dei germi patogeni o potrà
contenerne in futuro.
In particolar modo per valutare l’efficacia dei sistemi di potabilizzazione e della buona tenuta delle
condutture si valuta la carica batterica totale (CBT) dopo incubazione su agar alla temperatura di
22°C e 37°C. Mentre come indice di inquinamento fecale si valuta la conta dei batteri coliformi
totali, la presenza e il numero di Escherichia Coli, la presenza e il numero di Enterococchi fecali.
La frequenza dei controlli microbiologici è in funzione della popolazione servita:
Numero di abitanti
Intervallo tra i prelievi
<20000
1 mese
20000-50000
2 settimane
50000-100000
4 giorni
>100000
1 giorno
La legge che regola le caratteristiche che devono essere possedute dalle acque destinate al
consumo umano è quella numero 31 del febbraio 2001.
Tale legge per quanto riguarda i parametri microbiologici fissa il limite a 0 per 100ml per quanto
riguarda sia Escherichia Coli che Enterococchi per le acque pubbliche. Per le acque messe in
vendita in bottiglia o contenitori, Escherichia Coli, Enterococchi e Pseudomonas aeruginosa devono
essere assenti in 250 ml, mentre il numero di colonie presenti a 22°C è massimo di 100/ml, le
colonie presenti a 37°C massimo 20/ml. La discrepanza tra i valori di Escherichia Coli o
Enterococchi tra le acque pubbliche e quelle contenute in bottiglia sta nel fatto che gli eventuali
batteri contenuti in quest’ultima possono proliferare molto di più trovandosi in un’ambiente
statico.
Tale legge stabilisce quali sono i parametri da sottoporre obbligatoriamente a controllo di routine:
- Ammonio
- Colore
- Conduttività
- Clostridium perfringens (spore comprese) (Necessario solo se le acque provengono o sono
influenzate da acque superficiali)
- Escherichia coli (E. coli)
- Concentrazione ioni idrogeno
- Odore
- Pseudomonas aeruginosa (Necessario solo per le acque vendute in bottiglie o in contenitori.)
100
- Sapore
- Conteggio delle colonie a 22°C e 37°C (Necessario solo per le acque vendute in bottiglie o in
contenitori.)
- Batteri coliformi a 37°C
- Torbidità
Oltre a tali parametri obbligatori, ci sono dei parametri accessori, stabiliti dal decreto legge 27 del
febbraio 2002, il cui giudizio è a discrezione dell’autorità sanitaria competente e sono la presenza
di:
Patogeno
Valore di riferimento
Alghe
0/1L
Batteriofagi anti E.Coli
0/100L
Nematodi a vita libera
0/1L
Enterobatteri patogeni
0/1L
Enterovirus
0/100L
Funghi
0/100ML
Protozoi
0/100L
Pseudomonas
0/250ML
Stafilococchi patogeni
0/250ML
Per l’analisi microbiologica si utilizza
la tecnica delle membrane filtranti,
che è una tecnica che utilizza una
barriera fisica, generalmente una
membrana porosa o un filtro che
separa le particelle in un fluido, in
base alle loro dimensioni e alla loro
forma.
Questo avviene grazie alla pressione
generata da una pompa a vuoto e a
membrane disegnate appositamente con pori di differenti
dimensioni.
Tale tecnica consiste nel porre una membrana di cellulosa di
porosità idonea a trattenere le cellule batteriche alla base
dell’imbuto e filtrare un volume del campione d’acqua da analizzare.
101
La tecnica è semplice e veloce: i batteri, di dimensioni maggiori rispetto ai pori del filtro,
rimangono intrappolati sulla superficie del filtro stesso. Dopo la filtrazione ogni membrana viene
posizionata in una piastra contenente uno specifico terreno di coltura che permette la crescita e la
differenziazione dei batteri ricercati.
Trattamenti di potabilizzazione
I trattamenti di potabilizzazione per quanto riguarda le acque superficiali sono:
● Grigliatura = per trattenere ed eliminare materiali grossolani in sospensione
● Preclorazione = per inattivare, almeno in parte, i microrganismi saprofiti ed eventuali
patogeni, per ossidare le sostanze organiche ed inorganiche e per abbattere l'ammoniaca
● Filtrazione con letti di sabbia
● Chiariflocculazione = per rimuovere la torbidezza dovuta a sostanze in sospensione come
ad esempio i sali di alluminio
● Post clorazione o clorazione standard= per inattivare i microrganismi sfuggiti alle fasi
precedenti
La Clorazione è una tecnica di disinfezione che si esplica con meccanismo di ossidazione. Prevede
l’utilizzo di diversi composti come cloro gassoso, ipoclorito, biossido di cloro.
102
Igiene Ambientale-26/10/21-Prof. De Giglio
ACQUA
Oggi vedremo la differenza tra le acque minerali e le acque potabili che avevamo già accennato
nella lezione precedente, per chi volesse saperne di più ciò che tratteremo oggi è riportato su un
articolo su pubmed.
Vediamo le differenze tra le due tipologie di acque, che hanno regolamenti completamente diversi;
le acque per consumo umano fanno riferimento al decreto 31/01 e invece le acque minerali fanno
riferimento al decreto ministeriale del 2015.
Le acque destinate al consumo umano:
•
Sono acque trattate o non trattate destinate ad uso potabile, per la preparazione di cibi e
bevande o altri utilizzi domestici, a prescindere dalla loro origine, siano esse fornite mediante una
rete di distribuzione, mediante cisterne o in bottiglie o in contenitori.
•
Sono anche le acque utilizzate in un’impresa alimentare per fabbricazione, trattamento,
conservazione o l'immissione sul mercato di prodotti o sostanza destinate al consumo umano
Diversamente le acque minerali:
Sono acque che provengono da una o più sorgenti naturali e hanno caratteristiche igieniche
particolari ed eventualmente proprietà favorevoli alla salute; si distinguono dalle acque potabili
per la purezza originaria e sua conservazione, per il tenore in minerali, oligoelementi e/o altri
costituenti ed eventualmente per taluni loro effetti.
Le origini delle due sono completamente diverse:
•
Per le potabili possono essere acque sotterranee, superficiali e salmastre opportunamente
trattate. Capiamo che sono quindi acque che non nascono necessariamente come potabili, ma
possono essere rese tali.
•
Le acque minerali invece hanno origine esclusivamente sotterranea e possono provenire da
un’emergenza naturale o da pozzi. La natura e struttura delle varie tipologie di rocce così come
tempo e condizioni di contatto (temperatura,ph,gas,ecc) determinano le differenti tipologie di
composizione delle acque, questo determina diverse consistenze, gusti e sapori prendendo le
caratteristiche del suolo con cui sono a contatto. Si cerca di contenere le possibili contaminazioni
microbiologiche dovute alla fauna selvatica con l’introduzione di ampie fasce di tutela assoluta.
Normative
La normativa sulla potabilità dell’acqua è quella presente nel decreto legislativo 31 del 2 febbraio
2001 che è una attuazione della direttiva 98/83/CE relativa alla qualità delle acque destinate al
consumo umano. E’ importante inoltre ricordare che ci sono anche delle direttive regionali, come
ad esempio in Puglia il piano della sicurezza a tutela della qualità dell’acqua potabile.
La normativa che sancisce i criteri di valutazione delle caratteristiche delle acque minerali naturali
è presente nel decreto del ministero della salute del 10 febbraio 2015.
103
Monitoraggio microbiologico
Si fa una differenza tra le acque minerali e le acque destinate al consumo umano.
Per le acque destinate al consumo
umano (es. acquedotto) vanno
ricercati E.coli ed Enterococchi che
devono essere assenti in 100 ml.
Mentre solo per le acque in
vendita in bottiglia o contenitori,
vanno ricercati E.coli, enterococchi
e pseudomonas aeruginosa che
devono essere assenti in 250 ml,
inoltre si va a valutare il numero
delle colonie presenti a 22°C e a
37°C con limiti che sono 100/ml
per la prima temperatura e 20/ml
per la seconda; questa disparità tra
i due valori si spiega col fatto che a 22°C crescono i microrganismi tipici delle acque, mentre a 37°C
i microrganismi patogeni.
Perché questa differenza di parametri tra l’acqua imbottigliata e l’acqua del rubinetto?
Perchè un conto è l'acqua che sgorga dal rubinetto dove l'acqua scorre velocemente e i batteri non
hanno neanche il tempo di sedimentare, proliferare e di stagnare, un conto è l'acqua che invece
viene imbottigliata,essendo imbottigliata, c’è più possibilità di proliferazione batterica.
Altri parametri accessori che è possibile ricercare ma la cui ricerca è a discrezione dell'autorità
sanitaria competente:
Patogeno
Valore di riferimento
Alghe
0/1L
Batteriofagi anti E.Coli
0/100L
Nematodi a vita libera
0/1L
Enterobatteri patogeni
0/1L
Enterovirus
0/100L
Funghi
0/100ML
Protozoi
0/100L
Pseudomonas
0/250ML
Stafilococchi patogeni
0/250ML
104
Per quanto concerne le acque minerali invece i parametri da cercare sono sempre gli stessi:
Parametri microbiologici
Limite
Coliformi ed E.Coli
0/250ml
Streptococchi fecali
0/250ml
Anaerobi sporigeni solfito riduttori (C.perfrigens)
0/50 ml
Staphylococcus aureus
0/250ml
Pseudomonas aeruginosa
0/250ml
Conteggio colonie a 22°C
20/ml
Conteggio colonie a 37°C
5/ml
Frequenze di campionamento
Per quanto riguarda le acque minerali è prevista un’analisi/anno alla sorgente per la messa in
commercializzazione dell’acqua, più eventuali controlli a campione direttamente sulle bottiglie.
Per quanto riguarda le acque potabili sono previsti 4 controlli/anno di routine più un
controllo/anno di verifica; sono inoltre previsti maggiori frequenze di campionamento in relazione
al numero degli impianti,grado di vulnerabilità della rete idrica,ecc.
Trattamenti di disinfezione
Per l’acqua potabile sono previsti dei trattamenti di disinfezione come ad esempio la clorazione,
questo comporta la possibile presenza di prodotti secondari di disinfezione come i trialometani.
Per le acque minerali non sono previsti trattamenti di disinfezione e questo comporta l’assenza di
prodotti secondari di disinfezione; gli unici trattamenti presenti sono quelli con aria arricchita di
ozono per la separazione dei composti del ferro, del manganese, dello zolfo e dell’arsenico.
Caratteristiche organolettiche
Per quanto riguarda le acque minerali,tali caratteristiche non vengono considerate dalla normativa
perché ritenuti implicitamente soddisfacenti.
Per le acque potabili invece tali caratteristiche vengono prese in considerazione dalla normativa in
quanto odore e sapore delle acque condottate sono principalmente imputabili sia ai prodotti
aggiunti alle acque ai fini della potabilizzazione sia in funzione dei sali disciolti. Un’acqua potabile
quindi deve essere inodore,incolore e dal sapore gradevole.
105
Anidride carbonica
La presenza di anidride carbonica è una peculiarità di certe acque minerali (naturalmente gassate o
con aggiunta). Per le acque potabili invece non ha alcuna rilevanza la presenza di anidride
carbonica se non per problemi connessi a equilibri chimici che possono indurre fenomeni di
corrosione o incrostazione.
L’anidride carbonica nelle acque ha alcuni vantaggi come:
● impedisce i processi di “invecchiamento” dell’acqua minerale e la sua ossidazione
● limita la moltiplicazione batterica (azione batteriostatica)
● facilita la digestione (incremento della motilità e della secrezione gastrica)
● conferisce maggiore proprietà dissetante per la lieve azione anestetica sulle papille
Le acque gassate sono sconsigliate nei soggetti esposti a meteorismo e nei lattanti.
Ci sono differenti tipi di acque minerali in funzione dell’anidride carbonica:
Denominazione
Descrizione
Piatta
Anidride carbonica in minime quantità
Effervescente
Anidride carbonica viene addizionata
Acidula
Addizionati più di 250 mg/litro di anidride carbonica
Effervescente naturale
L’acqua sgorga dalla fonte con almeno 250 mg/L di CO2 disciolti
Sali minerali
Per quanto riguarda i sali minerali, le acque minerali, come stabilito dal decreto legge 176 del
2011, vengono classificate in:
-Minimamente mineralizzate: Residuo fisso1 sotto i 50 mg/L. Acque povere di sali minerali,
favoriscono la diuresi e facilitano l’eliminazione di piccoli calcoli renali. Sono indicate nelle diete
iposodiche e per i bambini in età pediatrica.
-Oligominerali: Residuo fisso tra 50 e 500 mg/L. Il ridotto contenuto di sali minerali le rende ottime
acque da tavola, adatte per un consumo quotidiano. Sono indicate per le diete iposodiche perché
hanno un'azione diuretica.
-Ricche di sali minerali: con residuo fisso superiore ai 1500 mg/L. Sono molto ricche di sali,
generalmente usate a scopo terapeutico, il loro uso è suggerito dal medico.
Ph
Per le acque potabili il ph è importante perché può determinare la loro aggressività nei confronti
delle tubazioni, si può inoltre avere rimozione delle incrostazioni con contaminazione delle acque.
1
Il residuo fisso è la quantità di sali minerali, espressa in mg, contenuta in un litro di acqua
106
Per le acque minerali non sono indicati i valori di riferimento, l’intervallo è generalmente compreso
tra 6.5 e 8.0, ad esclusione delle acque addizionate con CO2 in cui i valori sono più bassi.
Acqua minerale vs Acqua potabile
● entrambe sono funzionali al reintegro di acqua e sali minerali nell’organismo
● in alcune circostanze possono essere molto simili non sono dal punto di vista chimico e
fisico ma anche per i caratteri organolettici specialmente se prelevate da uno stesso
territorio caratterizzato da una omogeneità del sistema idrogeologico
Ciò che cambia è la modalità di prelevamento. Se bisogna campionare un’acqua minerale è
importante tenere presenti i dati meteorologici e pluviometrici anche dei giorni precedenti in
quanto possono inficiare i risultati del campionamento.
Il decreto ministeriale 542/1992 ha inoltre permesso di non specificare, in etichetta delle acque
minerali, una serie di sostanze tossiche o indesiderabili
qualora non raggiungano una determinata concentrazione.
Ad esempio:
-
-
il Cadmio: non dichiarato sino a 10 microgrammi/litro
il Nichel che non ha alcun limite
i Nitrati: indizio di inquinamento e precursori di
sostanze cancerogene, non devono essere dichiarati
se non superano i 45 milligrammi/L o i 10
milligrammi/L in caso di acque destinate all’infanzia
anche se nelle acque con più di 10 milligrammi non
c’è alcuna avvertenza di rischio per l’infanzia
il Cromo trivalente senza alcun limite ed è quello
maggiormente presente nelle acque.
Per le acque potabili invece i parametri chimici sono più
stringenti come evidenziato dalla tabella a lato.
Confezionamento
Per le acque potabili non ci sono limiti per la capacità del
contenitore, solitamente però parliamo di boccioni con
capacità di 20L per distributori automatici.
L’acqua minerale è di solito conservata in contenitori con la
capacità massima di 2 L. Di più non possono essere presenti.
Etichetta
Per quanto riguarda i parametri riportati in etichetta è importante ricordare:
● Acque oligominerali sotto i 500 mg/L, adatte per l’uso quotidiano
● Minimamente mineralizzate sotto i 50 mg/L, indicate per calcoli renali e alta pressione
107
● Ricche di Sali minerali fino a 1500 mg/L, non adatte all’uso quotidiano, solo in caso di
indicazione medica
● Acque bicarbonate con contenuto di bicarbonati sopra i 600 mg/L, aiuta i processi
enzimatici della digestione
● Acque Solfate, contenuto di solfati sopra i 200 mg/L con effetto lassativo
● Acque clorurate con contenuto di cloro sopra i 200 mg/L, effetti sull’attività dell’intestino,
di cistifellea e di fegato.
● Acqua fluorata, con contenuto in fluoro superiore a 1 mg/L, può combattere i processi di
osteoporosi
● Acque calciche con contenuto di calcio sopra i 150 mg/l, indicate in caso di allergia al latte,
gravidanza e bambini in fase di crescita
● Acque magnesiache, contenuto di magnesio sopra i 50 mg /L, adatta in caso di stress
● Acque ferrose, ad alto contenuto di ferro e possono combattere fenomeni di anemia,
abbiamo ferro bivalente sopra a 1 mg/L
● Acque acidule con contenuto di CO2 sopra i 250 mg/L, non sono adatte a persone con
problemi di stomaco o intestinali
● Acque sodiche, contenuto di sodio maggiore di 200 mg/L, che hanno effetto su attività di
intestino, cistifellea e fegato, non adatte in caso di alta pressione
● Acque adatte per i neonati e per la preparazione di alimenti per neonati a basso contenuto
di sodio, massimo 20 mg/L, contenuti di nitrato sotto i 10 mg/L. Il nitrato nello stomaco è
trasformato in nitrito che a sua volta nuoce al trasporto di ossigeno nel sangue
specialmente in ambiente acido, dove è trasformato più rapidamente. Nitrito dovrà essere
inferiore a 0,02 mg/L, i solfati meno di 240 mg/L e fluoruro 1,5 mg/L.
● Acqua adatta per alimentazione povera di sodio, con sodio inferiore ai 20 mg/L, da usare
in condizioni di alta pressione
Conservazione
L’acqua minerale naturale può contenere residui rilasciati dai contenitori, soprattutto quelli in
polietilene tereftalato (PET). Se stoccata per mesi in luoghi non adatti , al caldo o in condizioni
igieniche dubbie, può sviluppare microrganismi nocivi per la salute umana oppure perdere le
caratteristiche organolettiche presenti alla fonte.
Costi
Il 30 percento delle famiglie ha dichiarato di preferire il consumo di acque minerali naturali,
spendendo circa 20 euro al mese, cifra poco inferiore alla spesa media effettivamente sostenuta
per il servizio di acqua potabile nelle abitazioni. Il problema è che spesso non ci si fida dell’acqua di
rubinetto, il discorso è relativo soprattutto alla presenza di serbatoi, se sapessimo che il serbatoio è
controllato, svuotato e pulito ci avvicineremo con un altro approccio all’acqua potabile. Siamo
costretti ad acquistare acqua minerale, paghiamo acqua potabile perché questa va pagata e in più
ci approvvigioniamo di acque minerali con una spesa più o meno simile tra acque minerali e acqua
potabile.
L’acqua del rubinetto è rispettosa dell’ambiente, non ha bisogno di imballaggi, non richiede l’uso di
petrolio per fabbricare le bottiglie di plastica, arriva a km 0 nelle nostre case risparmiando
108
all'ambiente le emissioni di inquinanti prodotte dal trasporto dell’acqua in bottiglia per diverse
centinaia di km percorsi quotidianamente dai camion.
Solo un terzo delle bottiglie di plastica utilizzate per l’acqua minerale viene raccolto in modo
differenziato e destinato al riciclaggio e il resto finisce in discarica o in un inceneritore.
Il consumo annuo di 12 miliardi di litri di acqua imbottigliata comporta, per la sola produzione
delle bottiglie, l’utilizzo di 350 mila tonnellate di polietilene tereftalato con un consumo di 665 mila
tonnellate di petrolio e l’emissione di gas serra di circa 910 mila tonnellate di CO2 equivalente.
La fase di trasporto dell’acqua influisce poi sulla qualità dell’aria, solo il 18 percento delle bottiglie
d’acqua viaggia sui treni, tutto il resto viene movimentato su strada.
La possibilità di scegliere tra acque potabili o imbottigliate è un privilegio delle economie avanzate.
In America le acque minerali e le acque potabili sono confrontabili in termini di sicurezza, quindi la
scelta è determinata da preferenze personali. La FDA (food and drug administration) sovrintende
l’acqua in bottiglia mentre l'EPA (environmental protection agency) regola l’acqua del rubinetto.
Entrambi utilizzano gli stessi standard per garantire la sicurezza.
Di acque minerali ce ne sono moltissime, si parla di un mercato che non conosce crisi. Nel 2009
l’Italia mantiene il suo primato europeo di consumo di acqua in bottiglia con 192 litri/abitante, più
del doppio rispetto alla media europea. Subito dopo abbiamo Germania, Spagna, Belgio e Svizzera
e agli ultimi posti Russia e Regno Unito,dove si consuma otto volte meno rispetto al consumo
medio italiano.
METODI DI BONIFICA DELLE ACQUE
La scelta del metodo di bonifica più appropriato dipende da:
● Caratteristiche della struttura (ad es. ospedale)
● Tipo ed entità della contaminazione idrica
● Caratteristiche chimico-fisiche dell’acqua
● Caratteristiche degli impianti idrici
● Materiale impiegato negli impianti
Caratteristiche della struttura
Le caratteristiche della struttura da prendere in considerazione nella scelta di un metodo di
bonifica delle acqua sono:
- Anno di costruzione
- Dimensioni dell’edificio e numero delle stanze
- Frequenza di utilizzo delle stanze (stanze più utilizzate avranno una contaminazione minore
rispetto alle stanze non utilizzate)
Tipo ed entità della contaminazione idrica
Possibili fonti di contaminazione idrica sono:
- la presenza di incrostazioni, depositi di calcare,corrosione
- la presenza di biofilm2
2
Biofilm: aggregazione complessa di microrganismi contraddistinta dalla secrezione di una matrice
adesiva e protettiva
109
- presenza di amebe
Caratteristiche chimico-fisiche dell’acqua
- La presenza di Ferro, zinco, manganese
- Ph, Temperatura, Torbidità, Durezza
- Sostanza organica disciolta
Possono influenzare sia il grado di contaminazione che l’efficacia del trattamento di bonifica
Caratteristiche degli impianti idrici
Caratteristiche da valutare sono:
- Epoca dell'impianto (usura e corrosione)
- Diametro e percorso delle condutture
- Punti di giunzione e presenza di rami morti
- Entità del flusso idrico
Materiale impiegato negli impianti
L’acciaio resiste alla corrosione, è riciclabile e presenta una superficie liscia.
Le tubature in acciaio inossidabile rivestite da carbone diamantato (idrofilo) sembrano favorire una
maggiore adesività dei sedimenti planctonici rispetto all’acciaio rivestito da fluoropolimeri
(idrofobici).
Lo shock termico deve essere evitato su tubature di acciaio zincato.
Alcuni metalli come rame e argento sono noti agenti battericidi.
Materiali porosi e superfici scabre facilitano la crescita batterica.
Materiali sintetici in plastica (es. polietilene reticolato PEX) sono leggeri, impermeabili e atossici
ma possono favorire la formazione di biofilm.
Nel grafico accanto si nota
come la scelta del
materiale influenza la
crescita di Legionella nelle
condutture.
I materiali idonei per
essere impiegati nella
costruzione delle tubature
vengono indicati dal
decreto ministeriale 174
dell’aprile 2004.
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Metodi di bonifica
Attualmente i metodi a disposizione per il controllo della contaminazione da water borne
pathogens negli impianti idrici sono numerosi ma scarsamente efficaci a lungo termine.
I trattamenti convenzionali comprendono:
● trattamento termico: mediante uno shock termico oppure mediante il mantenimento
costante della temperatura a 55-60°C all’interno della rete di distribuzione dell’acqua
● clorazione: mediante alte dosi di cloro in un’unica immissione (iperclorazione shock)
oppure con basse dosi continue di cloro (iperclorazione continua)
● radiazioni ultraviolette: si usano lampade a vapori di mercurio a bassa pressione. Gli acidi
nucleici dei patogeni vengono fortemente danneggiati dalle radiazioni che inibiscono la loro
replicazione
Altri trattamenti sono:
● filtrazione al punto di utilizzo o in entrata (metodo molto utilizzato in ambito ospedaliero
tuttavia sono necessari ulteriori studi per validarne l’efficacia a lungo termine e hanno
come svantaggio il fatto della sostituzione periodica con costi importanti per le grandi
strutture)
● biossido di cloro
● perossido di idrogeno e ioni argento (non è adatto al trattamento di reti idriche in acciaio
zincato)
● monoclorammina (molto utilizzata negli Usa, vietato l’uso in alcuni paesi come Germanie e
Svizzera, in Italia viene utilizzata per il trattamento dell’acqua calda sanitaria)
● ozonizzazione
● acido peracetico
In conclusione, il disinfettante ideale non esiste. La scelta va operata in funzione delle
caratteristiche precedentemente viste e va effettuata una vera e propria analisi del rischio
mediante un ‘approccio integrato che unisca le competenze di diverse figure specialistiche.
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