DIRITTO DEL LAVORO PRIMA LEZIONE – 04/05/21 DIRITTO DEL LAVORO: disciplina che regolamenta i rapporti di lavoro, svolti sia in ambito della pubblica amministrazione sia in ambito privato. Abbiamo numerose fonti di diritto del lavoro; le norme sono contenute in alcuni articoli della nostra carta costituzionale, nonché nel Codice Civile e in numerose Leggi dello Stato. Questo per quanto attiene all’Ordinamento Giudiziario Nazionale. Poiché l’Italia entra in un contesto europeo c’è un Ordinamento Giudiziario sovranazionale, e quindi c’è un Diritto del Lavoro Europeo. In modo particolare parleremo della Carta di Nizza, che è un documento che contiene alcuni principi in maniera giuslavoristica, e sono principi fondamentali dell’Unione Europea. SLIDE: Il pane, e quindi il lavoro, è sacro; la casa è sacra, non si tocca impunemente né l’uno né l’altra: questo non è marxismo, è Vangelo. La repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo/concreto questo diritto a ciascuna persona. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società. Alcuni articoli della nostra Carta Costituzionale sono dedicati al Diritto del Lavoro, in maniera particolare, l’Articolo 1 della nostra Costituzione recita: la Repubblica Italiana è una Repubblica fondata sul Lavoro. La festa del Primo Maggio è dedicata alla celebrazione del lavoro. La materia giuslavoristica è oggetto di continue revisioni e aggiornamenti normativi, perché si deve rendere compatibile ed adattabile alle molteplici evoluzioni della situazione economica nazionale e mondiale. Quest’anno si è evidenziato, nella ricorrenza della Festa del Lavoro, che il nostro diritto del lavoro, nei prossimi mesi subirà importanti modifiche strutturali. Durante il periodo di sospensione di gran parte delle attività produttive, dovuto all’emergenza sanitaria mondiale, si è fatto ricordo ad una tipologia di lavoro a distanza, più comunemente noto come “smart working” o “lavoro agile”. Quella dello smart working è una tipologia di lavoro in cui si sfrutta l’utilizzo di piattaforme digitali, per cui siamo sempre più vicini ad una digitalizzazione della pubblica Amministrazione dei contesti lavorativi. Questo, sicuramente, ha portato ad abituare i lavoratori dipendenti a forme di lavoro sottratte al controllo del Datore di Lavoro; ecco perché si ritiene che nei prossimi mesi la tipologia di lavoro smart working dovrà essere circostanziato a regole e norme (fino ad ora è stata una tipologia di lavoro organizzata frettolosamente). La Repubblica Italiana deve promuovere, attraverso politiche attive di lavoro, il Diritto al lavoro, e fare in modo che possa essere concretamente realizzato in capo a ciascuna persona. A fronte di questo diritto, ogni persona ha il dovere di svolgere un’attività o una funzione che possa concorrere al progresso materiale o spirituale della nostra società. Vediamo che la nostra Carta Costituzionale, sebbene abbia le proprie origini nel 1942, mostra un’ambivalenza di attività e funzione nella duplice definizione di “materiale e spirituale della società”. Il Diritto Civile tiene conto della vicinanza alla dottrina sociale della Chiesa. Va fatto un accenno, perché già con il rerum novarum di Leone XIII, e con l’enciclica “Laborem Exercens” la dottrina sociale della chiesa ha sempre attenzionato in modo particolare il Diritto del Lavoro. Non a caso, il pontefice attuale insiste sul concetto di “Dignità del lavoratore” ed invita gli imprenditori e tutti coloro che nell’esercizio della libertà di iniziativa economica (riconosciuta dall’Articolo 41 della costituzione) organizzano le proprie risorse economiche per creare delle disponibilità di lavoro a non sottovalutare la dimensione sociale e soggettiva del lavoratore, il quale non deve essere soltanto un bene e non deve essere assimilato ad una merce, ma gli va riconosciuta la dimensione di soggetto; il lavoratore fa in modo di sollecitare situazioni di benessere e prosperità condivise con l’intera collettività (dimensione soggettiva e sociale del lavoro). Nell’elaborazione che ne fa la dottrina sociale della Chiesa, l’uomo è visto come colui che deve continuare l’opera di realizzazione del Creato, partita da Dio. Non deve solo godere e preservare i beni ricevuti dalla Creazione, ma deve proseguire in questa opera di difesa e continua crescita del Creato. Dunque, c’è un’alleanza tra uomo e Dio. SLIDE: perché ci interessa la tipologia di lavoro? - Il legislatore tutela il lavoratore subordinato, in quanto soggetto contrattuale “debole” e non il lavoro autonomo, ritenuto capace di essere un contraente “forte”. - La tutela non si ferma al momento contrattuale iniziale, ma investe tutti i momenti del rapporto di lavoro. Esempio: malattia, gravidanza e puerperio. Cessazione del rapporto. - I costi di tutela sono attribuiti al datore (contributi previdenziali, TFR, sospensione del rapporto). SLIDE: quale lavoro? Lavoro subordinato; Lavoro autonomo; Lavoro autonomo coordinato e continuativo (parasubordinato); Lavoro imprenditoriale. Nell’ambito del lavoro abbiamo, nel nostro Diritto Civile abbiamo due tipologie: Lavoro Subordinato e Lavoro autonomo. La definizione di “Lavoro subordinato” si trova nell’Art. 2094 Codice Civile, è la tipologia alla quale ci si aspira come candidati ad una prestazione lavorativa in modo più ambito, perché è la persona che si occupa, attraverso una retribuzione (c’è un rapporto contrattuale; ci sono due parti sociali: Il datore di lavoro e il prestatore di lavoro). ART. 2094 C.C: “è prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”. N.B. la definizione (2239 cc) vale anche per i datori di lavoro non imprenditori. Le prestazioni sono corrispettive (“io ti do il lavoro, tu in cambio offri di lavorare all’interno all’interno della mia impresa – organizzazione di mezzi e uomini – prestando il tuo lavoro, che sia intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”). Il concetto di subordinato indica che il lavoratore è eterodiretto, quindi il Datore di Lavoro dice cosa fare, come, quando e dove. SLIDE: collaborare nell’impresa. o Superamento dlela distinzione collaborare “nell’impresa” o “all’impresa”. o Concetto non specifico: collaborazione coordinata e continuativa per i lavoratori autonomi. SLIDE: il lavoro autonomo o 2222, Contratto d’Opera. Quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente, si applicano le norme di questo capo, salvo che il rapporto abbia una disciplina particolare nel libro IV. o Distinzione con il lavoro imprenditoriale. Il concetto di “collaborazione” lo troviamo anche nella definizione di lavoro autonomo, che è regolamentata dall’Articolo 2222 del Codice Civile, detto anche “Contratto d’Opera”. Il lavoratore autonomo è quello a “partita IVA”: è imprenditore di se stesso, per cui si impegna a realizzare senza alcun vincolo di subordinazione un lavoro, un’opera o un servizio, sempre con una prestazione che abbia carattere personale (nel senso che due parti si incontrano volontariamente, per cui c’è un legame fiduciario tra datore e prestatore di lavoro); quando il rapporto di lavoro cessa, perché può estinguersi, la prestazione di lavoro non è trasmissibile agli eredi. Questo intendiamo per “personalità della prestazione”. Il lavoratore autonomo percepisce un corrispettivo, ma si assume il rischio dell’imprenditore; per cui, è una persona che in autonomia decide di rendere un’opera un servizio. Mentre nel rapporto di lavoro il compenso viene chiamato “retribuzione”, perché viene corrisposta con cadenza mensile e con continuità, nel rapporto di lavoro autonomo viene chiamato “compenso”. C’è una differenza tra retribuzione e compenso: la prima non può essere inferiore a livelli minimi stabiliti dal Contratto Collettivo Nazionale di Categoria, cioè, quando viene stipulato un contratto di lavoro, nel nostro Contratto individuale, si deve fare riferimento al Contratto Nazionale di Categoria indicato. Il CCNC stabilisce per ogni livello di categoria legale di inquadramento un livello minimo, che il Datore di Lavoro non può derogare in peggio, anzi può derogare in melius quel livello minimo contrattuale (vedremo che nella busta paga ci sono le varie voci retributive). In funzione della particolare dirigenza del prestatore, si può incrementare il livello minimo di tasse con il riconoscimento di un’aggiunta, il cosiddetto “superminimo”, che rimane all’interno della busta paga, per cui non può essere più soppresso. Il compenso nel lavoro autonomo viene pattuito tra le due parti, in quanto sono libere contrattualmente di stabilire le loro condizioni, ai sensi dell’Art. 1325 del Codice Civile; la retribuzione, ai sensi dell’Art. 36 della nostra Carta Costituzionale deve essere dignitosa e deve garantire al lavoratore un’esistenza libera. SLIDE: il lavoratore subordinato come lavoratore debole vs. lavoratore autonomo “forte”. È ancora sempre così? o Legge di bilancio 205/2017 equo compenso, in forza del quale è fatto preciso obbligo di una serie di “contraenti forti” di garantire al professionista incaricato un compenso commisurato alla quantità e alla qualità del lavoro richiesto ed effettivamente svolto. o Esteso a tutti i professionisti. Con la Legge del 2017 è stato introdotto il concetto dell’equo compenso per il lavoratore autonomo: deve essere corrisposto un compenso che va commisurato alla quantità e alla qualità del lavoro richiesto ed effettivamente svolto. Il concetto della “retribuzione” o del “compenso” che va garantito al lavoratore, che deve essere soddisfacente e deve assicurargli un’esistenza dignitosa è un concetto che ricorre all’interno della Dottrina Sociale della Chiesa. Fino a poco tempo fa c’era una prestazione di lavoro, adesso abolita, chiamata “job sharing”, che prevedeva che contemporaneamente una prestazione di lavoro potesse essere svolta da due persone. La prestazione di lavoro non può essere trasmessa agli eredi; viceversa, se cambia il Datore di Lavoro (basti pensare ad un’azienda che può essere ceduta o trasferita, perché come patrimonio di beni può essere venduta ad un Datore di lavoro da parte di un altro) il lavoro può continuare. SLIDE: la libertà contrattuale. o Principio di libertà contrattuale. Posso “creare” contratti atipici, purché siano rispettati i requisiti del 1325 cc. o Posso stipulare un contratto di lavoro autonomo per far eseguire opere o servizi svolti normalmente con contratti di lavoro subordinato? o Posso scegliere se far eseguire opere o servizi con lavoratori autonomi o con lavoratori subordinati? o Posso far eseguire opere o servizi da altre imprese? (appalto). C’è una possibilità che il Datore di lavoro possa ricorrere ad un contratto di lavoro autonomo per far eseguire opere o servizi svolti normalmente con contratto di lavoro subordinato; nella propria libertà di autonomia contrattuale, il datore di lavoro può scegliere se far eseguire opere o servizi con lavoratori autonomi o con lavoratori subordinati. A volte, si preferisce ricorrere al lavoro autonomo piuttosto che a quello subordinato perché con quest’ultimo, il datore di lavoro assume tutti i rischi di quella posizione lavorativa, perché una volta che il lavoratore è entrato in azienda è un costo fisso. Durante la situazione di sospensione delle attività lavorative questo è stato visto, in quanto ci sono state politiche di intervento con ristori forniti dallo Stato, in quanto è anche uno Stato Sociale (ricordiamo il concetto di Welfare State): deve garantire la propria presenza con interventi e ristori, o ricorrere all’ausilio di “ammortizzatori sociali” (cassa integrazione o mobilità) durante situazioni di impossibilità di prestazione lavorativa. La questione degli ammortizzatori sociali sta emergendo in questi giorni, in quanto le organizzazioni sindacali (CGL, CISL, UIL) hanno evidenziato la necessità di dover affrontare riforme immediate; questo ci fa capire come il Diritto del Lavoro debba adeguarsi alle circostanze, è sempre una situazione dinamica e deve rendersi compatibile la disciplina giuslavoristica. Un datore di lavoro, una volta che assume una persona e questa rimane in azienda rappresentando un posto fisso, può affrontare momenti di pausa o sospensione dell’attività lavorativa, legati a situazioni più o meno piacevoli (malattia, infortunio, gravidanza, allattamento, assistenza ad un familiare disabile – ai sensi della Legge 104/92…); questi momenti sono di sospensione o pausa dell’attività lavorativa, ma in ogni caso la retribuzione deve essere corrisposta, e l’imprenditore assume a suo totale carico il rischio di avere lavoratori dipendenti. Il lavoratore autonomo, una volta stabilito il compenso da corrispondere, è obbligato a rendere quel risultato e quel servizio; dunque, non ha il potere di vigilanza e controllo da parte del Datore di Lavoro, ma è libero di muoversi all’interno delle Linee Guida di coordinamento date dal committente (sarà chiamato Committente e non Datore di Lavoro). In passato sono state abolite figure ibride tra il lavoro subordinato e il lavoro autonomo (detto anche lavoro parasubordinato): è una figura mista tra le due. L’esempio più calzante è quello del “lavoro a progetto”. Questo istituto giuridico è stato soppresso dal nostro legislatore. SLIDE: i riders. Cass. Civ., sez. Lav., 24-01-2020, n. 1663 Ai rapporti di collaborazione di cui all’Art. 2 d. lgs, n. 81 del 2015, in un’ottica sia di prevenzione, sia “rimediale” si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato quando la prestazione del collaboratore sia esclusivamente personale, venga svolta in maniera continuativa nel tempo e le modalità di esecuzione della prestazione, anche in relazione ai tempi ed al luogo di lavoro, siano organizzate dal committente, senza che il giudice che ravvisi la concorrenza di tali elementi nella fattispecie concreta sia tenuto a compiere ulteriori indagini, né possa trarre, nell’apprezzamento di essi, un diverso convincimento dal giudizio qualificatorio di sintesi. Peraltro, vi è una vicenda della quale si discute ancora oggi, che è quella dei riders (o pony express), cioè di tutti quei fattorini che consegnano cose a domicilio. Queste persone, utilizzando mezzi propri (bicicletta, scooter…), devono consegnare beni a domicilio; sono molto visti nell’ambito della ristorazione. Queste persone ricevevano un compenso irrisorio (circa 2 euro per ogni consegna effettuata), per cui il loro interesse, in una sera, era quello di consegnare quanto più possibile in modo tale da percepire un compenso soddisfacente. Alla fine, si è visto che pur avendo queste piattaforme digitali alle quali facevano riferimento per capire l’indirizzo di consegna dei beni mobili dovevano muoversi nelle ore che venivano indicate dal committente; per cui, la loro prestazione era organizzata da questo, anche in relazione al tempo e al luogo di lavoro. Quindi, il giudice non ha potuto trarre una valutazione/giudizio qualificatorio di sintesi diversa se non quella di porre la loro posizione di lavoratori subordinati. SLIDE: gli indici di subordinazione per la giurisprudenza: - Il valore del nomen iuris e la certificazione del contratto; - Luogo prestazione; - Proprietà della materia prima lavorata e degli strumenti; - Orario di lavoro; - Modalità del corrispettivo; - Assenza rischio economico; - Coordinamento organizzativo. Quali sono i parametri ritenuti validi per connotare un contratto di lavoro subordinato? Innanzitutto, nella lettera di assunzione deve essere indicata la decorrenza di assunzione e la durata dell’assunzione (se è un contratto di lavoro a tempo indeterminato non ci sarà un termine di finale, ma solo la data di decorrenza iniziale; nel lavoro a tempo determinato verrà indicata sia la data di decorrenza che di cessazione del rapporto di lavoro). Il contratto di lavoro a termine differisce da un contratto di lavoro a tempo indeterminato soltanto per la durata, perché poi a tutti gli effetti è subordinato. Nella lettera di assunzione è indicato l’orario di lavoro, che bisogna osservare; in questo caso c’è tutta una normativa che si è modificata nel tempo. Dovrà essere indicata la sede di lavoro, che può anche subire delle modifiche nello svolgimento del rapporto di lavoro: si può avere un distacco oppure un trasferimento, o una trasferta per le unità produttive che hanno più sedi di lavoro (anche per esigenze di formazione professionale). La nostra posizione è inserita in una gerarchia all’interno di un’organizzazione aziendale, quindi, se gli ordini non vengono direttamente dal Datore di Lavoro verranno dall’alter ego del datore, che generalmente sarà un dirigente. C’è anche un profilo disciplinare collegato all’esercizio delle mansioni, cioè delle attività che normalmente il lavoratore deve fare; conosciamo nella lettera di assunzione qual è la categoria legale/livello di inquadramento, perché a quello bisogna riferirsi per capire il valore della retribuzione alla quale fare riferimento. Viene indicata la modalità del corrispettivo di retribuzione (generalmente percepita ogni mese) previo rilascio con firma e sottoscrizione della busta paga. Nel momento in cui siamo lavoratori subordinati non si ha nessun rischio economico in quanto tutti i rischi di impresa se li accolla il Datore di Lavoro. Aldilà della qualificazione giuridica che viene data al contratto (cosiddetto nomen iuris), è rilevante la verifica e lo svolgimento in concreto delle attività che fa il lavoratore; per elidere le norme sul lavoro subordinato si può anche decidere, anche in accordo con il committente, di realizzare un contratto di lavoro autonomo. Però, poi, se durante lo svolgimento del rapporto di lavoro, le modalità di realizzazione del contratto di lavoro sono assimilabili a quelle di un lavoro subordinato perché ricorrono plurimi gli indici di subordinazione già visti (quotidianamente ci rechiamo presso la sede di lavoro, riusciamo a dimostrare che i mezzi e le strumentazioni di lavoro sono stati sempre forniti dal datore di lavoro e che la nostra collaborazione all’interno del sito era eterodiretta, cioè si ricevevano specifiche direttive da parte del datore) si può avere autorità giudiziaria e riconoscere i diritti che si ritiene siano stati negati. In via alternativa c’è l’ispettorato del lavoro, distribuito su presenze territoriali; è un’articolazione del ministero del lavoro e delle politiche sociali, da una funzione di ispezione sui datori di lavoro perché le aziende seguano e applichino le normative di riferimento. Dunque, laddove riteniamo che ci siano violazioni possiamo recarci all’ispettorato del lavoro; può essere fatto in autonomia senza ricorrere all’aiuto di un esperto (si preferisce ricorrere all’ausilio di un avvocato…). Attraverso l’ispettorato del lavoro si può tentare di “ricucire” il rapporto con il datore di lavoro ed una riconciliazione in modo tale che questo possa prender atto di aver operato delle violazioni e spontaneamente venga incontro risarcendo i danni provocati (ristoro del danno patrimoniale). Per quanto riguarda la qualificazione giuridica dei contratti di lavoro, ci sono delle commissioni di certificazioni: anche le fondazioni universitarie che hanno scelto di prestare questo servizio hanno al loro interno delle commissioni preposte a certificare un contratto di lavoro; al fine di prevenire una lite tra le parti contrattuali (datore e lavoratore) per evitare che possano sorgere problemi successivi, ci si può rivolgere alle commissioni di certificazione (è una sorta di “autodenuncia”), si chiede, attraverso modulistiche da riempire, che venga certificata l’esatta qualificazione giuridica del contratto di lavoro. I POTERI DATORIALI ED I SUOI LIMITI Come riferimento normativo abbiamo la legge n.300 del 20 maggio 1970, meglio nota come “Statuto dei Lavoratori” . Di questo andremo a prendere in considerazione gli articoli dal 2 al 6 che rientrano nella sezione della “dignità e libertà del lavoratore”. ➔ ART.2 S.L. Guardie Giurate Il datore di lavoro può impiegare le guardie giurate per controllare l’attività lavorativa del lavoratore? La risposta ce la dà l’articolo 2: - Il datore di lavoro può impiegare le guardie giurate soltanto per scopi di tutela del patrimonio aziendale - Le guardie giurate non possono contestare ai lavoratori azioni o fatti diversi da quelli che attengono alla tutela del patrimonio aziendale - E’ fatto divieto al datore di lavoro di adibire alla vigilanza sull’attività lavorative le guardie, le quali non possono accedere nei locali dove si svolge tale attività, durante lo svolgimento della stessa, se non eccezionalmente per specifiche e motivate esigenze attinenti ai compiti di tutela del patrimonio aziendale - In caso di inosservanza da parte di una guardia giurata delle disposizioni di cui al presente articolo, l’ispettorato del lavoro ne promuove, presso il questore, la sospensione dal servizio, salvo il provvedimento di revoca della licenza da parte del prefetto nei casi più gravi. E’ bene, a questo punto, affiancare anche qualche pronuncia di Giurisprudenza della Cassazione, detta anche Giurisprudenza di Legittimità. In particolare vi ho richiamato la sentenza n.4670 del 18/02/2019. Nel nostro ordinamento giudiziario esistono tre gradi di giudizio: 1) Il primo grado si svolge davanti al tribunale oppure al giudice di pace, a seconda del valore e della materia della controversia. 2) Il secondo grado di giudizio si svolge davanti alla corte d’appello o al tribunale a seconda del giudice del primo grado 3) Il terzo grado di giudizio è uguale per tutti e si tiene in Cassazione. Il ricorso per Cassazione, però, può essere proposto solamente per alcuni specifici motivi. Non è possibile impugnare una sentenza davanti alla Suprema Corte per qualsiasi ragione. È la legge a individuare i motivi specifici che legittimano questo tipo di ricorso In questa pronuncia la corte di Cassazione dice: i controlli, demandati dal datore di lavoro ad agenzie investigative (quindi sono soggetti terzi rispetto al rapporto di lavoro), riguardanti l’attività lavorativa del prestatore svolta anche al di fuori dei locali aziendali, non sono preclusi ai sensi dell’articolo 2 e 3 dello S.L. laddove non riguardano l’adempimento della prestazione lavorativa, ma siano finalizzati a verificare comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti (quindi, il datore di lavoro non deve acquisire sul lavoratore notizie che non siano pertinenti all’esercizio dell’attività professionale. Devono interessare le competenze in merito alle attività che devi svolgere, per evitare discriminazioni. Ma è opportuno che arrivino quelle notizie, informazioni sul lavoratore se queste sono penalmente rilevanti) che non siano od integrare attività fraudolenti, fonte di danno per il datore stesso. Un’altra pronuncia della Corte d’Appello di Bari del 31/01/2020, n.251, espone questo: il controllo, demandato dal datore di lavoro ad un’agenzia investigativa, finalizzato all’accertamento dell’utilizzo improprio, da parte di un dipendente, dei permessi ex art. 33 legge 5 febbraio 1992, n. 104 (contegno suscettibile di rilevanza anche penale), non riguarda l’adempimento della prestazione lavorativa, essendo effettuato al di fuori dell’orario di lavoro ed i fase di sospensione dell’obbligazione principale di rendere la prestazione lavorativa, sicché esso non può ritenersi precluso ai sensi dell’art. 2 e 3 dello S.L. Il quesito che pongo è questo: la società che gestisce una casa da gioco, incarica una agenzia investigativa di controllare, tramite dipendenti che si comportano come normali giocatori, la correttezza dell’operato dei croupier. E’ legittima una tale forma di controllo? Per poter rispondere a questa domanda dobbiamo dare seguito all’articolo 3 dello Statuto dei lavoratori ➔ ART. 3 S.L. PERSONALE DI VIGILANZA “I nominativi e le mansioni specifiche del personale addetto alla vigilanza dell’attività lavorativa debbono essere comunicati ai lavori interessati”. Quindi il datore di lavoro deve preventivamente comunicare i nominativi e le mansioni del personale addetto alla vigilanza. Io, datore di lavoro, non posso dare a terzi il controllo dell’attività lavorativa. Quando si entra in un’organizzazione di impresa, c’è un’organizzazione gerarchica: essendo la mia attività etero-diretta da parte del datore di lavoro, gli ordini che decido, o vengono direttamente dal datore di lavoro o dal personale direttivo (un dirigente). Quindi soltanto persone interne del datore di lavoro possono vigilare sulla mia attività lavorativa. Ora prendiamo in considerazione questa pronuncia del tribunale di Roma del 10/02/2020, sezione lavoro, a seguito della quale si è detto: “deve ritenersi illegittimo (non legale) il licenziamento per giusta causa nell’ipotesi in cui il primo e principale testimone della condotta illecita del lavoratore sia stato un soggetto incaricato esterno per le indagini commerciali, quindi non un soggetto dipendente del datore di lavoro, la cui funzione di controllo sull’operato dei dipendenti è consentito in ambito aziendale, alle sole condizioni di cui all’art.3 S.L., dove si impone che il predetto personale, all’interno di luoghi di lavoro, sia identificabile e conoscibile (nei nominativi e nelle mansioni) da parte di tutti i lavoratori, stante il divieto di controllo occulto sull’attività di lavoro”. Un’altra pronuncia del tribunale di Vincenza n.435 del 12/02/2018, dice che: “le norme di cui all’art.2 e 3 l. 300/1970 non escludono il potere dell’imprenditore di controllare direttamente, o mediante la propria organizzazione gerarchica, l’adempimento delle prestazioni lavorative, e quindi di accertare mancanze specifiche dei dipendenti, già commesse o in corso di esecuzione, e ciò indipendentemente dalle modalità di controllo, che può legittimamente avvenire anche occultamente, senza che vi ostino né il principio di correttezza e di buona fede nell’esecuzione dei rapporti, né il divieto di cui all’art.4 della stessa legge n.300 del 1970, riferito esclusivamente all’utilizzo di apparecchiature per il controllo a distanza”. Il rapporto contrattuale di lavoro, essendo fondato su legame di fiducia, è un rapporto che deve essere improntato ai principi poc’anzi citati, ossia di correttezza, buona fede e trasparenza: da qui introduciamo ➔ ART.4 S.L. IMPIANTI AUDIOVISIVI E ALTRI STRUMENTI DI CONTROLLO 1. Gli impianti audiovisivi o altri strumenti di controllo possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati, previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali. In alternativa, nel caso di imprese con unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione, tale accordo può essere stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. In mancanza di accordo, questi impianti di cui al periodo precedente possono essere installati previa autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro, o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più Direzioni territoriali del lavoro, del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali 2. La disposizione di cui al comma 1 non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze 3. Le informazioni del comma 1 e 2 sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo del 30 giugno 2003, n.196 Vediamo com’è importante da un punto di vista penale, nel caso di omissione di com’è il comportamento di un datore di lavoro, questa analisi decisa dalla Cassazione penale n.50919 del 15/07/2019, che dice che: “ Se in un’azienda vengono installate delle telecamere di un impianto di videosorveglianza in grado controllare i lavoratori, nell’atto di espletare le loro mansioni, in assenza di un preventivo accordo sindacale o dell’autorizzazione della sede locale dell’ispettorato nazionale del lavoro, il consenso o l’acquiescenza che il lavoratore potrebbe, in ipotesi, prestare o aver prestato, non svolge alcuna funzione esimente: in tal caso, l’interesse collettivo tutelato, quale bene di cui il lavoratore non può validamente disporne, rimane fuori della teoria del consenso dell’avente diritto, non essendo la condotta del lavoratore riconducibile al paradigma generale dell’esercizio di un diritto, trattandosi della disposizione di una posizione soggettiva a lui non spettante in termini di esclusività. Parlando sempre del controllo del lavoratore, vediamo cos’ha detto il Tribunale di Roma nel 26/03/2019: “mentre le e-mail personali sono inaccessibili, pena la commissione di un reato e la violazione delle regole costituzionali sul segreto della corrispondenza, non così per le e-mail aziendali. Dunque, distinguendo tra account personale ed account aziendale, non c’è dubbio che per il primo il datore di lavoro ha divieto categorico di accesso, mentre per il secondo, il controllo delle mail è legittimo. Va altresì precisato che, se è possibile utilizzare per l’accertamento ex post di comportamenti illeciti ed eventuali conseguente contestazione disciplinare, e-mail inviate da e all’indirizzo del dipendente, parallelamente né è ammessa la loro produzione nel giudizio volto al sindacato della legittimità dell’atto espulsivo che ne è seguito, costituendo queste presupposto necessario del detto accertamento. Ancora, la Corte d’Appello di Roma con la sentenza n.1331 del 22/03/2019 dice che: “sono utilizzabili ai fini disciplinari i dati informatici risultanti dal controllo sul computer aziendale del dipendente, controllo indotto dalla necessità di verificare l’origine di un virus che aveva infettato il sistema informatico datoriale”. Dai poteri del datore di lavoro, vi è anche quello di erogare delle sanzioni disciplinari al dipendente, che vanno dal richiamo verbale, alla multa, alla sospensione del lavoro fino al licenziamento disciplinare, che è l’ipotesi di sanzione più grave. La sanzione disciplinare viene combinata al dipendente nell’ipotesi in cui c’è una contestazione del suo comportamento non disciplinarmente corretto, ma prima di fare questo il datore di lavoro deve rendere conoscibile al lavoratore il codice di comportamento aziendale (quindi deve essere pubblicato il regolamento aziendale insieme alla lettera di assunzione). Se non c’è questa comunicazione preventiva, non si può attivare una procedura di contestazione disciplinare. I dipendenti della pubblica amministrazione sui siti dei ministeri, possono avere accesso pubblicamente al codice di comportamento. Inoltre, queste sanzioni disciplinari devono avere una progressione, ci deve essere sempre una gradualità. Non deve essere sproporzionata rispetto all’infrazione commessa dal dipendente. Poi, c’è sempre un potere di contestazione di fronte al comportamento del datore di lavoro, e questo fa in modo che quel rapporto contrattuale tra datore di lavoro e lavoratore, venga riequilibrato, attraverso atti normativi di tutela. Si danno al lavoratore 5 giorni per poter replicare in propria difesa, e lo può fare per iscritto o attraverso un’audizione personale per essere ascoltato: al termine di questa interlocuzione si può arrivare all’applicazione o meno della sanzione disciplinare. Ora, c’è un altro quesito che vi pongo, introducendo gli ACCERTAMENTI SANITARI: La società ABC sottopone i candidati all’assunzione a visita medica pre-assuntiva presso una clinica privata. In particolare sottopone i candidati a test di gravidanza. E’ legittima tale prassi? Abbiamo detto che il datore di lavoro deve assicurarsi che il lavoratore, durante lo svolgimento dell’attività lavorativa, abbia garantita la sicurezza ed idoneità fisica. Questo deve essere costantemente monitorato, in quanto dall’idoneità fisica e il suo divenire possono derivare delle conseguenze fisiche, affinché il datore di lavoro possa mutare le mansioni e renderle compatibili con l’eventuale menomazione. Allora introduciamo ➔ ART.5 S.L. ACCERTAMENTI SANITARI Sono vietati accertamenti da parte del datore di lavoro sull’idoneità e l’infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente. Viene effettuato solo tramite servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, i quali sono tenuti a compierlo quando il datore di lavoro lo richieda, nelle fasce orarie di reperibilità. Il datore di lavoro ha facoltà di far controllare l’idoneità fisica del lavoratore da parte di enti pubblici ed istituti specializzati di diritto pubblico, che non è un’autorità di parte e che esprime in modo indipendente delle valutazioni. Infatti, qui ho messo la normativa “dal medico di fabbrica al medico competente” partendo dallo S.L. del 1970, poi la legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale del 1978, ancora abbiamo avuto il decreto 626/1994, ed infine il decreto 81/2008, in materia di sicurezza sul lavoro e che ha subito delle variazioni in merito alle normative emergenziali covid. Viene raccontato nella sentenza del Consiglio di St., n.2378 del 17/05/2019, che “ai concorsi di reclutamento degli agenti di Polizia, il tatuaggio visibile in uniforme, ove rilevato alla visita medica, è causa di non idoneità”. Con la sentenza, invece, della Cassazione, n.25162 del 26/11/2014, viene espresso che: “le disposizioni dell’art.5, in materia di divieto degli accertamenti da parte del datore di lavoro sulle infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente e sulla facoltà dello stesso datore di lavoro di effettuare il controllo delle assenze per infermità solo attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, non precludono al datore medesimo di procedere ad accertamenti di circostanze di fatto atte a dimostrare l’insussistenza della malattia o la non idoneità di quest’ultima a determinare uno stato di incapacità lavorativa e, quindi, a giustificare l’assenza (nella specie, la suprema corte ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto legittimi gli accertamenti demandati dal datore di lavoro ad un’agenzia investigativa, e aventi oggetto comportamenti extra-lavorativi, nel corretto adempimento delle obbligazioni, derivanti dal rapporto di lavoro)”. Molte volte c’è il discorso della “finta malattia” e per non sprecare il periodo di ferie fa uso dello stato di malattia, che è giustificato. Questa ipotesi, che è disciplinata dalla Cassazione, quest’ultima ha confermato la sentenza di corte d’appello, ritenendo legittimi gli accertamenti che il datore di lavoro aveva demandato ad un’agenzia investigativa per accertare la sussistenza o meno della malattia. ➔ ART.6 VISITE PERSONALI DI CONTROLLO “Le visite personali di controllo sul lavoratore sono vietate fuorché nei casi in cui siano indispensabili ai fini della tutela del patrimonio aziendale, in relazione alla qualità degli strumenti di lavoro o delle materie prime o dei prodotti. In tali casi le visite personali di controllo potranno essere effettuate a condizione che siano eseguite all’uscita dei luoghi di lavoro, che siano salvaguardate la riservatezza e la dignità del lavoratore e che avvengano con l’applicazione di sistemi di selezione automatica, riferiti alla collettività o a gruppi di lavoratori. Le ipotesi nelle quali possono essere disposte le visite personali, nonché le relative modalità, debbono essere concordate dal datore di lavoro con le rappresentanze sindacali aziendali. In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l’ispettorato del lavoro”. La Corte Costituzionale si è soffermata sull’ipotesi dell’art.6 sulle visite personali di controllo. Ha detto che - A base dell’ordinanza vi è l’aprioristica persuasione che la norma denunziata configuri il rapporto di lavoro come un inevitabile contrasto fra datori di lavoro e lavoratori, in guisa che lo svolgimento dell’attività produttiva debba attuarsi in un incessante conflitto tra opposti interessi degli uni e degli altri. Ciò porta ad una errata ed anacronistica nozione dell’impresa che contrasta con l’attuale realtà economica e giuridica. - L’art.6 prende dunque atto di una realtà necessaria e la regolamenta determinando i fini ai quali devono essere dirette le visite personali di controllo, cioè la tutela del patrimonio aziendale in relazione alla qualità degli strumenti di lavoro, precisando che esse devono svolgersi all’uscita dei luoghi di lavoro, con il rispetto della riservatezza e la dignità del lavoratore e con l’applicazione di sistemi di selezione automatica, riferiti alla collettività o a gruppi di lavoratori La Corte D’Appello di Potenza, invece, si è incentrata, con la sentenza della sezione lavoro n.102 del 02/04/2015, sul divieto di estensione (di questi controlli) sulle cose del lavoratore: “l’estensione agli accessori del divieto ex art.6 S.L. non è condivisa dalla prevalente giurisprudenza che legge le “visite personali” come distinte dall’ispezione dei luoghi e cose. Il disposto dell’art.6 dello statuto dei lavoratori riguarda unicamente le ispezioni corporali, ma non anche quelle sulle cose del lavoratore, atteso che la norma citata prevede solo la visita personale che, nell’ordinamento processuale sia civile sia penale, è tenuta distinta dall’ispezione di cose e di luoghi (nella specie, la suprema corte ha cassato la pronuncia del giudice del merito che- in un giudizio avente ad oggetto la legittimità deli licenziamento intimato ad un lavoratore per essersi illecitamente appropriato di beni dell’azienda- aveva ritenuto che violasse il disposto dell’art.6 cit. un’ispezione eseguita dal datore di lavoro sulla borsa personale del lavoratore). Ora, abbiamo detto che questo sottoporsi a visite fuori da luoghi di lavoro avviene perché c’è un’estrazione a sorte. Se c’è un lavoratore che si rifiuta ingiustificatamente di sottoporsi a questi controlli, demandati dal datore al termine del turno lavorativo, non soltanto lede quel vincolo fiduciario che lo lega al datore di lavoro, ma il suo rifiuto potrebbe costituire un modello diseducativo per gli altri colleghi e disincentivare gli altri dipendenti dell’impresa al rispetto degli obblighi di diligenza e fedeltà. Questo fu pronunciato dal Tribunale di Alba nel 30/04/2009. Vi propongo l’art. 8, che sancisce il divieto per il datore di lavoro di effettuare indagini sulle opinioni, direttamente o a mezzo di terzi, tanto ai fini dell’assunzione quanto nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro. Tale divieto non abbraccia solo le opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, ma altresì qualsiasi aspetto non rilevante ai fini della valutazione dell’attitudine professionale dello stesso. Il limite di tale articolo è presentato dalla richiesta del certificato penale. La Cassazione civile, nella sentenza n.19012 del 17/07/2018, dice che: “la richiesta del certificato penale integra un limite rispetto alla previsione di cui all’art.8 SL, che si giustifica con la rilevanza ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore della conoscenza di date informazioni relative all’esistenza di condanne penali passate in giudicato. Tale limite, in assenza di espressa previsione contrattuale, non può essere dilatato per via interpretativa fino a ricomprendere informazioni relative a procedimenti penali in corso, ciò specie in considerazione del principio costituzionale della presunzione di innocenza”. La Cassazione civile nella sentenza n.18302 del 19/09/2016 ha detto: “per violazione dell’articolo 8 dello SL non è necessario sottoporre i dati ad un particolare trattamento, poiché la mera acquisizione e conservazione della disponibilità di essi comporta la violazione della prescrizione legislativa. RONCONI 1.3 -R L’ORARIO DI LAVORO Dall’art. 36 Cost. al d.lg.vo n. 66/2003 I primi interventi di riduzione dell’orario di lavoro è iniziato nelle fabbriche inglesi dove ci fu il Factory Act verso la fine del 1800. Avevano notato che era importante ridurre l’orario di lavoro perché riducendo l’orario si riducevano gli incidenti sul luogo di lavoro, la stanchezza muscolare e la noia dei lavoratori. Dall’esempio delle fabbriche inglesi si è arrivati ad una traslazione di quelle normative in Italia e ancor più con l’accordo che si è avuto con gli stabilimenti industriali a Torino che aveva ridotto nel 1913, l’orario lavorativo a 8h/die. Le fonti -Prima c’è stato il Regio decreto Legislativo (R.d.l) 692/1923: prevedeva 8 ore al giorno, 48h a settimana, con la possibilità di effettuare uno straordinario di 2h al giorno (12h a settimana). -Successivamente si è avuto il decreto 2107 del codice civile che ha stabilito che la durata giornaliera e settimanale di una prestazione lavorativa non potesse superare i limiti stabiliti dalle leggi speciali. -L’articolo 36 della costituzione (già annunciato quando parlato di retribuzione: stabilisce una retribuzione proporzionata e sufficiente alla qualità/quantità di lavoro) al comma secondo stabilisce che la durata della giornata lavorativa deve essere fissata per legge. “La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge” “Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi” La contrattazione collettiva A partire dal 1973 si generalizza la settimana di 40 ore distribuite su 5 giorni (8h/die) Un quarto di secolo più tardi la settimana di 40 ore trova riconoscimento nella direttiva CE n. 93/104 (CE: direttiva europea). - A seguito di questa direttiva CE la legge nazionale L.196/1997- Art. 13. (Incentivi alla riduzione e rimodulazione degli orari di lavoro, lavoro a tempo parziale) prevedeva : Qui si parla di un orario normale multiperiodale ovvero che la durata media della prestazione lavorativa deve essere vista facendo riferimento a un periodo che generalmente è di 4 mesi, ma che può essere innalzato dai contratti collettivi a 6 o 12 mesi (cioè si prende in considerazione un arco di tempo al quale riferire la durata media di un orario normale). → Successivamente arriviamo al decreto legislativo attuale, che è quello che regolamenta l’orario di lavoro ovvero il d.lgs.8 aprile 2003, n.66 (modifiche art. 1 d.lg.vo n.213/2004, art. 41 l.n. 133/2008) . (Il decreto legislativo è uguale ad una legge di stato. Il parlamento fa le leggi in Italia. Quando invece legifera il governo si chiamano si chiamano o decreto legge, che va convertito in legge in 60 giorni, o decreto legislativo)Quindi qui ci troviamo di fronte ad un atto normativo di derivazione governativa. Questo decreto si concentra sulla flessibilità nella gestione degli orari di lavoro in relazione alle mutevoli esigenze organizzative e produttive, anche attraverso una apertura di credito alla contrattazione collettiva. L'articolo 1 del d.lgs 66/2003 ci da una nozione di orario di lavoro: Deve trattarsi di lavoro effettivamente svolto →“qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni” (art. 1). Si escludono ex lege dal computo dell’orario: riposi intermedi; soste non inferiori a 10 minuti non recuperati; tempo per recarsi al lavoro. La giurisprudenza (ovvero le valutazione dei giudici) esclude: tempo impiegato per raggiungere la sede della trasferta; tempo di semplice reperibilità;tempo per timbrare il cartellino e per indossare indumenti da lavoro. Campo applicativo: questa definizione di orario di lavoro si applica a tutti “tutti i settori di attività pubblici e privati”, con alcune eccezioni fissate dall’art. 2. del decreto 66/2003. Durata massima dell’orario di lavoro Art.4 -I contratti collettivi di lavoro stabiliscono la durata massima settimanale dell'orario di lavoro. -La durata media dell'orario di lavoro non può in ogni caso superare, per ogni periodo di sette giorni, le 48 ore, comprese le ore di lavoro straordinario. A tali fini, la durata media dell'orario di lavoro deve essere calcolata con riferimento a un periodo non superiore a quattro mesi. Tuttavia, i contratti collettivi di lavoro possono elevare il limite dei quattro mesi fino a sei mesi ovvero fino a 12 mesi a fronte di ragioni obiettive, tecniche o inerenti all'organizzazione del lavoro, specificate negli stessi contratti collettivi. Orario giornaliero Limite deducibile dalla normativa sul riposo giornaliero: diritto a 11 ore di riposo consecutive ogni 24 ore (quindi sottraendo 24-11= 13 ore) , fissato dall’art. 7, porta la durata max della giornata lavorativa a 13 ore. Occorre una pausa di almeno 10 minuti se l’orario supera le 6 ore. Il momento di pausa è condizionato alle esigenze tecniche (art. 8). Lavoro straordinario Art.5 - Il ricorso a prestazioni di lavoro straordinario deve essere contenuto (non vi si può far sempre ricorso, ma deve essere dettato da esigenze aziendali). - Il lavoro straordinario, sommato al lavoro normale, non deve superare il limite max settimanale stabilito dai C.C., senza eccedere le 48 ore sul multiperiodo (limiti ex art.4). - Entro tale limite, i C.C. regolamentano le eventuali modalità di esecuzione delle prestazioni di lavoro straordinario, anche prevedendo obbligo accettazione del lavoratore (salvo il rifiuto giustificato). - In assenza C.C. (contrattazione collettiva), occorre il consenso del lavoratore e lo straordinario incontra il limite max annuale di 250 ore. - Si può prescindere dal consenso del lavoratore, salvo diversa disposizione della C.C., per esigenze tipologicamente e tassativamente determinate dall’art. 5. Il lavoro straordinario deve essere computato a parte e compensato con le maggiorazioni retributive previste dai contratti collettivi di lavoro. I contratti collettivi possono in ogni caso consentire che, in alternativa o in aggiunta alle maggiorazioni retributive, i lavoratori usufruiscano di riposi compensativi. Perché c’era una remora a ricorrere al lavoro straordinario? Perchè precedentemente il datore di lavoro, in particolare con la legge 549-95 avrebbe dovuto pagare un contributo addizionale sulla retribuzione erogata per le ore di straordinario e questa circostanza disincentivare il lavoratore a ricorrere al lavoro straordinario, allora è intervenuta successivamente la legge ... Art. 2 l.n. 549/1995 La remora maggiore al lavoro straordinario era rappresentata dall’obbligo del datore di lavoro di pagare un contributo addizionale sulla retribuzione erogata per le ore di straordinario, ma la l.n.247/2007 ha eliminato questo contributo. Non solo, la l. n. 126/2008 ha poi anche detassato lo straordinario (in via sperimentale). Le politiche di incentivo sono cambiate dopo alcuni anni e oggi gli incentivi riguardano altri elementi della retribuzione aleatoria. Lavoro supplementare E’ il lavoro che si colloca tra il limite di orario normale fissato dalla contrattazione collettiva (es. 37 o 38 ore) e le 40 ore settimanali nel multiperiodo. Se il datore di lavoro non osserva le norme relative alla durata di lavoro, es. succede se indico in busta paga un orario di lavoro inferiore rispetto a quello che realmente il lavoratore effettua… il lavoratore deve dimostrare che ha lavorato oltre l’orario di lavoro. L’altra ipotesi è che ha ricevuto una retribuzione ma deduce che è insufficiente ed è tenuto a provare il numero di ore che ritiene di aver svolto. Qui sotto vediamo : Tribunale sez. lav. - Milano, 24/02/2020, n. 184 Il lavoratore che agisce per ottenere il compenso per il lavoro svolto in eccedenza, rispetto all’orario originariamente pattuito a seguito di richiesta formulata dal datore nell’esercizio del potere direttivo e organizzativo in capo a quest’ultimo, ha, innanzitutto, l’onere di dimostrare di aver lavorato oltre l’orario normale di lavoro e, ove egli riconosca di aver ricevuto una retribuzione ma ne deduca l’insufficienza, come nel caso di specie, è altresì tenuto a provare il numero di ore effettivamente svolte, con specifico riferimento alla collocazione cronologica delle prestazioni lavorative eccedenti il normale orario di lavoro. Un’altra pronuncia del Tribunale sez. lav. - Vicenza, 11/11/2019, n. 327 , ci dice che Il diritto al compenso per lavoro straordinario spetta comunque anche al personale direttivo (i dirigenti) in due specifiche ipotesi. (Ricordiamo che ci sono 4 categorie legali di inquadramento: il dirigente, il quadro, l’impiegato, l’operaio. Il dirigente rispetto alle altre 3 categorie ha un contratto a parte perchè gli è riconosciuta una maggiore autonomia e responsabilità. Quindi non applicandosi il contratto che si applica alle altre categorie, il diritto al compenso per lavoro straordinario spetta comunque anche al personale direttivo). Innanzitutto, qualora la disciplina collettiva delimiti anche per tale categoria di lavoratori l’orario normale di lavoro e tale orario venga in concreto superato. In secondo luogo, quando la durata della prestazione lavorativa ecceda il limite di ragionevolezza in rapporto alla necessaria tutela della salute e dell’integrità psicofisica costituzionalmente garantita. Tribunale sez. lav. - Milano, 18/02/2020, n. 131 La reperibilità (tempo nel quale il lavoratore è a disposizione del datore di lavoro) è qualitativamente diversa dalla prestazione di lavoro e, per tale ragione, non equivale ad un’effettiva prestazione lavorativa, comportando, semplicemente, il diritto ad un trattamento economico aggiuntivo previsto (come nella presente fattispecie) dalla contrattazione collettiva o, in mancanza, determinato dal giudice. Quindi anche la reperibilità deve essere pagata. Lavoro notturno – Art. 1 Periodo notturno: periodo di almeno sette ore consecutive comprendenti l’intervallo tra la mezzanotte e le cinque del mattino. Lavoratore notturno: 1. qualsiasi lavoratore che durante il periodo notturno svolga almeno tre ore del suo tempo di lavoro giornaliero. 2. qualsiasi lavoratore che svolga durante il periodo notturno almeno una parte del suo orario di lavoro secondo le norme definite dai contratti collettivi di lavoro. 3. in difetto di disciplina collettiva è considerato lavoratore notturno qualsiasi lavoratore che svolga lavoro notturno, per almeno 3 ore, per un minimo di ottanta giorni lavorativi all’anno. Limitazioni al lavoro notturno Art. 11 I contratti collettivi stabiliscono i requisiti dei lavoratori che possono essere esclusi dall'obbligo di effettuare lavoro notturno. È in ogni caso vietato adibire le donne al lavoro, dalle ore 24 alle ore 6, dall'accertamento dello stato di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino. Non sono inoltre obbligati a prestare lavoro notturno: a) la lavoratrice madre di un figlio di età inferiore a tre anni o, in alternativa, il lavoratore padre convivente con la stessa; b) la lavoratrice o il lavoratore che sia l'unico genitore affidatario di un figlio convivente di età inferiore a 12 anni; c) la lavoratrice o il lavoratore che abbia a proprio carico un soggetto disabile (legge 104/92). Dall’art. 11 si desume, dunque, che per tutti gli altri lavoratori, uomini o donne, esiste un obbligo ad effettuare il lavoro notturno. Limiti di durata al lavoro notturno art. 13 L’orario di lavoro dei lavoratori notturni non può superare le otto ore in media nelle ventiquattro ore, salva l’individuazione da parte dei contratti collettivi, anche aziendali, di un periodo di riferimento più ampio sul quale calcolare come media il suddetto limite. Minori: Divieto di lavoro notturno, salvo deroga in casi eccezionali. Retribuzione del lavoro notturno art. 13 È affidata alla contrattazione collettiva l’eventuale definizione delle riduzioni dell’orario di lavoro o dei trattamenti economici indennitari nei confronti dei lavoratori notturni. Sono fatte salve le disposizioni della contrattazione collettiva in materia di trattamenti economici e riduzioni di orario per i lavoratori notturni anche se non concesse a titolo specifico. Obblighi informativi datoriali sul lavoro notturno art. 12 (Un contratto collettivo nazionale di categoria può essere anche modificato e integrato dalla singola azienda con una contrattazione collettiva di secondo livello; questa contrattazione può essere solo migliorativa della contrattazione collettiva nazionale). - L’introduzione del lavoro notturno deve essere preceduta, secondo i criteri e con le modalità previsti dai contratti collettivi, dalla consultazione delle rappresentanze sindacali in azienda, se costituite, aderenti alle organizzazioni firmatarie del contratto collettivo applicato dall’impresa. In mancanza, tale consultazione va effettuata con le organizzazioni territoriali dei lavoratori per il tramite dell’Associazione cui l’azienda aderisca o conferisca mandato. - L’atteggiamento di particolare sfavore del legislatore nei confronti del lavoro notturno è indicato anche dal fatto che, fino al 2008 il datore di lavoro era tenuto a informare per iscritto l’ispettorato del lavoro, con periodicità annuale, della esecuzione di lavoro notturno svolto in modo continuativo o compreso in regolari turni periodici, salvo che esso fosse stato disposto dal contratto collettivo. Tutela della salute dei lavoratori notturni La valutazione dello stato di salute dei lavoratori addetti al lavoro notturno deve avvenire attraverso controlli preventivi e periodici (almeno ogni 2 anni) adeguati al rischio cui il lavoratore è esposto, secondo le disposizioni previste dalla legge e dai contratti collettivi. Riposi settimanali Art. 9 Il lavoratore ha diritto ogni sette giorni a un periodo di riposo di almeno 24 ore consecutive, da cumulare con le ore di riposo giornaliero (11, 24+11=35 ore di riposo totali) Il suddetto periodo di riposo consecutivo è calcolato come media in un periodo non superiore a 14 giorni --- art. 41 l.n. 133/2008. Il periodo di riposo è di regola in coincidenza con la domenica (numerose eccezioni in cui il lavoratore lavora di giorno festivo con eventuale retribuzione maggiorata). Fanno eccezione a tali disposizioni sui riposi (contrasto con l’art. 36, 3° c. Cost.?): a) attività di lavoro a turni ogni volta che il lavoratore cambi turno o squadra e non possa usufruire, tra la fine del servizio di un turno o di una squadra e l'inizio del successivo, di periodi di riposo giornaliero o settimanale; b) le attività caratterizzate da periodi di lavoro frazionati durante la giornata; c) per il personale che lavora nel settore dei trasporti ferroviari: le attività discontinue; il servizio prestato a bordo dei treni; le attività connesse con gli orari del trasporto ferroviario che assicurano la continuità e la regolarità del traffico ferroviario; d) i contratti collettivi possono stabilire previsioni diverse (v. Art. 17) [L’ha saltato: Derogabilità attraverso c.coll. introdotta dall’art. 41 l.n. 133/2008 Le disposizioni di cui agli articoli 7(Riposo giornaliero), 8 (Pause giornaliere), 12(modalità organizzazione lavoro notturno) e 13 (durata e indennità lavoro notturno) possono essere derogate mediante contratti collettivi stipulati a livello nazionale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative. Per il settore privato, in assenza di specifiche disposizioni nei contratti collettivi nazionali, le deroghe possono essere stabilite nei contratti collettivi territoriali o aziendali stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale ] Ferie annuali Art. 10 - Art. 2109 c.c. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 2109 del codice civile, il prestatore di lavoro ha diritto a un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a quattro settimane. I contratti collettivi di lavoro possono stabilire condizioni di miglior favore. - Il predetto periodo minimo di quattro settimane non può essere sostituito dalla relativa indennità per ferie non godute, salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro. Nel caso di orario espresso come media nel multiperiodo, i contratti collettivi stabiliscono criteri e modalità di regolazione. Ferie - Principio dell’introannualità: hanno diritto alle ferie anche coloro che hanno lavorato meno di un anno, previo ovviamente il riproporzionamento del periodo feriale dovuto (Corte cost. n. 66/1963). - La scelta del periodo feriale spetta al datore di lavoro, che deve esercitare il suo potere contemperando le esigenze aziendali con quelle dei prestatori, salvo l’assoggettamento al vincolo della C.C. (art. 2109 c.c.). - Il datore di lavoro ha anche il limite di garantire il godimento continuativo delle prime due settimane di ferie, in caso di richiesta del lavoratore. - Le prime due settimane di ferie vanno godute nel corso dell'anno di maturazione e le restanti due settimane, nei 18 mesi successivi al termine dell'anno di maturazione - Cessione delle ferie “solidale” (art.24 d.lgs.151/2015). Cessione dei riposi e delle ferie: DLGS 151/2015, art.24 Fermi restando i diritti di cui al decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, i lavoratori possono cedere a titolo gratuito i riposi e le ferie da loro maturati ai lavoratori dipendenti dallo stesso datore di lavoro, al fine di consentire a questi ultimi di assistere i figli minori che per le particolari condizioni di salute necessitano di cure costanti, nella misura, alle condizioni e secondo le modalità stabilite dai contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale applicabili al rapporto di lavoro. Ferie e malattia Corte cost. n. 616/1987 dispone che la malattia interrompe le ferie. Ovvero se un lavoratore è in ferie e poi chiede la malattia, quest’ultima interrompe le ferie. Giurisprudenza di merito attribuisce effetti sospensivi solo alla malattia che impedisca in concreto il normale decorso delle ferie e ne precluda il raggiungimento delle finalità tipiche. Corte giustizia UE grande sezione - 19/11/2019, n. 609 L'art. 7 §.1 direttiva 2003/88/Ce, concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, dev'essere interpretato nel senso che esso non osta a normative nazionali ed a contratti collettivi che prevedono la concessione di giorni di ferie annuali retribuite eccedenti il periodo minimo di quattro settimane previsto da tale disposizione, escludendo nel contempo il riporto, a causa di malattia, di detti giorni di ferie. L'art. 31 §.2 Carta di Nizza, letto in combinato disposto con l'art. 51, §.1, di quest'ultima, dev'essere interpretato nel senso che esso non è destinato ad applicarsi in presenza di tali normative nazionali e contratti collettivi (fattispecie relativa alla controversia promossa da associazioni di categoria finlandesi per tutelare dei loro iscritti che durante il godimento delle ferie annuali, previste dai contratti collettivi in misura superiore alle quattro settimane, si erano ammalati usufruendo così, contestualmente, di un congedo per malattia). Cassazione civile sez. lav. - 12/02/2020, n. 3476 Qualora nel corso del rapporto di lavoro il dipendente non abbia usufruito delle ferie e dei riposi compensativi nella misura contrattualmente prevista, il datore di lavoro è legittimato ad imporre la fruizione degli stessi, anche per prevenire richieste di pagamento dell'indennità sostitutiva. Dal mancato godimento delle ferie deriva - una volta divenuto impossibile per l'imprenditore, anche senza sua colpa, adempiere l'obbligazione di consentire la loro fruizione - il diritto del lavoratore al pagamento dell'indennità sostitutiva, che ha natura retributiva, in quanto rappresenta la corresponsione, a norma degli artt. 1463 e 2037 c.c., del valore di prestazioni non dovute e non restituibili in forma specifica; l'assenza di un'espressa previsione contrattuale non esclude l'esistenza del diritto a detta indennità sostitutiva, che peraltro non sussiste se il datore di lavoro dimostra di avere offerto un adeguato tempo per il godimento delle ferie, di cui il lavoratore non abbia usufruito, venendo ad incorrere, così, nella "mora del creditore". Lo stesso diritto, costituendo un riflesso contrattuale del diritto alle ferie, non può essere condizionato, nella sua esistenza, alle esigenze aziendali. Nel rapporto di impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, il mero fatto del mancato godimento delle ferie non dà titolo ad un corrispondente ristoro economico se l'interessato non prova che esso è stato cagionato da eccezionali e motivate esigenze di servizio o da cause di forza maggiore. Tanto premesso, il datore di lavoro, atteso il diritto del lavoratore alle ferie retribuite, che costituisce un principio particolarmente importante del diritto sociale dell'Unione (sentenza CGUE Maschek, del 20 luglio 2016, C-341/15, punto 25), è tenuto a regolare la fruizione delle ferie attraverso la tempestiva programmazione delle stesse. Ed infatti, l'art. 2109 c.c., espressamente stabilisce che le ferie sono assegnate dal datore di lavoro, tenuto conto delle esigenze dell'impresa e degli interessi del lavoratore. A ciò consegue che, in caso di mancata predisposizione da parte del lavoratore del piano ferie annuale, il datore di lavoro ha la possibilità di assegnazione di ufficio delle ferie, tenuto conto del carattere irrinunciabile del relativo diritto e del divieto di monetizzazione. Tuttavia, ciò non esclude che l'Amministrazione, pur dando luogo al godimento delle ferie maturate dai lavoratori prima del collocamento a riposo degli stessi, non ha esercitato tempestivamente i poteri datoriali secondo i termini del CCNL Enti locali del 1995, che all'art. 18, nello stabilire il godimento annuale di un periodo di ferie ne sancisce anche le modalità di differimento, che nella specie non venivano osservate. Proprio per il potere di organizzazione che fa capo al datore di lavoro, e non risultando che i lavoratori, nella specie, potessero ex se porsi in ferie, la mancata indicazione da parte degli stessi dei periodi di ferie (e non il rifiuto di fruire delle ferie come eventualmente formalmente disposte dall'Amministrazione, di cui non vi è menzione) a cui fa riferimento l'appellante, non esclude la responsabilità dello stesso, nei sensi sopra indicati. Cassazione civile sez. I - 10/02/2020, n. 3021 L'indennità sostitutiva delle ferie non godute ha natura mista, sia risarcitoria che retributiva, a fronte della quale si deve ritenere prevalente, ai fini della verifica della prescrizione, il carattere risarcitorio, volto a compensare il danno derivante dalla perdita del diritto al riposo, cui va assicurata la più ampia tutela applicando il termine ordinario decennale (il risarcitorio è decennale mentre , mentre le differenze di retribuzione si possono chiedere un 5 anni) la natura retributiva, quale corrispettivo dell'attività lavorativa resa in un periodo che avrebbe dovuto essere retribuito ma non lavorato, assume rilievo allorché ne debba essere valutata l'incidenza sul trattamento di fine rapporto, ai fini del calcolo degli accessori o dell'assoggettamento a contribuzione. Corte appello sez. lav. - Roma, 31/01/2020, n. 350 Il dirigente che, pur avendo il potere di attribuirsi il periodo di ferie senza alcuna ingerenza del datore di lavoro, non eserciti il potere medesimo e non usufruisca quindi del periodo di riposo annuale, non ha il diritto all’indennità sostitutiva delle ferie non godute, a meno che non provi la ricorrenza di necessità aziendali assolutamente eccezionali ed obiettive ostative alla suddetta fruizione. Cassazione civile , sez. lav. , 29/10/2018 , n. 27392 Il lavoratore assente per malattia ha facoltà di domandare la fruizione delle ferie maturate e non godute, allo scopo di sospendere il decorso del periodo di comporto [la contrattazione collettiva di lavoro stabilisce un periodo massimo, detto periodo di comporto, durante il quale il lavoratore può essere collocato in malattia. E’ bene conoscere questa durata massima del periodo di comporto una volta che si è assunti, perché superando il periodo di comporto e quindi usufruisce un periodo di malattia superiore al periodo di comporto, si rischia di essere licenziati. Ci sono delle eccezioni al superamento al periodo di comporto: es. un lavoratore che sia un paziente oncologico dimostri di aver dovuto sottoporsi a dei trattamenti di chemio/riabilitazione che lo abbiamo portato a superare il periodo di comporto può non rientrare nella casistica del superamento del periodo di comporto, e quindi non rischiare il licenziamento], non sussistendo una incompatibilità assoluta tra malattia e ferie, senza che a tale facoltà corrisponda comunque un obbligo del datore di lavoro di accedere alla richiesta, ove ricorrano ragioni organizzative di natura ostativa; in un'ottica di bilanciamento degli interessi contrapposti, nonché in ossequio alle clausole generali di correttezza e buona fede, è necessario, tuttavia, che le dedotte ragioni datoriali siano concrete ed effettive. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione impugnata, che aveva ritenuto privo di giustificazione, in quanto fondato su ragioni vaghe ed inconsistenti, il rifiuto di concessione delle ferie motivato dalla società datrice con un generico riferimento a non meglio precisate esigenze organizzative dell'ufficio). [La prof ci ha allegato il testo del d.lgs 66/2003, per un rapido confronto degli articoli citati nelle slide] GLI OBBLIGHI DEL LAVORATORE L’altra volta abbiamo esaminato i poteri del datore di lavoro. Adesso prendiamo in considerazione gli obblighi del lavoratore: POTERE DIRETTIVO è il potere di conformazione della prestazione, potere organizzativo o di gestione dell’impresa. Il datore di lavoro detta le disposizioni per l’esecuzione del lavoro, dirige il lavoratore (art. 2094 del codice civile) = DILIGENZA, OBBEDIENZA e FEDELTA’ (questi sono gli obblighi). Abbiamo parlato del rapporto di lavoro subordinato e la caratteristica è che il datore di lavoro, in questo tipo di rapporto, detta le disposizioni per l’esecuzione del lavoro; dunque, il lavoratore deve obbedire, al fine di eseguire al meglio il lavoro LA TEORIA DEL CONTRATTO DI ORGANIZZAZIONE il datore di lavoro ha interesse non ad una singola prestazione, ma all’intero coordinamento organizzativo: dunque, ci può essere la possibilità che rifiuti l’offerta lavorativa se la prestazione non è inseribile nell’organizzazione aziendale. Questa è la cosiddetta “serrata legittima”, ossia, il rifiuto dell’offerta lavorativa qualora la prestazione non fosse inseribile nell’organizzazione aziendale. DILIGENZA e OBBEDIENZA L’art 2104 del Codice Civile ci dice cos’è la diligenza del prestatore di lavoro: il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall’interesse dell’impresa e da quello superiore della produzione nazionale. Deve inoltre osservare le disposizioni per l’esecuzione e la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende. Nell’adempiere l’obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia (art.1176 C.C.) Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata. Ancora, questo principio della commisurazione della diligenza del lavoratore all’interesse dell’impresa lo troviamo espresso nella sezione lavoro della Corte di Cassazione, n.24634: “l’obbligo di diligenza del prestatore di lavoro è un obbligo di carattere oggettivo, perché l’adeguatezza della prestazione deve essere valutata con riguardo all’interesse del datore di lavoro: difatti esso costituisce una specificazione del principio generale fissato dall’art.1176 comma 2 c.c. e deve essere pertanto valutato in relazione alla natura dell’attività esercitata. Il criterio di interesse dell’impresa impone, invece, di correlare la prestazione dovuta non solo ai criteri dell’attività lavorativa in senso stretto, ma anche alle particolari esigenze dell’organizzazione in cui il rapporto si inserisce. L’interesse dell’impresa fa riferimento al raccordo della prestazione con la specifica organizzazione imprenditoriale, in funzione della quale è resa. OBBLIGHI PREPARATORI 1) Tempo tuta il tempo per la vestizione della divisa da lavoro (tempo tuta) non va computato nell’orario di lavoro laddove non risulti provato che tale attività preparatoria sia assoggettata al potere conformativo del datore di lavoro, potendosi viceversa effettuare anche presso l’abitazione del dipendente. Se il tempo tuta non è riconosciuto da parte del datore di lavoro, lo posso prendere. Ma quali sono le conseguenze? Secondo la cassazione civile, sez. lavoro del 13/09/2018 n. 22382, è licenziabile per “insubordinazione” il dipendente che per otto volte nel giro di poco più di un mese interrompe il lavoro 10 minuti prima della fine del turno, attribuendosi un tempo tuta non previsto dal contratto, nonostante i numerosi ammonimenti ricevuti dall’azienda. 2) Tempo di spostamento Nell’ambito della prestazione del lavoratore vediamo se ci sono degli obblighi preparatori: - Posso dedicarmi a degli sport estremi? - Posso ubriacarmi prima di presentarmi a lavoro? - Posso tenere comportamenti che aggravano lo stato di salute? Come risponde la giurisprudenza? Viene preso in considerazione il caso di un dirigente di un istituto di credito nella sentenza n.1699 del 25/01/2011, Cassazione, per cui si recava ripetutamente in vacanza in Madagascar, dove era stato soggetto ad attacchi reiterati di malaria, e che lo avevano costretto ad assentarsi dal luogo di lavoro per lunghi periodi. Secondo la giurisprudenza della cassazione, non può venire in esame (quindi non si può mettere in discussione) la libertà di scelta del dirigente di utilizzare il periodo di ferie nella maniera più opportuna, però il lavoratore non aveva tenuto una condotta prudente ed oculata, essendo prevedibile l’insorgenza di attacchi di malattia. Lo aveva fatto in totale consapevolezza, tant’è vero che aveva motivato la fruizione del periodo di ferie con “l’esigenze di cura della madre ammalata”. Quindi quando il lavoratore con la sua condotta volontaria si espone ad un comportamento non improntato ai principi di correttezza e buona fede che devono presiedere all’esecuzione del contratto, adotta una condotta lesiva dell’interesse del datore di lavoro all’effettiva esecuzione dell’attività lavorativa. DOVERI STRUMENTALI Le operazioni che sono complementari ed accessorie possono essere richieste al lavoratore? Ossia: - Devo venire ad aprire l’aula, pulirla alla fine della lezione? - Posso pretendere che qualcuno compili il registro delle lezioni? - Posso chiedere di avere il proiettore ed il PC pronto? L’obbligo di diligenza, imposto al lavoratore dall’art.2104, comma1, c.c., si sostanzia non solo nell’esecuzione della prestazione lavorativa secondo la particolare natura di essa, ma anche nell’esecuzione di comportamenti accessori che si rendano necessari in relazione all’interesse del datore di lavoro ad un’utile prestazione. OBBLIGO DI FEDELTA’ Art.2105 il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e metodi di produzione dell’impresa (ci deve essere riservatezza), o farne un uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio. L’obbligo accessorio della fedeltà: 1) Divieto di concorrenza - Invenzioni del lavoratore 2) Divieto di divulgazione notizie - Segreti aziendali Il divieto di concorrenza e il divieto di divulgazione vanno analizzati con il “Patto di non concorrenza”, che sussiste durante il rapporto di lavoro. E’ disciplinato dall’art.21125 c.c. ed è successivo alla cessazione del rapporto. Sostanzialmente per un determinato periodo di tempo, successivo al rapporto di lavoro, ricevendone un corrispettivo, il dirigente si impegna a non andare a lavorare presso un’altra organizzazione di impresa che svolga un’attività in concorrenza con quella del precedente datore di lavoro. Questo patto deve risultare da atto scritto, per essere valido, e il vincolo deve essere contenuto entro determinati limiti di oggetto, di tempo e di luogo. E il datore di lavoro deve percepire un corrispettivo: se mancano questi requisiti, il patto di non concorrenza è nullo. La durata del vincolo non può essere superiore a 5 anni, se si tratta di dirigenti, o 3, se si tratta di altri casi. Se è pattuita una durata maggiore, essa si riduce nella misura suindicata. Questo concetto ritornerà quando parleremo delle categorie legali dell’inquadramento dei lavoratori. Invece, la sentenza n.144 del 09/01/2015 della Cass. Civile ci ricorda che poiché l’obbligo di fedeltà imposto al lavoratore va integrato con i principi generali di correttezza e buona fede sanciti dagli art. 1175 e 1375 c.c., è idoneo a ledere irrimediabilmente il rapporto fiduciario il comportamento del dipendente che, già assegnato per ragione di salute a mansioni ridotte, continui a svolgere attività sportiva potenzialmente idonea ad aggravare le sue condizioni fisiche. L’obbligo di fedeltà del lavoratore include la Riservatezza. Parliamo di: - DIRITTO DI CRITICA Il diritto di critica nei confronti del datore di lavoro è legittimo, perché inquadrabile nell’esercizio di una libertà di opinione che costituzionalmente è garantita. Ma il diritto di critica del lavoratore, per essere considerato legittimo, deve essere esercitato secondo dei canoni di continenza e pertinenza formale e sostanziale. La critica deve concernere direttamente o indirettamente le condizioni del lavoro o sindacali (pertinenza), deve conformarsi nell’esposizione a canoni di correttezza, misura e civile rispetto della dignità del datore di lavoro , senza eccedere nell’attribuzione di affermazioni ingiuriose od offese meramente personali, attribuendo qualità disonorevoli (continenza formale) e deve rispondere a verità, ove consista nell’attribuzione di determinati fatti al datore di lavoro (continenza sostanziale). - DIRITTO DI INFORMAZIONE (vedi sotto a “categorie legali” dove lo spiega approfonditamente) Sempre in tema di obbligo di fedeltà introduciamo il discorso della denuncia degli illeciti, disciplinata dalla legge 30/11/2017, n.179, “disposizioni per la tutela degli autori di segnalazione di reati o irregolarità, di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato” permette di segnalare atti di irregolarità nell’ambito di un rapporto di lavoro, pubblico o privato che sia. In sostanza questa legge che cosa prevede? I lavoratori del settore pubblico o privato possono utilizzare una piattaforma digitale (whistleblowing) di denuncia degli illeciti. Il lavoratore che è venuto a conoscenza di atti illeciti nel rapporto di lavoro non può essere sanzionato, demansionato o licenziato ad un’altra misura organizzativa avente degli effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro determinata dalla segnalazione. Nell’ambito del rapporto di lavoro nella pubblica amministrazione, obbligato alla segnalazione di comportamenti illeciti è non soltanto il dipendente pubblico ma anche un lavoratore delle imprese che forniscono beni e servizi all’amministrazione pubblica. Altra forma di espressione dell’obbligo di riservatezza del lavoratore lo si vede quando si partecipa alle chat. A volte questi comportamenti vengono assunti con semplicità, mai pensando alle conseguenze che possono derivare dal partecipare alle chat. Altro problema dell’obbligo di riservatezza è quello di portare in giudizio, al fine di potersi difendere, copie di atti aziendali che riguardano la propria posizione lavorativa. Il fatto di produrre questi atti aziendali, che riguardano la sua posizione lavorativa, può esprimere un comportamento di contrarietà e la cassazione ci ricorda che “ un lavoratore che produca copie di atti aziendali che riguardino direttamente la sua posizione lavorativa, non viene meno ai suoi doveri di fedeltà e al diritto di difesa in giudizio deve riconoscersi prevalenza rispetto alle eventuali esigenze di riservatezza dell’azienda: ne consegue la legittimità della produzione in giudizio dei detti atti trattandosi di prove lecite. LE CATEGORIE LEGALI DEI PRESTATORI DI LAVORO L’art 2095 dice che i prestatori di lavoro subordinato si distinguono in dirigenti, quadRi, operai e impiegati. Le leggi speciali in relazione a ciascun ramo di produzione e alla particolare struttura dell’impresa determinano i requisiti di appartenenza alle indicate categorie. DIRIGENTE E’ l’alter-ego dell’imprenditore e viene investito di attribuzioni che per la loro ampiezza e per poteri di iniziativa e discrezionalità gli consentono di imprimere un indirizzo ed un orientamento al governo complessivo dell’azienda; da questa figura si differenzia quella dell’impiegato con funzioni direttive, che è preposto ad un singolo ramo di servizio, ufficio o reparto e che svolge la sua attività sotto il controllo del dirigente con poteri di iniziativa circoscritti e con corrispondente limitazione di responsabilità. Il dirigente ha un CCNL (Contratto collettivo nazionale di lavoro) autonomo; non ha la tutela limitativa del licenziamento; ha un diverso regime per il patto di non concorrenza e per il contratto a termine; non si applica la disciplina dell’orario di lavoro QUADRI è la funzione dell’impiegato con funzioni direttive. A seconda dell’organizzazione di impresa può assumere una figura contrattualmente diversa (es. caporeparto) DIRITTO DI INFORMAZIONE Al momento dell’assunzione, un imprenditore, secondo l’art.96, deve far conoscere al prestatore la qualifica e la categoria che gli sono assegnate in relazione alle mansioni per cui è stato assunto. Le qualifiche del prestatore di lavoro possono essere stabilite e raggruppate per gradi secondo la loro importanza nell’ordinamento dell’impresa. Il prestatore di lavoro assume il grado gerarchico corrispondente alla qualifica e alle mansioni (le attività che nel concreto deve svolgere). Le mansioni possono essere cambiate. Parliamo quindi dello JUS VARIANDI del datore: dobbiamo distinguere due periodi di tempo. La riforma che è avvenuta con il decreto dignità 81/2015 ha previsto una diversa formulazione dell’articolo 2103 del codice civile. Ante riforma, quindi ante 2015, l’art.2103 che descriveva le mansioni, ci diceva che il prestatore di lavoro deve essere adibito a quelle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito o a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione. Nel caso di assegnazioni a mansioni superiori il prestatore aveva diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta e l’assegnazione stessa diventava definitiva, ove la medesima non avesse avuto luogo per sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto e comunque non superiore a tre mesi. Egli non poteva essere trasferito da un’unità produttiva ad un’altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. Ogni patto contrario era nullo. SECONDA LEZIONE – 11/05/21 SLIDE: 2013. PRESTAZIONE DEL LAVORO (Dlgs 81/2015) 1. il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito, ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte. 2. In caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali, che incide sulla posizione del lavoratore, lo stesso può essere assegnato a mansioni appartenenti a livello di inquadramento inferiore, purchè rientranti nella medesima categoria legale. 3. Il mutamento di mansioni è accompagnato, ove necessario, dall’assolvimento dell’obbligo formativo, il cui mancato adempimento non determina comunque la nullità dell’atto di assegnazione a nuove mansioni. 4. Ulteriori ipotesi di assegnazione di mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, purchè rientranti nella medesima categoria legale, possono essere previste dai contratti collettivi. 5. Nelle ipotesi di cui al secondo e al quarto comma, il mutamento di mansioni è comunicato per iscritto, a pena nullità, e il lavoratore ha diritto alla consevazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo in godimento, fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa. 6. Nelle sedi di cui all’articolo 2113, quarto comma, o aventi alle commissioni di certificazione, possono essere stipulati accordi individuali di modifica delle mansioni, della categoria legale e del livello di inquadramento e della relativa retribuzione, nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita. Il lavoratore può farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro. 7. Nel caso di assegnazione a mansioni superiori, il lavoratore ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta e l’assegnazione diviene definitiva, salvo diverse volontà del lavoratore, ove la medesima non abbia svolto luogo per ragioni sostitutive di altro lavoratore in servizio, dopo il periodo fissato dai contratti collettivi o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi. 8. Il lavoratore non può essere trasferito da un’unità produttiva ad un’altra, se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. 9. Salvo che ricorrano le condizioni di cui al secondo e quarto comma e fermo quanto disposto al sesto comma, ogni patto contrario è nullo. Quindi dopo la riforma del 2015, con il decreto legislativo 81/2015, scompare il concetto dell’adibire il lavoratore alle mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte. Dunque, il lavoratore può anche mutare le sue mansioni, ma per l'inquadramento successivo a quello iniziale, conseguenti all'assunzione, deve essere adibito, comunque, a delle mansioni che sono riconducibili allo stesso inquadramento; quindi, stessa categoria legale di inquadramento e stesso livello delle ultime effettivamente svolte. In caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali, cioè pensiamo ad una riorganizzazione ad una ristrutturazione aziendale, in cui c'è la possibilità che ci sia un sovraffollamento di risorse umane perché non c'è praticamente disponibilità per tutti, quindi, in questo caso, il lavoratore può anche vedersi ridotte ad un inquadramento inferiore le proprie mansioni, al fine di evitare un licenziamento, purché rientranti nella medesima categoria legale, in modo tale che il trattamento di cui godeva precedentemente gli viene conservato. Il mutamento di mansioni, che a questo punto lo dobbiamo sempre vedere in una prospettiva migliorativa per il lavoratore, deve essere accompagnato dall’assolvimento di un obbligo formativo. Se quest’ultimo manca, questo non determina comunque la nullità dell'atto di assegnazione delle nuove mansioni. il mutamento di mansioni comunque è sempre comunicato per iscritto, altrimenti non è valido, a pena di nullità. Il lavoratore conserva il trattamento retributivo del quale godeva; può vedersi sopprimere soltanto alcuni elementi retributivi che sono collegati a delle particolari modalità di svolgimento della prestazione lavorativa precedente; ad esempio, se uno precedentemente percepiva un’indennità di maneggio o di cassa, un’indennità retributiva collegata a quella particolare modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, e dopo mutando le mansioni, che rientrano comunque in quell’inquadramento, non fa più quella attività di maneggio di cassa perderà quella indennità specifica, poi tutto il resto del trattamento lo conserva. Abbiamo già parlato la volta scorsa della dell'esistenza di queste commissioni di certificazione; ci sono anche le fondazioni universitarie che possono svolgere questa attività di certificazione. Le commissioni di certificazione possono stipulare gli accordi individuali di modifica delle mansioni, in modo tale che ci sia un riconoscimento ufficiale, una certificazione che viene comprovata da un ente superiore, nell'interesse del lavoratore alla conservazione dell'occupazione, all'acquisizione di una diversa professionalità, o al miglioramento delle condizioni di vita. Innanzi alle commissioni di certificazione, di cui all'articolo 2113 del Codice Civile, il lavoratore può farsi assistere da un consulente del lavoro, da un avvocato o da un rappresentante del sindacato a cui aderisce o ha conferito mandato. Mentre anteriforma, decorso un periodo di 3 mesi continuativi in cui lavoratore veniva assegnato a delle mansioni superiori automaticamente, con il post riforma del 2015, questo arco di tempo è stato allungato a 6 mesi continuativi. Dunque, cosa può fare una datore di lavoro per evitare che il lavoratore venga automaticamente assegnato a delle mansioni superiori? Può assumerlo con delle mansioni, poi lo assegna, per un periodo di tempo che non superi i 6 mesi, a delle mansioni superiori; successivamente lo riporta alle mansioni precedenti in modo tale che interrompe questo periodo per riportarlo di nuovo alle mansioni superiori. Questo per evitare che il lavoratore e possa automaticamente essere assegnato in via definitiva delle mansioni superiori. Rimane la disposizione anteriforma 2015 per cui il lavoratore non può essere trasferito da una unità produttiva ad un'altra, se non ci sono delle comprovate ragioni tecniche organizzative e produttive dell'azienda, ogni altro patto contrario è nullo. SLIDE: LA VIOLAZIONE DELLA NORMA • Contestazione e offerta dell’esatto adempimento; • Reintegrazione? • Indicatore di attività: - Mobbizzante; - Discriminatora. • Risarcimento del danno: - Patrimoniale; - Non patrimoniale. Che cos'è succede quando viene violato il diritto all’esatto inquadramento di categoria legale? Nell’ipotesi di violazione della norma il lavoratore può agire e contestare l’esatto adempimento del datore di lavoro. Se ci sono i presupposti a conseguire un ristoro, un risarcimento del danno patrimoniale o non patrimoniale, questa è una conseguenza del suo diritto di agire. Abbiamo come esempio il caso di una di una persona che ricorreva all'autorità giudiziaria di Roma ritenendo che aveva lavorato come attore alle dipendenze della RAI; dal ‘73 al ‘89 la RAI non lo aveva fatto più lavorare cosicché esponeva l'attore che la RAI era responsabile nei tuoi confronti dei danni derivanti da una inattività protrattasi da 10 anni, da una perdita dell'equo compenso disciplinato dall'articolo 80 della legge sul Diritto d'autore, e non solo, vi erano state delle occasioni negate all'attore perché non aveva potuto concludere dei contratti artistici con i terzi, e dunque non aveva percepito degli aumenti di merito (ai sensi dell'articolo 8 del regolamento contrattuale), e esponeva di aver avuto una lezione del diritto alla notorietà. Nella risposta che da la sentenza della Cassazione 2002/10 si osserva che l'attore era stato lasciato in condizioni di inattività per un lunghissimo tempo a fronte dell'obbligo assunto dall'azienda RAI di farlo lavorare ogni giorno per 5 o 6 ore, a seconda se si trattava di una prestazione radiofonica o televisiva; e quindi riteneva che il comportamento della RAI, a quel punto, non soltanto violasse la norma di cui all'articolo 2103 del codice civile (cioè il mutamento delle mansioni). Per cui, a questo punto, visto il tempo in cui l'attore esponeva le proprie rivendicazioni (siamo nel 2102 anteriforma del 2015 – perché era un periodo di inattività precedente a 2015) e quindi non sono il comportamento della RAI aveva violato questa norma dell'articolo 2103 del codice civile, al tempo stesso aveva leso il fondamentale diritto al lavoro, inteso come mezzo di estrinsecazione della personalità di ciascun cittadino, nonché dell'immagine della professionalità del dipendente che erano state mortificate dal mancato esercizio delle prestazioni tipiche della qualifica di appartenenza. In altre parole, la giurisprudenza ha enunciato un concetto di lesione di un bene immateriale per eccellenza: la dignità professionale del lavoratore, intesa come esigenza umana di manifestare la propria utilità e le proprie capacità nel contesto lavorativo, ed ha ritenuto, quindi, che ledendo questo principio della dignità professionale del lavoratore, la lesione ha prodotto automaticamente un danno rilevante sia sul piano patrimoniale (perché abbiamo visto che l'attore lamentava delle perdite in termini di danni economici, l’equo compenso, che non aveva potuto concludere dei contratti con i terzi, una mancata percezione degli aumenti di merito) sia in termini di mancato guadagno, e sia in termini di pregiudizio non economico per lesione del diritto alla notorietà. Ancora, questa dequalificazione professionale è attenzionata anche in un'altra sentenza del tribunale dell'Aquila: la numero 75 del 27 giugno 2018, in cui si dice “La dequalificazione professionale del lavoratore si caratterizza per l'abbassamento del globale livello delle prestazioni del lavoratore”; ovvero, quando vengono sottoutilizzate le sue capacità c'è una considerevole menomazione della sua professionalità. Dunque, il lavoratore perde delle opportunità o delle ulteriori potenzialità occupazionali, o ulteriori possibilità di guadagno. Il demansionamento, quindi, comporta delle conseguenze sia ripristinatorie della posizione precedente al demansionamento, che risarcitorie derivanti dall'inadempimento datoriale. Per cui, da una parte il lavoratore può agire per essere reintegrato nelle mansioni di appartenenza, e dall'altro può chiedere la liquidazione del danno derivante dalla lesione della professionalità e della dignità personale, dal discredito nell'ambiente lavorativo, dal danno alla carriera: tutte componenti del danno patrimoniale indiretto. Qui già c'è un’anticipazione del discredito nell'ambiente lavorativo. LA MOBILITÀ DEL LAVORATORE Abbiamo detto che al momento dell'assunzione il lavoratore deve conoscere la sede di lavoro, cioè il luogo dove svolgere quotidianamente il lavoro. La sede può cambiare, e ci sono tre ipotesi: è Trasferta e trasfertista; è Trasferimento; è Distacco. Innanzitutto, la trasferta si differenzia dal trasfertista, perché il trasfertista è obbligato in base al contatto a lavorare in luoghi sempre variabili, in movimento, non ha una sede fissa, e quindi la differenza è che con il trasfertismo non abbiamo una sede di lavoro fissa, nella trasferta il lavoratore ce l'ha una sede di lavoro fissa, però può cambiare, e vi può essere un occasionale e provvisorio mutamento del luogo stesso, per delle scelte imprenditoriali. Si può anche andare in trasferta finalizzata al perfezionamento professionale del lavoratore. Quando si va in trasferta, cioè si muta occasionalmente, per una volta, la sede di lavoro, si ha diritto a percepire un'”indennità di trasferta”. Il prestatore non può essere trasferito da una unità produttiva ad un'altra, se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive; quindi, ci vuole sempre il consenso del lavoratore al trasferimento. Per “unità produttiva” intendiamo un'articolazione autonoma dell'impresa, che abbia una capacità di gestione patrimoniale economica e si è idonei a produrre beni e servizi dell'azienda. È vietato il trasferimento da un'unità produttiva ad un’altra di un lavoratore che, ai sensi della legge 104 del ’92, assiste con continuità un familiare disabile convivente. Ci può essere un’ipotesi di trasferimento, di allontanamento dalla sede originaria del lavoratore per incompatibilità ambientale: cioè quando si verificano delle conflittualità tra colleghi di lavoro, che possono sfociare o meno in delle denunce penali reciproche; questo caso di incompatibilità ambientale è quello preso in considerazione dalla Sentenza Cassazione 2018/27226. In questo caso è stato ritenuto legittimo il trasferimento del lavoratore disposto per risolvere la conflittualità con un’altra dipendente (in questo caso si erano avute denunce penali reciproche). Era facilmente pensabile che l’ipotesi del contrasto permanente fra i due colleghi era suscettibile di determinate dei disservizi all'interno della piccola unità produttiva nella quale prestavano servizio. Ovviamente, poiché la prestazione del lavoratore deve sempre armonizzarsi con l'interesse dell'azienda o dell'impresa per la quale lavora, in questo caso era l'inevitabile che ci sarebbe stata un inesatto adempimento. RIFIUTO DI TRASFERIRSI Dunque, essendo un contratto a prestazioni corrispettive, il trasferimento deve essere operato soltanto quando c'è il consenso del lavoratore. Nell'ipotesi di mancato consenso del lavoratore, o della lavoratrice, la stessa/lo stesso può rifiutarsi di eseguire la prestazione se questo rifiuto è accompagnato da una seria ed effettiva disponibilità a prestare servizio presso la sede originaria e quindi il rifiuto non sia contrario alla buona fede. Questo ce lo ricorda l‘articolo 1460 del Codice Civile. DISTACCO L'altra ipotesi di modifica della sede di lavoro è il distacco, che è contemplato dall'articolo 30 del Decreto legislativo 276 del 2003. L'ipotesi del distacco si configura quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di un altro soggetto per l'esecuzione di una determinata attività lavorativa. Il rapporto di lavoro rimane a tutti gli effetti in piedi con il datore di lavoro distaccante, tanto è vero che quest’ultimo sarà responsabile di corrispondere la retribuzione al lavoratore. Quindi, se il lavoratore lavora l’impresa X, questa distacca temporaneamente il lavoratore o la lavoratrice a favore di una ditta Y, comunque dovrà corrispondere il trattamento economico e normativo a favore del lavoratore. Se questo distacco comporterà un mutamento di mansioni, dovrà avvenire con il consenso del lavoratore o della lavoratrice interessata. Ancora, quando il distacco comporterà un trasferimento ad una unità produttiva che è sita a più di 50 km da quella in cui lavoratore o la lavoratrice è adibita, il distacco può avvenire soltanto per comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive; quindi, ricorrono le ipotesi che abbiamo visto del trasferimento. C 18/32330 Dunque, se c'è un trasferimento per distacco che avviene senza il consenso del lavoratore, questo distacco non è valido. Dunque, poiché il datore di lavoro originario continuerà, comunque, ad erogare il trattamento economico al lavoratore, non abbiamo una modifica del rapporto di lavoro; c'è soltanto una modificazione nell'esercizio del rapporto: nel senso che la prestazione lavorativa con il distacco, non verrà più adempiuta con il favore del datore di lavoro distaccante, ma in favore del datore di lavoro distaccato. Il distaccante pagherà la retribuzione; il datore distaccato, invece, sarà responsabile del potere direttivo e disciplinare nei confronti del lavoratore distaccato. Tre ipotesi di cambio di sede di lavoro. LA RETRIBUZIONE alle mansioni del lavoratore, quindi all'esatto inquadramento del lavoratore, corrisponderà un livello economico. Quando abbiamo parlato delle ferie, ma in generale di tutto lo svolgimento di una prestazione di lavoro, abbiamo detto che bisogna far sempre riferimento alla contrattazione collettiva nazionale del settore, la quale può essere derogata in senso migliorativo, ma imperius, tramite accordi individuali o collettivi, integrativi aziendali, realizzati datore di lavoro e dalle rappresentanze sindacali presenti in azienda o in un'impresa. Il lavoro presuppone un’onerosità: la prestazione di lavoro è onerosa, nel senso che presuppone il pagamento di una retribuzione; ci sono casi in cui non viene retribuita la prestazione: pensiamo al lavoro dei volontari nelle organizzazioni no profit, o il lavoro del terzo settore; abbiamo tante organizzazioni di volontariato, pensiamo al lavoro dei religiosi, al lavoro che viene realizzato all'interno di una famiglia dove prevale sulla retribuzione (quindi sull’interesse economico), il cosiddetto “affectionis vel benevolentiae cause”, cioè vengono fatte per rispondere a delle esigenze di solidarietà; quindi, ci sono altre finalità più nobili, che non sono quelle delle prestazioni di lavoro. Però, prescindendo da questi casi tipizzati dal nostro legislatore (quindi di prestazione volontaria e gratuita), in generale, una prestazione di lavoro deve essere retribuita. Infatti, l’articolo 2094 del Codice Civile ci ricorda che il prestatore di lavoro subordinato si obbliga mediante una retribuzione a collaborare nell'impresa con un lavoro intellettuale o manuale. Alcune regole di base Dunque, l'orario di lavoro sarà il criterio di commisurazione della retribuzione. La busta paga è un obbligo che il datore di lavoro ha di consegnare a fine mese (viene corrisposta mensilmente) al lavoratore, è un prospetto che deve indicare tutti gli elementi costitutivi della retribuzione medesima. La legge di riferimento è la 4/53; questo il principio Tribunale sezione Lavoro – Roma, sentenza 1254 del 7 febbraio 2020. Un'altra sentenza del tribunale di Paola, la numero 487 del 5/12/2019, dice “La mera sottoscrizione delle buste paga (perché quando viene consegnata mensilmente la busta paga, o foglio paga lavoratore. il lavoratore per ricevuta deve firmare) che viene apposta in calce come prova documentale di aver ricevuto il foglio paga non è idonea a provare, pure in via presuntiva, il pagamento: va dimostrato della retribuzione con un'altra prova documentale, che è una tracciabilità, un bonifico o comunque altre forme sempre tracciabili di corresponsione della retribuzione. Art. 36 Costituzione La retribuzione (questo ce lo ricorda sia la nostra Costituzione, e anche i principi della dottrina sociale della Chiesa) deve comunque essere sempre sufficiente; per sufficiente bisogna intendere un compenso che possa garantire al lavoratore e alla sua famiglia una esistenza libera e dignitosa, e deve essere comunque proporzionata alla quantità e qualità del lavoro. Requisiti costituzionali della retribuzione I requisiti costituzionali della retribuzione sono: - proporzionalità alla durata e intensità del lavoro e alle mansioni svolte; - una retribuzione sufficiente, ovvero adeguata ai bisogni immediati e alle esigenze sociali del lavoratore, perché gli deve garantire un'esistenza libera e dignitosa. - il requisito prevalente è quello della sufficienza. La funzione percettiva dell’Art. 36 Cost. In linea generale, la giurisprudenza ritiene conforme ai requisiti della proporzionalità e della sufficienza la retribuzione che sia equivalente a quella prevista dal contratto collettivo, applicabile alla categoria o al settore produttivo cui appartiene il lavoratore. Nell'ipotesi in cui il lavoratore ritiene di non aver ricevuto la retribuzione che sia in linea con il livello di inquadramento corrispondente a quello del contratto collettivo di categoria, rivolgendosi al giudice, il quale sarà tenuto a determinare la cosiddetta “equa retribuzione”, il lavoratore sarà tenuto a provare soltanto l'entità della retribuzione percepita e non anche l’insufficienza. In altre parole, il lavoratore deve allegare gli estremi che consentano la valutazione della prestazione. Cass. Sez. Lav. – 16/01/2020, n. 810 I costituzionali che abbiamo richiamato, ai quali si ispira la retribuzione, le ritroviamo anche enunciati in due sentenze Tribunale di Roma Sez. lavoro (la numero 23/69 del 6 marzo 2020) e della Cassazione Sezione Lavoro (la numero 810 del 16 gennaio del 2020). SISTEMI DI RETRIBUZIONE è retribuzione a tempo: è commisurata all'intensità di lavoro, o all'orario di lavoro. È il più diffuso; è retribuzione a cottimo: in relazione al risultato; è partecipazione agli utili (distribuzioni utili): pensiamo, per esempio, al lavoro degli agenti di commercio dei piazzisti; c'è una percentuale sul ricavato degli affari conclusi, la cosiddetta “provvigione”. è partecipazione ai prodotti (agricoltura e pesca); è provvigione (ricavato affari conclusi); è necessità retribuzione minima fissa garantita (art. 36 Cost); è fringe benefits (prestazione servizi): ad esempio, l'utilizzo di un'auto aziendale o di un altro Benefit aziendale; questi sono correlati a prestazioni di servizio. È una forma di retribuzione non diretta, ma viene erogata diciamo sottoforma di godimento di altri di altri benefici. Art. 2099 C.C. L’articolo 2099 del codice civile ci dice che la retribuzione del prestatore di lavoro può essere stabilita a tempo o a cottimo e deve essere corrisposta con le modalità e nei termini in uso nel luogo in cui lavoro viene eseguito. In mancanza di contratti collettivi e di accordo fra le parti, viene determinata dal giudice tenuto conto, dove occorra, del parere delle associazioni professionali; e quindi l'ultima voce è quella che spetta ad un'autorità giudiziaria. RETRIBUZIONE A TEMPO È una retribuzione commisurata al tempo della prestazione; c'è una mensilizzazione della retribuzione. La retribuzione normale è a base di calcolo delle maggiorazioni. Pensiamo a quando abbiamo parlato del lavoro che viene eseguito come straordinario oppure lavoro supplementare, che dà diritto a delle maggiorazioni retributive. Art. 2110, Codice Civile Dice che il prestatore di lavoro deve essere retribuito secondo il sistema del cottimo, quando, in conseguenza dell'organizzazione del lavoro, è vincolato all'osservanza di un determinato ritmo produttivo; e quindi, la valutazione della sua prestazione è fatta in base al risultato delle misurazioni dei tempi di lavorazione. Cioè, teoricamente, un lavoratore a cottimo può anche percepire un compenso maggiore del lavoratore, che viene retribuito con il sistema della mensilizzazione (cioè, più si lavora, più si produce e più si ottengono dei risultati anche in termini economici). Art. 2101, Codice Civile Ci ricorda che le tariffe di cottimo non diventano definitive se non dopo un periodo di esperimento. Le tariffe possono essere sostituite o modificate soltanto se intervengono dei mutamenti nelle condizioni di esecuzione del lavoro e in ragione degli stessi. In questo caso, la sostituzione o la variazione della tariffa non diviene definitiva se non dopo il periodo di esperimento stabilito. L'imprenditore, sempre nel suo dovere di formazione, deve comunicare preventivamente al prestatore di lavoro i dati riguardanti gli elementi costitutivi della tariffa di cottimo, le lavorazioni da eseguirsi, e il relativo compenso unitario; deve altresì comunicare i dati relativi alla quantità di lavoro eseguito nel tempo impiegato; questo dovere di informazione si giustifica perché il lavoratore possa compiutamente effettuare delle scelte consapevoli. Quindi, se ritiene che quel contratto, che verrà pagato a cottimo, possa essere per lui soddisfacente, deve avere tutte le informazioni perché possa accettare o meno. ELEMENTI ACCESSORI DELLA RETRIBUZIONE La retribuzione presuppone degli elementi accessori, Nel senso che c'è un livello minimo di base, che è quello fissato dalla contrattazione collettiva, poi possiamo avere degli elementi accessori della retribuzione. Pensiamo, ad esempio, agli scatti, o aumenti di anzianità (assorbibilità); pensiamo a delle gratifiche, quali la tredicesima, oppure in alcuni contratti collettivi la quattordicesima (la tredicesima in genere è una mensilità supplementare che viene percepita in occasione delle festività natalizie, e la quattordicesima, invece, è prevista in alcuni contratti di categoria, ad esempio, il contratto dei bancari, e viene erogata a giugno). Dicevamo la volta scorsa che, fermo restando il principio di “non discriminazione”, il datore di lavoro, per lavoratori che sono inquadrati nel medesimo livello e categoria contrattuale, può anche assegnare un superminimo individuale (incentivi per particolare diligenza, presunzione riassorbibilità): cioè un elemento di voce retributiva differenziale, per un lavoratore rispetto ad un altro, tenuto conto della particolare diligenza che si richiede che si richiede a quel lavoratore. Possiamo avere delle indennità che vanno a ristorare dei particolari disagi o rischi, ad esempio, l'indennità del maneggio di cassa, perché sono correlati alla particolare qualità della prestazione. La contrattazione integrativa aziendale può prevedere il “premio di produzione”, che può essere individuale o collettivo, oppure il “premio presenza”, quindi, quando il lavoratore riesce a garantire in modo continuativo la sua presenza, è una voce incentivante (incentivi, aleatori). Altri elementi che non possono essere qualificati come retribuzione immediate sono i buoni pasto, rappresentano un equivalente in termini di valore economico, hanno un controvalore, possono essere spendibile nei negozi che sono appunto convenzionati. NOZIONE DI RETRIBUZIONE La retribuzione, a parte il carattere di obbligatorietà, deve avere quello della predeterminatezza (deve essere determinata preventivamente e conosciuta dal lavoratore), deve essere erogata con continuità. PLURALITÀ DI NOZIONI DI RETRIBUZIONE Nell'articolo 2120 C.C. si fa riferimento al concetto di retribuzione, come quello delle somme che vengono corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro a titolo non occasionale, e nell'articolo 2121 si fa riferimento ad ogni il compenso di carattere continuativo, con esclusione di quanto corrisposto a titolo di rimborso spese (questo è il progetto di nozione di retribuzione). ONNICOMPRENSIVITÀ DELLA RETRIBUZIONE Perché abbiamo detto “quelli che vengono dati in maniera non continuativa”? Posto qui il caso di un signore che faceva il cameriere in un noto ristorante, e alla cessazione del rapporto di lavoro sostiene di aver un credito relativo alla retribuzione spettante per le ferie e le festività infrasettimanali, nelle quali il datore di lavoro non ha tenuto conto dell'ammontare delle mance che abitualmente gli sono state date dei clienti, che evidentemente lo gratificavano perché erano soddisfatti delle efficienze del suo servizio. Può essere considerata legittima la pretesa di questo cantiere a proposito delle mance; anche qui c'è un percorso per poter giungere a questa risposta: si guarda alla contrattazione collettiva, e quindi alla nozione di retribuzione globale di fatto, e poi se ci sono delle specifiche disposizioni di legge in tema. La posizione del cameriere può essere assimilata a quella del croupier delle case da gioco, che percepisce delle mance; però, la Cassazione, con questa sentenza della sezione Lavoro (N. 21928) del 16 ottobre 2014, ci dice che nella nozione di retribuzione (quindi con queste voci che fanno erogate in forma continua, quindi non sporadica) non rientrano le mance, perché sono somme di denaro che provengono da Terzi estranei al rapporto di lavoro (il rapporto di lavoro presuppone due parti contrattuali, datore e lavoratore, quindi se un terzo, estraneo al rapporto di lavoro, eroga queste somme di denaro non possono essere intese come retribuzione, quindi in quel caso, la richiesta che faceva il cameriere, azionando questa sua pretesa giudiziale, non può essere ritenuta accoglibile); sono terzi estranei al rapporto di lavoro, quindi queste mance, non rientrando nella nozione di retribuzione, non sono neanche computabili ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto. Però, le mance percepite dai cosiddetti “croupiers” non rientrano nel concetto di retribuzione, ma rientreranno nella nozione di reddito, perchè trovano la loro fonte nell'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, trovano il presupposto per la loro percezione, e quindi, in quanto effettivamente corrisposte, concorrono nella determinazione del reddito di lavoro dipendente; ci ricorda la Cassazione, sempre sezione lavoro, nella pronuncia 5698 del 12 marzo 2020, conseguentemente deve ritenersi, che le mance rientrano nel concetto di “reddito di lavoro dipendente” anche ai fini contributivi; quindi saranno assoggettate, per legge, ad una contribuzione, nella misura del 75% del loro importo, mentre il restante 25% non è considerato utile a formare il reddito. PARITÀ DI TRATTAMENTO RETRIBUTIVO Partono da un caso esemplificativo: un'azienda di trasporti locali assume 20 nuovi autisti, attribuendo loro, secondo quanto previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro, un trattamento economico inferiore a quello riconosciuto agli autisti già in servizio, e legittima una tale differenza di trattamento economico. Per la giurisprudenza, il datore di lavoro è libero, fermo il rispetto della contrattazione collettiva, di attribuire discrezionalmente dei trattamenti retributivi di favore ma l’unico limite è il principio di non discriminazione, cosiddetto “nozione del superminimo”. Questa possibilità, riconosciuta dal datore di lavoro, di attribuire ai dipendenti dei trattamenti retributivi di favore, era stata messa in dubbio dal pretore di Napoli (ce lo ricorda la sentenza della Corte Costituzionale n. 10e del 1989), il quale aveva dubitato della legittimità costituzionale di alcuni articoli del Codice Civile (in particolare 2086, 2087, 2095, 2099, 2103) nella parte in cui consentono all'imprenditore di attribuire ai dipendenti, a parità di mansioni, diversi livelli o categorie generali di inquadramento retributivo, perché risulterebbe violato, in questo caso, l'articolo 41 della Costituzione, e sarebbe compresso il diritto dei Lavoratori al rispetto della loro dignità umana, in spregio dei limiti che, questo richiamato precetto costituzionale, l'articolo 41 della Costituzione, impone alla libertà di iniziativa economica. Per tutte le parti, quindi, anche quelle sociali, vige il dovere di rispetto nei precetti costituzionali, rapidamente essi assicurano, in via generale, la tutela del lavoro (articolo 35 della Costituzione), l'elevazione morale e professionale dei Lavoratori, la proporzionalità tra retribuzione quantità-qualità del lavoro e la sufficienza, in ogni caso, di essa, perchè si è assicurata ai lavoratori e alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa, in via più specifica la pari dignità sociale anche dei Lavoratori; si pone il divieto di effettuare delle discriminazioni per ragioni di sesso, razza, lingua e religione (l'articolo 3 della Costituzione) anche se sono tollerabili e possibili disparità e differenziazione di trattamento, sempre che siano giustificate e comunque ragionevoli. TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO – TRF Tutte le voci che compongono la retribuzione entrano nella cosiddetta retribuzione che viene accantonata mensilmente, e che verrà erogata in un momento successivo: il “trattamento di fine rapporto”, cioè quando si chiude un rapporto di lavoro, il lavoratore deve sapere che, durante tutti gli anni che ha lavorato, mensilmente il suo datore di accantonava una somma, della quale ne potrà disporre materialmente quando termina il rapporto di lavoro, nella cosiddetta “buonuscita”; è dovuto in ogni caso in cui cessa un rapporto di lavoro subordinato, viene calcolata in relazione all'anzianità di servizio (maggiore è la durata di un rapporto di lavoro, maggiore sarà questa retribuzione differita, o accantonata). Comunque deve essere pagata, quindi, il rischio che non si paghi il trattamento di fine rapporto non c'è, perché nell'ipotesi in cui risulta insolvente o inadempiente il datore di lavoro, interverrà un fondo di garanzia, che costituito presso l'INPS, e che è preposto a pagare il trattamento di fine rapporto. Calcolo TFR C’è una formula matematica che viene eseguita dai consulenti del lavoro per calcolare il trattamento di fine rapporto: la retribuzione annua percepita dal lavoratore si divide per 13.5, e dà luogo alla quota che è annualmente maturata, la quale poi sarà rivalutata, secondo gli indici Istat del costo della vita, nella misura del 1,5% + 75. Anticipazioni TFR Vi è anche una possibilità (il lavoratore lo deve sapere) di chiedere un'anticipazione di questo TFR, nella misura non superiore al 70%: lo può fare il lavoratore che ha almeno maturato 8 anni di servizio; l'anticipazione di questo TFR può essere chiesta solo una volta, e ci sono delle ragioni predeterminate dalla legge o dalla contrattazione collettiva: sono autorizzati non più il 10% degli aventi titolo e non più del 4% del numero totale dei dipendenti. Quindi, c'è un vincolo in termini di percentuale numerica da rispettare da parte del datore di lavoro, al di là del quale non può soddisfare più di un tot di aventi diritto. L'anticipazione del trattamento di fine rapporto è esclusa in aziende in crisi; ad esempio, quando c'è la necessità di acquistare la prima casa, per sé o per i figli, quando c'è la necessità di far fronte a delle spese sanitarie di importanza rilevante, e quindi non si hanno delle somme a disposizione cospicue, il lavoratore può chiedere un'anticipazione di questo trattamento di fine rapporto. Bisogna che il lavoratore scelga dove vuole destinare il trattamento di fine rapporto di lavoro; quindi, nei sei mesi dall'inizio del rapporto di lavoro, il lavoratore deve dire se vuole far mandare questi soldi, che verranno accantonate mensilmente, ad un fondo pensione chiuso di categoria, oppure, nell'ipotesi in cui non esprimerà alcuna espressa dichiarazione, automaticamente il trattamento di fine rapporto verrà devoluto al fondo di pensione chiusa. Se c'è, invece, un’espressa dichiarazione da parte del lavoratore, che lo vuole inviate all'INPS, il datore di lavoro, ogni mese deve inviare quelle somme al fondo costituito presso l'INPS. Bisogna fare questa scelta quando si entra in un contesto di lavoro (nei primi sei mesi dall'inizio del rapporto). Soltanto nel triennio 2015-2018, che è un triennio di difficoltà e crisi economica per l'Italia, il legislatore ha dato una possibilità (utilizzo sperimentali al quale si è fatto ricorso in questo triennio), che il TFR maturato poteva essere percepito mensilmente, come quota integrativa della retribuzione mensile, anziché di attendere il termine del rapporto di lavoro; e questo è stato consentito ai lavoratori che avessero un’anzianità di almeno 6 mesi. La dequalificazione del demensionamento è una delle ipotesi delle casistiche attraverso le quali può svilupparsi l’Istituto del mobbing. Il MOBBING è un fenomeno per il quale si intendono dei comportamenti discriminatori protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di lavoratori dipendenti, siano essi pubblici o privati, da parte del datore di lavoro (in questo caso parliamo di bossing): il mobbing verticale, perché viene posto in essere dal datore di lavoro verso il lavoratore, oppure il mobbing può essere posto in essere tra colleghi, quindi si parla di mobbing orizzontale, cioè soggetti che sono posti in una posizione di sovraordinazione rispetto ad altri colleghi. Atteggiamenti e comportamenti discriminatori, o vessatori, che si caratterizzano per una vera e propria forma di persecuzione o di violenza morale. Un insieme di azioni ripetute di violenza morale, che hanno per oggetto e per effetto una degradazione delle condizioni di lavoro, e che sono suscettibili di recare offesa ai diritti e alla dignità del salariato, di alterare la sua salute psicologico-mentale e compromettere il suo avvenire professionale. Il termine è un termine inglese, e deriva dal verbo “to mob” significa: attaccare, assalire tumultuosamente, in massa, malmenare, aggredire; viene utilizzato dai fenomeni di osservazione dell'attacco di eliminazione di un animale da parte di altri animali simili. Chiunque di noi può trovarsi a sopportare una critica fuori luogo, a subire lo sfogo di un collega, o di un capo, oppure trovarsi al centro di uno scherzo di pessimo gusto, sono dei fenomeni chiamati di “bullismo” al lavoro: se queste situazione anziché avere il carattere della sporadicità, cominciano a verificarsi in modo costante, soprattutto quando il bersaglio di questi atteggiamenti è sempre la stessa persona, e quando queste azioni di violenza morale sono esercitate con un'intenzione negativa, si trasformano in armi comunicative, quindi ci troviamo dinanzi ad un vero e proprio progetto di mobbing. Sono stati individuati 7 parametri fondamentali che connotano questo fenomeno: O l'ambiente lavorativo, posto all’interno dei contesti lavorativi. O ripetitività e una frequenza delle azioni ostili, e quindi va anche valutata la durata del periodo di tempo in cui questo fenomeno si è protratto sul lavoro. O tipo di azioni ostili e il dislivello (il rapporto che esiste tra gli antagonisti del conflitto, quindi, il lavoratore o un collega sovraordinato; O andamento del conflitto secondo le fasi successive, e l’intento di negatività o intento persecutorio che sotteso al mobbing. Per ambiente lavorativo si intende il contesto nel quale la vicenda concettuale è ambientata, che deve avvenire esclusivamente sul posto di lavoro; è difficile per un lavoratore trovare questi fenomeni di mobbing; però può avere una rilevanza penale e civile dei comportamenti vessatori che determinano il mobbing, e danno luogo a delle vere e proprie ipotesi rilevanti penalmente: lo possiamo notare come “lesioni personali” (articolo 590 del Codice Penale), la diffamazione, come utilizzo di espressioni ingiuriose (articolo 595), può identificarsi nell’Art. 609 bis del Codice Penale, come violenza sessuale, può identificarsi i con l'articolo 610 del Codice Penale, una violenza privata; dunque, un’identificazione sia penalistica, ma un atteggiamento persecutorio e vessatorio che può avere anche una rilevanza civile, in termini di danno patrimoniale, morale e biologico (quest'ultimo inteso come lesione dell'integrità alla salute o integrità psicofisica). È fonte di risarcimento del danno perché l’articolo 2043 del Codice Civile stabilisce il principio del “neminem ledere”: nessuno può creare un danno ingiusto ad un altro, e nell'ipotesi in cui siamo responsabili di aver provocato un danno ingiusto all'altra parte, il nostro comportamento sarà fonte di responsabilità extracontrattuale e obbligherà il responsabile al risarcimento del relativo danno. Va ricordata la sentenza della Corte Costituzionale n.184 dell'86, secondo cui, l'articolo 2043 del Codice Civile va necessariamente esteso, fino a ricomprendere il risarcimento di tutti i danni che almeno potenzialmente ostacolano le attività realizzatrici della persona umana. Il cosiddetto “mobbizzato” si viene a trovare in una condizione o di isolamento sociale, o di sottoutilizzazione/emarginazione dall'ambiente lavorativo, condizioni, queste, che hanno ripercussioni sulla sua salute psicologica e psicofisica. In letteratura è possibile trovare svariate espressioni, come sinonimi di mobbing, ma usati prevalentemente nei paesi anglosassoni, come bullismo, terrore psicologico, abuso al lavoro, vittima lavoro, etc. Ipotesi più frequenti: cambiamento delle mansioni, quindi possiamo avere una dequalificazione, un esautoramento delle mansioni, oppure un sottoutilizzo/sovraccarico del lavoratore; attacchi alla reputazione professionale e privata: il lavoratore viene criticato e screditato; attacchi alla salute, si possono assegnare al lavoratore incarichi pericolosi, oppure si esprimere delle minacce, o assumere degli atteggiamenti di violenza fisica. Dunque, il mobbing è un processo che si evolve nel tempo, secondo un'escalation di conflitti quotidiani, che se non risolti possono costituire il trampolino di lancio per il mobbing. In una prima fase questo conflitto può essere latente, non ancora riconoscibile. La cassazione ha individuato delle diverse forme che il mobbing può assumere nei confronti di un lavoratore: 13 forme più diffuse: a. le pressioni o molestie psicologiche; b. calunnie sistematiche; c. maltrattamenti verbali o offese personali; d. minacce o atteggiamenti miranti ad intimorire, ingiustificatamente o avvilire anche in forma velata il lavoratore; e. fare critiche immotivate o utilizzare assumere degli atteggiamenti ostili nei confronti del lavoratore; f. delegittimare la sua immagine, quindi stigmatizzare l'immagine del lavoratore in un contesto sociale negativo, di fronte a dei colleghi, o dei soggetti estranei all'impresa (ente o l'amministrazione, ad esempio, all'interno di una riunione o di un contesto condiviso dove è prevista la partecipazione di più persone) g. escludere o immotivatamente marginare l'attività lavorativa o svuotarlo delle mansioni; h. attribuiti dei compiti dequalificanti in relazione al profilo professionale posseduto, i. impedimento dell'accesso a notizie di informazioni inerenti le ordinarie attività di lavoro, j. marginalizzare rispetto a delle iniziative di formazione, c'è l'obbligo di formazione per i lavoratori, lo si esclude da iniziative di aggiornamento professionale o di riqualificazione; quindi, si preferiscono dei colleghi rispetto allo stesso collega; k. eccessivo ed esasperato controllo nei confronti del lavoratore, che gli può provocare dei danni o dei seri disagi; l. espressione di atti vessatori, correlati alla sfera privata del lavoratore, consistenti discriminazioni; m. attribuzione di compiti esorbitanti ed eccessivi, che vanno al di là delle sue capacità di lavoro, e idonei a provocari dei seri disagi. STRESS E DISTRESS Il monitoraggio del mobbing, che da conflitto latente, può diventare sempre più manifesto nel dovere di valutazione dei rischi che deve compiere il datore di lavoro. Per stress si intende qualsiasi situazione di lavoro che può turbare l'equilibrio dell'uomo lavoratore nell'ambiente di lavoro; va considerato ai sensi dell'articolo 28 nel documento di valutazione dei rischi che il datore di lavoro è tenuto a compiere. Lo stress è una risposta dell'organismo ad ogni richiesta di modificazioni effettuata su di esso, e può realizzarsi sia a livello fisiologico sia comportamentale; sono state individuate due ipotesi: - stress positivo, benefico: “eustress” che può migliorare lo stato di salute, aumentare concentrazione e l'attenzione, quindi, in questo caso, il lavoratore ha dimostrato una maggiore risoluzione creativa ai problemi; vi è una risposta dell'uomo lavoratore all'ambiente di lavoro, adeguata. - stress negativo, nocivo: “distress”, in questo caso, si verifica quando le richieste dell'ambiente di lavoro e gli indici di stress (gli stressor) diventano eccessivi e prolungati nel tempo. Quindi, la risposta di adattamento dell'uomo lavoratore all'ambiente può diventare disfunzionale: una risposta inadeguata o non adattiva. ACCORDO EUROPEO SULLO STRESS NEI LUOGHI DI LAVORO L'accordo europeo fu siglato l’8 ottobre del 2004. È un modello che s si vuole dare ai datori di lavoro, per controllare queste situazioni di stress, che potenzialmente, ma non necessariamente devono colpire gli ambienti di lavoro. Lo stress può colpire qualunque luogo di lavoro, a prescindere dalla dimensione delle aziende ed al campo di attività, dal tipo di contratto di rapporto di lavoro; quindi, non tutti i luoghi di lavoro e non tutti i lavoratori ne sono interessati. L'obiettivo di questo accordo europeo è quello di offrire ai datori di lavoro e ai lavoratori un modello, che possa consentire di individuare, prevenire e gestire i problemi di stress. Si dice nell' accordo europeo che lo stress è una condizione fisiologica, che può essere accompagnata da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologico-sociale, ed è conseguenza del fatto che taluni individui non si sentono in grado di corrispondere alle richieste o alle aspettative in essi riposte. Lo stress non è una malattia, ma è un'esposizione prolungata allo stress, può ridurre l'efficienza sul lavoro e causare problemi di salute. L'accordo non intende fornire una lista esaustiva dei potenziali indicatori di stress (o stressor); l'individuazione di un problema da stress di lavoro può avvenire attraverso un'analisi di fattori, quali l'organizzazione ed i processi di lavoro, le condizioni e l'ambiente di lavoro, la comunicazione; anche una carenza di comunicazione degli ambienti di lavoro può essere individuato come indicatore di stress. Tutti i datori di lavoro sono obbligati per legge a tutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori, e questo dovere va esteso anche ai problemi di stress da lavoro, in quanto costituisce un rischio per la salute e la sicurezza. Per prevenire, eliminare o ridurre questi problemi si può ricorrere a varie misure: queste possono essere collettive, individuali o tutte e due insieme. Dove l’azienda non può disporre al suo interno di competenze sufficienti, può ricorrere a delle competenze esterne: cioè, se non si hanno all'interno dei profili tali, che sono idonei a valutate in via preventiva queste condizioni di lavoro, si può ricorrere a competenze esterne. Art. 28 decreto legislativo, 81 del 9 Aprile 2008 Dedicato alla valutazione dei rischi: il datore di lavoro, nel valutare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, deve considerare anche i rischi collegati allo stress lavoro-correlato, e qui si fa riferimento ai contenuti dell'accordo europeo dell’8 ottobre 2004; oltre poi al rischio al quale sono esposte le lavoratrici in stato di gravidanza. FASI DELLA VALUTAZIONE Come si sviluppa questa individuazione del rischio da parte del datore di lavoro? 1. Fase propedeutica; accompagnata da 2. valutazione preliminare (oggettiva) 3. valutazione approfondita (soggettiva); con un’intensità graduale, quindi si va da una valutazione meno approfondita ad una più approfondita; 4. una volta che si sono si sono individuati gli indicatori di stress, bisogna delineare quali possono essere le misure correttive e le azioni di miglioramento da porre in essere; 5. Stesura del DVR (documento di valutazione sul rischio) Stress: 6. Monitoraggio: nel caso di rischio di stress basso, il piano di essere ripetuto periodicamente ogni due anni, oppure (indicati dal successivo articolo 29 comma 3 del decreto legislativo 81/2008) per il rischio specifico si prevede il monitoraggio che si farà in ipotesi di significativi cambiamenti dell'assetto organizzativo dell'azienda, o quando c'è una segnalazione del medico competente (l'altra volta abbiamo parlato dell'evoluzione normativa, e quindi del progressivo superamento della terminologia da “medico di fabbrica” a “medico competente”. Nell'ipotesi di livello di rischio di stress medio o alto, andranno pianificate tutte le azioni correttive da adottare: la loro verifica di efficacia. La riapplicazione dello strumento per la valutazione preliminare dovrà essere ripetuta contenti più stringenti: entro un anno, anche quando l’attuazione delle azioni migliorative richiedono tempi più lunghi. Misure correttive e le azioni di miglioramento Hanno l'obiettivo di ridurre, o eliminare, le criticità emerse dalla checklist di valutazione preliminare, e di prevenire delle condizioni di stress lavoro-correlato nei lavoratori. La prevenzione è un insieme di azioni, di comportamenti, con il fine di impedire l'insorgenza e la progressione delle malattie, il determinarsi di danni irreversibili quando la patologia è già in atto. LA FORMAZIONE Altro elemento che troviamo nella lettura dell' accordo europeo dell’8 ottobre 2004, è quello della formazione: le azioni migliorative e correttive possono passare anche attraverso un'attività di formazione dei lavoratori, o delle rappresentanze sindacali dei lavoratori, o attraverso un processo di formazione dei dirigenti (o coloro che sono preposti a ciò); il processo di formazione è determinante, perché l’80 % degli infortuni sul lavoro sono di natura comportamentale; dunque, la formazione e l'informazione possono servire a sensibilizzare i lavoratori, a modificare quei comportamenti potenzialmente pericolosi. Una maggiore sicurezza sul lavoro significa cambiare questi comportamenti sul lavoro. I CONTRATTI DI LAVORO LAVORO A CHIAMATA Detto anche “intermittente”, è un tipo di contratto di lavoro che si attiva quando un datore di lavoro necessita di un lavoratore per svolgere una prestazione. Tale contratto può essere concluso per lo svolgimento di prestazioni secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi territoriali. La durata del contratto di lavoro non può essere superiore a 400 giornate nell’arco di 3 anni solari, ad esclusione del settore turistico, spettacolo e pubblici servizi. Superato detto termine, il contratto si trasforma a tempo indeterminato. Le modalità con le quali il datore di lavoro deve chiamare il lavoratore sono specificate con la legge Fornero, L. 92/2012, che oltre a stabilirne l’obbligo, ha provveduto a stabilire come queste devono essere effettuate, ossia comunicazione obbligatoria preassuntiva e comunicazione amministrativa prima di ogni chiamata del medesimo lavoratore ( ci deve essere tracciabilità). Tali modalità sono state confermate dal Jobs Act in: 1) Via e-mail, che dal 1° giugno 2015 deve essere effettuata tramite PEC al seguente indirizzo [email protected] 2) Servizio informativo tramite il portale Cliclavoro 3) Sms al numero 3399942256 solo nel caso in cui la prestazione debba essere resa non oltre le 12 ore dalla comunicazione 4) Via fax nel caso di malfunzionamento dei sistemi informatici Si possono attivare contratti di lavoro intermittente anche nei seguenti casi: - Personale degli ospedali, delle case di salute, delle cliniche fatta eccezione per il personale addetto ai servizi di assistenza delle sale - Personale addetto ai servizi igienici o sanitari, dispensari, ambulatori , guardie mediche e posti di pubblica assistenza Poiché il lavoratore si deve mettere a disposizione del datore di lavoro, nel momento in cui questi lo chiama, può essere più o meno corrisposta un’indennità di disponibilità, a seconda se si va a concludere con il datore di lavoro questa clausola dell’ “obbligo o senza obbligo di disponibilità”. NUOVI CONTRATTI A TEMPO INDETERMINATO Le novità introdotte con il decreto 81/2015 (Jobs act) mirano a far diventare tale forma contrattuale quella più comune ed utilizzata in Italia. A tal fine, il governo ha provveduto con la legge di stabilità 2019 a riconfermare una serie di incentivi e agevolazioni a quelle imprese che contrattualizzeranno dipendenti a tempo indeterminato a tutele crescenti (vuol dire che, se c’è una risoluzione e una cessazione del rapporto di lavoro viene corrisposta un’indennità di licenziamento che è parametrata agli anni di servizio; allora, più anni di servizio ci sono, maggiore sarà l’indennità di licenziamento). Con il nuovo bonus assunzioni del 2019 è previsto per i datori di lavoro un esonero contributivo per 3 anni al 50% (se si assume un lavoratore con un contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti c’è un risparmio della metà dei contributi per i primi 3 anni). Le novità introdotte dal decreto legislativo del 4 marzo 2015, n.23, oltre alla semplificazione nei casi di cessazione del rapporto di lavoro mediante l’indennità di licenziamento legata agli anni di servizio è l’offerta di conciliazione facoltativa da parte del datore di lavoro. Per quanto riguarda la mansione del lavoratore, la normativa è stata cambiata dall’art.1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n.183, approvato in via definitiva dal CdM dell’11 giugno 2015, che prevede che il lavoratore può essere assegnato a qualsiasi mansione del livello di inquadramento, purché la nuova attività rientri nella stessa categoria legale. La cosa che cambia, quindi, è che oggi, il lavoratore può essere collocato dal datore di lavoro a mansioni, non solo equivalenti alla sua professionalità, ma anche ad altre, per cui diventa legale spostare il dipendente a mansioni inferiori. Quando è possibile il demansionamento? - In presenza di processi di ristrutturazione o riorganizzazione aziendale e negli altri casi individuati dai contratti collettivi l’impresa, l’azienda può spostare il lavoratore ad altre mansioni inferiori purché mantenga lo stesso stupendo, fatta eccezione per i trattamenti accessori legati alla vecchia attività. Accordo conservazione del posto di lavoro: - Diventa legale l’accordo individuale “in sede protetta” per cui sede sindacale od organismi riconosciuti e autorizzati dalla legge, tra datore di lavoro e lavoratore per prevedere di comune accordo l’abbassamento di livello e retribuzione al fine di evitare il licenziamento, CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO Una delle novità più importanti introdotte dal Jobs act nel contratto a termine è stata l’eliminazione dall’obbligo da parte dell’azienda di indicare la causale, ossia, il motivo che giustifica l’utilizzo di questo tipo di contratto. Con questa novità, quindi, si è andato a semplificare l’operato del datore di lavoro, che non è più costretto a specificare e giustificare l’assunzione a termine con motivi di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo. Si ricorda che il contratto a tempo determinato o “a-causale” è applicabile a qualsiasi tipo di mansione anche sotto forma di somministrazione a tempo determinato. Per effetto del “decreto dignità” è tornato l’obbligo di indicare la causale per i contratti a termine superiori a 12 mesi. La durata contrattuale *l’apposizione del termine*, a pena di nullità, *deve risultare dall’atto scritto*, fatta eccezione per i rapporti di lavoro di durata non superiore a dodici giorni. Con il decreto legge 87/2018 convertito, con modificazioni, dalla legge 96/2018, *la durata massima è fissata in 12 mesi, e aumentata a 24 mesi solo in presenza di una delle seguenti condizioni: - Esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività - Esigenze sostitutive di altri lavoratori - Esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria Limite percentuale dei dipendenti a termine: ogni datore di lavoro per non incorrere in sanzioni, è tenuto a rispettare a partire dal 21 marzo 2014, data di entrata in vigore della legge 34/2014, il limite del numero dei contratti a tempo determinato stipulabili in azienda. Tale percentuale è pari al 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione, ad esempio le aziende che hanno 5 dipendenti a tempo indeterminato possono stipulare un solo contratto a termine. Se tale limite non viene rispettato, fatta eccezione per le eventuali deroghe previste dai contratti collettivi e per le sostituzioni di personale assente, stagionali, spettacoli e lavoratori con più di 50 anni è prevista una sanzione amministrativa per il datore di lavoro. Questa limitazione, inoltre, non si applica ai contratti stipulati da enti per l’attività di ricerca scientifica o tecnologica, di assistenza tecnica, etc. CONTRATTO DI SOMMINISTRAZIONE EX INTERINALE STAFF LEASING Il *nuovo contratto staff leasing*, ossia il contratto di somministrazione (2019) ex contratto interinale è stato modificato con il decreto Jobs act che ha esteso, dal 24 giugno 2015, il contratto a tempo indeterminato (staff leasing) realizzato all’interno della somministrazione, aumentandone il campo di applicazione. Il contratto di somministrazione prevede tre figure: 1) Agenzia di somministrazione che è l’effettiva titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore 2) Datore di lavoro, con il quale l’agenzia di somministrazione realizza un contratto 3) Lavoratore Per molto tempo, questo contratto che prevedeva una presenza trilaterale, non è stato accettato legalmente, perché era vista come una forma di interposizione di manodopera. Poi per effetto del decreto dignità il numero dei lavoratori assunti con contratto a tempo determinato o in somministrazione a tempo determinato, non può essere superiore al 30% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza presso l’utilizzatore del 1° gennaio dell’anno di stipulazione dei predetti contratti. Tale limite non si applica in caso di: - Lavoratori in mobilità - Disoccupati che godono da almeno 6 mesi di trattamenti di disoccupazione non agricola, o di ammortizzatori sociali (cassa integrazione), lavoratori svantaggiati e molto svantaggiati. Ricordiamo che il lavoro somministrato prevede la stipula di contratto scritto tra l’impresa che utilizza il lavoratore per le sue attività e l’agenzia autorizzata iscritta nell’apposito albo. La durata massima del contratto di somministrazione a tempo segue le stesse regole fissate dal decreto dignità per il contratto a tempo determinato. CONTRATTO DI SOMMINISTRAZIONE A TEMPO INDETERMINATO STAFF LEASING È possibile per qualsiasi ambito di attività e tipologia di lavoratori, con un solo limite di tipo quantitativo, infatti può essere stipulato nel limite del 20% rispetto al numero di lavoratori assunti a tempo indeterminato in forza presso l’utilizzatore alla data del 1° gennaio dell’anno in cui viene a stipularsi il contratto. Tale percentuale può essere oggetto di modifica da parte della contrattazione collettiva applicabile dall’utilizzatore. CONTRATTO DI APPRENDISTATO E’ stato molte volte revisionato nella normativa, l’ultimo aggiornamento è stato con la legge numero 78/2014, che di fatto ha voluto introdurre una semplificazione a questa forma contrattuale, prevedendo il contratto scritto del patto di prova (cioè un periodo di prova che deve intercorrere prima dell’effettiva decorrenza del contratto di apprendistato) e del piano formativo individuale (PFI) contestuale all’assunzione. Le tipologie attualmente vigenti per gli apprendisti sono 3: 1. Apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale 2. Apprendistato professionalizzante o contratti di mestiere 3. Apprendistato di alta formazione e di ricerca Oltre all’apprendistato per i lavoratori in mobilità che rientra comunque nella forma apprendistato con la specifica finalità di qualificare o riqualificare i lavoratori, senza alcun limite d’età. Contratto a progetto e mini cococo (collaborazioni coordinate continuative) da quando sono aboliti? Dal momento in cui è entrato in vigore il decreto attuativo del Jobs act 81/2015 sul riordino dei contratti, non possono essere più stipulati i contratti di collaborazione a progetto, quelli ancora in essere invece sono proseguiti non oltre la scadenza contrattuale. Ciò significa che grazie al Jobs act i contratti a progetto e le mini cococo sono abolii dal 24 giugno 2015, e dal 1° gennaio 2016 anche quelli ancora in essere alla suddetta data , non potranno proseguire. Dopo detto termine, tali contratti di lavoro diventeranno contratti di lavoro subordinati e quindi da dipendente. Solo i contratti a progetto regolati da accordi collettivi stipulati con i sindacati che prevedono specifiche discipline per la retribuzione, continueranno ad essere attivati se motivati da particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore insieme ad altre poche tipologie di collaborazione. A tal fine il Jobs act prevede che dal 1° gennaio 2016 sia previsto un piano ad hoc per la stabilizzazione, e quindi assunzione a tempo indeterminato o determinato, dei collaboratori a progetto e dei lavoratori autonomi che hanno prestato attività lavorativa a favore dell’impresa. CONTRATTO DI LAVORO OCCASIONALE Presto voucher Inps è il nuovo contratto di lavoro occasionale previsto dall’articolo 54 bis “disciplina delle prestazioni occasionali. Libretto di famiglia” del DI 50/2017 cd. Manovra correttiva. Presto, acronimo di Prestazione occasionale, è quindi il nuovo buono lavoro Inps che sostituisce i vecchi voucher aboliti dal governo Gentiloni. Il nuovo voucher Presto può essere usato anche nel settore agricolo e da tutte le aziende fino a 5 dipendenti. Per i privati, invece, c’è il Libretto Famiglia che serve a pagare piccoli lavori domestici, ivi inclusi interventi di giardinaggio, manutenzione, assistenza domiciliare a persone con disabilità, anziani, bambini e ammalati, insegnamento e babysitter. Ciascun voucher ha il valore di 12,41 euro lordi di cui: - 9 euro l’ora netti pagati al prestatore - 2,97 euro di contributi gestione separata Inps - 0,32 euro di contributi INAIL - 0,12 euro di oneri gestionali Per un importo netto pari a 9 euro. Il voucher Presto, in base a quanto previsto dal decreto dignità, i nuovi voucher Inps lavoro accessorio sono stati estesi a settori come: agricoltura, turismo, enti locali. I nuovi voucher sono utilizzabili solo da disoccupati, studenti e pensionati, sono tracciabili, cartacei o digitali. I nuovi voucher Inps sono quindi regolati da un contratto di lavoro occasionale semplificato, attraverso cui i lavoratori che effettuano prestazioni di lavoro occasionale possono essere retribuiti. Con il nuovo contratto di lavoro occasionale, il Governo e l’Inps, impongono così delle nuove regole e limiti di uso al voucher Presto al fine di evitare l’abuso. Tali nuovi limiti del voucher Presto sono: - Uso del voucher Presto solo per le aziende che hanno al massimo 5 dipendenti assunti a tempo indeterminato, fatta eccezione delle micro imprese operanti del settore dell’estrazione mineraria in cave e torbiere, escavazione e lavoro di materiale lapideo e agricoltura Nuovi limiti di retribuzione annua del contratto di prestazione occasionale: - 5000 euro per il datore di lavoro l’anno; 5000 euro per il lavoratore l’anno; 2500 euro l’anno è la retribuzione massima per il lavoratore per singolo committente (se ne ha due) - Retribuzione aumentata del 25% fino a 6250 l’anno in favore delle seguenti categorie di lavoratori: disoccupati, percettori del reddito d’inclusione (dal 2019 arriva il nuovo reddito di base garantito), pensionati, percettori di assegni di vecchiaia, studenti iscritti alle superiori o all’università sotto i 25 anni. Quanto e cosa spetta? 1. IMPORTO E ORARIO → al lavoratore, quanto spetta con i nuovi voucher Presto Inps? La nuova normativa prevede che la prestazione occasionale pagata con i voucher Presto sia pari a 9 euro netti l’ora mai al di sotto di 36 euro al giorno. Poi spettano anche i contributi Inps ed Inail. L’orario di prestazione deve essere superiore a 4 ore al giorno. Il lavoratore ha diritto a riposi giornalieri e settimanali. Come e da chi viene pagata la prestazione occasionale? La retribuzione è corrisposta direttamente dall’INPS per via telematica, tramite bonifico bancario o postale entro il 15 del mese successivo alla prestazione lavorativa 2. OBBLIGHI DEL DATORE DI LAVORO- COMMITTENTE → devono tenere conto dei limiti di retribuzione annua, delle nuove regole e dei diritti del lavoratore e devono considerare anche i nuovi adempimenti. Per utilizzare Presto, infatti, i datori di lavoro, saranno obbligati a mandare determinati dati. L’invio della comunicazione INPS, contratto di lavoro occasionale va effettuato almeno un’ora prima dall’inizio della prestazione. I dati obbligatori saranno: dati anagrafici, luogo in cui verrà effettuata la prestazione, oggetto della prestazione, data ed ora di inizio della prestazione, compenso pattuito tra prestatore e committente. Per i datori di lavoro che non adempiranno alle nuove regole di comunicazione dei voucher Presto, sono prevista sanzioni variabili tra i 500 e i 2500 euro. Inoltre, è prevista l’assunzione obbligatoria da parte del committente, in caso di superamento dei limiti di retribuzione Presto o dei limiti di orario massimo di lavoro occasionale consentito, pari a 280 ore. CONTRATTO PART-TIME Abbiamo sempre una normativa di riferimento: il Dl 25 febbraio 2000, n.61 definisce il part-time come “l’orario di lavoro fissato dal contratto individuale, cui sia tenuto un lavoratore, che risulti comunque inferiore a quello a tempo pieno”. Può essere di tipo: 1. Orizzontale = la riduzione di orario è prevista in relazione all’orario normale giornaliero di lavoro 2. Verticale = è previsto che l’attività lavorativa sia svolta a tempo pieno, ma limitatamente a periodi predeterminati nel corso della settimana, del mese o dell’anno 3. Misto = lavora sia con un sistema orizzontale che verticale Anche qui è previsto l’obbligo della forma scritta: - Obbligo di informare a carico del datore di lavoro. Questi deve informare le rappresentanze sindacali, annualmente, sull’andamento del ricorso a tale tipologia di contratto - Contenuto: indicazione della durata delle prestazioni, della collocazione temporale dell’orario riferito alla settimana, mese o anno Le novità introdotte in questo regime riguardano quelle previste dalla legge Fornero, relative alle clausole di flessibilità ed elasticità, introducendo il tema delle limitazioni per il datore di lavoro, qualora non siano contemplate dal contratto collettivo, di proporre al dipendente di effettuare lavoro straordinario non superiore al 25% delle ore di lavoro settimanali concordate. Le parti quindi possono stabilire degli accordi in base ai quali l’orario di lavoro può essere modificato in maniera più flessibile ed elastica al fine di venire incontro alle esigenze dell’azienda e del dipendente part-time. Clausole che, però, devono essere scritte con diritto di ripensamento e la cui inosservanza non rientra nel giustificato motivo di licenziamento. Inoltre, è stata ammessa la possibilità per il dipendente di richiedere il part-time per particolari esigenze di cura connesse a malattie gravi o in alternativa alla fruizione del congedo parentale. TIROCINI FORMATIVI O STAGES Non determinano l’insorgenza di un rapporto di lavoro subordinato. Si caratterizzano per l’assenza di un vincolo giuridico obbligatorio e per il coinvolgimento di 3 soggetti: gli enti promotori, i soggetti ospitanti e i destinatari delle iniziative. L’iniziativa formativa viene stipulata tramite una convenzione tra l’ente e il datore di lavoro, in base alla quale quest’ultimo si impegna ad inserire il tirocinante nella propria organizzazione aziendale, con lo scopo di fargli conseguire l’esperienza professionale necessaria attraverso un addestramento pratico. Alla convenzione viene allegato un progetto formativo in cui indicare gli obiettivi e le modalità di svolgimento del tirocinio, la durata, i nominativi dei tutor e il settore aziendale di riferimento. LAVORO A DISTANZA Abbiamo due tipologie di lavoro a distanza: TELELAVORO Prevede una sede fissa a domicilio alternativa all’ufficio. Quindi: - Si svolge a casa - E’ in una struttura decentrata - Dl 2015/80, art.21 - Telelavoro come misura per conciliazione tempi di vita e tempi lavoro in attuazione di accordo sindacale: lavoratori non sono computati nei limiti numerici previsti dalla legge (vantaggio!!!) - La strumentazione deve essere fornita dal datore di lavoro - Sono a carico del datore di lavoro i fattori di rischio per la sicurezza sul lavoro - Al lavoratore viene richiesta una reperibilità in un determinato orario SMART WORKING (o lavoro agile) - Retto dalla legge 81/2017 - Non è individuata una prestazione fissa. Non per forza a casa, ma in qualunque altro luogo - Utilizzo di qualsiasi device - Non è determinato un esatto orario di lavoro. Le regole, quindi, sono diverse L’accordo può essere a termine o a tempo indeterminato; in tale ultimo caso il recesso può avvenire con un preavviso non inferiore a 30 giorni. In presenza di un giustificato motivo, ciascuno dei contraenti può recedere prima della scadenza del termine nel caso di accordo a tempo determinato, o senza preavviso nel caso di accordo a tempo indeterminato TRATTAMENTO ECONOMICO.NORMATIVO 1) Il lavoratore che svolge la prestazione in modalità smart working ha diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato ai lavoratori che svolgono le stesse mansioni esclusivamente all’interno dell’azienda 2) Al lavoratore impiegato in smart working può essere riconosciuto il diritto all’apprendimento permanente, in modalità formali, non formali, o informali, e alla periodica certificazione delle relative competenze. POTERE DI CONTROLLO DISCIPLINARE 1) L’accordo normativo relativo alla modalità smart working disciplina l’esercizio del potere di controllo del datore di lavoro sulla prestazione resa dal lavoratore all’esterno dei locali aziendali nel rispetto di quanto disposto dall’art.4 della legge 20maggio 1970 n.300 2) L’accordo individua le condotte, connesse all’esecuzione della prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali, che danno luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari SICUREZZA SUL LAVORO Il datore di lavoro garantisce la salute e sicurezza del lavoratore che svolge la prestazione in modalità smart working e a tal fine consegna al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, con cadenza annuale, un’informativa scritta in cui sono individuati i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro Il lavoratore è tenuto a cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro per fronteggiare i rischi connessi all’esecuzione della prestazione all’esterno dei locali aziendali. ASSICURAZIONE OBBLIGATORIA PER GLI INFORTUNI E LE MALATTIE PROFESSIONALI Il lavoratore ha diritto alla tutela contro gli infortuni sul lavoro e sulle malattie professionali dipendenti da rischi connessi alla prestazione lavorativa resa all’esterno dei locali aziendali. Il lavoratore ha diritto alla tutela contro gli infortuni sul lavoro occorsi durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello prescelto per lo svolgimento della prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali nei limiti e alle condizioni di cui al terzo comma dell’art.2 del testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, quando la scelta del luogo della prestazione sia dettata da esigenze connesse alla prestazione stessa o dalla necessità del lavoratore di conciliare le esigenze di vita con quelle lavorative e risponda ai criteri di ragionevolezza. TERZA LEZIONE – 18/05/21 Art. 2 del d.p.r. (Decreto Presidente della Repubblica) n. 1124/1965 Il Decreto Presidente della Repubblica n.1124 del 1965, articolo 2, prevede “salvo il caso di interruzione o deviazione del tutto indipendenti dal lavoro, comunque non necessitate, l'assicurazione comprende gli infortuni, occorsi alle persone assicurate durante il normale percorso di andata e di ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, durante il normale percorso che collega due luoghi di lavoro, se il lavoratore ha più rapporti di lavoro, e qualora non sia presente un servizio di mensa aziendale durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di consumazione abituale dei pasti; cioè, tutte queste tipologie rientrano in una copertura assicurativa. L'interruzione e la deviazione si intendono necessitate quando sono dovuti a cause di forza maggiore, ad esigenze essenziali ed improrogabili, o all'adempimento di obblighi penalmente rilevanti. L'assicurazione opera anche nel caso di utilizzo di un mezzo di trasporto privato, purché necessitato; cioè, se il lavoratore dimostra che è stato necessario ricorrere al mezzo di trasporto privato. Restano, in questo caso, esclusi gli infortuni cagionati dall'abuso di alcolici e psicofarmaci o dall'uso non terapeutico di stupefacenti ed allucinogeni. L'influenza della volontà del lavoratore nell'impatto e sullo svolgimento della prestazione lavorativa può esservi: se con il proprio comportamento si causano delle inadempienze volontarie, si risponderà di questi comportamenti. Se volontariamente ci si pone in uno stato di assunzione di alcolici, o stupefacenti, o psicofarmaci e tutto ciò che può alterare le capacità di reale rendimento, l'assicurazione non opera nel percorso di andata e di ritorno dal luogo di lavoro o dal luogo di abitazione a quello di lavoro. L'assicurazione non opera nei confronti del conducente sprovvisto della prescritta abilitazione di guida: se non si ha la patente per condurre la vettura, l'assicurazione non coprirà anche se si dimostra di avere utilizzato un mezzo di trasporto privato. L'utilizzo del Lavoro agile è stato prorogato anche nelle pubbliche amministrazioni, almeno fino a settembre e salvo ulteriore proroga (stabilito con il decreto 17 marzo 2020, numero 18). Dalla legge 626 al d.lgs 81/08: I CAMBIAMENTI Tra i rischi da indicare la parte del datore di lavoro vi è quello di garantire la salute e la sicurezza al lavoratore, anche collocato a distanza. Questo perché c'è una normativa (il decreto legislativo 81/08) chiamato “testo unico”, cioè un’unica normativa ha abrogato tutto ciò che c’era di precedente, da un punto di vista normativo, quindi oggi è l’unico testo di riferimento per materia di sicurezza e salute del lavoratore; impone degli obblighi al datore di lavoro. Vediamo in quali modalità: il datore di lavoro è comunque tenuto a garantire la salute e l'integrità psico-fisica del lavoratore, e l'organizzazione Mondiale della sanità ha dato una definizione del concetto di “salute”, che deve essere più ampia ed estesa ad uno stato di completo benessere, fisico, psichico e mentale. Precedentemente al decreto legislativo 81 del 2008, che quindi quando intervenuto ha eradicato tutte le normative precedenti, c'era la famosa legge 626/94, che fu, in effetti, la legge che rese più moderna la sicurezza sul lavoro in Italia, e fu introdotta sia per abrogare le leggi precedenti, che per recepire tutte le normative europee per ciò che riguarda la salute e la sicurezza dei lavoratori. Quali furono le principali novità introdotte dalla legge 626 del 94? Sono sopraggiunti anche con il nuovo decreto legislativo 81 del 2008. L'istituzione del Servizio di Prevenzione e di protezione, la figura del Responsabile del Servizio di Prevenzione e di protezione che viene citata con l'acronimo “RSPP”, la figura del RLS, che già abbiamo visto prima, gli accordi che il datore di lavoro deve fare con rappresentanze sindacali e aziendali (rappresentante dei lavoratori per la sicurezza; deve fungere sempre da tramite tra lavoratori e datori di lavoro). Prima della 626/94 c’era il DPR 547 del 55, però, rispetto alla normativa precedente, con la Legge 626 del 94, il datore di lavoro diventa responsabile del processo di miglioramento della sicurezza nel luogo del lavoro, e non sono tanto un debitore della sicurezza nei posti di lavoro. Per cui, da responsabile del processo di miglioramento, viene obbligato ad effettuare il DVR: il documento di valutazione dei rischi. Nel 2007 viene approvata una legge delega, 123, che conferisce al governo il mandato di riformare la legge 626 del 94 entro il Maggio del 2008, infatti si era reso necessario armonizzare tutte le leggi vingenti per creare un testo unico sulla sicurezza sul lavoro; quindi, già si fece con la Legge 626 del 94: si ritenne di estendere le disposizioni della legge 626 del 94 a tutti i settori, tipologie di rischio e lavoratori autonomi e dipendenti; è prevedere un adeguato sistema sanzionatorio, nel caso di inadempienze; è introdurre l'obbligo di indossare i tesserini di riconoscimento, che ancora adesso ci sono, indicati i dati del lavoratore e del datore di lavoro, all'interno dei cantieri ed altri luoghi di lavoro a pena di un'ammenda; è rafforzare gli organi ispettivi. L'allora ministro del lavoro, che era Cesare Damiano, il 6 febbraio del 2008 firmò, in accordo con i sindacati, CGIL, CISL e UIL, il decreto legislativo numero 81, che unificava la normativa degli ultimi 50 anni in materia di salute e di sicurezza nei luoghi di lavoro. Il testo è diventato definitivo ed è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Il testo contiene 306 articoli e 51 allegati, peraltro, di recente, le parti sociali hanno fatto, sia per quanto riguarda i privati che le pubbliche amministrazioni, dei protocolli di convenzione per adeguare i documenti di valutazione dei rischi alle novità dettate dall'emergenza sanitaria Covid-19; quindi sono stati aggiornati. Il decreto legislativo è abbastanza corposo, ecco perché è un testo che racchiude abrogato tutta una serie di norme; consta di 306 articoli ed è 13 titoli, 51 allegati. Principali novità Entra in vigore la parte generale, il 15 maggio del 2008; il decreto legislativo 81 del 2008 amplia gli obblighi del datore di lavoro, che, dunque, diventa il responsabile del procedimento di sicurezza e salute, dei dirigenti, dei preposti e delle altre figure esterne, in ordine alla formazione e all'addestramento. Si introduce il concetto di “sorveglianza sanitaria” e la figura del medico competente, il quale visita luoghi di lavoro almeno una volta l'anno e lo comunica al datore di lavoro. La posizione della prevenzione è mutuata dall'articolo 2087 del Codice Civile. Informazione, formazione ai dirigenti e ai preposti, e ai lavoratori obbligatoria ed un addestramento. I soggetti obbligati è il datore di lavoro; è il dirigente; è il preposto; è i lavoratori; è i responsabili e gli addetti al servizio di prevenzione e di protezione; è i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza; è il medico competente. Il datore di lavoro D. lgs 81 Il datore di lavoro è il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore, o comunque il soggetto che ha la responsabilità dell'organizzazione stessa o dell'Unità produttiva, perché esercita i poteri decisionali e di spesa. Ha degli obblighi che non può delegare ad un Alter Ego, quindi, li deve esercitare in proprio, che sono quelli di: - designare il rappresentante del Servizio di Prevenzione e di sicurezza, sono figure obbligate; - valutare tutti i rischi per la salute e la sicurezza; - elaborare il documento di valutazione dei rischi. Fatta eccezione di questi due obblighi, che non sono delegabili, tutti gli altri previsti dalla normativa vigente, possono essere delegati. Il dirigente L'altra figura definita dalla normativa in materia di sicurezza sul lavoro: è la persona che, in ragione delle competenze professionali e dei poteri gerarchici e funzionali, che sono adeguati alla natura dell'incarico conferitogli (abbiamo visto le categorie contrattuali la settimana scorsa, quindi abbiamo detto che il dirigente in genere è l'alter Ego di un dirigente), ha dei poteri decisionali e di spesa, attua le direttive del datore di lavoro, organizzando l'attività lavorativa e vigilando su di essa. Gli obblighi che gli vengono dati dalla legge (si dice Iure Proprio) sono tutti quelli previsti dall'articolo 18 del testo unico 81/2008 e dalle altre norme vigenti. Poi quelli che vengono trasmessi con la delega di “funzioni”, nell’ipotesi in cui ci sono delle attività che possono essere delegate, ad esempio, la delega di funzioni può intervenire per la migliore organizzazione e gestione interna. Il preposto Definizione: è una persona che in ragione delle competenze professionali, e nei limiti dei poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli sovraintende all'attività lavorativa e deve garantire l'attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa. Obblighi del preposto: a. sovrintendere e vigilare sull'osservanza, da parte dei singoli lavoratori, dei loro obblighi di legge, nonché delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Abbiamo già detto prima che il lavoratore deve essere operante, quindi, quelle cose che ha ricevuto nella frase dell'informazione deve porre in essere, quindi, non astenersi dal disattendere volontariamente alle informazioni ricevute in materia di sicurezza e salute sul luogo di lavoro. Quindi vigilare sull'osservanza da parte dei singoli laboratori degli obblighi di legge, che in maniera corretta mettano in essere quelle disposizioni aziendali ricevute in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro, che utilizzano coi mezzi quei dispositivi di protezione sia collettivi che individuali messi a loro disposizione, e nel caso in cui continuano a riscontrare che ci sia una inosservanza devono informare il superiore diretto. b. deve verificare che il lavoratore ricevuto delle adeguate istruzioni, e quindi, attraverso queste accede alle zone che lo espongono ad un rischio grave e specifico; negli ambienti di lavoro, le zone nelle quali ci sono dei particolari rischi gravi e specifici, all'esterno c’è una particolare segnaletica che lo deve indicare. c. Richiedere l’osservanza delle misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza, e dare delle istruzioni affinchè i lavoratori in caso di pericolo grave, immediato e inevitabile abbandonino il posto di lavoro o la zona pericolosa. d. informare i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave ed immediato, circa il rischio stesso e le disposizioni da prendere in materia di protezione. e. Astenersi, salvo eccezioni debitamente motivate, dal richiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave ed immediato. Vengono adottate le procedure di evacuazione dagli ambienti di lavoro nell'ipotesi di ricorrenza di un pericolo grave ed immediato. f. segnalare tempestivamente al datore di lavoro e al dirigente sia le carenze che hanno i mezzi e le attrezzature di lavoro, e dispositivi di protezione individuale, che quindi necessitano di integrazione, sia ogni altra condizione di pericolo che si verifichi durante il lavoro, delle quali venga a conoscenza sulla parte della formazione ricevuta. g. Frequentare gli appositi corsi di formazione; secondo quanto previsto dall'articolo 37, c'è una gradualità dei corsi di formazione. Per cui, è obbligo aggiornare l'evoluzione della normativa in materia di sicurezza, attraverso il conseguimento di una certificazione che sia più avanzata rispetto a quella che si possedeva precedentemente. h. Deleghe delle funzioni di tipo esecutivo. Il lavoratore Il lavoratore è l'altra parte contrattuale, il fruitore delle iniziative di formazione; è la persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un'attività lavorativa nell'ambito dell'organizzazione di un datore di lavoro pubblico, o privato che sia, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un'arte, una professione, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari; Con o senza retribuzione perché, apriamo qui un riferimento alle organizzazioni del terzo settore e no profit, di volontariato, dove non c'è una retribuzione, ma soltanto un rimborso spese, che con la normativa del 2017 è stato fissato in un limite dei €150 mensili. Il volontario chi presta la sua attività all'interno di un'organizzazione o di un terzo settore, non può percepire una retribuzione da parte dell’organizzazione, ma soltanto un rimborso delle spese. Ci deve essere un registro pubblico dei volontari, che svolgono attività in modo continuativo e non occasionale; non potendo percepire la retribuzione, laddove l’organizzazione gli corrisponderà un corrispettivo sarà sanzionata, da un punto di vista amministrativo, e tenuta a trasformare la volontarietà del volontario in un lavoro subordinato. Gli altri soggetti I soggetti individuati dal D. L.gs 81/08 sono: - Responsabili del servizio di prevenzione e protezione: persona che, in possesso di capacità e requisiti professionali, di cui all’Art. 32 del D. L.gs 81/08, viene designato dal datore di lavoro, a cui deve rispondere per coordinare il servizio di prevenzione e protezione dei rischi. - Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza: persona che viene eletta o designata per rappresentare i lavoratori, quindi deve fare sempre da tramite tra datore e lavoratori per quanto concerne gli aspetti di salute e sicurezza durante il lavoro. - Medico competente: è l’ex medico di fabbrica (la figura ha subito un’evoluzione) è in possesso di uno dei requisiti di cui all’Art.38 del D. L.gs 81/08, collabora con il datore di lavoro al fine della valutazione dei rischi. È un esperto scientifico del datore di lavoro, viene nominato dallo stesso per effettuare la Sorveglianza Sanitaria e per tutti gli altri compiti di cui al presente decreto. INFORMAZIONE, FORMAZIONE E ADDESTRAMENTO Abbiamo detto che tre sono gli obiettivi che si propone il D. L.gs 81/08: - L’informazione: complesso delle attività dirette a fornire delle conoscenze utili all’identificazione, alla riduzione e alla gestione dei rischi in ambiente di lavoro (se si conoscono, si classificano i vari rischi presenti nell’ambiente di lavoro, si può pensare di gestirli in modo corretto e di evitarli, o di ridurli, o si fa in modo che dall’esatta conoscenza si possano monitorare frequentemente); - Formazione: una volta informato il destinatario del rischio presente in ambiente di lavoro, deve essere attuato un processo educativo, attraverso il quale trasferire al lavoratore e agli altri soggetti delle conoscenze e procedure utili all’acquisizione di competenze per lo svolgimento di compiti in sicurezza in azienda, e alla riduzione e identificazione dei rischi. Con l’informazione si trasmette il sapere, con la formazione il saper essere. - Addestramento: si trasmette il “saper fare”. Si intende il complesso di attività dirette a far apprendere ai lavoratori l’uso corretto di macchine, attrezzature, impianti, sostanze, dispositivi e procedure di lavoro. Informazione ai lavoratori Ha per oggetto: a. Rischi per la salute e la sicurezza sul lavoro, connessi all’attività dell’impresa in generale; b. Procedure che riguardano primo soccorso, lotta antincendio, evacuazione dai luoghi di lavoro; c. Nominativi dei lavoratori incaricati di applicare le misure relative alle procedure di cui b; d. Nominativi del responsabile e degli addetti del servizio di prevenzione e protezione del medico competente: i lavoratori devono conoscere i loro interlocutori per potersi facilmente rapportare; e. Rischi specifici cui è esposto in relazione all’attività svolta, le normative di sicurezza e le disposizioni aziendali contemplate in materia; f. Pericoli connessi all’uso delle sostanze, in materia sanitaria è uno dei rischi più vicini, e dei preparati pericolosi sulla base delle schede dei dati di sicurezza previsti dalle norme di buona tecnica; g. Misure e attività di protezione e prevenzione adottate. Nell’ipotesi in cui ci siano immigrati, che non sono di nazionalità Italiana, l’informazione deve essere resa previa una verifica da parte del datore di lavoro, che il destinatario li riesca a comprendere (anche tradotte in lingua di riferimento dello stesso). Formazione dei lavoratori Oggetto: a. Concetti di rischio, danno, prevenzione, protezione, organizzazione della prevenzione aziendale; diritti e doveri dei soggetti aziendali, organi di vigilanza, controllo e assistenza; b. Rischi riferiti alle mansioni e ai possibili danni e alle conseguenti misure e procedure di prevenzione e protezione caratteristici del settore o comparto di appartenenza dell’azienda (“rischi specifici”). Deve avvenire: - Al momento della costituzione del rapporto di lavoro o all’inizio dell’utilizzazione (informazione preliminare o pre-assuntiva); Inizio dell’utilizzazione, quando si tratti di una somministrazione di lavoro: prima abbiamo visto il contratto; - Nel caso di trasferimento o cambiamento di mansioni: il lavoratore deve essere informato del rischio specifico alle mansioni, alle quali verrà addetto. - Poiché informazione e formazione devono andare di pari passo con l’evoluzione delle tecnologie o con l’implementazione di nuove attrezzature, la formazione deve avvenire nell’ipotesi in cui vengano introdotte nuove attrezzature di lavoro o di nuove tecnologie, nuove sostante e preparati pericolosi. In ogni caso in cui c’è un elemento di innovazione o modifica. L’addestramento deve essere compiuto sul luogo di lavoro da una persona esperta. DOCUMENTO DI VALUTAZIONE DEL RISCHIO Dall’analisi dei rischi che esistono in azienda, il datore di lavoro, come attività non delegabile è obbligato a redigere un documento di valutazione del rischio, che deve avere data certa e contenere: - Relazione sulla valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l’attività lavorativa nella quale siano specificati i criteri adottati per la valutazione stessa; - Indicazione delle misure di prevenzione e protezione attuata e dispositivi di protezione individuali adottati: devono essere tracciabili queste informazioni, ecco il perché della data certa. Il lavoratore non soltanto è informato dei rischi, ma deve essere fornito dei dispositivi per prevenire contagio e rischio. - Programma delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza; - Individuare le procedure per l’attuazione delle misure da realizzare, nonché i ruoli dell’organizzazione aziendale che vi devono provvedere: abbiamo detto che il lavoratore deve conoscere gli interlocutori con i quali interagire, soggetti dell’organizzazione aziendale a cui devono essere assegnati questi compiti e in possesso delle adeguate competenze e poteri; - Indicazione del nominativo del responsabile del servizio di protezione e prevenzione, del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, o di quello territoriale, e del medico competente che ha partecipato alla valutazione del rischio; - Individuazione delle mansioni che eventualmente espongono i lavoratori a rischi specifici, che richiedono una riconosciuta capacità professionale, specifica esperienza, adeguata formazione ed addestramento. “Segue” documento di valutazione dei rischi Il documento di valutazione dei rischi va rielaborato, perché tutte le procedure di addestramento, formazione e monitoraggio dei rischi sono attualizzate e aggiornate, quando: - Ci sono modifiche significative del processo produttivo e organizzazione del lavoro; - Evoluzione della tecnica; - Infortuni significativi, questo avviene attraverso una - segnalazione, ecco l’importanza della sorveglianza sanitaria. IL MEDICO COMPETENTE Sta rivestendo una figura molto attiva, soprattutto nell’attuale situazione di emergenza. Il medico competente viene definito come il medico in possesso dei requisiti formativi e professionali, di cui all’Art. 38, che collabora, secondo quanto previsto dall’Art. 29, comma 1, con il datore di lavoro ai fini della valutazione dei rischi ed è nominato dallo stesso per effettuare la sorveglianza sanitaria e per tutti gli altri compiti di cui al presente decreto (D. Lgs 81/08). Compito del medico competente, non è solo quello di procedere alle visite obbligatorie nell’interesse del lavoratore, ma anche quello di essere consulente del datore di lavoro in materia sanitaria, di esserne il suo alter ego in questa materia, con funzioni di consiglio e stimolo; ha un importante ruolo attivo nell’identificazione dei rimedi. La definizione la troviamo in una sentenza di qualche anno fa, della Cassazione penale, n. 5037/2001 della sezione IV. Per quanto riguarda gli aspetti organizzativi connessi allo svolgimento dell’attività da parte del medico competente, l’Art. 39, comma 4, del D. Lgs 81/08 prevede che il datore di lavoro assicuri al medico competente le condizioni necessarie per lo svolgimento di tutti i suoi compiti. Ciò che è fondamentale è che anche se il medico competente viene nominato dal datore di lavoro, deve essere al di sopra delle parti: deve svolgere la sua attività in modo autonomo e indipendente, anche se fosse un dipendente aziendale. Prosegue l’Art. 39, comma 6, D. Lgs 81/08, nel caso in cui abbiamo aziende che hanno più unità produttive (autonoma articolazione di azienda che abbia autonomia economica e organizzativa e gestionale), nei casi di gruppi d’imprese, nonché quando la valutazione dei rischi ne evidenzi la validità, il datore può nominare più medici competenti; in questo caso, tra di essi viene individuato un medico che ha funzioni di coordinamento (multipresenza di medici competenti – equipe). Evidentemente, questa presenza di pluri-professionisti o competenze è dettata da una situazione di importanza dei rischi presenti in azienda. L’individuazione, in questi casi, è obbligatoria: nell’ipotesi in cui il datore dovesse omettere di individuare un medico, il primo verrà sanzionato con l’arresto o l’ammenda, per violazione dell’Art. 18, comma 1, lettera A, che prevede la nomina di un medico competente coordinatore. L’eccezione, prevista dall’Art. 39, comma 6, opera solo se si rispetta l’obbligo di nominare il medico competente coordinatore che incarna l’unicità della funzione medica. Si tenga presente che, in base all’Art. 50, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza viene consultato sulla designazione del responsabile e degli addetti al servizio di prevenzione, all’attività di prevenzione incendi, al primo soccorso, alla evacuazione dei luoghi di lavoro e del medico competente. C’è sempre questa figura del medico competente. Tra i molti compiti (il cui corretto adempimento va debitamente verbalizzato e registrato, come tutti gli altri obblighi del D. Lgs n.81/08 per rendere efficace l’attuazione dei modelli organizzativi e gestionali di cui all’Art. 30, comma 2 dello stesso decreto) che ne caratterizzano la funzione sempre più cruciale in materia di salute, ma anche di sicurezza vanno citati. Compiti del medico competente è Art. 18, comma 1, lettera d. obbligo del datore di lavoro e del dirigente: fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale, sentito il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e il medico competente, ove presente. Il primo compito è quello di supportare il datore in questi compiti. è Art. 18, comma 1, lett. g. obblighi del datore di lavoro e del dirigente: richiedere al medico competente l’osservanza degli obblighi previsti a suo carico nel presente decreto. è Art. 18, comma 2. Il datore di lavoro fornisce al servizio di protezione e prevenzione e al medico competente informazioni in merito a: a. La natura dei rischi; b. L’organizzazione del lavoro, la programmazione e l’attuazione delle misie preventive e protettive; c. La descrizione degli impianti e dei processi produttivi; d. I dati, di cui al comma 1, lettera r, e quelli relativi alle malattie professionali; e. I provvedimenti adottati dagli organi di vigilanza. è Art. 25, comma 1, lett. A. obblighi del medico competente: collabora con il datore di lavoro e con il servizio di prevenzione e protezione ala valutazione dei rischi, anche ai fini della programmazione, ove necessario, dalla sorveglianza sanitaria, alla predisposizione dell’attuazione delle misure per la tutela della salute e della integrità psico-fisica dei lavoratori, all’attività di formazione e informazione nei confronti dei lavoratori, per la parte di competenze dell’organizzazione del servizio di primo soccorso, considerando particolari tipo di lavorazione ed esposizione e le peculiari modalità organizzative del lavoro. Collabora, inoltre, all’attuazione e valorizzazione di programmi volontari di “promozione della salute”, secondo i principi della responsabilità sociale. è Art. 28, comma 2. Oggetto della valutazione dei rischi: l’indicazione del nominativo del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza o di quello territoriale e del medico competente che ha portato alla valutazione del rischio. è Art. 29, comma 1. Modalità di effettuazione della valutazione dei rischi: il datore di lavoro effettua la valutazione ed elabora il documento di cui all’Art. 17, comma 1, in collaborazione con il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e il medico competente, nei casi di cui all’Art. 41. Per quanto riguarda ancora l’attività di sorveglianza sanitaria, di cui all’Art. 41, attraverso protocolli sanitari definiti in funzione dei rischi specifici, e tenendo in considerazione gli indirizzi scientifici più avanzati. Il modello astratto di responsabile della direzione sanitaria si sintonizza con la ricerca scientifica, anche mondiale del settore (lui è il punto di riferimento scientifico), oltre che con la ricerca della comunità scientifica della realtà produttiva italiana. Queste sono citazioni che si trovano nella sentenza ella cassazione penale, 6 Febbraio, 2001, e ancora 30 Marzo 2000, n. 5037, riprese nel testo unico commentato da Guarniello nel 2008. L’attività di medico competente è svolta secondo i principi della medicina de lavoro e del codice etico, della commissione internazionale di salute occupazionale. Il medico competente ha i doveri che gli vengono imposti dal codice deontologico della sua professione, dal codice etico aziendale, è tenuto ad una responsabilità medico sanitaria. Una disciplina assai più dettagliata di quella contenuta nell’abrogato Art. 16 del D. Lgs. 626/94 è stata introdotta in relazione alle visite effettuate dal medico, ai giudizi di idoneità e non idoneità alla mansione ed ai provvedimenti in caso di inidoneità alla mansione specifica. Le visite effettuate dal medico competente devono svolgersi con una periodicità programmata. È importante perché il medico da indicazione sul proseguimento o meno di quella determinata mansione, se sussistono i requisiti fisici. Il D. Lgs. 81/08, rispetto alla pregressa normativa ha rafforzato i ruoli del medico competente. La sorveglianza sanitaria è effettuata dal medico competente: a. Nei casi previsti dalla normativa vigente,, dalle indicazioni previste dalla commissione consultiva di cui all’Art. 6. b. Qualora il lavoratore ne faccia richiesta e la stessa sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi lavorativi. Un’attività di denuncia degli infortuni è importante, attraverso segnalazioni che avvengono da parte del medico competente. Sulle visite di idoneità o non idoneità fisica, la sorveglianza sanitaria comprende: - Visita medica preventiva, intesa a constatare l’assenza di controindicazioni al lavoro cui il lavoratore è destinato, al fine di valutare la sua idoneità alla mansione specifica; - Visita medica periodica, per controllare lo stato di salute dei lavoratori ed esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica. La periodicità di tanti accertamenti, qualora non prevista dalla relativa normativa, viene stabilita, di norma, in una volta l’anno. Tale periodicità può assumere cadenza diversa stabilita dal medico competente qualora ritenga che a seguito della valutazione del rischio la periodicità debba essere intensificata. L’organo di vigilanza può disporre di contenuti e periodicità della sorveglianza sanitaria differenti rispetto a quelli indicati dal medico competente. c. Visita medica su richiesta del lavoratore, qualora sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi professionali o alle sue condizioni di salute, suscettibili di peggioramento a causa dell’attività lavorativa svolta, al fine di esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica. d. Visita medica in occasione del cambio della mansione, onde verificare l’idoneità alla mansione specifica. e. Visita medica alla cessazione del rapporto di lavoro nei casi previsti dalla normativa vigente; e – bis visita medica preventiva in fase pre-assuntiva. Abbiamo parlato di coloro che aspiravano ad una postazione di lavoro e del quesito posto, se era tenuto o meno ammissibile il test di gravidanza fatto sulle candidate non lavoratrici; abbiamo detto che c’erano due posizioni diverse della giurisprudenza: alcune che ritenevano corretta la cosa, perché il candidato al lavoro non è il lavoratore, e altre che non la vedevano ammissibile perché la posizione era differente; un’altra posizione la riteneva ammissibile a tutti gli effetti. e – ter visita medica precedente alla ripresa del lavoro, a seguito di assenza per motivi di salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi, al fine di verificare l’idoneità alla mansione. Qualora venga espresso un giudizio di inidoneità temporanea, il medico competente non può imitarsi ad indicazioni generiche, ma deve obbligatoriamente indicare i limiti temporali di validità. Il comma 6-bis dell’articolo 41 prevede che “nei casi di cui alle lettere a) b) c) e d) del comma 6, il medico competente esprime il proprio giudizio per iscritto al datore di lavoro e al lavoratore”. Il medico competente deve sempre esprimere, come anzidetto, il proprio giudizio sulla idoneità e in forma scritta, consegnando copia del giudizio stesso al lavoratore e al datore di lavoro. L’idoneità è sempre riferita a quella mansione specifica. Contro i giudizi del medico competente, raccolti per iscritto, può essere ammesso u ricorso, anche quelli formulati in fase pre-assuntiva, è ammesso ricorso entro trenta giorni dalla data di comunicazione del giudizio medesimo, all’organo di vigilanza territorialmente competente, che dispone, dopo eventuali ulteriori accertamenti, la conferma, la modifica o la revoca del giudizio stesso. Secondo la Cassazione, il lavoratore, licenziato dal datore di lavoro a seguito dell’accertamento di inidoneità da parte del medico, può, in ogni caso, impugnare il licenziamento, contestando l’accertamento ed al giudice del lavoro è riemesso il sindacato sulla correttezza del giudizio espresso, anche disponendo consulenza tecnica d’ufficio (il giudizio è di idoneità sanitaria, quindi richiede consulenza tecnica d’ufficio). Il tribunale ha anche affermato che non è conforme a correttezza il comportamento del datore di lavoro che ha licenziato il lavoratore immediatamente dopo l’accertamento di inidoneità, senza attendere che trascorresse il tempo per impugnare il giudizio dinanzi all’organo di vigilanza, perché il giudizio del medico poteva essere rivoluzionato e sconvolto. Il medico competente ha delle responsabilità nello svolgimento di queste attività, significative in un contesto di impresa; come tutti i prestatori d’opera è tenuto al risarcimento del danno per mancata o inesatta prestazione, dovuta e/o obbligata per contratto. Ha una responsabilità extracontrattuale, ai sensi dell’Art. 2043 del Codice Civile: qualunque fatto doloso o colposo, che arreca ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno in termini economici. Quale prova per la responsabilità per il medico competente? In caso di responsabilità contrattuale al soggetto che è stato danneggiato dal comportamento del medico competente, compete l’onere della prova del danno; nel caso di responsabilità extracontrattuale compete non solo l’onere della prova del danno, ma anche la dimostrazione di un rapporto causale tra il danno patito e il fatto commissivo o omissivo del medico competente. Articolazioni della colpa medica in tema di attività di medico competente Altre responsabilità si possono configurare per: 1. un’accettazione imprudente ed avventata dell’incarico di sorveglianza, di formazione e di informazione; 2. svolgimento dell’attività in mancanza di condizioni organizzative, di tempo, di autonomia decisionale, circa i modi, i tempi e la qualità dell’attività decisionale. 3. negligente omissione delle visite mediche periodiche, ovvero il mancato rispetto della periodicità; 4. omissione di dovuta informazione sui rischi, così come dei segni e sintomi accertati (problema dell’allontanamento temporaneo). Degli esiti delle visite deve esserci traccia nella cartella del lavoratore o nei fascicoli. ATTIVITÀ DI MEDICO COMPETENTE - CORTE DI CASSAZIONE: ha imposto un obbligo per il datore di lavoro, di perseguire la massima sicurezza tecnicamente fattibile, obbligo da perseguire mediante l’adozione di tutte le misure tecniche, organizzative e procedurali, concretamente attuabili. - Il medico competente è chiamato a partecipare attivamente a tale processo di adeguamento, che deve conoscere soluzioni di continuità rispetto ai progressi della conoscenza e della tecnica.