Storia della musicoterapia Il termine “musicoterapia” si fonda su due elementi, la musica e la terapia appunto, e sul legame che vi è fra questi. Bisogna precisare subito che non esiste una definizione unitaria, dal momento che alcuni autori e scuole evidenziano soprattutto l’importanza degli elementi sonori e musicali, analizzando il rapporto fra suono e comportamenti osservabili in chi ne è esposto; altri autori invece evidenziano come il suono e la musica non siano altro che dei mezzi per instaurare un rapporto con il paziente. Molte sono, inoltre, le posizioni intermedie fra queste che, pur assegnando un ruolo di estrema importanza al rapporto terapeuta – paziente, sottolineano la particolarità del linguaggio musicale. Ma per comprendere davvero che cosa è la musicoterapia occorre vedere come è nata e come si è sviluppata. Le prime testimonianze di effetti terapeutici del suono sono state rinvenute nei papiri medici egiziani, datati 1500 a.C., così come nel libro III della Repubblica di Platone, dove vengono menzionati, tra l’altro, gli effetti dei diversi modi delle scale (ionico, dorico, frigio, lidio, misolidio, eolio, locrio) sull’animo umano.1 Eppure difficilmente il tema del potere di guarigione della musica, seppur comune nella letteratura sulla filosofia e sulla teoria della musica sin dai tempi di Platone, è stato accolto senza scetticismi dalla letteratura medica (già dall’epoca di Ippocrate). Ben pochi sono stati i trattati che hanno preso seriamente in considerazione la musica come terapeutica. Fra i pochi, la prima testimonianza di un capitolo sul potere di guarigione della musica in un trattato risale probabilmente a Boezio (600 d.C. circa). Il suo De Institutione Musica fu diffuso in tutta Europa durante il Medioevo e costituiva parte delle letture richieste dall’università come requisito per il “Quadrivium” (in epoca medievale indicava la formazione scolastica delle arti liberali, cioè delle arti che potevano essere esercitate dagli uomini liberi), e quindi nel programma di studi degli studenti di medicina. 2 Non solo: le potenzialità terapeutiche della musica sono da sempre evidenziate in tutte le pratiche magiche e sciamaniche presenti nella medicina tribale di varie culture del mondo, dove gli elementi ritmici sono legati al movimento corporeo. Un riferimento molto noto può essere il fenomeno del tarantolismo, presente dal medioevo fino ai giorni nostri in alcune regioni dell’Italia 1 Enciclopedia della musica. Il suono e la mente vol. IX, Giulio Einaudi Editore S.p.a. Torino, 2002, Roberto Caterina e Leslie Bunt, Musicoterapia, p. 419 2 Tony Wigram, Inge Nygaard Pedersen, Lars Ole Blonde, Guida generale alla musicoterapia, Ismez, Roma, 2009, pp. 1 –2 meridionale. Qui la danza e la musica erano impiegate per combattere il delirio indotto dalla puntura (reale o immaginaria) della tarantola.3 Se oggi molti abitanti dell’emisfero occidentale del pianeta considerano la musica alla stregua di un bene di consumo, in un passato non molto remoto era ancora presente nella cultura occidentale il pensiero per cui musica e salute fossero strettamente correlate. Pitagora già nel 500 a.C. sosteneva ciò, e questo pensiero è rimasto insito nella scienza medica fino al XVIII/XIX secolo, con lo sviluppo della moderna scienza medica naturale. Dopo gli ultimi 250 anni, durante i quali musica e medicina sono rimaste discipline sostanzialmente divise tra loro, oggi si stanno di nuovo avvicinando grazie alla presa di coscienza e al diffondersi della visione dell’uomo come essere bio – psico – sociale complesso.4 Ma la pratica moderna della musicoterapia non può prescindere dalle scoperte portate dallo sviluppo del sapere medico, con particolare riferimento allo studio sull’origine della specie umana di Darwin e la scoperta dell’inconscio e quindi la nascita della terapia psicanalitica ad opera di Freud. Il grande sviluppo della scienza medica, soprattutto nel XX secolo, ha posto le basi per un impiego più mirato della musica come mezzo terapeutico, e dato impulso alla ricerca per indagare sulle possibili cause dei disturbi ai quali la musica può porre rimedio. Certamente i primi lavori di ricerca, che si concentravano sugli effetti prevedibili della musica, hanno avuto una grande importanza per costruire poi un modello medico di musicoterapia, che soprattutto negli Stati Uniti ha avuto modo di svilupparsi, così come un grosso contributo alla formazione di pensieri, e quindi definizioni, sulla musicoterapia deriva dalla psicologia della musica, e più precisamente dallo studio della percezione individuale della musica, la psicoacustica, che studia elementi come il timbro, il volume, l’altezza, la durata. Ma la nascita della psicoanalisi e le teorie di Freud hanno posto le basi per un modello di musicoterapia fondato sull’analisi della relazione terapeuta – paziente. Era infatti presente in Freud, così come in Darwin, l’idea che il comportamento umano avesse origine primordiale e non identificabile con un modello di uomo adulto e civilizzato. Per Freud la vita mentale di ogni individuo non poteva esaurirsi sul piano della rappresentazione cosciente. D’altra parte l’esistenza dell’inconscio era strettamente connessa con stadi primitivi sia a livello di sviluppo del singolo, sia a livello di sviluppo della specie. 3 Enciclopedia della musica. Il suono e la mente vol. IX, Giulio Einaudi Editore S.p.a. Torino (2002), Roberto Caterina e Leslie Bunt, Musicoterapia, p. 419 4 Tony Wigram, Inge Nygaard Pedersen, Lars Ole Blonde, Guida generale alla musicoterapia, Ismez, Roma, 2009, p. 5 La profonda trasformazione che il concetto stesso di terapia aveva avuto grazie all’apporto di discipline come la psicoanalisi fornì in seguito le basi per un nuovo modo di studiare le potenzialità terapeutiche della musica. Lo sviluppo di una terapia del disturbo mentale basata sull’analisi del rapporto terapeuta – paziente, orientò la ricerca psicoanalitica allo studio delle prime forme di rapporto che il neonato ha con il mondo esterno. Ecco quindi che l’importanza di forme di comunicazione non verbale fu ben presto scoperta. La musicoterapia, anche se non derivante direttamente dalle tecniche di esplorazione attiva proprie della psicoanalisi infantile, ritrovò tuttavia in quelle tecniche molti dei suoi elementi costitutivi. Si può quindi capire come lo sviluppo della musicoterapia come professione clinica si basi da una parte sull’osservazione delle risposte fisiologiche dell’organismo (arousal), in seguito a una sollecitazione sonora, e dall’altra sulla costruzione di un setting terapeutico con le sue regole fondamentali (analisi del transfert, supervisione, ecc). Sono queste due visioni che non devono necessariamente essere viste come contrapposte, anche se ovviamente esistono differenze radicali. È anzi vero che la necessità di un’osservazione scientifica del comportamento e di avere dati verificabili può accompagnarsi a una rigorosa analisi del rapporto terapeuta – paziente. Questo obiettivo risulta comune, seppure con delle differenze, a molti approcci di musicoterapia che si riferiscono alla terapia della Gestalt, o alla concezione di Maslow relativa all’elaborazione di esperienze molto intense indotte dalla musica, o ancora al concetto di “empatia” di Rogers, o altri ancora. È chiaro quindi come in questo senso, una disciplina come la psicologia della musica, costituisca un punto di riferimento per chi si occupa di musicoterapia, dal momento che prefigge di indagare quanto avviene nella mente di chi esegue, o ascolta musica.5 Volendo tracciare un quadro relativo allo sviluppo della musicoterapia dalla seconda guerra mondiale ad oggi, bisogna innanzi tutto ricordare le esperienze fatte dagli Stati Uniti, che utilizzavano regolarmente la musica nella riabilitazione dei reduci di guerra. Queste prime esperienze organizzate infatti hanno creato le condizioni per uno sviluppo professionale della musicoterapia, che presto sarebbe sbarcata anche in Europa. Nel 1958 in Gran Bretagna, Juliette Alvin fondò The British Society for Music Therapy. Da allora la musicoterapia ha avuto una vastissima diffusione, basti pensare che agli inizi degli anni 90 negli 5 Enciclopedia della musica. Il suono e la mente vol. IX, Giulio Einaudi Editore S.p.a. Torino (2002), Roberto Caterina e Leslie Bunt, Musicoterapia, pp. 420 - 421 Stati Uniti vi erano più di tremila musicoterapeuti qualificati, iscritti ad una delle due associazioni nazionali esistenti; in Gran Bretagna i musicoterapeuti erano più di trecento. In più di trenta paesi era riconosciuto lo status professionale alla musicoterapia. Problemi di definizione Rimane comunque il problema di definire cosa effettivamente la musicoterapia sia. È una professione che si è sviluppata in vari paesi del mondo nel corso, come già detto, dal secondo dopo guerra, a partire da una serie di discipline professionali. La sua definizione varia pertanto a seconda dell’orientamento e della prospettiva professionale di chi opera. Negli Stati Uniti la definizione usata con maggior frequenza è la definizione ufficiale dell’Associazione Nazionale per la Musicoterapia (NAMT): “La musicoterapia è l’uso della musica per la realizzazione di fini terapeutici: il ristabilimento, il mantenimento e il miglioramento della salute fisica e mentale”. Sebbene sia citata spesso, questa non è certamente una definizione universale. Molti singoli terapeuti hanno costruito le loro definizioni, e quasi ogni singola associazione non statunitense ha creato una definizione ufficiale per il proprio paese. Nel 1996 invece la Federazione Mondiale di Musicoterapia (WFMT), al fine di stabilire una definizione più generica ed esaustiva, ha prodotto la seguente definizione: “La musicoterapia è l’uso della musica e/o elementi musicali (suono, ritmo, melodia, armonia) da parte di un musicoterapista specializzato con un paziente o gruppo di pazienti, in un processo volto a facilitare e promuovere la comunicazione, le relazioni, l’apprendimento, la mobilizzazione, l’espressione, l’organizzazione ed altri obiettivi terapeutici rilevanti per affrontare i bisogni fisici, mentali, sociali e cognitivi. La musicoterapia mira a sviluppare le potenzialità e/o a ripristinare le funzioni dell’individuo in modo tale che questi possa raggiungere una migliore integrazione intrapersonale e interpersonale e, di conseguenza, una migliore qualità della vita mediante la prevenzione, la riabilitazione e il trattamento.”6 L’interdisciplinarità della musicoterapia è un altro dei fattori che concorre a renderla di difficile definizione: se è vero che può essere considerata un ibrido di due aree (la musica e la terapia), non vanno certo trascurate discipline come la terapia occupazionale, la psicologia generale, la 6 Tony Wigram, Inge Nygaard Pedersen, Lars Ole Blonde, Guida generale alla musicoterapia, Ismez, Roma, 2009, p. 13 psicoterapia, l’insegnamento di sostegno, l’educazione musicale, la (già citata) psicologia della musica, l’antropologia e la medicina. È quindi inevitabile trovare dei paradossi nella definizione della pratica della musicoterapia. La sua definizione può inoltre variare a seconda della popolazione di pazienti con i quali i professionisti si trovano a lavorare. Mentre con alcuni il processo di terapia è essenzialmente riabilitativo e il recupero delle abilità e facoltà, nonché il miglioramento delle abilità funzionali, costituisce il fulcro dell’intervento, con pazienti cronici si è invece consapevoli che la pratica terapeutica parte da una mancanza di potenzialità di cura, e pertanto la definizione della terapia si relaziona maggiormente alla risoluzione di difficoltà fisiche, emotive e psicologiche. Inoltre, la musicoterapia non è praticata solo con pazienti con disagi clinici diagnosticati, ma può rivolgersi anche ad una popolazione non clinica, ad esempio in contesti in cui persone scelgono la terapia per esplorare le proprie potenzialità, scoprire sé stessi e avere un migliore livello di salute. Possiamo affermare quindi che le definizioni che vengono date alla disciplina dipendono sostanzialmente dall’approccio e dalla filosofia del singolo professionista. Di seguito vengono riportati alcuni esempi di definizione, in base all’approccio che viene dato alla singola seduta: Musicoterapia comportamentale: il terapista utilizza la musica per estendere o modificare un comportamento adeguato, e per ridurre o eliminarne uno inappropriato. In queste situazioni la musica può essere usata come rinforzo positivo o negativo Musicoterapia psicoterapeutica: la musica è usata per aiutare il paziente a ottenere un insight (consapevolezza dei propri sentimenti, delle proprie emozioni e dei movimenti del proprio corpo). Musicoterapia educativa: si svolge presso istituzioni a carattere educativo, dove gli obiettivi del programma d’istruzione influenzano l’approccio musicoterapeutico. In questo caso i musicoterapisti definiscono i propri obiettivi in relazione ai processi di apprendimento, di sviluppo, di realizzazione delle potenzialità e considerano i bisogni dei bambini in relazione al programma educativo.7 Anche Kenneth E. Bruscia, professore di musicoterapia presso la Temple University di Filadelfia, nella prima edizione del suo libro Defining Music Therapy (prima edizione 1988, traduzione italiana Definire la musicoterapia, Roma, Ismez, 1993), inizia con il dare una definizione della musica 7 Ibid. p. 14 nell’ambito di una situazione terapeutica. Definisce successivamente la terapia, cercando infine di fondere le due definizioni in quella di musicoterapia, dando così una propria visione della musicoterapia, che può essere definita nel seguente modo: “La musicoterapia è un processo sistematico di intervento nel quale il terapista aiuta il paziente a raggiungere uno stato di salute tramite l’uso di esperienze musicali e della relazione che si sviluppa tra di loro come forze dinamiche del cambiamento”8. Come già detto, l’approccio in musicoterapia è strettamente collegato alla popolazione di pazienti, e Bruscia contribuisce a livello teorico a definire i diversi approcci, per poi individuare processo e obiettivi della terapia. (Fare un capitolo in cui si spiegano le possibili tipologie di utenti?) Nella terza edizione del 2014 Bruscia torna sul tema della definizione, dedicando a questo tema un capitolo dal titolo “The challenges of defining”, mettendo di nuovo in risalto come la musicoterapia sia sostanzialmente qualcosa di differente per ognuno dei possibili pazienti, per svariate ragioni. Inoltre la diversità delle varie definizioni già pubblicate rappresenta una vera sfida nel definirne una unitaria che includa tutte le varie prospettive espresse. Addirittura Stige (2002) suggerisce di vedere la musicoterapia come una “situated practice”, cioè come una pratica che va definita di caso in caso, invece che in modo universale. Per lui la musicoterapia è per natura una costruzione socioculturale, perciò è inevitabilmente intrisa delle diverse culture dei vari posti in cui viene praticata. Non esiste una sola musicoterapia, ciò implica l’impossibilità di giungere ad una definizione unitaria e trans-culturale.9 Ma al di la delle diverse definizioni che possiamo trovare in Bruscia, bisogna però sottolineare che in questa fase del suo sviluppo storico, la musicoterapia ha trovato una specifica professionalità che la distingue da ogni altra forma di intervento psicoterapeutico, pur condividendone alcune basi comuni. La sua specificità infatti risiede nella sua metodologia, nell’utilizzo del suono e della musica in funzione terapeutica e relazionale. Strategie operative (integrare con cap 5 e 6 di Bruscia) Nel dare una definizione di musicoterapia, Bruscia (1987) illustra anche quali sono le principali metodologie di lavoro, definendo un tipo di intervento in cui la musica è la terapia stessa, e un altro tipo in cui la musica è nella terapia. 8 9 Kenneth E. Bruscia, Definire la musicoterapia, Ismez, Roma (1993), p. 47 Kenneth E. Bruscia, Defining music therapy – third edition, Barcelona Publishers, 2014, pp. 8 – 9 Nel primo tipo di intervento la musica è l’agente primario della terapia, e l’obiettivo del terapeuta è quello di aiutare il paziente a relazionarsi nella musica. In questo caso il terapeuta funge da guida, ed è dotato dell’esperienza necessaria per proporre la musica, o l’esperienza musicale al paziente. Qui la musica è al centro dell’esperienza terapeutica, e serve pertanto come medium primario. Molti, se non tutti, dei processi sono incentrati sulla produzione e sulla ricezione di onde sonore e vibrazioni. È essenzialmente un’esperienza sonora. Nelle forme di musicoterapia attiva, in cui il paziente suona, improvvisa, o compone musica, esprime i suoi problemi tramite il suono, esplora le sue risorse, lavora ai suoi conflitti, sviluppa relazioni e trova soluzioni, tutto tramite il suono. In un tipo di intervento in cui invece la musica è nella terapia (ma non l’agente principale), questa viene usata anche per accrescere gli effetti della relazione terapeuta – paziente, o di altre modalità di trattamento (ad esempio discussioni verbali). L’utilizzo della musica in questo caso dipende dal terapeuta, e obiettivo principale di questo approccio è di indirizzare i bisogni del paziente attraverso qualunque medium risulti a lui comodo (quindi la musica, la relazione o altre metodologie terapeutiche). In questo caso la musica fa da background alla terapia, con le relazioni, o altre modalità terapeutiche che invece sono in primo piano.11 Analogamente a Bruscia, anche Postacchini stabilisce le strategie con cui opera un musicoterapeuta, che possono essere, secondo la sua definizione, di tipo esterno, o interno. (Da approfondire Postacchini!!!) Le strategie di tipo esterno, vicino al corpo, sono volte a stabilizzare un comportamento, a contenere una determinata espressione, senza necessariamente dover indagare su cosa stia alla base di una data risposta corporea. Un intervento di tipo esterno fa uso della capacità manipolativa e suggestiva della musica, già utilizzata peraltro nella terapia comportamentale. Un intervento di tipo interno è invece un tipo di intervento che tiene conto della personalità globale del paziente, delle sue motivazioni, e utilizza il suono soprattutto come strumento di comunicazione.12 Se quindi è chiaro che la musicoterapia ha come obiettivo quello di sviluppare una strategia di intervento interno, o di intervento in cui la musica sia il medium principale, per usare la distinzione di Bruscia, è pur vero che un intervento di tipo esterno può essere utilizzato nei casi in cui il mezzo 11 Kenneth E. Bruscia, Defining music therapy – third edition, Barcelona Publishers, 2014, pp. 45 – 46 Enciclopedia della musica. Il suono e la mente vol. IX, Giulio Einaudi Editore S.p.a. Torino (2002), Roberto Caterina e Leslie Bunt, Musicoterapia, p. 425 12 musicale non sia quello predominante, ma funga da supporto ad un altro tipo di terapia (per esempio l’uso della musica nella preparazione ad un intervento chirurgico). Nel caso in cui invece la musica risulti il principale mezzo della terapia, l’analisi del significato veicolato dal suono diventa fondamentale nell’intervento terapeutico. L’intervento di tipo “interno” si articola perciò in alcune tappe fondamentali: Osservazione del paziente Ricerca di un canale di comunicazione sonora Fare o ascoltare insieme musica Ovviamente anche, o forse soprattutto, le patologie presentate influenzano il tipo di intervento. Sono quattro le diverse modalità di intervento, variabili in base all’utilizzo del materiale sonoro e al setting: Ascolto individuale Ascolto in gruppo Produzione attiva di musica individuale Produzione attiva di musica in gruppo13 (successivamente capitolo in cui spiego bene le modalità operative di ogni intervento?) Le costanti in ogni intervento Esistono in ciascuno di questi tipi di intervento interno delle costanti. (approfondire le costanti) Osservazione La prima di queste è la capacità del terapeuta di osservare il paziente, ma non solo. Il terapeuta deve anche porre in condizione il paziente di osservare sé stesso e le proprie produzioni. Non a caso, la musicoterapia si fonda sulla capacità di ascoltare sé stessi, a partire dall’esperienza sonora del proprio corpo, di saper ascoltare gli altri e acquisire nuove competenze, che consentono di scoprire nuovi spazi percettivi e affettivi. 13 Enciclopedia della musica. Il suono e la mente vol. IX, Giulio Einaudi Editore S.p.a. Torino (2002), Roberto Caterina e Leslie Bunt, Musicoterapia, p. 426 Concretamente, l’osservazione in musicoterapia si attua mediante l’impiego di strumenti tecnici di valutazione delle capacità potenziali del paziente, come la “scheda di musicoterapia” (Benezon 1981, 1997), che consente di evidenziare l’ambiente, i gusti musicali del paziente, i suoni o rumori che accetta o rifiuta, e di rapportare tutti questi dati al contesto osservativo. Altro strumento tecnico è la “scheda di osservazione in musicoterapia” (Manarolo 1990), che evidenzia, tra l’altro, l’approccio dei pazienti agli strumenti musicali, le caratteristiche sonore e ritmiche delle produzioni dei pazienti, le risposte alle proposte di sonorità vocali fatte dei terapeuti. Queste schede non sono una mera raccolta di informazioni, ma rappresentano per il terapeuta la capacità di saper costruire i presupposti per un dialogo fondato sull’individuazione di elementi sonori che fanno parte di uno spazio di comunicazione comune. Trovare canali di comunicazione La seconda costante riguarda la capacità del terapeuta di trovare un canale di comunicazione sonora, non verbale, con il paziente. Ogni individuo infatti appare come caratterizzato da un proprio suono, da una propria esperienza sonora. Sempre Benezon (1981; 1997) chiama quest’esperienza sonora identità sonora individuale (iso), ed è molto ben radicata nell’inconscio. Il compito del terapeuta è quello di avvicinarsi il più possibile all’identità sonora del paziente. Secondo la formulazione più recente di Benezon (1997), il principio dell’iso rappresenta l’insieme infinito delle energie sonore che appartengono a un individuo e lo caratterizzano. Sono varie le tipologie di iso che Benezon individua: iso universale, alla quale possono essere associati fenomeni caratterizzati da ritmo binario, come il battito cardiaco, la respirazione, o il suono dell’acqua, quindi tutti quei tipi di suoni che derivano dal patrimonio sonoro umano che si è costruito nei millenni, universale appunto, anche se con differenze sostanziali a seconda della zona del mondo di provenienza. L’iso gestaltico rappresenta l’esperienza sonora individuale dal concepimento in poi, e può in parte sovrapporsi con l’iso universale, laddove vi siano state diverse e particolari esperienze sonore. L’iso culturale rappresenta infine l’influenza dell’ambiente, dalla nascita in poi, nel patrimonio sonoro di ogni individuo. Fra le varie identità sonore vi è un rapporto gerarchico, in quanto un suono che proviene dall’esterno potrà far parte dell’esperienza culturale di un individuo solo se ne viene investito anche il livello universale e gestaltico. Viene dunque facile pensare quanto in musicoterapia il principio dell’iso sia fondamentale per trovare un canale di comunicazione fra paziente e terapeuta. Musica con il paziente La terza e ultima costante riguarda la capacità del terapeuta di fare o ascoltare musica insieme al paziente. Il musicoterapeuta deve possedere grande flessibilità e sensibilità nel dosare i suoi interventi attivi, nel saper privilegiare il più delle volte l’ascolto rispetto al “fare”. È solo in questo modo che il dialogo paziente – terapeuta può crescere e trasformarsi in un’attività da fare insieme, soprattutto grazie a tecniche di improvvisazione, che in sostanza è la parte più propriamente musicale della musicoterapia. Nell’improvvisazione musicale infatti si riesce a liberare un’ampia gamma di emozioni e spesso trovare la soluzione alla causa del disagio. Durante l’improvvisazione vengono introdotte variazioni personali all’interno di determinate forme musicali, in modo da far coesistere creazione ed esecuzione, una accanto all’altra. Si può vedere in questa fase come i processi decisionali in merito al pezzo da eseguire o alla forma da dare agli eventi musicali cambino in ogni istante. Il musicoterapeuta deve valorizzare tutti i contributi musicali forniti: non esiste un modo giusto o sbagliato di suonare. La natura dell’improvvisazione è legata in musicoterapia a un rapporto diretto col paziente e ad una forma immediata di comunicazione delle emozioni. Offre quindi una manifestazione diretta dello stato d’animo di una persona in musica. Inoltre l’improvvisazione offre anche un’occasione importante di riflessione sul materiale prodotto, e può dare una sensazione di ascolto e di coinvolgimento musicale più profonda, che può aiutare a vivere delle esperienze molto intense, e questo grazie alla possibilità che ha la musica di esprimere il vissuto emotivo attraverso dei referenti simbolici che operano nella struttura musicale stessa.14 Può rivelarsi utile a questo punto una breve digressione sulla regolazione delle emozioni in musicoterapia. 14 Ibid. pp. 426 - 430 La regolazione delle emozioni Se si considerano le emozioni come un sistema gerarchico (Scherer 1984), si può vedere come molteplici aspetti del discorso musicale ripercorrano le tappe fondamentali e i differenti livelli del processo emotivo. Chiaramente non esiste un concetto unitario di emozione: risposte fisiologiche, aspetti motivazionali, cognitivi e soggettivi, rappresentano diversi elementi del processo emotivo, e sono dotati di una certa indipendenza. L’uso del linguaggio verbale riguarda in misura minima la comunicazione delle emozioni, che invece fanno più spesso ricorso a segnali non verbali, ma riveste un ruolo di primaria importanza nel rievocare un vissuto emotivo. Gran parte dei messaggi emozionali segnalano in modo automatico e immediato che qualcosa di importante è avvenuto, e questo avviene senza che subiscano alcun tipo di elaborazione. Attraverso la comunicazione dei messaggi emozionali si afferma un tipo di conoscenza implicita del mondo e delle persone, basata su parametri diversi da quelli logici. A tal proposito Buck (1984) ha parlato di duplice livello della comunicazione, individuando una comunicazione spontanea, che è propria di un sistema biologicamente condiviso e non appreso, e una comunicazione simbolica, propria invece di un sistema socialmente condiviso, e quindi appreso. Tornando alla musicoterapia, e quindi al rapporto musica – emozioni, si può dire che come la capacità di tenere dentro di sé le emozioni, di rievocarle, richiede l’adozione di un codice simbolico condiviso, così il linguaggio musicale può facilitare l’individuazione e il riconoscimento dei vissuti emotivi predisponendone l’organizzazione strutturale e favorendone il controllo da parte dell’individuo. Discorso e linguaggio musicale quindi sono in qualche modo funzionali al controllo dell’espressione emotiva, alla capacità di elaborare il dato emotivo e trasformarlo in esperienza. La musica (la cui origine va ricercata nella mente umana come sostiene Storr, 1992) ha lo scopo di mettere ordine nel caos dei dati sensoriali. È quindi proprio il carattere ordinatore della musica che la accomuna al linguaggio verbale, o, ancora meglio, a quello matematico. Si tratta quindi di “controllare” le risposte e i vissuti emotivi. Esiste una stretta correlazione tra emozioni e musica, a livello di coinvolgimento del corpo, di esaltazione di alcune risposte fisiologiche, dato questo che ci porta ad affermare che, in sostanza, esistono diverse forme di regolazione delle emozioni, diversi modi di gestire gli aspetti fisiologici e psicologici che ne scaturiscono, che trovano il loro corrispettivo nelle diverse componenti del discorso musicale. Di seguito vengono elencati in modo più preciso alcuni aspetti della regolazione delle emozioni. Esiste in primo luogo una regolazione delle emozioni come capacità di provare emozioni intense, senza che queste si rivelino traumatiche, ma che, anzi, costituiscano la premessa per l’attivazione di meccanismi catartici. Esiste poi una regolazione dell’arousal in relazione a determinate componenti musicali. A tal proposito alcuni esempi fra quelli riportati da Sloboda (1991) possono aiutare a capire meglio questo concetto: chiedendo a dei musicisti di ricordare esperienze emotive legate all’ascolto di determinati brani musicali e di descrivere le strutture musicali che evocavano particolari emozioni, lo psicologo britannico ha elaborato una mappa di alcune risposte fisiologiche legate all’ascolto musicale. Per esempio le lacrime spesso sono associate ad appoggiature melodiche, i tremori a bruschi cambi di tonalità, e così via. I risultati raccolti da Sloboda chiaramente non possono essere assolutizzati, ma sicuramente costituiscono un importante contributo allo studio del rapporto musica – emozioni, per il quale vanno menzionati anche gli studi sul rapporto tra elementi musicali anche minimi, come gli intervalli, e le emozioni, condotti da Stefani, Marconi e Ferrari (1990). Esiste infine un modo di gestire gli aspetti delle emozioni dato dal contesto in cui si esegue o si ascolta musica (fare musica su un grande palco piuttosto che su un piccolo palco, ascoltarla in luogo pubblico o privato). È quindi chiara l’esistenza di un legame tra musica e vita quotidiana, dal momento che accompagna la vita di ogni giorno, scandisce grandi e piccoli eventi. La sua universalità si ritrova proprio nel fatto che è un elemento praticamente onnipresente in tutte le attività, anche mentali, quotidiane. Pertanto non può mai essere considerata un elemento neutrale, soprattutto in musicoterapia, ma va appunto vista come un importante elemento di regolazione dell’attività emotiva.15 Capitolo su utenti: inserire anche utenti audio lesi con spiegazione dell’orecchio e percezione della musica (wigram pag. 43) 15 Ibid. pp. 430 - 434