Annunziato Capitolo PD

annuncio pubblicitario
C A P I T O L O
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FARMACI UTILIZZATI
NELLA TERAPIA DELLA
MALATTIA DI PARKINSON
E DI ALTRI DISTURBI MOTORI
Annarosa Carta *, Annalisa Pinna*, Giovanni Umberto Corsini, Andrea Caramelli, Micaela Morelli
* Gli autori hanno partecipato in uguale misura
SOMMARIO
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LA MALATTIA DI PARKINSON
FARMACI ANTIPARKINSONIANI
PRECURSORI DELLA DOPAMINA
AGONISTI DOPAMINERGICI
FARMACI ANTICOLINERGICI
INIBITORI DELLE MAO
INIBITORI DELLE COMT
FARMACOLOGIA CLINICA
FARMACI UTILIZZATI NEL TRATTAMENTO DELLA MALATTIA DI HUNTINGTON
FARMACI UTILIZZATI NEL TRATTAMENTO DELLA SINDROME DI GILLES DE LA TOURETTE
OBIETTIVI
Al termine dello studio del capitolo, lo studente dovrebbe essere in grado di conoscere:
1. La neuropatologia e i sintomi motori e non-motori che caratterizzano la Malattia di Parkinson
2. I principali farmaci antiparkinson, da quelli più datati a quelli di più recente introduzione,
distinguendo tra essi le principali caratteristiche, meccanismi d’azione ed effetti collaterali
3. I principi generali della terapia della malattia di Parkinson, con riferimento ai problemi relativi all’interazione tra farmaci e agli effetti collaterali a breve e lungo termine legati al trattamento cronico.
4. Le principali terapie per disfunzioni motorie quali: la malattia di Huntington, i tic e la malattia di Gilles de la Tourette, la malattia di Wilson.
5) I modelli sperimentali animali utilizzati per la valutazione preclinica dei farmaci antiparkinson.
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FARMACI UTILIZZATI NELLA TERAPIA DEL MORBO DI PARKINSON E DI ALTRI DISTURBI MOTORI
TERMINOLOGIA DA ACQUISIRE
NELLO STUDIO DEL CAPITOLO
Dopamina: La dopamina funziona da neurotrasmettitore attraverso l’attivazione dei recettori D1, D2, D3, D4, D5. Nel SNC svolge funzioni di controllo sull’attività motoria e sui
comportamenti motivati. A livello del SNP, per
una azione sul sistema simpatico, causa accelerazione del battito cardiaco e innalzamento
della pressione sanguigna.
Acetilcolina: Estere acetico della colina, che
nell’organismo interviene quale neurotrasmettitore nella trasmissione degli impulsi nervosi
centrali e periferici.
Corea: Movimenti brevi, fluenti, improvvisi,
rapidi, generalmente a carico delle estremità
degli arti ed a livello cranico. Inizialmente, il
movimento involontario può essere inserito
nell’ esecuzione di un movimento volontario
ed essere poco visibile, ma quando il quadro
è conclamato il paziente presenta dei movimenti continui simili alla danza in diversi segmenti corporei.
Discinesie: Movimenti involontari rapidi, ge-
neralmente con andamento ripetitivo e stereotipato (contrariamente alla corea) che interessano la muscolatura del volto (protrusione della lingua, movimenti di suzione, di schiocco
delle labbra) degli arti e del tronco.
Sistema extrapiramidale: Sistema costituito
da un insieme di nuclei del SNC che indirizzano il corretto svolgimento delle azioni motorie. Grazie ai rapporti con la corteccia, queste strutture possono regolare la motilità piramidale, di origine corticale. Il sistema extrapiramidale influenza, in ultima istanza, i motoneuroni spinali, regolando il tono muscolare e
la motilità. La sua azione si esplica nei movimenti espressivi, in quelli associati (come il
pendolamento degli arti superiori durante la
marcia), nella scrittura, nella masticazione, nella fonazione, nella deglutizione, nella stazione eretta e in tutti gli altri atteggiamenti del
corpo.
Sostanza nera: Nucleo situato a livello del
mesencefalo facente parte dei gangli della base suddiviso in: pars-compacta, dove originano i neuroni dopaminergici che vanno incontro a degenerazione nella malattia di Parkinson e pars-reticolata dove convergono i neuroni di proiezione dei gangli della base.
FARMACI UTILIZZATI NELLA TERAPIA DEL MORBO DI PARKINSON E DI ALTRI DISTURBI MOTORI
MALATTIA DI PARKINSON
CENNI STORICI
Quella che oggi si definisce Malattia di Parkinson (MP),
fu descritta in modo sistematico da James Parkinson nel
suo trattato del 1817 “Essay on the shaking palsy”. Una
malattia conosciuta come Kampavata, caratterizzata da tremore (kampa) e carenza di movimenti (vata) era nota tuttavia in India più di 4.500 anni fa.
La MP è la seconda più comune malattia neurodegenerativa, con una presenza di 1-2/1000 e una prevalenza
di sviluppo nella popolazione maschile rispetto alla femminile. I sintomi cardinali della MP: bradicinesia, ipo/acinesia, rigidità muscolare, tremore a riposo, sono caratterizzati da insorgenza asimmetrica e spesso accompagnati
da instabilità posturale, disturbi nella parola e nella scrittura, postura flessa in avanti, andatura a piccoli passi e
freezing (arresti improvvisi nell’andatura). Sebbene ricevano minore attenzione, sono presenti svariati sintomi non
motori legati ad una disfunzione del sistema autonomo
quali: ipotensione, stipsi, disfunzioni della vescica e della
termoregolazione insieme a disturbi del sonno, fatica e perdita di peso. La MP può essere inoltre accompagnata da
depressione, ansia e, con l’avanzare della malattia, possono insorgere deficit cognitivi.
La terapia della MP è rivolta quindi a ristabilire le funzioni motorie compromesse, in primo luogo, ma anche a
contrastare i sintomi non-motori che affliggono i malati di
MP in modo più o meno grave.
L’evidenza che la perdita di neuroni nella sostanza nera contenenti neuromelanina sottenda la MP risale al 1895,
mentre solo più tardi nel 1944 fu dimostrata l’esistenza di
una via neuronale che dalla sostanza nera invia proiezioni al caudato-putamen (striato). Nel 1960, infine, sulla base di studi in animali da esperimento che postulavano un
ruolo di primaria importanza della dopamina nel controllo del movimento, si arrivò, da parte di Ehringer e
Hornykiewicz, alla dimostrazione che nella sostanza nera
e nel caudato-putamen di pazienti parkinsoniani fosse presente una drammatica diminuzione di questo neurotrasmettitore. Da allora, la degenerazione dei neuroni dopaminergici che dalla sostanza nera pars-compacta proiettano al caudato-putamen è divenuta l’elemento distintivo
patologico principale della malattia. È interessante evidenziare che i sintomi della malattia si manifestano solo
quando questa degenerazione eccede l’80%. Studi più recenti hanno tuttavia messo in luce che altri neurotrasmettitori quali l’acetilcolina, la noradrenalina, il glutammato
e l’adenosina, sono implicati nella patogenesi della MP.
EZIOLOGIA
Il concetto di eziologia nella MP ha subito un radicale
mutamento negli anni novanta, che ha portato ad abbandonare la concezione mono-eziologica in favore di una ipotesi multifattoriale. Numerose cause di natura genetica e
ambientale sono state associate ad un aumento del rischio
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di sviluppare la malattia, mentre da un punto di vista demografico, sono considerati fattori di rischio l’età, il sesso
e il gruppo etnico di appartenenza. L’ipotesi multifattoriale prevede che una interazione tra fattori diversi possa
rappresentare l’evento scatenante dei meccanismi patogenetici alla base della MP.
Fattori genetici. La scoperta delle possibili cause genetiche della MP origina da studi condotti su famiglie che
presentavano un’incidenza della malattia più elevata rispetto alla media della popolazione. Attualmente la mutazione in 4 geni è stata associata a forme di MP: ·-sinucleina, nel locus 4q21-23, parkina, nel locus 6q25.2-27, idrolasi dell’ubiquitina C-terminale L-1 (UHC-L1), nel locus 4p14 e DJ-1, nel locus 1p36. Mutazioni nel gene dell’α-sinucleina sono state associate a forme di MP con insorgenza
intorno ai 45 anni e con decorso rapido dei sintomi. Mutazioni nel gene della parkina sono frequentemente associate a forme giovanili, con insorgenza intorno ai 32 anni,
caratterizzate dall’assenza di corpi di Lewy nel cervello
(vedi neuropatologia).
Le forme genetiche di MP interessano una minima percentuale dei pazienti (circa il 5%), tuttavia hanno rivestito, e tuttora svolgono, un ruolo fondamentale nella comprensione dei meccanismi patogenetici alla base delle forme idiopatiche più comuni della malattia.
Fattori ambientali. Possibili fattori causali o di rischio per
la MP sono stati individuati nell’ambiente. Il potenziale
ruolo di tossine ambientali nell’eziologia della malattia fu
suggerito negli anni ’80 in seguito alla scoperta che la neurotossina sintetica 1-metil-4-fenil-1,2,3,6-tetraidropiridina
(MPTP) portava alla distruzione selettiva dei neuroni dopaminergici della sostanza nera e all’insorgenza di una sindrome sintomaticamente indistinguibile dalla MP idiopatica. L’MPTP non è comunemente presente nell’ambiente,
tuttavia composti chimicamente correlati sono stati proposti come possibili fattori causali, dando il via a numerose ipotesi circa l’esistenza di un’associazione tra esposizione a tossici ambientali e MP.
Tra le diverse classi di pesticidi, gli erbicidi sintetici, paraquat (con struttura chimica simile all’MPTP) e maneb
insieme ai pesticidi organoclorurati dieldrin ed eptaclor,
ed alcuni derivati carbammati, sono stati messi in relazione con l’insorgenza della malattia. Il pesticida naturale rotenone, usato in agricoltura biologica, ha una struttura chimica simile a quella dell’MPTP e, analogamente a
questo, causa distruzione dei neuroni dopaminergici sia in
vitro che in modelli animali sperimentali, mediante un’inibizione del complesso I mitocondriale.
È stata inoltre proposta un’associazione positiva tra
esposizione prolungata a metalli pesanti, in particolare
manganese, mercurio, piombo e l’insorgenza di MP.
Neuropatologia. Da un punto di vista neuropatologico, la
MP viene riconosciuta, all’esame autoptico del cervello, per
una diminuita pigmentazione della sostanza nera pars-compacta riconducibile alla perdita dei neuroni dopaminergici
di quest’area cerebrale (fig. 1). Questa è accompagnata dalla presenza di inclusioni intracitoplasmatiche, denominate
corpi di Lewy, che possono essere osservati, oltre che nei
neuroni della sostanza nera pars-compacta anche nei neu-
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FARMACI UTILIZZATI NELLA TERAPIA DEL MORBO DI PARKINSON E DI ALTRI DISTURBI MOTORI
Figura 31.1. La via dopaminergica nigro-striatale che dalla sostanza nera
pars-compacta (CNpc) proietta al
caudato e al utamen (A). Inclusioni
di corpi di Lewy: A) sinucleina, B)
ubiquitina.
roni del locus coeruleus. Tipicamente, i corpi di Lewy sono inclusioni citoplasmatiche sferiche, di diametro variabile da 4 a 30 µm, comprendenti un centro eosinofilo e un
alone sferico dalla colorazione più pallida in periferia (Figura 31.1). L’esame ultrastrutturale mostra, all’interno di
queste inclusioni, una struttura filamentosa associata a materiale periferico granulare e vescicolare. Inoltre, alcuni mostrano una struttura lamellare concentrica nella zona periferica. I componenti principali dei corpi di Lewy sono rappresentati dall’ubiquitina, una proteina normalmente coinvolta nei meccanismi di degradazione proteica e l’α-sinucleina, proteina deputata al mantenimento della omeostasi sinaptica insieme ad una varietà di altre proteine neurofilamentose. All’interno dello stesso neurone dopaminergico possono essere osservati uno o più corpi di Lewy.
Meccanismi patogenetici. La comprensione dei meccanismi patogenetici coinvolti nello sviluppo della MP ha compiuto notevoli progressi negli ultimi 50 anni, grazie all’avvento di tecnologie biomediche innovative nell’ambito
della neurofarmacologia, neuropatologia, biologia molecolare e genetica.
Alterazioni dei meccanismi di degradazione proteica, stress
ossidativo, disfunzioni mitocondriali, infiammazione e apoptosi,
sono tutti considerati meccanismi che contribuiscono alla
morte cellulare nella MP.
Uno dei principali sistemi cellulari coinvolti nella degradazione delle proteine è il sistema ubiquitina-proteasoma.
Le proteine destinate ad essere degradate dal sistema dell’ubiquitina vengono preventivamente marcate con catene
di poli-ubiquitina attraverso una serie di reazioni enzimatiche e successivamente degradate dal proteasoma. In
tal modo la cellula provvede all’eliminazione di proteine
malfunzionanti che potrebbero rappresentare un ostacolo
per la sopravvivenza cellulare. Una disfunzione a livello
di questo sistema comporta un accumulo di tali proteine
nel citoplasma che può risultare letale per la cellula ed è
quindi considerato un evento chiave nella patogenesi della MP. L’ubiquitina è uno dei principali componenti dei corpi di Lewy, inoltre, alcune forme genetiche di MP sono associate a un malfunzionameto del sistema di degradazione proteica mediato dall’ubiquitina. Studi in vitro hanno
dimostrato che la mutazione nel gene dell’α-sinucleina ri-
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Figura 31.2. Meccanismi eziopatogenetici potenzialmente coinvolti nella
malattia di Parkinson.
sulta nella formazione di aggregati fibrillari insolubili di
questa proteina che, se da un lato bloccano il funzionamento del sistema proteasomale, dall’altro si accumulano
nel citoplasma saturando la capacità catabolica dello stesso. Analogamente, anormalità nei geni della parkina o della UHC-L1, due proteine che partecipano alla degradazione proteica nel sistema dell’ubiquitina, sono associate a
forme genetiche di MP. Sebbene queste forme di MP forniscano l’evidenza più chiara sul ruolo del sistema ubiquitina-proteasoma nella patogenesi della malattia, è probabile che meccanismi simili siano all’origine del più comune Parkinson idiopatico. L’aggregazione dell’α-sinucleina in forma fibrillare insolubile, ad esempio, è stata osservata nell’animale da esperimento in seguito a esposizione ad agenti ambientali, quali alcuni pesticidi e metalli pesanti, considerati fattori di rischio per la MP.
Lo stress ossidativo è un’altro evento cellulare considerato determinante nella patogenesi della MP (Figura 31.2).
Nella sostanza nera pars-compacta del cervello di pazienti parkinsoniani si osservano infatti un aumento della perossidazione lipidica, ridotti livelli di glutatione, elevate
concentrazioni di ferro e specie radicaliche citotossiche dell’ossigeno, che associati al danno ossidativo a carico di acidi nucleici e proteine, suggeriscono un aumento dello
stress ossidativo. Benché il danno ossidativo nella MP non
sia selettivo per la sostanza nera, i neuroni dopaminergici sono particolarmente esposti in quanto la stessa dopamina viene metabolizzata, attraverso reazioni enzimatiche
e non, a specie radicaliche reattive che incrementano il carico ossidativo della cellula.
All’aumentato stress ossidativo è spesso associata un’alterazione della funzionalità mitocondriale, con una ridotta efficienza della catena di trasporto degli elettroni. Nel cervello di pazienti parkinsoniani è stata osservata un’alterazione funzionale del complesso I mitocondriale. La produ-
zione di specie radicaliche libere che ne consegue, associata all’inefficiente produzione di ATP, aumenta enormemente il carico ossidativo e rende la cellula maggiormente vulnerabile a insulti citotossici.
Il ruolo dell’infiammazione nella patogenesi della MP è
attualmente oggetto di intenso dibattito. L’esame autoptico del cervello di pazienti parkinsoniani rivela un’intensa
reazione gliale, particolarmente evidente nella sostanza nera pars-compacta, indice di uno stato infiammatorio cronico. Tuttavia non è chiaro se questa reazione infiammatoria atipica rappresenti un evento primario o secondario
alla neurodegenerazione.
FARMACI ANTIPARKINSON
CLASSIFICAZIONE
Precursori della dopamina
Agonisti diretti dei recettori della dopamina: 1)
Derivati Ergolinici; 2) Derivati non Ergolinici.
Anticolinergici
Inibitori delle MAO
Inibitori delle COMT
PRECURSORI DELLA DOPAMINA
1) L-DOPA
Cenni storici. La terapia della MP con la LDOPA inizia in parallelo con la scoperta che la
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carenza di dopamina è all’origine della malattia. A tutt’oggi la L-DOPA è il principale trattamento sintomatico della MP. Gli studi iniziali
condotti negli anni ‘60 con il composto racemico, produssero effetti collaterali molto importanti e solamente con l’introduzione dell’enantiomero levo gli effetti collaterali diminuirono
sostanzialmente. Tuttavia il fattore che migliorò
in modo determinante la terapia con la L-DOPA fu l’introduzione negli anni ‘70 di farmaci
inibitori delle decarbossilasi. Questi farmaci, incapaci di attraversare la barriera ematoencefalica (BEE), evitano la trasformazione della L-DOPA in dopamina a livello periferico ma ne permettono la conversione a livello centrale.
Meccanismo d’azione. La L-DOPA (L-3,4-diidrossifenilalanina) è in sè praticamente inerte,
solo dopo trasformazione in dopamina da parte delle decarbossilasi degli aminoacidi aromatici è in grado di stimolare i recettori dopaminergici e ripristinare la trasmissione mediata da
questo neurotrasmettitore.
La L-DOPA ha un effetto eclatante su tutti i
sintomi motori della MP. Questo è dovuto al fatto che la dopamina derivante dalla sua biotrasformazione ristabilisce una trasmissione sia fasica che tonica sui diversi recettori dopaminergici. Inoltre la L-DOPA è trasformata in noradrenalina nei neuroni noradrenergici, la cui funzione è alterata nella MP; questo effetto sembra
particolarmente importante per gli aspetti della
malattia che riguardano la depressione, i disturbi del sonno e la vigilanza.
Negli stadi iniziali della malattia, quando una
certa percentuale di neuroni dopaminergici è ancora presente, la dopamina, originata dalla trasformazione della L-DOPA nei neuroni presinaptici, viene concentrata nelle vescicole da cui
viene liberata nello spazio sinaptico e successivamente recuperata attraverso il suo trasportatore per poi essere riciclata. Questi processi rendono la L-DOPA particolarmente efficace, tuttavia, con l’avanzare della degenerazione dei
neuroni dopaminergici, questi processi di trasformazione avvengono soprattutto in strutture
non dopaminergiche ad opera delle decarbossilasi presenti nei vasi cerebrali, nei neuroni monoaminergici (5-HT, NA) portando, di fatto, alla perdita del controllo sul turnover della dopamina.
Nei primi anni di trattamento, gli effetti benefici della L-DOPA possono eccedere i tempi
di emivita del farmaco, suggerendo che i neuroni dopaminergici ancora presenti conservino
o addirittura incrementino la loro capacità di
imagazzinare la dopamina originata dalla trasformazione della L-DOPA nelle vescicole sinaptiche. Con il progredire della malattia (5-10
anni), questa capacità si perde e in circa il 40%
dei pazienti la risposta terapeutica motoria incomincia a fluttuare in modo drammatico (vedi effetti collaterali e complicanze motorie).
È tutt’ora in corso un dibattito sulla possibilità che la L-DOPA possa produrre degli effetti
tossici sui neuroni dopaminergici attraverso i radicali dell’ossigeno che si formano dal suo metabolismo. Nessuno studio clinico ha fino ad oggi confermato questa tesi, e l’unico dato certo è
che la L-DOPA prolunga l’aspettativa di vita dei
malati di Parkinson.
Una strategia terapeutica condivisa è comunque quella di utilizzare, all’inizio del trattamento, la minima dose efficace di L-DOPA perchè l’insorgenza di discinesie è stata correlata
all’impiego di alte dosi di L-DOPA più che all’uso di dosi moderate.
Farmacocinetica. Quando somministrata oralmente, la L-DOPA è rapidamente assorbita nell’intestino tenue e trasportata al cervello attraverso il trasportatore attivo per gli aminoacidi
aromatici (Figura 31.3). L’assorbimento della LDOPA dipende dalla quantità di cibo presente
nello stomaco, dal pH e dal tempo di esposizione agli enzimi contenuti nello stomaco e nell’intestino. Per questi motivi, e allo scopo di evitare competizione nell’assorbimento con gli aminoacidi aromatici derivanti dal cibo, il farmaco
viene somministrato lontano dai pasti (almeno
30 min prima o 60 min dopo).
In mancanza di inibitori delle decarbossilasi,
solo l’1% di farmaco penetra nel cervello, perchè dopo l’assorbimento la quasi totalità viene
trasformata dalle decarbossilasi periferiche in
dopamina, che essendo altamente polare, non
attraversa la BEE.
Inoltre, la dopamina circolante derivata dalla
conversione periferica della L-DOPA, provoca
svariati effetti collaterali tra cui nausea, a causa della stimolazione dei recettori dopaminergici localizzati nel centro del vomito (CTZ), che
è situato fuori dalla BEE.
La dopamina è metabolizzata intra-neuronalmente dalle MAO (monoaminossidasi) o extraneuronalmente dalle COMT. I metaboliti inatti-
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Figura 31.3. Sintesi e metabolismo
della dopamina e bersagli farmacologici nella terapia della malattia di
Parkinson.
Nel neurone dopminergico, la tirosina idrossilasi (TH) converte la tirosina (TIR) in L-DOPA. Questa è convertita, sia a livello centrale che periferico, in dopamina (DA) dagli enzimi dopa-decarbossilasi (DDC). La
DA è concentrata nelle vescicole per
il rilascio nello spazio sinaptico, dove può legare i recettori dopaminergici (DAR) o può essere trasportata all’interno del neurone presinaptico dal
trasportatore per la DA (DAT) . Nel
citoplasma, la DA può essere metabolizzata dagli enzimi monoaminossidasi-B (MAO-B) a acido 3,4-diidrossifenilacetico (DOPAC). Gli eneimi catecol-O-metiltransferasi (COMT)
sono responsabili del metabolismo
della dopamina a 3-metossitiramina
(3-MT) e del metabolismo periferico
della L-DOPA a 3-O-metildopa (3OMD).
vi DOPAC (acido 3,4-diidrossifenil acetico) e
HVA (acido omovanillico) vengono escreti con
le urine.
L’emivita della L-DOPA va da 1,30 a 3 ore; il
picco plasmatico delle preparazioni di L-DOPA
viene raggiunto tra i 30 minuti e le 2 ore.
Preparazioni ed indicazioni. Le preparazioni
comunemente utilizzate contengono l’inibitore
delle decarbossilasi carbidopa (sinemet) o benserazide (madopar) in rapporto con L-DOPA di
1:4. Queste formulazioni sono somministrate 3
o più volte al giorno per via orale. Una risposta terapeutica efficace si raggiunge in genere
con dosaggi tra i 400 e i 600 mg al giorno. All’inizio del trattamento, dosi basse di L-DOPA
possono provocare nausea a causa della bassa
concentrazione di inibitore delle decarbossilasi
presente nella preparazione. Inoltre, l’inibizione
delle decarbossilasi periferiche ad opera della
carbidopa è talvolta incompleta e alcuni pazienti
necessitano somministrazioni supplementari di
inibitore per controllare gli effetti collaterali. La
farmacocinetica della carbidopa e quella della
benserazide sono quasi identiche.
Allo scopo di fornire un apporto di farmaco
costante e controllare le fluttuazioni motorie, esistono delle formulazioni a rilascio modificato
(RM) di carbidopa/L-DOPA (sinemet RM). Queste preparazioni tuttavia, non sono completa-
mente assorbite e richiedono un incremento del
dosaggio di circa il 30%.
La formulazione a rilascio immediato (IR) di
L-DOPA metil-cloridrato è considerata una terapia aggiuntiva „al bisogno“ delle fluttuazioni
motorie resistenti alla terapia con L-DOPA.
Effetti collaterali e tossicità. Diversi effetti
collaterali accompagnano la somministrazione
della L-DOPA, tuttavia nessuno di questi è di
intensità tale da richiedere la sospensione del
trattamento. I più comuni sono allucinazioni e
confusione, soprattutto nella popolazione più
anziana, negli stadi avanzati della malattia e in
quegli individui già affetti da disfunzioni cognitive. Il trattamento più utilizzato per contrastare questi effetti è la somministrazione di antipsicotici atipici (clozapina, quetiapina) che, al
contrario degli antipsicotici tipici (aloperidolo)
che antagonizzano i recettori dopaminergici
striatali, non provocano un peggioramento dei
sintomi motori parkinsoniani. Inoltre la decarbossilazione periferica della L-DOPA e conseguente formazione di dopamina in circolo può
indurre, specialmente in pazienti con disturbi
preesistenti della conduzione cardiaca, ipotensione ortostatica e aritmie.
La limitazione principale alla terapia con LDOPA, tuttavia, è rappresentata dall’insorgenza
di fluttuazioni motorie che compaiono in circa
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FARMACI UTILIZZATI NELLA TERAPIA DEL MORBO DI PARKINSON E DI ALTRI DISTURBI MOTORI
il 40% dei pazienti dopo 5-10 anni dall’inizio
del trattamento e che sono verosimilmente legate, da una parte alla progressione della degenerazione dei neuroni dopaminergici, dall’altra alla stimolazione pulsatile dei recettori dopaminergici dovuta alla somministrazione intermittente del farmaco. La durata d’azione della L-DOPA si accorcia progressivamente (“wearing-off”), compaiono movimenti eccessivi,
anormali e involontari (discinesie) e, soprattutto negli stadi più avanzati della malattia, la risposta del paziente è fluttuante dall’“off” con
nessuna risposta al farmaco, all’“on” con la risposta associata alla presenza di discinesie (“onoff”). Questi fenomeni, in quanto presenti solo
dopo trattamenti prolungati, sembrano essere
legati a fenomeni adattativi di plasticità neuronale conseguenti alla stimolazione intermittente (non fisiologica) dei recettori dopaminergici
da parte della dopamina originata dalla L-DOPA. Supporto a questa interpretazione è dato
dal fatto che quando i livelli di L-DOPA sono
mantenuti stabili da una infusione costante (i.v.)
di farmaco, le fluttuazioni motorie e le discinesie si attenuano significativamente. A questo
scopo sono disponibili delle formulazioni a rilascio modificato.
L’interruzione improvvisa del trattamento con
L-DOPA o altri medicamenti dopaminomimetici può provocare la “sindrome maligna da neurolettici”.
Interazioni. La somministrazione concomitante
di antipsicotici tipici (e.g. aloperidolo) è da evitare perchè attraverso il blocco dei recettori dopaminergici D2, operata da questa classe di farmaci, viene antagonizzata l’azione della L-DOPA e degli agonisti diretti.
Gli inibitori delle MAO non selettivi come fenelzina e tranilcipromina o selettivi verso le
MAO-A come la moclobemide, potenziano le
azioni della L-DOPA a livello periferico e possono provocare crisi ipertensive e iperpiressia;
per questo motivo il trattamento con questi farmaci va sospeso almeno 14 giorni prima di iniziare la terapia con L-DOPA. Al contrario, farmaci come la selegilina e la rasagilina che, a dosi basse o moderate, inibiscono selettivamente
le MAO-B (localizzate preferenzialmente a livello centrale) sono utilizzati a scopo terapeutico per potenziare gli effetti della L-DOPA (vedi inibitori delle MAO). Questi farmaci inoltre
non causano il potenziamento letale degli effet-
ti simpaticomimetici causati dai cibi contenenti
tiramina (es. formaggi, vino).
Farmaci antidepressivi come il bupropione
possono aumentare l’incidenza di effetti collaterali della L-DOPA, mentre i triciclici potenziano gli effetti degli anticolinergici.
La piridoxina, in quanto cofattore della DOPA-decarbossilasi accelera il metabolismo periferico della L-DOPA quando questa venga somministrata in assenza di carbidopa o benserazide.
AGONISTI DIRETTI DEI RECETTORI
DOPAMINERGICI
Cenni storici e classi. Il declino dell’efficacia
della L-DOPA nel tempo, ha costituito la premessa razionale all’impiego degli agonisti dopaminergici, farmaci in grado di riprodurre l’effetto della dopamina, stimolando direttamente
i recettori dopaminergici.
Il primo agonista dopaminergico commercializzato per il trattamento della MP fu la bromocriptina; un ergopeptide tetraciclico la cui attività antiparkinsoniana fu descritta da Calne
nel 1974.
Gli agonisti dopaminergici si differenziano in
due classi principali: i derivati ergolinici e i derivati non-ergolinici. I derivati ergolinici sono
alcaloidi dell’ergot (un fungo, Claviceps purpurea, presente nelle graminacee che da origine alla segale cornuta); tra essi si trovano la bromocriptina, la pergolide, la lisuride, l’·-diidroergocriptina e la cabergolina. Tra i derivati non-ergolinici sono compresi sia i composti di nuova
sintesi come piribedil, pramipexolo, ropinirolo
e rotigotina che l’apomorfina un composto della famiglia delle aporfine derivato della morfina.
Chimica. In generale l’attività farmacologica degli agonisti dopaminergici è dovuta ad una somiglianza strutturale con la dopamina. Composti che manchino degli ossidrili catecolici o
con catena laterale più lunga o più corta di quella della dopamina sono privi di attività. Una relazione struttura-attività è stata stabilita per tutti i derivati ergolinici; in questi composti la somiglianza strutturale dell’anello ergolinico alla
monoamide endogena sembra essere all’origine
dell’azione stimolatoria sui recettori dopaminergici. Inoltre, un esame della struttura dell’apomorfina ha consentito di riconoscervi gli ele-
FARMACI UTILIZZATI NELLA TERAPIA DEL MORBO DI PARKINSON E DI ALTRI DISTURBI MOTORI
menti caratteristici della dopamina, più correttamente del suo N-metil derivato.
Meccanismo d’azione. Sebbene gli agonisti dopaminergici abbiano un’efficacia limitata rispetto alla L-DOPA possiedono diversi vantaggi. Un
importante prerogativa è costituita dal fatto che
questi farmaci non necessitano della conversione metabolica in un composto attivo per esercitare il loro effetto farmacologico ma stimolano direttamente i recettori dopaminergici. Per
questo motivo, l’efficacia degli agonisti dopaminergici è indipendente dalla degenerazione
dei neuroni dopaminergici. Entrambe le classi
hanno come bersaglio principale i recettori dopaminergici della classe D2 e D3. I derivati ergolinici mostrano inoltre una certa affinità per
i recettori serotoninergici e ·-adrenergici.
Recenti dati sperimentali in vitro ed in animali da esperimento suggeriscono che la maggior parte degli agonisti dopaminergici possieda un’attività neuroprotettiva intrinseca alla molecola e del tutto indipendente dall’attività dopaminomimetica. Tuttavia questo effetto neuroprotettivo non è stato ancora confermato.
Farmacocinetica. Gli agonisti dopaminergici
hanno generalmente tempi di emivita molto
lunghi rispetto alle preparazioni standard di LDOPA, inducendo una stimolazione più prolungata nel tempo dei recettori dopaminergici.
Non competono con gli aminoacidi aromatici durante l’assorbimento intestinale, per cui
possono essere somministrati senza tener conto
del carico proteico dei pasti inoltre, non vi è alcuna competizione per l’assorbimento e il trasporto nel cervello tra agonisti dopaminergici e
aminoacidi aromatici circolanti nel plasma, un
fenomeno che è noto influenzare la farmacocinetica della L-DOPA.
Gli agonisti dopaminergici non vengono metabolizzati dalle vie ossidative classiche della
dopamina quindi non portano alla formazione
di radicali liberi citotossici associati al metabolismo della dopamina.
Indicazioni. Questa classe di farmaci è stata
inizialmente sviluppata per il trattamento della
MP avanzata, caratterizzata dalla comparsa di
fluttuazioni motorie e discinesie indotte dalla LDOPA. Questi farmaci sono stati a lungo impiegati come terapia aggiuntiva alla L-DOPA
con il risultato di un miglioramento delle fluttuazioni motorie. I diversi agonisti dopaminergici vengono ora utilizzati anche in monotera-
9
pia, nella fase iniziale della malattia in alternativa alla L-DOPA, soprattutto in pazienti di giovane età. Questi pazienti sebbene presentino
una maggior frequenza di effetti collaterali periferici e centrali, non mostrano fluttuazioni motorie fino a che (dopo un periodo variabile tra
2 e 5 anni) non necessitano dell’aggiunta di LDOPA alla terapia per controllare i sintomi
parkinsoniani. Tuttavia, la frequenza e la gravità di fluttuazioni/discinesie nei pazienti trattati con agonisti dopaminergici in monoterapia
o in associazione con basse dosi di L-DOPA sono inferiori rispetto a quelle indotte dalla monoterapia con L-DOPA.
Generalmente l’età avanzata e la demenza sono considerate controindicazioni per la terapia
con agonisti dopaminergici, dato che in questi
pazienti sono poco tollerati gli effetti collaterali cognitivi e ipotensivi. D’altra parte, pazienti
anziani che presentino capacità cognitive intatte sono dei buoni candidati per la terapia con
gli agonisti dopaminergici.
Esistono due strategie per ridurre al minimo
il disagio degli effetti collaterali periferici indotti
da questi farmaci. La prima è quella d’introdurre gli agonisti dopaminergici in terapia molto lentamente. Per ognuno dei farmaci generalmente prescritti è in uso uno schema di incremento posologico (titolazione) e per molti di essi esiste in commercio una confezione starter in
cui le compresse, contenenti crescenti concentrazioni di farmaco, sono ripartite secondo un
ordine preciso che agevola il paziente ad iniziare il suo percorso terapeutico. La seconda
strategia per ridurre gli effetti collaterali è invece costituita dalla somministrazione combinata con domperidone, la quale consente di raggiungere più rapidamente la dose efficace dell’agonista dopaminergico con minori effetti collaterali e rischi per il paziente. Generalmente il
domperidone (60 mg al giorno) viene somministrato per 4-6 giorni prima dell’inizio della terapia con gli agonisti dopaminergici; la dose è
aumentata fino a 90 mg durante il trattamento
con l’agonista dopaminergico nel caso insorgano effetti collaterali e, dopo 1-2 mesi dal raggiungimento della dose efficace dell’agonista, la
somministrazione viene ridotta progressivamente fino alla sospensione. Solo pochi pazienti necessitano di domperidone in associazione
con gli agonisti dopaminergici per un periodo
superiore ai 3-6 mesi. Oltre ad avere un effetto
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FARMACI UTILIZZATI NELLA TERAPIA DEL MORBO DI PARKINSON E DI ALTRI DISTURBI MOTORI
antiemetico per azione diretta sui recettori D2
del CTZ, il domperidone è in grado di stimolare lo svuotamento gastrico e di aumentare leggermente la pressione arteriosa.
Nella sostituzione di un agonista dopaminergico con un altro, talora necessaria per ricercare un effetto più incisivo o per correggere
eventuali effetti collaterali, non vi è necessità di
ridurre gradualmente la dose del primo farmaco per poi incrementare quella del secondo. Recentemente, infatti, è stata dimostrata l’assoluta sicurezza della sostituzione immediata nell’arco di un giorno e sono stati individuati i dosaggi equivalenti fra i diversi farmaci (bromocriptina 10 mg = pergolide 1 mg = pramipexolo 1 mg = cabergolina 2 mg = ropinirolo 5 mg).
Effetti collaterali e tossicità. Gli effetti collaterali mediati dalla stimolazione dei recettori dopaminergici a livello periferico sono simili a
quelli osservati con la L-DOPA. I sintomi più
comuni sono nausea, vomito, ipotensione posturale e vertigini. Questi compaiono all’inizio
del trattamento e col tempo vanno incontro a
tolleranza; tuttavia, la loro possibile precoce insorgenza impone la necessità di iniziare la terapia con basse dosi di agonista dopaminergico e di aumentarne gradualmente il dosaggio.
Gli effetti collaterali dovuti alla stimolazione
dei recettori dopaminergici a livello centrale sono invece principalmente di natura psicotica: sogni vividi, cambiamento d’umore, psicosi paranoidee, allucinazioni visive, confusione e disorientamento spaziale sono i più frequenti. Questi effetti si presentano più comunemente con gli
agonisti dopaminergici che con la L-DOPA e sono più frequenti nei pazienti anziani e/o con deficit cognitivi. Il trattamento di allucinazioni,
confusione e psicosi nei pazienti parkinsoniani
può essere problematico perché l’utilizzo di neurolettici tipici può aggravare i sintomi motori
parkinsoniani; per questo motivo vengono utilizzati con discreto successo gli antipsicotici atipici quali clozapina, olanzapina e quetiapina.
Un altro effetto collaterale è l’edema agli arti
inferiori, generalmente dose-dipendente e reversibile; tuttavia, se l’edema non viene riconosciuto precocemente, può cronicizzare portando ad
un’alterazione della cute. Sempre a carico degli
arti inferiori si può verificare una peculiare eruzione cutanea con arrossamento ed essudato detta eritromelalgia. Molto rare ma potenzialmente
molto gravi sono le fibrosi pleuropolmonari, pe-
ricardiali, valvolari e retroperitoneali, che iniziano con un versamento delle sierose e che sono
provocate quasi esclusivamente dai derivati ergolinici. Di solito queste fibrosi sono reversibili
se riconosciute precocemente e regrediscono
quando il composto ergolinico viene sostituito da
un composto non ergolinico. Il meccanismo della reazione fibrotica indotta dagli agonisti dopaminergici derivati dell’ergot è sconosciuto anche
se sono stati suggeriti il coinvolgono di una reazione immunitaria e/o la modulazione di recettori serotoninergici periferici, capaci di interferire con l’attivazione della cascata fibroblastica.
L’affaticamento e la stanchezza sono sintomi
di cui molti pazienti si lamentano spesso, soprattutto durante la fase iniziale della terapia.
Inoltre, sempre nella fase di stabilizzazione del
dosaggio del farmaco, alcuni pazienti in trattamento con agonisti dopaminergici sia ergolinici che non con maggiore incidenza per questi
ultimi, possono soffrire di un’eccessiva sonnolenza o di improvvisi colpi di sonno durante
l’attività diurna. A tal proposito, viene raccomandato ai pazienti di non mettersi alla guida
fino a che non venga raggiunta una dose stabile tollerata che non dia sonnolenza. Oltre alla
sonnolenza diurna, durante la terapia con agonisti dopaminergici si può manifestare anche insonnia notturna. Secondo l’ipotesi prevalente, la
malattia per se in associazione alla terapia dopaminergica determinerebbe un’alterazione della struttura del sonno.
Recentemente è stata messa in evidenza la
comparsa di una sindrome, dose-dipendente, caratterizzata da ipersessualità e “gambling” (gioco d’azzardo) patologici.
Gli agonisti dopaminergici mostrano una ridotta incidenza delle complicazioni motorie in
generale, e studi clinici controllati hanno evidenziato una minore insorgenza di discinesie
dopo 5 anni di terapia in pazienti trattati con
agonisti dopaminergici rispetto a quelli trattati
con L-DOPA.
1. Derivati ergolinici
Bromocriptina
Chimica, meccanismo d’azione e farmacocinetica. La bromocriptina è una 2-bromo-·-ergocriptina, agonista dei recettori D2 e D3 e agonista parziale dei recettori D1; come molti deriva-
FARMACI UTILIZZATI NELLA TERAPIA DEL MORBO DI PARKINSON E DI ALTRI DISTURBI MOTORI
11
Figura 31.4. Agonisti dopaminergici
ergolinici
ti dell’ergot ha anche una moderata affinità per
i recettori α-adrenergici.
La sua biodisponibilità orale è del 10% poiché il 90% del farmaco viene metabolizzato dal
primo passaggio epatico. L’emività plasmatica
và dalle 6 alle 8 ore, con un legame alle proteine plasmatiche del 90%.
Posologia. La titolazione graduale varia drasticamente da una dose iniziale di 10 mg fino a
50 mg al giorno. Sono state confrontate nel tempo due strategie: l’impiego di basse dosi (10-30
mg/die) con incremento lento e graduale e quello di dosi elevate (36-50 mg/die) con incremento
rapido e contemporaneo impiego di domperidone per ridurre l’effetto emetico. La strategia
ad alto dosaggio è risultata più efficace rispetto a quella a basso dosaggio, anche se spesso
quella a basso dosaggio è più frequentemente
utilizzata per rendere maggiormente tollerabili
gli effetti collaterali.
In generale la bromocriptina dimostra una
buona efficacia in terapia associativa con L-DOPA ed in monoterapia nelle fasi iniziali della malattia. I dati ottenuti dal trattamento in monoterapia in fase precoce indicano una ridotta incidenza di discinesie e fluttuazioni motorie.
La bromocriptina è il farmaco meno efficace
tra gli agonisti dopaminergici, quindi viene usata con un dosaggio più elevato.
Cabergolina
Chimica, meccanismo d’azione e farmacocinetica. La cabergolina, N-[3-(dimetilamino)propil]N-[(etilamino)carbonil]- 6-(2-propenil)-8g-ergolina-8-carbossamide, è un agonista dopaminergico derivato sintetico dell’ergot con un’elevata
affinità per i recettori D2 e D3 e bassa affinità
per i recettori α-adrenergici.
La sua massima concentrazione plasmatica
viene raggiunta in 2-3 ore, possiede una biodisponibilità del 60% e si lega solo moderatamente
alle proteine plasmatiche (40%). Nonostante sia
ampiamente metabolizzata dal fegato, principalmente attraverso idrolisi del legame acilureico, ed eliminata attraverso la bile e le feci, la
sua emivita plasmatica è di circa 65 ore. L’entità del metabolismo da parte del citocromo
P450 è controversa, sembra tuttavia che farmaci come l’itraconazolo (antimicotico), un potente inibitore del CYP3A4, possano indurre un elevato aumento (300%) dei suoi livelli plasmatici.
Usi clinici. La cabergolina viene lentamente titolata a partire da 1 mg una volta al giorno, aumentando la dose di 0.5 o 1 mg settimanalmente
o bisettimanalmente, fino ad ottenere la massima risposta terapeutica o fino ad un incremento importante degli effetti collaterali. La dose
raccomandata è di 2-6 mg al giorno che, data
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FARMACI UTILIZZATI NELLA TERAPIA DEL MORBO DI PARKINSON E DI ALTRI DISTURBI MOTORI
la sua lunga emivita, viene somministrata una
sola volta al giorno.
Oltre all’utilizzo nella fase iniziale in monoterapia e nella malattia avanzata in associazione alla L-DOPA, la sua lunga emività rende la
cabergolina particolarmente adatta per il trattamento dell’acinesia notturna.
α-Diidroergocriptina
Chimica, meccanismo d’azione e farmacocinetica. L’α-diidroergocriptina ha una struttura simile alla bromocriptina dalla quale differisce per
un idrogeno in C9-C10 e per la mancanza di un
bromo in C2. È un agonista dei recettori D2 ed
agonista parziale dei recettori D1. È un alcaloide diidrogenato della segale cornuta con emivita plasmatica di 12 ore e biodisponibilità del
20%.
Usi clinici. La dose del farmaco deve essere modulata a seconda della risposta del paziente; la
terapia inizia con una dose consigliata di 5 mg
due volte al giorno che viene portata, con aumenti graduali bisettimanali di 5 mg, fino a 60120 mg giornalieri. Il trattamento con diidroergocriptina può dare sonnolenza ed indurre colpi di sonno improvvisi.
Lisuride
Chimica, meccanismo d’azione e farmacocinetica. La lisuride, 3-(9,10-dideidro-6-metilergolin8·-il)?1,1-dietilurea, è un ·-amino-ergolina che
possiede un’elevata affinità per i recettori D2, D3
e D4, con nessun effetto sui recettori D1. Come
gli altri derivati dell’ergot mostra una certa affinità verso i recettori ·-adrenergici. La lisuride
somministrata oralmente viene assorbita completamente nel tratto gastrointestinale e raggiunge la maggiore concentrazione plasmatica
in 60-80 minuti, con notevoli variazioni interindividuali. L’emivita plasmatica è di circa due
ore, la più breve rispetto alla maggior parte degli agonisti ergolinici. La biodisponibilità orale
della lisuride è bassa (10-20%) in quanto subisce il metabolismo epatico di primo passaggio
con la produzione di più di 15 metaboliti identificati. Il 60-70% del farmaco si lega alle proteine plasmatiche.
Posologia. La dose giornaliera usuale va da
1.5 a 4.5 mg, suddivisa in due somministrazioni. La lisuride è molto solubile in acqua per cui
può essere somministrata, oltre che per via orale, anche per via parenterale (sottocutanea ed
endovenosa) in quei pazienti che richiedono
un’infusione continua in alternativa all’apomorfina. Tuttavia, in modo simile a quest’ultima, può produrre noduli ed ulcerazioni cutanee nel punto di permanenza dell’ago durante
l’infusione. In casi isolati la lisuride può provocare un repentino calo pressorio e quindi modificare la prontezza di reazione.
Pergolide
Chimica, meccanismo d’azione e farmacocinetica. La pergolide, (8‚)?8-((metiltio)metil)?6-propil-ergolina, stimola anch’essa i recettori D2 e
D3, mostra una certa affinità per i recettori D1 e
D4 ed ha proprietà agonistiche sui recettori ·adrenergici. La sua lunga emivita, tra le 15 e le
42 ore, è comparabile a quella degli altri agonisti dopaminergici ergolinici richiedendo la
stessa frequenza di somministrazione (3 volte al
giorno). Il picco plasmatico viene raggiunto in
1-3 ore. La sua biodisponibilità è del 20% e viene principalmente eliminata per via renale.
Usi clinici. Oltre al suo utilizzo nella malattia
avanzata in associazione con la L-DOPA, viene
spesso usata anche in monoterapia in pazienti
mai trattati con altri farmaci dopaminergici. Il
trattamento comunemente usato è una lenta titolazione che va dalla dose iniziale di 0.5 mg a
quella finale di 4.5 mg al giorno. La dose giornaliera va da 1.5 a 4.5 mg.
Agli effetti collaterali, simili a quelli degli altri agonisti dopaminergici, si aggiungono alopecia e disfunzioni alle valvole cardiache.
2. Derivati non ergolinici
Apomorfina
Chimica, meccanismo d’azione e farmacocinetica
L’apomorfina, 10,11-diidrossiaporfina, è stato
il primo agonista dopaminergico identificato per
la sua efficacia antiparkinsoniana; tuttavia, il suo
uso e commercializzazione sono stati profondamente limitati dall’elevato effetto emetico. Questa diidro-aporfina presenta nella sua struttura
chimica gli elementi caratteristici della dopamina (la catena laterale con azoto e gli ossidrili catecolici), che la rendono un potente agonista dei
recettori dopaminergici D1 e D2, con elevata af-
FARMACI UTILIZZATI NELLA TERAPIA DEL MORBO DI PARKINSON E DI ALTRI DISTURBI MOTORI
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Figura 31.5. Agonisti dopaminergici
non ergolinici
finità anche per i recettori D3 e D4. L’apomorfina mostra una moderata affinità per i recettori
α-adrenergici.
L’apomorfina viene completamente assorbita
dal tratto gastrointestinale ma la sua biodisponibilità è molto bassa per il notevole metabolismo epatico di primo passaggio; le reazioni di
glucuronidazione, metilazione e demetilazione
epatica possono, infatti, inattivarla completamente. Per evitare l’effetto del primo passaggio
epatico viene quindi utilizzata la somministrazione sottocutanea che offre una rapida insorgenza dell’effetto farmacologico (8-10 minuti dopo la somministrazione) anche se con una notevole variabilità interindividuale. L’apomorfina è un farmaco lipofilico con una emivita molto breve di circa 40-50 minuti e si lega per il
95% alle proteine plasmatiche.
Usi clinici. L’apomorfina è molto efficace su tutti i sintomi parkinsoniani, ma essendo un forte
induttore del vomito, è necessario somministrarla in associazione a farmaci antiemetici come il domperidone.
Viene usata in somministrazione estemporanea sottocutanea per ridurre la durata dei periodi di “off” (blocco motorio) e le distonie dolorose o, più raramente, in infusione continua
diurna mediante pompa da infusione sottocutanea in pazienti con gravi fluttuazioni motorie
e refrattari ad altre terapie. Si tratta di pazienti
che presentano una bassa soglia per le discinesie e una soglia elevata per il raggiungimento
dello stato di “on” e che traggono quindi il massimo giovamento dalla stimolazione dopaminergica continua.
Le dosi comunemente usate vanno da 3 a 30
mg suddivise in più somministrazioni giornaliere che possono variare da 1 a 10 nell’arco della giornata. Quando le somministrazioni giornaliere necessarie sono più di 10 si effettua l’infusione continua diurna. Con questo tipo di
somministrazione un effetto collaterale importante è la possibile formazione di noduli ed ulcerazioni cutanee nel punto di permanenza dell’ago durante l’infusione. L’apomorfina viene
usata, al pari della L-DOPA, per eseguire il test farmacologico per la diagnosi della MP.
Piribedil
Chimica, meccanismo d’azione e farmacocinetica. Il piribedil, 2-[4-(benzo[1,3]diossol-5-ilmetil)piperazin-1-il]pirimidina, è un derivato della piperazina, agonista dei recettori D2 e D3 ed
antagonista dei recettori ·2-adrenergici. Quando
viene somministrato oralmente il picco plasmatico si raggiunge in un’ora, con un’eliminazione plasmatica relativamente lunga (circa 20 ore).
La solubilità del piribedil favorisce però la sua
somministrazione per via intravenosa e transdermica, ma queste vie di somministrazione
sono ancora in fase di sperimentazione.
Posologia. Il piribedil viene lentamente titolato
a partire dalla dose iniziale di 50 mg una volta al giorno per la prima settimana, aumentando la dose di 50 mg ogni settimana fino alla dose efficace di 150-250 mg al giorno suddivisa in
3 somministrazioni giornaliere.
È utilizzato sia in monoterapia che in combinazione con L-DOPA. Grazie alle sue proprietà
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FARMACI UTILIZZATI NELLA TERAPIA DEL MORBO DI PARKINSON E DI ALTRI DISTURBI MOTORI
di antagonista dei recettori α2-adrenergici, il piribedil aumenta la neurotrasmissione noradrenergica centrale ed estende la sua efficacia antiparkinsoniana anche a sintomi resistenti alla
L-DOPA come l’instabilità posturale ed i disturbi dell’andatura. Gli effetti collaterali sono
comuni agli altri agonisti dopaminergici non-ergolinici, tra essi sono predominanti i disturbi
del sonno, la nausea, le allucinazioni e disturbi
cognitivi.
Pramipexolo
Chimica, meccanismo d’azione e farmacocinetica. Tra i composti non-ergolinici, il pramipexolo, N’-propil-4,5,6,7-tetraidrobenzotiazolo2,6-diamino, derivato sintetico dell’aminobenzotiazolo, ha una più alta selettività verso i recettori dopaminergici D3 rispetto ai recettori D2
e D4. Il farmaco ha inoltre una minima attività
agonistica per i recettori α2-adrenergici e nessuna attività su altri recettori.
Il pramipexolo viene rapidamente assorbito
dopo somministrazione orale con una biodisponibilità superiore al 90% e raggiunge la massima concentrazione plasmatica in 2 ore; solamente il 20% del farmaco è legato alle proteine plasmatiche. Il pramipexolo viene escreto
inalterato dai reni e può essere quindi somministrato senza tener conto di interazioni con farmaci che sono metabolizzati attraverso gli enzimi del citocromo P450 epatico. L’emivita è di
8-12 ore, ed è influenzata dall’età del paziente
aumentando con l’avanzare di questa, probabilmente per il diminuito grado di filtrazione
glomerulare. Per questo motivo, la frequenza
della somministrazione deve essere ridotta nei
pazienti con alterazioni della funzionalità renale.
Posologia. La titolazione del pramipexolo
viene effettuata in più di tre settimane partendo dalla dose convenzionale di 0.5 mg fino a 4.5 mg al giorno (suddivisa in 3 somministrazioni), mentre la dose standard giornaliera va da 1.5 a 4.5 mg. Nonostante la relativamente bassa incidenza d’interruzione
della terapia, una significativa percentuale di
pazienti si lamenta degli effetti collaterali a
lungo termine del pramipexolo. Un recente
studio suggerisce un’efficacia particolare del
pramipexolo nel tremore resistente alla L-DOPA.
Ropinirolo
Chimica, meccanismo d’azione e farmacocinetica. Il ropinirolo, 4-(2-dipropilaminoetil)-1,3-diidroindol-2-one, ha un’alta affinità per i vari recettori dopaminergici D3>D2>D 4 ed essenzialmente nessuna interazione con altri recettori inclusi i recettori ·-adrenergici.
Il ropinirolo viene assorbito rapidamente in
seguito a somministrazione orale; la sua biodisponibilità è approssimativamente del 50% con
un legame alle proteine plasmatiche del 30%. Il
farmaco viene metabolizzato nel fegato e nessuno dei maggiori metaboliti circolanti ha attività farmacologica. Il principale enzima metabolico è l’isoenzima CYP1A2 del citocromo
P450. Il ropinirolo mostra una farmacocinetica
lineare sia dopo somministrazione acuta che cronica con un emivita di circa 6 ore. Il ropinirolo
può potenziare l’effetto anticoagulante del warfarin.
Posologia. Come gli altri agonisti dopaminergici deve essere inizialmente titolato lentamente a partire da una dose iniziale di circa 0.25
mg, tre volte al giorno, fino a raggiungere la
dose convenzionale giornaliera che va da 3 a 9
mg suddivisa in tre somministrazioni. Il dosaggio del ropinirolo può essere aumentato fino ad
un massimo di 24 mg al giorno.
Diversi studi indicano che l’utilizzo del ropinirolo in monoterapia, o insieme a basse dosi
di L-DOPA, negli stadi iniziali della malattia, riduce l’intensità e la frequenza delle discinesie
anche se a scapito di un miglioramento dei sintomi parkinsoniani rispetto ad una dose ottimale di L-DOPA.
Rotigotina
Chimica, meccanismo d’azione e farmacocinetica. La rotigotina, 2-(N-propil-N-2-tieniletilamino)-5-idrossitetralina, un agonista dopaminergico di nuova sintesi con struttura aminotetralinica, mostra una buona affinità per tutti i
recettori dopaminergici stimolando principalmente i recettori D3, mentre ha minore affinità
per i recettori D2 e ancor meno per i recettori
D1. Inoltre, il farmaco è antagonista dei recettori α2 adrenergici.
La breve emivita della rotigotina (90 min) dopo somministrazione orale rende sfavorevole la
terapia con questa via di somministrazione; tuttavia, l’alta lipofilicità rende il composto parti-
FARMACI UTILIZZATI NELLA TERAPIA DEL MORBO DI PARKINSON E DI ALTRI DISTURBI MOTORI
colarmente adatto al rilascio transdermico, qualità che lo caratterizza. Le concentrazioni di
steady-state, in seguito all’applicazione del cerotto transdermico, vengono raggiunte dopo 12 giorni e si mantengono stabili con una sola
applicazione giornaliera con una biodisponibilità di circa il 37%. In vitro, il legame della rotigotina alle proteine plasmatiche è di circa il
92%. La rotigotina viene in gran parte metabolizzata tramite N-dealchilazione e coniugazione
diretta e secondaria. I metaboliti principali sono coniugati solfati e glucuronidi della sostanza madre, oltre che metaboliti N-disalchilici, biologicamente inattivi. Il farmaco viene escreto
principalmente con le urine (71%), e in minor
misura (23% circa) con le feci.
Usi clinici. La singola dose iniziale di 2 mg nelle 24 ore viene aumentata settimanalmente di 2
mg nella 24 ore fino al raggiungimento della
dose efficace (massimo 8 mg nelle 24 ore). Nella maggior parte dei pazienti la dose efficace
viene raggiunta entro 3 o 4 settimane. Il farmaco
deve essere interrotto gradualmente (2 mg nelle 24 ore), possibilmente a giorni alterni, fino alla sospensione completa.
L’utilizzo della rotigotina è particolarmente
indicato in monoterapia per il trattamento dei
15
sintomi parkinsoniani allo stadio iniziale anche
se diversi studi indicano la sua efficacia anche
in associazione a basse dosi di L-DOPA nello
stadio avanzato della malattia.
Il cerotto per la somministrazione transdermica deve essere applicato a rotazione nelle diverse parti del corpo e non deve essere collocato sulla cute arrossata, irritata o danneggiata.
Inoltre, dato che lo strato di rinforzo del cerotto contiene alluminio, per evitare scottature della cute, deve essere rimosso se il paziente deve
sottoporsi ad un esame di risonanza magnetica
nucleare o a cardioversione. In generale, si deve evitare di esporre l’area cutanea su cui è stato applicato il cerotto al calore esterno, soprattutto in caso di rash cutaneo o irritazione.
FARMACI ANTICOLINERGICI
Meccanismo d’azione. Gli antagonisti colinergici sono stati usati per decenni nel trattamento della MP prima della introduzione della LDOPA e successivamente in terapia combinata
con L-DOPA.
Tutti i tipi di recettori per l’acetilcolina, muscarinici e nicotinici, sono abbondantemente
espressi nei gangli della base, prevalentemente
Figura 31.6. Agonisti anticolinergici.
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FARMACI UTILIZZATI NELLA TERAPIA DEL MORBO DI PARKINSON E DI ALTRI DISTURBI MOTORI
nel caudato-putamen. I farmaci anticolinergici
utilizzati nella MP agiscono a livello dei recettori muscarinici, mostrandosi efficaci nel ridurre il tremore e la rigidità muscolare, ma non l’acinesia e le alterazioni posturali.
Farmacocinetica. Vengono somministrati tutti
per via orale, l’assorbimento avviene rapidamente nell’intestino. La concentrazione plasmatica massimale si raggiunge dopo circa 1.30-2.30
ore, mentre il tempo di emivita varia a seconda del farmaco, da 16 ore per la orfenadrina a
33 ore per il triesifenidile. La biodisponibilità è
del 30-70% e il rapporto tessuto/plasma è elevato in quanto si tratta di molecole tutte altamente liposolubili, una proprietà che spiega le
elevate concentrazioni cerebrali.
Il metabolismo avviene per N-dealchilazione
o N-ossidazione del gruppo amminico, e l’eliminazione è per via urinaria e biliare, sia per i
composti immodificati che per i metaboliti.
Usi clinici. Diversi farmaci anticolinergici sono
correntemente usati in terapia; triesifenidile, biperidene, metixene, bornaprina e orfenadrina
sono comunemente impiegati in Italia.
L’indicazione terapeutica di questi farmaci è
per pazienti giovani con tremore a riposo o tremore non responsivo ai farmaci dopaminergici
e, in alcuni casi, di distonia associata alla MP.
Vengono usati in monoterapia negli stadi iniziali della malattia e in associazione con L-DOPA negli stadi più avanzati.
Effetti collaterali e Tossicità. L’utilizzo clinico
di questi farmaci è limitato da effetti indesiderati dovuti all’attività anticolinergica periferica
come offuscamento della vista, secchezza delle
fauci, ritenzione urinaria e costipazione. Si possono presentare inoltre effetti centrali quali per-
dita di memoria, confusione mentale, e talvolta
discinesie oro-facciali. Effetti collaterali di tale
natura, costituiscono controindicazione nell’uso
in pazienti anziani con disturbi della memoria,
ritenzione urinaria e glaucoma. La dose iniziale deve essere bassa e gli incrementi di dose graduali. Al fine di evitare un peggioramento dei
sintomi della MP, anche la sospensione della terapia deve essere lenta e graduale.
FARMACI INIBITORI DELLE MAO (MONOAMINOSSIDASI)
Meccanismo d’azione. Le MAO di tipo A e B,
sono isoenzimi mitocondriali caratterizzati da
una relativa specificità per substrati e farmaci
inibitori e da diversa struttura e localizzazione
tissutale. Sono deputati al catabolismo, mediante deaminazione ossidativa, di monoamine
endogene ed esogene assunte con la dieta, quali tiramina e triptamina. Mentre le MAO-A presentano una distribuzione ubiquitaria e metabolizzano prevalentemente noradrenalina, serotonina e dopamina, le MAO-B sono espresse più
abbondantemente nel SNC e metabolizzano, oltre alla dopamina, anche la feniletilamina e la
benzilamina.
L’azione farmacologica degli inibitori delle
MAO-B risiede quindi nel blocco della degradazione della dopamina, o della L-DOPA, a livello centrale (Figura 31.7), allo scopo di aumentarne i livelli e prolungarne l’effetto farmacologico. Gli inibitori selettivi delle MAO-B,
quali la selegilina e la rasagilina, quest’ultima
più potente e di recentissima introduzione, sono gli unici attualmente utilizzati in terapia. Rispetto agli inibitori non selettivi sono privi di
Figura 31.7. Inibitori della MAO-B
FARMACI UTILIZZATI NELLA TERAPIA DEL MORBO DI PARKINSON E DI ALTRI DISTURBI MOTORI
gravi effetti collaterali legati all’inibizione delle
MAO periferiche, quali crisi ipertensive causate dall’aumento dei livelli di dopamina o del
potenziamento degli effetti di amine simpaticomimetiche indirette (tiramina) assunte con alcuni cibi come formaggio e vino.
Infine per entrambe le classi è stata suggerita un’azione neuroprotettiva mediante meccanismi che appaiono legati al ridotto metabolismo della dopamina e alla conseguente diminuita produzione di radicali liberi tossici e ad
una azione antiapoptotica, indipendente dalla
azione inibitoria sulle MAO.
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Effetti collaterali e Tossicita. Le controindicazioni sono associate al trattamento con selegilina e sono legate ai suoi metaboliti, metamfetamina ed amfetamina, che possono essere causa
di stati d’ansia ed insonnia, in particolar modo
nell’anziano. L’uso della selegilina e rasagilina
è controindicato in associazione con altri inibitori MAO non selettivi per il rischio di crisi ipertensive e in associazione con antidepressivi triciclici e con inibitori della ricaptazione della serotonina.
FARMACI INIBITORI DELLE COMT (CATECOL-O-METILTRANSFERASI)
Selegelina
Farmacocinetica. La selegilina è rapidamente assorbita nel tratto gastrointestinale e la concentrazione plasmatica massimale viene raggiunta
dopo 0.30-2 ore. L’emivita plasmatica è di 1.303 ore. È una molecola liposolubile che si lega
per il 90% alle proteine plasmatiche, e si distribuisce molto rapidamente al cervello, in aree in
cui sono presenti elevate quantità di MAO-B.
La rasagilina, più potente della selegilina, è rapidamente assorbita per via orale e raggiunge
la massima concentrazione plasmatica in 30 minuti. Il legame alle proteine plasmatiche è del
60% circa e il tempo di emivita finale di circa 2
ore. L’eliminazione avviene prevalentemente per
via renale.
La selegilina e i suoi metaboliti attivi, metamfetamina e desmetilselegilina, esercitano anche un’azione farmacologia distinta dall’inibizione delle MAO-B, in quanto bloccano la ricaptazione della dopamina. La rasagilina viene
invece metabolizzata al composto aminoindano,
privo di attività amfetamino-simile.
Usi clinici. Gli inibitori delle MAO-B sono
indicati nelle fasi iniziali della MP in associazione con agonisti dopaminergici. In questo stadio della malattia, la rasagilina si è dimostrata efficace anche in monoterapia. Nelle fasi avanzate vengono somministrati in associazione con L-DOPA e inibitori delle decarbossilasi periferiche, in quanto consentono di limitare gli incrementi di dose/frequenza nella somministrazione della L-DOPA. In tal senso gli inibitori delle MAO-B consentono un maggiore controllo sulle fluttuazioni motorie legate al trattamento prolungato con L-DOPA.
Entacapone
Figura 31.8. Entacapone.
Meccanismo d’azione. Le COMT sono enzimi
responsabili del catabolismo della dopamina e
della L-DOPA che, mediante inserimento di un
gruppo metilico, producono i metaboliti inattivi 3-metossitiramina e 3-O-metildopa, rispettivamente (Figura. 31.8). L’azione di questi enzimi si esplica prevalentemente a livello periferico, nell’intestino, fegato e sangue, e in minima
parte a livello centrale. Quando la L-DOPA è
somministrata per via orale, in assenza di inibitori delle decarbossilasi, ha un’emivita plasmatica di circa 60 minuti, in quanto il 99% viene rapidamente metabolizzato dalle COMT e
dalle decarbossilasi degli l-aminoacidi aromatici, mentre solo una minima percentuale (1%)
raggiunge il cervello. La somministrazione combinata di inibitori delle decarbossilasi degli laminoacidi aromatici e L-DOPA, prolunga l’emivita plasmatica di quest’ultima a circa 90-180
minuti, e il 5-10% del farmaco raggiunge il cervello. In questa situazione le COMT diventano
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FARMACI UTILIZZATI NELLA TERAPIA DEL MORBO DI PARKINSON E DI ALTRI DISTURBI MOTORI
gli enzimi responsabili in maggior misura del
catabolismo della L-DOPA.
Farmacocinetica. Attualmente l’entacapone, un
potente inibitore reversibile delle COMT, a struttura nitrocatecolica, disponibile in preparazioni
con un unico principio attivo, o in associazione
con L-DOPA/carbidopa è l’unico farmaco presente in commercio, in quanto il tolcapone, che
inibisce anche le COMT centrali, è stato ritirato
dal commercio in Europa a causa della sua epatotossicità. È rapidamente assorbito per via orale, raggiunge la concentrazione plasmatica massimale in circa 1 ora dopo somministrazione orale di 200 mg. Presenta un elevato legame con le
proteine plasmatiche, subisce un esteso metabolismo di primo passaggio e la biodisponibilità è
di circa il 35%. A causa della breve emivita plasmatica di circa 90 minuti, l’entacapone deve essere somministrato con ciascuna dose di L-DOPA. È metabolizzato in minima parte al cis-isomero. L’eliminazione è prevalentemente biliare,
mentre circa il 10% viene escreto per via urinaria sotto forma di coniugato glucuronide.
Usi clinici. L’indicazione terapeutica principale
degli inibitori delle COMT è in associazione con
la L-DOPA e gli inibitori delle decarbossilasi degli L-aminoacidi aromatici, e il meccanismo terapeutico consiste nel blocco del metabolismo
periferico della L-DOPA, con conseguente aumento dell’emivita plasmatica e incremento della frazione di dose che raggiunge il cervello. L’inibizione delle COMT periferiche consente inoltre un apporto più continuo e livelli più stabili
di L-DOPA nel cervello, riducendo in tal modo
la stimolazione pulsatile dei recettori dopaminergici, considerata un fattore chiave per l’insorgenza delle discinesie associate al trattamento con L-DOPA. Gli inibitori delle COMT sono
pertanto indicati nel trattamento dei pazienti
che presentano fluttuazioni motorie causate dal
trattamento con L-DOPA, in quanto riducono il
periodo “off”, aumentano il periodo “on” e ritardano l’insorgenza delle discinesie.
Effetti collaterali e Tossicità. L’entacapone non
mostra gravi effetti collaterali; si possono presentare nausea e diarrea, che non richiedono comunque l’interruzione della somministrazione
e una innocua colorazione rosso-bruna delle urine. Può essere osservato un aumento delle discinesie, dovuto all’aumentata biodisponibilità
della L-DOPA a livello centrale, che può essere
contrastato aggiustando la dose di L-DOPA.
FARMACOLOGIA CLINICA
La terapia della MP è polivalente. Da un lato tende a migliorare la mobilità del paziente e
le altre disabilità anche cognitive, eventualmente
presenti, mediante riabilitazione psicomotoria,
dall’altro è di tipo farmacologico e prevede la
somministrazione di farmaci ad attività dopaminomimetica. La terapia farmacologica trova
due momenti fondamentali nel decorso della
malattia: la fase così detta di “compenso farmacologico”, della durata di circa cinque anni
dall’inizio della malattia, a cui segue la fase
“complicata” in cui insorgono disfunzioni motorie quali fluttuazioni nella risposta al farmaco e discinesie (vedi L-DOPA: complicanze motorie). A questo proposito, e per una più approfondita conoscenza sull’argomento, si fa riferimento alle numerose “linee guida” nazionali e internazionali formulate da commissioni di
esperti, al fine di uniformare i criteri per un uso
più razionale dei farmaci. L’età del paziente, il
suo impegno funzionale e l’accettazione del farmaco, guidano la scelta fra gli agonisti dei recettori della dopamina e il suo precursore LDOPA, tenendo presente che la terapia deve coprire il fabbisogno funzionale minimo (risparmio farmacologico).
Nella fase complicata della terapia, l’introduzione dell’inibitore periferico della catecolo-metiltransferasi (COMT) entacapone, può essere utile, così come l’introduzione di amantadina (vedi terapia delle discinesie). La strategia terapeutica, in questa fase, mira a frazionare le dosi di farmaco e a prolungarne l’efficacia per una stimolazione dopaminergica più
continuativa e meno “pulsatile”. Se le fluttuazioni motorie e le discinesie continuano, la terapia infusiva continuata con apomorfina o altri dopamino-agonisti si impone prima di considerare la terapia chirurgica della stimolazione profonda del nucleo subtalamico o altre
strutture cerebrali.
Le possibili complicanze e/o effetti indesiderati da farmaci, vengono trattati specificatamente. Trattamenti per la nausea e il vomito, per la stipsi, per l’ipotensione ortostatica,
per la psicosi e l’insonnia, vengono attuati con
l’intento di non interferire con le terapie dopaminergiche e, a questo proposito, l’esperienza del medico è di fondamentale importanza.
19
FARMACI UTILIZZATI NELLA TERAPIA DEL MORBO DI PARKINSON E DI ALTRI DISTURBI MOTORI
Tabella 46.1. Fattori che modificano l’assunzione di cibo.
Farmaci
o classi
di farmaci
Meccanismo
d’azione
Effetti collaterali Farmaci specifici Dose giornaliera Frequenza
totale media
media
di somministrazione
L-DOPA
Metabolizzata in
dopamina
dall’enzima
dopa-decarbossilasi
Acuti: Nausea,
ipotensione,
allucinazioni
e psicosi.
Cronici:
fluttuazioni
motorie, movimenti
discinetici
Nausea, ipotensione,
allucinazioni e
psicosi, edema
periferico, fibrosi
polmonare (per i
derivati dell’ergot),
improvvisi colpi
di sonno
Agonisti
Stimolazione
dopaminergici diretta dei recettori
dopaminergici
L-DOPA/carbidopa
(250/25)
L-DOPA/benserazide
(100/25)
Derivati ergolinici*
Bromocriptina
Cabergolina
Diidroergocriptina
Lisuride
Pergolide
Derivati
non ergolinici*
Apomorfina
400/40-800/80 mg
3-4 volte al giorno
400/100-800/200 mg 3-4 volte al giorno
15-30 mg
2-6 mg
60-120 mg
1.5-4.5 mg
1.5-4.5 mg
2-3 volte al giorno
1 volta al giorno
2 volte al giorno
2 volte al giorno
3 volte al giorno
12-84 mg
Piribedil
Pramipexolo
Ropinirolo
Rotigotina
150-250 mg
1.5-4.5 mg
3-9 mg
6-8 mg
Infusione
continua per 12 ore
3 volte al giorno
3 volte al giorno
3 volte al giorno
1 volta al giorno
Anticolinergici Antagonismo
dei recettori
colinergici
Secchezza delle
fauci e oculare,
ritenzione urinaria,
peggioramento
del glaucoma
e deficit cognitivi
Biperidene
Bornaprina
Metixene
Orfenadrina
Triesilfenilide
1-6 mg
6-12 mg
20-60 mg
200-400 mg
6-10 mg
3
3
3
3
3
Amantadina
Antagonismo dei
recettori NMDA e
nicotinici,
promozione del
rilascio di dopamina
Disfunzioni
cognitive, edema
periferico e
eruzioni cutanee
Nausea, vertigini,
Amantadina
50-200 mg
2 volte al giorno
Inibitori
delle MAO
Inibizione delle
disordini del
MAO-B e riduzione sonno e deficit
del metabolismo
cognitivi
della dopamina
Selegilina
Rasagilina
5-10 mg
1-4 mg
2 volte al giorno
2 volte al giorno
Inibitori delle
COMT
Inibizione delle
COMT e aumento
dei livelli della
L-DOPA
Entacapone
200 mg per ogni
dose di L-DOPA
Si associa ad ogni
dose di L-DOPA
Esacerbazione
degli effetti
collaterali della
L-DOPA, diarrea
TERAPIE EMERGENTI
La presenza nella MP di una degenerazione
di sistemi neuronali diversi dalla dopamina e
l’idea di modulare in modo positivo le risposte
volte
volte
volte
volte
volte
al
al
al
al
al
giorno
giorno
giorno
giorno
giorno
dei farmaci precursori della dopamina come la
L-DOPA o gli agonisti diretti dei recettori dopaminergici, insieme alla necessità di contrastare le discinesie, ha portato alla valutazione preclinica di numerosi farmaci “non dopaminergi-
20
FARMACI UTILIZZATI NELLA TERAPIA DEL MORBO DI PARKINSON E DI ALTRI DISTURBI MOTORI
ci” che agiscono sulla trasmissione dell’adenosina, del glutammato, della noradrenalina e della serotonina. Alcuni di questi come l’istradefillina, un antagonista dei recettori adenosinici
A2A, o il sarizotan, un agonista dei recettori della serotonina 5HT1A, sono al momento in trial
clinico e potrebbero, in futuro, arricchire l’armamentario di farmaci disponibili per il trattamento sintomatico della MP.
Gli antagonisti glutammatergici dei recettori
ionotropici NMDA e AMPA o metabotropici
mGlu, malgrado l’efficacia mostrata nel ridurre
le complicanze motorie del trattamento a lungo
termine con L-DOPA in modelli animali di MP,
hanno un’applicazione terapeutica per ora limitata dagli effetti collaterali dovuti all’interferenza con la trasmissione neuronale fisiologica
in varie strutture del SNC, dove i recettori del
glutammato sono abbondantemente distribuiti.
LA MALATTIA DI HUNTINGTON (MH)
La Malattia di Huntington (MH) è una patologia ereditaria degenerativa con progressione invalidante, caratterizzata dalla presenza di disturbi del movimento, disturbi del comportamento talvolta molto gravi e decadimento delle funzioni intellettive fino alla demenza. Ha una
prevalenza variabile nelle differenti parti del mondo con
valori in Europa di circa 5-10/100.000. In Italia si stima
pertanto che siano circa 6.000 le persone ammalate e 18.000
quelle a rischio di ereditare la malattia. La MH è ereditata con modalità autosomica dominante, per cui la discendenza di un genitore con la mutazione ha il 50% delle probabilità di essere affetta.
Fu George Huntington, nel 1872, nel suo articolo „On
corea” a descrivere per la prima volta i sintomi della malattia e a separarla dalle altre forme di corea. Il movimento
coreico costituisce la caratteristica distintiva della malattia. Secondo la World Federation of Neurology la corea è
“una condizione caratterizzata da movimenti spontanei,
eccessivi, irregolari nella ripetizione temporale, casualmente distribuiti ed improvvisi. La gravità della malattia
va da una lieve ed intermittente accentuazione dei normali movimenti gestuali delle mani ad un’andatura simile ad una danza fino ad un continuo fluire di movimenti
violenti e disabilitanti”. I movimenti coreici possono coinvolgere tutte le parti del corpo e questo rappresenta un
elemento distintivo della malattia. Gli altri sintomi motori della MH sono rappresentati da movimenti distonici, rigidità di tipo plastico, bradicinesia e acinesia, sintomi che
si manifestano soprattutto nelle fasi finali della malattia.
La MH è caratterizzata da una marcata perdita neuronale e da una estesa gliosi accompagnata da progressiva
atrofia dello striato e, successivamente, della corteccia cerebrale, del talamo e del nucleo subtalamico.
La perdita neuronale interessa in modo selettivo i neu-
roni GABAergici medi spinosi di proiezione nel caudatoputamen, mentre gli interneuroni e le fibre afferenti striatali non vengono coinvolti nella degenerazione neuronale.
I fattori che rendono i neuroni striatali di proiezione più
suscettibili alla lesione sono sconosciuti. Inoltre, la degenerazione del caudato-putamen segue dei criteri specifici
di progressione regionale partendo dalla coda del nucleo
e procedendo anteriormente dalla parte medio-dorsale a
quella latero-ventrale.
Nella sua forma classica, la MH è una patologia neurodegenerativa che insorge nell’età media (35-45 anni) e
che si caratterizza per la presenza di sintomi neurologici
associati a demenza con esito infausto dopo 15-20 anni di
malattia. I pazienti che presentano caratteristiche cliniche
diverse rispetto alla descrizione classica vengono spesso
definiti affetti da forme “atipiche” di MH.
Nel 1983 il gene collegato alla MH fu localizzato sul
braccio corto del cromosoma 4 ma solo 10 anni dopo, nel
1993, fu isolato ed identificato come “Interesting transcript
15” (IT15). Il prodotto di questo gene è una proteina di
348-KDa chiamata huntingtina che svolge funzioni molto
importanti ma non ancora del tutto conosciute.
Il gene IT15 non colpito dalla mutazione presenta al
suo interno una specifica sequenza di nucleotidi CAG (che
corrisponde all’aminoacido glutammina) che si ripete tra
9-35 volte, mentre, se è presente la mutazione, questa sequenza si ripete per un numero eccessivo di volte (da 39
ad oltre 100). Una ripetizione delle sequenze tra 35 e 39
volte si può trovare negli alleli intermedi; gli individui con
alleli intermedi sviluppano la malattia più tardi o non la
sviluppano affatto. Sembra, inoltre, che il numero di ripetizioni della sequenza CAG nel gene IT15 sia inversamente
proporzionale all’età d’insorgenza della patologia. Questa
correlazione è maggiore negli individui con esordio prima
dei 30 anni mentre negli individui con esordio dopo i 30
anni la correlazione è meno significativa. Inoltre, è stata
descritta la possibilità di un aumento del numero di CAG
da un individuo alla progenie, soprattutto quando la mutazione è di origine paterna. Inoltre, nonostante la MH
venga ereditata ugualmente sia dalla madre che dal padre, più dell’80% dei pazienti che sviluppano i sintomi prima dei 20 anni sembra che ereditino il difetto dal padre.
Questo processo detto “anticipazione” è un fenomeno comune ad altre patologie neurodegenerative a carattere ereditario.
TRATTAMENTO FARMACOLOGICO E
CENNI SUI TRATTAMENTI SPERIMENTALI
L’approccio terapeutico alla MH è essenzialmente di tipo sintomatico, non esistendo al momento terapie che consentano di bloccare o rallentare il decorso progressivo della malattia.
Inoltre, l’intervento sui disturbi motori provoca
spesso effetti collaterali sui problemi psichici e
viceversa. Infine i farmaci che sono efficaci in
FARMACI UTILIZZATI NELLA TERAPIA DEL MORBO DI PARKINSON E DI ALTRI DISTURBI MOTORI
una fase della malattia possono non esserlo in
un’altra.
In generale, il trattamento della MH non è
consigliato fino a che i sintomi non sono invalidanti; nelle prime fasi della malattia il trattamento farmacologico è necessario per i pazienti depressi, irritabili, ansiosi, paranoici e psicotici. Per quanto riguarda i disturbi psichici, si
cerca di intervenire sulla depressione che affligge gran parte dei malati tramite i comuni
farmaci antidepressivi, con il risvolto negativo
che l’attività anticolinergica di questi farmaci
porta ad un peggioramento dei movimenti coreici. Tra gli antidepressivi viene preferita la
fluoxetina efficace sia per la depressione che per
l’irritabilità. Anche la carbamazepina è stata
usata con efficacia contro la depressione. Sugli
stati di allucinazione e sulle psicosi si interviene con i neurolettici utilizzandoli a basse dosi
per minimizzare sia gli effetti a livello cognitivo che i disturbi a livello motorio e sospendendoli non appena i sintomi psichiatrici si sono risolti. Si preferisce l’utilizzo degli antipsicotici atipici, tra cui il risperidone, che sembrano efficaci nel trattamento della corea e della psicosi. Dopo l’inizio del trattamento, il paziente sperimenta un miglioramento dell’andatura e nell’abilità delle mani e si registra una
diminuzione dei movimenti coreiformi dalla seconda settimana di trattamento. L’olanzapina è
una buona alternativa nei pazienti affetti da
MH, principalmente per i sintomi psichiatrici ed
è moderatamente efficace per i sintomi motori.
Per quanto riguarda i disturbi di tipo motorio, il protocollo d’intervento classico prevede
che questi vengano tenuti sotto controllo con
ansiolitici o sedativi, per arrivare all’uso di farmaci che abbassano i livelli di dopamina, come
reserpina e tetrabenazina, consci della depressione che questi possono indurre. Molti pazienti
hanno un peggioramento dei movimenti involontari quando sono in ansia o sotto stress; in
questi casi l’uso di benzodiazepine ansiolitiche
o sedative può essere d’aiuto.
Nella MH giovanile, in cui la rigidità prevale sulla corea, gli agonisti dopaminergici hanno
avuto risultati disomogenei nel migliorare questo sintomo. Tali pazienti spesso sviluppano
mioclono e convulsioni che possono rispondere al clonazepam, acido valproico o altri anticonvulsivanti.
L’ipotesi che l’eccitotossicità sia alla base del-
21
la MH, come osservato anche in altre patologie
neurodegenerative, ha portato alla sperimentazione clinica del riluzolo, farmaco già usato nella sclerosi laterale amiotrofica, in grado di antagonizzare la neurotrasmissione eccitatoria mediata dal glutammato. I risultati finora ottenuti
suggeriscono un effetto transitorio del riluzolo
sulla corea ed un’efficacia più sostanziale nel
migliorare la velocità dei processi psicomotori
e nel contrastare la gravità e la frequenza delle
disfunzioni comportamentali.
Un’altra ipotesi sui meccanismi degenerativi
coinvolti nella MH è quella della disfunzione
metabolica quale un aumentato metabolismo
anaerobico neuronale che porterebbe all’accumulo di acido lattico e alla carenza di substrati energetici alternativi quali la fosfocreatinina.
Un intervento farmacologico a questo livello mira ad aumentare i livelli di fosfocreatinina attraverso l’utilizzo di creatina, attivatore della
creatin-chinasi.
Le persone affette da MH hanno un elevato
fabbisogno calorico e supplementi nutrizionali
possono quindi essere d’aiuto per mantenere o
aumentare il peso corporeo. Estremamente importante è il mantenimento di esercizio fisico
quotidiano che favorisce una migliore qualità di
vita del paziente a livello sia fisico che psichico. Un ulteriore miglioramento della qualità di
vita si ottiene con una terapia del linguaggio,
in quanto la malattia può rendere difficoltosa la
parola con il risultato di un progressivo isolamento del paziente, anche se la comprensione
è conservata.
TIC E MALATTIA DI GILLES DE LA TOURETTE
I tic sono movimenti involontari che interessano gruppi di muscoli sinergici in una o più parti del corpo. Sono
movimenti bruschi, sovente stereotipati e iterativi. Essi ricordano, in maniera caricaturale, certe attività mimiche o
gestuali della vita relazionale. I tic si distinguono in semplici e complessi. I tic semplici sono movimenti involontari, talvolta possono essere soggetti a soppressione volontaria (anche se con grande sforzo), stereotipati e ripetitivi, con frequenza fluttuante presenti in alcune circostanze, ma non in altre assenti quando il soggetto è concentrato, prevalenti a carico di faccia e collo e più frequenti
nei maschi (1%) che nelle femmine (0,1%). Generalmente
durano da qualche settimana a meno di un anno. I tic complessi si caratterizzano per sequenze motorie che assumono significato di gesto e che coinvolgono fino a tre gruppi muscolari contemporaneamente, tendono a cronicizza-
22
FARMACI UTILIZZATI NELLA TERAPIA DEL MORBO DI PARKINSON E DI ALTRI DISTURBI MOTORI
re ed interessano sia i bambini che gli adulti. Esempio di
tic complessi o cronici è la sindrome di Gilles de La Tourette, che insorge fra i 2 e i 15 anni e dura tutta la vita. Si
manifesta con numerosi tic oscillanti del volto e delle spalle, accompagnati da vocalizzazioni, tosse, schiarite di gola, aspirazione nasale, coprolalia (emissione di parole di
significato osceno), ecolalia e palilalia (ripetizione di vocalizzazioni di altre persone) ed ecocinesi (imitazione di
movimenti altrui). Questo disturbo ha una prevalenza pari allo 0,05%, esordisce tra i 5 e i 15 anni e presenta un
decorso caratterizzato da remissioni e ricadute.
I tic semplici hanno in genere un andamento del tutto
benigno, con tendenza alla regressione spontanea. Nella
maggior parte dei casi è sufficiente dare alcuni suggerimenti alla famiglia, invitandola a una condotta di attesa.
TRATTAMENTO FARMACOLOGICO
La terapia farmacologica, da prescrivere ed effettuare sotto controllo specialistico, va riservata ai casi gravi e complessi, soprattutto se associati a disturbi comportamentali. La terapia è sintomatica e spesso deve essere condotta per tutta la vita. Il trattamento oggi più usato nella malattia di Gilles de la Tourette è la tetrabenazina.
La clonidina allevia i tic motori e vocali in alcuni bambini, probabilmente riducendo l’attività
dei neuroni noradrenergici del locus coeruleus.
La dose iniziale è di 2-3 mg/kg al giorno e viene aumentata a 4 mg/kg dopo due settimane e
a 5 mg/kg se necessario. Gli effetti collaterali
comprendono ipotensione, sedazione, diarrea e
riduzione o aumento della salivazione. L’aloperidolo è stato ampiamente usato per diversi anni. Somministrato inizialmente a basse dosi (0,25
mg) viene progressivamente aumentato fino al
raggiungimento delle dose terapeutica ottimale
compresa tra 2 e 8 mg/die. Gli effetti collaterali sono rappresentati da disturbi extrapiramidali, sedazione, xerostomia, offuscamento del visus e disturbi gastroenterici. La pimozide può
essere utilizzata quando l’aloperidolo risulta
inefficace o non viene tollerato.
MALATTIA DI WILSON
La malattia di Wilson è caratterizzata da un
disturbo del metabolismo del rame determinato geneticamente con trasmissione autosomica
recessiva. La compromissione della normale
escrezione di rame epatico dà luogo ad un accumulo tossico di questo metallo nel fegato, nell’encefalo soprattutto nei nuclei lenticolari, e in
altri organi come la cornea (anello di Kaiser e
Fleischer). La malattia si manifesta con una prevalenza di 1/30.000 e una frequenza di portatori eterozigoti della mutazione di 1 su 90 soggetti.
Nella maggioranza dei casi la malattia si presenta come una malattia neurologica, rimanendo latente la lesione epatica. L’esordio avviene
tra i 15 e i 30 anni di età, con associazione variabile di fenomeni distonici e discinetici.
La sindrome discinetica è dominata dal tremore. All’inizio può essere un tremore discreto,
localizzato al polso, in seguito, sempre prevalendo agli arti superiori, il tremore si estende e
diventa più importante, disturbando i movimenti.
La sindrome distonica è molto varia. Può essere di tipo parkinsoniano, con rigidità plastica
e distonia in flessione. Più caratteristica è una
ipertonia d’azione che esordisce durante la marcia o nel corso di movimenti volontari che vengono bloccati da spasmi posturali o soprattutto
in occasione della parola o di movimenti mimici che possono irrigidire il volto in una smorfia.
L’insorgenza preferenziale durante l’azione di
fenomeni discinetici o distonici, giustifica in larga parte le difficoltà motorie di questi soggetti:
disturbi della marcia, disartria, grave impedimento dei movimenti più fini, specie nella scrittura. Peraltro i disturbi motori dipendono, almeno in parte, da un fattore difettivo, l’acinesia, che si caratterizza per la povertà della mimica, la rarità, la lentezza e l’incompiutezza dei
movimenti, così come per l’abbassamento della
voce che può diventare appena udibile.
Tra le altre manifestazioni neurologiche della
malattia occorre ricordare la possibilità di crisi
epilettiche focali o generalizzate. Non è rara la
comparsa di disturbi psichici, come la modificazione dell’umore, disturbi del carattere e scadimento del rendimento scolastico, nonché chiari episodi psicotici; inoltre nel corso della malattia si può anche osservare l’insorgenza di un
deterioramento intellettivo che può arrivare fino alla demenza.
TRATTAMENTO FARMACOLOGICO
Il trattamento consiste nella rimozione e nella neutralizzazione dei depositi di rame il più
rapidamente possibile e deve essere intrapreso
una volta che la diagnosi sia certa, indipendentemente dal fatto che il paziente sia malato
FARMACI UTILIZZATI NELLA TERAPIA DEL MORBO DI PARKINSON E DI ALTRI DISTURBI MOTORI
BOX 31.1
BASI NEUROANATOMICHE E NEUROFISIOLOGICHE DELLA MALATTIA DI PARKINSON:
I GANGLI DELLA BASE
I gangli della base (BG) sono un sistema di nuclei situato nel telencefalo basale, funzionalmente inseriti all’interno di circuiti più ampi deputati alla elaborazione
delle informazioni senso-motorie nel SNC extrapiramidale, con il fine ultimo di consentire la corretta esecuzione
del movimento volontario. I BG sono interposti tra la corteccia cerebrale e il talamo motorio ventrolaterale (THvl),
e svolgono il ruolo precipuo di elaborare i segnali provenienti dalla corteccia che vengono rimandati ad essa attraverso il THvl. Una disfunzione nell’organizzazione funzionale dei BG è alla base di numerose patologie motorie neurodegenerative, come la MP e la MH, in cui si assiste ad una perdita del controllo dell’esecuzione del movimento volontario.
Diversi nuclei interconnessi costituiscono i BG: i nu-
cleo caudato, il putamen, il globo pallido esterno (GPe),
il nucleo subtalamico (STN), il globo pallido interno (GPi)
denominato nucleo entopeduncolare (EPN) nei roditori, e
la sostanza nera (SN). Il nucleo caudato e il putamen
(CPu), parzialmente separati dalla capsula interna nei primati, presentano caratteristiche anatomiche e funzionali
simili. A differenza dei primati, nei roditori il CPu costituisce un’unica struttura anatomica, denominata complessivamente striato.
La principale popolazione neuronale striatale è rappresentata da neuroni spinosi medi di proiezione, che costituiscono circa il 95% dei neuroni e sono di tipo GABAergico. Il rimanente 5% è rappresentato da interneuroni aspinosi contenenti acetilcolina, GABA, somatostatina NADPH-diaforasi. Il CPu, che da un punto di vista
Figura BOX 31.1. Rappresentazione classica dei gangli della base in condizioni fisiologiche (a), e in presenza di disordini del movimento quali la malattia di Parkinson (b) e la malattia di Huntington (c). Per le abbreviazioni vedere il testo
(Box 1). La linea tratteggiata indica le popolazioni neuronali che vanno incontro a degenerazione nelle due patologie.
Obeso J A et al, 2000, Pathophysiology of the basal ganglia in Parkinson’s disease. Trends Neurosci, 23, S8-19.
23
24
FARMACI UTILIZZATI NELLA TERAPIA DEL MORBO DI PARKINSON E DI ALTRI DISTURBI MOTORI
SEGUE BOX 31.1
funzionale rappresenta il nucleo di accesso ai BG, riceve
le principali proiezioni afferenti, di tipo glutammatergico
eccitatorio, dalla corteccia cerebrale (fig 1a). Il GPi e la SN
pars-reticolata (SNr), sono a loro volta situati in posizione di uscita dai BG, esercitando un controllo tonico inibitorio, di tipo GABAergico, sui neuroni del THvl (fig 1a).
Interposti tra le strutture in ingresso e in uscita, si trovano due sistemi di proiezione, originanti da popolazioni
striatali differenti, denominati “via diretta” e “via indiretta”. La prima origina dai neuroni striatali contenenti
GABA e i neuropeptidi dinorfina e sostanza P, e proietta,
con modalità monosinaptica, al GPi e SNr (figura BOX
1a). La “via indiretta” invece origina dai neuroni striatali contenenti GABA e il peptide enkefalina e proietta al
GPi/SNr con modalità polisinaptica, attraverso il GPe o
attraverso il GPe-STN (fig 1a). Il CPu riceve inoltre una
innervazione dopaminergica originante dalla SN parscompacta (SNc). La dopamina modula la trasmissione
striatale per azione sui recettori della famiglia D1, di tipo
stimolatorio, localizzati prevalentemente nei neuroni del-
o asintomatico. Occorre, per prima cosa, scegliere un regime alimentare che apporti rame in
quantità minima e contemporaneamente somministrare sostanze che ne riducano l’assorbimento intestinale come il solfuro di potassio o
resine a scambio ionico. La parte essenziale del
trattamento mira ad ottenere la mobilizzazione
del rame tissutale e la sua eliminazione urinaria. La terapia chelante con D-penicillamina, per
bocca alla dose di 1 o 2 g al giorno, rappresenta il trattamento di elezione e deve essere proseguita indefinitamente, in modo continuo o discontinuo, a seconda dell’entità dell’eliminazio-
la “via diretta”, e sui recettori della famiglia D2, di tipo
inibitorio, localizzati principalmente sui neuroni della “via
indiretta”. L’azione fisiologica risultante della dopamina
è un’influenza facilitatoria sulla “via diretta” e inibitoria
sulla “via indiretta”. Uno sbilanciamento nell’attività di
queste due vie è alla base dei sintomi di ipocinesia o ipercinesia che caratterizzano le malattie motorie neurodegenerative. Nella MP, caratterizzata da bradicinesia e ipocinesia, la carenza di modulazione dopaminergica striatale
risulta in una ridotta attività della via diretta per mancata attivazione dei recettori D1 stimolatori e iperattività della via indiretta, per mancata attivazione dei recettori D2
inibitori e conseguente iperattività del STN. Il risultato è
una eccessiva attività dei neuroni inibitori del GPi/SNr
sui neuroni talamici (Figura BOX 1b). All’estremo opposto la MH, caratterizzata da sintomi di ipercinesia, origina da una degenerazione dei neuroni GABAergici striatali, con conseguente iperattività del GPe, inibizione del
STN e insufficiente attività inibitoria del GPi/SNr sui nuclei talamici (Figura BOX 1c).
ne urinaria del rame. La comparsa di segni di
intolleranza come leucopenia, trombocitopenia,
proteinuria, o un peggioramento dei sintomi
neurologici, impongono la sostituzione del farmaco con la trientina (un chelante del rame).
Un’altra possibile terapia è costituita dalla zinco acetato o gluconato efficace soprattutto come terapia di mantenimento nei pazienti asintomatici.
Questi metodi terapeutici hanno radicalmente modificato la prognosi della malattia di Wilson permettendo di ottenere un miglioramento
duraturo dei segni neurologici.
FARMACI UTILIZZATI NELLA TERAPIA DEL MORBO DI PARKINSON E DI ALTRI DISTURBI MOTORI
BOX 31.2
MODELLI ANIMALI DI VALUTAZIONE DEI FARMACI ANTIPARKINSON
Numerosi modelli di MP sono stati sviluppati in un
ampia varietà di specie animali (topo, ratto, gatto, scimmia e molte altre specie inclusa la drosofila): si distinguono in farmacologici (inibizione o blocco farmacologico della funzione dopaminergica), neurotossici (somministrazione di neurotossine del sistema dopaminergico) e
genetici (sviluppo di animali transgenici).
Modelli farmacologici: il modello della reserpina fu il
primo utilizzato per sperimentare trattamenti sintomatici
antiparkinson. La reserpina rimuove il contenuto di catecolamine bloccandone l’immagazzinamento vescicolare e
producendo nei roditori una sindrome transitoria caratterizzata da ipocinesia, bradicinesia, tremore fino ad arrivare alla completa acinesia e catalessia. Il parziale antagonismo della sindrome da reserpina prodotto dalla LDOPA ha portato alla terapia con questo farmaco. Un sostanziale inconveniente di questo modello è che la reserpina agisce su tutte le monoamine. L’altro modello farmacologico della MP è costituito dalla catalessia indotta
dai neurolettici classici come aloperidolo, antagonista dei
recettori dopaminergici D2. La catalessia si caratterizza per
il ritardo o l’assenza di correzione di posizioni innaturali che l’animale viene forzato ad assumere. Questi modelli
indotti farmacologicamente, sono attualmente utilizzati
come metodo di screening del potenziale terapeutico antiparkinson dei farmaci, non essendo ovviamente adatti
all’analisi dei meccanismi causali della MP.
Modelli basati con l’impiego delle neurotossine: la 6idrossidopamina (6-OHDA) è la tossina più frequentemente utilizzata per la creazione di modelli di MP. Il modello più comunemente usato è caratterizzato da una degenerazione unilaterale dei neuroni dopaminergici nigrostriatali nel ratto. La tossina viene iniettata direttamente
in una delle tre aree cerebrali: sostanza nera pars-compacta, fascio mediale del proencefalo o caudato-putamen.
La 6-OHDA viene preferenzialmente catturata dai trasportatori della dopamina e, una volta dentro il neurone,
si accumula nel citoplasma, generando specie reattive dell’ossigeno (ROS) e chinoni che attaccano i gruppi nucleofili
provocando degenerazione dei neuroni dopaminergici nigrostriatali. L’infusione unilaterale di 6-OHDA causa uno
sbilanciamento della funzione motoria tra i due emisferi,
inducendo da parte della somministrazione di farmaci dopaminergici una risposta locomotoria, definita rotazione
o “turning”, selettivamente diretta verso la parte del corpo opposta o corrispondente alla lesione. La L-DOPA e
farmaci che stimolano direttamente o modulano positivamente i recettori dopaminergici, inducono una rotazione controlaterale dovuta alla supersensitività dei recettori e dei sistemi di trasduzione dopaminergici dello striato causata dalla deplezione dopaminergica. Al contrario,
i farmaci che rilasciano dopamina (amfetamina) agiscono
selettivamente nello striato intatto, inducendo una rotazione omolaterale rispetto al lato leso. Questo test offre
una misura predittiva in vivo, dell’efficacia sintomatica dei
farmaci.
Oltre alla rotazione, nel modello del ratto della 6-OHDA può essere eseguita una valutazione dei sintomi della MP molto più fine: i ratti sviluppano acinesia, rigidità
muscolare, deficits dell’andatura e dell’integrazione senso-motoria analoghi ai sintomi presenti nell’uomo. Recentemente diverse strategie sono state messe a punto per
quantificare questi deficits ed il loro recupero da parte ai
farmaci antiparkinson (test delle vibrisse, stepping test,
pole test, test del cilindro).
La metamfetamina, derivato dell’amfetamina, a dosi
elevate, produce un modello neurotossico di MP nei roditori e nei primati. Singole o multiple dosi di metamfetamina sistemica inducono alterazioni istopatologiche e
pato-biochimiche del sistema dopaminergico nigrostriatale, caratteristiche della MP. Il meccanismo della sua neurotossicità è strettamente legato alla massiccia liberazione
di dopamina e alla conseguente perturbazione degli enzimi antiossidanti che portano all’accumulo di ROS tra
cui H2O2, superossidi e radicali ossidrile.
Un notevole passo avanti nella ricerca della MP, in particolare nella comprensione della sua patogenesi, è stato
fatto con la scoperta, nel 1980, della neurotossina 1-metil-4-fenil-1,2,3,6-tetraidro-piridina (MPTP), che produsse
i peculiari sintomi parkinsoniani in giovani che accidentalmente si somministrarono la tossina. Nel cervello,
l’MPTP è ossidato dalle MAO-B a MPP+, il quale inibisce
il complesso I mitocondriale, diminuendo l’ATP cellulare
e stimolando la produzione di ROS. Il modello sperimentale dell’MPTP nei primati presenta molte caratteristiche simili alla MP dell’uomo: 1) alterazioni motorie,
quali bradicinesia e rigidità muscolare; 2) le basi neuropatologiche dei deficit motori indotti dall’MPTP risiedono in una lesione dei neuroni dopaminergici nigrostriatali che non coinvolge i neuroni dell’area ventrale del tegmento. Il trattamento dei primati con MPTP permette lo
studio dei farmaci in fase preclinica, attraverso l’utilizzo
di scale di riferimento, simili a quelle usate in clinica, che
valutano i diversi sintomi parkinsoniani. Un altro modello
con MPTP molto diffuso viene realizzato nei topi. Una
singola o ripetute somministrazioni di MPTP nel topo inducono perdita dei neuroni dopaminergici e ipomotilità
che è antagonizzata dalla L-DOPA.
L’abilità dell’MPTP di indurre una condizione parkinsoniana e diversi studi epidemiologici hanno suggerito
che fattori ambientali come i pesticidi possano aumentare il rischio di MP. Diversi pesticidi quali rotenone, paraquat, dieldrin e maneb causano deficit motori nei roditori e nei primati, in particolare, il rotenone e il paraquat
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FARMACI UTILIZZATI NELLA TERAPIA DEL MORBO DI PARKINSON E DI ALTRI DISTURBI MOTORI
SEGUE BOX 31.2
in modo simile all’MPTP portano alla formazione di ROS
e inibiscono il complesso I mitocondriale. Di particolare
interesse è l’evidenza sperimentale legata all’infusione cronica di rotenone che produce la formazione dei corpi di
Lewy e lo sviluppo di deficits comportamentali di tipo
parkinsoniano nel ratto. Tuttavia, il modello del rotenone
presenta alcuni limiti tra cui la specificità della morte cellulare e la riproducibilità. I modelli murini dell’MPTP così come quelli della metamfetamina, rotenone e paraquat
sono usati quasi esclusivamente per valutare i meccanismi della neurodegenerazione o i parametri biochimici
correlati agli effetti neuroprotettivi dei farmaci, piuttosto
che per studiare i parametri comportamentali, dato che le
alterazioni comportamentali e l’ipomotilità osservati in
questi modelli sono spesso poco consistenti.
Un altro modello che utilizza la neurodegenerazione
nigrostriatale della MP implica lo stress ossidativo, in cui
il ferro è direttamente coinvolto attraverso la reazione di
Fenton. Nei roditori, l’infusione stereotassica diretta di citrato ferroso nella sostanza nera, induce morte cellulare e
alterazioni neurochimiche inclusa la deplezione di dopamina. Questo particolare modello è stato utile per com-
prendere il ruolo del ferro nella mediazione della morte
cellulare.
Modelli genetici: la scoperta che certe forme di MP
sono di origine genetica, insieme con l’identificazione delle proteine che formano i corpi di Lewy nei pazienti
parkinsoniani, ha portato alla generazione di topi manipolati geneticamente caratterizzati da un’alterata espressione delle proteine presenti nei corpi di Lewy o che partecipano alla via ubiquitina-proteasoma: ·-sinucleina,
parkina ed ubiquitina C-terminale idrolasi L1. Questi modelli genetici utilizzati per valutare il ruolo di specifiche
proteine associate alla MP, non riescono però a replicare
i sintomi motori della malattia per essere utilizzati in modo alternativo ai modelli neurotossici.
- Carta AR, Pinna A, Morelli M. How reliable is the behavioural evaluation of dyskinesia in animal models of Parkinson’s disease? Behav Pharmacol. 2006; 17(5-6):393-402.
- Gerlach M, Riederer P. Animal models of Parkinson’s disease: an empirical comparison with the phenomenology
of the disease in man. J Neural Transm. 1996;103(8-9):9871041.
FARMACI UTILIZZATI NELLA TERAPIA DEL MORBO DI PARKINSON E DI ALTRI DISTURBI MOTORI
BOX 31.3
TERAPIA DELLE DISCINESIE
La terapia con L-DOPA è associata, nel lungo periodo,
alla comparsa di fluttuazioni motorie e di movimenti incontrollati denominati discinesie, che possono essere talmente invalidanti da richiedere un riesame della terapia
stessa. La prevenzione e il trattamento delle discinese indotte da L-DOPA rappresenta tuttora un problema per larga parte irrisolto. Nei pazienti giovani, la prevenzione consiste nel somministrare agonisti dopaminergici in monoterapia, aggiungendo la L-DOPA con l’aggravarsi dei sintomi della malattia, quando il paziente non risponde più alla terapia con gli agonisti dei recettori dopaminergici. Nei
pazienti anziani, l’approccio terapeutico per la prevenzione delle discinesie consiste nell’utilizzare, all’inizio della terapia, un’associazione di L-DOPA e agonisti dopaminergici allo scopo di somministrare dosaggi minori di L-DOPA.
Il trattamento delle discinesie viene inizialmente affrontato mediante un aggiustamento della terapia con LDOPA, che deve essere personalizzata per ciascun paziente e che ha lo scopo di mantenere i livelli plasmatici
e cerebrali di L-DOPA il più possibile stabili nell’intervallo terapeutico, cioè all’interno della soglia efficace ma
al di sotto di quella in grado di indurre discinesie.
Le strategie utilizzate consistono nel ridurre la dose individuale di L-DOPA, suddividere la dose giornaliera in
più somministrazioni, utilizzare le formulazioni di L-DOPA a rilascio modificato. Per il trattamento delle discinesie severe può essere utilizzata l’infusione continua di apomorfina. Quando gli inibitori delle MAO (selegilina), sono utilizzati in associazione con la L-DOPA nel trattamento della MP, può essere necessaria l’interruzione della terapia o una riduzione della dose di inibitore, qualora si osservi un peggioramento delle discinesie. Nelle discinesie gravi, che non rispondono al trattamento farmacologico, può essere valutato l’approccio chirurgico, mediante la stimolazione cerebrale profonda.
Nonostante non esistano farmaci specifici per il trattamento delle discinesie indotte da L-DOPA, l’amantadina
e la clozapina si sono dimostrate particolarmente efficaci.
Oltre a queste, possono essere utilizzati la quetiapina e l’olanzapina. Per il trattamento delle distonie, può essere utile la somministrazione locale di tossina botulinica.
Amantadina
L’esatto meccanismo alla base dell’azione antidiscinetica dell’amantadina non è noto ma sembra comunque legato alla sua azione di antagonista non competitivo sui
recettori glutammatergici N-metil-D-aspartato (NMDA).
La trasmissione glutammatergica nei gangli della base gioca infatti un importante ruolo nei meccanismi di insorgenza delle fluttuazioni motorie associate alla terapia con
L-DOPA.
Nei primi stadi della MP, l’amantadina viene utilizzata come farmaco sintomatico in monoterapia o in asso-
ciazione con gli antagonisti colinergici. Nel MP avanzata,
somministrata in associazione con L-DOPA, l’amantadina
si è dimostrata efficace nel ridurre gli effetti discinetici e
la durata dei periodi “off”.
L’azione inibitoria sui recettori NMDA suggerisce inoltre un effetto neuroprotettivo dell’amantadina, legato alla riduzione dell’eccitotossicità mediata dalla trasmissione glutammatergica.
Gli effetti collaterali dell’amantadina comprendono
nausea, vertigini, insonnia, secchezza delle fauci, costipazione, comparsa di edema ai piedi; talvolta si possono
presentare depressione, nervosismo e allucinazioni. Tali
effetti collaterali sono solitamente blandi e si risolvono
durante l’uso del farmaco.
L’amantadina cloridrato è disponibile sotto forma di
compresse orali. La concentrazione plasmatica massimale è raggiunta in 1-4 ore, viene scarsamente metabolizzata e il 90% circa viene eliminato immodificato per via renale. L’emivita plasmatica aumenta con l’età, nei pazienti giovani è di circa 15 ore mentre nell’anziano è di circa
29 ore. A causa dell’elevata eliminazione renale della molecola, se ne raccomanda l’utilizzo con cautela nei pazienti
con una funzione renale rallentata.
Clozapina
La clozapina è un farmaco che appartiene alla classe
degli antipsicotici atipici. L’utilizzo di questo farmaco nella MP è legato sia al trattamento delle discinesie che al
trattamento delle psicosi.
La terapia con agenti dopaminergici, soprattutto se associata agli anticolinergici e all’amantadina, è spesso accompagnata da sintomi psicotici, quali allucinazioni visive e illusioni che in genere sono ben tollerati, ma che talvolta richiedono una modifica della terapia o il trattamento con antipsicotici. L’uso degli antipsicotici atipici,
prevalentemente della clozapina, si è dimostrato efficace
nel combattere questi sintomi, grazie alla modesta azione nel caudato-putamen che non aggrava i sintomi motori della malattia.
L’efficacia della clozapina nel ridurre le discinesie indotte da L-DOPA e i fenomeni psicotici, è legata all’ampio spettro d’azione di questo farmaco. Infatti la clozapina è caratterizzata da una bassa attività antagonistica per
i recettori D2, accompagnata da una complessa interazione con i recettori D1, D3, D4 per la dopamina e con i recettori serotoninergici, noradrenergici e colinergici.
Per il trattamento delle complicanze motorie e psichiatriche indotte da L-DOPA, la clozapina è efficace a
dosi molto più basse (6.5–50 mg al giorno) rispetto a quelle prescritte per l’effetto neurolettico. L’utilizzo di basse
dosi, insieme alla “atipicità” del farmaco, consentono il
suo utilizzo nella MP in quanto non si assiste a un peggioramento dei sintomi extrapiramidali.
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FARMACI UTILIZZATI NELLA TERAPIA DEL MORBO DI PARKINSON E DI ALTRI DISTURBI MOTORI
SEGUE BOX 31.3
Poiché l’uso della clozapina è accompagnato da sedazione, la somministrazione avviene preferenzialmente nelle ore notturne. La maggiore controindicazione nell’uso
di questo farmaco è la possibile agranulocitosi (2% degli
individui trattati), che richiede controlli periodici frequenti
della formula leucocitaria, e che ha spinto i ricercatori a
testare nella MP altri neurolettici con caratteristiche di atipicità, quali l’olanzapina e la quetiapina, ma privi di una
azione tossica sui leucociti.
Trattamento dei sintomi non motori
Il trattamento dei sintomi non motori che talvolta accompagnano la MP è un aspetto molto importante della
terapia. I sintomi più comuni sono la sonnolenza diurna,
la fatica, la depressione, l’ansia, la demenza e i disturbi a
carico del sistema autonomo.
La sonnolenza diurna, comune nei malati di MP, è causata anche dall’effetto sedativo dei farmaci anti-Parkinson, soprattutto gli agonisti dei recettori dopaminergici,
ed è normalmente correlata alla severità e durata della
malattia e alla dose di farmaco assunta. Il trattamento della depressione e dell’ansia è particolarmente importante
perchè aiuta i pazienti a tollerare i sintomi motori più lievi; gli inibitori della ricaptazione della serotonina (SSRI)
sono in genere efficaci e ben tollerati. La demenza che
compare negli stadi più avanzati della malattia, è trattata con inibitori delle colinesterasi come donezepil e rivastigmina.
I sintomi a carico del sistema autonomo più frequenti
che richiedono trattamenti specifici sono: costipazione,
ipotensione ortostatica, frequente minzione e impotenza.
FARMACI UTILIZZATI NELLA TERAPIA DEL MORBO DI PARKINSON E DI ALTRI DISTURBI MOTORI
BOX 31.4
LA DIAGNOSI DEL MORBO DI PARKINSON
Fino a qualche anno fa la diagnosi di MP era solo clinica e porre la diagnosi di MP, o di morbo di Parkinson,
era piuttosto semplice in quanto i sintomi considerati a
questo scopo erano limitati: il tremore a riposo, la rigidità muscolare, la bradicinesia e l’ipocinesia costituivano
il quadro sintomatologico fondamentale. A questi si aggiungevano altri sintomi come l’amimia facciale, la postura flessa in avanti, l’andatura a piccoli passi, i disturbi vegetativi e cognitivi, ma tutti con la caratteristica di
segni accessori o concomitanti. Nonostante il progresso
delle conoscenze, si fa spesso riferimento a questo quadro come linea guida per la diagnosi appropriata. Tuttavia, negli ultimi trenta anni si è assistito ad una evoluzione del concetto di MP che ha cambiato, ed ancora sta
cambiando, i criteri mediante i quali porre una corretta
diagnosi.
Intanto, proprio dall’osservazione dell’evoluzione temporale della malattia, si è potuto discriminare tra forme
degenerative diverse per sintomi e reperti anatomo-patologici. Si sono così ben differenziate dalla MP forme degenerative come la “Atrofia multisistemica” (che ha compreso le antiche varianti della sindrome di Shy-Drager,
l’atrofia striato-nigrica, l’atrofia olivo-ponto-cerebellare*),
la “paralisi sopranucleare progressiva”, la “degenerazione corticobasale” e la “malattia a corpi di Lewy diffusi”.
Contemporaneamente con il miglioramento delle conoscenze sulle sostanze tossiche, sugli agenti infettivi e sui
dismetabolismi, si sono ulteriormente evidenziate forme
anatomo-cliniche simili alla MP (parkinsonismi), ma con
caratteristiche evolutive e sintomi accessori diversi.
Più recentemente, le numerose scoperte della genetica
sulla MP hanno dimostrato l’estrema eterogeneità delle
basi eziopatogenetiche responsabili delle forme familiari
che spesso sono indistinguibili dalla forma sporadica.
Queste recenti scoperte della genetica hanno messo addirittura in dubbio un altro dogma tra i criteri fondamentali del riconoscimento della MP, la presenza essenziale dei corpi di Lewy come elemento anatomo-patologico patognomonico.
Eva Braak e collaboratori hanno formulato recentemente una teoria sulla natura ed evoluzione della MP
idiopatica. Questa teoria, descrive la comparsa di corpi di
Lewy in molteplici organi ed aree cerebrali in una precisa progressione che si correla all’insorgenza dei sintomi,
permettendo una più facile diagnosi. Tuttavia la critica
maggiore a questa teoria nasce dal fatto che questa identifichi più una forma di sinucleopatia e, quindi un particolare parkinsonismo genetico, piuttosto che la MP idiopatica. Pertanto oggi, dopo aver identificato nella MP diversi parkinsonismi ad eziologia nota, ci si chiede quale
sia la vera MP e se questa dovrà essere ulteriormente separata da altre forme ancora da scoprire. La distinzione
tra MP e parkinsonismi è particolarmente importante perchè i parkinsonismi non rispondono alla terapia con LDOPA.
Purtroppo un esame strumentale indicativo di malattia non esiste, sebbene l’avvento delle moderne tecniche
di “imaging” sia stato fondamentale nel migliorare i criteri mediante i quali si può porre la diagnosi (fig. 4). Esistono diversi esami per immagini come la PET o la SPECT
** la cui positività conferisce indicazioni fondamentali alla comprensione del quadro sintomatologico che, unito ai
criteri clinici, aiuta a porre una diagnosi presuntiva di MP.
La presunta diagnosi si ottiene, quindi, con l’insieme
delle positività cliniche e strumentali e con l’esclusione, a
priori o durante l’evoluzione della malattia, dei vari
parkinsonismi o sindromi degenerative correlate. (Figura
BOX 31.4)
* L’atrofia multisistemica è una patologia degenerativa
che colpisce, come dice il suo nome, diversi sistemi neuronali. Le lesioni comprendono sia perdita neuronale che
gliosi e possono colpire le seguenti strutture: la sostanza
nera, lo striato, le olive bulbari, i nuclei del ponte, il locus coeruleus e, nel midollo spinale, le colonne intermedio laterali e il nucleo di Onuf. Sul piano clinico è associata a segni di disfunzione del sistema autonomico e segni neurologici; l’atrofia striato-nigrica è caratterizzata da
una sindrome prevalentemente acinetica e ipertonica relativamente resistente alla L-DOPA; l’atrofia olivo-pontocerebellare si può manifestare inizialmente come sindrome cerebellare. Quando sono colpiti i neuroni simpatici
del tractus intermediolateralis del midollo insorge la sindrome disautonomica, caratterizzata da ipotensione ortostatica, anomalie pupillari, anidrosi e, in seguito al coinvolgimento del nucleo di Onuf, impotenza e disturbi sfinterici.
** La disfunzione dopaminergica tipica della MP può
Figura BOX 31.4. Visualizzazione attraverso SPECT del cervello di un individuo affetto da malattia di arkinson paragonato ad un individuo sano normale.
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FARMACI UTILIZZATI NELLA TERAPIA DEL MORBO DI PARKINSON E DI ALTRI DISTURBI MOTORI
SEGUE BOX 31.4
essere valutata in vivo mediante PET e/o SPECT utilizzando traccianti che esplorano la funzionalità dopaminergica presinaptica, come la [18F]fluorodopa, o che si legano selettivamente ai siti di ricaptazione della dopamina (DAT) nello striato, come il [123I]‚-CIT e l’[123I]FP-CIT.
Questi ultimi ligandi, analoghi della cocaina ad elevata
affinità per il DAT, hanno dimostrato elevata sensibilità
Elenco dei principali farmaci presenti nel
prontuario farmaceutico nazionale con indicazione di alcune denominazioni commenciali
L-DOPA + carbidopa
Sinemet (Bristol-Meyers Squibb)
L-DOPA + benserazide
Madopar (Roche)
Bromocriptina
Bromocriptina dorom (Dorom); Parlodel (Novartis-Farma)
Cabergolina
Actualene (Carlo Erba); Cabaser (Pharmacia
Italia);
Diidroergocriptina
Daverium (Pharmacia Italia)
Lisuride
Dopergin (Schering)
Pergolide
Nopar (Eli Lilly Italia)
Apomorfina
Apofin (Chiesi Farmaceutici); Uprima (Abbott)
Pramipexolo
Mirapexin (Boehringer Ingelheim Italia)
Ropinirolo
Requid (GlaxoSmithKline)
Biperidene
Akineton (Sit Laboratorio Farm.)
Metixene
Tremaril (LPB Ist. Farmaceutico)
Orfenadrina
Disipal (Yamanouchi Pharma)
Triesifenidile
Artane (Teofarma)
(95–98%) e specificità (83–94%). Gli studi fino ad oggi effettuati hanno dimostrato che, indipendentemente dal
tracciante utilizzato, esiste un’elevata sensibilità nell’identificare, in vivo, la presenza di disfunzione nigrostriatale e suggeriscono che tali metodiche possano essere utilizzate nelle fasi iniziali e nel monitoraggio della progressione della MP.
Amantadina
Mantadan (Boehringer Ingelheim Italia)
Selegilina
Egibren (Chiesi Farmaceutici)
Entacapone
Comtan (Novartis-Farma)
Bibliografia
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Classificazione dei farmaci antiparkinson
Precursori della dopamina
Agonisti dei recettori della dopamina
Anticolinergici
Inibitori delle MAO
Inibitori delle COMT
FARMACI UTILIZZATI NELLA TERAPIA DEL MORBO DI PARKINSON E DI ALTRI DISTURBI MOTORI
P R O V E
D I
A U T O V A L U T A Z I O N E
1. Qual è l’effetto collaterale della L-DOPA più
difficili da trattare?
A. La nausea
B. Le discinesie
C. Le crisi ipertensive
D. Le allucinazioni
E. Le aritmie
2. Quale tra queste è l’associazione di farmaci
più utile al trattamento delle disfunzioni motorie della MP?
A. L-DOPA e antipsicotici
B. L-DOPA e antidepressivi
C. Agonisti dei recettori della dopamina e
benserazide
D. L-DOPA e inibitori delle MAO-A
E. L-DOPA e carbidopa
3. Qual è l’effetto collaterale meno frequente nel
trattamento con gli agonisti dei recettori della dopamina?
A. Nausea e vomito
B. Ipotensione posturale
C. Allergia
C
A S
31
O
C
Paziente di sesso femminile di anni 58, coniugata con due figli. Da circa un anno lamenta un
leggero e progressivo tremore alla mano sinistra
che si calma col movimento e con il sonno. Si accompagna ad un impaccio motorio nell’uso dell’arto sinistro e alla sua fissità durante la marcia.
La paziente lamenta inoltre da molto tempo stipsi, riduzione dell’olfatto, disturbi del sonno e lieve depressione del tono dell’umore. La paziente
riferisce di non avere alcun parente affetto da MP,
di non usare abitualmente sostanze particolari o
farmaci e di non avere mai fumato sigarette.
L’esame obiettivo mette in evidenza una marcata acinesia dell’arto superiore sinistro con ipertonia muscolare e fenomeno della ruota dentata
(alla flessione passiva dell’avambraccio sul braccio si apprezza un movimento a scatti). Inoltre
si evidenzia una certa fissità della mimica facciale (amimia) con riduzione dell’ammiccamento. La paziente viene sottoposta a DAT-scan che
rivela una ipointensità del radionuclide nel putamen di destra di modesta ma significativa entità. Si pone la diagnosi di possibile MP.
1) Quali sono le linee guida per il trattamento iniziale?
2) Quando si introduce la L-DOPA?
D. Edema agli arti inferiori
E. Disturbi del sonno
4. Quale tra questi sintomi non-motori è più frequente nei malati di MP prima di iniziare la
terapia farmacologica?
A. Psicosi
B. Disfunzione cognitiva
C. Ipotensione
D. Difficoltà di respirazione
E. Nervosismo
5. Qual’è l’interazione tra farmaci da evitare nel
trattamento della MP?
A. L-DOPA e aloperidolo
B. L-DOPA e antidepressivi
C. Inibitori delle COMT e cibi contenenti tiramina
D. Agonisti dei recettori della dopamina e
FANS
E. Inibitori delle MAO e antistaminici
Risposte 1 = B; 2 = E; 3 = C; 4 = C; 5 = A.
L
I N
I C
O
3) Come si procede durante i primi anni di
trattamento?
4) Come si aggiusta la terapia dopo diversi anni di trattamento?
Risposte
Si inizia la terapia con un agonista dei recettori della dopamina a dosi basse a scalare, fino
al raggiungimento della dose opportuna.
2) La terapia con la L-DOPA viene post-posta
in tempi successivi e in aggiunta ai dopaminoagonisti.
3) Le dosi di agonisti dopaminergici e di LDOPA vengono aumentate, per consentire alla
paziente di avere un buon compenso motorio.
4) Se dopo diversi anni di trattamento la paziente incomincia a non avere più un buon compenso motorio e presenta periodi di ridotta mobilità (fluttuazioni) accompagnate da periodici
movimenti involontari ripetitivi al volto e al tronco (discinesie), la terapia viene modificata in modo da assicurare una più continuata e stabile stimolazione dopaminergica (associazione di inibitori delle COMT o agonisti dopaminergici a lunga durata d’azione) inoltre vengono introdotti
farmaci che contrastino le discinesie.
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FARMACI UTILIZZATI NELLA TERAPIA DEL MORBO DI PARKINSON E DI ALTRI DISTURBI MOTORI
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