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disabilità tra passato e presente

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“la disabilità in se stessa non costituisce né un destino, né un’identità. Prima di essere disabile la persona
semplicemente esiste”
(Charles Gardou)
Le persone con disabilità hanno impiegato secoli per conquistare visibilità agli occhi del mondo. Fino a quarant’anni
fa, erano considerati come soggetti inferiori, più deboli nei confronti della popolazione media. Nell’antica Roma, per
rivolgersi a loro, venivano utilizzati i termini hebes, stultus, deminutus, con i significati rispettivamente di ottuso,
pazzo, inferiore; nell’Ottocento gli individui con problemi intellettivi o psichiatrici venivano chiamati imbecilli,
alienati, idioti; nel novecento invece, si ricorre alle espressioni: minorati, subnormali e anormali fisici e psichici. Oggi
la Costituzione italiana, all’articolo 38, si riferisce alle persone con disabilità indicandole come minorati e inabili; la
Legge n. 118/71, la prima che apre le porte della scuola normale ai minori con disabilità, li indica come mutilati,
invalidi civili, minorati, insufficienti mentali.
La curiosità di conoscere i modi con cui l’umanità, nelle varie epoche, ha incontrato l’universo dei disabili, ci
permette di comprendere come il cammino verso la loro integrazione sociale sia stato e sia tuttora difficile e ci
consente di penetrare meglio le radici di vissuti e di atteggiamenti che sopravvivono ancora ai giorni nostri. Gli
handicappati sono stati per molti secoli ignorati; la loro esistenza è stata disconosciuta o vista con diffidenza.
Nel mondo greco-romano la comparsa della disabilità assunse una dimensione pubblica, mettendo in discussione
l’intera collettività. Questi individui non potevano contribuire alla vita collettiva e la loro deformità creava un
disordine sociale, per questa ragione i singoli casi non venivano risolti privatamente ma erano un affare pubblico.
L’infanticidio è una pratica normale nel mondo greco come in quello romano; se ne trovano numerose testimonianze
in letteratura: la soluzione si chiama monte Taigeto (per gli spartani) o rupe Tarpea (per i romani). Un’altra pratica è
l’esposizione pubblica, da considerarsi un disconoscimento del non conforme e un rinvio della sua sopravvivenza alla
divinità. Un’altra modalità di relazione con categorie di disabili, è la loro collocazione in una dimensione magicoreligiosa, in virtù delle quali vengono considerati dotati di poteri divinatori e pertanto fuori della dimensione umana:
si pensi agli sciamani o alla chiaroveggenza riconosciuta ai ciechi.
Con il Nuovo Testamento si rompe la logica dell’eliminazione fisica e del rifiuto di conoscere: nei Vangeli il rapporto
con il soggetto disabile si connota come conseguenza di una scelta dettata dalla coscienza morale individuale,
indipendentemente dall’ordine sociale. Nonostante il messaggio e il modello cristiano indirizzino a favorire i
marginali e i deboli, per molti secoli nella società, prevale l’atteggiamento del rifiuto anche violento:
l’interpretazione del male come punizione divina presenta esorcismi, reclusioni come uniche forme di trattamento
della follia e della diversità. Fra il 1934 e il 1939, nella Germania nazista vengono introdotte leggi che giustificano
misure di sterilizzazione di soggetti con menomazioni varie. Fra il 1939 e il 1941, l’Ufficio di Cancelleria di Hitler avvia
l’operazione di sterminio di bambini e di adulti considerati anormali. Secondo stime attendibili, le vittime sono state
uccise con monossido di carbonio in istituti, dove le camere della morte sono state camuffate in stanze per la doccia.
Tale programma è stato spacciato per eutanasia con il motivo di concedere una morte pietosa alle persone incurabili
e più facilmente reso accettabile per ragioni di risparmio in tempi di guerra. Nel Medioevo è finito il tempo in cui
erano visti come pericolosi per la società: fino alla fine del secolo XII non vi è una differenziazione all’interno della
categoria dei marginali: deformi, amputati, disabili, appartengono indistintamente all’universo della povertà;
costituiscono l’indicatore di un mondo alieno da tenere sotto tutela e a cui rivolgere uno sguardo caritatevole. Con
Francesco d’Assisi si fa strada una mentalità nuova: il povero, più che un soggetto da soccorrere, diventa un fratello
portatore della più alta dignità, in quanto immagine di Dio. L’atteggiamento caritatevole si concretizza
nell’elemosina, sia nella forma individuale, sia come allestimento degli istituti di ricovero. Nel Medioevo, gli ospedali
non sono istituzioni chiuse ma semplici luoghi di accoglienza, dove i diseredati, durante il giorno sono liberi di uscire
a mendicare nelle vie del villaggio; solo dal secolo XIV acquisiscono il carattere di case d’internamento. Dal 1300 al
1500 accadono epidemie, guerre, tutte emergenze che rendono la società meno disponibile e caritatevole nei
confronti dei marginali. Anche gli infermi fanno le spese di questo mutato atteggiamento venendo assimilati alla
fascia di popolazione inutile e pericolosa, quindi da rinchiudere e rieducare per tutelare la sicurezza sociale. La
disabilità non rappresenta il problema principale dell’alto Medioevo, in quanto la selezione naturale e le epidemie
riducono la presenza di soggetti invalidi. L’attenzione nei loro confronti è rara e circoscritta ai sordi e ai ciechi. Fin
dall’antichità si è considerato sordomuto, il minorato sensoriale dell’udito affetto da sordità, che gli impedisce
l’apprendimento del linguaggio parlato. Con l’orientamento all’educazione bilingue dei bambini sordi (la lingua dei
segni), oggi è maturata la consapevolezza che un sordo può benissimo comunicare le sue emozioni e idee nella
modalità visivo-manuale. (Con la legge n.95/2006, il nostro paese ha sostituito il termine sordomuto con sordo.) Sul
seguito di alcune intuizioni, Girolamo Cardano giunge alla convinzione che, sostituendo la scrittura alla parola,
possono intendere leggendo e parlare scrivendo; pertanto, escludere questi soggetti dall’istruzione è un crimine. Il
primo che si cimenta nell’impresa educativa è il benedettino Pedro Ponce, il suo metodo si fonda sulla sostituzione
dello stimolo uditivo con quello visivo: la scrittura viene presentata come disegno dei suoni alfabetici e la produzione
della parola viene stimolata attraverso la lettura labiale.
Un evento significativo, emergente nella seconda metà del Settecento, è l’affermazione del potere da parte dei
medici, i quali diventano depositari della norma sociale e della regolamentazione della salute. Dal 1970, in Francia, i
medici cominciano a esercitare la professione andando per le campagne. In Italia, tra il 1765 e il 1805 vengono
costruiti grandi ospedali concepiti come “città dei malati”, dotati di tutti i servizi (infermerie, farmacia, cucina,
cimitero). I folli cominciano a essere considerati soggetti malati, pur se in ogni caso pericolosi dal punto di vista
sociale e dunque da mantenere in trattamento detentivo. Il secolo XIX vede dunque l’impegno per l’ordinamento
delle idee e il miglioramento dell’azione: molti studiosi si dedicano a distinguere le diverse disabilità, a classificarle
pur mantenendole emarginate. Una conseguenza è che il destino degli alienati e quello dei malati fisico/sensoriali
comincia a diversificarsi: sorveglianza ed esclusione sono le parole d’ordine per i primi, recupero e assistenza per gli
altri. L’impegno alla riabilitazione è caratterizzato dall’invenzione di manufatti tecnici: per esempio il letto estensore,
l’apparecchio per la zoppia, il corsetto, il dondolo ortopedico. Il primo tentativo di riabilitazione e d’istruzione nei
confronti dei ciechi risale a Valentin Haüy che, cieco lui stesso, comincia a istruire un giovane privo della vista
utilizzando il principio della vicarianza tattile. Il successo ottenuto porta alla fondazione dell’Istituto nazionale dei
giovani ciechi, nel 1786. Tuttavia, i vari metodi in seguito inventati (come l’uso del punteruolo e del regolo) tendono
a risolvere il problema della scrittura e non della lettura. Su quest’aspetto si concentra Luis Braille, anch’egli cieco, il
quale inventa un codice di letto-scrittura digitale, basato su configurazioni convenzionali prestabilite di punti in
rilievo entro uno spazio percettivamente adeguato al polpastrello delle dita (la tavoletta metallica scannellata). In
seguito alla sua scoperta, nell’Ottocento si moltiplicano gli istituti per l’istruzione dei ciechi. Quanto ai sordomuti, è
da menzionare l’esperienza condotta da Charles-Michel de l'Épée, maestro per vocazione nell’Istituto nazionale per
sordomuti nei pressi di Parigi, dove intraprende l’educazione di bambini e adolescenti privi dell’udito, attraverso la
codificazione di un metodo di comunicazione gestuale, osservando accuratamente l’interazione spontanea tra i suoi
allievi. L’influenza dell’invenzione metodologica di de l’Epée giunge anche in altri paesi europei e nell’America del
Nord, dove nel 1864 nasce il primo istituto di studi superiori destinato specificamente ai sordi.
Con Raymond Arveiller ricordiamo invece, che alcune importanti innovazioni in prospettiva educativa si descrivono
già a partire dall’apertura delle prime écoles d’asile dentro gli istituti di Bicêtre (1828) e di La Salpêtrière (1831). La
prima è la creazione di scuole all’interno degli ospizi per alienati, (il termine alienato viene utilizzato da Philippe Pinel
per indicare i folli, i dementi), nate allo scopo di favorire il trattamento mentale degli ospiti: alla ferma convinzione
circa la loro incurabilità sul piano medico e dunque circa l’impossibilità di migliorare la loro condizione di salute,
corrisponde l’idea che sul piano pratico essi possano ottenere qualche recupero beneficiando di esperienze
educative di tipo intellettuale, che dirigano l’attenzione su oggetti come lettura, scrittura, disegno.. La seconda
novità, è il progressivo adeguamento dei servizi interni agli istituti, separando quelli per adulti da quelli per minori.
Con Jean Itard, si apre un’era nuova, un nuovo modo di affrontare il problema, che è ormai quello in cui ci
riconosciamo e su cui si fonda la nostra cultura. Il suo allievo più noto, Séguin, considerato ispiratore dell’educazione
integrale dei deboli mentali, muove critiche nei confronti dei suoi maestri, Pinel, Esquirol e Georget, accusandoli di
non aver osservato, curato, analizzato l’idiozia, e di averne invece parlato troppo. A causa di questi limiti, essi sono
giunti alla sbagliata conclusione che l’idiozia e l’imbecillità siano incurabili. Dopo aver evidenziato che solo lo studio
approfondito della patologia possono far emergere la corretta terapia, Séguin vuole dimostrare che cure adeguate
permettono il recupero funzionale delle abilità residue dei soggetti interessati. Superando il modello di educazione
individuale scelto da Itard, nel 1840 apre a Parigi, la prima vera scuola per soggetti “idioti”, in cui applica la possibilità
d’interventi educativi globali, facendo leva su aspetti affettivi e motivazionali, su una metodologia sistematica
innovativa per la sollecitazione delle funzioni intellettive. Séguin si propone di far acquisire ai suoi allievi, gravemente
compromessi sul piano mentale, traguardi nell’ambito del ragionamento, ma anche della volontà e della socialità.
Con Itard e Séguin per la prima volta nella storia dell’umanità, due medici permettono all’educazione di prevalere
sulla medicina e sulle concezioni d’incurabilità. Fra la metà e la fine dell’Ottocento, in Europa si moltiplicano gli
istituti specifici per l’assistenza e il recupero di soggetti anormali psichici. In Italia, viene creato a Roma nel 1884 un
reparto per l’accoglienza di soggetti “idioti” e “imbecilli” che ha vita breve; il primo vero istituto viene fondato in
Liguria nel 1889 da Gonnelli Cioni, un educatore dei sordomuti, il quale sostiene la necessità di diversificare il
trattamento secondo le diverse tipologie di disabilità. Nel 1898 a Roma viene istituita la Lega nazionale per la
protezione dei fanciulli deficienti, con l’obiettivo di favorire la creazione d’istituti medico-pedagogici e di scuole
speciali per “deficienti” mentali, e di richiamare l’attenzione sull’importanza della creazione di strutture per la
formazione professionale del personale insegnante.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (l’OMS) è uno dei più importanti istituti specializzati delle Nazioni Unite
(ONU). Esso opera dal 1948 con il compito di promuovere in ogni stato il raggiungimento del più alto livello sanitario,
con l’obiettivo di assicurare a ogni uomo il diritto alla salute. Tra i suoi obiettivi come prioritario è quello di
identificare e monitorare le patologie che affliggono l’umanità. A tale scopo l’OMS si è dotato di uno standard
diagnostico, “International Classification of Diseases” (l’ICD),che risale al 1970, e rappresenta lo strumento principale
per la definizione delle caratteristiche eziologiche, fisiologiche e anatomiche dei disturbi umani. Nel 1980 ha
pubblicato il documento “Intenational Classification of Impariments, Disabilities and Handicaps” (ICDH), in cui opera
una distinzione tra i concetti di menomazione, disabilità e handicap:
- La menomazione (impairment) è una qualsiasi perdita o anomalia a carico di strutture o funzioni
psicologiche, fisiologiche o anatomiche.
- La disabilità (disability) è intesa come limitazione o mancanza di capacità di compiere azioni o attività
causata dalla presenza della menomazione.
- L’Handicap è invece, lo svantaggio e le difficoltà incontrate dall’individuo nell’ambiente circostante a causa
della menomazione.
Nel testo, inoltre, venivano preposti vari livelli di gravità, cui facevano riscontro un approccio riabilitativo finalizzato a
seguenti obiettivi: la prevenzione, quando l’individuo svolge l’attività in questione senza alcun problema, cioè come
un normodotato; il potenziamento, quando è necessario migliorare la qualità della prestazione che viene svolta, sia
pure con difficoltà; il supporto, quando è necessario l’utilizzo di un ausilio tecnico, per permettere il compito
autonomamente; la sostituzione, quando l’attività è svolta da altre persone. Nel 1997 l’OMS ha pubblicato la
revisione di tale classificazione (ICIDH-2,Internationl Classification of Functioning Disability and Health) con lo scopo
di offrire un quadro di riferimento per le conseguenze delle condizioni di salute valutando qualsiasi disturbo in
termini di modificazione funzionale associata a condizione di salute a livello del corpo, della persona e della società.
L’ICIDH-2 ha eliminato i termini disabilità e handicap che presentano una valenza negativa introducendo una
terminologia più neutrale con riferimento all’attività e non più alla disabilità, alla partecipazione e non più
all’esclusione. Viene quindi introdotto al posto del termine disabilità quello di acivities e si sottolinea che esso fa
riferimento non a ciò che è potenziale ma a quanto effettivamente realizzato dalla persona nella vita quotidiana. Al
posto del termine handicap s’introduce quello di partecipazione, individuando così un concetto per cui ambienti
diversi avranno un impatto differente sulla persona in difficoltà. Tale processo di revisione è infine culminato in un
documento definitivo pubblicato nel novembre del 2001 e denominato ICF (Classificazione Internazionale del
Funzionamento, della Disabilità e della Salute). L’ICF non è un compendio per classificare le varie malattie, disturbi o
lesioni. Gli esperti dell’OMS per questo scopo hanno elaborato un manuale denominato ICD-10 (International
Statistical Classification of Diseas and Related Health Problems) che considera le menomazioni e i sintomi come
elementi di una malattia. L’ICF è un sistema di classificazione per la valutazione delle condizioni di salute, delle
conseguenze di tali condizioni e dei fattori a esse correlati. Come tale, esso è uno strumento scientifico e statistico
applicabile a qualsiasi persona, indipendentemente dal suo stato, sesso, età, razza; ha un approccio rinnovativo
rispetto allo stato di salute degli individui, perché focalizza l’attenzione sul concetto di funzionamento piuttosto che
di mancanza. Il soggetto disabile non viene più identificato come portatore di una carenza, ma inquadrato in base a
uno schema che elenca le diverse componenti dello stato di salute. L’attenzione è posta quindi sulle abilità del
soggetto, ovvero sulle capacità fisiche e sociali di una persona.
Un aspetto importante è l’inserimento degli alunni diversamente abili nelle scuole di ogni ordine e grado. Nel 1923
con la riforma Gentile nascono le prime scuole speciali e le classi differenziali per i menomati della vista e dell'udito,
per i ritardati o indisciplinati. Con la nascita della Repubblica (1946) e la costituzione italiana vengono sanciti alcuni
principi fondamentali: ART 2 e 3 investono in maniera diretta il tema dell'integrazione. Nel ‘59 l'ONU promulga “la
dichiarazione dei diritti del fanciullo“ in cui si sancisce il diritto dei bambini con handicap a ricevere l'educazione di
cui avevano bisogno. Con i movimenti di contestazione del ‘68 invece, comincia la polemica contro le classi
differenziali e si comincia a parlare d’inserimento nella scuola di tutti. Con la legge 30 marzo del ‘71 s’inaugura la
logica dell'inserimento con disposizioni per l'inserimento degli alunni handicap nelle classi ordinarie fatti salvi i casi
gravi. Ricordiamo il documento Falucci del ‘75 che traccia gli elementi fondamentali della filosofia dell'integrazione e
i suoi principi: i soggetti in difficoltà devono essere considerati protagonisti della propria crescita; l'alunno in
difficoltà non deve essere visto come anormale ma come soggetto che ha diritto a non essere discriminato sul piano
sociale e umano; gli insegnanti devono essere sempre aggiornati sui nuovi mezzi per arricchire l'insegnamento.
Importante è la legge 517 del ‘77 che decreta ufficialmente il passaggio dall'inserimento all'integrazione e introduce
la figura dell'insegnante di sostegno nella scuola elementare e media adottando il principio d’individualizzazione
dell'insegnamento, all'interno della programmazione si prevedono percorsi individualizzati e gruppi di lavoro con
insegnante specializzato.
LA LEGGE QUADRO 104 DEL 1992 é il primo intervento legislativo organico sull'handicap che investe tutti gli aspetti.
Imposta in modo sistematico le tutele dei portatori di Handicap ponendo in primo piano il rispetto della dignità
umana dei disabili e immerge le basi per una piena e reale integrazione sociale. I principali obiettivi della legge sono:
la rimozione delle cause invalidanti con sguardo alla disabilità come risorsa e non come svantaggio; la promozione
dell'autonomia sociale e personale dell'alunno con la costruzione di un progetto di vita che sia in divenire e guardi
alle sue potenzialità, cioè quello che il soggetto sa fare e le sue aree di sviluppo prossimali; la realizzazione
dell'integrazione sociale (art 12), la legge prevede anche l’introduzione di una serie di strumenti didatticoorganizzativi (Diagnosi funzionale PDF e PEI) per rendere efficace una stretta collaborazione tra tutti gli attori che
hanno in carico il bambino: scuola, famiglia, Asl. Gli aspetti più significativi della riforma sono contenuti nei seguenti
articoli: Art 12: Diritto all’educazione e all’istruzione; Art 13: Integrazione scolastica; Art 14: Modalità di attuazione
dell’integrazione; Art 15: Gruppi di lavoro per l’integrazione scolastica; Art 16: Valutazione del rendimento e prove
d’esame. In conclusione possiamo dire che quello che emerge dalla 104 è un'idea di scuola che deve caratterizzarsi
come ambiente educativo di apprendimento, una scuola capace di garantire agli alunni diversamente abili
opportunità reali.
Tra le disabilità più conosciute e diffuse nella scuola ricordiamo:
La minorazione visiva: una condizione caratterizzata da assenza o riduzione della capacità di vedere. La tiflologia (la
scienza che studia le condizioni e le problematiche delle persone con disabilità visiva) individua due categorie:
congenita, ovvero presente dalla nascita o dai primi anni di vita; acquisita, quando sopraggiunge dopo i sei-sette
anni. In Italia, la legge n.138 del 3 aprile 2001, Classificazione e quantificazione delle minoranze visive e norme in
materia di accertamenti oculistici, ha ridefinito la classificazioni delle differenti minoranze visive:
- Cecità totale: totale mancanza di vista in entrambi gli occhi;
- Cecità parziale: residuo visivo non superiore a 1/20 in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore;
- Ipovisione grave: residuo visivo non superiore a 1/20 in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore;
- Ipovisione medio-grave: residuo visivo non superiore a 2/10 in entrami gli occhi o nell’occhio migliore;
- Ipovisione lieve: residuo visivo non superiore a 3/10 in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore;
Una persona viene considerata ipovedente se il deficit visivo è irreversibile e non può essere corretto, del tutto o in
parte, tramite le lenti correttive o trattamenti medico-riabilitativi e se tale minorazione la pone in situazione di
disabilità nel suo rapporto con l’ambiente e le attività pratiche legate alla quotidianità.
La sordità è la riduzione dell’udito che, in riferimento a parametri fissati dal Bureau International d’Audiophonologie
(BIAP) può essere:
-
Lieve: il parlato è percepito se il tono è normale, le difficoltà appaiono se la voce è bassa o l’interlocutore è
distante;
- Media: il parlato è percepito se il tono è alto; si comprende meglio se l’interlocutore è ben visibile;
- Grave: il parlato è percepito se la voce è forte e vicina all’orecchio;
- Profonda: il parlato non è percepito e solo i rumori molto forti possono essere uditi.
Oltre al grado, un altro aspetto determinante nella possibilità di acquisire spontaneamente la lingua vocale è l’epoca
d’insorgenza della sordità, si definiscono: Prelinguali, le sordità alla nascita o insorte prima dei 18 mesi; Perilinguali,
quelle acquisite tra i 18 e i 36 mesi; Postlinguali, quelle acquisite dopo i 36 mesi.
L’autismo è un disturbo del comportamento causato da un disordine dello sviluppo biologicamente determinato, con
manifestazione nei primi 3 anni di vita. Si configura come una disabilità permanente, che accompagna la persona nel
suo ciclo vitale. Le aree prevalentemente interessate riguardano l’interazione sociale reciproca, le abilità di
comunicare idee e sentimenti, la capacità di stabilire relazioni con gli altri.
Il termine autismo viene adottato per la prima volta nel 1908 da Eugen Bleuler, ma si deve all’austriaco Leo Kanner
l’interesse verso l’età evolutiva: egli parla di autismo infantile precoce per illustrare un complesso di sintomi presenti
in un gruppo di piccoli pazienti. Contemporaneamente, Hans Asperger, individua una popolazione infantile con
sintomi simili, ma con buona comunicazione verbale e buon livello intellettivo, a fronte di una interazione sociale
molto disturbata (di qui la sindrome di Asperger). Alla fine dello stesso decennio, si fa strada la consapevolezza che la
causa della sindrome non siano i genitori ma problemi di origine organica. I luoghi deputati alla
rieducazione/educazione sono la casa, la scuola, contesti in cui il bambino trascorre gran parte del tempo. Fra le
principali strategie di approccio, una delle più accreditate, è l’approccio ”Applied behaviour intervention” (ABA),
elaborato da Lovaas. Si tratta di una metodologia che consente di applicare i dati emersi dall’analisi sperimentale del
comportamento per comprendere le relazioni tra i comportamenti e le condizioni esterne, formulando così delle
ipotesi sul perché un comportamento si verifichi in quel particolare contesto. Un altro programma molto diffuso è il
“Treatment and Education of Autistic and Communication Handicaped Children” (metodo TEACCH). Ideata da
Schopler, la strategia si focalizza su due linee di intervento integrate: il potenziamento delle capacità individuali e le
modificazioni dell’ambiente, secondo i bisogni originali del bambino. Merita di essere menzionata anche la
Comunicazione Aumentativa Alternativa (CAA), una combinazione di tecniche, strategie, orientate a favorire e
incrementare l’intenzionalità espressiva della persona che non parla, attraverso il potenziamento di tutti i possibili
codici non verbali (sguardo, mimica, strumenti tecnologici).
Ricordiamo infine il ritardo mentale: secondo la classificazione ICD-10 è una condizione caratterizzata soprattutto da
compromissione delle abilità che si manifestano durante il periodo evolutivo (prima dei 18 anni) e che
contribuiscono al livello globale dell’intelligenza, cioè quelle cognitive, linguistiche, motorie, sociali. L’insufficienza
intellettiva si esprime in modo variabile nei diversi individui, in relazione alle cause, prenatali o perinatali, (ad
esempio la sindrome di Down, la condizione genetica di solito associata al ritardo mentale; oppure processi infettivi
durante la gravidanza) o postnatali (ad esempio cause ambientali, traumi). Il minore con ritardo mentale può
presentare difficoltà nello sviluppo psicomotorio, nel linguaggio, nelle capacità di attenzione e nella memoria.
Secondo studi recenti, le principali differenze attendibili tra questi bambini e i loro coetanei non ritardati consistono
in un ritmo di sviluppo più lento e dunque nell’acquisizione delle tappe in tempi ritardati.
Partendo da un’analisi della disabilità nell’antichità fino ad arrivare ai nostri giorni, ci aiuta a comprendere com’è
andata e cos’è successo in passato, per non commettere gli errori commessi e soprattutto per costruire un futuro
migliore. In merito a ciò il 3 dicembre sin dal 1981 l’Assemblea generale dell’ONU ha istituito la Giornata
Internazionale delle Persone con Disabilità, nata con lo scopo di promuovere una più diffusa e approfondita
conoscenza sui temi della disabilità, per sostenere la piena inclusione di tali persone in ogni ambito della vita e per
combattere ogni forma di discriminazione e violenza. Il dovere di tutti noi è quello eliminare qualsiasi ostacolo
psicologico, giuridico, fisico che tenda a emarginare queste persone, abbattendo il pregiudizio, la negligenza che
nasconde, umilia e offende.
IANNIELLO MARTINA
MATRICOLA: 111009882
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