Lezioni di Metodi Matematici della Fisica Volume secondo B o llati B oringhieri Prima edizione iugìio 2004 © 2004 Bollati Boringhieri editore s.r.l., Torino, corso Vittorio Emanuele II, 86 I diritti di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale 0 parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati Stampato in Italia dalla Litografia «Il Mettifoglio» di Torino L'editore potrà concedere a pagamento 1*autorizzazione a riprodurre una porzione non superiore a un decimo dei presente volume. Le richieste di riproduzione vanno inoltrate alPAssociazione Italiana per i Diritti di Riproduzione delle Opere a Stampa (àidro), via delle Erbe, 2, 20x21 Milano, tei. 02/86463091, fax 02/89010863 ISBN 88-339-5739-x Schema grafico della copertina di Pietro Palladino e Giulio Palmieri In copertina, Mauri ts Cornells Escher, Tort's dì B a b ele © 2004 The M. C. Escher Company, Baarn (Olanda) Tutti i diritti riservati Indice V2T Introduzione M etodi M atem atici della Fisica Parte seconda 3 Volume secondo 1. Analisi Funzionale L I. Funzionali lineari, 3 1.2. Funzioni generalizzate, 8 1.3. Operatori lineari, 30 1.4. Applicazioni, 60 1.5. Operatori com­ patti, 87 1.6. Funzioni di operatori. 96 1.7. Operatori integrali, 102 1.8. Problema di Sturm-Liouville, 109 125 2. Equazioni differenziali ordinarie nel campo complesso 2.1. Equazione di Laplace, 126 2.2. Elementi di teoria delle equa­ zioni differenziali, 129 2.3. Classificazione delle equazioni total­ mente Fuchsiane, 146 2.4, Applicazioni, 150 163 B ih li agrafìa 165 Indice analìtico IntroduHcm Il secondo volume delle lezioni del corso di Metodi Matematici della Fi­ sica ha come tema cenfrale la teoria degli operatori lineari in uno spazio di Hilbert. Le lezioni sono calibrate per il secondo modulo di un corso di Me­ todi Matematici della Fisica, corso destinato al curriculum della laurea spe­ cialistica del corso di laurea in Fisica, opzionale per la laurea triennale. Le lezioni sono pensate, prevalentemente, come propedeutiche alla presentazio­ ne della meccanica quantistica avanzata, usualmente esposta in termini del concetto di operatore. La esposizione della teoria degli operatori è condotta in modo sistemati­ co, sono trattati le questioni e gli esiti salienti della teoria. In particolare si dà rilievo agli aspetti connessi alla non limitatezza degli operatori e alle dif­ ficoltà nella definizione dei domini. Una parte, rilevante delle lezioni è fina­ lizzata allo studio di operatori significativi. L’analisi è condotta evidenzian­ do nelle presentazioni, sia gli aspetti matematici, che quelli fisici, in modo da far emergere la stretta connessione fra gli uni e gli altri. Le lezioni non trattano la decomposizione spettrale di operatori autoaggiunti in presenza di spettro continuo, non era realistico avventurarsi nella esposizione della teo­ ria generale della decomposizione spettrale di operatori autoaggiunti. Gli ulteriori argomenti inclusi in queste lezioni sono: 1. Funzionali lineari ed elementi della teoria delle funzioni generalizzate (distribuzioni). 2. Il problema di S'turm-Liouville regolare. 3. La teoria delle equazioni differenziali ordinarie nel campo complesso. I testi di riferimento per queste lezioni sono: N. I. Akiezer e I. M. Glazman, Theory o f linear operators in Hilbert space. M. Gel’fand e G.E. Shilov, Generalized Functions, voi. I. V. I. Smirnov, A c o u r s e o f Hi ghe r Mathematics, voi. III. F. Tricomi, Istituzioni di analisi superiore. Parte seconda Volume secondo Capitolo 1 Analisi Funzionale 1.1. Funzionali lineari Definizione 1.1 (Funzionale lineare) Indicato c o n H uno spazio di Hil­ bert, si de fi nis ce funzionale lineare una applicazione d a H in C - l'applica­ zione si indica con F ( f ) tf £ D F CH (DF dominio di definizione di F) - c o r ­ re dat a dalle seguenti propri et à: 1. Linearità F ( f + g ) = F(/) + F ( g ) ì V^,/CDf . 2. Omogeneit à F ( a f ) « aF(/), V/GD^, V a £ C . Osservazione 1.1 II funzionale lineare F è s e m p re definito su di una varie tà l ine ar e. Esempio LI F ( f ) = (/, g ), con g vettore di H fissato. Il funzionale è de­ finito sull’intero spazio di Hilbert H, DF = H. Il funzionale definito nell’esempio .gode della proprietà: l^(/)l = l(/.s)MI/IIIUII. o anche: l^(/)l \ 8 \ I, ll/ll l ’eguaglianza ottenendosi per/= g sup ■I*•(/)! /E D , \ 8\ e, anzi, vale il segno di eguaglianza. 4 CAPITOLO PRIMO Il funzionale per cui vale la proprietà dell’esempio, cioè: (l/ll viene definito limitato. Per funzionali lineari limitati, l ’espressione 3 gode di tutte le proprietà che deve rispettare la nozione di norma. Essa viene indicata con ||F|| e as­ sunta come norma del funzionale. \\F\\ = SUD fE D f j£CQ i. Il/il ’ vale; Definizione 1.2 (Continuità) nuo in /o tzzVp s e : V e> 0, Un f unzionale lineare è definito c ont i­ 3 8 : \ F ( f ) - F ( f 0)V \< e, /6JD, , ||/-/0||<5. Un funzi onal e continuo Vf0E:DF è definito c onti nuo. 1, Un funzionale lineare limitato è continuo, infatti: IF ( f ) - r Oo) i - i F(/~/o) i 2. il F ii II/—/oli- Un funzionale lineare continuo in un punto è limitato, e, quindi, continuo. Il funzionale F sia continuo in/o, V e> 0, 35 : j F(f) — V g E D F,vale: lFf.eìl = 2|kll ò (— F( F) I=^llllLjF (— i 5+/0ì - F( V2||dl > 2||g8 11\ H f ) - F ( f 0)\, si è posto: /= 2IMI 5+fo< vale: 11/-/0II-4. - ^||g || \J u / 5 ANALISI FUNZIONALE Li conclusione: \F (g)\ < ^ e= *\ \ F \ \ ^ , Un funzionale lineare limitato, definito su di una varietà lineare densa in Hy può essere esteso a ll’intero spazio di Hilbert//per continuità. Infatti sia: f e H , f ( £ D F, 3{f ,) CDF La successione numerica {F(f„)} è di Cauchy, in quanto vale: Possiamo definire in/la applicazione F t assegnando come valore F ( f ) il limite della successione numerica {-F(/„)). Questo procedimento si chiama estensione per continuità. Il funzionale esteso per continuità.ha la stessa norma dei funzionale di partenza. In conclusione, un funzionale lineare limitato può essere sempre consi­ derato definito su di uno spazio di Hilbert tout c o u r t . Infatti il funzionale è sempre definito su di una varietà lineare e può essere esteso, per continuità, alla chiusura della varietà, sottospazio chiuso di H. Il sottospazio è, a sua volta, uno spazio di Hilbert. Solo raramente è rilevante la circostanza che lo spazio di Hilbert, su cui è definito il funzionale, sia immerso in uno spazio più ampio. Nell’esempio che abbiamo discusso, il funzionale lineare limitato è asse­ gnato in termini di un prodotto scalare: F(/) = (/, g). Il prossimo teorema stabilisce che ogni funzionale lineare limitato è rap­ presentabile nella forma di un prodotto scalare. Teorema 1,1 (Riesz) to in H: Sia dato un funzi onal e l ine are limitato F, defi ni ­ 3 ! g E H : V /e Ht F ( f ) - (/, g). Inoltre ||F|| = ||^||. ( f , gò > 1. Unicità Supposto che esistano g i . g ^ C H : F ( f ) = V/GJ7, vale: (/, g i- g 2) = 0, V/G che implica g\ = g 2. 2. Costruzione di g Consideriamo l ’insieme G C H così definito: G = {/ : F(l) = 0 ). L ’insieme G è un sottospazio chiuso di H. Quesi’ultima proprietà è deter­ minata dalla limitatezza-continuità dei funzionale F. CAPITOLO PRIMO 6 Posto ( /„) C G, /„ -> /, dalla circostanza F(/„) = 0 segue F(l) = 0, quindi /EG. Possono verificarsi due casi: a) G = //, in questo caso g = 0. b) G C //, G sottospazio proprio di H. Si indichi con M il complemento ortogonale di G rispetto a H: H = G®M, Sia h E M, V/E// consideriamo l ’elemento /cosi costruito: / —h F ( f ) E G, risulta: (/, /i) = 0, (/, (/, W h)F(h) —11A||ZF(/) = 0, 11*11 In conclusione: g —fi - ——. P II La relazione fra g e /:, data l ’unicità di g, dimostra che M è uno spazio unidimensionale. D’altra parte, osservando l ’espressione ottenuta per F \F ( f ) = (/, g), si de­ duce che il sottoinsieme G di H è il complemento ortogonale di g, e M è il sottospazio unidimensionale sotteso da g. c) G = 0 non può verificarsi: confligge con la linearità del funzionale F. In­ fatti, supposto G = 0, scegliamo due elementi linearmente indipendenti di// :/ h, diversi dall’elemento nullo. Per ipotesi F(J) A 0, F(h) 0. Consideriamo /= /F(/x) - /iF(/), risulta F(l) = 0 e, nella ipotesi G = 0, deve necessariamente risultare l = 0, contro la scelta di lineare indipen­ denza per/, h. 1,1.1. Spazio duale A ll’insieme dei funzionali lineari limitati, definiti in uno spazio di Hilbert H, si può dare struttura di: 1. spazio vettoriale, 2. spazio normato (in parti­ colare lo spazio è di Banach), 3. spazio di Hilbert. I. Somma e moltiplicazione per oc si definiscono come segue: L ’applicazione F = F\ + F2 è definita da: + V/E//. 7 ANALISI FUNZIONALE L ’applicazione G = ocL è definita da; G (/ )-aL (/ ), V/GZZ. W l, g ||, dove si è M ll/ll ’ indicato con g EH l ’elemento tale che F ( f ) = (/» £)• Dimostriamo che lo spazio è completo. Sia (Z7,,} una successione di Cauchy, si deve dimostrare che: 2. La norma è quella già introdotta: \\F\\ = sup 3F:\\F,-F\\^0, La successione dei funzionali {Z7,,} definisce la successione ( g j in H: A,(/) = (/.£„), Il-Pi, “ -fra II = || II» la successione (g„) è, a sua volta, di Cauchy. Come conseguenza di questa proprietà :|U -s„||-> 0. . Il funzionale Z7, definito da F ( f ) = (/, g), realizza la tesi. 3. Introduciamo nello spazio dei funzionali una nozione di prodotto scalare che generi la norma discussa in precedenza. Siano dati due funzionali F j e F2ì definiamo come prodotto scalare fra F j e F2 l ’espressione: ( F u F 2) ^ ( g 2 , gì). Questa definizione rispetta le proprietà del prodotto scalare e dà luogo alla norma introdotta in precedenza. Lo spazio di Hilbert, costituito dall’insieme dei funzionali lineari e limi­ tati definiti in ti, si chiama duale di H e si indica con H' . La corrispondenza F « g , indotta da F(J) = (f, g), non è un isomorfismo fra spazi di Hilbert, in quanto a F t=> ag e, inoltre, il prodotto scalare non è conservato. Per istituire un isomorfismo fra i due spazi di Hilbert, si procede come segue: Sia {<D/J una base in ti, consideriamo la successione di funzionali (Z7,-) de­ finiti da Fi (/) = (/, <£,), risulta: n n =(/, g) = (/, 2 (s, * ,) © ,) = 2 « w . * , ) = 2 o T w (/). ' ì 7 ì i La successione di funzionali (F,(/) ) è una base in t i ' . Si instaura un iso­ morfismo fra t i ' , l2 e t i come segue: FEH' » ((g, % ) ) Eli « 2 ( * . © , ) « ) , £ « . CAPITOLO PRIMO Lo spazio duale di Li{—00, <») è quello che venne chiamato da Dirac io spa­ zio dei bra. 1.2. Funzioni generalizzate La nozione di funzionale lineare costituirà, in questo paragrafo, lo stru­ mento per realizzare la generalizzazione del concetto di funzione. In una prima fase rappresenteremo le funzioni in forma di funzionali li­ neari, poi opereremo la generalizzazione. Consideriamo l ’insieme L' dei funzionali lineari limitati definiti in b), il teorema di Riesz stabilisce che esiste una corrispondenza biunivoca fra V e L2(a, b). Ciò comporta che è equivalente la formulazione della nozione di funzione come applicazione definita ini? e quella di applicazione definita in L2(a, b). In altri termini il teorema di Riesz consente di esprimere il concet­ to di funzione come applicazione definita in uno spazio i cui elementi siano, a loro volta, funzioni. Coi termine funzione abbiamo inteso classi di equiva­ lenza in L2(a, b). Il passaggio a questa seconda formulazione determina uno scenario mol­ to promettente, suscettibile di generare un procedimento di generalizzazione del concetto di funzione. Il germe di questo procedimento è contenuto nel teorema di Riesz. Il discorso è soggetto alle osservazioni seguenti: 1. Il passaggio alla rappresentazione a mezzo di funzionali individua la classe di equivalenza e non un elemento f(x) della classe. In altre parole, la fun­ zione/fr) viene individuata a meno di un insieme di misura nulla. Se ci si limita a funzioni continue, la funzione/(*) è completamente determinata. 2. Se ci limitiamo a L2(aì b) e all’ambito del teorema di Riesz, non ottenia­ mo alcun guadagno. Gli oggetti che individua il funzionale e quelli su cui opera il funzionale sono gii stessi. Va precisato che i funzionali limitati, ui cui tratta il teorema, sono tutti ri­ conducibili, in L2(at b), a una classe ristretta: i funzionali integrali. 3. Assegnare la corrispondenza F sull’intero spazio 1^(2, b) è ridondante. Per determinare f(-x) è sufficiente la sola conoscenza della corrisponden­ za su di una base di L2(tf, b). I coefficienti di Fourier rappresentano i va­ lori dei funzionali sulla base. L ’ultima osservazione pone un problema cruciale: la scelta dello spazio su cui definire i funzionali, spazio che non è necessario sia di Hilbert. La scelta è soggetta a due esigenze contrastanti: a) massima regolarità degli elementi dello spazio, in maniera da rendere possibile la definizione del maggior numero di operazioni sugli oggetti ANALISI FUNZIONALE 9 rappresentati, che in prima istanza sono funzioni - esigenza che si tradu­ ce in una restrizione dello spazio; b) ampiezza dello spazio, in modo da permettere la determinazione univoca di una vasta classe di funzioni - esigenza che si traduce in una estensione dello spazio. In conclusione, abbandonando l ’esempio dello spazio L2(tf, b) t si può pen­ sare di individuare una funzione introducendo funzionali integrali, definiti in un opportuno spazio di funzioni. Lo spazio, delle funzioni su cui si asse­ gna il funzionale, viene denominato spazio delle funzioni di prova, i suoi elementi, funzioni di prova. Il procedimento consente di operare una gene­ ralizzazione, per cui i funzionali non siano più funzionali esclusivamente integrali e gli oggetti rappresentati non siano più esclusivamente funzioni. In altri termini, elaboreremo una formulazione del concetto di funzione,, suscettibile di una generalizzazione che abbracci una più ampia gamma di oggetti matematici, che non unicamente la nozione tradizionale di applicaori A A ** 1 — 75 AHJ.Ki Nel prossimo paragrafo inizieremo col prendere in considerazione fun­ zionali integrali, studieremo le loro proprietà, estenderemo, poi, la trattazio­ ne a funzionali non più di tipo integrale. Proprietà e operazioni sperimenta­ te sui funzionali integrali saranno estese ai funzionali generalizzati. 1,2.1, Funzionali integrali Cerchiamo, preliminarmente, di elaborare una formulazione, in termini di funzionali integrali, delle funzioni reali localmente integrabili. Nel se­ guito ci occuperemo di estendere il procedimento, il che ci porterà a defini­ re oggetti che sono la generalizzazione della nozione di funzione e che chia­ meremo funzioni generalizzate. In occasione della trattazione della trasformata di Fourier, per funzioni generalizzate, avremo occasione di allargare il discorso a funzionali a valo­ ri complessi. In quella occasione avremo modo di esporre l ’estensione delle nozioni qui introdotte. Riprenderemo la formulazione in termini di funzio­ nali integrali, però di funzioni compiesse. Dunque, la funzione/(jc) localmente integrabile genera un funzionale in­ tegrale sulle funzioni di prova, che d’ora in avanti indicheremo con (p(x). Il funzionale viene denotato: (<p,f) = ]f(x)<p(x)dx, VcpeDr. [1.1] Il primo passo da compiere è stabilire su quali funzioni, le funzioni di prova, convenga definire i funzionali integrali generati dalle funzioni local­ mente integrabili. 10 CAPITOLO PRIMO Le funzioni di prova debbono innanzitutto essere tali da concorrere a de­ terminare espressioni integrabili. Questa prescrizione fissa un limite sul loro andamento all’infinito. Se ci si limita a considerare funzioni/(*) che, oltre a essere localmente integrabili, sono a crescenza algebrica, per ottene­ re, nella espressione [1.1], un integrando integrabile; occorre che le funzio­ ni <p(x) decrescano all’infinito più rapidamente di qualsiasi potenza. Nel caso generale, per funzioni/(*) che abbiano come unica caratteristica d’essere localmente integrabili, la prescrizione in grado di assicurare l ’inte­ grabilità d ell’integrando nella [1.1], è che le funzioni di prova siano a sup­ porto compatto. Inoltre, le funzioni di prova debbono possedere opportune proprietà di regolarità, in modo da consentire l ’espletamento di operazioni, del tipo della derivazione, nella formulazione di funzioni per mezzo di funzionali. Come risulterà chiaro dal seguito, l ’opportuna, ulteriore proprietà da prescri­ vere alle funzioni di prova è di essere dotate di derivate di qualsiasi ordine. Infine, l ’insieme delle funzioni di prova deve essere sufficientemente vasto da far sì che funzioni f(x) localmente integrabili, distinte, generino fun­ zionali integrali distinti. Funzioni/^) che differiscano su insiemi di misura nulla non vengono classificate come distinte. L ’insieme delle funzioni di prova costituisce uno spazio, che va correda­ to con una nozione di limite. Utilizzeremo due spazi. * Spazio K Spazio delle funzioni infinitamente derivabili, a supporto compatto. In tale spazio si assegna il seguente concetto di limite: La successione {(p„(x)} C K è definita convergere a (p{x) E K , se; 1. I supporti di (pn(x) sono tutti contenuti in uno stesso intervallo limitato I. 2. La successione ( (pn(x)} converge uniformemente in/, assieme alle suc­ cessioni delle derivate di ordine /, V/, rispettivamente a <p{x) e (p^\x). • Spazio S„ Spazio delle funzioni (p{x) dotate di derivata di qualsiasi ordine e tali che V/7, q, 3 Cpq, costante dipendente solo dap, q e cp, ma non dax, per cui risulti: \x'’cp^ C]ìqi x E (—oo, co), p ì q numeri interi non negativi. Viene assegnato il seguente concetto di limite: La successione {<p„(x)} C S„ è definita convergere a (p{x) E S„, se: 1. In ogni intervallo limitato la successione {(pn(x)} e le successioni delle derivate di ordine /, V/, convergono uniformemente rispettivamente a <p(x) e <pw (x). 2. Le costanti sono tali che; \xy^,\x)\« s e ,.,, cioè possono essere scelte indipendentemente da n. 11 ANALISI FUNZIONALE Quest’ultima proprietà vale ad assicurare che la funzione limite cp(x) appartenga allo spazio S„. Lo spazio S„ ha lo stesso supporto del sottospazio di L2(— °°), introdot­ to, con la stessa denominazione, nella Lattazione della trasformata di Fourier. Differisce per il concetto di convergenza, qui introdotto, che induce una to­ pologia differente da quella istituita in L2(—00, &o). Esempi di funzioni appartenenti a K e S„ sono stati presentati nel primo volume. In particolare, le funzioni di Hermite sono esempi tipici di funzioni appartenenti a S„ e, per quanto attenga allo spazio K, vi appartengono le funzioni S !(x) (cfr. voi. I). Indichiamo i funzionali integrali con una notazione che richiama la nozio­ ne di prodotto scalare, ma che estenderemo anche a funzionali non di tipo integrale: F(<p) = ( lp , f ) = j f(x)cp{x)dx, la funzione f{x) viene denominata funzione generatrice del funzionale in­ tegrale. I funzionali integrali godono di due importanti proprietà: Proprietà 1.1 (dei funzionali integrali) 1. Linearità: (acp + li\i/,f) = a{ip,f) + [i(Y:f),'V(p(.x)l \i/(x)C & Va,/5CC, 2. Continuità: P e r i funzionali integrali queste due pr opri et à sono se mpr e soddisfatte. Posto lim <pn{x) = <p{x) => lim .(<p,„/) = (9,/). Infatti: • p e r (p{x) E.K, I(<P„./) - I^ jì <P„W“ <?(■*) Il/W I dx, la co nve rge nza è uniforme nell' intervallo I limitato. Il limite può essere portato sotto il s e g n o di i ntegrale; • p e r cp(x) EiSL, si suppone e s s e r e f(x), oltre ch e localmente integrabile, a c r es c en za algebrica. I( <Pmf)- (?>./) I« fi <P„(x) - 'P(x)1/ I + JI 12 CAPITOLO PRIMO Si è indicato c o n I un intervallo limiiaio c he include Vorigine, Con 1 il co mp le me n to di 1. P e r l'integrale e st eso a 1 vale il d i s c o r s o p r e c e d e n ­ te, ch e ha conse nti to di p o r ta r e il limite sotto il s e g n o d ' i n t e g r a l e. In 1 vale la s e g u e n t e dìseguagl ianza: I <&,(*)- <p(x) Il/ M ! l/W I. \x\p p è un numero intero p o s i t i v o , c h e vi ene s c e lt o in relazione a f ( x ) (fun­ zione a c r es c en za al gebri ca), in m od o c h e - — ■■■-risulti i ntegrabile in /. \x\p Siamo nell e ipotesi d e! t eor ema di Lebesgue. Il p a s s a g g i o del limite sotto il s e g n o di inte grale è consentito. L’insieme dei funzionali integrali che abbiamo introdotto, in ragione della dipendenza funzionale dalla funzione generatrice, ha la struttura di spazio vettoriale e, quindi, ingloba le nozioni di somma e di moltiplicazione per numeri reali. Inoltre, se conveniamo di indicare il funzionale in termini udì &i unzione gcncrairicc cne compare neu espressione ), si e in graco di definire le seguenti ulteriori operazioni: moltiplicazione per una funzio­ ne, cambiamento di variabile e derivazione; quest’ultima operazione, però, ne­ cessita di una cura particolare, Di seguito indichiamo le operazioni che abbiamo menzionato, espresse in forma autoesplicariva. Con Ft F, indichiamo i funzionali e con/(;e) ì f j(x) le relative funzioni generatrici. Somma ( l ) F = F, + r 2 definita da (<?,/) = K, + ($>,/2), Moltiplicazione per un numero (2) F - aF\ definita da (<p,/) s a((p,j\), Vcp(x) E ■^ Moltiplicazione per una funzione g(x) dotata di derivata di qualsiasi ordine K, (3) F = ((p, g f j) definita da (<p,/) = (g<pj,), V(p(x) E Sm. Se cpES„, bisogna porre restrizioni sull'andamento all'infinito della fun­ zione g(x). Derivata Preliminarmente, consideriamo funzioni assolutamente continue; vale: DO J DO f'(x)tp(x)dx =f(x)cp(x)|~„ - J f(x)<p'(x)dx, ANALISI FUNZIONALE 13 in questa espressione ii termine finito si annulla. Quindi per il funzionale derivata, che indichiamo con (<p,/')f vale l ’espressione: (4) ($>,/') = - (?>',/), e in generale = (-1 v»ws{t supposte verificate le condizioni di regolarità che assicurino la derivabili­ tà per parti n volte. Abbiamo ricavato le espressioni, ipotizzando proprietà notevolmente re­ strittive sulle funzioni generatrici dei funzionali integrali. L ’espressione finale ottenuta non necessita, per avere senso, delle restrizioni menziona­ te. L ’espressione (4) viene assunta come definizione della operazione di derivazione, quando/non sia derivabile, o non lo sia a ll’ordine n. Il secondo membro definisce il primo. In tal caso l ’esito della operazione derivata, per una funzione localmente integrabile, non è più espresso per mezzo di una funzione, cioè di una ap­ plicazione definita in R, bensì prende la forma di un funzionale, cioè di una applicazione definita in K o in S„. Come si vede, sono proprio le caratteristiche ui grande regolarità delle funzioni di prova che permettono l ’estensione della nozione ui derivata anche a funzioni che non seno derivabili in senso ordinario. Il procedimento che ha consentito di estendere l ’operazione di derivazio­ ne, tramite la formulazione per funzionali, anche a funzioni che non sono derivabili, secondo la definizione vigente in analisi, rappresenta il primo passo di quel procedimento di generalizzazione che presenteremo nel pros­ simo paragrafo. Cambiamento di variabile Consideriamo il cambiamento di variabile invertibile: x' = ax + b = u~\x, x = ux\ /(*') =/(k“ 1x) =/(x) = Uf(x). La funzione/(x) nel punto x' è una nuova funzione,/(x), del punto x, fun­ zione che dipende da/(x), quindi è una applicazione definita sull’insieme delle funzioni/(x) localmente integrabili. Abbiamo denotato con U que­ sta applicazione. (<p(x),f ( u ~ ' x f -- • Cioè, riscrivendo, nel formalismo dei funzionali, quanto dedotto: (5) (co, Uf) = -±-(cp(ux),f(x)), Vcp(x) e K, S„. M 14 CAPITOLO PRIMO Osservazione 1.2 II c a mb i am en t o di variabile, appli cazi one definita nel dominio di definizione R de ll e funzioni, determina una applicazione di in UF, ne ll o spazio SFd e l l e funzioni l o ca l me nt e integrabili. Il procedimento seguito consentirà di estendere, come vedremo, l ’opera­ zione cambiamento di variabile, anche a enti che non abbiano una dipen­ denza funzionale da una variabile. La relazione (5) individua la corrispondenza istituita nello spazio delle funzioni, quando queste vengano espresse da funzionali. Il funzionale a •primo membro ((p, Uf ) è ben determinato, una volta conosciuto il funzio­ nale (<p,/); il secondo membro determina il primo. Le espressioni (1), (2), (3), (4) e (5), elaborate in questo paragrafo, rap­ presentano una formulazione delle operazioni di somma, moltiplicazio­ ne, derivazione e cambiamento di variabile, espressa in termini di fun­ zionali, svincolata dal concetto di funzione, come applicazione in R. È questa formulazione che consentirà di estendere le operazioni anche agli enti generalizzati che introdurremo nel prossimo paragrafo. 1.2.2. Generalizzazione Negli spazi delle funzioni di prova introdotti si possono rappresentare, in forma di funzionali lineari e continui, entità più generali che non le funzioni localmente integrabili. Considereremo, nel seguito, la totalità dei funziona­ li lineari e continui (di cui i funzionali integrali sono un sottoinsieme), defi­ niti negli spazi delle funzioni di prova. Intendiamo per linearità e continuità le proprietà che abbiamo espresse in forma indipendente dalla natura inte­ grale del funzionale (proprietà 1.1). In queirambito, le proprietà erano au­ tomaticamente soddisfatte dalla natura dei funzionali, qui, viceversa, sele­ zionano i funzionali che intendiamo trattare. Che questa classe sia più ampia di quella che abbiamo fin qui trattato, lo si deduce dal seguente esempio. Esempio 1.2 i<p,s) = m - [i.2] Il funzionale [1.2] viene, impropriamente, denominato funzione delta di Dirac e, con abuso di notazione, indicato con S(x). Si verifica semplicemente che il funzionale [1.2] è lineare e continuo e, inoltre, che non possa essere ricondotto a un funzionale integrale. Occupia­ moci di questo secondo aspetto. 15 ANALISI FUNZIONALE Supposto che esista una funzione 8(x) che generi un funzionale integrale con la proprietà dell’esempio, l ’integrale risulterebbe sempre nullo per tutte le funzioni di prova che si annullino in un qualsiasi intorno dell’origine. Quindi, la funzione 8(x) dovrebbe essere q.o. zero. Ma, per una funzione siffatta, il funzionale integrale è nullo \/cp(x). Il che contraddice la defini­ zione. Nella classe di funzionali introdotta possono essere definite tutte le ope­ razioni, descritte in precedenza, (1), (2), (3), (4) e (5). Infatti, le operazioni sono state espresse nel formalismo dei funzionali e possono essere estese a tutta la classe. L ’estensione si ottiene considerando i secondi membri come definitori dei primi. Definizione 1.3 (Funzioni generalizzate) /funzionali lineari e conti ­ nui (proprietà 1.1 ), definiti sull’ i nsieme de ll e funzioni di p r o v a K o S„, v e n ­ g o n o definiti funzioni generalizzate. Gli insiemi dei funzionali v e n g o n o d e ­ notati rispettivamente K r e SL. Con questa definizione, si è inteso selezionare tutti i funzionali, definiti nello spazio delle rispettive funzioni di prova, che godano della proprietà 1.1. In K' e SL si definiscono le operazioni di somma (1), di moltiplicazione per un numero (2) e per una funzione infinitamente derivabile (3), di deriva­ zione (4) e di cambiamento di variabile (5). Le espressioni (1), (2), (3), (4) e (5) rappresentano la definizione, nello spa­ zio delle funzioni generalizzate, delle operazioni menzionate. Il termine funzione generalizzata deriva dalla circostanza che questa no­ zione generalizza il concetto di funzione. Notazioni 1.1 Per le funzioni generalizzate adottiamo le seguenti n o ­ tazioni equivalenti: U < P), (<P./v). fv L’ indice v v a l e a distinguere le differenti funzioni generalizzate. La prima e spre ss ione deriva dalla usuale teoria dei funzionali lineari. Le altre due espressioni por ta no il s e g n o d ’ origine dei funzionali integrali. Nell'ambito dei funzionali integrali, f v rappresenta la funzione g e n e r a ­ trice del funzionale. P e r le funzioni generalizzate, non rappresentate in ter­ mini di funzionali integrali, f v è s olo un simbolo, un nome p e r indicare la funzione generalizzata. Osservazione 1.3 Di una f unzi one generalizzata f non si può dare il valore in un punto - c o m e avviene p e r una f unzione ordinaria. Viceversa se, 16 CAPITOLO PRIMO dato un intorno U, p e r o g n i funzi one di p r o v a (p(x), co n suppor to in U, ri­ sulta ((ptf ) = 0, si d i c e c h e f è nulla in U. Il funzionale S s i annulla in o g n i intorno U $ 0 di qualsiasi p u n t o. Punto essenziale *0 è denominato punto essenziale, per la funzione gene­ ralizzata/, se non esiste alcun intorno di xQin cui/si annulli. Supporto L ’insieme dei punti essenziali di/viene chiamato supporto di / Se un insieme A contiene tutti i punti essenziali d i/ si dice che/è con­ centrata in A. Il supporto di 8 è l ’origine. Il funzionale S è concentrato nell ’origine. Quanto esposto consente di effettuare il confronto locale di due funzioni generalizzate. Affermare che due funzioni generalizzate/e g coincidano su di un insieme aperto G, vale a indicare che il funzionale differenza:/—g, sia iiuiiu ili t-r. oioc cnc \(p,j g) ~ u, v (p\X) il cui supporto sia contenuto in (_r. Definizione 1.4 (Funzione generalizzata regolare) Una f unzi one g e ­ neralizzata, e s p r e s s a da un f unzi onal e i n te g ra l e, vi e ne chiamata r e g o l a r e . La funzione/(*) che compare nell’integrale: (<p,f) - ff(x)<p(x)dx viene de­ nominata funzione generatrice della funzione generalizzata regolare. Una funzione generalizzata si definisce regolare in una regione G, se ivi coincide con una funzione generalizzata regolare. Il funzionale <5è regolare dappertutto tranne che nell’origine. 1.2.3. Regolarizzazione Il formalismo dei funzionali permette di stabilire un metodo di regolariz­ zazione di integrali divergenti. Supponiamo di avere una funzione f(x) non localmente integrabile, per esempio non integrabile nel punto x0. L ’integrale: A » = j f(x)(p(x)dx, è in generale divergente. Quindi non definisce un funzionale lineare e continuo; pur tuttavia definisce un funzionale F. Il funzionale F viene denomina­ to singolare. L ’idea che nasce spontanea è di costruire un funzionale lineare e continuo FE.K' o SL che coincida con F in tutti gli intorni che non conten­ gono il punto *0l ovvero in R - x Q. ANALISI FUNZIONALE 17 II procedimento, che porta alla determinazione del funzionale F , viene indicato con il termine di regolarizzazione di F. Il funzionale F viene indi­ cato come il funzionale regolarizzato di F. Esempio 1 3 % Consideriamo f (x) = In generale il funzionale ) = ( ? ./ ) è divergente. Per funzionale regolarizzato sì può porre: m ;& - {*&■<* + ! “ » mA 4 fJ & L fr - a a Come si vede, F soddisfa le condizioni richieste. Per tutte le funzioni (p(x) il cui supporto non contenga l ’origine, vale la relazione: = F(<f>), quindi F = F in R —xQ.E facile rendersi conto che la regolarizzazione introdotta equi­ vale al calcolo dell’integrale secondo la prescrizione del valor principale. In­ fatti * F((p)= + ] cm . z ± ( 9 ) dx + \m - j p M dx+ •> - - X » +j m w X dx+j m dx> X -r. ^ m e - £ a tutti gli integrandi sono integrabili, Vfi> 0, nei rispettivi intervalli di inte­ grazione. L ’espressione può essere riscritta nella forma: POP) = T m - Joo + X dx+ - *a X - ^e + 1^ - ? (0) dx X + dxt nella espressione abbiamo cancellato due contributi uguali in valore asso­ luto e di segno opposto. La prescrizione non dipende da a e neppure da fi, che giocano il ruolo di parametri arbitrari. Per cui l ’espressione scritta vale anche nel limite fi - 4 0. In tale limite | F((p) = lim r w . dx+t m d x 1 x J x — ^ - ^ - d x b 0. Concludendo: 18 CAPITOLO PRIMO 1.2.4. Funzione generalizzata 8 Con abuso di notazione indicheremo la funzione generalizzata 8 come una funzione, cioè 8{x). Valgono le seguenti proprietà: • (<p, x8) - (xcp, 8) = xcp{x) |.v=o = 0 =>x8(x) —0. ' f(x)8{x - x0) =f{x0)-8{x x0), si è indicato, impropriamente, con (<P. <5.,0) = V i*)-o • 8( —x)=8(x). ■ (cp, 5 M ) = ( - l)"(<pl">, 8)= ( - l)'V'n)(0). • Cambiamento di variabile - Prendiamo in considerazione il seguente cam­ biamento di variabile: y = a(x) = u~]x1 [1.3] la funzione a{x) abbia un numero finito di zeri semplici (*/)” e sia una funzione analitica di variabile reale. Ciò comporta che, in un opportuno intorno di ogni zero x{di cc(x), si possa scrivere: y=a(x)~a'(xi)(x-xi), quindi l ’espressione [1.3] in tale intorno sarà invertibile: x ‘s * k ) y + x ' = u y> O. U 8) = -, ) ■ (ffOoO. I ® (*/)I I Ogni intorno di uno zero di cc(x) contribuisce per il fattore riportato. E, in conclusione: 1 t/ s = 2 -8{x-x,). 1 I <*'(*/) | L ’espressione può essere scritta con notazione impropria: T K W l Si può anche dare la seguente derivazione in senso improprio: 1. Si osserva che le funzioni generalizzate a primo e secondo membro nohan­ lo stesso supporto Qx,-, per cui le funzioni generalizzate a primo e secon­ do membro si annullano in tutti gli intorni che non includono {x() ANALISI FUNZIONALE 19 2. Si nota che in un intorno di uno qualsiasi dei punti xt del supporto di 5, in­ torno che possiamo scegliere piccolo quanto vogliamo, vale l ’espressione: cx(x) ~ a :(xì){x —*,), per cui le funzioni generalizzate, in tale intorno (cioè per funzioni di prova con supporto in tale intorno), danno luogo, a primo e secondo membro, a identiche espressioni. L ’espressione trovata può essere generalizzata in presenza di una infinità numerabile di zeri semplici della funzione ot(x), purché gli zeri non ab­ biano alcun punto di accumulazione. Esempi che si incontrano in letteratura sono; <5(sin;t) = 5(x - In). 5(x2 - a2) = —— [<5(x - a) 4- <5(rc 4- a)]. 1.2.5. Trasformata di Fourier Premessa 1.1 Preliminarmente, va este so quanto es po s to p e r f unzi o­ nali reali a funzionali a valori c o m p l e s s i . Le funzioni generalizzate r e g o l a ­ ri, g e n e r a t e da funzioni localment e integrabili co mpl es se , v e n g o n o definite come segue: Come disc uss o, le pr opri et à delle funzioni generalizzate v e n g o n o s u r r o ­ gate da quelle dei funzionali integrali. Per cui due dell e operazioni ri porta­ te in p r ec e d e n z a (moltiplicazione p e r un numero e moltiplicazione p e r una funzione infinitamente derivabile) vanno modificate c o m e s e g u e : • (<p, a f ) - f a t p j ) , • (?>,£/) = (8<pJ)La trasformata di Fourier 8F(/), di una funzione generalizzata/, è un fun­ zionale a valori complessi nello spazio delle trasformate delle funzioni di prova cp), definito da: (?>,/)“ (9 * 0 . ^(Z))Il primo membro definisce il secondo. Si è generalizzata l ’espressione che si ottiene per le funzioni a quadrato integrabili, per le quali il prodotto scala­ re è invariante sotto trasformataci Fourier. In conclusione, la trasformata di Fourier di una funzione generalizzata/è un funzionale ^(/) definito sull’insieme delle trasformate di Fourier delle funzioni di prova. Il valore del funzionale S&(/) è definito in termini del fun­ zionale/. CAPITOLO PRIMO 20 Esempio 1.4 ($>, 8 ( x - x 0))= W f ) ' ^ ( s (x ~ xo))) = <p(xo). sappiamo valere la relazione: p(xn) = “ r J &(ip)(o-)cxp(ia(xQ))d<r. Quindi il funzionale (8F(?>), SF($(x - *„))) è un funzionale integrale: j HS(x - j &>((p)(a)exp(i crx0) d c , quindi: 1 &W* - x * ) ) w - ^ = cxp Da cui, in notazione impropria, vaie: 1 8 ( x - x o)®*^ 7 J exp[fo-(.v-vQ)]^cr, Funzione generalizzata 9 Vogliamo studiare la funzione generalizzata re­ golare che ha per funzione generatrice: %x) - (9>, O, 1 per;t^=u, 0 p erx< 0, f (p(x)d(x)dx= {(p(x)dx. * —« o 0') = - (<P\ 9)= - J 0 Concludendo, ne/ delle funzioni generalizzate, vale 0'= 5. Una funzione a gradino è esprimibile in questi termini: h(x) = '2l hld ( x - x l), /=* I /I quindi, nel senso delle funzioni generalizzate, h , = ^ hj8(x —*,). i« i ANALISI FUNZIONALE 21 1.2.6. Limiti di s u c c e s s i o n i dì funzioni generalizzate Sia (/v) una successione di funzioni generalizzate, si dice che la funzione generalizzata/è il limite, nel senso delle funzioni generalizzate, della suc­ cessione, ciò è / y —>/, se: V/p(x)e k , s„. Analogamente, per le serie di funzioni generalizzate vale: 2 V(p(x) E A - » / , se V «l K, L . Una successione {/vj di funzioni generalizzate, convergente alla funzio­ ne generalizzata/, gode della proprietà che la successione delle funzioni ge­ neralizzate derivate /volte converge alla derivata /-esima di/: = ( - 1 ) '( f W ./ v ) - > ( - 1 ) W ) - (ft/ » ), V p (x) E 5-. Proprietà analoga vale per le serie di funzioni generalizzate. Una serie di funzioni generalizzate, convergente a una funzione generalizzata / è deri­ vabile quante volte si vuole termine a termine, la somma della serie derivata termine a termine coincide con la derivata della somma della s.erie. Proprietà L2 (Sviluppo in sene di Fourier) La funzi one f(x) E A] ( tc, è s e m p r e sviluppabile in s e ri e di Fourier, ne l s e n s o de ll e f unzioni g e n e ­ ralizzate. In termini espl iciti , p o s t o tc) = y C< (ilx) ((Dt -a (rc\ f\ \itr\ £: J 0 In altri termini, p e r la c o n v e r g e n z a a f(x), n e l l ambito dell e funzioni g e n e ­ ralizzate, della s e ri e di Four ie r relativa af{x), basta p o t e r c a l c o l a r e i c o e f f i ­ cienti di F o u r i e r ; equivalèntemente, è suff iciente e s s e r e in g r a d o di s c r i v e r e la serie. S ia/(*) £ L i ( - n, Definiamo: n), = d - inx)dx. J exp( - 22 CAPITOLO PRIMO La funzione (p(x) è assolutamente continua e inoltre: <K~ ri) - = 0, (p{x) E L j(—/r, tt) & L2( - 7T, 7t). Indichiamo con 7/ i coefficienti di Fourier di </>(*), 7i = ^ exp(-ilx)dx = - TV J f W exp ( - ilx)dx N=0, ~ K definiamo <D(x) = f[<p(t) - C]dt, con C : / [0(f) - C]df =0. ~K “T T Procedendo come in precedenza, si ottiene: 0 ( - ri) = ®(jr) = 0, indichiamo con T/ i coefficienti di Fourier di <£(;:), La funzione <D(;t) è assolutamente continua, inoltre: <£(- ri) = O(tt), <&'(*) = (p{x) - C £ L 2(~ tt, 7T); per il teorema sulla convergenza uniforme dello sviluppo in serie di Fourier, si ha: V fviri) —^ I"/exp ilx —>iinlfonneiucnic <*>«• - v 3/V : |/v(x)- $(x)| < e, V e > 0, v>W, xE(-n,7t). Se intendiamo per /v(x) e <J>(x) le rispettive estensioni periodiche, vale anche: Ve> 0, 3N : |/v(;t) - <P(x)| <£, v>N, *6 Risulta: |( f v{x) - 0(x))<p(x) |< e| <p(x) |, x 6 ( - ~), quindi, per il teorema di Lebcsgue, possiamo passare al limite sotto il segno di integrale nella espressione lim ([/v —$ ] , <p). Si ottiene che/v(;c) —><&(•*) nel senso delle funzioni generalizzate. Poiché: V fy(x) = ^ r,ex p (ilx)~ ^ f s ®(x), 23 ANALISI FUNZIONALE segue che: V fv(x) = 2 Y<exp07x)->/.*. 0 W “ C, C = 7o> -V.hfi 0 /JW = 2 c' exP (i/x) —v, /140 = /w - c- c " c0‘ In conclusione: V lirn X Yitx^(ilx) =/.«,. 0(x), - V V lim T) c,cxp (t/x) =/.?./(x). - V Esempio 1.5 ,r /vW y Ve>0, 3W:Vv>W, _\^ sin v* uniformemente v, n |<Kx)/v(x) |« e| <p(x) |, VxEP. Per il teorema di Lebesgue, possiamo portare il limite sotto il segno di integrale nell’espressione (<p,/v). Quindi la convergenza a zero vale anche nel senso delle funzioni genera­ lizzate. Consideriamo/yU) = cos vx, questa successione non converge nel senso ordinario, ma, come successione di funzioni generalizzate, converge, come .deve, a zero. Infatti: J COS Vxdx ^ per IIteorema di Ritmami Lebesgue 0* Esempio 1.6 Consideriamo la successione di funzioni: ( »f v) /w(x) = - i ( x + z 7i) - k N + 7t2 6(x + 2te) ->A,./(x). -N L ’elemento N-esimo della successione è rappresentato in figura 1.1. La funzione limite/(x), limite nel senso delle funzioni generalizzate, è una fun­ zione periodica, di periodo In, ed è graficata in figura 1.2. Nel senso delle funzioni generalizzate vale: 24 CAPITOLO PRIMO Figura 1,1 Rappresentazione grafica di/*(*). Rappresentazione grafica di/(.v). 1 in altri termini/'= - —+ n ^ 8(x + 2kn). Sviluppiamo in serie di Fourier la funzione/^). f(x) è una funzione pe­ riodica, di periodo 2n t dispari. « f(x) = 1 s*n smn* / (* ) = 2 ^ ? ~ ]'/(*) sin i 2 tt = —j " ( * - * ) sin nx dx~- ANALISI FUNZIONALE 25 Ricapitolando, nei senso deile funzioni generalizzate: — \ (x+ 7t) - nN + 72t 0(x+ 2kn) =*N _ ^ j ? ■S-1— , 1 -N i n Se deriviamo termine a termine: c o s nx = “ Esempio 1.7 + ^ 2 3\x 4- 2k7T). Sia ( 0„(*))7 una base in Z^C-*00, ^.Consideriam o la sucV ======== cessione di funzioni generalizzate regolari f/v(*) =T.<I)/(a:)0 /(v)} s vogliamo dimostrare che/v(x) —>8(x - y ), nel senso delle funzioni generalizzate. (<p,fv) = X ( p ;n e n ì i i ì ì u s $ w ) ^iiùe iiìLaC" * $>OV. vale anche in senso puntuale. Ebbene le basi in co, *») sono in generale autofunzioni di operatori differenziali autoaggiunti. In questo caso la serie considerata, relativa a funzioni appartenenti al dominio dell*operatore diffe­ renziale in questione, converge uniformemente (cfr, il problema di SturmLi ouvii le, paragrafo 1.8.2). Le funzioni di prova hanno caratteristiche di re­ golarità tali da assicurare la loro appartenenza ai domini degli operatori dif­ ferenziali che usualmente si presentano. Per cui: ®i)®i(y) = (<p>/v) 1 In conclusione, f v -> 8(x - >•), nel senso delle funzioni generalizzate. Vogliamo presentare un interessante esempio che rappresenta una intro­ duzione molto istruttiva alla trattazione delle successioni ^-convergenti. La disanima di questo esempio necessita di una premessa. Premessa 1.2 Si co n si d er i la f unzi one : f (z) - logz = log |zr|4- /argz, 0 ^ argz < Ire. La f unzi one f(z) è definita in tutto il pi ano c o m p l e s s o e ivi, e s c l u s o l a s s e r eal e posit ivo, è c o n ti n ua. I ndic hiamo il v a l o r e dì fi z) s u l l as se r e a l e , limite dal s e mi pi a no s u p e r i o ­ re, c o n log(x 4- i0) r log* per x>G = log |*| 4- i7t6(—tc). logCr-H iO) = lo g ici 4- ire per * < 0 ! 26 CAPITOLO PRIMO Esempio 1.8 neralizzata Ci proponiamo di ricavare l’espressione della funzione ge­ log (x + i 0). Puntualmente vale il limite: log(jt-W0)= lim y > 0, y —>0 log z = log|.^| + ìtvQ ( - x), dimostriamo che il limite vale anche nel senso delle funzioni generalizzate. Consideriamo la striscia <7nel piano complesso: Indichiamo con À il disco di raggio uno e centro l ’origine nel piano z e con A il suo complemento. Yale: iy)I« |logCx + ^ y lo g A -2) 2 + (27T)2 = J ( j \ o g ( 2 x 2) J + ( 2 r f zE crfì À, z E aflÀ . per cui vale la diseguaglianza: I < p{x)og l (x+ iy) I« I < K, zpE (T. f (p(x) y(x) f è una funzione di * integrabile in ( — °°), quindi è consenti­ to portare il limite lim sotto il segno di integrale nell’espressione: {(p, log z) = J cp(x)log (x + a lim (<p,logz) = (f>, log(x + i0)) = {< pog|x|+ l y> 0,7 -* 0 Ricaviamo l ’espressione della funzione generalizzata ( f , ^ lo g ( x + i0 )j = -(< ? ',log \x\+ i n d ( - x ) ) = = ( 'P . - ^ lo g | x |) -iX < p , -^•log {x+ (0) = -J^log | x\-ì k 5{x). Analizziamo il primo termine a secondo membro: L ^ l o g | x | ) = -(«p\log|x|) = - jV(x)log|x|dx. ' ' n log (x + iO). ANALISI FUNZIONALE 27 Questa espressione si presenta nella forma di un funzionale integrale, cioè di una funzione generalizzata regolare (log \x \è integrabile in qualsiasi in­ tervallo limitato), per cui vale: \x\dx = I(p\x)log\x\dx = lÌYn lìm J ( p X x ) lo g \ x \ d x + jlog|jc|dx e— >0 a Si è scelto a < 0 < b . Si ottiene: -£ b lim J (p\x) log ( —x)dx + j(p'(x) \ogxdx /?>'(*) log |x\dx= £-4 0 a £ = lim r ^ d x_ f m dx £ —>0 J xX jEJ X x Si è integrato per parti, il termine finito è: log e[ip(- e) - Ip(E)] = e log e ^ ~^ ~ f m dx+f m ^ lo g M ^ U m Abbiamo indicato conP l ’operazione di limite scritta. Questa operazione p r e n d e il n o m e di valor principale. In conclusione: _d_ log (x + iO) = P —dx ì k 5{x), L ’espressione scritta va intesa nel senso dei funzionali. Per quanto riguarda le funzioni generalizzate, l ’ordine di esecuzione delle operazioni di derivazione e limite può essere invertito senza usare alcuna precauzione. In questo caso, possiamo invertire l ’ordine di esecuzione delle . ...lim e — d : operazioni r y-*o dx d_ lim logz = lim — logz j1>0. y — >0 dx dx y> 0,.y -►0 = lim x -iy —-----r. J’ > 0,.y -» 0 y p -f- y 2 Per cui: lim _~ ^ = P ——ì k 5 (x ) . y >0, y — »0 -f- y 2 X 1 lim y>o,y — » ox + iy 28 CAPITOLO PRIMO Ed eguagliando parti reali e immaginarie, nel senso delle funzioni gene­ ralizzate, si ha; lim — * ■ = ;•-*0 xr + y 2 1.2.7. x lim ” “ ——= nS{x). y>0,y-*Qxl + y2 S uc ce ssi oni d- c on ve r ge nt i Consideriamo l ’espressione ottenuta n ell’ultimo esempio del paragrafo precedente: lim —- —k 8( x) , A primo membro comoare una succes,y>Q>y Qx~ [y2 sione di funzioni generalizzate regolari, a secondo membro una funzione generalizzata non regolare, cioè non esprimibile da un funzionale integrale. In altri termini, si approssima una funzione generalizzata singolare con una successione di funzioni generalizzate regolari, cioè usuali funzioni. L ’ap­ prossimazione va intesa nei senso delle funzioni generalizzate. C ’è un altro esempio dello stesso genere, ce ne siamo imbattuti durante la dimostrazione del teorema di Weierstrass sulla approssimazione uniforme di funzioni continue. In quella sede considerammo la seguente successione; Afro) = J/fro + x)A„(x)dx, a„ : j1 a Jl-x 'y 0 per * e ( - l , l ) . A„(x per *<£(-1, 1),)= = 1. - I Si dimostrò che; Pn(xQ) - * f ( x o). Trascrivendo l ’espressione nella terminologia di questo paragrafo: Av(x - *0) - f v (*). f(x) = <p(x), Py(xo) = (<p,/v), ponendo x0 = 0 si ottiene: (p,/v) -» ffl(0) = (<p, 6), In conclusione, nel senso delle funzioni generalizzate; Av(x) —>£(*), e in generale: Av(x —Xq) -> <5(*-*0), a primo membro compaiono funzioni generalizzate regolari. Nel limite la suc­ cessione di funzioni generalizzate regolari tende, nel senso delle funzioni generalizzate, al funzionale S. ANALISI FUNZIONALE 29 Tali successioni vengono indicate col termine: successioni 5-convergenti. Vogliamo studiare in maggior dettaglio il tema sviluppato negli esempi. Per quanto visto in precedenza, una successione di funzioni generalizza­ te regolari convergente a S è: , , \ 1 £ £> 0 è un indice continuo che va a 0 - può essere facilmente convertito in un indice discreto da far tendere aH’infinito. Rileviamo ora le peculiarità della successione, per dedurre caratteri distintivi caratterizzanti le successioni £-convergenti. b n If. w - f = — arctan——arctan — . 7T[ £ £] Da questa espressione deduciamo le seguenti due proprietà: 1* * ■--------~‘ u 2• i V»/ '-O c n h -*> *-■» fr\(*r '*Aiti '*'*■*■ i r n j f e(x)d r 0 se I KJ 1 se vo Ia* * ***'"’• W f / /VWv ^ r n /H LX .T j U, b < a < 0, a<0<b. [1.5] Caso g e n e r a l e Dimostriamo che ogni successione di funzioni genera­ lizzate regolari/v(x) che soddisfi le proprietà [1.4] e [1.5] sia una successio­ ne ^convergente. Poniamo Fv(x) = j f vm,Fv(x) - > puntualmente &(x)‘ -1 Il limite vaie anche nel senso delie funzioni generalizzate, infatti lim ( (p, Fv) = (<p, lim Fv) = ((p, 0), V - > «> V - > »• da notare che si è potuto portare il limite sotto il segno di integrale in quanto \Fv(x)\<C. Fv(x) - > funzion. gen. e(x). Risulta: F vW —fv ( x) ^ funzion. gen. CAPITOLO PRIMO 30 Nelle trattazioni in cui si fa uso di successioni ^-convergenti, le successio­ ni vengono parametrizzate con indici che divergono v—><>0, oppure che con­ vergono a zero e —>0. Con un semplice cambiamento di parametro si può transitare da un tipo di parametrizzazione a ll’altro. Si usano indici sia nel continuo, che nel discreto. Esempi di successioni ^-convergenti sono: È facile verificare che, per queste due successioni, le proprietà [1.4] e [1.5] risultino soddisfatte. La convenzione è di indicare con e un parametro che si fa tendere a zero, con v un parametro che si fa tendere all’infinito, 1.3. Operatori lineari Definizione 1.5 (Operatore) Si d e n ot a c o l termine di o p e r at o r e una corrispondenza A definita su di un s o t t oi n si e me DAdi uno spazio di Hilbert H, a valori in un sott oinsieme Aa di uno spazio di Hilbert H'. Nella m a g g i o r par te de i casi c h e si p r e s e n t a n o i n f i s i c a H ^ H ' . Il sott oinsieme DAviene de nomina to domi nio di A}il sottoinsieme Aa c o dominio, 0 dominio di variazione, d e l l ’ o p e r a t o r e A. L’ope r at o re viene indi­ cato c on (A, Da). Estensione Dati due operatori (A, DA), (5, DB), se si verifica che: DaC D d, Se Af=Bf, V/ED„ l ’operatore (B , DB) viene definito e s t e n s i o n e di (A, DA) } l ’operatore (A, DA) viene definito restrizione di (5 , DB). Quanto esposto viene espresso con la notazione sintetica ACB. Continuità fica che: V e> 0, Dato un operatore (A, DA) }se per un elemento/0 E DAsi veri­ 35' .VfGDA, \ \ f - f 0\\<8, l ’operatore A viene definito continuo in/0. Se la proprietà vale V/0 EDa, l ’operatore viene definito continuo. 31 ANALISI FUNZIONALE Estensione continua Dato un operatore continuo (A, DA), se si verifica che: 3 g 0EH' &/0si può definire l ’operatore A in/0 ponendo A/0 = g 0. Tale estensione viene indicata col termine di estensione per continuità. Prodotto di operatori Siano (A, DA), (B , DB) due operatori rispettiva­ mente dallo spazio di Hilbert H allo spazio di Hilbert //' e dallo spazio di Hilbert H' allo spazio di Hilbert //": H->AH r ->BH". Se AaD Db ^ 0, si può definire il prodotto (BA, DBA), avendo indicato con DBA^ [ f E D A: Af EDB): Se //, H' t H" coincidono, si può definire il commutatore: AB-BA, ma solo se Dba n Dab ^ 0, risulta DAB_BA= DBA0 DAB. Operatore inverso Sia dato un operatore (A, DA) dallo spazio di Hilbert H allo spazio di Hilbert //', se non esiste alcuna coppia di elementi f x, f 2C DA per cui A/j - A f 2l l ’operatore (A, DA) è invertibile in//'. L ’inverso lo si indi­ ca con (A“ 1, Da-<). Da = ÀA- C H e £>a- = ÀAC //'. Somma ortogonale di due operatori Lo spazio di Hilbert // sia decom­ posto nella somma ortogonale di due sottospazi: H — ©//2 e siano dati due operatori (A,Da), DAC H {e {B}DD)yDBC//2; si può definire in//un ope­ ratore, denominato somma ortogonale di A e B }denotato A © 5, come segue: Sia/E//,/=/, +/2,/, ED a C//„/2ED, C//2 A© £ / « A/, + B/2i DA0zj = (/©//:/=/, +/2,/, EDAC H h f 2EDBCH2). 1.3.1. Operatori lineari limitati Nel seguito ci limiteremo a studiare operatori lineari. Definizione 1.6 (Operatore lineare) Da è una varietà lineare e risulta: (A, DA) è un op e ra t or e lineare se A( af + pg ) = oAf+ PAg, V/, g CD a Se Va, pc C. CAPITOLO PRIMO 32 Definizione 1.7 (Operatore limitato) (A, DÀ) viene definito limitato se : su p M o . ll/ll Per un operatore (A, DA) iimitató si introduce il seguente concetto di norma, denotata ||A ||: ||A||= s u p iM . Vale anche: i|A||= sup M |<1 & A == sup SU' \W l /efljll/iM Per derivare le ultime due espressiorti. basta osservare1 /ED J|/J ll/ ll MII“ ?.u? S11;* il- = suP / !/!! ii; = sup ||A/||. f^D/uf ii«i 1 : 1; risulta: * Per ll/ll ^ 1, quindill/ll A / | |m* M il| |/il Utilizzando le proprietà del sup, si ha la seguente catena di diseguaglianze: sup IIA/1| ^sup ||A/|| ^sup - sup ||A/||. ll/ll-» ll/ll-i ll/ll*» ll/ll ll/ll-»1 È facile verificare che la nozione introdotta soddisfa le proprietà della norma. In generale, per un operatore lineare limitato (A, DA) vale: v f e D À ||A/|| ||A |j il/||. Un operatore lineare limitato è continuo U f - A f 0\\^\\A\\\\f-f0\\. Un operatore continuo in un punto è limitato e quindi continuo. Sia (A, Da) continuo in/0: V e> 0, 3 5 > 0 : V/GD^, ||/-/0||<$, ||A/-A/0||<£. ANALISI FUNZIONALE Sia g EDAi Ag = 33 2|HI 5 S+ 2!!£l! g 8+fa -A/o 2\\g\ m\ aliali [A f - A f 0]. Abbiamo posto; —&— 8 2 im i In conclusione, Vg £E M iliz ie . 5 2' vale; 2e T* Ogni operatore limitato può essere esteso, per continuità, alla chiusura della varietà lineare DA. Un operatore limitato è sempre inteso definito su di un sottospazio chiuso di H. Infatti, consideriamo un elemento/appartenente alla chiusura di DÀ, ma non a DA: f £ D À8cfen~Àf 3 [ f n} CDÀ: II/-/JI 0, la successione {/„} è di Cauchy e così pure la successione {Afu}. per cui: Esiste <P : jj Af„ —<Pj| 0, si pone Af= O. L'operatore esteso è un operatore lineare con la stessa norma dell’opera­ tore ristretto: Infatti: IlA/ll <\\Af-Af'\\+ ||A/„||, II-Af» Il 85 Il IlA/l! ^lim||A/„||,ì A f-„lI+ IlA/ II, j Il A/ |i s* lim IIA/„ II, si ha: ||A/|| = lim||A/„||. Analogamente j|/jj = lim II/, IL per cui: //-» *> lim M l L i i M M illl/nll \\f\\ Va osservato che per un operatore A limitato, quindi continuo, tutte le successioni {/,} convergenti a uno stesso elemento/generano successioni [Afn] convergenti a un unico elemento. Questa circostanza non si verifica nel caso di operatori lineari non limitati. Per gli operatori lineari limitati è solo raramente rilevante porsi il proble­ ma del dominio di definizione, in quanto si possono definire tali operatori in lì - > «X» CAPITOLO PRIMO 34 uno spazio di Hilbert per estensione continua; che poi questo spazio sia un sottospazio di uno spazio di Hilbert più ampio, nella maggior parte dei casi è irrilevante. Quando sarà rilevante lo metteremo in luce. Siano (A, H') e (.B, H) due operatori lineari e limitati; consideriamo (AB, H ), à 5 C//'. supJJ1m?i ^s/EuHpl|A||JS =l|A|l|5i- /E H Il/H Il/H (AB, H) è limitato e ||AB || ||A||||B j|. L'insiem e degli operatori lim itati forma uno spazio di Banach È sem­ plice verificare che si può dare una struttura di spazio vettoriale a ll’insieme degli operatori limitati, definiti in uno spazio di Hilbert H, a valori in uno spazio di Hilbert H'. Dati (A|, H) e (A2, H), si definisce (A=Al + A2, H) e (B = a A], //), come segue: A/=A,/+A2/, £/—ocA,/, V/E/f, & V aE C . Lo spazio è normato in quanto è stata introdotta la nozione di norma, ||A ||. Dimostriamo che lo spazio è completo. Cioè che ogni successione di Cauchy ha limite nello spazio. Sia (A,,) una successione di Cauchy. La successione di elementi (A,/), V/E//, risulta a sua volta di Cauchy: \ \ A J - A inf\\<\\Alt- A m\\\\f\\. Indichiamo con g il limite a cui la successione converge, l ’elemento g è de­ terminato da/. Quindi esiste un operatore A : A f - g. Risulta, V / etf, || AJ|A f|-> Dobbiamo dimostrare che ||A —A„|| — _ 0. ||A —A„|| = sup ||A„/—A/||, ||A„/—A/|| =£||A„,/-A/|| + ll/ll-1 + \\Anf - A J \\=£|| V e> 0, 3N : \\A„-A„,|< e, nel limite ni —» <*>, tenuto conto che ||/|| = 1, si ha: I K / - a/||<£. La diseguaglianza è indipendente da/, quindi vale anche per il sup. Di qui l ’assunto. Resta da dimostrare che ||A ||< «>, ||A|| = sup||A/||=S sup||A„/-A/||+ sup||A„/|| = ||A„-A||+||A„||. Il/ll=i ll/ll=i ll/ll-1 I due addendi sono finiti. 35 ANALISI FUNZIONALE 1.3.2. Operatore ag gi unt o p e r operatori limitati Sia (A, //} un epuratore lineare e limitato e g un elemento fissato nello spa­ zio di Hilbert/-/. Consideriamo il seguente funzionale, definito nello spazio di Hilbert H: F ( f ) = (Af g ) , g EH. Il funzionale F dipende dall’operatore A e dall’elemento g. Osservazione 1.4 L’ el emento g dov re bbe appart enere allo spazio di Hilbert H' in cui è ambientato il c odominio di A. Così p u r e il pr odot to s c a ­ lare a nd re bbe inteso inH'. Tuttavia gli operatori che si incontrano in g e n e ­ rale nei cors i di f i s i c a istituiscono una corrispondenza di H in se stesso. Basti p e n s a r e che, c o m e v e d r e m o ampiamente nel seguito, gran parte d e gl i ope rat or i di rilevanza f i s i c a g o d e della pr opri et à: (A/,g) = (/,Ag) V/,£CDa, inoltre s a r e m o interessati a operatori p e r cui abbia s enso la r i c e rc a de ll e soluzioni de ll ’ equazione Af\ = Xf\. Qui e nel se g ui to s u pp o r r e m o sempre, salvo esplicita diversa indicazio­ ne, H^H' . Il ca s o g e n e r a l e non c o n d u c e a co ncl us ioni differenti. È questione s o l o di p r e c i s a r e c h e alcuni vettori, piuttosto che v i ve r e in H, vivono in H'. I^X/) I = I Il funzionale è limitato. Per il teorema di Riesz esiste ed è unico in H l ’ele­ mento g*: (A/,g) = (/,g*). L ’elemento g* è determinato da g. Per cui esiste una applicazione, che chiamiamo operatore aggiunto e indichiamo con A+, tale che: A+g = g *, D y = H, l ’elemento g può essere scelto comunque in H. Il AVI!2 = (A7 , A+/) = (AA+/,/) * Il AA+/II ll/ll * ||A||||A+/|| 11/ 11. Abbiamo, dimostrato che l ’operatore (A+, H) è limitato. Inoltre: IlA/ll2 = (A/, Af) = (/, 36 CAPITOLO PRIMO In definitiva: P I H K il. Doppio aggiunto A++ Consideriamo: (A 7.*)-< / .A ++s), f , g C H , e confrontiamo con: (Ag,f) = (g,A+f) , f . g C H , risulta: i f EH-, (f,A++g - A g ) =0, ponendo/=A++g -A g si ha: |U++g-Ag|| = 0, Vge//,=>A++=A. ùe ?=n ma u A= n anora A ' ' è l'estensione continua di A. La deter­ minazione del doppio aggiunto è un metodo idoneo a ottenere la estensione continua di A all’intero spazio di Hilbert H. N H K | | = ||A+1 . Dati due operatori limitati (A» H) e (B , H), risulta: (AB/., g) = 1.3.3. (Bf A+g) = Operatori non limitati Gli operatori di questa classe.non sono continui in nessun punto. Abbia­ mo già discusso questo aspetto su basi generali, rivediamo il fenomeno esplicitamente. Si consideri un operatore non limitato (A. DÀ), poiché A non è limitato. esiste una successione: {<p„}CDA, Il ft,|| = 1 : ||Aft, ||-> oo. Sia {/„} CD a una successione per cui vale: / .- » / & A/), -> Possiamo costruire una seconda successione: HAft.ll *ft. =»||A/„-a>||&i-||A/n-©||. 114 - ® ||= A/„ — + Il A ft, || Il a ft, 37 ANALISI FUNZIONALE Quindi: A f^ O . La conclusione è che ogni volta che esiste una successione {/„) C D ASe un elemento <ì>EH: f„ —»/ & Af„ —» <I>, esiste anche un*altra successione Questo discorso si può ripetere VfEDA. Abbiamo verificato ciò che già sapevamo su base generale, cioè che l ’o­ peratore (A, DA) non è continuo in nessun punto. Il concetto più prossimo a operatore continuo, per un operatore non lim i­ tato, è quello di operatore chiuso. Dato un operatore (A, DA) non limitato, consideriamo Pinsieme delle successioni {/„} C DAconvergenti a uno stesso elementof E H e studiamo le successioni trasformate {A/w). Possiamo dividere le successioni (A/w) in due classi: 1. quelle convergenti in ri, ma non necessàriamente tutte allo stesso ele­ mento, 2. quelle non convergenti. Il ragionamento può essere ripetuto per tutti gli elementi f E H . Il massimo di regolarità che ci si può aspettare da un operatore non lim i­ tato è che tutte le successioni (A/„) c o n v e r g e n t i , generate da successioni {/„} C D Aì convergenti a uno stesso elemento/Eri, convergano allo stesso elemento <£. Un operatore siffatto, con alcune precisazioni, è definito chiuso. 1.3.4. Oper atore c hi us o Definizione 1.8 (Operatore chiuso) V{/„) C D a : A/„-><X>, (A, DÀ) è c hi us o s e : risulta I/ez>x. W „ = 3>. Definizione 1.9 (Operatore chiudibile) (A, DA) è chiudibile se, c o ­ munque c o ns i d e r a t e due s u c c e s s i o n i (/„} CDAe (/,;} C D À, tali c h e : t/ „ w . & risulta: ® = 0 '. [1.6] A partire da un operatore chiudibile si può, per estensione, ottenere un ope­ ratore chiuse, definendo A/= ®, gli elementi 4>sono quelli che compaio­ no in [1.6]. L ’operatore esteso si definisce chiusura di A e si denota A. 38 CAPITOLO PRIMO Un operatore chiuso è tale che A = A. Esempio 1.9 (Operatore non c hius o e non chiudibile) Sia H = L2(0, 1), inoltre sia (0„(x))7 una base in H, consideriamo l ’operatore: (A, C(0, 1)), Af=f(0)<P](x). Abbiamo inteso con C(0, 1) la varietà lineare, contenuta in 1^(0, 1), costi­ tuita dalle funzioni continue in (0, 1). L ’operatore è lineare, non limitato e non chiudibile. Infatti consideriamo le due seguenti successioni: sin/rx xE 0 xE » .f ) . cosnx / (? w p ‘)' 0 x6 1 . /! = 1 ,2 ,... Entrambe le successioni tendono in L 2(0, 1) all’elemento nullo dello spa­ zio. Tuttavia A/V,3= 0, Af™ —<£|(a'). L ’operatore non è chiudibile. 1.3.5. Oper atore ag gi u nt o p e r ope r at or i non limitati Il punto di partenza è un operatore non limitato (A, DA), definito nello spa­ zio di Hilbert//. Si può, analogamente alla trattazione condotta per un operatore limitato, introdurre un funzionale lineare (F, DF), definito in //, F(/) = (A/, g) con g anch’esso elemento di H. DF~ DA. Ricordiamo che vale quanto riportato nella osservazione 1,4. Per ogni elemento g E H si ha un funzionale differente. Avendo supposto A non limitato, non è più assicurata la limitatezza del funzionale F. Ci saran­ no degli elementi g per cui il funzionale è limitato e altri per cui non le è. Supponiamo che l ’elemento g prescelto concorra a determinare un fun­ zionale limitato. Allora sarà possibile operare un’estensione continua di F a Dfr. Si possono verificare due casi: l.// = ZV©M, MA 0. Il teorema di Riesz assicura che: 31 g * G ^ :F ( / ) = (/,£*). Però l ’elemento g * non è unico in H. Infatti, sommando a g* un qualsiasi elemento di M> si ottiene lo stesso valore per il prodotto scalare, quindi ANALISI FUNZIONALE 39 per il funzionale. Ciò implica che g * sia univocamente determinato in DF, ma non in H; in H è determinato a meno di un elemento appartenente a M. In conseguenza di ciò in H non esiste un operatore che implementa la corrispondenza: g g * t cioè in H no n esiste l ’aggiunto di (A, DA). In conclusione, condizione necessaria, ma anche sufficiente, perché esi­ sta in H l ’operatore aggiunto (A+, DA>) è che A sia densamente definito!* cioè che si verifichi: 2. H = D~F. Solo se l ’operatore (A, DA) è densamente definito esiste l ’operatore aggiunto (A+, DA>). Il dominio di definizione DA>è costituito dall’insieme degli elementi di H per cui il funzionale F è limitato. Si può esprimere lo stesso concetto nel linguaggio del prodotto scalare. Dato l ’operatore (A, DA), un elemento g appartiene al dominio dell’operato­ re aggiunto (A+, DA+) se 3 ! g* per cui: GV, £) = (/,£*) V/6D a. L ’unicità comporta necessariamente che l ’insieme DAsia denso in H, in quanto solo in questo caso: (/;*■{) = (/.*?)■ v/ g DA^ g \ = 8i Nel seguito considereremo sempre operatori densamente definiti. Riassumendo la corrispondenza fra g e g* è indotta da un operatore, de­ nominato operatore aggiunto, che indichiamo con A+, esattamente come nel caso di operatori limitati. Nel caso in cui l ’operatore (A, DA) non sia limita­ to, sorge una complicazione; non per tutti gli elementi g il funzionale F ( f ) è limitato; quindi non per tutti gli elementi g esiste un elemento corrispon­ dente g* per cui F ( f ) = (/, g*). L ’insieme dei g per cui ciò accade costitui­ sce il dominio di A+, DA*. Da* = [ e EH : 3#* per cui (A/, g) = (/, £*)> V/GDA), oppure, equivalentemente: Da♦s ( g e H per cui il funzionale F ( f ) = (A/, g) è limitato ). Proprietà: 1. Siano (A, DA) e (£, DB) due operatori densamente definiti, CABfì g) = (Bfì A+g) = (fì B +A+g ) ì espressione valida VfEDAB & g E D A* ' A g EDB+. (AB)+= B +A+, D(ABy —{ f E D A* :A+f E D B*). CAPITOLO PRIMO 40 2. A => B* l_A+. Per verificarlo basta applicare la definizione e notare che, ogni volta che g* esiste per B , esiste anche per A. 3. L ’aggiunto (A+, DA+) di un qualsiasi operatore (A, DA), densamente defi­ nito, è chiuso. Siate,,) CD as g n -» g e A+g„ -» <E>.Consideriamo, VfEDÀ, la relazione: W/.*#)“ (/.A+£„), passando al lìmite otteniamo: (4/te) = (/ ,$ ). L ’espressione implica g 6 D A+'e A+g = <!>. La proprietà è dimostrata. Doppio aggiuntò Sia (A, DA) densamente definito: VVf P D . PD.* ( A f o\ = { f A+O o\/* --- A» oo ---A » VV»Ó/ Qirr\f«/-vnì otv»r» //S P) ;.. «a pilo ycltR £« tv» V fE Z V , dsfi*" l EDa*< -,C Confrontiamo le due espressioni: ' (A+s,/) - te, A/), ■_(A+^ / ) « t e .A ++/), \ffEDÀt V *62V , V g e n A*y V/ EDA*+. Risulta chiaro che ogni volta che /=/GDA, la seconda espressione si ve­ rifica per A++/~ A/- Allora A CA++. Si può dimostrare che se Toperatore A è chiuso (A+, DA+) è densamente definito e vale A —A+ + _ Se l ’operatore A non è chiuso, ma chiudibile, A = A++. In conclusione, l ’operatore A è chiudibiie se e solo se DA* è denso in H. Inoltre per ottenere la chiusura di A conviene determinare A++. 1.3.6. Teo rema di Hell inger e Toeplitz Per dimostrare una importante proprietà degli operatori (teorema di Hel­ linger e Toeplitz), occorre provare, in via preliminare, il teorema seguente, valido nell’ambito dei funzionali: Teorema 1.2 (Osgood) Sia data una s u c c e s s i o n e di funzionali lineari limitati (Ai) » definiti in uno spazio di Hilbert HtDpj*.H e t \ffEH, sia limita­ ta la s u c c e s s i o n e numer ic a (F , f f ) } . S i afferma c h e la s u c c e s s i o n e {F„(f)} è equìlimitata nella sfera unitaria, c i o è limitata da una costante indipendente da n e f , o anc he c h e 3M : \\Ftì ||< Af, V«. 41 ANALISI FUNZIONALE Neghiamo la tesi e mostriamo che giungiamo a una contraddizione. Sia 5 (0 ,1 ) la sfera aperta in H}di centro l ’origine e di raggio uno, cioè la sfera unitaria. Con B(f, r ) indichiamo una sfera aperta in Ht che ha per raggio r e per centro l ’elemento/. Come primo passo dimostriamo che negare la tesi implica resistenza in 5(0,1) di una successione di sfere {B(fh r;)}, Tuna contenuta nell’altra, B ( f h ri) C C5(//-i, r/-1), e di una successione di funzionali {F/;}, tali che, V/E5(/„, r„), risulta |Fj{ f i |> n. Dimostrazione Se non vale la tesi del teorema, 3 / ,E 5 (0 ,l)& / l :,|F/i(/l) j > l . Per la continuità del funzionale è assicurata resistenza di una sfera 5(/ b r .) C5(Q, 1) tale che, V/E5(/j, r,), \F,t( f ) |> 1. Dovrà poi esistere un elemento f 2 E 5(/,. r {) e un indice /2, tali che: l^ (/ j) l> 2 . Come conseguenza della continuità dei funzionali, 3-8(/2lr2)C 5 (/ ,,r ,) : V /6S(/2>r2), |^(/)|> 2, e così di seguito. Si è verificata resistenza congiunta di una successione di sfere: 5(/„ r,)D 5(/ 2, r2)D 5(/3, r3)D ... D5(/„, r„),..., e di una successione di funzionali: {F,j : IF(/)| > n, V/E5(/„, r„). Le sfere sono contenute una nell’altra, in quanto le condizioni che assi­ curano 1’esistenza di una sfera implicano le condizioni valide per la sfera precedente.^ S ia/ E P| 5(//, 7*/), risulta che la successione numerica ( F i f f ) } non è limirata. Infatti 3n > K t per cui |F/(/) |> K t in contraddizione con l ’ipotesi. Per evitare la contraddizione, bisogna affermare che le successioni {F„(/)} sono equilimitate nella sfera unitaria. La conseguenza è che 3M : sup |F/(/)| <M e quindi ||F,|| < M y V/. Teorema 1.3 (Hellinger e Toeplitz) Un o p e r a t o r e c h iu s o (A, DÀ), d e ­ fini to in uno spazio di Hilbert H e tale c h e DA—H, è limitato. Dalle premesse deriva che esiste Po per at ore aggiunto di A, (A , DA*)}dimostriamo che (A+, DA+) è limitato. CAPITOLO PRIMO 42 Supponiamo che non lo sia. Cioè che: 3 lSk) CZV> ||&*|| “ 1 : ll^+«?itll 00• Consideriamo la successione di funzionali, definiti in H: Fk( f ) = (Af,gk). I funzionali sono lineari e continui, ||F*|| = ||A+gA.||. Inoltre |Fk( f ) |= |(A /,g k) |=s ||A/||. La successione numerica (Fk( f ) ), V/è limitata. La successione di fun­ zionali soddisfa le ipotesi del teorema di Osgood, le norme dei funzionali devono essere equilimitate. La conclusione raggiunta contrasta con l ’espressione: Si è dimostrato che l ’operatore (A+, DA+) è limitato. Dalla proprietà di chiusura, presupposta per l'operatore (A, DA), deriva che l ’operatore (A+, DA*) è densamente definito. Quindi, esiste l ’operatore (A++,Da*+), evale: ||A+||= ||A++||, d ’altra parte, per essere A chiuso, A = A++. II teorema è dimostrato. Il teorema di Hellinger e Toeplitz è di fondamentale importanza, in quan­ to pone in relazione la non limitatezza di un operatore chiuso (A, DA)t defi­ nito in uno spazio di Hilbert H, con la circostanza che DA=£H. Un operatore chiuso non limitato, definito in H, non può avere come do­ minio di definizione l’intero spazio di Hilbert. Non limitatezza e non definibilità sulla totalità dello spazio di Hilbert sono concetd strettamente correlati. La proprietà è stata dimostrata per operatori chiusi. Per quanto ci riguar­ da non è una limitazione, in quanto la chiusura è una proprietà comune a tutti gli operatori che compaiono in teorie fisiche. 1.3.7. Operatore s i mme tr ic o Un operatore (A, DA), definito nello spazio di Hilbert H, è denominato simmetrico se: 1. Da è denso in//. 2- V/, g C D A, Il requisito 2. implica A CA+. {Af, g) = (/, Ag). ANALISI FUNZIONALE 43 Tutti gli operatori simmetrici (A, DA) ammettono una estensione chiusa: (A+, Da*). L ’esistenza di una estensione chiusa, a sua volta, implica che gli operatori simmetrici siano chiudibili. Per gli operatori simmetrici, quindi, vale il teorema di Hellinger e Toeplitz. 1.3.8. Operatore Hermitiano o Autoaggiunto Un operatore (A, DA) simmetrico è denominato Hermitiano o Àutoag­ giunto se A =A+. Cioè s e D A= DA+. Operatore essenzialmente autoaggiunto senzialmente autoaggiunto se: Un operatore è denominato es­ 1. È simmetrico. 2. Esiste una sua estensione autoaggiunta. Teorema 1.4 Un op e ra t or e (A, DA) simmetrico, definito nell o spazio di Hilbert H, p e r cui vale: Aa - H , è autoaggiunto. Sappiamo cheA CA +, ciòb D ACDA+. Va provato c h t D ADDA*. In altri termini, va dimostrato che ogni elemento di DA♦appartiene anche a Da.Sia g GZV, risulta V/SD*, (A/, g) = (/, A+g). D’ altra parte, per ipotesi, 3 h E D A ■.'Ah = A+g, quindi: (f ,A+g ) = (f,Aìi) = (Af,hy, l ’ultima eguaglianza è stata ottenuta osservando che A è simmetrico e che f , h C D À. In conclusione, (A/, g) = (Af, h), V/.EDA, poiché l ’elemento Af, al variare di f i n Da, percorre per intero lo spazio di Hilbert H, h —g e, quindi, g £ DA. 1.3.9. Oper atore inverso Sia (A, Da) invertibile, allora valgono le relazioni: Aa~Da-\, àA-t = DA. Teorema 1,5 (Operatore aggiunto dell’inverso) Sia dato un operatore (A, Da) dotato di inverso, e DAe DA-<siano densi nello spazio di Hilbert H. Risulta (A+) _1 = (A"1) +. Nelle ipotesi del teorema, 3 A+ & (A_I)'H, inoltre l ’operatore A+ è inverti­ CAPITOLO PRIMO 44 bile, cioè esiste anche l ’operatore inverso (A*)-1. L'invertibilità dell’opera­ tore A+ è contenuta nell’implicazione seguente, che proveremo; 8\,£2CZV , à A+g, = A*hg2=> g\ II primo membro dell’implicazione si scrive: (A/,£,) = (A/,g2), VfGDÀ cioè (A / ,£ ,-g 2) = 0s V/ED„ Essendo À* = DA->un insieme denso in H, l ’ultima eguaglianza genera il secondo membro dell’implicazione. Sotto le ipotesi del teorema valgono le seguenti relazioni: 1. V/ED, & s e z v y . (/, *) = = (A/, (A -‘)+£~), osservando primo e terzo membro, risulta (A“ ')+£ EDA+e V /eD „ (/ ^ ) = (/,A+(A -1)+g),= »A +(A -!)+g = ^, —Q ““ O » V £ — — À • v- ; V *6Z )w-r . j. per cui: (A -')+C(A+)- '. V / £ A r' & gE Z V . [1.7] ( f , g ) = (AA '/, g) = (A-l/,A+g), osservando, come prima, primo e terzo membro, risulta À*g E D (A- y e v/ezv-, (/,£) =(/,(a -')+a +£),=>(a -,)+a +^=^ VgED^., EA+g = £, V# EZV => (A+)~] CE], per cui: (A+)~! C (A "i) + [ 1. 8 ] Le relazioni [1.7], [1.8] valgono a dimostrare che (A+) “ i = (A“ l)+* Corollario 1.1 Un o pe r a t o r e (A, DA), autoaggiunto, c h e ammetta in­ verso, g o d e della p r o p ri e tà : (A“ ‘) += A "1. L'inverso è auto aggiunto. Dimostreremo che l ’inverso di un operatore autoaggiunto, se esiste, è sempre densamente definito (Osservazione 1.5). 45 ANALISI FUNZIONALE 1.3.10. Rappresentazione matr ic iale di ope r at o ri 1. Operatore limitato Sia ( <E>n}7 una base nello spazio di Hilbert H e (A, H) un operatore limitato. v fE H , / « jjc ,* ,; /„ = 2>,<&„ '||/,-/||-* ,„ .. 0. 1 1 A/= 2 (A/. $>,)<&,. (Af, $>,) = lim (A « ’;) = lim 2<:; (A % 9,) = 2 A,.;®; = <?/• Abbiamo definito: (A<£;, <£,) = A/j. I prodotti scalari A/t; sono denominati elementi di matrice di A, nella base considerata. In definitiva: Af=Y.c',<!>h i Gli elementi di matrice di A sono sufficienti a definire completamente l ’azione di A su di un qualsiasi elemento di //: A f^ f'^ c',9 ,. J Fer ricavare i coefficienti {c/}, dati i coefficienti di Fourier {c/}, basta ese­ guire il prodotto riga per colonna nell’espressione Àe = c'. I coefficienti {C/} e {C/} sono stati ordinati in vettori colonna c, c' e la matrice A/j è stata indicata con À. 2. Operatore non limitato simmetrico Sia ancora {Ow)7 una base in H e (A, Da) un operatore non limitato e simmetrico, {<P„} C D A. VfGDACH, / = 2 w - / . 1 A / = 2(A / ,<£,)<!>„ (tf, * , ) - ( / . A®,) = 1 = 2 cJ ( 9 j , A 9 d - ' 2 A P l Cj’* ' 2 A u cr c'l, A f ^ c ' , 9 , . ! I l I Anche in questo caso, gli elementi di matrice di A individuano compietamente l ’azione dell’operatore. Nel corso della dimostrazione abbiamo utilizzato la proprietà - valida solo per operatori simmetrici: A/j = Aj j . Va osservato che l ’ipotesi restrittiva, che limita la generalità del risulta­ to, non è tanto l ’aver supposto gli operatori simmetrici (gli operatori non limitati presentì nelle trattazioni di problemi fisici sono, nella maggior parte dei casi, simmetrici), quanto l ’aver supposto che la base {<£„}7 C/i appartenga a DA. CAPITOLO PRIMO 46 1.3.11. O pe r a t o r e i s o m e t r i c o Definizione 1.10 (Operatore isometrico) Un o p e r a t o r e (V, Dv), de fi ­ nito nello spazio di Hilbert H, a va l or i ne ll o spazio di Hilbert H', ne ll a g r a n p a r t e de i c asi H = H\ è definito i s o m e t r i c o s e 1. D v è d e n s o inH, 2. 0 7 , K$) = (/,*), V f g C D y , 3. Av H', c i o è Av non è d e n s o in H'. L'operatore è limitato, ||V\\ = 1, quindi può essere esteso a ll’intero spa­ zio di Hilbert//. In Av Voperatore Vè invertibile, infatti Vistituisce una cor­ rispondenza biunivoca fra H c Av : ||Vf —Vf21|= 0 ||/j —/21| = 0, per cui in Ay esiste V~\Dy-■= Av. (/, g) = W , Vg) = Cf,V+Vg), V/, * Ci/. Quindi risulta: K+K= 1. Se esistesse l ’inverso in H si otterrebbe: v/e/z, v+ f= (v+v)v~]f= v~lf=>v+=v~\ ma ciò non vale. Infatti, V+ è definito nell’intero spazio di Hilbert //, mentre V~] solo in Av. Esempi o 1.10 (O p e r a to r e i s o m e t r i c o ) v fEH. Sia {O,-}" una base in H. /= 2c,< P „ I Consideriamo l ’operatore 7 definito da: Vf3 ]>}c,<X>/+1. È immediato ren­ dersi conto che l ’operatore è isometrico: 1 1. il prodotto scalare viene preservato, 2. il codominio è il sottospazio di //sotteso da (0,-)7. Poniamo g = ^ 'Y i(Pi- (Vf,g) = 2 ^ 7 , +! = (/,£*), I ^ +vy=/. ] w+f=%,<}>h 2 (V+f , V +g ) = % y , . 2 P + non è isometrico, è il proiettore su Av. Da notare che in questo esempio H' = //, per cui vale la seguente decom­ posizione: H —à k0 M , con M si è indicato il sottospazio generato da 0|. 47 ANALISI FUNZIONALE Nel linguaggio del paragrafo 1.3.14, si può esprimere questa proprietà af­ fermando che M è l ’autospazio relativo a ll’autovalore zero dell’operatore V+. La proprietà vale in generale, come vedremo, per operatori il cui codominio non è denso in H. La decomposizione: con 0 implica: (Vf, h) = 0, v/e/f & he.M, per cui risulta V+h = 0, cioè M è l ’autospazio relativo all’autovalore zero del­ l ’operatore V~\ Rivedremo questi risultati, con più cognizione di causa, nel seguito. 1.3.12. Oper ato re unitario Definizione 1.11 (Operatore unitario) n i s c e unitario se : Un o p e r a t o r e (JJ, Du) si de fi ­ 1. È d e ns a m e n t e definito. 2. m u 8) = ( f g ) . 3. Au = H\ ||U\\ = 1 per cui si può porreD y - H . Esiste U~] e D^-i = H'. (/, g) - (Uft Ug) = (/, U+Ug) => f/+C/= 1, quindi C/+ = CT1. Vale anche UU+ = 1. Esempi o 1.11 (Operat ore unitario) mata di Fourier S'. In L2( - ° ° } °°) l ’operatore trasfor­ 1.3.13. C o nv e rg e nz e nello spazio di Hilbert Nello spazio di Hilbert esistono due nozioni di convergenza: 1) forte Sia (/„) C //,/£//. Si dice che la successione (/„} converge for­ temente a/, e si indica/,, —>/, se vale: ||/„ —/|| -> „ ^ 0. 2) debole Sia {/„) C H J & H . Si dice che la successione {/,) converge de­ bolmente a/, e si indica con/, —* /, se vale: |(/„ - / <p) |->„ ->« 0, V (p E riT. Si ha: I(/„ -/ , <p) I« ||/„ -/ Il II ? Il, per cui: 1) => 2). Esempio 1.12 (Succ ess ione de bol me nte c o n v e r g e n t e ) Un esempio di suc­ cessione debolmente, ma non fortemente, convergente è costituito da una base ortonormale ($,,}. È ovvio che questa successione non converge fortemen- CAPITOLO PRIMO 4R te, infatti non è una successione di Cauchy: II®»"*» II*= 2, ® „ -» ll_ ..0 , infatti (4>„, 0, VcpBH. Lo si deduce da: 2 l( ® « . <p)|2<~> I Vp £# = > ($„, <p)->, Convergenza di successioni di operatori Esistono tre tipi di convergen­ za, in uno spazio di Kilbert //, per successioni di operatoli: 1) uniforme o in norma Sia data una successione {(A„, H)} di operatori limitati. Si dice che la successione converge in nonna, o uniformemente, a (A, H), se: |U „-.4 !j— 2) forte Una successione {(A/)t { (A .D J l.D .p n ^ V .n .s e : I K / - ìV||->» — 0, )}, si dice convergere fortemente a V/£Z)X. Per operatori limitati: l|A,/-A/||«||A,-A||||/||^l)-»2). 3) debole Una successione ((A„, ! (A, DÀ)}, Da_DD a, V«, se: I (A«/—A/, f) | _ 0, V/EA, & |(A,,/—A/, g) |^ ||A„/-A/1| II;|| => 2) -> 3). Per operatori limitati 1) —>2) —>3). 1.3.14. Autovalori e autofnnzionì La determinazione di autovalori e autofunzioni relativi a un operatore (A, DA), consiste nella ricerca congiunta di un elemento, diverso dall*ele­ mento nullo. f xS D Aì denominato autofunzione, e di un numero complesso A, denominato autovalore, che soddisfino la relazione: A/a = A/a; f xGDA, f x ± 0, A eC . À un autovalore possono corrispondere più autofunzioni linearmente in­ dipendenti, eventualmente infinite. La varietà sottesa dalle autofunzioni li­ nearmente indipendenti, relative a uno stesso autovalore A, viene denomi- ANALISI FUNZIONALE 49 nata autospazio relativo all* auto valore A. Si definisce degenerazione del1*autovalore la dimensione dell’autospazio. Operatore simmetrico Un operatore simmetrico ha autovalori A reali e autofunzioni fx,fx' ortogonali per A# A7: (A fx.fx)- ( fx. Ah) => (Af ,J xò = (A . A h ) => A(A ,/r) = A'CA./v). La mima espressione implica A reale, la seconda (A—A/)(/>./a*) = 0 cioè (A ,A ') = 0. Le propnetà dimostrate valgono anche per Operato: jlautoaggiuntx. Operatori isometrici W = l. Autovalori di operatori isometrici hanno modulo uno: (/a./a)- (V/A.V/a)- IW a./a) iat^ I =>ia|=ì. Autofunzioni di operatori isometrici, relative ad autovalori A A A7, sono ortogonali. = ( V fXì Vfx) = AA'Oa./aO=>(1-AA#)Cfu fx ò = 0. ‘ L ’espressione AA' non può valere uno, in quanto la condizione j A' p —1 implica (A/) " I =A/. Conseguentemente, l ’espressione ottenuta implica l ’ortogonalità fra le due autofunzioni. Le proprietà che abbiamo dimostrato per gli autovalori e le autofunzioni di operatori isometrici valgono anche per gli autovalori e le autofunzioni di operatori unitari, Sia (A,/a) autovalore-autofunzione di V. In virtù della relazione: U+U = l, si ha: V+V h = h ' = * V +h = j f x = ì f x . La conclusione è che se (A,/a) è autovalore-autofunzione di V, allora (A,/a) è autovalore-autofunzione di V+. II viceversa non vale, infatti il complemen­ to ortogonale di Av è l ’ autospazio relativo all’autovalore 0 di V+. Vnon pos­ siede l ’autovalore 0. Per operatori unitari, come conseguenza della relazione U+ = U~\ la proprietà è più stringente. Tutte le autofunzioni di U sono anche autofunzio­ ni di £/+ e viceversa. I relativi autovalori sono l ’uno il.complesso coniugato dell’altro. 50 CAPITOLO PRIMO Osservazione 1.5 L'af fermazi one c h e l ’ o p e r a t o r e (A, Df ) n o n sia in­ vertibile e qui val e all’ as s er zi one c h e l’ o p e r a t o r e p o s s i e d a /'a u t o v a l o r e zero. Infatti: 1. Non invertibilità i mpl i ca: 3/h /2 C DA, /, =£/2, Af = A/2. L’i mmediat a c o n s e g u e n z a è c h e f {- f 2 è aut of unzi one di (A, DA) relati va al l ’a u t o v a l o ­ re zero. 2. L’ esistenza di un e l e m e n t o f E DAtf ^ 0 p e r c ui Af= 0, i mpl ica c h e Ag = = A (g+ /), \/gE:DA, I o p e r a t o r e n on è invertibile. Sia (A, Da) un o p e r a t o r e d e n s a m e n t e defi nito in uno spazio di Hilbert H c o n c o d o m i n i o no n d e n s o in H, Aa H. P o n i a m o H —Aa® M, c i o è sia M il c o m p l e m e n t o o r t o g o n a l e di Aa ri spett o adH. Risulta: (A/,A) = 0, V / E ^ & V/iEM. Se ne d e d u c e c h e h E D ^ Se A+h = 0. Cioè M è Vautospazio re lati vo alVaut o va lo r e z e ro di A+. C on s id e ri a mo un o p e r a t o r e (A, Df) a u t o a g g i u n t o e s u p po n i am o c h e Aa non sia d e n s o in H: H —Aa® M. M è l1aut ospazi o re lati vo a l l' a u t o va l o r e zero di (A, Df). Se ne t r a g g o n o le c o n c l u s i o n i : 1. Un o p e r a t o r e a u t o a g g i u n t o (A, DA), definito inH, il cui c o d o m i n i o non è d e n s o in H n o n è invertibile. 2. Un o p e r a t o r e (A, Df), aut oa g gi u nt o , invertibile, ha i n v e r s o d e n s a m e n t e definito in H. 1.3.15. Spettro di un o p e r a t o r e In uno spazio a dimensione finita un operatore è rappresentato da una matrice quadrata, la ricerca degli autovalori si riduce alla determinazione delle radici deU’equazione secolare, l ’insieme delle radici costituisce lo spettro dell’operatore. Nel caso di un operatore che agisca in uno spazio a dimensione infinita, la nozione di spettro è più ricca e complessa. Sia dato un operatore (A, DA) densamente definito. Il punto di partenza è lo studio della corrispondenza: (A - Al)/= g, indotta d all’operatore: (A(A) = A —Al, Dm^), DMXì = Da . ANALISI FUNZIONALE 51 Questa corrispondenza, caratterizzata da un dominio di definizione DAe un codominio ÀA(A)| viene studiata al variare di A nel piano complesso. Suddivideremo il piano complesso A in sottoinsiemi determinati da pro­ prietà della corrispondenza A (A). Decomponiamo il piano complesso A nelle seguenti componenti: • I valori di A per cui l’operatore (A(A), D*^)) non è invertibile Tale i nsi eme vi ene de nomi na to spettro puntuale e indicato c o n o>(A). Lo spettro puntuale è l ’insieme degli autovalori di (A, DA). Infatti la non invertibilità dell’operatore (A(A), DA(aj) per A = A equivale a ll’esistenza dell’autovalore zero per (A(A), Da(A))- H che a sua volta equivale ad asserire che A è autovalore di (A, DA). • I valori di A per cui l’ operatore (A(A), DA{xì) è invertibile, ma il codo­ minio Aa(A) non è denso in H Tale i nsieme vi e ne denominato s pett ro re s id uo e indicato c o n p>(A). Abbiamo già discusso anche questo caso e abbiamo concluso che, se per un valore A= A, l ’operatore (A(A), DA^ ) è invertibile, ma H=&A[x)® M, M A 0, Anon è autovalore di (A, DA), ma zero è autovalore dell'operatore A(X)+ e M è il relativo autospazio. Ciò equivale ad affermare che M è l ’au­ tospazio relativo all’autovalore A di (A+, DA+). In altri termini, i punti dello spettro residuo sono costituiti da quei valori di A che non sono autovalori di (A, DA), ma tali per cui A sono autovalori dell’operatore (A+, DÀ♦). Se l ’operatore (A, DA) è autoaggiunto tutti i valori di A per cui AA(A) non è. denso in H sono autovalori di (A, DA), Osservazione 1.6 Se (A,Da) è un o pe r a t o r e si mme tr ic o A C A+, tutti gli autovalori di (A, DA) lo s o n o a n c h e d e l l ’o p e r at o r e (A+, DA+). Quindi lo s p e t ­ tro r esi duo è costituito dai c o m p l e s s i c oniugat i d e gl i autovalori di (A+, DA<), m e n o gl i autovalori di (A, DA). È i nte r es s an te o s s e r v a r e ch e, s e si^effettua una e s t e n s i o n e s i m me t ri ca (A, Da ) di (A, Da), il c h e i mpl ica A d A C A + C A +, lo spettro re si duo di mi ­ nui s ce di estensione, nel p a s s a g g i o dall' o p e r a t o r e A all' o p e r at o r e A. Nel c a s o si ot te nga una e s t e n s i o n e aut oag giunta A = A +, lo spettro r e s i ­ duo risulta vuoto. Ciò è un indizio ‘c h e l’ampiezza de ll o spettro r esi duo sia co rr el ata, p e r un o p e r a t o r e si mme tr ic o, al g r a d o di allontanamento dalla condi zione di autoaggiuntezza. Una conseguenza di questa osservazione è che un operatore autoaggiun­ to ha spettro residuo vuoto. 52 CAPITOLO PRIMO • « I valori di A per cui l ’operatore (A(A), DA(X)) è invertibile, l ’inverso non è limitato e il codominio AA{X) è denso in H, ma non coincide con H Tale i nsi eme v i en e d e no mi na t o spettro continuo e i ndicato c o n Ob(A). « I valori di X per cui l ’operatore (A(A), DA(A)) è invertibile, l ’inverso è limitato e il codominio ÀA(A) coincide con H Tale i n si e me v i en e d e n o ­ minato insieme risolvente e i ndicato c o n p x(A). L ’insieme dei punti del piano X comprendente o>(A), <JC(A) e o>(A) viene denominato spettro dell’operatore A. ' Definizione 1.12 (Risolvente) Si defi nisce o pe rat or e risolvente, e si indi­ c a c o n R x(A), l 'i nve rso, ov e esista, de ll 'o per ator e (A —XI); 7?a(A) = (A —A l)-1. Ricapitolando, lo spettro di un operatore (A, DA) è un sottoinsieme del piano complesso X. ÀH’interno di questo sottoinsieme, si è introdotta una classificazione in termini di proprietà dell’operatore A (A). La classificazione può essere equivalentemente espressa riferendosi a proprietà dei risolvente RX(A), secondo io schema che riportiamo di. seguito: SPETTRO 1. Spettro puntuale o>(A) È costituito dai valori di A per cui L'operatore A (A) non è invertibile. L ’operatore risolventeRX(A) non esiste. 2. Spettro continuo <xc (A) È costituito dai valori di A per cui l ’operatore A(A) è invertibile e il risolvente RX(A) è densamente definito e non limitato. 3. Spettro residuo crR(A) È costituito dai valori di A per cui A (A) è inver­ tibile, ÀA(A) r=H. II risolvente RX(A) non è densamente definito, può esse­ re limitato o non limitato. Lo spettro residuo cr^(A) è costituito dai com­ plessi coniugati degli autovalori dell’operatore A+ che non appartengono a o>(A). Lo spettro residuo o>(A) è vuoto nel caso di operatori autoaggiunti. Lo spettro residuo è vuoto anche per operatori unitari (U, H). Infatti ab­ biamo visto che la relazione che intercorre fra gli autovalori di U e quelli di U+ è che gli uni sono i complessi coniugati degli altri. Per cui se A è autovalore di U*, X io è di U. Quindi i valori A per cui A è autovaiore di U+ sono autovalori di U. Vale il seguente quadro riassuntivo delia classificazione in sottoinsiemi del piano complesso A; 53 ANALISI FUNZIONALE Quadro riassuntivo I Rx(A) non esìste Spettro puntuale, non densamente definito Spettro residuo, densamente definito non limitato limitato Spettro continuo, Insieme risolvente. 1.3.16. Punti dì tipo r e g o l a r e Definizione 1.13 (Punti di tipo regolare) Vengono definiti p un ii di tipo r e g o l a r e quei v a lo r i di X p e r c ui Vo p e r a t o r e r i s o lv e nt e Rx(A) es is ta e sìa limitato, sia defi nit o n e l l 1intero spazio di Hilbert Ht sia in un s u o so tt ospazio p r o p r i o . L'insieme d e i punti di tipo r e g o l a r e v i en e d e n om i na t o campo di regola­ rità. Il c a m p o di r e g o l a r i t à è costituito dall*unione d e l l ' i n s i e m e r i s o l v e n t e e di una p a r i e de l l o s p et t r o r e s i d u o . P e r o p e r a t o r i a u t o a g gi u n ti e unitari c o i n c i d e c o l l ' i n s i e m e ri solvent e. C aratterizzazione dei punti di tipo regolare I punti di tipo regolare sono quelli per cui il risolvente esiste ed è limitato, indipendentemente dall’esse­ re densamente o non densamente definito. Quindi sono caratterizzati da: Poniamo g=1Rx(A)f,f= (A - XI)g; risulta: I|CA-A1)*||3»*||*||, r. Vale la seguente più agevole formulazione della caratterizzazione dei punti di tipo regolare: Un punto a è un punto di tipo regolare se: 3 k : V f £ D A, H(A-Aiy||>*||/||. L ’ insieme dei punti di tipo regolare è un aperto Dimostriamo che se A è un punto di tipo regolare, 3 e> 0 tale che V/i£, numero complesso, |p e \< £, X-f p £è ancora un punto di tipo regolare. k CAPITOLO PRIMO 54 Ciò era quanto dovevamo dimostrare. Per un operatore autoaggiunto o unitario l ’insieme risolvente coincide con i punti di tipo regolare. La conseguenza è che lo spettro è il complemen­ to delPinsieme dei punti di tipo regolare. Quindi lo spettro degli operatori autoaggiunti e unitari è chiuso. Caratterizzazione del complemento del campo di regolarità II comple­ mento dei punti di tipo regolare, per un operatore (A, DA), è costituito da: 1. I valori A appartenenti allo spettro puntuale. 2. I valori A per cui l ’operatore i?^A) esiste e non è limitato, densamente o non densamente definito. Comprende lo spettro continuo più una parte dello spettro residuo. Del complemento dei punti di tipo regolare si può dare la seguente carat­ terizzazione: Il valore A appartiene al complemento del campo di regolarità se: 3 (/„ ) C Da, II/,. || = 1 : || (A - A l ) / „ || . 0 Se A appartiene allo spettro puntuale e/Aè una autofunzione relativa all ’autovalore A, basta prendere/„ =/A. Se, invece, l ’operatore R\(A) esiste e non è limitato: 3{(p„) C D RM)t ||(p„\\ = 1 : \\Rx(A)(pn\\ Posto: RM)<pn =/„,/„ <=d a, ||/„|| = i , \\UA)(p„\ risulta: |(A —Al)/„|| = 1 l|^(AM ,|| Supposto, viceversa, che: 3 1 /»} C D , : II/, ,|| = 1 & possono verificarsi due casi: • 2 ( A - A l )-1 => A ecrf (A). • 3 (A - A l)-1. || (A — A l ) / , || —> „ _ _ 0 . ANALISI FUNZIONALE 55 Allora, considerata la successione: Risulta: L ’operatore R a(A), quindi, non è limitato. Per un operatore autoaggiunto, oppure unitario, la caratterizzazione ripor­ tata seleziona solo i punti dello spettro dell’operatore e, di solito, viene uti­ lizzata per verificare l ’appartenenza di un valore A allo spettro. Il concetto di campo di regolarità consente di suddividere il piano com­ plesso A in due settori, e il quadro riassuntivo precedente prende la forma: Quadro riassuntivo II Caratterizzazione Complemento del campo di regolarità, valori di A per cui: 3 { / j C D j| / J = l:||(.4 -Al)/,r||^ 0 , Spettro puntuale Spettro continuo Spettro | R a ( A ) non limitato , residuo {[ R a( A ) limitato Campo di regolarità, valori di A per cui: Insieme risolvente 3 K : V/GD*. ||(A - Xl)f\\>K\\f\\. Corollario 1.2 (Punto di accumulazione di autovalori) Sia-dato un o p e r a t o r e aut oag giunto , o ppure unitario, (A, DA) e sia A p un t o di a c c u m u ­ lazione di autovalori, ma non e s s o st e ss o aut ovalor e. Risulta AEcrc(A). Infatti siano ((/^, A,,)} autofunzioni e autovalori dell’operatore (A, DA) tali che A„ -> A, ||/ a J | = I, risulta: || (A -A 1)/ J = |A -A ,,|-*I1_4„0. Corollario 1.3 (Àutofunzioni che formano una base) Gli unici e v e n ­ tuali punti dell o spett ro continuo di un o p e r a t o r e si mme t ri c o, opp ur e i s o ­ met ri co, definito in uno spazio di Hilbert H, caratterizzato da un sistema di autofunzioni c h e f o r m i una base in H, so n o i punti di a c cum ul azi o ne di a u­ tovalori. CAPITOLO PRIMO 56 Sia (A, Da) un operatore simmetrico e {(fx,* K ) ) ^ sistema delle sue au­ tofunzioni e autovalori. Inoltre le autofunzioni formino una base in H\ Vf GDÀ, (A - A ly = X ((A - Al ì = É1(/> W - i !! a/ - VIP = ÈIA - K P ! (/.A.) P > AIH/1P, ! Ao ~ inf |A —A^j {> 0. Si è supposto che X non sia né autovalore né punto di accumulazione di autovalori, la conclusione raggiunta è che X appartiene al campo di regola­ rità. Lo spettro continuo non appartiene al campo di regolarità* Eli crii 1 as­ sunto per gli operatori simmetrici. Per un operatore isometrico (Vf Dv), sotto la condizione che Xnon sia né autovalore, né punto di accumulazione di autovalori, si procede in maniera analoga a quanto operato precedentemente, va tenuto conto delle proprietà degli autovalori degli operatori isometrici, che abbiamo dimostrato in pre­ cedenza. Si ottengono le espressioni* ( ( 7 - Al)/, A.) = (/ ( 7 +- À I ) = (A. - A)(/,A.) Il V f- A/||^21A - A„ P |(/A .) P > AgH/IP, I A0 = inf|A - A j> 0 . iì Quindi, si ricavano le stesse conclusioni. In effetti abbiamo dimostrato meno di quanto avevamo promesso. Nel paragrafo 1.3.17 dimostreremo che la chiusura di un operatore simmetrico, le cui autofunzioni costituiscono una base in H, è un operatore autoaggiun­ to. Per altro verso un operatore isometrico, le cui autofunzioni costituiscono una base in H, ha per codominio un insieme denso in H, conseguentemente l ’operatore è unitario. In definitiva, il teorema è valido per operatori, rispettivamente, autoag­ giunti e unitari. Nel procedere, enunciando il teorema con condizioni apparentemente più deboli, abbiamo inteso porre in luce che il dispositivo della dimostrazio­ ne fa uso solo, rispettivamente, delle proprietà di simmetria di (A, DA) e di isometria di (V, Dv), 57 ANALISI FUNZIONALE ULTERIORIPROPRIETÀDELLOSPETTRO 1. Lo spettro di un operatore limitato (A, H) è tutto contenuto nel cerchio chiuso, di centro l ’origine e raggio ||A ||. Posto |A| > ||A ||, si ha: Il (A - Al)/|| > Il A/ll - Il A/ll ^ IAl IMI - I! A II IMI = (I Al ■ - IlA ||)||/||. L ’esterno del cerchio di raggio ||A ||appartiene al campo di regolarità. Con­ tiene l ’insieme risolvente e parte dello spettro residuo. D’altra parte, lo spettro residuo non può trovarsi al di fuori della circonferenza di raggio |!A |j. I punti di tale spettro sono gli autovalori di A+. Poiché vale: j|A jj = = ||A+1|, anche gli autovalori di A+ sono contenuti nel cerchio di raggio u\\Ricordiamo la proprietà degli autovalori di un operatore limitato (B , H)\ Ì|5/aII = ÌA|||AÌÌ^Ì|-B|ììì/aÌN |A|^|| b ìì . 2. Per un operatore simmetrico, il semipiano a parte immaginaria positiva e quello a parte immaginaria negativa appartengono al campo di regolarità. Poniamo X—a + ij3 con fi 0 e dimostriamo che X è un punto di tipo re­ golare. Il (A - Al)/||2 = ([A - ( a + i/3)l]/; [A - ( a 1/3)1]/) = = ||(A —a l)/ !!2 + £2||/|P - z73(/, (A - a l)/ ) + iB((A - a l)/ ,/ ) = - Il (A - al)/ !p + /32||/|p>/32||/|P, V / S A ,. L ’assunto è dimostrato. La conclusione è che, per un operatore simmetri­ co, lo spettro puntuale e quello continuo si trovano su ll’asse reale. Coronario 1.4 P e r un o p e r a t o r e a u t o a g gi u nt o , l o spett ro è tutto s u l ­ l ’a s s e r eal e. Infatti, p e r un o p e r a t o r e a u t o a g g i u n t o i punti di tipo r e g o l a r e c o i n c i d o n o c o n Vinsieme risolvente. 3. Caratterizzazione dello spettro per un operatore autoaggiunto. Per un operatore autoaggiunto vale la caratterizzazione: Insieme risolvente X : ÀAa) = H. In questa circostanza X non è autovalore dell’operatore (A, DA), quindi 3Rx(A) ed è definito nell’intero spazio di Hilbert//; è anche limitato, in­ fatti siamo nelle ipotesi del teorema 1.5. [(A - A l)_,]+ = [(A - Al)+]“' = (A - A l )-1 CAPITOLO PRIMO 58 se ne deduce che RX(A) = R X(A)+, quindi l ’operatore risolvente è chiuso (essendo l ’aggiunto di un operatore) e definito nell’intero spazio di Hil­ bert//. Per il teorema di Hellinger e Toeplitz, è anche limitato. Spettro puntuale A : AA{^ =£H. Spettro continuo A : A^(A) =£AMx) = H. Questa condizione comporta la non limitatezza dell’operatore RX(A). Se l ’operatore RX(A) fosse limitato, DRxW = sarebbe uguale ad //, in quanto RX{A) è chiuso. 4. Campo di regolarità di un operatore isometrico. Il campo di regolarità contiene i punti interni e esterni alla circonferenza di centro l ’origine e raggio uno. • | A |<1 Il O' - Al)/||s* || A è un punto di tipo regolare. Vf\\-||VII = ll/ll " IA |ll/H= (1- 1A 1)11/11. • W >i (y-Al)/|| Ss II A/ll - Il Il Vf\\= IAI ll/ll - ll/ll = (|AI - 1) 11/11. A è un punto di tipo regolare. 5. Spettro di un operatore unitario. Per un operatore unitario, tutti i punti al di fuori della circonferenza di centro l ’origine e raggio uno sono di tipo regolare, quindi appartengono all’insieme risolvente, essendo lo spettro residuo vuoto. In conclusione, tutti i punti del piano complesso, esclusi.quelli sulla cir­ conferenza di centro l ’origine e raggio uno, appartengono-all’insieme ri­ solvente. Lo spettro si trova sulla circonferenza di centro l ’origine e rag­ gio uno. 6. Spazi di difetto. Sia (A, DA) un operatore chiuso e A un punto del campo di regolarità. L ’insieme è chiuso. Il complemento ortogonale Nx di AA{X) rispetto ad H, viene denominato spazio di difetto relativo a A. h = aA{X)@x x. 7. Indici di difetto. La dimensione dello spazio di difetto Nx viene denominata indice di difetto. Si dimostra che l ’indice di difetto è costante in tutte le componenti con­ nesse del campo di regolarità. Un operatore chiuso ha tanti indici di di­ fetto, quante sono le componenti connesse del suo campo di regolarità. ANALISI FUNZIONALE 59 Un operatore simmetrico è chiudibile, quindi ne consideriamo la chiusu­ ra. Esso è caratterizzato da due indici di difetto, uno relativo ai punti del semipiano a parte immaginaria positiva, l ’altro relativo ai punti del semi­ piano a parte immaginaria negativa. Se punti dell’asse reale appartengo­ no al campo di regolarità, i due indici di difetto coincidono. N\ è l ’auto spazio relativo all’auto valore A di A+. Occupiamoci di operatori (A, DA) simmetrici. Per un operatore autoaggiunto gli indici di difetto sono nulli. Infatti per X appartenente al campo di regolarità AaW —H- Un buon indicatore del gra­ do di allontanamento di un operatore simmetrico dalla sua eventuale esten­ sione autoaggiunta è la dimensione di cioè il valore che si deduce per gli indici di difetto. Per un operatore simmetrico gli indici di difetto sono rappresentati dalle coppie di numeri (n, m) che rappresentano rispettivamente: n = dim ImX>0, in = dim Jix ImX< 0. Gli indici n t m rappresentano la dimensione degli autospazi relativi a un qualsiasi autovalore X dell’operatore A+, rispettivamente, a parte imma­ ginaria negativa e positiva. .Valgono le proprietà: a) n, ni = 0, l ’operatore è autoaggiunto. b) Condizione necessaria e .sufficiente perché, un operatore simmetrico sia massimale, che cioè non sia realizzabile una sua estensione, è che uno dei suoi indici di difetto sia zero. Perché sia autoaggiunto, che lo siano entrambi. c ) Se (/1, ni) sono entrambi diversi da zero, l ’operatore (A, DA) ammette una estensione massimale. S e m ^ n nessuna è autoaggiunta. Se n = ni < ogni estensione massimale è auto aggiunta. d) Se n ed m valgono entrambi infinito, l ’operatore (A, DA) ha estensioni autoaggiunte e non. 1.3.17. Criteri di autoaggiuntezza In questo breve paragrafo intendiamo ricapitolare alcuni criteri per deter­ minare se un operatore simmetrico (A, DA), chiuso, sia autoaggiunto. Un operatore simmetrico (A, DA)>chiuso, è autoaggiunto se soddisfa una delle seguenti condizioni: • Il codominio Aa coincide con H: teorema 1.4. CAPITOLO PRIMO 60 * Esiste l ’inverso limitato (.A~\DA-■= H). Questo criterio è riconducibile a quello precedente, infatti DA->= Aa . Questa circostanza si verifica sovente per operatori differenziali il cui in­ verso è un operatore integrale. Nel seguito studieremo operatori di que­ sto tipo. * I due indici di difetto m , n sono entrambi zero. * L ’operatore (A, DÀ) è dotato di un sistema di autofunzioni {(pi) che costi­ tuisce una base ortonormale in H. Poiché A C A +, gli elementi {(pi) sono autofunzioni anche dell’operatore A*. Ne deriva che l ’operatore A+ ha gli stessi autovalori dell’operatore A e non può averne di altri. Inoltre, gli autovai ori sono tutti sull’asse reale. Gli indici di difetto sono, quindi, entrambi zero. 1.4.1. Oper ato re po s izi o ne Q Intervallo (a, h) lim itato Studiamo l ’operatore (Q, DQ) così definito: DQC L 2( a , b ) t Qf=xf(x)> D q s if(x) EL2(a> b) : xf(x) EL2(a> b)} = L2(at b). L' oper ator e è limitato Supposto I b b> I i a i, ii o f f = /1 Supposto, tanto per fissare le idee, b > 0, consideriamo la successione (/„(*)) di funzioni che valgono zero dappertutto tranne che nell’intervallo (b - b ), in cui assumono il valore: Vn, ||/„ ||= 1. il «2/,. ì!2= x2dx = n t - iII la norma vale: ||Q ||= b. Il criterio con cui si sceglie la successione consiste nel ridurre, progressivamente, al crescere di n, la maggiorazione operata nel sostituire sotto integrale * con b, Aggiunto Si cerca, \ff(x) EL2( a}b)> g*(x) EL2(a, b)\ (Qf> g) = (/» £*) g(x) fissato h ____________ j/to[*g(*) ~ g*(x)]dx = 0. a EL2( at b). ANALISI FUNZIONALE 61 Ponendo:f(x) = xg(x) - g*(x), si ottiene: £*(*) =xg(x), quindi: Q+g = xg(x), De+ = L2(at b). L ’operatore è autoaggiunto. Insieme risolvente Tutti i punti del semipiano superiore e inferiore del piano complesso X appartengono a ll’insieme risolvente. Dimostriamo che anche i punti esterni a ll’intervallo chiuso [a, b] vi appartengono. Per fissare le idee, supponiamo che Xsi trovi alla sinistra di a, e che XQsia la distanza di X da a. Si ha: Il (Q ~ Al V|| = !!(-*: —A)/|| 3* Aoll/H, Ci &/A1 u ìxw «v\rv Spettro fA A0> 0 . uautuoi ui un jj u i u u u^u mainino xxaux valile. # 4 < ^a / !a1 1® aIa* « aa «*— * aa1 « » a« * 4 > a Lo spettro si trova sull’asse reale, sul segmento [a, b], • Autovalori Q f x - Xfx(x) =$f,(x) : ||Ofx - = 0, cioè f \x-A\2\fx(x)\1dx = 0. si a L ’annullarsi d ell’integrale implica/^*) = qm00, quindi, la funzione/A(^) è l ’elemento nullo dello spazio. cTp(Q) = 0. s Spettro c o nt i n u o per cui: Appartengono allo spettro continuo tutti quei punti X 3 {/„(*) l C L2(a, b) : Illim || —» M Dimostriamo che, per tutti i valori reali X compresi n ell’intervallo chiuso [a, b]t esiste una tale successione. Consideriamo X sull’asse reale a ll’interno del segmento (at b), la succes­ sione che concorre a rendere il limite zero è costituita da funzioni che sul n 1 1 segmento j X ——, X + —J valgono J — e ai di fuori del segmento sono nulle. Per il punto b t la successione da scegliere è costituita da successio­ ni di funzioni che sul segmento ( b - —, b\ valgono \Jn e al di fuori del \ n- ) ~ segmento siano nulle. Per il punto a vale un discorso analogo. In conclu­ sione, tutti i punti dell’intervallo chiuso [a, b] appartengono a crc(Q). CAPITOLO PRIMO 62 Intervallo ( OOj oo) Dq questa volta non coincide con L2( — <*>)» ma vi è strettamente contenuto: s (/(*) °°) : a/ M G ^2( “ 00. °°) ) • Da notare che f(x) E D q =>/(*) E L j( —001 00). Basta considerare le se­ guenti due funzioni appartenenti 2lL2( —°<)ì °°), V/(x) EDC: /1W = - 7 ===-. /?(*) = VV+"l/(*). /1W A W =/(*)• V a:2 + 1 Per la diseguaglianza di Schwartz, il prodotto di due funzioni apparte­ nenti a L2(-<*>, 00) appartiene aL|(—«», 00). L ' o p e r a t o r e n o n è limitato Basta considerare la successione (/„(*)}, ||/,i|| = 1, costituita dalle funzio­ ni nulle dappertutto, tranne che nell’intervallo (n, n + 1) in cui valgono uno. Il Qfn IP => Aggiunto Come per l ’intervallo limitato, g ( x ) E D a* se \ff(x)EDQ, B g*(jc)eL 2(-»o , «>): J f(x)[xg{x)- ^*( a:)]J x = 0, in particolare questa relazione deve valere per f (x) a supporto compatto. Se sul supporto si pone/(*) = xg(x) - #*(*), si ha che g*(x) = xg(x), Vx apparte­ nente al supporto di f(x) (ovviamente a meno di un insieme di misura nulla). Dall’arbitrarietà del supporto si deduce che #*(*) = xg(x), eguaglianza in­ tesa nello spazio L2(—00>°°)In conclusione: xg( x)EL2(-°°,°°), Q+g = xg(x), s2+ = e d q> = d q, L ’operatore è autoaggiunto. Spettro Lo spettro si discute esattamente come per l ’intevallo limitato. o>(G) = 0, crc (Q) = R. 1.4.2. O p e r at o re impulso P Intervallo (a, b) lim itato L ’operatore P è definito in L 2(a, b) dalla rela­ zione: P f = if\x). La restrizione sul dominio che questa definizione com- ANALISI FUNZIONALE 63 porta è che esista f'(x) e che:/'(x) C L 2(a, b). Poiché l ’operatore P rappre­ senta una grandezza fisica, l ’impulso in meccanica quantistica, e le gran­ dezze fisiche sono rappresentate da operatori autoaggiunti, il progetto che intendiamo sviluppare prevede, come punto di partenza, un operatore sim­ metrico e, come punto di arrivo, una sua estensione autoaggiunta. Bisogna, in p r i m i s , operare restrizioni sul dominio dell’operatore P, in modo che ri/ suiti simmetrico. Cioè: (Pf, 8) = (/, Pg), V/(x), g ( x ) C D P. Questa relazione, per il carattere derivativo di P t contempla una opera­ zione di derivazione per parti. Occorre limitare il dominio DP alle funzioni per cui sia consentita l ’integrazione per parti. Ciò si realizza prescrivendo, come condizione di appartenenza a DP, l ’as­ soluta continuità. In conclusione, la definizione del dominio DP deve contenere le seguenti prescrizioni, che indicheremo complessivamente col simbolo A: A s {/(*) GL2(c, b) : 3 f ( x ) E.L2( a }b),f(x) assolutamente continua). Per le funzioni che soddisfano la prescrizione A vale: / if'(x)g(x)dx = if{x)g(x) |S + j f ( x ) i g ‘(x)dx. a a 0 anche: (Pf, S)= i(f(b)g(b). L ’espressione ottenuta denota che la sola condizione A, come definizione del dominio DPì non rende l ’operatore (P, DP) simmetrico. Nella definizio­ ne del dominio DPì occorre introdurre una ulteriore prescrizione che operi da killer del termine finito (parentesi quadra). La prescrizione ulteriore, in grado di escludere il termine finito, generato nell’integrazione per parti, presenta un ampio margine di discrezionalità. Operiamo la seguente scelta preliminare, che denotiamo col simbolo B\ * = {/(*):/(«) = / (« = 0 ). Con questa scelta l ’operatore (P, DP) viene così individuato: P f =i f \ x) DP^ [ A t B). L ’operatore è simmetrico. L' ope r at or e non è limitato Consideriamo la successione: ( f „( x )) CD P, ||/„|| = 1. 64 CAPITOLO PRIMO MI PfnW = Ì b —a Il Pfn nn o°, b - a =* ,ì-* Aggiunto La ricerca dell’aggiunto si effettua determinando l ’insieme de­ gli elementi g(;c) EL2( ay b), insieme che viene denotato DP+>per cui esista g*(x) EL2(a, b) tale che: (# .* ) = (/.**), V/WGDp. L ’operatore P +è l ’operatore che implementa l ’applicazione g(x) -> g*(x). Consideriamo l ’identità: 8*(t)dt + C La costante C è un parametro, per ora libero, che specificheremo nel seguito. b — f+/,•nA T r. rL-1•'riiJ ,L .. J,* _ L / “* v dx [ J i j El Aa , b), ma vale anche g*(x) EL\(at b). essendoj’intervallo (a%b) limitato. Come conseguenza. 1*espressione in parentesi quadra rappresenta una funzione assolutamente continua, per cui siamo autorizzati a effettua­ re una integrazione per parti. [1.9]= /(x) j g * m + c r-/ /'(x) dx, il termine finito si annulla in quanto/^) soddisfa la condizione B. [1.9]= - i j g*(t)dt + C dx, abbiamo inglobato nella costante C il fattore - i, essendo C un parametro li­ bero che possiamo ridefinire. In definitiva: -V f g(x) + i j g * ( t ) d t - C V /(x)£D „ [ 1.10] Consideriamo la funzione: .V I f(x) = \[g(t) + i l g * ( u ) d u - C ] d t , a a scegliamo la costante C in modo ehe/(b) = 0. La funzione/(*) è assolutamente continua,f{x), f \x ) EL2(a, b), inoltre/^) soddisfa la prescrizione B. In conclusione,/(*) E D P>L ’espressione [1.10] dovrà valere anche per /(*)=/(*). 65 ANALISI FUNZIONALE Ponendo f(x) = f(x) nella [1.10] si ottiene; /g(x) + i j g * ( t ) d t - C 2dx = 0. Da cui .r g(x) = - i jg*(t)dt + C. a Questa espressione incorpora tutti i vincoli che deve rispettare g(x) per appartenere al dominio DP+. Si deduce che l ’elemento g(x), per cui esiste g*(x) cLoffi; b), è assolutamente continuo, g(x), g'(x) C L 2(<3, h), in definiti­ va, l ’elemento g(x) soddisfa la condizione A. Inoltre: ig'(x) = g*(x). Abbiamo determinato (P+, Dp+): «/ *'(*). D f tA ). L ’operatore opera nello stesso modo in cui opera P, però il suo domi­ nio è più ampio ed è determinato dalla sola condizione A: P C P +. L ’operatore (P, DP) è simmetrico ma non autoaggiunto. Valutiamo gii in­ dici di difetto, per indagare la possibilità di operare un’estensione autoag­ giunta, Oli indici di difetto sono rappresentati dalla coppia di numeri reali che indicano, l ’uno la dimensione dell’autospazio relativo a un autovalore a parte immaginaria positiva deìi’operatore P +, per esempio il valore z, l ’aitro la dimensione dell’autospazio relativo a un autovalore a parte immaginaria negativa di P"^, scegliamo ^ i , n =« P , //'(Jf) =//(*), /■(*) = exp (*), n = 1, = -/ - iW , /_,(*) = e x p (-x ), exp(x) & e x p (-x ) C D P+. m = l, Come ci aspettavamo, gli indici n e m non valgono zero, però sono ugua­ li. Una estensione autoaggiunta è possibile. Studiamo P ++, Dalla relazione P C P + deriva P ++ C P +. La definizione del dominio d iP ++ deve necessariamente contemplare la condizione A, Inol­ tre P ++ agisce derivativamente. La conseguenza è che V/(x) E DP* & g(x) EDP++vale: h ____ Cp y ,i *) = (/, P ++£) = Ì J f(x)g'(x)dx a D’altra parte, essendo autorizzati a operare una integrazione per parti, ot­ teniamo anche: ____ ( r +/, b ____ g) = if(x)g(x) IS - i jf( x)g' (x)dx. 66 CAPITOLO PRIMO Perché le due espressioni coincidano, occorre che il termine finito sia nullo. Nella definizione del dominio d iP ++ deve necessariamente figurare una ulteriore condizione che annulli il termine finito. Non può che trattarsi’deila condizione B. Lifatti, supponiamo di violarla, cioè supponiamo che esista nel dominio di P ++ un elemento §(x) tale che §(b) =£0, allora risulterebbe: fi v/w ezv. g(b) Ma il dominio D^ non comporta condizioni agli estremi di (a, b). In altri termini in DP+esistono funzioni che violano la relazione trovata. Conclu­ dendo: d f ** = d P9 p ++ = p . L ’operatore P è chiuso. Spettro di P I punti dello spettro puntuale sono costituiti dai valori A per cui la coppia (A,/*(*)) sia soluzione dell’equazione: fk W - “ *Afx(x) , f x(x) C D Pì /aO) ^ 0. La soluzione dell*equazione bfx(x) = K exp (—iXx), funzione che non si annulla mai (a meno che non lo faccia identicamente), quindi non può soddi­ sfare la condizione B di DP. La funzione fx(x) non appartiene a DP, per nes­ sun valore di A. Lo spettro puntuale è vuoto. Studiamo lo spettro residuo. I punti dello spettro residuo sono rappresen­ tati dai valori di A per cui risulti: f \x) = - iXf(x)} f{x) e z v , f ix) * 0, la soluzione è la stessa indicata in precedenza/(x) = K exp ( —iXx), la fun­ zione/^) per ogni valore di A appartiene a DP*. In conclusione, tutti i punti del piano complesso sono punti dello spettro residuo. Estensione s i m me t ri ca di P Sia P una estensione simmetrica di P: P C P =>P+C P \ d’altra parte, essendo P simmetrico, vale anche P C P +. Sussiste la seguen­ te catena di inclusioni: P C P C P +C P \ Si deduce che: 1. tutte le estensioni simmetriche, e i rispettivi operatori aggiunti, sono con­ tenuti in/3/ 2. tutte le estensioni simmetriche, e i rispettivi operatori aggiunti, agiscono derivativamente, ANALISI FUNZIONALE 67 3. tutti i domini delle estensioni simmetriche, e quelli relativi ai rispettivi operatori aggiunti, contemplano, nella loro definizione, la condizione A. ( P f g ) = (if \ g ) y non sappiamo ancora quale condizione aggiuntiva dob­ biamo imporre. Però quanto sappiamo è sufficiente ad assicurare la fattibi­ lità dell’integrazione per parti. ^ opf,g) = ( if , s ) = m i t i is + j /( x) J f( x) dx= m V/(x), g(x)CDp. ° m + Bisogna trovare delle prescrizioni meno restrittive, di quelle scelte per definire il dominio dell’operatore P t per annullare il termine finito. In prima istanza, per allargare il dominio DP si deve supporre che DP contenga alme­ no un elemento/^) tale che/(fr) =£0. Perché il termine finito si annulli, occorre che: f(a)g(a)=f(b)s(b), Wg(x)GDp, cioè: g(b ...f ( a ) g ( a ) m = 8 (a) 9, e=§?L. Ab) In particolare, la condizione deve valere per g(x) =/(*). Quindi: y f(b) 1 cioè 6 è un numero complesso di modulo uno. Si può pone: 6= exp(ia), a E E [0, 27t], La ulteriore condizione che la definizione del dominio dell’ope­ ratore P deve includere, per dar luogo a un operatore simmetrico, è: f ( b ) —f(a) 9, |6 |= 1 oppure 0=s a=s27T, V /(r)£D f-. = f(a)ex p (ia), La relazione [1.11] è la condizione meno restrittiva in grado di assicurare la simmetria della estensione. La indicheremo col simbolo B'. Per ogni valore di 0, o di a, si ottiene una diversa estensione simmetrica. Interessa verificare che le estensioni raggiunte, parametrizzate da a, siano au­ toaggiunte. Studiamo 1’aggiunto di P, tale operatore agisce derivativamente e le fun­ zioni appartenenti al suo dominio verificano la condizione A. (Pf,g) = (f,P +g), Vf(x)eD? & sW E D r, operando, viceversa, una integrazione per parti a primo membro, il che è consentito, soddisfacendo/^) 6 g(x) la proprietà A, risulta: (pf, g ) = i i m m - m ì m +(/. p +s), 68 CAPITOLO PRIMO per annullare il termine finito occorre ehe/(b)g(b) ~ f ( a ) g ( a \ questa egua­ glianza deve verificarsi V/(*) E D Pì in particolare perf(x) =/(*)• Si ottiene, per gli elementi appartenenti a DP^ la condizione: g ( b ) = g ( j ) 0, cioè la con­ dizione B ' . In conclusione, P = P +, L ’estensione è autoaggiunta. Spettro di P Lo spettro è sull’asse reale. Spettro puntuale, o>(P) A: = <%(*)» A w e A w =/a(0) £XP ( = A è reale e va individuato in modo ehefx(x) soddisfi la condizione B'. e x p (- /Ab) = e x p (- iAa) exp( ia) =» exp i[A (b - a) + a] = 1, A(b —a) r a = 2/m. [ A» = 0 ^ Oc < 27t, /a,Cjc) = exp n = 0, Ir*?!, —u ■ b -a li sistema differisce per una funzione globale regolare dal sistema trigo­ nometrico, quindi, rappresenta una base in L2(j , b). Spettro contìnuo, (Jc(P) Poiché le autofunzioni rappresentano una base in L2(j , b) e gii autovalori non hanno alcun punto di accumulazione, crc(p) è vuoto. Tutti i punti del piano A che differiscono da A„ sono punti dell’insie­ me risol vente. Abbiamo dimostrato che esistono infinite estensioni autoaggiunte deli’operatore (P, DP) }esse sono caratterizzate da un parametro ocE [0, 2n]. Que­ ste estensioni d’ora in avanti saranno denotate (Pa, DPg). Intervallo (0. ©°) Il motivo per invocare la condizione A è lo stesso di quel­ lo discusso per l ’intervallo limitato. La condizione risulta: ^ —lf(x) GL2(0, «x») : 3fXx) £ L 2(0, °°), /(*) assolutamente continua}. Come conseguenza della condizione A, si ha: f ( x ) f ,(x) EL]( 0, °o), per cui: Jm m a = i/(x) p - i/(o) p - 1f v m d t . o o Questa espressione dimostra che 3 lim \f(x) |2. P o i c h é f(x) £ L 2(0, oo) il limite è zero. (Pf, 8) =f(x)g(x)|o + (/. Pg) = -/(0)g(0) + (/, Pg), V/(x), g(x) GDf . ANALISI FUNZIONALE 69 Abbiamo, fin qui, supposto che la definizione dei dominio DP contempli solo la condizione A, e abbiamo tenuto conto che le funzioni del dominio si annullano per x —» <*>. A questo punto bisogna inserire una condizione B , per annullare il termi­ ne finito. Prendiamo in considerazione la scelta: * = {/(*) :/(0) = 0}. DP^ [ A f B ). Con questa scelta per il dominio, l ’operatore diventa simmetrico. Poniamoci il problema di trovare P +. Proviamo a procedere nei modo in cui abbiamo operato in (d, b). In quel caso, gli integrali erano estesi a (d, b), e si faceva uso in maniera cruciale della circostanza che l ’integrazione fosse este­ sa a un intervallo limitato. Per rendercene conto, analizziamo il procedimento seguito. Nella ricerca degli elementi g(x) EL2( g, b) per cui 3g*(x) E L2(d, b) tale che; ricorremmo alla rappresentazione: . * / . A __ [ 1. 12] W - dx ì g * W + L0 Questa rappresentazione di g*(x) è ben posta anche per elementi apparte­ nenti a 1^(0, °o). Infatti, elementi appartenenti allo spazio L2(0, <*>) sono lo­ calmente integrabili. Tuttavia, il termine in parentesi quadra, in generale, non rappresenta una funzione integrabile, né a quadrato integrabile in (0, <*>), Cosicché il prosieguo delia derivazione, consistente nella derivazione pal­ parti, a secondo membro n ell’espressione: P \ -/ \ _ P d ]Pg_**( i ) dJ*t - 1r ^/-i jy 0 0 Lo non è consentito. Bisogna ricorrere a un espediente per ricondursi a un in­ tervallo limitato. A tal fine, consideriamo una restrizione (P, Dp) di (P, DP)\ P f= ìf(x)ì Dp = {f(x) E L 2(0, oo) ; 3f'(x) E L 2(0, °°)tf(x) ass. cont., a supp. comp.; B) , P C ? C P +C P +. Il dominio dell’operatore è stato ristretto alle funzioni a supporto com­ patto. CAPITOLO PRIMO 70 Determiniamo P + col metodo già esposto per l ’intervallo limitato. ]ìf\x)g{x) =jf\x)g*{x)dx = j f ( x ) — + C dx. o o o WL0 L ’integrazione in x è solo apparentemente su di un intervallo illimitato, di fatto è sul supporto di/(.v), che è limitato. Da notare che g * ( x )E L 2(0, <*>); su ogni intervallo limitato g*(x) è integra­ bile. Si può effettuare l ’integrazione per parti e si ottiene: ] i f ’{x)S{ x ) = - ] f \ x ) dx. 0 0 Lo Il termine finito si annulla in quanto/(x) BDp. Si ottiene: jV'W 8(x) + i j g * { t ) d t - C dx —0. 0 Poniamo ora: IW = I 8(0 + ' (u)du + C dt su di un intervallo (0, b) limitato, altrove. [1.13] La costante C viene individuata in modo che g{b) = 0. Con questa scelta g{x) risulta una funzione assolutamente continua in (0, °°). g{x) GD/5. Siamo autorizzati a porre/(;c) = g{x)}per cui, data l ’arbitrarietà del supporto di g(x): « w = -> j s ° m + c => g(x) assolutamente continua, e t “ ó' ). L ’operatore P + è derivativo, infatti: i g 'W “ ’$*(*) = (*). A»* = [A ). In conclusione, P + è derivativo, Dp* soddisfa la condizione A. Osserviamo che: ( Pf , g ) = (/, ig'), V/(*) GDP Se Vg(x)GDp*, risulta Dp* C DP*, quindi P += P +. Abbiamo determinato P +. Poniamoci il problema dell'estensione simmetrica di P. Essa dovrà esse­ re derivativa. Per avere una estensione simmetrica occorre aggiungere al dominio di P almeno un elemento f{x)\ /(0) 0. Operando una integrazione per parti si ottiene: op / .f) = - 1/( o) i2+ ( / , ANALISI FUNZIONALE 71 Non c’è alcun modo per annullare il termine finito. Per cui non è possibi­ le alcuna estensione simmetrica. Analizziamo il problema dal punto di vista degli indici di difetto. , P +/ = if(x) f{x) = exp(x) $ D P+ P +f = - if(x) /(x) = e x p (-;c )e Z V n —0, m = l. Questo risultato indica che P è un operatore simmetrico massimale, non è realizzabile alcuna estensione autoaggiunta. Studiamo lo spettro. A tal proposito prendiamo in considerazione il piano X, a suo tempo introdotto. Tutti i punti del semipiano superiore appartengono allo spettro residuo. Quelli del semipiano inferiore, a ll’insieme risolvente. Essendo gli indici di difetto differenti nei due semipiani, l ’asse reale non può contenere alcun punto di tipo regolare. Inoltre o>(P) = 0. Non resta al­ tra possibilità, per l ’asse reale, che essere costituito da punti dello spettro continuo. Intervallo ( - °°) Consideriamo (E, DP), DP^ [ f ( x ) E . L 2( - oo, oc) ; 3f Xx)EL2( - ° o t oc),/(*) ass. cont.). Per quanto osservato al paragrafo precedente \f(x) |2 per integrazione per parti, si ottiene; (Pf,8) = (f>P8) 0, per cui, V / (xU (*)cr> ?f l ’operatore è simmetrico. Per la ricerca dell’ aggiunto si effettua una restrizione (P, Df) alle funzioni a supporto compatto e si procede come nell’esempio precedente. Con le varian­ ti, dovute all’ampliamento dell’intervallo (0, «*>), che segnaliamo di seguito: 1. In [1.12] e [1.13] la variabile x può assumere valori positivi e negativi. 2. In [1.13] il termine b può assumere valori positivi e negativi. 3. Gli integrali che esprimono il prodotto scalare vanno estesi a ( — Si raggiunge la conclusione che D p* ^D P e che P+ è derivativo. Ciò im­ plica che P + —P. Confrontando questo risultato con la catena di inclusioni P C P C P +C P +, si deduce cheP = P +. L ’operatore (P, DP) è autoaggiunto. Per discutere lo spettro, consideriamo il piano 2 . 1 semipiani superiore e inferiore appartengono a ll’insieme risolvente. Spettro o>(P) = 0 l ’equazione: Gli autovalori e autofunzioni sono dati dalle soluzioni del­ P fx W= V aW . 72 CAPITOLO PRIMO che ha per soluzioni: /aM —J aCO) exp ( —iXx), per nessun valore di X reale/*(*) appartiene a L 2( - °°> °°). Spettr o continuo Lo spettro continuo è costituito da tutta la retta reale. In­ fatti, fissato Xreale qualsiasi, si consideri la successione {/„(*)} C S„ tale che Il w ll =i. risulta: Il (P - Al)/, Il = Il 9 '(P - Questa è la condizione perché X appartenga allo spettro. Lo spettro conti­ nuo (j c(P) è costituito da tutti i punti della retta reale. Possiamo intendere questo risultato anche da un altro punto di vista. Consideriamo P in L 2(~L/r, Ln) e, per fissare le idee, ne consideriamo l ’estensione autoaggiunta con Q. Gli autovalori risultano: Man mano che aumenta L, la spaziatura fra gli autovalori diminuisce. Nel lim tutti i punti dell’ asse reale diventano punti di accumulazione di autovaL —> lori e, come è ben noto, i punti di accumulazione di autovalori, quando non siano essi stessi autovalori, appartengono allo spettro continuo. Questa osservazione sostiene il punto di vista che intende lo spettro con­ tinuo come coalescenza di autovalori. 1.4.3. Unitaria equivalenza di P e Q inL2( —oay oc) Due matrici quadrate A e B t di dimensione finita, sono definite unitaria­ mente equivalenti se esiste una matrice unitaria S tale che A = SBS~\ In uno spazio di dimensione n, gli operatori sono rappresentati da matri­ ci n • fi, per cui la definizione su riportata è riferibile, nella stessa forma, a operatori. Analogamente, se si è in uno spazio a dimensione infinita, e si considerano operatori limitati, la proprietà si esprime formalmente nello stesso modo, solo che in tal caso A, B e S sono operatori. S è un operatore unitario. ANALISI FUNZIONALE 73 Per operatori non limitati, occorre tener conto dei domini; la proprietà va formulata diversamente. Lo faremo riferendoci agli operatori P e Q, ma la trattazione ha carattere generale. Per quanto concerne P e Q, l ’operatore che implementa l ’unitaria equiva­ lenza è SF, l ’operatore di Fourier-Plancherel (cfr. l ’esempio 1.11). Se P e Q fossero limitati, la proprietà sarebbe espressa da: P = SrQZF"1. Per tener cogi­ to dei domini l ’espressione scritta si bipartisce in due proposizioni. 1. Vf(x)EDGt ® f G D P & 9Qf=P9f. V/(*) E D Ql si usa anche scrivere $FDq = DP. 2. & -'feD a & V/(x)ED? , si usa anche scrivere S F = Dg. Definizioni strettamente analoghe, in ordine aH’unitaria equivalenza, sono introdotte per tutti gli operatori non limitati, cioè per operatori che non hanno per dominio di definizione Finterò spazio di Hilbert. Tì„____ _ 1 «*» (/fi_____ •__• !_ .. ; 5 m x' i c iiic ò o t i o u ì c c s ìu iii l sq c m u P) i n t e r m i n i a i u ri q u u i s i u s i f(x) c: Lo( ~~ 00>00) r i p u ò COStTUlTE Urici S u C C é S S ió n é {f^ j(x ) }» zionz a s u p p o r t o co mpatt o, s e g u e n d o lo s c h e m a r ipor tato di s e g u i t o . e le m e n t o fu r i- Rif ac endoci alla trattazione in cui abbiamo introdotto le funzioni c h e appaio­ no in que st o p a r a g r a f o (cfr, voi. /, $ 3.4.3), definiamo le s e g u e n t i s u c c e s ­ sioni di funzioni, dotate di derivata di qualsiasi ordine. L' el eme n to della s u cc e s s i o n e èparametrizzato dall'indice N, numero intero m a g g i o r e di zero. Ancxv l _(x + N - l ) ( x + N ) j xG. ( —A7, - N + l), al trove. lo Le 'funzioni a p p a r t e n g o n o a S„ e s o n o r a p p r e s e n t a t e da c u r v e a c a m p a ­ na, nulle al di f u o r i d e l l intervall o (—N, —N+ l). I S wexp lo l (N + l - x ) ( x - N x E ( N t N + l ), altrove. Le f unzi oni a p p a r t e n g o n o a S„ e s o n o r a p p r e s e n t a t e da c u r v e a c a m p a ­ na, nulle al di f u o r i d e l l intervall o (N, N + l). Le cost ant i di normalizzazione ANe BNs o n o tali c h e : JS f N\t)dt = ì , J CAPITOLO PRIMO 74 Consideriamo ulteriormente le seguenti funzioni: S\-N\x) = f S {-NÌ(C)dt, - oo S^\x) = Js^ iO d t, ,v le funzioni Si~N\x) sono degli pseudogradini, dotati di derivata di qual­ siasi ordine, valgono zero per x < —N, uno per x > —N + l e hanno va­ lori compresi fra zero e uno per x E (—/V,—N + 1). Analogamente, S^\x) rappresenta uno pseudo gradino, dotato di deriva­ ta di qualsiasi ordine, vale uno per x< N , zero per x > N + 1 e assume valori compresi fra zero e uno perxE. (N, N + 1). • Si definisce la successione (//v(*)}: A « = S^(x]f(x)S^N\x). La successione (//y(x)) ha le seguenti proprietà: -V/W GDC, (A(*)} C D q, Se II/- All ^ llQ/-2/wl|->«-*-0, n — o, -V / W G fl,, {/*(*)) CD e, Se II/-AII Il o, Pf~P/n \\— 0, La norma è quella d i L2(—°°, °°). Dimostriamo l ’u n itaria equivalenza 1. Costruiamo la successione (//y(x)} a partire dal generico elemento/(x) E lAW K {2/wW} C L i( - » ,« ) , per cui: 9;(A)'(cr) = g ?(-ó fN)(cr), Osserviamo che QfN cioè P 9 ( f ,,M = &(QfNM . 75 ANALISI FUNZIONALE Quindi la successione {/’S'UWCcr)} converge. Essendo P chiuso e verifi­ candosi la circostanza: l^OW Xcr) —>8F(2 /)(^)* segue che: 8F(/)(cr) G f1/» &P&(f)(à) = ^ ( 2 /)(o). 2. Costruiamo la successione (///*)} a partire dal generico elemento/!*) ED/». (A W J .W w W lc L K - o o , oc), Integrando per parti si ottiene: ^ _ i(/n)( o)= y= = J/w(0 exp Espressione che possiamo riscrivere nella forma: S; - , ( % ) ( ct) = Q9?- |(/n)( ct). Per N oo il primo membro converge in L2( —00, °°), dovrà convergere anche il secondo. Poiché l ’operatore Q è chiuso e '(/aO(ct) converge a c/'~1(/)(cr)> risulta: Sr'(/)(c7)ED0 & ^ - '( ^ ( c r ) = 2^-'(/)(cr). Spettri di operatori autoaggiunti unitariam ente equivalenti Gli spettri di operatori autoaggiunti, unitariamente equivalenti, sono identici. Ci rife­ riamo a P e Q, ma il discorso non cambia per qualsiasi altra coppia di opera­ tori autoaggiunti unitariamente equivalenti. I punti A dello spettro di un operatore (A, DA) autoaggiunto, sono caratte­ rizzati da: 3 (/,(*)} C DAiI/,, I ||= 1 : ||(A - Al)/, ||-» „ _ - 0. Se A appartiene allo spettro di 2 , ciò implica che 3(/,(*)} C Da, II/,Il = 1 : ||(Q - Al)/„|| 0. Vale: ||(G - Al)/,,||= ||9?([G - Al]/,) ||= || {^(/„)}C DP, Ai II, ||SF(/„)|| = 1. Quindi, se A appartiene allo spettro dell’operatore 2 , appartiene anche a quello dell’operatore P. Analogamente, si dimostra il viceversa. CAPITOLO PRIMO 76 1.4.4. Spazio de ll e conf igu razi oni e spazio d e g l i impulsi In meccanica quantistica lo stato di una particella, in uno spazio unidi­ mensionale *, denominato spazio delle configurazioni, è completamente in­ dividuato da una funzione t) - detta funzione d’onda - soluzione del­ l ’equazione di Schrodinger - appartenente, nella variabile a L 2( ”“00j °°). Poiché la variabile tempo t, nel discorso che andiamo a costruire, non gioca alcun ruolo, verrà ignorata del tutto. Nel seguito, l ’unica proprietà che interverrà sarà l ’essere le funzioni y ( x t t) e y/(p, 0 Puna la trasformata di Fourier dell’altra. Pertanto d’ora in avanti denoteremo con f(x) la funzione d’onda i//(;t, t) e con \ff(p) la sua trasformata. Indichiamo con P(x)dx la probabilità che la posizione della particella sia compresa fr&xzx-r dx. La funzione P(x) rappresenta la densità di probabi­ lità ueiia variabile posizione, in meccanica quantistica si ipotizza ia seguen­ te identificazione P(x) = |/(;c) |2. Se ne deduce che la funzione d’onda f(x) debba essere normalizzata: f J ......... f J| \f(x)\ì d x = l. f(x) U Il valor medio x della posizione della particella è dato da: x = jx \ f( x )\2 dx, lo scarto quadratico medio À* vale: À *= j (x -x f-^ ix ^ d x . Poiché ia funzione d’onda incorpora, come affermato, tutte le informa­ zioni relative alla particella in oggetto, deve poter dare risposte anche in re­ lazione al suo impulso. Si procede come segue. Consideriamo un secondo spazio di Hilbert, in corrispondenza col primo tramite la trasformata di Fourier 3\ Sia y ( p ) = ^(/)(p). Poiché f |y ( p ) \2dp - 1, la funzione |y ( p ) j2, a sua volta, è idonea a rap­ presentare una densità di probabilità. In meccanica quantistica la si identifi­ ca con la densità di probabilità r(p ) della variabile impulso: j if/(p) \2dp rap­ ANALISI FUNZIONALE 77 presenta la probabilità che la particella abbia impulso compreso fra p e p + dp. DO DO p - j p \ Vip) PdP &P = j ( p Relazione di indeterm inazione smo è incorporata la relazione -p)2|Vip) Pdp. Vogliamo dimostrare che nel formali­ AxAp>j. Relazione che, impropriamente, viene chiamata principio: Principio di indeterminazione. Senza venir meno alla generalità si può porre x = 0. Il che corrisponde a un cambiamento di coordinate (traslazione). yj _ r,__ ~ì ^ A \i,\j+/„\ i2 j r.j . ~\ 12w\, ì ? Per ottenere che la variabile abbia valor medio nullo basta definire una funzione d’onda traslata/^) =/(y +3E). Per la trasformata si ottiene: K p) = j /Cv) exP DO j /(jc) exp ( ~ ip(x - x))dx ~ ùxv>(ipx)y/(v). In conclusione, sostituire una funzione d’onda con una traslata nello spa­ zio delle configurazioni, genera, nello spazio degli impulsi, un fattore di fase. I fattori di fase sono ininfluenti sulle distribuzioni di probabilità. In conclusione, senza venir meno alla generalità, possiamo porre: x —p —0. Consideriamo ora l ’espressione: 0 ^ jj Q f + iXPf\\\ VA reale, & f(x) B D q D D? , Volendo valutare il valor medio dell’operatore posizione e impulso, ab­ biamo considerato una funzione d ’onda nel dominio dei due operatori. Il Q/+ i x p f \\2= il e / ip + a2i|p/ip+ a m , = Ax + X2\\®-]Pf\\2- X = Ax + X2\\Q& '/|P-A. qd - m J f'(x)xf(x)dx+ J = CAPITOLO PRIMO 78 = Ax+ A2 J p |2y { p ) | = Ax + A2Ap + A. In conclusione, VA, reale vale la diseguaglianza: Ax -h A2Ap + A^s 0. Il discriminante della corrispondente equazione di secondo grado in A deve essere minore o uguale a zero. Si ottiene la seguente espressione: A , 1 àx&p 5=—. Da notare che nel corso della dimostrazione si è fatto uso della relazione ®~'f(p)= Y ( - p ) Abbiamo concluso lo studio di base degli operatori F e Q , operatori che in meccanica quantistica rappresentano l ’impulso e la posizione di una par­ ticella. Ci proponiamo di proseguire l ’analisi, per l ’operatore impulso e per l ’operatore energia, in opportune configurazioni, in modo da chiarire il le­ game fra aspetti matematici della teoria degli operatori e aspetti fisici. Le grandezze fisiche che intendiamo analizzare sono: 1. l ’impulso di una particella, rappresentato dall’operatore i — , d2 2. l ’energia di una particella, rappresentata dall’operatore — dx2 Prescindiamo dall’introduzione di costanti nella definizione di queste due grandezze fisiche, in quanto la presenza delle costanti è ininfluente nell’am­ bito dell’analisi che intendiamo condurre. Le configurazioni che studieremo sono: a) particella su di una circonferenza, b) particella su di un segmento. Quindi i due operatori sono ambientati in Li(af b), con (a, b) intervallo li­ mitato.1 1. P articella su di una circonferenza La posizione di una particella su di una circonferenza è individuata da una coordinata angolare che varia fra - K e n. Occorre poi una condizione di raccordo agli estremi. La scelta più naturale parrebbe \f/(—k ) = y(7t). Poiché, però, la fase della funzione d’onda non ha rilevanza fisica, esiste tutta una classe di condizioni di raccordo ammissibili. ANALISI FUNZIONALE 79 a) L ’operatore derivativo che descrive l ’impulso è già stato studiato. Può essere identificato con una delle estensioni autoaggiunte che abbiamo determinato per l ’operatore (P yDP): CPa. DFb), DF' =[ \ i/(Q), y \9) C L 2( - 7T, 7t), \f/(n) = tx p (i a:) i/^( —zr)}. y/(0) as s. conU L ’operatore è autoaggiunto, quindi, sulla circonferenza, l ’impulso di una particella è una grandezza fisica suscettibile di essere rilevata. Gli autovalori e le autofunzioni sono stati a suo tempo determinati: ■ /A,( )=expfi-^0jexp(-m0) X„ = n — 0 Il sistema delle autofunzioni (essenzialmente il sistema trigonometri­ co) costituisce una base inL 2( —n, tc). 2 b) L ’operatore che descrive l ’energia è anch’esso derivativo ■ i2 ' dQ ( P i Dpi), Y\S) Dpi - { ass.cont., y (0 ),*?(&), Y ( 8 ) C L 2( - k ), y(K) —exp(ia)y/(—tt), Y'( k) = e x p (ia)i/ / (-7r)}. L ’operatore è autoaggiunto. In meccanica quantistica, quindi, l ’energia di una particella confinata su di una circonferenza è una grandezza fisica. L ’equazione agli autovalori per questo operatore è: d 2Y W = Ài//(P), ha per soluzioni i/a (0) = i£exp(±iVA0). de2 Gli autovalori vanno determinati imponendo la condizione di apparte­ nenza de-le autofunzioni a DP* r o\ y x(7t) = exp Autovalori e autofunzioni sono: ■>=(n+è)2- = expf e ) exp(iv,0)L -• Gli autovalori hanno degenerazione due, per n A 0, a= 0. Si ottiene lo stesso sistema di autofunzioni dell’operatore Pa. Il fenomeno è connesso alla circostanza che i due operatori commutino. In genere, sia per l ’uno che per l ’altro operatore, si sceglie l ’estensio­ ne autoaggiunta relativa ad a = 0. 80 CAPITOLO PRIMO 2. Particella su di un segmento Questo problema sembrerebbe identico al precedente, in quanto caratterizzato, come dominio di definizione delle funzioni, da un intervallo (a, b) limitato. Tuttavia, a una analisi attenta, si notano profonde differenze. Per confi­ nare una particella su di un segmento, occorrono delle forze che impedi­ scano il deconfinamento. Quanto più è grande la forza, tanto più il confi­ namento è stretto. Solo una forza infinita ai bordi produce totale confinamento. Il confina­ mento stretto su di un segmento è da considerare come configurazione li­ mite di una successione di configurazioni fisicamente accessibili, con forze confinanti, agenti agli estremi, progressivamente crescenti. Una forza infinita produce l ’azzeramento della funzione d’onda agli estremi. Se ne conclude che lo studio di una particella confinata su di un segmento e che, per semplificare le notazioni, considereremo individuata da una coordinata che varia neH’intervalln (0. tt). si riconduce allo studio degli operatori impulso ed energia in L 2(0, re), con condizioni al contorno W ) ~ VW = 0a) L ’impulso è rappresentato dall’operatore P che opera in 1^(0, n) con condizioni ai bordi nulle. Questo operatore è 15operatore derivativo che abbiamo già studiato e indicato con (P, DP). È un operatore simmetrico, chiuso ma non auto­ aggiunto; inoltre non possiede autovalori. La grandezza impulso, essendo rappresentata sul segmento da un ope­ ratore non autoaggiunto, non è una grandezza fisica, secondo quanto definito in meccanica quantistica. b) Operatore energia. L ’operatore che descrive l ’energia è rappresentato dalla derivata seconda: — il dominio è caratterizzato daii’annuiiarebr si delle funzioni agii estremi. Ricordiamo che l ’operatore (P+t DP+) agisce derivativamente. Viene naturale definire come operatore energia (P+P, DP+P): Dr p s ( y/OO e B P iPy/EDp*}. Poiché vale: P ++ = P, l ’operatore P +P è autoaggiunto, quindi l ’ener­ gia sul segmento rappresenta una grandezza fisica. Gli autovalori sono (n217, le rispettive autofunzioni {sinnx}~. Il siste­ ma delle autofunzioni costituisce una base in L2(0, 7t). ANALISI FUNZIONALE 81 1.4.5. O p e r a to r e di Hermite H L ’operatore di Hermite è il seguente operatore differenziale: m {/(*) E ! * ( - - , co) : 3 fXx)JXx) & /'(*),/"(*), x2f(x) C L2( - - , co)}. L ’operatore è simmetrico, infatti: (Hf, 8)- (/. = J (f"(x)~g(x) - f ( x ) 7 ( x ) ) d x = J = l f '(x)g(x) -rtx)g'(x)]1^ L* annullarsi dell’espressione è ima conseguenza della proprietà delle, funzioni appartenenti a DHdi valore zero, assieme alle derivate prime, nel lim ite* ± —. Cerchiamo autovalori e autofunzioni (/x,/u(*)) di H\ Hfu(x) = u f u(x). [1.14] Osservazione 1.7 Come a bb i a m o gi à s p e r i m e n t a t o . e a v r e m o m o d o di s p e r i m e n t a r e a n c h e ne l s e gu i to , un p r o c e d i m e n t o , i d o n e o alla d e t e r m i n a zi one di soluzioni di equazioni differenziali, c o n s i s t e n e l l ipotizzare, p e r la soluzione de ll 'e quazi one , sulla ba s e di c o n s i de r az i on i g e ne r a l i , una r a p ­ p r e s e n t a z i o n e in termini di c o e f f i c i e n t i i n co g ni ti da de te r mi na re . Una v o lt a inserita la r appr e se nt az ion e de ll a s oluzione nell* e quazi one differenziale, o t t e r r e m o relazioni f r a i termini incogniti, tanto p i ù s e m p l i c i da r i s o l v e r e , quanto pi ù s a r e m o stati in g r a d o di i n c o r p o r a r e , ne ll a e s p r e s s i o n e d e ll e s o ­ luzioni, c a ra t te r is t ic h e salienti de ll a equazione. Per lo studio dell’equazione [1.14] facciamo ricorso alla teoria delle equazioni differenziali ordinarie nel campo complesso, teoria che esporre­ mo nel prossimo capitolo. La teoria che svilupperemo comporta, per le soluzioni del problema agli autovalori [1.14], le seguenti proprietà: • che siano analitiche nell’intero piano complesso, • che abbiano una singolarità essenziale a ll’infinito (la singolarità all’infi­ nito dell’equazione non è di tipo Fuchsiano). Come si è visto nei capitolo relativo alle funzioni analitiche, una singola­ rità essenziale è generata, generalmente, dalla presenza di un esponenziale. 82 CAPITOLO PRIMO Inoltre, l ’esponenziale deve essere tale che, ristretto a ll’asse reale, forni­ sca un fattore di convergenza per x —» ± <*>. Confinando il discorso all’asse reale, si può affermare che la forma più semplice di funzione con queste caratteristiche, e che appartenga a DHl è: $ (* )= / (* )exp ( - y j . [1.15] Conf(x) si è indicata la restrizione all’asse reale di una funzione analitica n in tutto il piano complesso:/^) = ^ a ix'. o La funzione/(x) deve essere analitica nel piano complesso e può, al più, avere un polo, che abbiamo classificato di ordine ai, a ll’infinito, avendo noi enucleato la singolarità essenziale della soluzione nel secondo fattore, a se­ condo membro della espressione [1.15]. Il fattore exp ^ restrizione a ll’asse reale del termine exp responsabile della presenza della singolarità essenziale nel piano complesso z. La singolarità essenziale è stata espressa in questa forma, in quanto la sua restrizione all’asse reale deve produrre un fattore convergente a ± Il fattore y è legato allo studio, che non affrontiamo qui, d ell’andamento asin­ totico della soluzione. A questo punto, le incognite del problema diventano gli autovalori e i coef­ ficienti (<2/}q. Per determinare le incognite inseriamo l ’espressione di O(x) n ell’equazione e ricaviamo relazioni algebriche fra le incognite. (*) =/'(*) exp ( - y j - x/(x) exp ( - yj, $"(■*) =/"(x) exp ( - y j - 2 + x2/ ( x ) e x p ( - y j, HO = HO 0"(x) - ixO =/"(x) exp ( - x20 =f"(x) exp ( - yj - 2x/'(x) exp ( - y j = 0 . Q u i n d i f o ) soddisfa l’equazione: /"(x) -/ (x ) - u f o ) 2- 83 ANALISI FUNZIONALE inserendo l ’espressione esplicita di/(*), si ha: 2 - (/z+ 1) j f l / ^ ' = 0. I- 2 /-I /«0 Gli elementi {jc/}g sono linearmente indipendenti. L ’equazione scritta implica che, raccolte a fattore le potenze in * dello stesso esponente, i coef­ ficienti di x1, 1= 0, 1, ..., n, siano nulli. Cioè: a„[fl + 2n 4* 1] = 0 => fi qualsiasi, D*„ = 0, 2) /i= - 2n - 1, a„ qualsiasi, 3) a„_,= 0, 4) p - - 2 n 4- 1, jUqualsiasi, a/t_, qualsiasi, /i 4-1 4- 21 (/ 4- 2)(/ 4- l) a /+2 —(21 4- fi 4- 1)a/ = 0, => fl/+2 = a + 2) ( / + i) a '- a„ _ |[ —/I —2n 4- 1] = 0 =J> Va operata una scelta fra le soluzioni 1) e 2) e fra quelle 3) e 4). La soluzione 1) va scartata, in quanto abbiamo indicato con n e non con m —1 il grado del polinomio indicato con/(*). Come conseguenza di questa scelta, va scartata la soluzione 4), perché incompatibile con la 2). Si conclude che gli autovalori e le autofunzioni sono classificati da un in­ dice n, numero intero non negativo. Gli autovalori sono fi,, —- ( 2 n 4- 1), cioè numeri interi negativi dispari. L ’autofunzione di indice n è: f ~x2\ P„(x) è il polinomio di grado n i cui coeffi/«(*) = P „{x)exp Y, dove J cienti siano determinati dalle relazioni di ricorrenza su scritte. Si fissa a 0 o a |e gli altri coefficienti vengono determinati per ricorrenza. Dimostreremo nel seguito che non esistono altri autovalori. Il polinomio P„(x) ha solo po­ tenze pari o dispari, a secondo che sia pari o dispari n. Come conseguenza, l ’autofunzione/„(*) è una funzione pari o dispari di *, a secondo che sia pari o dispari n. Questa caratteristica delle autofunzioni ha una sua spiegazione: per discu­ tere l ’argomento esaurientemente, occorre studiare l ’operatore parità. 1.4.6. O p er a to r e parità L ’operatore parità (Pt Z^C- *00, °°)) è così definito. P fM = f(-x )ì risulta: 11^11 = 1. (P f< i g ) —J f(~x)g(x)dx = CAPITOLO PRIMO 84 L ’operatore è autoaggiunto. Determiniamo autovalori e autofunzioni: p 2f(x) =/(*), Gli autovalori di -P2= l. P soddisfano la relazione: W = M / * ).= * m2 = 1. L ’autospazio relativo all’auto vai ore + 1, è L+ (sottospazio di L2( - <*>, «») costituito dalle funzioni pari nello scambio * —> —x)%Vautospazio relativo all’auto valore —1, è XT ( sottospazio di L2( _cc><~) costituito dalie funzioni dispari nello scambio x - ) —x). I 2(-o c, oc) = L +©IT. Ogni funzione può essere espressa, univocamente, come la somma di una funzione pari più una funzione dispari. Ogni elemento di L+ è ortogonale a cgiii elemento cu « Sia (A, Da) un operatore che commuta con P e sia (A,/*) autovalore, auto­ funzione di A; si ha: A(Pfx(x))=PAfx(x)= HPfx(x)). [1.16] La relazione [1.16] afferma che PfxiPÒ &autofunzione di A, di autovalore A. Supposto che A non sia degenere, Pf\(x) tfx(x) devono essere fra loro pro­ porzionali: Pfx(x) = M/aW , ciòbfx(x) deve essere autofunzione diP , e ju = ± 1; quindi, deve avere parità definita; deve essere o pari o disparì per lo scambio * -» — In conclusione, ogni autofunzione, non degenere, di un operatore che com­ muta con P, deve avere parità definita. Per l ’operatore di Hermite vale: PH —HP, le autofunzioni che abbiamo trovato, che sono tutte non degeneri, devono avere parità definita, come abbiamo verificato. Il sistema di funzioni /,,(*) =P,X*)exp( — è un sistema ortogonale, essendo costituito da autofunzioni non degeneri di un operatore simmetrico (H). A suo tempo abbiamo studiato la seguente base ortonormale nello spazio 00. °°)’ ANALISI FUNZIONALE 85 Le funzioni che fanno parte di questa base sono le funzioni di Hermite, furono ottenute ortogonalizzando, col procedimento di Schmidt, il sistema di vettori linearmente indipendenti * "exp( - f ) t Poiché il procedimento di ortogonalizzazione è univoco, P n(x) exp ^—— e H„(x) exp ~ - j non possono che differire per una costante. In conclusione, le autofunzioni dell’operatore H sono le funzioni di Her­ mite, e costituiscono una base in L2(~ °°). Riassumendo: tutti i punti del piano complesso, esclusi gli interi dispari negativi, sono punti di tipo regolare (corollario 1.3). • Non possono essere presenti altri autovalori oltre ( —(2n +1) )o. • Non avendo gli autovalori punti di accumulazione al finito, lo spettro continuo è vuoto. r\i/-v— . v~/ ù___: ~ iou au u ìiìiiita tiì. ia ì v j u __ ___________ J ______________ i ‘ ___ X -------- -I - * c ? u i i i u j x c uc-gu a u i'jy a i'jii, 1 jl upcrm urc »- - .- x - S non e limitato. • La chiusura di H è un operatore autoaggiunto. 1.4.7. O pe r a t o r s dì F o u r i s r - P l a n c h e r e i L ’operatore trasformata di Fourier (2£, L 2( <*»)), il cui dominio è lo spazio delle configurazioni e codominio lo spazio degli impulsi, viene de­ nominato operatore di Fourier-PlanchereL È un operatore unitario: ||9? ||= 1, = Determiniamo gli autovalori e le autofunzioni: 3Ff\(x) = Xfx(x). Gli autovalori si trovano sulla circonferenza unitaria |Aj = 1. Per la ricerca di (A,/;.(*)), è utile richiamare l ’equazione agli autovalori per l ’operatore di Hermite: H fnW -tlJnM , fn(x) [1.17] JJ.,, interi negativi dispari, f„(x) funzioni di Hermite. 3W „)( ct) = ^ (^ -/„)(a) - W „= =Applicando l ’operatore tiene: ad ambo i membri dell’equazione [1.17], si ot­ CAPITOLO PRIMO 86 La funzione ^(/„)(cr) è una autofunzione di H, relativa a ll’autoYalore Jdlr Poiché r autovalore non è degenere, risulta che le funzioni <F(fn)(<f) e (/„)(cr) sono proporzionali ^(/„)(c7) = c nf n( a ) t in altri termini, le f u n z io n ilo ), funzioni di Hermite, sono autofunzioni di con autovalore c„. Sappiamo che gli autovalori c„ devono trovarsi sulla circonferenza unita­ ria. Inoltre, V/(x) GSL: f /(—x) exp (i ax) dx = V2 J " vfei f (x) exp ( —i crx) dx = —~=r ‘ tc = ^■'(/(-A ))(cr), 3 W ) ) ( ; t ) = / (-* ), =* SP{^[SPO?(/))]}(x) =/(*). Questa relazione, scritta per le funzioni di Hermite dà luogo a: relazione-che comporta: c,*} = 1. Gli autovalori sono le quattro radici quarte dell’unità e hanno moltepli­ cità infinita. Si trova che c„ = (—/)". Poiché le autofunzioni formano una base in L2( —°°, °°), tutti i punti del piano complesso, tranne le radici quarte dell’unità, appartengono all’insie­ me risolvente. Lo spettro continuo è vuoto. 1.4.8. Oper ato ri di p r o i e z i o n e Sia H uno spazio di Hilbert, H\ un suo sottospazio e H2 il complemento ortogonale di H\, H = H\®H2, V/G//, /=/,+/?> f i ^ H 2. Si indica con (Fi, //), e si denomina operatore di proiezione su H u l ’ope­ ratore che agisce come segue: Pxf=fu V/G//, ||Fi ||= 1. La proprietà della norma deriva dalla circostanza che ||/||2 = ||/ ||2 4-1|/21|2 per cui ||/| ||=^||/||, l ’eguaglianza valendo per/G//. L ’operatore Fj è autoaggiunto: (A/. s) = (/i. s) = (/|. Si) = (/. Si) = (/- A s). Studiamo gli autovalori e le autofunzioni: A / = / ..- > A ( f ,/ ) = A / , V /e//= »P ? = P,. Vf.gCH. AN A U SI FUNZIONALE 87 Questa proprietà implica che gli autovalori debbano soddisfare l ’equazio­ ne: A2 = A, che ha per soluzioni 0, 1. L ’autospazio relativo a A = 0 è H2, quello relativo a A = 1 è H \. La degenerazione degli autovalori può essere finita o infinita, a secondo che sia finita o infinita la dimensione degli spazi Hj e H2. Introdotto Topera­ tore di proiezione su H2, indicato con (P2, #), vale la relazione: P |+ P 2 = 1 Risoluzione dell’identità. 1.5. Operatori compatti Una classe di operatori molto interessante è la classe degli operatori compatti; l ’interesse deriva non tanto dalla circostanza che tali operatori in­ tervengano nella trattazione di alcuni problemi fisici rilevanti, quanto dalla loro caratteristica di essere gli operatori più simili, per così dire, a quelli che operano in uno spazio a dimensione finita. Ricordiamo che. in uno spazio H a dimensione finita, lo studio di opera­ tori autoaggiunti è molto proficuo, in quanto tali operatori hanno uno spet­ tro puramente puntuale e possiedono un sistema di autofunzioni che forma una base in H. Vedremo che gli operatori compatti e autoaggiunti hanno questa stessa proprietà in uno spazio di Hilbert a dimensione infinita. Inoltre, per la loro semplicità, gli operatori compatti e autoaggiunti costituiscono un utile labo­ ratorio in cui ricavare proprietà suscettibili di essere estese a categorie di operatori più complessi. Vogliamo ora delineare la strada per cui si giunge a essi. Volendo selezionare, in uno spazio a dimensione infinita, operatori con caratteristiche simili a quelli che operano in uno spazio a dimensione finita, occorre enucleare le proprietà specifiche degli operatori in uno spazio a di­ mensione finita, per imporle poi, come restrizione, nello spazio a dimensio­ ne infinita. In altre parole, il punto di partenza è quello della ricerca delle proprietà specifiche degli operatori in uno spazio H a dimensione finita. Una prima caratterizzazione è che gli operatori in spazi a dimensione fi­ nita sono limitati. Ciò impone alla classe di operatori che vogliamo caratte­ rizzare una prima restrizione: la limitatezza. Tuttavia, esistono esempi, in spazi a,dimensione infinita, di operatori limitati e autoaggiunti che, nonostante la limitatezza, hanno comportamen­ to complesso, molto lontano dalle caratteristiche di operatori in uno spazio a dimensione finita, un esempio è l ’operatore Q in L2(a, b)\ o>(Q) = 0, Oc(G) = [*,&]. Allora bisogna andare più in profondità in questa analisi. CAPITOLO PRIMO 88 Osserviamo che la discriminante fra uno spazio a dimensione finita e uno a dimensione infinita è il teorema di Bolzano-Weierstrass. Il primo, è il regno del teorema di Bolzano-Weierstrass, l ’altro lo viola. Studiamo il fenomeno. Consideriamo uno spazio di Hilbert H a dimen­ sione finita. Sia (/„) una successione equilimitata, cioè 3M : |/„ allo­ ra la successione {Afn} sarà anch’essa equilimitata, ||Afn||^ |A M, e avrà, per il teorema di Bolzano-Weierstrass, almeno un punto di accumulazione nello spazio di Hilbert H. Pertanto dalla successione [Afn] è sempre possibile estrarre una sottosuc­ cessione convergente. Proprietà 1.3 In uno spazio a d i me n si o ne finita tutti g l i o p e r a t or i A g o d o n o della p r o p r i e t à di t ras fo r mar e o g n i s u c c e s s i o n e {/„} equilimitata in una s u c c e s s i o n e {A/,,}, da cui è p os s i b i l e es tr ar r e una s u c c e s s i o n e c o n v e r ­ g e n t e nello sp azi o. Nello spazio a dimensione infinita ciò non è sempre vero, neppure per ope­ ratori limitati. Infatti, data in H una base ortonormale {<?*}, l ’operatore 1, identità, trasforma [ e k) in se stessa. Dalla successione {ek} non è possibile estrarre alcuna successione convergente. Infatti J|e k - e k>jj = V2, per k i= k\ La proprietà 1.3 si configura come caratterizzante il comportamento di operatori in spazi a dimensione finita, Rappresenta un candidato idoneo a costituire la prescrizione per caratterizzare il sottoinsieme di operatori di cui andiamo in cerca e che, nel seguito, intendiamo studiare. Gli operatori di questo sottoinsieme sono denominati compatti. Definizione 1.14 (O peratori compatti) Un o p e r a t o r e (A, DA) è de fi ni ­ to compatt o se t rasforma o g n i s u c c e s s i o n e {/„}, equilimitata, a pp ar t ene nt e allo spazio di Hilbert H, in una s u c c e s s i o n e {Af„), da cu i è p o s s i b i l e e s tr a r­ re una s u c c e s s i o n e c o n v e r g e n t e in H. Dalla definizione posta, si deduce che l ’operatore (A, DA) deve essere li­ mitato, altrimenti esisterebbe una successione: (A) CD,, ||/ J« 1: | | A / J c o . Dalla successione {A/„} non può essere estratta alcuna successione con­ vergente. Osservazione 1.8 II p r o d o t t o di un o p e r a t o r e co mp at to p e r uno limita­ to è s e mp re compatto, quale c h e sia Vor di ne s e c o n d o cui v i e n e e s e g u i t o il prodot to. In altri termini, s e A è un o p e r a t o r e co mp at t o e B uno limitato, ri ­ sultano compatti sia AB c h e BA, La dimostrazione è s e m pl ic e , basta appli­ c a r e la definizione. ANALISI FUNZIONALE 1.5.1. 89 T e o re ma di Hilbert-Schmidt Per gli operatori compatti e autoaggiunti, vale il seguènte fondamentale teorema. Teorema 1.6 (Teorema di Hilbert-Schm idt) Sia (A. H) un o p e r a t o r e c o m p a t t o e a u t o a g g i u n t o , p o s t o ||A|| > 0, risulta c h e : 1. («) 3^,/,): 1^.1 = IlA II, II/,||= 1, A/, =/x,/|. 2. 3. 4. 5. (b) 3 [(pii, fi)} s u c c e s s i o n e di aut o va ìo r i e autofunzioni, c o n l e p r o p r i e t à : 11/11 = 1, |M;+i N / 4 ' Gli aut o va lo r i JX\¥=0 hanno tutti mo l te p li ci tà finita. Le autofunzioni {f}, r ela ti ve a d a u t o va l or i =£0, f o r m a n o una b a s e o r t o n or m a l e in Aa. Le aut o funzioni ( f i? . r.nmpìementsite rn n nupìle ( f r i? rpJntiyp /?//' o.V.tOv a l o r e zero (le une o le altre p o s s o n o p r e s e n t a r s i in n u m e r o f ini to ), f o r ­ m a no una b as e o r t o n o r m a l e in H. L'unic o e v e n t ua l e p u n t o d e l l o sp et t ro co nt in uo è il p u n t o di a c c u m u l a ­ zione d e g l i a u t o v a l o r i : l 'origine . Prima di dimostrare il teorema occorre dimostrare la seguente proprietà. Proprietà 1.4 (Norma di un operatore autoaggiunto) P e r un o p e r a ­ t o r e limitato e a u t oa g g i u nt o v a le la s e g u e n t e e s p r e s s i o n e dell a n o r m a : 11^11= Slip I (A/,/) |. Il/li-i La dimostrazione si esegue in due passi. I passo Dimostriamo che per operatori limitati vale l ’espressione! f.S)-I (A ||A ||= sup | H/iM. lirici Sia ||/|| = IMI = 1, vale: |(4/‘. £ ) l sSll4 f !!aSiWI=> sup |(A/, g ) |=s |[A 11- Dimostriamo che vale anche l ’espressione con la diseguaglianza invertita. ||A |p = sup (A/,A/)= sup 11/11-i 11/11- i sup lw .« ) | . "i.iUlH CAPITOLO PRIMO 90 risulta: ||A ||= II passo to vale: sup |(Af, g ) |. Il/ll =i.|l*ll =i Dimostriamo che per un operatore, oltre che limitato, autoaggiun­ sup | Il/ll =i.ll*ll =i (Af, g )|= sup |(A/,/)|. M =l Ovviamente vale: (Af, £)|s= sup |(A/,/)|. sup Il/ll - 1 ll/ll-MUII-i Dobbiamo dimostrare che vale anche una analoga espressione col segno di diseguaglianza invertito. Posto ll/ll = 1 e \\h ||= 1, consideriamo le due relazioni: ' (A[/+ h ] , f + h) = (A/,/) + (A[/—/ !],/ - h) = h) + + (A/, h), ( A f f ) + (Ah, h) - (Ah,f) - h). (Ah,f) + (Af, h) = j {(A[/+ /:],/+ h) | (Ah , f ) +(A/,/i)|=s|{| (A[/+ h) ), |+ |(AC/- h ] , f - sup |(A 5 , g)|||/+/i||2+ sup |(A g ,g )|ll/ Ull =i 11 ■ ^11 11s II- i = 75- sup|(Ag,g)|[||/+/i||2 + ||/-/i||2]=: sup|(^»^)ltll/ll + II^IM z ||<dM II* ! - 1 = 2 sup |(Ag,j)|. Il sii "I Poniamo: h= A l, |A| = 1, ||/|| = 1, (Ah,f) + (Af, h) = I Ponendo exp (ia), si ottiene: (Ah,f) +(Af, h) = |(Af, 0 1[exp siamo liberi di scegliere a = 6. Otteniamo: (Ah,f) + (Af,h) = 2\(Af,l)\, (Af,/) + X(Al,f) = [lex p 91 AN ALISI FUNZIONALE e, in definitiva: l)|= | 2| (A/, V/,/: ||/|| = IMI = 1. (Ah,f)+ (A/, llsll-i |(A/,/)|*S sup |(Ag, g)|. Il «Il = i In conclusione: sup |(A/, O l^ sup|(Ag,g)|. II/H I'IM II ili = ' Teorem a di Hilbert-Schmidt 1. Dimostrazione (a) ||A|| = Sup |(A/,/)| II/,,|| = 1 : lim |(A/„,/„) |= ||A ||. Il/ll-i La successione di numeri reali {(A/„,/„)} ha almeno un punto di accu­ mulazione in ||A |j o in —1|A ||, ma può averne in entrambi. Ciò com­ porta che dalla successione {/„} è possibile estrarre una successione (/„,} Per cui ((A/^/Q} risulti convergente: (Afv fui) ^h 1^1 I = ll^ll- Vogliamo dimostrare che esiste una successione {flli} estratta da (/,J e un elemento f\ per cui: WflJ.-fì II —>77t - 0, Af\ =/i|/i. Si ha: Il A/,„ - M./, j r = Il = ||A /JP + /x? - 2M, (A/„„/„) =£||A |p + Ai? - 2 (A/, L ’espressione va a zero per nk—» Essendo l ’operatore A compatto, da (/„J è possibile estrarre una suc­ cessione {/jj tale che esiste 0 per cui A/^ —>'77| ^ Quindi: Il Mi/».'- $ II* HA/,, - Mi4 II + Il Afnt ' ® Il $ posto/, = — , risulta: _,_/,. rL\ In conclusione: A/-1=>n<- . - | ^ i/ ' ^ ' ’ quindi: a ,- - 0. A/,=M i/ i• (/?) Indichiamo con // il sottospazio sotteso d a/ , consideriamo il com­ plemento ortogonale di// rispetto ad//: // =//©//. CAPITOLO PRIMO 92 H |è un sottospazio invariante per A, cioè Af EHu V/G/Z). Infatti: (A/,/0 = (/,A/0 = Pi(/,/i) = 0, V/G/Z, & V/iGZZ,. Valutiamo la norma di A in tale spazio: m Uff, = sup i (Aftf) !■ risulta ||A II* <|| A ||. Se tale norma vale zero, ciò implica che ZZi è l ’autospazio relativo al­ l ’auto valore 0. Altrimenti, con lo stesso procedimento precedenteniente descritto, troviamo: Ih, l/t2l = l|A||«,<!|A|| = |/i1|1 e/2, tale che: t f l = )hh, ( / j, / l) = 0, Ìi/2i| = l. Si procedein analogia denotando con ZZ2 il sottospazio sotteso da {fu /2} e con ZZ2 il rispettivo complemento ortogonale. Si individuano p 3 e/3, e così via. In definitiva, si generano due successioni: (p/| di auiovalori e (/,} di autofunzioni ortonormali, tali che |Pi ì ^ Ìp2 \** IPa j > ... Da notare che la degenerazione di un autovalore si manifesta col ri­ sultare uguali fra loro un certo numero di autovalori p,. 2 . Dimostriamo che in ogni intervallo chiuso [p, ||A ]j]s p > 0, è incluso al più un numero finito di valori |p/|. Ciò comporta che gli autovalori P/ # 0 abbiano tutti molteplicità finita. Supponiamo che sia vero il contrario e mostriamo che si giunge a una contraddizione. Nell’ipotesi esistano infiniti autovalori p,- per i quali la successione (|p/|) sia iiìclusa nell’intervallo [p, ||A ([], sarà presente, in tale intervallo, almeno un punto di accumulazione delia successione {|p/|}. Indichiamo il punto di accumulazione con p. Esiste, allora, una succes­ sione infinita numerabile di coppie autofunzione autovalore {/„t, p„4}, tale che La successione .'A. è equilimitata, tezza di A, dalla successione A ------- ^ —; per la compat^ Ia J dovrebbe essere possibile estrarre una successione convergente; ma la successione in questione altro non è che (/„}, sistema di vettori ortonormali, da cui non è possibile estrarre alcuna successione convergente. Siamo giunti alla contraddizione che ab­ biamo pre annunciato. AN AL ISI FUNZIONALE 93 La conclusione è che runico eventuale punto di accumulazione di autovalori è T origine. 3. Dimostriamo che la successione {//} costituisce una base in À^. Supponiamo dapprima che gli elementi {/y} siano in numero finito n. Ri­ cordiamo di aver indicato con H„ il sottospazio di H sotteso dai vettori e con Hu il suo complemento ortogonale rispetto a H. A bbiam i anche osservato che l ’arrestarsi al passo n del processo di determinazio­ ne delle autofunzioni, comporta che Hn è l ’autosgazio relativo jtll*auto­ valore zero di A. Allora, valendo V /e///=/(,/) + f 0' \ f (n)EHnJ {") EH,,, risulta che A/=A f (n) GH„. Là proprietà è dimostrata. Se, viceversa, il sistema {/,} è costituito da un insieme infinito di ele­ menti, allora l ’insieme di numeri reali {/iy} avrà un punto di accumula­ zione, che dovrà trovarsi nello zero, e anzi: . ! ìi I11H'f ! ‘ TI ~ - J ------1 -------- Jl À Ai gwiW/ii^W t'iWiiiV'iis.VJ U.Ì di//. Prendiamo in considerazione i primi n elementi {/;}? della successione delle autofunzioni. Poniamo g n ~/~ 2 ( f t f d f b ì?ìcnltfl ò// a PZ J-T iTvfatf-i \f 6rrn t J V = 0 *7—1 — a, i l O ..., m /t. 6n I (/»//)//’ In conclusione: Il 8n II ll/ll => Il A g„l I< I n „ I+ ì ll/ll -4 „ _ „ 0. Quindi: l|Ag„||= =W - l t ilW . M W = 1 = IM/-2(/M/,)/,|| = ||A/-2(A/./,)/,|| v/e/7. I 1 Abbiamo dimostrato quanto ci eravamo proposto. 4. Denominiamo H il sottospazio sotteso daj/)}?; sia //=£//, &H0 il comple­ mento ortogonale d iH rispetto a//:// = //©//0. H0 è l ’autospazio relativo a ll’auto valor e 0. Infatti, V/E// risulta AfE H {Af a\= D W /cr JJ Q* W /vC t 7 poiché (A/, g ) = (/, Ag), risulta: Àg = 0. CAPITOLO PRIMO 94 Indichiamo con {/?} una base in H0t {/)•} U {/?} è una base in//. La successione (/?} è il sistema di autofunzioni relativo all’autovalore zero. 5. Resta da dimostrate che X—0 è l ’unico eventuale punto dello spettro con­ tinuo. Ricordiamo che per un operatore autoaggiunto, le cui autofunzioni formino una base in H, gli unici, eventuali, punti dello spettro continuo sono punti di accumulazione di autovalori. Per un operatore compatto e autoaggiunto, l ’unico punto di accumulazio­ ne possibile per gli autovalori è l ’origine. Se gli autovalori sono in nume­ ro infinito debbono necessariamente accumulare n ell’origine. Se zero è autovalore, crc(A) è vuoto, altrimenti crc(A) è costituito dalla sola origine. Se gli autovalori diversi da zero sono in numero finito, l ’origine appartiene allo spettro puntuale e ha degenerazione infinita. C’è anche un altro modo per accedere a questo risultato: se A-1 non esi­ ste, A = 0 è autovalore; se A-1 esiste vale: AA-1 = 1; A-1 non può essere limitato, perché il prodotto di un operatore compatto per un operatore li­ mitato dà luogo a un operatore compatto. Inoltre = //, poiché X= 0 non è autovalore. Dunque A-1 ~Rx-o(A) non è limitato, ed è densamente definito, si dedu­ ce che X = 0 E Oc(A) • Il teorema di Hilbert-Schmidt è suscettibile di una formulazione in termi­ ni di proiettori. Indichiamo con//(/) l ’autospazio relativo all’auto valore }ih l ’operatore Pt sia il proiettore su //c0. L ’operatore P0 sia il proiettore su H0. Risulta: 1 = P 0 + P |+ P 2 + ... + P„ + ... A = l±\P\ + JJ.2P 2 + ••• + AL/% risoluzione dell’identità, decomposizione spettrale. Questa espressione di A mette in evidenza che nei sottospazi H{t) l ’opera­ tore A agisce moltiplicativamente. 1.5.2. Criterio di compattezza In questo paragrafo presentiamo un utile teorema per verificare la com­ pattezza di un operatore. Teorema 1.7 (C riterio di compattezza) Sia (A, H) un o p e r a t o r e limi­ tato e d es is ta una s u c c e s s i o n e di o pe r a t o r i co mpat ti ((A(/), //)) c o n v e r g e n ­ te in no r ma a d A: ||A —Ac/) 11 0. Vale la p r o p r i e t à c h e /’ o p e r a t o r e A è compatt o. 95 AN ALISI FUNZIONALE Per provare il teorema, dimostreremo che dalla generica successione (/•} E E//, equilimitata, si può estrarre una sottosuccessione, che denoteremo {/7)}r-i, tale che la successione {A/ (/)}/~=} sia convergente in H. Essendo l ’operatore À(l) compatto, da {/•} è possibile estrarre una suc­ cessione, che indichiamo {/(/l)}, tale che (A(l)/ ())} sia convergente. /• Da I f V) è possibile estrarre una successione, che chiamiamo (f®}, tale che (A ^/^J risulti convergente, e così via. Con questo procedimento si co­ struisce una famiglia di successioni, ognuna estratta dalla precedente; è convergente; sono convergenti, l/ (P) : {A11’/',1’} (/<?>} : (A01/ ? 1), (A<J>/<?> {A(,,/ f ) : (>/?>), iff] sono convergenti, Consideriamo la matrice: /'!> /'!> /T /? /? /? 7 ? /T / ? /? /? /? f? f f f? f? e poi la successione costituita dai termini sulla diagonale della matrice: (fT La successione x ha la proprietà che, per ogni n, la successione [A00/ ^ }/*«! è convergente. Infatti la successione [ f f }"-1 per /> n è estratta dalla successione (/^JT-i* Vogliamo dimostrare che è convergente anche la successione [Aff}~m|. IlA/P-A/^H ^||A/?) - A (,,ÌA(/°|| + ||A("> /S°-A W II + + \ \ A f W - A W I I ^ 2| | A - A (,,) | |M 4 -11A (/,)/ ? ) — 11. Si è indicato con M ia costante per. cui vale: ||//|| ^M . V e>0, Vn>V, di’/,L : ||A - A (,,) || < £, ||A(B,/ ? >- A(,,)/%)|| < e% Vi, m >L . Si è tenuto conto che A è il limite uniforme della successione (A00) e che .{A(/°/(/,)} è una successione di Cauchy. A sua volta (A/p} risulta successione di Cauchy. Il teorema è dimostrato. CAPITOLO PRIMO 96 Verifichiamo l ’utilità di questo teorema per dimostrare la compattezza di operatori. Lo facciamo con un esempio. Esempio 1.13 (Determinazione de ll a compattezza) peratore (0, U) così definito: a = [ a u a1..... a,....) e . l 2, Oa = °2 Consideriamo l ’o­ ai , 2 2 Va£/2, 2 D 0= /2l <~, ||01| = 1. Consideriamo gli operatori troncati 0 N: 0 Na = |ai, - y - , -y-, 0, 0 ,...j. Tali operatori sono limitati e hanno il codominio finito-dimensionale, quin­ di sono compatti, in quanto nel codominio vige il teorema di Bolzano-Weierstrass. U n -n J i= T v l 1/7. Issi V/ N+! ^ Il secondo membro rappresenta il resto N 4* 1 di una serie convergente: ha limite zero per N —» <*>.Il teorema 1.7 assicura che 0 è compatto. 1.6. Funzioni di operatori 1.6.1. In uno spazio a d i m e ns i on e f inita In uno spazio a dimensione n ogni operatore è rappresentato da una ma­ trice n • n . Esistono solo n2 operatori (matrici) indipendenti. Ogni altro operatore è una combinazione lineare degli n2 operatori indipendenti. Il prodotto per una costante e T elevamento a potenza /-esima non offrono m difficoltà di definizione. Dato un polinomio di grado m , Pnì(x) = ^ a i x 1, e dato un operatore A, si definisce: 0 ni 0 Funzioni più complesse si ottengono eseguendo il limite di successioni dì polinomi, in particolare-si considerano limiti di somme parziali di serie. Consideriamo una funzione/^), sviluppabile in serie di potenze: funzione analitica di variabile reale. Questa dizione indica che la funzione (/, [a , b]) ammette uno sviluppo in serie, di raggio di convergenza maggiore di zero, in ogni punto dell’intervallo [a, bj. In particolare, supponiamo eh t f ( x ) am­ metta uno sviluppo in serie di potenze, di punto iniziale Vorigine. ANALISI FUNZIONALE 97 f(x) = '2>a,xl, /-0 si definisce: /-o Si potrebbe pensare che si ponga il problema della convergenza di una serie di operatori. Ciò non è il caso in quanto, se indichiamo con {A(/)) f gli n2 operatori di base’, A(1) = 1, si ha: À! = 2 a (pA(0, i=i j v x) /^>^ j “/ i ^ w, 2 u/ i ... T«n W-iUj. /«*0 /«0 /»0 Le serie che compaiono sono tutte numeriche, occorre studiarne la conver­ genza. La condizione sotto cui la definizione data è ben posta, è che le serie numeriche 2 a(Pa h i ~ 1» 2 ,..., v? convergano. /=° Un metodo più elegante per definire/(A) si ottiene quando la matrice A sia diagonalizzabile ■ —per esempio se A è una matrice minimen lu-a. In questo caso esiste sempre una matrice unitaria S : / 2*1 ,. 0 \ , /'A, ... 0 \ &4S_, = I ................. , o anche A = S 11 l o ..i ai r ,0 ... Kì \ vale: / M ••• o \ .......... \0 )s, ... ? J J CIIo1 e quindi: ^aq + A)A] + ... + a/A{+ ........ ° \ ... p= o . Ùq4“Cl\Xl] ■+*... “f* Cl/Xl “b ... / //(A,) ... 0 \ ..................... P \ o ... M , ) ì [1.18] Si è supposto |Xf\ <R, i = 1 ,2 ,..., n. R è il raggio di convergenza della serie f(x) ~^?aixJ. Ci si può svincolare da questa restrizione, assumendo l ’espreso CAPITOLO PRIMO 98 sione [1.18] come definitoria di /(A). In questo caso, l ’unica limitazione che sussiste è che i valori A,-, i = 1 ,2, ;t, appartengano al dominio di defini­ zione della funzione/(x). E sempi o 1.14 ” A" expA = f T P Posto: a ~ ^(^' +1) ~ sinhA = 2 7 2 T + I ) ! ’ coshA^ 2 - ^ ) T ' = t ( ? 5Ì- a 2=t 1> a3 = ^ ( 2A)- a 4= 4 l cxpA = 2 : o ì (2A) = ■ i + 2 2 (2n)\ V 22"+1(2n + l)I i . P cosh— sinh-^ = cosh— 1 + sin h y (2A) = V sinh^- cosh~ r / sinhA = 0 smh J- sinh-^- 0 2 1.6.2. , 2 coshA = 'N cosh— 0 0 cosh-^- 2 2 j V J P e r o p e r a t o r i limitati Prendiamo in considerazione operatori limitati in uno spazio di Hilbert, cioè in uno spazio a dimensione infinita. Sia A un operatore limitato, e sia/(;c) una funzione analitica di variabile reale f(x) = ^ a (xl, sia R il raggio di convergenza della serie, o r n Consideriamo la schiera di operatori ■f N(A) a {A[ [ o La successione (/^(A) ) è una successione di operatori limitati. Vogliamo dimostrare che la successione tende, uniformemente in H, sotto l ’ipotesi ||A ||< R , a un operatore che denotiamo/(A). M M |IA(a ) - / m(A)II = ^ 2 la'lllA I N 2 N+1 N+I /V+ I L ’ultimo termine è il resto (N + l)-esimo della serie]>}| a7|||A ||z, che è cono vergente, in quanto ||A11 <R. Ciò prova che {/^(A)} sia una successione di ANALISI FUNZIONALE 99 Cauchy. Costituendo gli operatori limitati uno spazio completo, {///(A)} convergerà a un operatore limitato che definiamo /(A). 1.6.3. P e r o p e r at o ri compatti e aut oaggiunti In questo caso si può dire qualcosa di più. Sia A un operatore compatto e autoaggiunto, A = ^ M/^/» s^a inoltre data i una funzione/(x), analitica di variabile reale,/(x) = ^ a/X/, il raggio di con­ ci vergenza R della serie di potenze sia maggiore di ||A ||. L ’espressione/(A) può:essere definita come nel paragrafo precedente. È possibile però ottenere una rappresentazione che costituisce un ausilio di più agevole uso. Consideriamo la base in//costituita dalle autofunzioni di A: (0,)7U {O? }7Gli elementi della successione (0,)7 siano le autofunzioni relative agli au­ tovalori diversi da 0, la successione (0°)7 costituisca una base nell’auto­ spazio relativo all’auto vai ore zero. Il generico elemento (p £ H si scrive (p = ^ ci®i + X C/O/. i i La schiera di operatori t o me a /(A), ma anche in senso forte. VcpEH, (/(A) converge nella topologia unifor- (p,$ ,) = hjn (A(A)<p, O,) =jim_(<p,/w(A)3>,) = N " 0 e, V coE r i: (f>,/w(A)<Pf) = a0c?. •'/:A)<P, $>°) =/Ylim — >® °0w(A)p, <E>°) =/Vlim —) m i Vale: /(A)<P = É (/(A)<P> I»,-)®/ + 2 (/(A)<P. 1 i =2 2 c?<E>®. i [1.19] In conclusione, l'operatore /(A) ha la seguente decomposizione spettrale: /(A) =/(0)P0 + f Q i {)P, +/(Mj )A + ... +/C c.7(Mì) $ ì +/(0) i + Le autofunzioni sono le stesse di A, gli autovalori:/(0), (/(Mi) 17Si è supposto presente l ’autovalore zero. [1.20] 100 CAPITOLO PRIMO Da notare che l ’operatore risulta compatto - per il teorema 1.7 - solo se gli elementi della successione (/N(A) ) sono compatti. In generale non lo sono, per la presenza del termine <301. Una condizione necessaria, ma anche sufficiente, per la compattezza è che/(0) = 0. Da notare che solo in questo caso i valori [f(fii)} accumulano nell’origine. L ’espressione scritta, per funzioni analitiche di operatori compatti e au­ toaggiunti, può essere derivata anche per funzioni di operatori autoaggiunti limitati, purché la norma d ell’operatore sia soggetta alle stesse limitazioni e l ’operatore abbia un sistema di autofunzioni che costituisca una base nello spazio di Hilbert H. L ’espressione [1.19] è stata determinata per funzioni analitiche e sotto la condizione ||A || <R. Può essere estesa, assumendola come definizione, purché il dominio di definizione di/Oc) contenga {U/}7 e supA\f(uì)\) < Se supf{ |/(/i,)|) —oo, l ’operatore/(A) non è limitato, l ’espressione [1.19] e ancora oen posta, ma Disegna precisare il dominio cu tale operatorei Dm (pE H '.y.ìC i Con questa stessa restrizione del dominio di /(A), l ’espressione [1.19] può essere intesa come definizione di funzione/(A), per un operatore A non limitato, che abbia per autofunzioni una base in H. Se lo spettro continuo non è vuoto e non è esclusivamente costituito dai punti di accumulazione degli autovalori, l ’espressione di/(A) risulta più com­ plessa. e anche la dimostrazione. Si ottiene una espressione del tipo [1.20], ma, in aggiunta alla somma, compare un integrale. 1.6.4. Funzione e s pone nzi ale Consideriamo un operatore (A, DA) t DAC H , autoaggiunto, che abbia un sistema di autofunzioni {/„} che costituisce una base i n H , Xn siano i rispet­ tivi autovalori. Vogliamo studiare l ’operatore exp ( —ìA). Il dominio di que­ sto operatore contiene la varietà Vsottesa da (/,}. exp( - ìA)f„= 2 ~ ■/ '■/,. = L '• - vf-'-'A = exp( ì 1 La convergenza della serie è intesa in senso forte in H. In V, l ’operatore exp ( —/A) preserva il prodotto scalare: (exp ( - iA)ft exp ( - iA)g) = (/, g) V/, g C V. L ’operatore, quindi, è limitato e può essere esteso a ll’intero spazio di Hilbert H. L ’operatore è unitario. 101 AN AL ISI FUNZIONALE La proprietà vale in generale, per ogni operatore autoaggiunto, anche in presenza dello spettro continuo. Esempi o L I 5 (Esponenziale d e ll * op e ra t or e i mp u ls o ) Consideriamo l ’esponenziale dell’operatore impulso in L^ia, b ). Tratteremo due casi: (1) sulla retta, (2) sulla circonferenza. Sulla retta L ’operatore derivativo (impulso) sulla retta è (r , DP), DP C C L 2(—oo, oo)}è stato già studiato. Consideriamone la restrizione alla varietà sottesa dalle funzioni analitiche di variabile reale e studiamone la funzione esponenziale. exp ( - iPa)f(x) = 2 ■ ~ r L " “ /(* + a), o n' si può, quindi, affermare che: /_ —j.v.- _i_\ In questa forma, l ’operatore può essere esteso all’intero spazio <*>). L ’operatore è unitario, esso implementa l ’operazione: traslazione di «a». L ’operatore F viene anche denominato generatore delle traslazioni. Sulla circonferenza L ’operatore derivativo in L2(~ e indicato con (P~; DP) : tt). è stato studiato Dpa— {/(6) GL2(-'7T, li) :/(0) ass. cont.,/'(£) E L2(-7F, 7f) & & /(;r) = exp 7t) }. Il sistema degli autovalori-autofunzioni di (Pat DP) è: , cc f ^ ~ /. a ■\ = n - — , /^t?j = exp(,~-^t/jexpi z— le autofunzioni costituiscono una base in L2( —tf. tf). Studiamo l ’esponenziale di questo operatore. Posto m ^ c j M exp ( - iPaa)f{0) = 2 - 2 exp ( - iX„a)fn(6) exP V j —exp ( — 10 2 CAPITOLO PRIMO da confrontare con\f(6) = exp Oj 2 c„exp ( - inO). Le espressioni scritte valgono a individuare l ’azione dell’operatore exp (—iPaci) sulle funzioni del suo dominio. Se a = I n risulta: ( ocQ \ °° 2^ j 2 exP ( '- 9) = exP 0' «)/(0) • L ’azione dell’operatore si esplica nella moltiplicazione per il fattore di fase exp(z'a). Se si effettuano ulteriori traslazioni di 27T, a ogni traslazione la funzione d’onda acquista un fattore di fase pari a: exp (ia). 1.7. Operatori integrali Un operatore (A, DA) definito dalla espressione: Af(x)= |K(x, y )f( y) dy, a è denominato operatore integrale. Ci occuperemo di operatori integrali definiti in L 2(a, b). Il d o m in io ^ è dato da: Da = / W G L 2(a, b) J K{x, y)f<y)dyeL1{a,b) ■ K(x, y ) è una funzione reale di due variab ili, definita nel rettangolo R -{ a ^ x ^ b ,a ^ y^ b ). La funzione K(x, y) è denominata nucleo dell’operatore integrale (A, DA). Supponiamo valida la seguente condizione: / /| K(x, y)\1dxdy<°°. a il I nuclei integrali K(x, y) che soddisfano questa restrizione vengono deno­ minati di classe L 2 o di H ilbert-Schm idt. L ’operatore A viene definito ope­ ratore di Fredholm o di H ilbert-Sclim idt. Dimostriamo le seguenti proprietà di A: A è lim itato, DA= L2(<z, b). I|a/||2=/ fx(x,y)f(y)dy dx. 103 ANALISI FUNZIONALE La funzione |K(x, y) |2 è integrabile in R, quindi K(x, )>), per il teorema di Fubini, per quasi tutti i valori di x in [a, b], è a quadrato, integrabile in [a, b] come funzione di y. In questa circostanza, la diseguaglianza di Schwartz è valida e si ha: ( JI )yf( |d y ) 1* f | K(x, 'u K{x,y) a a quindi: M /IP:S ll/ll2/ / l^ fc )')| 2^ = > l|A||« / / f W * .y)\2dxdy. Ya a a a A è compatto Dimostriamo che esiste una schiera di operatori (A^H, com­ patti, tali che: ||A - AN\\ Scegliamo una base in L2(a, b), sia (0,-(;c)}; per quasi tutti i valori della variabile x, la funzione K(x, y) può essere sviluppata nella variabile y\ K ( x , y ) = ' 2 l a i(x)(l>i(y), i 00 b L Ia((*) I2 = J I 1 a,(x)= \ K(x, y)Ji(y)dy, ì K (x,y) pdy < oo. a 1 a i(x )I2 ^ 0* '. (/1 K{x, y)<pi(y) ^ yj \d J a per cui: / 1fl(W |2^ / / 1 a K(x’ y) \2dxdyo <o. a a a t(x) GL2(fl, b), la funzione a f e ) può essere sviluppata nella base pre­ scelta: «,■00 = 2 J- ). 1 AU = /' <*i(x)<l>j(x)dx, 2 IAf.y P = /| a,(x) P<£x < oo. 0 ; *1 a 2 lAul2=H“ / ]>>,<*) p<£t, '.y-i poiché: o i è la / W P ^ J l^ y jP d y , CAPITOLO PRIMO 104 il termine a secondo membro rappresenta una funzione integrabile in {a, b ) t per il teorema di Lebesgue l ’ordine di esecuzione delle operazioni di inte­ grazione e di limite può essere invertito. Si ha: X I i,j " 1 a APu = / X I 1 aa In definitiva: K(x, y) = X A u h m i y ) . iyj “ ! Consideriamo la schiera di operatori integrali A/y generati dai nuclei: ^ ( x ,y ) = t A,j<f>j(xm>). Gli operatori À/y- sono compatti, in quanto operatori limitati, a codominio ||A-Aw|p< f f|AT(x,y)-J,{:w(A:,}')p^rf}'= X K y P aa I A secondo membro compare il resto (N + l)-esimo di una serie conver­ gente, il limite è zero per A —» «>. L ’operatore A è compatto. Operatore aggiunto di À L ’operatore aggiunto di A si determina indivi­ duando l ’elemento g*(x) di La(a, b) per cui, dato g(x) GL2(a) b), vaie la relazione: (A/, g ) = ( f , g * ) , V/(x) £ L2(a, b ) . L ’operatore A+implementa la corrispondenza —» cioè AT = = g*(x). (Af<g)~ j I K(x, y)f g(x)dx, per il teorema di Fubini si può invertire l ’ordine di integrazione: h r h T b ____ (Af, g) = j f(y) J K(x, y)g(x)dx = J f(x)g*(x)dx, V/(x)GL2(a, 5), b_____ £*(*) = | £(*, y)g(x)r/x. (I Quindi A+ è un operatore integrale il cui nucleo K +Qc, y) è dato dalla rela­ zione: K\x,y)^K(y,x). 1 05 AN ALISI FUNZIONALE Il nucleo integrale dell’operatore aggiunto di A si ottiene operando, sul nucleo integrale K(x, y) di A, una complessa coniugazione e una permuta­ zione delle variabili x&y. Un operatore di Hilbert-Schmidt è auto aggiunto se il nucleo integrale gode della proprietà: K(xt y)=K(y~x). Osservazione 1.9 Pre li mi nar me nt e osser\>iamo c h e s e la s u c c e s s i o n e {(j>i(x)} c o s t i t u i s c e una b a s e in L2(a, b), è una b a s e a n c h e la s u c c e s s i o ­ ne {ò,(x)}. Infatti, V/(;c) E Loia, b) a n c h e f (x) EL2(a, b) e v al e lo s v il uppo f(x) = P/W. àa c ui sì e v ì n c e f ix) = ^ a , Sia A un o pe r a t o r e i ntegrale aut oaggiunto di Hilbert-Schmidt, [A/}, {<pj(x)} i rispettivi a ut o va l or i e autofunzioni. _____ Svi luppiamo il n u c l e o K(x, y), nell a vari abi le y, sull a b a s e {<p;(y)}. Si ot t ie ne : K(x, y) = ' 2j a i(x)<t>i(y), 1 In c o n c l u s i o n e : K(xt y) =2M*(*)0/OOAbbiamo d e r i v a t o lo sv il uppo d e l n u c l e o i nt egra le, in termini d e l l e a u t o ­ f unzi oni d e i r o p e r a t o r e i nt e gr al e A. U e s p r e s s i o n e ot tenut a m o st r a a vista c h e l ’ o p e r a t o r e A è aut oag gi unt o. Qual che volt a si p r e f e r i s c e e s p r i m e r e K(x, y) no n in termini d e g l i aut ova l or i di A, m a di quelli, Ah di A” 1, s u p p os t o c h e esista. In que s to c a s o l ’e ­ s p r e s s i o n e di venta: /h.(y\ d).( * ( * .y ) = 2 •Proprietà 1.5 (Convergenza uniforme) Sia dat o un o p e r a t o r e A i nte­ g r a l e a u t o a g g i u n t o di Hilbert-Schmidt, i n di c hi amo c o n {A/, (pfx) } il s i s t e ­ ma d e i s uoi aut o va l or i e autofunzioni. Le autofunzioni f o r m a n o una b a s e in L2( a, b). Vale la p r o p r i e t à c h e V/(x) E ÀAla s e r i e X (/» c o n v e r g e al la f u n ­ zione f(x) non s o l o in L2{a, b) ma a n c h e a s so l u t a m e n t e e uni fo rme me nt e, p u r c h é v a l g a la c o nd i zi o ne : b 3M : [ |K(x, y) \2d y <M, \/xE [a, b ] . [ 1.21 ] 106 CAPITOLO PRIMO La condi zione, p e r e s e m p i o , è v e r i f i ca t a s e il r e t t a n g o l o R, in cui è de fi ni ­ to K(x, y), é limitato e s e la f u n z i o n e K{x, y) è c o n ti n ua in R, o a n c h e s o l t a n­ to limitata in R. Supp ost o c h e la f u n zi o n e f(x) sia ne l c o d o m i n i o di A, risulta c h e : 3g ( x ) ^ D A: f( x) = Ag(x). C on s id e ri a mo gli s v il u p pi : & £ (* )= Sr^/OO' i i Si ha: 0 = (/, fa) = (A#, fa )= (£, Lo sv il uppo della f u n zi o ne f(x) è: /M = 2 O0/W = 2 7/1^0/(*)]• i i P e r quanto di most rat o in p r e c e d e n z a , si ha: 2 1 0/MI2« 2 1Ai <" I a P e r la di se g ua gl i an za di Schwartz in l2: 2100/toI=217A,0/(x)I*£j^£\ 111 1 //i in 1 in I n di chi amo c o n R„ il r e s t o e n n e s i m o de ll a s e r i e ^ Ic i<Pi(*) |, va/£ /a g u a gl ia nz a : 1 r „< V m /ilV/l2. V 11 Il r est o de ll a s e ri e Rn va a zero i n d ip e n de n t e m e nt e dax. In c o n c l u s i o n e , abb iamo d i mo st rat o c h e la s e r i e ^jC,(f),(x) c o n v e r g e a s ­ so lut ament e, total mente e, quindi, uni fo rm em en te . 1 Esempi o 1.16 (O p er a to r e i n v e r s o di (.Pa, DP) in L2(a, ò)J l ’ analisi d ell’operatore Riprendiamo DPa ^ (/(*) E L 2(a, 6) : 3/'(*) EL2(a, b),f{x) ass. cont.,/(b) = exp (ia)/(a)}. [ 1. 22 ] 10 7 ANALISI FUNZIONALE L ’operatore inverso è: K 'gw = -ijsm + c, a In questa relazione figura una costante C da determinare. L ’espressione scritta per l ’operatore?^1tiene conto solo del carattere derivativo d i ? ff. Por ottenere che l ’operatore ? C7I sia l ’inverso dell’operatore Pai caratterizzato dal dominio [1.22] occorre operare una scelta per la costante C. La scelta è dettata dalla condizione = DPg. Questa condizione deter­ mina per l ’operatore P ^ la proprietà di essere l ’inverso di (Pat DPg). La condizione AP-\ = DPgt cioè il codominio d i ? ^ 1coincidente col domi­ nio di Pat implica: - / / « ( 0 * + C = C exp Pà'g(x) = ~ i j g d ) d t - — ,■■- _ y I a r ' ' i exp(ia) - 1 K(x,y) a 9(x-y) a =j y ----- -2 r — —9 ( y - x ) = exp (toc) —I 1 exp(ìa) ’0(x-y) +Q(y ~ x) ^exp (ia) - 1 J exp (ia) —1 Il nucleo è di classe L2, inoltre: K(x, y ) = K ( y t x). L ’operatore è compatto e autoaggiunto e ha per dominio L2(a, b). Il siste­ ma di autovalori, autofunzioni è stato determinato precedentemente, vale:2m b —a a b —a 2m “ PU-T— ^ exP m Vb^c n = 0, ± 1, ± 2 ,... [1.23] La condizione [1.21] è verificata, quindi lo sviluppo di ogni funzione/(x) appartenente a DPgt in termini del sistema [1.23], converge uniformemente a /(*)• Il sistema di autofunzioni [1.23] è riconducibile al sistema trigonometri­ co per l ’intervallo (a, b). Da notare che abbiamo ritrovato il teorema, a suo tempo dimostrato (cfr. voi. I, teorema 3.11), della convergenza uniforme della serie di Fourier. 108 CAPITOLO PRIMO Nota Va o s s e r v a t a, nell' e s p re s si on e d e l n u c le o integrale K(xt y ), la p r e ­ senza di un de n o m in a t or e c h e si annulla p e r a ~ 0 e a = 2n. Questi va lor i co rr i sp ond o no alla esistenza d e l l ’aut ova lor e 0 p e r Vo p e r at o r e Paì c ir c o s t a n­ za in c ui non esiste l ' o p e r a t o r e i nv er s o P ^ 1. 1.7.1. Equazioni integrali Sia A un operatore integrale autoaggiunto di Hilbert-Schmidt, l ’operato­ re è anche denominato di Fredholm; considereremo due tipi di equazioni in­ tegrali inL2O2, b): 9 A cp(x) + f(x) = 0 Equazione di Fredholm di 1a specie, * Àcp(x) +f(x) = cp(x) Equazione di Fredholm di 2a specie, <p(.r) è la funzione incognita,/(x) ii termine noto. Prendiamo come base in L2(a, b) il sistema delle autofunzioni di A (cfr. § 1.6.3): (&/(x) ) U {<£/0(x)}. per il generico elemento/(*) EL2( aì b), vale lo sviluppo: m = V ( f * ,) < & ,( * ) + 5 J ( / ; ! 1 Per la funzione incognita vale lo sviluppo: <p(x) =2\(<p, $/)<&;(*) +S\((p, i ! I termini {(<pt <£>/)}, {(tp, <£?)} sono coefficienti incogniti, quelli {( f %<£/)}, {(/, <£>?)} coefficienti noti. Equazione di Fredholm di l nspecie 2 (a «p , 4>/)®/« + 2 (/. * ,)* ,(* ) + 2 (/. 0/ )4 *?w =0. ! 1 1 Abbiamo sviluppato i termini che compaiono a primo membro dell’equa­ zione, si è tenuto' conto che il sistema {<$/(*) ) costituisce una base in ÀA. Consideriamo due casi: zero non è autovalore di A => <3>/) = , in questo caso le funzio­ A, ni {Grf(x) ) non compaiono nel sistema di base in L2(tf, b)\ zero è autovalore di A. L ’eauazione diventa: 2 w<p, */)«>/(*) + 2 ( A I 1 + 2 c f . «*?)«?(*)= 0. ! AN ALISI FUNZIONALE 109 L ’equazione ha soluzione solo se {(/, d>°)}7 sono tutti nulli, cioè se/(x) appartiene al complemento ortogonale dell’autospazio relativo all*auto­ valore zero di A. La soluzione è: or.O/) A, (<P, <&/) = essa risulta determinata a meno di un elemento dell*autospazio relativo a ll’auto valore zero di A. Quanto esposto può anche essere espresso diversamente: • zero non è autovalore dell’ operatore A, A è sempre invertibile e (p{x) = —A 1 zero è autovalore dell’operatore A, A è invertibile solo sul complemento ortogonale dell’auto spazio relativo au ’auto valore zero di A. Equazione di Fredholm di 2a specie É a , - D(<P, */)«/(*>+ É c/. « w w + É o p. *?)*?(*> - 1 « ~Zj W' 1 ~~ Si sono sviluppati i termini a primo membro dell'equazione e si è tenuto conto che la successione {<3>/(jc) } costituisce una base ortonormale in AÀ. Consideriamo due casi: « uno non è autovalore di A, l ’equazione ha sempre soluzione e risulta: <*»,*,) = e (*>,*?) = (f, <*>?), * uno è autovalore di A, sia X\ = 1. L ’equazione ha soluzione se e solo se (f. <I>/) = 0, In tal caso la soluzione è data, a meno di un elemento dell’autospazio relativo a ll1autovalore uno di A, da: >?). Come per l ’equazione di l a specie, si può condurre la discussione della soluzione in termini d ell’operatore inverso: (A —l ) " 1. 1.8. Problema dì Sturm -Liouville In questo paragrafo tratteremo il problema di Sturm-Liouville del secon­ do ordine regolare, relativo a un intervallo limitato. IL O CAPITOLO PRIMO Vanno premesse due osservazioni: 1. Sia (A, H) un operatore compatto, autoaggiunto, invertibile, l ’operatore inverso A~1è autoaggiunto, ma non può essere limitato. Infatti il prodot­ to di un operatore compatto per un operatore limitato è compatto, mentre, in questo caso, il prodotto dei due operatori AA-1 dà luogo all’identità, che non è un operatore compatto. D’altra parte poiché gli autovalori dell’operatore A accumulano nell’origine, quelli di A-1 accumulano all’infinito, quindi l’operatore A~l non è limitato. Va notato che: • se ( (A.,,,/,,)} è il sistema di autovalori, autofunzioni di A, è il sistema di autovalori, autofunzioni di A '. Per determinare il sistema di autovalori, autofunzioni di un operatore A invertibile, si ha la scelta di studiare A o A~\ ambedue le indagini condu­ cono allo stesso risultato. Se A è un operatore autoaggiunto non limitato si può sperare che A“ 1 sia un operatore autoaggiunto compatto e benefi­ ciare di tutte le buone caratteristiche che abbiamo studiato. Ciò è quanto avviene, di solito, per operatori differenziali autoaggiunti, l'inverso è un operatore integrale, a nucleo di Hilbert Schmidt, autoag­ giunto. In proposito, è chiarificatore l ’esempio studiato dell’inverso del­ l ’operatore differenziale del primo ordine (Pa, DP) (cfr. esempio 1.16). Il problema di Sturm-Liouville rientra in questo quadro: esso si presenta come la ricerca delle soluzioni di una equazione differenziale ordinaria con relative condizioni al contorno. Il problema è equivalente alla ricerca di autovalori e autofunzioni di un opportuno operatore differenziale simme­ trico. L ’inverso di questo operatore risulta un operatore integrale di Hilbert Schmidt autoaggiunto. La ricerca degli autovalori e autofunzioni d ell’o­ peratore differenziale si trasporta nella corrispondente ricerca degli auto­ valori e autofunzioni dell’operatore integrale. Equivalentemente, si può affermare che si elabora un procedimento che trasforma un’equazione differenziale in un’equazione integrale. Dunque, il problema di Sturm-Liouville rappresenta la ricerca di sistemi di autofunzioni che costituiscano una base in L2(fl, b). Basi convenienti per lo sviluppo di funzioni che appartengano al dominio di operatori dif­ ferenziali opportuni. Lo sviluppo su di una base, individuata in questo ambito, è uno strumen­ to particolarmente idoneo nella ricerca di soluzioni di equazioni diffe­ renziali a derivate parziali. C è un l e g a m e f r a equazioni differenziali a de ri vat e parziali e il p r o b l e ­ ma di Sturm-Liouville (eq uazi one di ff erenzi al e a de ri vat e ordinari e). In­ tendiamo c h ia r i r e que st o p u n t o ne ll a s e c o n d a o s s e r v a z i o n e . ill AN ALISI FUNZIONALE 2. L ’equazione differenziale ordinaria, che viene studiata nell’ambito del problema di Sturm-Liouville, è una equazione differenziale, con partico­ lari condizioni al contorno (omogenee), che si origina da equazioni diffe­ renziali a derivate parziali. Per capire come, conviene partire da un’equazione differenziale a derivate parziali che abbiamo già studiato (cfr. voi. I, § 3.3.1), l ’equazione delle ond# [1.24] y (*, 0) =/W, / (*. 0) = g(x), y ( 0, f) = y(7r, t) = 0. Consideriamo la soluzione a variabili separate; y(x, t) = X(x)T(t), Per separazione di variabili si ottengono due equazioni differenziali ordi­ narie, con relative condizioni al contorno, una per la funzione X{x) e l ’al­ tra per la funzione T(t). Una delle due equazioni differenziali ordinarie, quella nella variabile *, si presenta nella forma del problema agli autovalori di un operatore dif­ ferenziale simmetrico. Lo studio di tali operatori, che affrontiamo in que­ sto capitolo, è di fondamentale importanza. Il sistema delle relative auto­ funzioni è quello adatto per sviluppare la soluzione incognita dell’originario sistema differenziale alle derivate parziali. L ’inserzione dello sviluppo, n ell’equazione a derivate parziali, consente la determinazione della solu­ zione. Lo sviluppo risulta uniformemente convergente nel dominio del­ l ’operatore, come dimostreremo. Nel capitolo sulle applicazioni dello sviluppo in serie di Fourier (cfr. voi. I, § 3.3.1), si è proceduto alla determinazione della soluzione del sistema [1.24] ricorrendo a un opportuno sviluppo di Fourier nella variabile*, sen­ za richiamare l ’esplicita derivazione che presentiamo in questo capitolo. Allora dovemmo fare dei ragionamenti ad h o c per orientarci nella scelta della base di sviluppo. È istruttivo rivedere ora quanto allora esposto. Riprendiamo l ’analisi del sistema [1.24]. La ricerca della soluzione per separazione di variabili da luogo a: i <ftr(o _ ì . c2I (0 di1 X(x) Il sistema agli autovalori, di cui parlavamo, che se ne genera, è: ax (condizioni al contorno omogenee). 112 CAPITOLO PRIMO Auto valori e autofunzioni sono: Xn - n2} Xn(x) “ sin/i*, n = 1 ,2 ,... Queste autofunzioni costituiscono il sistema su cui è opportuno sviluppa­ re y(x, t) e su cui, in effetti, sviluppammo, nel voi. I, § 3.3.1, la soluzione incognita del sistema [1.24]. Riassumendo: un’equazione differenziale alle derivate parziali, con relative condizioni al contorno, genera un’equazione differenziale ordinaria, con condizioni al contorno omogenee, che possiamo scrìvere: Ly(x) = Ay(x), / ------ - e condizioni al contorno, 1______ ______"li A . . J . ___. ~ 1----- J t p i u m i n i a a.K ii a u i u v a i u u . y e a i 7 /-», A A M1 A <*k j u ni AAn+Atnnn a i ^ u u w u iu w incorporate nella definizione del dominio DL), Abbiamo indicato con (L, DL) l ’operatore differenziale inerente all’equa­ zione differenziale ordinaria. Il problema di Sturm-Liouviile tratta della determinatone del sistema di autofunzioni di (L, DL). D-r-i rvi o A i * A A AntT-irAÌ t-*a 11 o t r a t ta /^ri a HA tta rrlì a fa A pr\ nniainr> J.i lA r ^ r o n r c n WXX U U U W U k X U X V / l W W U U U U t b U U t U l l W tv* , v u p w n j AVAAA X ilin u che seguiremo: 1. Ci si assicura che l ’operatore non abbia l ’autovalore 0. 2. Si costruisce 1 operatore inverso L \ che risulta essere un operatore inte­ grale, di nucleo K(x, £). L ’equazione diventa: yW = A L -'y = l / z ( J: , | ) y ( ^ . (equazione agli autovalori per l ’operatore integrale L !). Le condizioni al contorno risultano inglobate n ell’equazione integrale. Il nucleo K(x, y) risulta di Hilbert-Schmidt, e l ’operatore L 1compatto e autoaggiunto. 3. Lo sviluppo di funzioni appartenenti a DLt in termini delle autofunzioni di L, converge uniformemente nell’intervallo di definizione delle funzio­ ni (proprietà 1.5). Nota Abbiamo fin qui usato, e continueremo a usare, sìa la formulazione operatoriale, sia quella inerente alla teoria delle equazioni differenziali; in par­ ticolare, si continuerà a fare riferimento a quest’ultima, per facilitare l ’accesso alla bibliografia. Infatti nella letteratura si fa riferimento più spesso alla for­ mulazione in termini dì equazioni differenziali, in quanto storicamente il pro­ blema è stato affrontato e sistematizzato nella seconda metà del xix secolo. 1 13 AN ALISI FUNZIONALE Equazione oggetto dello studio Come dichiarato in apertura, studieremo il caso di equazioni differenziali del secondo ordine con condizioni al con­ torno omogenee. La forma più generale di un operatore differenziale lineare del secondo ordine L è: Ly(x) = A(x)y"(x) +B(x)y'(x) + C(x)y(x\ x E ( a y b). [1.25] Le funzioni A(x), B(x), C(x) sono reali. Ci occuperemo del dominio di questo operatore nel seguito. L ’equazione differenziale che intendiamo studiare è: Ly( x)=-Xr( x)y( x). [1.2 6] Equazione differenziale corredata dalle seguenti condizioni al contorno omogenee: r \ i n A2:;y (a) + A21y ' (a) = B 2iy( b) + B 22y ' (b). Definiamo le matrici: ( A\\ -A:2^ R — B |2^ A)-> ** J7 r Ao ! A \ !' B'i'ì \^J?2 —2. /’ et r* r\JL «Vdizioni KuK _ ( Y(r\ - \"/ yb) al contorno si scrivono: AY(a)=BY(b). La presenza del termine- r(x), funzione- continua, è dovuta a ragioni stori­ che, come pure il segno — a secondo membro. Il problema si identifica, dopo una ridefinizione della funzione incognita, come vedremo, con la ri­ cerca di autofunzioni e autovalori d ell’operatore L. Osservazione 1,10 Senza v e n i r m e n o alla g e n e r a l i t à . Voperatore L in [1.25] p u ò e s s e r e r i sc r i t t o : + <?(*). [1.27] P e r d i mo s tr ar e que st a e q ui val enza, si o s s e r v a c h e l 'e quazi one [1.26] n a ­ s c o n d e un g r a d o di i ndet er mi nazi one de i c oef fi ci ent i. Infatti y(x) è a n c o r a soluzione d e l l ’ e q u a zi o n e, s e m ol ti pl ic hi am o la [1.26] p e r una f u n z i o n e r e ­ g o l a r e =£0 H(x). D obbi am o d e t e r m i n a r e H(x) in m o d o c h e ne ll a [1.26] c o m ­ p a i a Ve s p r e s s i o n e di L data dalla [1.27]. In ultima analisi, d o b b i a m o d e t e r ­ mi na r e H(x) in m o d o c h e c o i n c i d a n o le e s p r e s s i o n i : 1. H(x)A(x)y"(x) + H(x)B(x)y/(x) + H(x)C(x)y(x), 114 CAPITOLO PRIMO p{x)y”(x) + p'(x)y'(x) + q(x)y(x). Del s e c o n d o m e m b r o in [1.26] n o n c ’ è da p r e o c c u p a r s i , basta ri defi nire r{x), c h e c o m u n q u e c o n t i n u e r e m o a i n di c a r e c o n lo s t e s s o simbol o. Dunque, c o n f r o n t a n d o le e s p r e s s i o n i si ha: p(x) = H{x)A(x) 1 _ p ' (x) -H{x)B( x)j A(x) p(x) __ d dx * Quindi: p {x)= kM ì MO j à dt q(x) = C(x)H{x). P e r la f u nzi o ne A{x) v a r i ch ie s ta la c o n di z i o ne c h e non si annulli in n e s ­ sun punto d e l l 1i ntervall o (a , b). V e s p r e s s i o n e trovata p e r la f un zi o ne p(x) c o m p o r t a : p ( x )> 0 . Nell’equazione differenziale compare l ’operatore differenzialeL, che d’ora in avanti, considereremo sempre della forma [1.27]: L - ~ p ( x ) ~ + q(x), [1.28] D L - l f G L l ( f l , b ) : f , f C L 1{a,b) & L ’obiettivo è determinare il sistema delle autofunzioni di L. Come abbia­ mo anticipato, tale programma è equivalente a quello della determinazione delle soluzioni dell’equazione differenziale: Ly{x) + Xr(x)y(x) —0 e condizioni al contorno. La tecnica di soluzione che esporremo consiste nel transitare all’operatore inverso, in modo da avere, invece di una equazione differenziale, una equa­ zione integrale. Nel linguaggio operatoriale, invece di risolvere il problema agli autovalori di un operatore differenziale, risolvere il problema agli auto­ valori di un operatore integrale (compatto e autoaggiunto). Come premesso, la tecnica di soluzione che presentiamo vale solo in as­ senza dell’autovalore zero, per l ’operatore L, in quanto, nel corso del proce­ dimento invertiremo L. L ’operatore L, quindi, deve essere privo dell’autovalore zero. ANALISI FUNZIONALE 11 5 Esclusione dell’autovalore zero Come primo passo determiniamo le con­ dizioni sui parametri in gioco, per cui L non abbia autovalore zero. L ’operatore/, possiede autovalore zero se ha soluzione la seguente equa­ zione differenziale: dyW dx + q(x)y(x) = 0, AY{a) = BY{b). [1.29] Studiamo la soluzione dell’equazione. Indichiamo con ^ (x), j 2(x) due soluzioni linearmente indipendenti del­ l ’equazione Ly(x) = 0. Ogni altra soluzione )>(*), in particolare quella che soddisfa le condizioni al contorno riportate nella espressione [1.29], sarà una combinazione lineare di;y,(;t) c y 2(x): y(x) = C|3>|(jc) 4- c 2y 2(x), Le costan­ ti c { e c 2 vengono determinate imponendo che;y(*) soddisfi le condizioni al contorno dell’equazione [1.29]. Esse sono quindi soluzioni del seguente si­ stema di equazioni algebriche: A\\[c\y\(a) + c 2y 2(à)] + An [c^y[{a) + c 2y 2(a)] = £ n [c, >>,(£?) 4+ c 2yi(b)] + B n [c\y [(b) + c 2y'2(b)]t Ai\[c{y {(a) + c 2y 2(a)] + A22[c,;y;(a) 4- c 2y 2{a)]=B2{[ c {y {(b) + + C7y 2{b)] + B 22[ c xy\{b) + c 2y'2(b)]. Raccogliendo si ottiene: C i l A u y M + A n y W - B u y M - B u y ' i i b ) ] + c 2[A{]y 2( a ) + + An y 2(a) —B\\y2{b) —B\2y 2(b)] = 0, c \[A2\y\(a) 4- A22y\(a) —B 2\y\(b) ~~B22y\(b)] + c 2[A2]y 2(a) + + A22y 2(a) B 2[y,i{b') “ B22y 2{p)] = 0. Il sistema è omogeneo. Posto: À = A\\y\(a) 4- A\2y\{a) - [Bl]y](b) + Bny\{b)} Auy2(a) 4- A\2y2{a) - [B11y2{b) + B i 2^2(^)3 •5^11 fo m ite ) + 2fò|| di 12 12 A22y\(a) - [B2ìyi{b) +B22y\(b)] A2ìy2(a) 4 A22y2(a) ~ [B2]y2(b) + B22y2{b)] ^2\ ®2l di22 ^22 in notazione sintetica: A=( ^12 ^12\ \ ^ 2 l“'^ 2 l ^22 “ ^22/ perché il sistema abbia soluzione, cioè esista l ’autovalore zero, occorre che det A = 0. CAPITOLO PRIMO 116 Se vogliamo escludere la presenza dell’autovalore zero, dobbiamo im­ porre che valga: detAAO. [1.30] Nel seguito presupporremo sempre valere la restrizione [1.30] sui para­ metri che entrano in [1.28]. Condizioni di sim m etria per l ’operatore L Ci preme ora trovare le con­ dizioni che assicurino che 1*operatore L sia simmetrico, un requisito neces­ sario perché il suo inverso risulti autoaggiunto. Studiamo V/(;t), g(x) C D Ll ’espressione: ■ - n i y \ f ( v\ ! , v - , j o o (y\ v-/ — ""'lax . fi ----- 1 iv'ì n — •jj \r "s/0v v l i - • h -I 'J dx [p(x)f'(x)l g(x) - f ( x ) ~ v*/òv~/ T n ( y V Y y ^ o ( Y^ — (x)g'(j:)] [ dx = \yw/Ju’'v n f y N / V '< ? Y v M /Z y = f k-^jù =p( x) [ f( x) g( x)- /(*)£'(*)] |b» _ __ \ im J r ^ V ? xì w sa il*. s w jjr = r-Yrr\ rU* ( st\ —ryfU\ Aoì {U\ &) , \m m i Occorre, quindi, imporre la condizione: Si b indicato: dot (jc) ~ de ' n ( n \ Aa-t f /y\ — Y }(h\ A 0+ ( W\ s= O V/// vN <t( y \ ( Vale, inoltre, un’altra relazione che i determinanti devono soddisfare, in virtù delle condizioni al contorno. Ricaviamola. L ’appartenenza delle funzioni/^) e g(;t) al dominio diL, comporta: AF(a)—BF(b) e AG(a) = BG(b) =>AG(a) = BG(b). Abbiamo già tenuto conto che le funzioni p(x) e q(x) sono a valori reali; nell’ultima derivazione si è ulteriormente tenuto conto che sono reali anche gli elementi di matrice AìtJ e B; ■. La prima e l ’ultima relazione possono essere inglobate in: i Au \ ^ 2i itoV fSn Mi j\f\a) Bn \(f(b) J ( b )\ g ‘(d) )\ B u B n J \ f ( b ) AN ALISI FUNZIONALE 117 eguagliando il determinante del primo membro al determinante del secondo si ottiene: detA det (a) = det B det (b). In conclusione perché L sia simmetrico, e soddisfi le condizioni al con­ torno, occorre che sia verificato il sistema di equazioni: La condizione perché il sistema omogeneo sia soddisfatto identicamente in f(x) e g( x)t è che il determinante dei coefficienti sia nullo: p( a) det5 —p(Z?) detA = 0. D'ora in avanti considereremo aggiunta questa restrizione al dominio dell ’ orìp.rafnrp. J . L'operatore L, caratterizzato dal dominio, la cui determinazione abbia­ mo appena completata, è simmetrico. 1.8.1. Funzi one di Gree n In questo paragrafo intendiamo determinare Vinverso dell'operatore L. L'inverso dell’operatore L è un operatore integrale; il nucleo G(xt £) di tale operatore viene denominato funzione di Green. La ricerca deH'inverso b ricondotta alla determinazione della funzione di Green. G(x, £) è una funzione di due variabili: a ^ x ^ b , La variabile £ ha il ruolo di parametro. La funzione G(x. E) va determinata, come funzione di jc. V £ e (a , b) . La determinazione della funzione G(x, E) si effettua imponendo le se­ guenti prescrizioni: 1. 2. 3. 4. LG(x, = 0 per * e [a, £[U]& ò], G(x, £) verifichi le condizioni al contorno, G(xt <*) sia continua in [a, JbT. G\xy q) sia continua in [at £[U]£, b] e presenti una discontinuità per a: = q. Il valore della discontinuità sia: G'(£+, %) —G\l;~t £) - ~ ~~^y Formalizziamo le prescrizioni imposte alla funzione GC*, E): 1. S iay^ x ), y 2(x)y come indicato in precedenza, un sistema di soluzioni li­ nearmente indipendenti dell'equazione Ly(x) = 0. 118 CAPITOLO PRIMO cAr a = + xe[a,{[f rA„7v\ v , vV lI^ ( ^ , W + ^j (| )y 2W *~r-i£ £ ] & «li, c i(£)> £2©, ^i(^), d2(£) sono funzioni di £ da determinale. 2. ^i itcì^i te) + c2y2(a)] + Aì2[ c {y\(a) + c 2y 2(a)] = 5 lI[rf1y 1(fe) + + d2y2(ò)] + 5 [2[d{y\(b) + diy&b)], A2|[c,yl(fl) + c tf2(a)] + i422[c,y|(a) + c2yì(*)] = B2l[d,y,(ò) + + ^2^2(ò)] + P 22[dl;yi(ò) + d2y 2(b)]t 3. c i3;iC< S) + c2^2(^) ~ d xy x{^) + d2y 2(Q, 4. + ~ c,y{($) - c 2y'2( ^ = - ^ y . Il problema della determinazione della funzione di Green è ricondotto alla soluzione del seguente sistema di equazioni, nelle incognite cj(£), c2( $ , </,(£) e </2( $ : C|[Ai,j»i(<0+A,3/,(<0] +c3tA,,}/2(fl)+A,1^(a)] - d ù B u y W +BuyKb)] - d ^ B ^ h ) * B[2y'2(b)] =0, C|[Aai;',(f 7) + A 2Ly|(fl)3 + c1 [A11>»1 (a) + A 1o ,2(fl)] - d ^ B u y ^ b ) + B 22y\{b)] - d 2[B2ly 2(b) + fl22; 4 (ò)] = 0 . cibilo +C2.v2(5) c^US) +c^i(4) - </,?,(£) - d 2yi{& -0, Perché il sistema sia risolubile, il determinante dei coefficienti deve es­ sere diverso da zero. Scriviamo il determinante, nelle notazioni introdotte in precedenza. y t($ y2(© - y i(© Ul© yi(à - y 2(<?) ^ i i - © n ^ ,2 -9 3 ,2 ^21 —>®21 ^22 ~ ®322 0 0 0 0 - -- ® n -« A ~ ^21 Sfò22 -- y t é ) --?((£> - y m ) 119 AN ALISI FUNZIONALE f A = det 0 \0 —8011 '“ 2®i2 > 2®2I S®22 0 -yiCD - y j ( è = det A • W. 0 -?((§ (à J Abbiamo indicato con W il Wronskiano delle due soluzioni ^,(x) e y 2{x).it Per il Wronskiano si ha: W ^ 0, in quanto le due soluzioni }q(;t) e^Cx) sonor linearmente indipendenti. Per altro verso, sappiamo che det A A 0. Quindi il determinante del nostro sistema di equazioni è diverso da zero, ciò ci assicura che il sistema ha sem­ pre soluzione e che la soluzione è unica. Le soluzioni y {(x) e y 2(x) possono essere scelte reali, per cui la funzione di Green è reale. Proprietà della funzione di Green [LG(x, m i x ) - Consideriamo ora/(*) E jDLì varrà: m x)]G (,0 = ~ [ p ( x ) G ' ( x , d - d —fc[pix)f'{x)}G{x,&= — {px)[G §', / ( * ) - G(x, m i x ) ] ) . Questa espressione è ben posta Vx A £; allora possiamo considerare: J Lfix)G{x, [LG(x,mix) - * *~e d = a /[. f = x )]d E [p(x)[G\x,§f(x) - G(x, §fXx)))dx LGix, m i x ) - Lfix)G(x, m x = f+£ * d = J dx {p{-x) [ G' Negli intei valli di integrazione indicati vale: L,G(x}<^) = 0. A primo mem­ bro delle due equazioni resta un solo integrale, il cui integrando è regolare nell’intervallo (a, b). Sommando fra loro i primi mpmbri delle due equazioni e i secondi mem­ bri, nel lim si ottiene: £ -> - 0 L/(x)G(x,S)dx = fix) G(x, £) f i x ) G'{x,§)_ p{x) det fix) G{x, <£) f i x ) G\x, £,) V -p O )d et(fc )- p ( a ) det (a) - {/?(£) [/(£)G'(£+, £) -/'(£)G(<!;, £)] p(x) det £>-/'(£)G(£ £)] ) = - p i§ m [ G 'i? , $ - g 'OT, 5)] = /(£)• CAPITOLO PRIMO 12 0 Si è tenuto conto che le funzioni f(x) e G(x, £) soddisfano le con contorno. In conclusione, si ottiene: XXX h Jg (x . ti,)Lf(x)dx a Prima di discutere questa relazione importante, ricaviamo una seconda proprietà significativa per la funzione di Green: g ì. y)= X, Scegliamo due punti G(y, x). 7] C (a, b) e consideriamo la relazione: [LG(x, tf)]G(x, ti) - G(x, £)[LG(x, 7])] = 7 '(x G ,® ~))]). I termini che compaiono in questa equazione sono regolari dappertutto, tranne che per ^ = £e x = 77. L’equazione va, quindi, presa in esame nei tre inter­ valli [a, £[, ]<!;, 7][, ] 7 7 , b]. In tali intervalli il primo membro è identicamente nullo in quanto LG(x, £) = 0. Integrando in * negli intervalli [a, £—fi], [£-f fi, 7] - fi], [7] + fi, p] e operando il limite, come in precedenza, per e —>0 si ot­ tengono tre espressioni che, sommate membro a membro, danno luogo a: - / - A J-4. p{X) UCL G(x>tj) af|( rifv n^ //, G(jc, b) V ' G'Cx, 7]) G'(x, 7]) G '(x,éyj« + p(x)det f G(X, 71) G(x,É)\> \ G'(JC, 71) = 0. Sviluppando l ’espressione, si ottiene: -p(a)det(a) +p(b)det(6 ) + p(0[G(§, 7i)G '(t, 5) “ G'(£ *l)G(£ £)] + +p (7?)[G(jj. -G'(«5, TJ)&(<*, I)] - p (ti)[G(77, 77)G'(7J, £) - G'(-7i+, 7 7 )0 (7 7 , £)] = = -p(€)G(tj,7 i)[G '(f, <D- G 'cr. 0] +P(n)G(71, $[G '( T)+, 7 7 ) - G'(7 T, 7 7 )] = G(|, j)- g ì T Abbiamo tenuto conto che la funzione di Green G(x, tf) soddisfa le condizioni al contorno. 1.8.2. Equazione integrale Riprendiamo l’espressione: Jcc*. Mc)dx= a [1.31] 121 AN ALISI FUNZIONALE valida V/(a) essa esprime la proprietà deiroperatore integrale, a nu­ cleo G(xt (£), di essere l ’inverso dell’operatore L. Il segno — non crea pro­ blemi, può essere facilmente riassorbito, ridefinendo G(x, y). Consideriamo l’equazione differenziale iniziale: Ly(x) + A r ( x ) y ( x ) = 0, ponendo/^) =y(x) in [1.31], si ottiene: jG(x, q)Ly(x)dx = ~y(Q, => Aj[g (x, £)r(x)y(x)dx = y(%). a a Abbiamo trasformato l ’equazione differenziale, con le appropriate con­ dizioni al contorno, in una equazione integrale. Prima di discutere l ’equa­ zione integrale premettiamo qualche osservazione. Nel seguito considereremo che r(x) non cambia segno. Si può supporre r(x) > 0, in caso contrario basta ridefinire A. ft/f ■! «*w«&*>%■ , V ,*» . b =A __ A / » ./ >*\ ni n fti n • __ fVrC&G(x,^)V?(xjy(x)\/r(x)dx. a Poniamo: \!r(x)y(x) = <p{x)e h (p(£) = a | K(x , %)<p(x)dx. a Poiché r(x) e G(x, y) sono funzioni continue, #(*, y) risulta una funzione reale continua in un compatto [G(xty) è reale], quindi di classe L2. L ’opera­ tore a nucleo integrale K(x, y) è compatto, valendo K(x, ^)=ÌT(y, a:), è anche autoaggiunto, inoltre*, K.(xyy') è limitato in («, b) ® (u, Z?). Ricapitolando, l ’operatore integrale ottenuto ammette un sistema com­ pleto di autofunzioni {<j>n}. Ogni elemento diL2(£, b) può essere sviluppato, nel senso della norma di L 7(ayò), in termini delle autofunzioni {(/>„}. Sul codominio dell’operatore integrale, che poi è il dominio dell’operatore L, la convergenza èuniforme, per la proprietà 1.5. 1.8.3. Conclusioni Riassumendo e concludendo. • Il problema di Sturm-Liouville è stato ricondotto alla ricerca di autofun­ zioni e autovalori di un operatore differenziale simmetrico (L, DL). • Si è elaborato un procedimento in grado di determinare l ’operatore in­ verso di (L, DA. L ’operatore L "1è risultato un operatore integrale. Il nu- CAPITOLO PRIMO 12 2 eleo è stato denominato funzione di Green. Si è dimostrato che L 1è com­ patto e autoaggiunto. • Si è determinato che: le autofunzioni dell’operatore (L-1, L2(a, b)) costituiscono una base in L2( ci, b), il nucleo d ell’operatore (L-1, L2(a, b)) soddisfa la proprietà 1.5, V/6EDl lo sviluppo in termini delle autofunzioni di (L_l , L ^a, b)) è uni­ formemente convergente in (a, b). I vari operatori differenziali che concorrono a formulare problemi di Sturm-Liouville propongono svariate basi in L2(a, b). La scelta di una di queste dipende dal problema fisico che si intende risolvere. 1.8.4. Esempi Esempio 1.17 / (* ) + ty W = 0, Ly(x) = / '« > (/ W ,/ 'W ,/ V )C L 2(0, 1), p M = l, detA = det£ = 1, 0 1. AF(0) = jBF(1)}. A = 0, non è autovalore. Le condizioni al contorno sono tali che L è simmetrico, r(x) = 1. Due soluzioni linearmente indipendenti dell’equazione Ly{x) —0 sono y \ ( x ) - x t y 2(x) = lc. le equazioni soddisfatte dai coefficienti sono; c2/c+ d\ + d2k = 0, c\ + = 0, c \£+ c 2k - d ]£ - d 2k = 0, ^i-c, + l = 0, le soluzioni sono: ANALISI FUNZIONALE 123 H 2 ^ ^2 = 2 k ’ ^7 — } +£y^ . G(x, 0 = <?(*,© - i4 * e M , 2* ' l*-g| 2 L ’operatore integrale è compatto e autoaggiunto. Esempio 1.18 Consideriamo l ’esempio discusso in introduzione. X\x) + \X{x) = 0, xE [0, 7t], X(0) =X( tc) - 0, 1 0 -1 0 Dl = { / (* ),/ '« ,/ " « C L 2( - 7T, 7T), AF(0) = 5F(7T) ). Per determinare la simmetria di L non si può utilizzare tutto l ’armamen­ tario sviluppato, in quanto detA = det5 = 0. Tuttavia è facile dimostrare la simmetria dell’operatoreL. i f y x + c 2(£)£, * e [ 0 , £1, d { (£)x + d2{Qk, x E . ] $ , k ], « r ile equazioni soddisfatte dai coefficienti sono: G(x, c 2k~ d\K—d2k =0, c 2k + d {n + d2k = 0, c (£ + c 2k - d ^ - d 2k - 0, d\ —c |+ 1 = 0, x~n< G(x, x £ [0 , ^[, = G(x,£) = G(£;c). L ’operatore integrale il cui nucleo è G(;t, <£) è compatto e autoaggiunto. Se le condizioni al contorno contengono coefficienti complessi, bisogna operare uno studio diretto dell’operatore L, per verificarne la simmetria. A questo proposito è istruttivo l ’esempio che segue. 124 CAPITOLO PRIMO Esempi o 1.19 y\x) + Ay(x) = 0S Ly(x) = /'(*). j’(0) = e x p (ia )y (l), / (0 ) = exp (i< % '(l), 0 ^ a: ^ 1. / l 0\ ^0 1J ’ " A /exp(ia) y 0 0 \ Dt.= ( f ( x ) , f ( x ) , f ’(x) Le condizioni al contorno sono tali che L è simmetrico, la verifica è sem­ plice, r(x) = 1. Due soluzioni linearmente indipendenti dell'equazione Ly(x) 0, sono y\(x) = x e y 2( x ) - k . G(x ( c|(^)JC + C2(|)*, X £ [0,£|, 1 4 ( 0 * + 4 ( 0 * . * e 15.1]. le equazioni soddisfatte dai coefficienti sono: c 2k - (dj + d2k) exp ( ) = 0, c, - exp(ia)rf, =0, c ^ + c 2k - d ^ - d 2k = 0, tf,-c,+l = 0, le soluzioni sono* 1 C| exp ( —i oc) 1 - exp ( - / a ) 5 l-exp(~/a)* £(1 - exp (/a)) exp (id) - exp (fa) &(1 —exp (*a))2 j = g (l~ e x p (ta))-e x p (/ a ) &(t —exp (fa:))2 - 2z (x - © e x p (/ y jsin (~ j + 1 --------------------— ----- — ----- , • 2— « 4Asin X E [0, £[, G(xt g = * , a\ . a +1 - 2 i ( x - £ ) e x p ^ - / y j sm A ' 2a 4sm T — , *e]£i], G(*. $ = 0 (5 ,* ). Anche in questo caso l ’operatore integrale è compatto e auto aggiunto. Il denominatore si annulla per cc = 0, 2 tt, valori che corrispondono alla presenza dell’autovalore zero. Capitolo 2 Equazioni differenziali ordinarie nel campo complesso Premessa 2.1 In q u esto ca p ìto lo im p a rer em o a in v es tig a r e le eq u az io­ ni differenziali o rd in a rie n el ca m p o c o m p le s s o sfru ttando p r o p r ie t à d e ll e fu n zion i an a litich e f in qui studiate. Tale m eto d o di in d a gin e risulta m olto e ffic a c e . Il p r o c e d im e n t o p e r m e t t e di r ica v a r e, c o n sem p licità , p r o p r i e t à d e ll e s o ­ luzioni e lo ro ra ppresentaz ion i, nella f o r m a di sviluppi in s e r i e ui p o ten z e. I n o ltr e, o ffr e un cr iter io di cla ssifica z ion e d e lle equazioni, s dì e s p r e s s i o ­ n e d e lle soluzioni, in termini d elle singolarità dei co efficien ti d e l l equazione. Il te o r e m a dì C auchy selez io n a le soluz ioni a n a lìtich e di va ria b ile r e a l e d e lle equazioni differenziali, e s s e so n o quindi su scettib ili di un p r o l u n g a ­ m en to a n a litico al ca m p o c o m p le sso . S o r ge allora Vìdea dì studiare Vequazione direttamente nel ca m p o c o m p le s ­ s o e di ottenere poi, p e r restrizione a l i a s s e reale, espressioni di in teresse fìsico . P e r stu diare Vequazione differen ziale n e l ca m p o c o m p le s s o , si o p e r a un p r o lu n g a m e n to an a lìtico d ei co e f fi c i e n t i d e l l eq uazione e si in terp reta la deriva ta risp etto alla va ria bile r e a le x, c o m e deriva ta risp etto alia v a ria b i­ le c o m p le s s a z, da cui si intende d e b b a d i p e n d e r e la so lu z io n e. Una im m e­ diata co n se g u e n z a di questo p r o c e d im e n t o è c h e una soluzione d e l l eq uazio­ n e differenziale, p e r e s s e r e soluz ione di una eq uazione d ifferen z ia le n ella va ria b ile z, quindi dotata di derivata prim a, d e v e e s s e r e una fu n z io n e a n a li­ tica in una q u a lch e r e g i o n e £2 d e l p ia n o co m p le s s o . Lf ob iettivo d e l l 1in d a g i­ ne è di d e ter m in a re le r e g i o n i in cu i le soluzioni d e l l equazione d ifferen z ia ­ le so n o a n a litich e, di stu diare le sin go la r ità d e lle soluzioni, infine di r i c a ­ v a re ra ppresentaz ion i d e ll e soluzioni in opp ortu n i intorni d e lle sin go la rità . L’ in te res se f i s i c o p e r le soluzioni d e lle equazioni è co n fin a to alV a s s e rea le. Tuttavìa, v e d r e m o c h e il co m p o rta m en to n el ca m p o c o m p le s s o ha c o n s e ­ gu en z e rilevan ti n el s e tt o r e dì in te r e s s e f i s i c o . Nel s e g u i to ci lim iterem o a equazioni differenziali d e l s e c o n d o o r d in e : tali equazioni sì in con tra n o più di f r e q u e n t e nei c o r s i di fis i c a . 12 6 CAPITOLO SECONDO Il piano di questo capitolo si articola in: 1. Trattazione, come introduzione, dell’equazione di Laplace in coordinate sferiche col metodo della separazione delle variabili. Tale studio è fun­ zionale alla derivazione dell’equazione di Legendre, che verrà successi­ vamente studiata nel campo complesso. Alcune derivazioni sono state già esposte e verranno riprese e ulteriormente sviluppate. Non ci si è troppo preoccupati di evitare ripetizioni, pur di realizzare una esposizione piana e, soprattutto, chiara. . Lo studio esaustivo della soluzione dell’equazione di Laplace, in coordi­ nate sferiche, verrà presentato, dopo la trattazione del punto 2, nell’am­ bito del punto 3. 2. Esposizione della teoria delle equazioni differenziali ordinarie del se­ condo ordine nel campo complesso. 3. Applicazione della teoria ad alcune equazioni di interesse fisico. 2.1. Equazione di Laplace L ’equazione di Laplace in coordinate cartesiane è: dx2 d2/(*» y. z) . d2/(*. y. z) 2d y 92/(x, y, z) _ dz2 con opportune condizioni al contorno, che valgono ad assicurare l'unicità della soluzione e che qui non menzioniamo. In coordinate sferiche: 1 d i £ W %e,<p)) + r 2sin 0 36 r 2d ML i M L ) , de ) 1 32/ 0 - , ^ ) r2sin20 p2 0. [o =Sr, O=S0=S7r, [ o ^ ip=s Studiamo l ’equazione col metodo della separazione delle variabili. Si cerca una soluzione a variabili separate. Se si trova la soluzione in questa forma, il teorema di unicità ci assicura che, imposte le opportune condizioni al contorno, non esiste una seconda soluzione dell'equazione di­ stinta dalla precedente. /(r, e , c p - ) = ^ p - Y ( e , c p ) . 12 7 EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE NEL CAM PO COMPLESSO Si è esplicitato il fattore —, in quanto si ottiene una semplificazione nella forma dell’equazione radiale. L ’equazione si scrive: m <p) d H m m a r m dr1rh in d ^ L r M dividendo per U(r)Y(d, r1 U(r) W) /•3. sin2 a2r(g, <p) 9 < ief moltiplicando per r5: dS 1 Y(6, cp)sin 0 r_infl. a n e . 0 l de J d0 Lsm0 1 Y(e,<p)sin2 e dtp2 L ’espressione è stata.eguagliata a una costante, in quanto il primo mem­ bro dipende solo da r, il secondo solo da 0 e cp}quindi i due membri non pos­ sono dipendere né da r, né da 6, né da cp, L ’espressione ottenuta compendia due equazioni; cominciamo a occupar­ ci della prima: r 2U"(r) - \U(r) = 0. Equazione radiale Si nota che la soluzione deve presentarsi in forma di potenza, in quanto la derivata seconda riduce di due unità l ’esponente della potenza, esponente che viene reintegrato dal fattore r2. Posto U(r) = r** si ottiene la seguente equazione in a: a ( a - 1) = A, a= 1±Vi + 4À 1±V(2/+1)2 nella espressione di a, si è posto X - 1(1+ 1). Le due soluzioni sono /+1 e In definitiva, la soluzione generale dell’equazione dipende dalla costante di separazione /, per il momento arbitraria: </(,-)= A,r/+l+fl,r~'. Vedremo nel seguito che la costante l gioca il ruolo di autovalore, verrà determinata da condizioni di regolarità richieste alla soluzione dell’equa­ zione delle armoniche sferiche. I coefficienti A, e £/ sono delle costanti che vanno fissate in base alle condizioni al contorno. 12 8 CAPITOLO SECONDO 2 .1 .1 . Equazione d e lle a r m o n ich e s f e r ic h e Consideriamo la seconda equazione 1 p) am < p) + i a2m < sin 0 + / (/ + 1)7 (0 , (p) = o. de sin 0 30 sin2 0 dcp1 Equazione delle armoniche sferiche La soluzione d e ir equazione 7 ( 0 , q>) è denominata armonica sferica. Ritorneremo su questa equazione per discutere importanti proprietà delia soluzione. Determiniamo la soluzione per sepai-azione di variabili. Poniamo 7(0, (p)=P(0)Q((p)\ si ha: ® **w' 4 *[sin sin a eP cup '(6)] + - 7 ^ da cui: - 4 ^ 4 rr s in e p 're n ....................................... &(.<W dtp L ’eguaglianza fra primo e secondo membro, rune funzione di 0, r altro di (py comporta che i due membri risultino separatamente eguali a una co­ stante K. Discutiamo l ’equazione: n nJ L*-" Q'X<p)^KQ((p), due soluzioni linearmente indipendenti sono: Q(<p)= exp(±VK<p). Le funzioni 2(<p)i in quanto soluzioni dell’equazione differenziale [2.1], devono essere dotate di derivata prima, quindi debbono essere continue. La continuità implica: Q(0) = Q{27t), cioè exp(vX2?r) = 1, il che condu­ ce alla condizione: VK = —zm, la costante m deve valere zero, oppure un numero intero positivo o negativo, K = —m2. Per ogni valore di m, diverso da zero, si hanno due soluzioni: exp (im(p) e exp (—im(p). Nella classificazione delle soluzioni, basta limitarsi a valori non negativi di m: i valori negativi di m portano alio stesso valore per K e alle stesse soluzioni. Il sistema delle soluzioni può equivalentemente essere espresso da: _ . . 2 ^ fcosrinoì. = |sin (mp)V . . . m = 0- 1>2 ’ - Per m = 0 si ha una unica soluzione: una costante. 12 9 EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE NEL CAM PO COMPLESSO 2.1.2. Equazione di L e g e n d r e L ’equazione nella variabile 6 è: sin 0 ^ [sin Q P ' m + /(/ + 1) sin2 - = 0. Questa equazione viene denominata equazione di Legendre e ci darà in­ dicazioni sui valori che la costante /deve assumere perché l ’equazione delle armoniche sferiche ammetta soluzioni regolari. Operiamo il seguente cambiamento di variabile: x —cos 0. Nella nuova variabile l ’equazione si scrive: 2x -P ’ (x) + /(/+!) i _ S»J i L. X 1 _ - 2 J X Tvalnri xV varinhil#* v m P(x) = 0, n _ A~2\2 J «r-r-^eciKìli ennA ormami ti Nrif^r- vallo ( - 1 ,1 ) . L ’equazione può essere riscritta.: ■*D "/v w \ a1. « /v \D ^ /v w \ -i-f ‘fw *D/v w \ —~A 2r p (x )- - -- ~ l-x 1 , , /(/ + 1) «< * )* — i - * 2 ( ì - x 2)2 Per studiare l ’equazione nei piano complesso dobbiamo estendere i coef­ ficienti al piano complesso: p ,(zx)= _ _2z_ ) <?(*) /(/+!) 1- m2 /1 _ ‘ U 1) 2.2. Elementi di teoria delle equazioni differenziali In questo paragrafo esporremo gli aspetti salienti della teoria delle equa­ zioni differenziali ordinarie del secondo ordine, omogenee, nel campo com­ plesso. Consideriamo l ’equazione: w"(z) +p(z)w'(z) 4- q(z)w(z) = 0, w(z0) = c0, w ,(z0) = c]. [2.2] Vale il seguente teorema: Teorema 2.1 In o g n i d i s c o a p erto A, di ce n t r o zQ, in cu i sia n o analiti­ c h e le funzioni p(z) e q(z)t e s is te una e una so la solu z ion e analitica deli* e quazìone [2.2]. 130 CAPITOLO SECONDO La dimostrazione consta dei seguenti passi: 1. Si suppone che la soluzione >v(z) sia analitica in À. 2. Si stabilisce un procedimento iterativo di costruzione della soluzione. 3. Si dimostra che il procedimento iterativo genera una funzione, analitica in A, soluzione dell’equazione. 4. Si sviluppa la soluzione in serie di potenze, di centro z0. L ’equazione dif­ ferenziale genera, per i coefficienti dello sviluppo, un sistema di equa­ zioni algebriche che ammettono una soluzione unica. 5. Si deduce che il raggio di convergenza della serie è il raggio del disco A in cui le funzioni p(z) e q(z) sono analitiche. Il primo passo consiste nel riscrivere l ’equazione [2.2] nella forma di un sistema differenziale del primo ordine: w'(z) = t/(z), M'(z)= w(z0) = c0, ~[p{z)u{z) + q(z)w{z)], = C|. [2.3] Le incognite nel sistema [2.3] sono le funzioni u{z) e w(z). Sia A il disco, di centro z0 e raggio R, in cuip(z) e q(z) sono funzioni ana­ litiche, z sia contenuto in A. Ipotesi 2.1 Si ipotizza c h e esista una co p p ia di fu n z ion i u(z) e w(z) an a­ litich e in A, c h e so d d isfi il sistem a [2.3]. Per cui si può scrivere: [2.4] Abbiamo trasformato il sistema di equazioni differenziali in un sistema di equazioni integrali, sotto l ’ipotesi che u(z) e w(z) siano funzioni analiti­ che in A. In base all’ipotesi 2.1, gli integrali in [2.4] possono essere effet­ tuati lungo una qualsiasi curva che colleghi z0 con z, in particolare possiamo scegliere un segmento a. Sia cp l ’angolo compreso fra il prolungamento del segmento ere l ’asse x; l ’equazione parametrica di a è : a : £ = £(0 = 2o + fexp(ip), 0 < t^ r, z = £(r) è il valore che compare nella [2.4]. \ z - z 0\= r. 131 EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARLE NEL CAMPO COMPLESSO Costruiamo le seguenti due successioni di funzioni {W/(z)} e ( U/(z) ) : >V0(z) = Co, 7 w,(z) = c0 + J U0(£)dt;, -Il «o(z) = c b U|(z) = c, - J [p(<5)«o(<?) + ?(^Wo(<?)]^, io u2(z) = C| - j [p(£)Ki(£) + io W2(z) = Co + io W„(z) = Co + f i(£)d|, «„(z) = C| - | [p(^)u„-i(D + ?(-5)w„-|(<5)]^. zo io Gli elementi delle successioni sono funzioni analitiche in A. Occorre dimostrare che: 1. La successione di coppie di funzioni ( vp„(z), u„(z)}, analitiche in À, con­ verga uniformemente, in ogni compatto contenuto in A, a una coppia di funzioni che indichiamo con {w(z), u( z)}. Il risultato comporta che le funzioni ( w(z), u(z) ) risultino analitiche in A. 2. Le funzioni {vi'(z), w(z) ) a cui le successioni convergono soddisfino la [2.4]. La dimostrazione dei punti 1 e 2 equivarrà all’aver dimostrato che w(z) è soluzione della [2.2]. Consideriamo un disco chiuso D, di centro z0, contenuto in A, z ED. Introduciamo le seguenti notazioni: m = max {|c0j, |c, [}, M = max(|p(z)|, |?(z)|, 1). Valgono le diseguaglianze: io si è indicato con t; il punto, sul segmento cr, relativo al valore t del parametro. IM|(z) - »o(z) ! =£J [|p(^) 11 Uo(£) I+ I?(£) 11H'oC'?) |]|d £ \ 2 io I W |(£ ) - « o ( | ) | = S 2 m M f ; |w2(z )- w ,(z )| ^ J | u ,(^ )-u 0(^)||d(?|«2Mm d t = 2n^ ‘ |>v2(<g) - wt(<g) | k(z)-«,(z)|«/|p(0||h,(S-k0(5)II^| + io +/I?(£) 11W\(£) - w0(<^) 11 r CAPITOLO SECONDO 132 I«a(^) —H)(<DI - (2Mtf 2! ’ |W„(Z)“ W „ -| (2 )| « J |m„ _ | (| )-M „ _ 2 (D | | ^ | < *0 <m (2 Mr)" «1 ; l *“ 1)1 i IM,,(z) - «Il - 1(z) I45 / IK£> 11«Il - 1(5) " «Il - 2(<5) 11 |4* *0 < //—1 / r^ - 1 ) 1 '‘ < * ‘ r" {2 M ry = 2mM— ,— —r:----- = /n-— ~ (n - l) i n ni Consideriamo ie serie: J ( « ; ( l ) - « H (z)) & E W W ~ VU,--,(Z)), ! [2.5] i le somme parziali ennesime risultano: S (lKz) = „(z)- «0 , 5?(z) = M'„(z) - w0. u Le serie [2.5] sono assolutamente convergenti, infatti le due serie seguenti: 2 1 M/O0 “ ui - i00 I» 2 1 w/00 ” w/-i00 !> sono ambedue maggiorate, Vz ED, dalla serie: m '» ser^e numeri“ ca, convergente a th • exp (2MR). > L ’implicazione è che le serie [2.5] convergono uniformemente in D. Quin­ di, le successioni ( h„(z)) e (w„(z)} convergono uniformemente in D, e, con­ seguentemente, in ogni compatto contenuto in À. Infatti, comunque scelto un compatto in A, esiste un disco chiuso D C À, di centro z0, che include il compatto. Denotiamo con u(z) e w(z) i rispettivi limiti. Poiché (w„(z)} e {W||(Z)} sono successioni di funzioni analitiche, le funzioni u(z) e w(z) sono analiti­ che in A. Se operiamo il limite n —» <*>nelle espressioni: W„(z) = C 0+ j & W-„(Z) = C ,- j [p(^)u„-l(D + ?(<5)w,,-l('?)]d|, 133 EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE NEL CAMPO COMPLESSO essendo la convergenza uniforme su <7, il limite può essere portato sotto il segno di integrale. Si ottiene: w(z) = c0 + J & u(z) = c , - J f [p(£)u(Q + q(£)w(E,)]c!?;. -0 zo Quindi, le funzioni w(z) e u(z) sono soluzioni del sistema [2.4]. La funzione w(z) è soluzione della originaria equazione differenziale del secondo ordine [2.2], La proprietà di analiticità della soluzione, presupposta inizialmente come ipotesi, la ritroviamo ora provata a conclusione del processo dimostrativo. Di conseguenza il procedimento seguito acquista rigore. Dimostriamo runicità. Essendo w(z), p(z)}q(z) funzioni analitiche in À, ivi valgono gli sviluppi: _ _ V _ /_ _ \H _/_\ _XT' i- /- _ sn V\*J —SJ ‘ "*o; » HK*) —Sj un\z “ zq) • 0 0 G Inserendo tali sviluppi n ell’equazione differenziale [2.2], si ha: 2 « ( « - l)c„ (z -Z 0)" " 2+ 2 a»(Z -Z o ) " 2 " Cn(Z -Z o)" ‘ + SS 2 + 2 0 1 b » ( z_ z o )'12 c »(z " zo ) " = o . 0 0 Le incognite sono i coefficienti [c Jo . le costanti note sono [a u]o, cq e c j , Raccogliendo i termini con potenze di z - zQdi ugual esponente ed egua­ gliando a zero i rispettivi coefficienti, si ottiene: l c 2 4- aQC\ 4- b0CQ = 0, 6<?3 4- 2^ qC2 4- ct\C\ 4- bftC\ 4- b\CQ = 0, ......................................... = 0. La prima equazione determina univocamente c 2ì la seconda c3 e così via. La soluzione è univocamente determinata. Esiste una sola soluzione dell’e­ quazione differenziale analitica in À con le condizioni iniziali poste. 2.2.1. E sp ressio n e d ella solu z ion e n e ll 1intorno di una sin go la r ità isolata d ip (z )eq (z ) Premessa 2.2 R iprendiam o Vequazione: w"(z) 4-p(z)w'(z) 4- q(z)w(z) = 0, z,zC A . w (z) = Co, ,, J /-\ —^ —H> 134 CAPITOLO SECONDO In d ich ia m o c o n A il d i s c o a p e r t o in cu i s o n o a n a litich e le fu n z io n i p{z) e q(z). Esiste una e una s o la so lu z ion e d e l l equazione, analitica in A, c h e s o d d i ­ sfi le condizioni al c o n to r n o p o s te . Di co n se gu e n z a , l e q u a z io n e d i ffe r e n ­ ziale p o s s i e d e in A infinite so lu z ion i ana litiche, una p e r o g n i fiss a ta c o n d i ­ zione al co n to rn o . Fra q u este, p e r ò , non esiston o più di due soluzioni li­ n earm en te indipendenti. C onsideriam o d u e so lu z ion i (z) e w 2(z), f is s a t e da lle se g u e n ti c o n d i ­ zioni al co n to r n o : Esse so n o lin ea rm en te in dip en den ti s e : Questa co n d iz io n e c o r r i s p o n d e alla p r e s c r iz io n e ch e il Wronskiano d e lle due soluzioni sia d iv e r s o da zero. O gni altra soluz ione p u ò e s s e r e e s p r e s s a co m e com bin a z ion e lin e a re d e ll e soluz ioni Wj(z) e w2(z); infatti, s u p p o n e n ­ do di c e r c a r e una so lu z ion e w(z) rela tiva a lle condizioni al co n to rn o c 0e c h ci dom an diam o s e esista n o du e co sta n ti a e b tali ch e : ac^a + bc^Q1—c0 a c 0) + bcT = La con dizion e sul d e ter m in a n te ci a s sicu r a c h e la soluz ione esiste e d è unica. Individuati a e b, la so lu z io n e w(z), co n le condizioni al c o n to r n o c e r c a te , risulta w(z) = avvj(z) + b w 2(z). In co n clu s io n e , lo spazio d e lle soluzioni ha d im en sion e lin ea re due. Supponiamo che le funzioni p{z) e q{z) abbiano in z0 una singolarità isolata, cioè che esista un disco aperto A, di centro z0, tale che p{z) e q{z) siano analiti­ che in A —z0- talvolta indicheremo l ’insieme A —z0 col termine disco bucato. Consideriamo un punto z ^ z0 in A e una circonferenza C, z E C, di centro z0, sia w(z) una soluzione dell’equazione differenziale, analitica in un intor­ no $ di z, contenuto n ell’insieme A —z0. Per determinare il tipo di singolarità sviluppata dalla soluzione w(z) in z0> faremo uso della tecnica, a suo tempo esposta (cfr. voi. I, § 5.9.1), del pro­ lungamento analitico lungo cammini concatenati con z0. In particolare, ef­ fettueremo il prolungamento lungo.la circonferenza C. Il teorema 2.1 assicura che il prolungamento della soluzione è possibile lungo un qualsiasi cammino interno a A, che non passi per z0. EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE NEL CAMPO COMPLESSO 135 Siano le funzioni w,(z) e w2(z) due soluzioni linearmente indipendenti d ell’equazione [2.2] si ha: w(z) = aw i(z) + b w 2{z). Effettuiamo un prolungamento analitico delle funzioni w(z), Mq(z) e w2(z) in z, lungo il cammino C, con punto iniziale z; cioè, effettuiamo un prolun^ gamento analitico a partire dal punto z lungo il cammino C, fino a ritornare in z. Indichiamo con >v(z), yvj(z) e vv2(z) i valori nell’intorno $ delle funzioni vf(z), W|(z) e w2(z), dopo il prolungamento. La prima proprietà da dimostrare è che il prolungamento analitico di una soluzione dell’equazione differenziale è ancora soluzione dell’equazione. Questa affermazione è una conseguenza di una proprietà generale, deno­ minata persistenza delle relazioni funzionali sotto prolungamento analitico. Consideriamo la funzione F(z), analitica in 3ì\ F(z) = w\z) 4-p(z)w'(z) + <7(z)w(z) = 0. Se, a partire dal punto z, eseguiamo il prolungamento analitico di F(z) lungo C e ci riportiamo in z, otteniamo: F{z) = vv"(z) + p(z)w'(z) + q(z)w(z) = 0. La funzione F(z) è una funzione analitica in e ivi è identicamente nul­ la, ciò comporta che gli sviluppi di Taylor di F(z) effettuati lungo il cammi­ no C risultino tutti identicamente nulli. Abbiamo tenuto conto anche che p(z) e q(z)}dopo il prolungamento analitico, riassumono il valore iniziale, e, inoltre, che il prolungamento analitico del prodotto di due funzioni coincide col prodotto delle continuazioni analitiche. Tutto ciò conduce al risultato che w(z), vvj(z) e w2(z) sono soluzioni dell’equazione differenziale [2.2]. Espri­ miamo quanto esposto in termini del sistema di soluzioni linearmente indipendenti vtq(z) e w2(z). W[(z) = A, ,Wj(z) + A21w2(z), vv2(z) = A12Hq(z) + A22W2(z), w(z) = aw,(z) + òw2(z), vv(z) = avv,(z) + frvv2(z) = = a[A ilw1'(z) + A2,w2(z)] + fr[A|2vv,(z) + A22w2(z)] = = [A,,a + A|2ò]w,(z) + [A2,a+ A 22/?]w2(z). Assunto il sistema {>v|(z), w2(zj) come base nello spazio delle soluzioni, la soluzione w(z) ha componente a su W\(z) e b su w2(z). Viceversa, le com­ ponenti della soluzione w{z) sono rispettivamente A\{a + AI2ò eA2Ia +A22b. CAPITOLO SECONDO 136 u l l i o Ciò implica che possiamo esprimere le funzioni Vr(z) e Vv(z) rco colonna: w(z) = vv(z) = YCUUIl / Àu a 4- Aì2b \ A2\Ci +À22& Il prolungamento analitico è implementato da un operatore A nello spa­ zio a due dimensioni delle soluzioni dell’equazione differenziale [2.2]. Nel­ la base considerata: A= A m A j2\ A21 M i ) gli autovalori di A sono dati dalle soluzioni dell’equazione secolare: L ’equazione secolare è una eau azione di secondo grado in X e ha. in gene­ rale, due radici. L ’equazione può, accidentalmente, avere una radice doppia. Consideriamo preliminarmente il caso in cui l ’equazione ammetta dueradici distinte: A, e À^. Siano W\(z) e w2(z) le autofunzioni di A relative a X\ e A2, esse risultano linearmente indipendenti e possono essere scelte come elementi di base. In questa base l ’operatore A si scrive: si ha: w ì = Xìw j, w 2 —X2W2. Questo comportamento di funzioni sotto prolungamento analitico è stato studiato (cfr. voi. I, § 5.9.1) e ha portato alla seguente rappresentazione delle funzioni in À —z0: W|(z) = (z - z0) a'2<z„(z - z»)"> W l(z) = (z - z 0) a,2 W z ~ z0)", a, = ^ r lo g A (l 1 —1,2. [2.6] I valori di cq e espressi dalla relazione [2.6], sono determinati ameno di un numero intero, l ’indeterminazione corrisponde a ll’arbitrarietà nella scelta della determinazione del logaritmo. D’altra parte, un intero può esse­ re riassorbito nella sommatoria, con una ridefinizione, dell’indice di som­ matoria. EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE NEL CAMPO COMPLESSO 137 I valori a | c c&2 non vengono detcìminati direttamente dalla soluzione dell’equazione secolare, ma si utilizza un metodo più semplice, che espor­ remo nel seguito. Se risulta che cq e a , differiscono per un numero intero, ciò è indice che l ’equazione secolare ammette una radice doppia. In conclusione, se la differenza (X\ — è diversa da un numero intero, l ’espressione scritta costituisce la rappresentazione, in un intorno bucato in cui siano analitiche le funzioni p(z) e q(z), di due soluzioni linearmente in­ dipendenti. La rappresentazione di ogni altra soluzione, nel disco bucato, è data da una combinazione lineare delle rappresentazioni delle due soluzioni considerate. Trattiamo il caso in cui la radice è doppia. Indichiamo con A| l ’autovalore doppio; con Wj(z) denotiamo la rispettiva autofunzione; consideriamo come secondo elemento della base, nello spazio bidimensionale delle so­ luzioni, una soluzione dell’equazione, w2(z), linearmente indipendente da vpj( z). In questa base, 1’operatore si scrive: Ai A 12 \ 0 A22/’ A= perché A}sia radice doppia, occorre che A22 “ Ah / 3. A=i n \ w / V, /• / Risulta: vPj = Aj w i, w2~A j2w i + Ai w2, /w 2\ w 2 , Ai2 \W| / w, Aj ' L ’espressione a primo membro rappresenta la continuazione analitica del quoziente. ^ ^ Definiamo A = - —r per le proprietà analizzate (efr, voi. I, § 5.9.1), si Ai ottiene la seguente rappresentazione in À —z0: = A log (z - Zo) + 2 4 (z - zo)"In conclusione, la base considerata ammette in À - z0 la seguente rappre­ sentazione: Wi(z) = (z - Z0)“'2 C"(Z Vv2(z) — > V | ( z ) 2 “ n(Z “ Z0) " + A v i^ |( z )l0 g (Z — z 0) . Zo)"< ~ CAPITOLO SECONDO 138 Ogni altra soluzione è rappresentata, nel disco bucato A, da una combina­ zione lineare delle rispettive rappresentazioni ricavate per w,(z) e w2(z). 2.2.2. Singolarità F u ch sia n e Ottenuta la rappresentazione, si pone il problema di determinare ce,, a 2, A e i coefficienti incogniti (a,,}!!.., {fr„}!!„,, [d„}!!.., che vi interven­ gono. Il procedimento cui si fa generalmente ricorso consta nell’insersione della rappresentazione ottenuta, n ell’equazione differenziale, e nella deter­ minazione dei termini incogniti risolvendo le equazioni algebriche che per essi l'equazione differenziale genera. Il percorso fin qui seguito ha permes­ so solo di stabilire la forma generale della soluzione. La presenza di una serie bilatera rappresenta una ostruzione al procedimento, altre volte segui­ to, nella determinazione dei parametri incogniti. Non si ottengono relazioni tra i coefficienti trattabili: infatti non esiste una prima relazione, che indi­ vidui un primo coefficiente incognito, poi una seconda relazione, che indivi­ dui un secondo, e così via. Tuttavia, se le serie possiedono solo un numero finito di potenze a esponente negativo, cioè se esiste un intero negativo che limita inferiormente la successione dei coefficienti dello sviluppo da de­ terminare, allora la sequenza delle equazioni ha una relazione iniziale e si può procedere alla determinazione dei coefficienti incogniti, progressiva­ mente a partire da un primo termine. Questa procedura genera soluzioni univoche. Una classe di equazioni di interesse fisico ha la proprietà di generare rap­ presentazioni in forma di serie di potenze troncate inferiormente. Il teorema che segue vale a caratterizzare questa classe di equazioni. Teorema 2.2 (Fuchs) Sia z0 un p u n to in cu i le fu nzioni p{z) e q(z) a b ­ biano una sin go la r ità isolata e A sia un intorno di z0 in cu i le funzioni siano analitiche, e s c l u s o il pu n to z0. C ondizione n e c e s s a r ia e su fficie n te p e r c h é la ra p p resen ta z ion e d e l sistem a di b a se d e lle soluzioni d e l l ’ equazione d iffe­ renziale [2.2] in A —z0; c o n te n g a sviluppi in s e r i e in termini di s o le p oten z e positiv e, è c h e p(z) abbia in z0 al più. un p o l o d el p r im o ord in e e q(z) al più uno d e l s e c o n d o . In tal ca so , la sin go la r ità è d en om in a ta F uchsiana. Le ra ppresen taz ion i in A —z0 d e ll e soluzioni lin ea rm en te indipendenti, c h e c o stitu is co n o il sistem a di ba se, a ssu m o n o la f o r m a : p e r ) l l 9t A2 o v v e r o p e r a.\ — Wi(z) = (z - z0)“' 2 a , ( z - z j ', 0 nume r o intero EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE NEL CAMPO COMPLESSO w2(z) = (z - z0)ai 2 fr«(z - zJ ' ; 0 p e r A] = A2 o v v e r o p e r 139 t2 -7l a {—0^ - num ero intero Wi (z) = (z - z0) “■2 c„(z - z„)", 0 w2(z) = W|(z) 2 4i(z - Z„)n + Aw 1(z) log (z - z0). [2.8] 0 La potenza iniziale negli sviluppi in serie ha esponente zero, in quanto eventuali termini con potenza negativa (come pure positiva) vengono rias­ sorbiti in una ridefinizione degli esponenti a {e 0^. Dimostriamo la necessità. Indicheremo con P f(z) la somma di serie del tipo 2 ) an{z —z0)\ conver0 genti in A, e tali che P,(z0) =£0; Vindice l distingue fra le varie funzioni di questo tipo. 1. caso « i —«2 ^ intero. Dimostrare la necessità equivale a introdurre nell’equazione [2.2] per w(z) gli sviluppi [2.7], cioè: w,(z) = (z - z0)“'P|(z), 0 w2(z) = (z - z0)«W>2(z), P2(z) = 2 ^/(z - zo)'; 0 e verificare che, in conseguenza della espressione ipotizzata per la solu­ zione, la funzionep(z) sviluppa in z0 un polo del primo ordine e la funzio­ ne q(z) uno del secondo. Valgono le seguenti equazioni per Wj(z) e vw2(z): w'/(z) +p(z)w|(z) + ?(z)w,(z) = 0, W2OO + p(z)W2(z) + q(z)w2(z) = 0. Moltiplicando la prima equazione per w2(z) e la seconda per w ,(z) e sot_ traendo membro a membro si ottiene per p(z): _ vì4/(z) h/i(z) —w"(z)w2(z) = u4(z)w,(z) - w,'(z)vi/2(z) A = m4 ( z) w,( z) - iVi( z) tv2(z) = ^ A’ CAPITOLO SECONDO 14 0 A = ( z - z0)2<V 3(z) z([ - z0)“- " “>P4(z)] = = (z - z0)“=+ - 1 P}(z)+ (z - *o)“-+a'Pì (z)Pl(z) = = (z - Z0)“>+ ~1[?3(Z) + (z - Z0)/>3(z)A(z)] = (Z - Zo)“‘ +“ " 'A(z). A' = (z - z0)°‘ +ff' - 2( a 2 + a, - l)/>4(z) + (z - z0) “=+ ~'Pfa). per cui: «2 + «I " 1 j Z~ Z0 PfiCz) . la funzionep(z), come dovevamo dimostrare, ha al più un polo del primo ordine in z0. n( n\ W,(z) [2.9] Wi(z)’ w',(z) = (z - z0) “' '[a i^ i(z ) + (Z - zo)Pi(z)] vv’i'(z) = (z - z0)“' 2[a i(« i ~ l)A (z) + 2a,(z - zo)-PJ(z) + (z - z0)i?'[(z)], \ f -i\ r\ n//_s . ..//_\ n/z/_\ VVAZJ _ U|U£| - £2 ( ^U| f i w ■ W|(z) (z —Z0)2 Z—Zo />,(z) P,(Z) ’ vvjW w,(z) p/ /-\ 11*; A (z )' La prima espressione ha al più in zQun polo del secondo ordine, la secon­ da del primo ordine. Quindi, in conclusione, la funzione q(z) ha al più un polo del secondo ordine. 2. caso <X\ —«2 = intero. In questo caso si introducono nell’equazione [2.2] per >v(z) gli sviluppi [2.8], cioè: w ](z) = ( z - z Q)ùP ](z)> W2(z) = w,(z)[A log (z - z0) 4- P2(z)]. Procèdendo come per il caso precedente, si ottiene: A = (z - z0)2o? 3(z) Yz = (z - Zo)2 = (Z - l0S (z ~ zo) + ^z(z)] = ■+ ^ ( z ) LZ -Z 0 z0)2a- i [A/’ 3(z) + (Z - Pi(z) = z0) P 3( z )^ (z )J = ( z - z0)2" " 1/>4(z). Valutiamo l ’espressione che si ottiene per la funzione p(z), EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE NEL CAMPO COMPLESSO' A' 141 ( 2 a - l)(z - zQ)2tt~2P4(z) + (z - 20)ì a -'Pj(z) A (z- z0)2“_iP4(z) 2 g - l , fKz) z - z0 PA(z) ' La funzione z?(z) ha al più un polo del primo ordine, Con il termine P2(z) si è indicato uno sviluppo, convergente n ell’intorno À, che può annullarsi in zQ. Si è supposto A # 0, in caso contrario si ricade nel caso precedente. Per la funzione q(z) si procede esattamente come nel caso precedente, in­ fatti nell’espressione [2.9] non compare w2(z). T a cnffiripn'ra cì Hìmnofri» ...................... x r e n f i- f in is t e le per le singolarità delle funzioni p(z) e q(z), introducendo nelle equazioni differenziali le espressioni [2.7] e [2.8] delle soluzioni e dimostrando che si deducono, per i coefficienti incogniti, che compaiono nelle espressioni [2.7] e [2.8], equazioni che ne consentono la univoca determinazione. Ci occupiamo dapprima della soluzione w^z) che ha la seguente identica . ' iii ro m *" ro ! JV w, (z) = (z - Zq )“ q i. 2 c»(z " zoY‘■ [2,10] 0 Va dimostrato che i coefficienti incogniti [cfl)o e l ’esponente a sono uni­ vocamente determinati dall’equazione differenziale. Sotto le ipotesi assunte, valgono i seguenti sviluppi nel disco À —zQ: (z)= - ~ r p + ° a.+ . ° <?(z) = 7 ,2 + TzV"+ ( z -z 0)2 z“ zo + [2,11] - Z0) +... = 2 0 bl(Z - zo)'-2. Inserendo gli sviluppi [2.10] e [2.11] nell’equazione differenziale e rac­ cogliendo le potenze, in z —z0, di ugual esponente, si ottiene una serie di po­ tenze in z —z0 eguagliata a zero. L ’espressione ottenuta comporta l ’egua­ glianza a zero di tutti i coefficienti delle potenze. Si ottiene un sistema di equazioni algebriche che ha come costanti note {<2/}q, {Ò/}qe come incogni­ te (c/)oe a. Per discutere il sistema introduciamo le seguenti notazioni: fo(&) ~ cc((X~~ 1) f k(a) = a a k4- bh ccgq + &o, —\ 2 142 CAPITOLO SECONDO Il sistema di equazioni algebriche nelle incognite ae| c,)o è: c3/o( « C ifo(a + 2 )+ + 3)+ c2/](a+ 2)+ c j o ( o c + n) + ... c i/o(a + 1) + c\f\(cc+ 1) + c,/2( a + l ) + ca/o(°0 = 0» Co/i(a) = 0, cc/2(a) = 0, cc/3(a) = 0J c 1f ll- 2(cc + 2) + c ,/ „ -,(a + 1) + c M o c ) = 0, [ 2 . 12] Si suppone c 0 =£0, condizione che si riflette nella definizione di a, in quanto, se c 0 valesse zero, si potrebbe mettere in evidenza nella serie la po­ tenza z —z0. Del resto, analizzando il sistema delle equazioni, si deduce che, se il coefficiente c0 è nullo, il molo di c 0 viene assunto da C\ e <2diventa oc+ 1. La prima equazione, essendo c0 =£0, c o m p o rta la ) = 0, cioè: a ( a ~ l ) + a a 0 + b0 = O. Equazione determ inante [2.13] Questa equazione determina i valori dell’esponente a che compare nella [ 2 . 10]. Il sistema [2.12] non consente la determinazione del coefficiente c0. Del resto la soluzione di una equazione differenziale, lineare e omogenea, è fis­ sata sempre a meno di una costante moltiplicativa. L ’equazione determinante è una equazione di secondo grado, ha due ra­ dici, accidentalmente una radice doppia. Indichiamo le radici con cq e cq; con ai si denota la radice con parte intera maggiore. Introducendo per a il valore a i nel sistema [2.12] la seconda equazione consente la determinazio­ ne di c |, la terza c 2 e così via. Il procedimento ha sempre esito, la soluzione viene univocamente determinata. Se la differenza CX\ —cq è diversa da un numero intero, il che corrisponde a A| t* A2, per nessun valore di /intero non negativo si verifica che valga zero il termine/o(02 + /). In questo caso si può determinare una seconda soluzio­ ne ponendo per a in [2.12] il valore a In questo modo troviamo le rappre­ sentazioni, nel disco bucato À, di due soluzioni linearmente indipendenti. w t(z) = (z - z0)°' 2 0 - zoy¥ , =0, M'z(z) = (z - Zo)“* 2 C ~ zo )"> 0 Questa rapprentazione del sistema base di soluzioni, nell’intorno bucato À, consente, in tale intorno, di esprimere una qualsiasi soluzione d ell’equa­ zione differenziale, nella forma di uno sviluppo in serie di potenze, combi­ nazione lineare degli sviluppi delle soluzioni >v,(z) e w 2(z). EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE NEL CAMPO COMPLESSO 14 3 Supponiamo ora che oq - a 2 = m (intero). w,(z) si determina secondo il procedimento esposto in precedenza. Le difficoltà sorgono se si tenta di va­ lutare {c™}~ seguendo lo stesso procedimento. Infatti l ’equazione emmesima del sistema [2.12] è: cSo(02 + m) + c®_i/i(«z + Poiché/0(O2 + m) =/0(a i) = 0, l ’equazione [2.14] non solo non permette la determinazione di c™ ma induce una relazione fra i primi m coefficienti {c(/J)o " *» già determinati nel procedimento di costruzione della soluzione; m /-I Tale relazione solo accidentalmente è verificata. Ove lo sia, il procedi­ mento seguito in precedenza ha esito, ma resta indeterminato c™. Questa circostanza indica che, nella espressione [2.8] di w2(z), risulta accidental­ mente nulla la costante A a fattore di log.(z —z0). Se, viceversa, la soluzione w2(z) non è ottenibile, seguendo il procedimen­ to adottato per la prima soluzione, occorre trovare un metodo di soluzione differente. Ricordiamo che vale la relazione: p(z) = - A '( z ) = - flo g A , A(z) d w2(z) ,r|W (iz W|(z)’ À = w ? (z ) d z " ' b ~' “ logÀ(z) = —Jp(£)d% + C,b(z) = K t x p ( - j p ( f y d z \ ' a - zo),_ l. A= V ,(z), m a ' j W ) ^ = aolog(z “ zo) + 2 a !(z - z0)' + C, | s a = I termini K e C sono delle costanti, gli esponenti cq e a 2 soddisfano le equazioni: «1(0:, - 1 ) + cqa0 + b0 = 0 a f - a 2~ (cq - a 2) + a0(a, - a 2) = 0. (X2(a2- 1 ) + O2a0 + b0 = 0^ Dividendo per cq - cq* si ottiene: cq + cq + a0 - 1 = 0; ponendo cq = cq ~ —m, risulta: 2cq + a0 = m + 1. c/z W|(z) = (z - z0) “"' 1[A0 + A ,(z - z0) + ... + An(z - z0)n + ...] = . Ap 0 “ * o )#/ (z - z0)" ■+... 4- (z - Z0) + A„, +|+ .... CAPITOLO SECONDO 144 Wj(z) = Amlog(z-Z o) + (z -zo ) w,(z) da cui: u»2(z) = A„,W| (z) log (z - z0) + (z - z0) In definitiva, si è ottenuta l ’espressione: w 2(z) = (z - z0) X ^/(z ~ Zq)' + (2) log (z ~ z0), ^ 0. o I simboli P,(z), ? 2(z), ^3(2) e P4(z), già introdotti in precedenza, rappre­ sentano degli sviluppi in potenze di (z —z0) non negative, che non si annul­ lano per 1 —z0: ?/ (z0) ¥=0. Riassumendo, la rappresentazione della soluzione dell’equazione differen­ ziale [2.2], nell’intorno A - z0 di una singolarità Fuchsiana, in cui le funzio­ ni p(z) e q(z) siano analitiche, è sempre esprimibile come combinazione li­ Lui M'iW e W-l\Z)\ re u s i se g u e n ti ; se 0C\ —&2 =£numero intero Wi(z) = (z - z0) ”‘ X c<r ( z 0 ... /_\ _ - \or, XT' ___ \l "'a w - ^ *0; ■ L / ” *0; » 0 se «| - «2 = numero intero vt'i(z) = (z - Zo)“' 2 ^ ( * “ zo);. 0 W2(z) = (z - z0)"' X ct?j(z - Z0)' + Aw,(z)log (z - z0). 0 La costante A può essere accidentalmente nulla, c ($ ^ 0, i = 1, 2, 3, 4; gli esponenti ^ e 0^ sono le radici dell’equazione determinante, ordinate per parte intera decrescente. Le condizioni al contorno, associate all’equazione differenziale [2.2], fis­ sano le costanti della combinazione. SINGOLARITÀ ALL’INFINITO Studiamo le proprietà delle soluzioni dell’equazione differenziale [2.2] in un opportuno intorno del punto a ll’infinito. A tal fine, è opportuno trasportare al finito il punto all’infinito, con un cambiamento di variabile n ell’equazione: v/(z) + p(z)w'(z) + q(z)w(z) = 0. EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE NEL CAMPO COMPLESSO 145 Effettuiamo il seguente cambiamento di variabile: £ = —, i dw(z) = dw(& d£ = a dw{£) dz dt; dz * dt; ’ /dw(z) \ ==^ d ( g d w & \ = ^ dz\ dz j dt; y* dt; ) ^ </«? J 1*equazione diventa: « V (É ) + 2? - & > [ ? ] } w'(£) + <7(-|-Jw(£) = 0, H ~ p {'| w"(£) + o anche ì) w'(£> + —r ~ vKÉ) = 0 r ■ <f Perché la singolarità a ll’infinito sia Fuchsiana, occorre che: 2 ! -p i V abbia un polo del primo ordine n ell’origine, ? abbia un polo del secondo ordine n ell’origine. I4 L ’analisi svolta comporta che gli sviluppi in g, in un opportuno intorno dell’origine, e in z, nel corrispondente intorno dell’infinito, siano rispettiva­ mente: 2 f -P • + A, + A£ [2.15] — + ^ • + 5 , + ... p \ j j ~ (-2 + A )Z~A' ¥ ~ A^ ì .. 2 + AA, p(z)— -— - r + . » A q( z ) ~ 4 + - z Tri AAdirti -.XX U V A A U i w u u u w Y \s u> v V i d i limzp(z) = 2 + A, finito; ( l\ <71 — 1 •\S/ lim z24(z) = £, finito. CAPITOLO SECONDO 146 Se tutte le singolarità al finito e all*infinito sono Fuchsiane, l ’equazione viene denominata totalmente Fuchsiana. 2.3. Classificazione delle equazioni totalmente Fuchsiane Per le equazioni differenziali del secondo ordine, le cui singolarità siano tutte di tipo Fuchsiano, è possibile derivare un elegante criterio di classifi­ cazione. Consideriamo l ’equazione: >v"(z) + p(z)w'(z) + q(z)w(z) = 0, e supponiamo che le singolarità dei coefficienti siano tutte, quelle al finito (in numero di n) e quella all’infinito, Fuchsiane. L ’equazione viene definita della classe di Fuchs o totalmente Fuchsiana. Indichiamo con (a,}'/-1 le n singolarità al finito, dovrà verificarsi che: 1. per le singolarità al finito: a) p(z) ha poli del primo ordine per z = a h /= 1,2, .... n. b) q{z) ha poli del secondo ordine per z = a h /= 1,2, ..., n. 2. per la singolarità a ll’infinito: a) p{z) ha uno zero del primo ordine a ll’infinito lim zp{z) —2 +A, z —> b) q{z) ha uno zero del secondo ordine a ll’infinito lim z2q(z) =B. z —* — La conseguenza è che le funzionip{z) e q(z) sono delle funzioni razionali che possono essere espresse in termini dei parametri che caratterizzano le singolarità: h A zB . Consideriamo il polinomio. P„(z) = (z - a,)(z - a 2) ... 0? - a n), i valori a/, /= 1 ,2 ,..., n siano tutti distinti. Perché siano rispettate le condizioni 1 e 2, occorre che: P 00 = Q n -M P te) Con Qn-\(z) e2?2//-2(z) si sono indicati polinomi di grado, rispettivamen­ te, n~ 1 e 2n - 2. EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE NEL CAMPO COMPLESSO 147 La ragione dell’introduzione dei polinomi g„_|(z) t R ^ , - 2W» del grado indicato, è dovuta alle restrizioni imposte, n ell’andamento all’infinito, dalla condizione 2. Perché il punto a ll’infinito non sia punto di singolarità per la soluzione, deve valere: 1. La funzione q(z) abbia all’infinito uno zero del quarto ordine. 2. La funzionep(z) sia tale che: lim z p (z ) I -* < H > —2 . Consideriamo l ’equazione determinante per i punti al finito: per z = a,, a ( a - 1) + a (0)a + b{0) = 0. fl(0) p{z) = — - - + a(l) + a(2)(z z ah /..CO) L(l) (z - <3,,)2 z - ah Si è preferito non evidenziare, nei coefficienti a(,) e b(/) dello sviluppo delle funzioni p(z) e ^(z), la dipendenza dai parametri (a/,}, coordinate dei poli, per non ingenerare confusione, causata da eccesso di indici. a (0) = lim (z-a,,)p (z) = g/i —1(e*/,) 1— y nA .PUfih) Infatti: (a,/ - a,)(a„ - a2) ... (a7l— a/(-i)(a,, - a /1+j ) ... (a,, - a„) = ^ i,( 0 dz i « aA Da notare che la funzione p(z)’ ha un polo semplice per z = ah. Il coeffi­ ciente a (0) è il residuo di p(z) nel polo. Valutiamo il coefficiente b(0): ò10) = lim (z - a l,)1q(z) K W )! L ’equazione determinante è: a ( a - 1) + S/i-l(fl/i) „ , ^2/>-2 (^ / 1 )n » * ) [P '(a/r)]2 Le radici a l{0 e dell’equazione determinante, nel punto a,„ godono della proprietà: a ({,)+ a (2)= 1 - a(0) = 1 «(* * ) * Per discutere il punto a ll’infinito occorre riferirsi alle espressioni [2.15]. 148 CAPITOLO SECONDO Si deduce che, per il punto a ll’infinito, la somma delle radici dell’equa­ zione determinante è: A + l. In conclusione, la somma di tutte le radici, in numero di 2n + 2, dell’e­ quazione determinante relativa alle singolarità è: Y 1Qn-\(ah) + À + l = w“ l “" —(A + 2) . i r a («/,) T Pl(*h) Consideriamo una circonferenza C di centro l ’origine e di raggio R tale che tutte le singolarità, al finito, dei coefficienti dell’equazione differenzia­ le, siano contenute all’interno della circonferenza. Per il raggio^ della circonferenza vale: R > \ah |, h —1 ,2 ,..., n. Si ha: n r\ („ \ j p(z)dz = 2/tiVi?.- = 2 ni 2 't'n - W“ hJ P l(ah) L ’integrale a primo membro è indipendente dal valore di R> purché R > |a ìt |, possiamo determinarne il valore, operando il limite lim . J p(z)dz = i j p[z(t )]z(t )dt. Sappiamo che il limite per z - » <*>della funzione zp(z) esiste ed è finito (è dato da 2 + A), quindi la funzione zpiz) è analitica in un opportuno intorno dell’infinito; possiamo invertire l ’operazione di limite con quella di integra­ le e si ha: f p(z)dz = 2 tt/(A + 2). c Si è ottenuta la relazione: In conclusione, la somma di tutte le radici della equazione determinante relativa a tutte le singolarità, al finito e all’infinito, dell’equazione differen­ ziale, vale n —1, cioè il numero delle singolarità al finito meno uno. Si usa classificare le equazioni totalmente Fuchsiane dal numero delle singolarità presenti nei coefficienti. Le equazioni con due singolarità sono banali. Infatti, se si trasporta nel­ l ’origine la singolarità al finito, basta una semplice traslazione, l ’equazione si presenta nella forma: vt/'(z) + —w* (z) + ~ w (z ) = 0. z z2 EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE NEL CAMPO COMPLESSO 149 Le soluzioni sono: Wj ( z ) .-K z a\ w2(z) = con &i e a 2 soluzioni dell’equazione: a 2 + (/i-l)a-{-& = 0. Consideriamo le equazioni con tre singolarità, nei punti a h a2i <*>.L ’equa­ zione assume la forma: W"(Z) h ]z + h2 (z - a x)(z - a2) A , k \Z 2 + k2z + k i K } (7 — - £2)2 Se le singolarità sono tutte e tre al finito, i n a , h t c , quindi nel punto ai­ ri infinito le funzioni p(z) e q(z) sono analitiche, si ha: l W\z) + (z - a)(z —b)(z - c) W ^ « -i. ù (z —a)2(z - ò)2(z - c)2 w(z) = 0. Assegnati i punti in cui sono dislocate le singolarità, i parametri da cui dipende la soluzione sono cinque. Le soluzioni vengono classificate in fun­ zione di questi cinque parametri. Si può ottenere una classificazione alternativa in termini delle radici del­ l ’equazione determinante. Esse sono in numero di sei, ma fra di loro sussi­ ste una relazione, per cui si ritrova che i parametri liberi sono cinque. L ’equazione con tre punti singolari viene denominata equazione ipergeom etrica. Indichiamo con acri, /3/3', y y l le radici dell’equazione deter­ minante nei tre punti singolari «, b e c. La soluzione viene espressa nella forma data da Riemann: a 9 ■a b p c y U' P y' ) Zj Funzione P di Riemann* Si può operare un cambiamento di variabili in modo che le singolarità si trovino in 0, 1, CAPITOLO SECONDO 150 2.4. Applicazioni Come prima applicazione studieremo l ’equazione di Legendre. 2.4.1. Equazione di L ege n d r e Abbiamo visto che per questa equazione vale: p(z) = - 2z (1 -z K l + Z )’ 2z l- z 2 /(/ + !) <700 = 1 - z 2 m2 ^ /(/ +1) ( 1 - z 2)2 ( l - z ) ( l + z ) (1 - z ) 2( l + z)2 Le singolarità dei coefficienti dell’ equazione sono in 1, - 1, <*>e sono tutte Fuchsiane. L ’equazione è totalmente Fuchsiana. La teoria svolta ci assicura che gli unici punti in cui le soluzioni possono presentare delle singolarità sono 1, —1, <*>. I primi due punti si trovano in un intervallo della variabile reale * di interesse fisico (con questa dizione si in­ tende valori della variabile* che corrispondono a coordinate spaziali in cor­ rispondenza delle quali si valuta la soluzione dell’equazione differenziale, soluzione che rappresenta una grandezza fisica, suscettibile di determina­ zione con uno strumento di misura). La soluzione è accettabile se non diverge ( —l e i sono i soli due punti, oltre a ll’infinito, in cui la soluzione può diver­ gere). Il nostro programma è di ricavare la rappresentazione delle soluzioni, in opportuni intorni delle singolarità al finito, e determinare le condizioni per cui le soluzioni non divergano (ricerca delle soluzioni regolari). Il primo passo è di calcolare le radici dell’equazione determinante. Esplicitiamo il valore dei parametri a Qe b0. z0 = - 1 a 0 = lim p(z)(z + l) = l, i— ♦—I z0 = 1 aQ= limp(z)(z - 1) = 1, : 1 2 b0= lim |?(z)(z + l) 2 = —"F> 2 ù0 = lim i?(z)(z—1)2=I I parametri sono gli stessi nei due punti singolari e, quindi, l’equazione determinante è identica nei due punti. Ricordiamo che il valore del parame­ tro m, come discusso nel paragrafo 2.1.1, è un numero intero non negativo. , , m2 _ a ( c c - 1) + a - — = 0, , m m m EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE NEL CAMPO COMPLESSO 151 (Xi - «2 = m, numero intero. Le rappresentazioni delle soluzioni linear­ mente indipendenti w,(z) e w2(z) sono: per z0 = - 1 in oo ^~l,\z) = (z +1)2 | > ,(Z+ 1)', 0 III oo w(“i l}(z) = (z + 1) 1^ J bl{z + 1/ + Aw^i^tz) log (z + 1). 0 per Zg —1 in «*, v-,l!>(z) - (z - 0 22 cKz _ i)'. 0 w^OO = (z —1) 2 2 rf'(z _ l ) , + Awl|l)(z )lo g (z - 1). o Gli sviluppi valgono rispettivamente nei dischi bucati A ^l) e A(l) di rag­ gio 2 e rispettivamente di centro —l e 1. La proprietà che noi esigiamo dalla soluzione è di non divergere in 1 e —1. Ogni soluzione risulta avere per rappresentazione una combinazione linea­ re delle^ soluzioni (z) e w^{z), /= —1, 1, rispettivamente negli intorni A(" 1}e A(l). Notiamo che le soluzioni w ^ z ) divergono, in - 1 e 1, a causa della _m presenza dei fattori log (z ± 1) e (z ± 1) 2. Quindi, il termine wty(z) non deve essere presente nella rappresentazione di w(z), se vogliamo che questa risulti regolare. In conclusione, la soluzione w(z) deve essere ricercata fra quelle rappresentate dal solo termine w [\\z) in A(1) e dal solo termine w(_j!)(z) in A(“ ^: M» = (z + i ) 22 a/(z + 1)7» n> o ni <*, ( z - l ) 2 ^ a , ( z - i y , zGA(l>. [2.16] Riassumendo, una soluzione, per essere fisicamente accettabile, deve ave­ re nei rispettivi intorni bucati la rappresentazione data in [2.16]. Il passo successivo è determinare i parametri incogniti che compaiono nella espressione [2.16]. Consideriamo, preliminarmente, la funzione: <p(z) = w(z) in (1 - z 2)1 consideriamone la rappresentazione in A( l} e A(I). CAPITOLO SECONDO 152 N ell’ipotesi di regolarità, che ha portato alla [2.16], si ha: 2 cj'(z + 1)' * j ______ *1 m i z £ À c 1), ivi analitica, ( z - l) 5 <P(z) = ’ k i - --------— , (z + 1)2 z e A (1), ivi analitica. Le costanti k\ e k2 sono due fattori di fase, abbiamo indicato con À(l) e À(_1) due dischi aperti di raggio 2 e centri, rispettivamente. 1 e - 1 . In conclusione, la funzione <p(z), nell’ipotesi che esista w(z) con le pror.rip.rà dismiss?.. ? analitica in /v” h [ j /\(i) Insieme che contiene un disco aper­ to di centro l ’origine e raggio V3. Per la soluzione dell’equazione vale l ’e­ spressione: m w(z) = ( l - z 2) 2cp(z), f>nroo jpiAm ridila crii v i r r i » xx v x u u t aliti ca la funzione p(z), che compare n« 11»a in un intorno dell’origine che ingloba i punti - l e i . Ribadiamo che questa conclusione è stata raggiunta nell’ipotesi che le premesse di regolarità, per la funzione w(z), siano compatibili con la richie­ sta che w(z) sia soluzione dell’equazione differenziale. N ell’intorno dell’origine, di raggio V3, la soluzione ha lo sviluppo: a h w(z) = ( l - z 2) 22 a „ z " . [2.17] 0 Nella linea concettuale fin qui seguita, il raggio di convergenza della serie deve risultare maggiore di uno. Alla fine del percorso fin qui seguito, parrebbe che abbiamo determinato l ’espressione della soluzione, in un intomo dell’origine che contiene la zona fìsica. La soluzione appare possedere le proprietà di regolarità, sul segmen­ to [—1, 1], che ci premeva richiedere. Per la determinazione conclusiva della soluzione, restano da determinare i coefficienti {a,,}, tuttora incogniti. A tal fine introduciamo l ’espressione [2.17] nell’equazione. Otteniamo le seguenti relazioni di ricorrenza per {an}: (n + m)(n + m + 1) —/(/ ~h 1) (n + l)(tt + 2)' [2.18] EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE NEL CAMPO COMPLESSO Osservazione 2.1 lim 153 11 r a g g i o di co n v e r g e n z a d e lla s e r i e è dato d a : = 1. [2.19] Ciò comporta che sulla frontiera del disco di centro. Vorigine e raggio uno, siano presenti singolarità della soluzione, in aggiunta ai punti di dira­ mazione. Poiché la soluzione non può essere singolare che nei punti in cui siano singolari p(z) e/o q(z), la singolarità aggiuntiva è in - 1 e/o 1. Il tipo di singolarità è certamente quello contenuto nei termini w ^ i z ) e wtyiz) che, a suo tempo, abbiamo esclusi. In un certo senso è riapparsa dalla porta la singolarità che avevamo'buttaLa conclusione è che il progetto della deterni in azione- di uria soluzione re­ golare non ha avuto esito positivo. La soluzione non è limitata in 1 e/o - 1. Q uesto risultato n on è a c ce tt a b ile su b a se fis i c a . Esiste un’unica via d’uscita per invalidare l ’ostruzione, rappresentata dalla divergenza della serie a- progetto di individuare una soluzione delA Tequazione che non diverga nei punti 1 e - 1: che n ell’espressione [2.17] non compaia una effettiva serie, ma una somma finita di termini. Cioè che i termini della serie diversi da zero siano in numero finito. La regola di ricorrenza [2.18] favorisce questa eventualità. Infatti, se per un indice Trisulta a r ~ 0, allora am = 0 Vm > T. In conclusione, le sole soluzioni limitate, e quindi fisicamente accettabi­ li, dell’equazione di Legendre sono quelle per cui un coefficiente a^ risulti nullo. Per realizzare questo obiettivo possiamo giocare sull’ultimo grado di li­ bertà rimasto ancora libero: la costante L Vincoleremo la scelta del valore da assegnare alla costante /, al requisito di rendere nullo uno dei (e, quindi, infiniti) coefficienti dello sviluppo in serie di potenze. La condizione è che /sia tale che, 3 t intero non negativo, per cui: ( t + m )(r+ m + 1) —/(/ +1) = 0. Si è ottenuta una equazione di secondo grado in /, che ha per soluzioni: Delle due soluzioni, la seconda è pleonastica per la componente angolare della soluzione dell’equazione di Laplace, in quanto dà luogo alla stessa CAPITOLO SECONDO 154 espressione per i coefficienti a,„ soluzioni delle relazioni [2.18]. Viceversa, per la componente radiale viene automaticamente contemplata, si veda l ’e­ spressione finale [2.23] della soluzione dell’equazione di Laplace. Quindi, la condizione di regolarità determina /: l = t + m. [2.20] ni e rsono zero o interi positivi, quindi /deve essere zero o un intero posi­ tivo, Inoltre dalla [2.20] si deduce che i valori consentiti per m sono: m = 0, 1....../. In conclusione, tutte le soluzioni regolari sono quelle per cui l è un intero non negativo. Per ogni valore di /, l ’espressione della funzione <p(z) si presenta nella forma di un polinomio di grado /—m a soli termini pari o dispari, a seconda che /—m sia pari o dispari. Osservazione 2.2 L 'equazione è invariante p e r z —> —z, o v v e r o l ’ o p e ­ r a to r e differen ziale rela tivo (cfr.: [2.21] e [2.22]) co m m u ta c o n l'o p e r a to r e parità. C om e g ià o s s e n ’ato a p r o p o s i t o d e ll 'o p e r a t o r e di Hermite, ciò c o n ­ d u c e alla p r o p r ie t à c h e le soluzioni d e l l ’ eq uazione (autofunzioni non d e g e ­ neri dell' o p e r a t o r e differenziale) a b b ia n o pa rità definita, siano p a r i o di­ spari p e r z —» —z. Analizziamo le soluzioni dell’equazione: 1. m = 0. L ’equazione è: f [ ( i- 4 'W ] + '( '+ i ) j W = o. Le soluzioni sono le autofunzioni d ell’operatore differenziale: [2 .21] Dl - {y(x)EL2(~ 1. l):3/(x'),/'O O C£2( - l , l); |;y(i)|<~}, gli autovalori A sono dati da —/(/ + 1), con /intero non negativo. Dimostriamo che l ’operatore L è simmetrico: (Lf, g ) - ( / , =J Lg ) = 1(1 - J / w ^ - [ ( i - - « 2)g 'W ]^ = x1)f(x)g{x) - (1 - x1)f(x )g’(x) }dx. EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE NEL CAMPO COMPLESSO 155 In conclusione: (.lag) - (/, Lg) = [(i V/(x), gW C 3 ,. - [(i = o, La simmetria diL è assicurata. Le autofunzioni di L che, per quanto dimostrato, sono dei polinomi, sor^o fra loro ortogonali, essendo l ’operatore L simmetrico. Il processo di ortogonalizzazione delle potenze in L2( —1, 1) 6 stato già discusso e ha portato alla determinazione dei polinomi di Legendre, indi­ cati con P/(z). Poiché il procedimento di ortogonalizzazione conduce a una soluzione univoca, a meno di una costante di normalizzazione, le au­ tofunzioni di L sono proprio i polinomi di Legendre. Essi costituiscono una base inL 2( —1, 1). La chiusura diL è autoaggiunta. Riassumendo, le soluzioni regolari dell’equazione di Legendre per m = 0 sono i polinomi di Legendre. 2. ni A 0. Le soluzioni regolari dell’equazione vengono chiamate funzioni associa­ li! te di Legendre e indicate P^n{\x). Si presentano nella forma: (1 —x2) 2 X X un polinomio di grado l —m. Abbiamo dimostrato che sono le uniche soluzioni regolari dell’equazione: A [(l x2)y'(x)]fot 1 —xr Come nel caso precedente, la ricerca delle soluzioni si presenta nella forma della determinazione delle autofunzioni di un operatore, indicato conM: M= Dk dx ì - v2’ Mv GL2( - 1 , 1) : 3y\ / 'C L 2( - 1 , 1) & [ 2 . 22 ] -y C L 2( - l , 1); l-xÀ Iy(~ i)l< °°» Il termine m che compare nell’espressione dell’operatore M è un intero prefissato non negativo, come sappiamo Pautovalore X risulta uguale a - /(/ + 1) con /intero non negativo e /^ m. L ’operatore M è simmetrico, la dimostrazione è solo lievemente diffe­ rente da quella esposta per l ’operatore L. La successione: costituisce un sistema ortogonale. Il problema della completezza lo affronteremo nell’ambito dello studio dell’equazione delle armoniche sferiche. CAPITOLO SECONDO 156 2.4.2, A rm oniche s f e r i c h e (Funzioni s f e r i c h e ) Le armoniche sferiche, o funzioni sferiche, sono le soluzioni regolari dell ’equazione che abbiamo denominato delle armoniche sferiche. Di questa equazione abbiamo studiato la soluzione per separazione delle variabili. Le soluzioni sono della forma P(6)Q((p), Le funzioni P(O) sono le funzioni as­ sociate di Legendre, individuate da due indici /, m, numeri interi : 0 ^ m ^ /. Per ogni m abbiamo due soluzioni indipendenti dell’equazione nella va­ riabile <p\ co sm(p, Q(<p) = sinm<p. Le armoniche sferiche sono specificate da due indici. Uri indice inferiore, uguale all’indice / della funzione associata di Legendre, viene denomi­ nato ordine dei'rarmonica. Un indice superiore —m oppure m , a seconda che compaia il fattore cos m<p oppure sinmcp'in Q((p)> m = 0,1, 2 ,..., /. Da quanto discusso si evince che all’ordine /esistono 2/4-1 differenti ar­ moniche sferiche. Riporti amo le armoniche sferiche all’ordine /* 7 7 (0 , (p) = P/(cos 0), 7 (‘ l)(0, <p)=P()\ cos 0)cos <p, Y{}\6, (p) = P (P(cos 0)sin <p9 y (7 ,)(0, cp) = P (f (cos 0) co s m(p, Y(r\A (p)= P (ì'Xcos 0)sinmC3s m = 0, 1, ...,/. Una combinazione 7/(0, (p) di queste 214-1 armoniche sferiche di ordine / è ancora una funzione sferica, cioè soluzione della equazione delle armo­ niche sferiche: 7/(0, ( p ) ~2j [Ai>mco sm (p + Bitmsinm(p]PiniXcos9). MI “ 0 Riprendiamo l ’equazione delle armoniche sferiche 1 i P m «?) d m & sin 0 ++ /(/+1)7(0, <p) = 0, sin0 d0 de sin26 d(p2 con le condizioni al contorno: 7(0,0) = 7 (0 ,2 *), |7(0,?>)l<oo, < «. EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE NEL CAMPO COMPLESSO 1 57 Ricordiamo che le soluzioni limitate, soluzioni regolari, di questa equa­ zione vengono denominate funzioni sferiche o armoniche sferiche. In questa formulazione il sistema differenziale scritto prende l ’aspetto di un problema del tipo Sturm-Liouville. Ci proponiamo di riscrivere l ’equa­ zione differenziale nella forma di un’equazione integrale, o meglio trascri­ vere il problema agli autovalori per un operatore differenziale nella fo$na del problema agli autovalori per un operatore integrale compatto e autoag­ giunto, come abbiamo già operato nel caso del problema di Sturm-Liouvil­ le. In quella occasione si è visto che l ’aspetto centrale del procedimento è il passaggio dall’operatore differenziale al suo inverso. Per far ciò occorre studiare il seguente operatore differenziale (Va, ©, Py. _): V 9 = - i - A sin 3 + -J-JL , sin 3 33 do sìn2$ d(p2 = / rr.'w ( p \ G L - X C ì ) : 3 d ( 6 * ( p ) % d ) %,<pS (0,cp)CZ^Q); g ( 8 , 0) = g(8,2n)-, & d ( S . d ) > d f( 3, d ) . |^(0, p)|<°°, <°°). D, è la sfera unitaria, cioè la sfera di centro 1 erigine e raggio uno, dÙ = sin 6d6d<p., j*d£ì =j sin &d6j d(p, n o o L ’equazione delle armoniche sferiche si scrive, in termini d ell’operatore differenziale, come segue: Va. (p) + A7(3, (p) = 0. Ci poniamo il problema di invertire l ’operatore V0>9,. L ’inversione è pos­ sibile solo in assenza di autovalore zero. Occorre aggiungere una condizio­ ne che escluda l ’auto valore zero. À tale scopo affrontiamo il problema nello spazio L(Q) ©L° = L(O). avendo indicato con L° il sottospazio sotteso da 7 (o}. In L(f2), v 0i 9>non ha autovalore zero. La condizione può equivalente­ mente essere espressa imponendo la restrizione: I Y (8 , (p)dO.= 0. n Infatti, l ’unica delle armoniche sferiche per cui la condizione non è veri­ ficata è: Yl\ M 9)- Questa restrizione va inserita nel dominio Riassumendo, il problema di Sturm-Liouville per requazione delle ar­ moniche sferiche risulta essere sinteticamente espresso dai seguente siste- CAPITOLO SECONDO 15 8 ma (problema agli autovalori con condizioni al contorno omogenee e condi­ zioni di regolarità): W ( 0 ,< p ) + Ar(0,<p) = o, Y(e, <p)£DVof, JV(6>,#ift =0 . n Sotto queste condizioni il sistema differenziale può essere espresso nella forma di una equazione integrale. La determinazione dell’operatore inverso di V0>v permette di ricavare utili proprietà per le armoniche sferiche. L ’operatore inverso di V0>^ è un operatore integrale nelle variabili 9 e cp, ha per nucleo la funzione dì Green G(M, P), funzione di due punti M e P sulla sfera unitaria, cioè funzione di quattro variabili. Considerati sulla sfera unitaria due punti ( p e P(0P, (pP), risulta: G(M,P) = ^ l o g sin Ymp Ymp rappresenta la distanza angolare, al centro della sfera unitaria, fra i punti M e i3: cosyMP= cos Om q o s 9P+ sin$MsinOPcos((pM- (pP). L ’equazione differenziale dà luogo alla seguente equazione integrale (equazione agli autovalori per l ’operatore integrale): 7(M) = A J G(M, P)Y(P)dClp, n, che si scrive esplicitamente: “ h j^ (9 M} cpu, 9Pf (pP)Y{QPì (pP)d£lP. nr Questa equazione integrale determina gli autovalori e le autofunzioni - ele­ menti che abbiamo già determinato. Ciò che la riformulazione, in termini di un operatore integrale, aggiunge a quanto già studiato, deriva dalla osservazione che il nucleo dell’operatore integrale G(M, P) è reale e simmetrico in M e P ed è a quadrato integrabile in L2(Lì)®L2(£3). J j\G(M,P)\2dn.Mdn.P<°°, ntl O/. nr In conclusione G(M, P ) è il nucleo di un operatore integrale compatto e autoaggiunto. Le rispettive autofunzioni, le armoniche sferiche, formano una base in L2(£}), cioè sulla sfera unitaria. Inoltre ogni funzione apparte­ EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE NEL CAMPO COMPLESSO 159 nente a Dv, r è sviluppabile in termini delle armoniche sferiche e la serie converge assolutamente e uniformemente (cfr. proprietà 1.5). SOLUZIONIDELL’EQUAZIONEDILAPLACE Ricomponendo la parte radiale e quella angolare, otteniamo, per la sedu­ zione dell’equazione di Laplace, la seguente espressione generale: (r,e, <p) = É ( V + 5 , r 1'~x)Y,(e, Y [2.23] 1= 0 Le costanti indeterminate vanno fissate in base alle condizioni al contor­ no associate all’equazione di Laplace. 2.4.3. Funzione F La funzione T(z), definita nel piano complesso z, è una funzione che su­ gli interi riproduce il fattoriale. Consideriamo la funzione di variabile complessa, definita nel semipiano $lz > 0 dalla espressione: r(z) = Jexp (-0fI_l*. 0 L ’eventuale divergenza dell’integrando, nell’origine, non crea problemi di convergenza all.’integrale. La funzione è analitica nel semipiano conside­ rato. A tal proposito, basta operare il limite del rapporto incrementale. Deduciamo alcune proprietà della funzione F : 1. Integrando per parti si ottiene: Fexp (-Q + ~ jexp ( —t)tzdt z o 1n quindi T(z) = y F(z + 1) o anche: F(z + l) = zr(z). 2. Iterando il procedimento: T(z + k) = (z + k - l)r(z + k - 1) = (z + k ~ l)(z + k - 2)... (z + l)zr(z). 3. r(l) = oJe x p (-r )A = -e x p (-f)| o = 1. 4. T(k 4-1) = /:! CAPITOLO SECONDO 160 Studiamo la proprietà 1: T(z -t-1) = zF(z). Il primo membro è definito nel semipiano 8ft(z + 1) > 0, l ’eguaglianza al secondo membro vale a estendere la funzione F(z) a questa regione più ampia. Procedendo reiterativamente, si ottiene: T(z + k) = (z + k - l)(z + k - 2)... (z + l)zr(z), e si estende ulteriormente la funzione F(z). Con questa procedura si riesce a estendere T(z) all’intero piano complesso. Il procedimento di estensione produce una funzione, analitica dappertut­ to. tranne che in zero e negli interi negativi, dove l ’estensione presenta dei poli semplici. Lo si evince d all’espressione: r(z) = rì F(z + k) z(z + 1 ) (z 4- k ~ 1) * Il numeratore a secondo membro è analitico nel semipiano 271(z 4- k) > 0 il U K U U u u u u i. y iv A r. r, W i'^ A W lA A A liA l A l i TV-N ~~K o^- 1.1~ _____ A __ i i J K J H O W>AA A j^ A lW - A A p W -i L ----- V_/, i , fi. A i J Dall’arbitrarietà di k deriva la proprietà enunciata. 2.4.4. Equazione di B e s s e l Consideriamo la seguente equazione, che intendiamo studiare nel campo complesso: xry"(x) 4- x yr(x) - (x2 - v 2)y(x) = 0, Equazione dì Bessel L ’indice vè un numero reale e lo si intende non negativo, in quanto com­ pare al quadrato. Con le notazioni precedenti, si ottiene: 1 p i} 0 = t . 7" — 400 = — 2— * 2 z Le singolarità sono in zero e infinito. In zero la singolarità è Fuchsiana. Poiché limzp(z) = 1 e lim z2tf(z) = ©o, la singolarità a ll’infinito non è Fuch( Z —> 0 0 Z —> « stana. Conseguentemente, la soluzione possiede una singolarità essenziale a ll’infinito. Ricaviamo lo sviluppo in un intorno dell’origine. A tal fine, dobbiamo riprendere il sistema [2.12] e particolarizzarlo allo sviluppo in un intorno dell’origine dell’equazione di Bessel. Per far ciò dobbiamo determinare le costanti del problema. Le notazioni sono quelle che compaiono in [2.12]: ~ 1, £[ ~ 0, U2 —0, uy —... = an... = 0, bo = “■v2, b 1=0, b2 ~ ly l?3 = ... = bn... = 0, EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE NEL CAMPO COMPLESSO Ma) = 161 a(a ~ ì) + a ~ v 2t fi (<*) = 0 ,/2(a) = 1,/3(a) =/4(«) =... = 0. L ’equazione determinante//a) = 0 ha come radici a = ± v. Se il valore del parametro v è un numero intero o semintero le due solu­ zioni differiscono per un numero intero. Cominciamo a trattare il caso v dif­ ferente da un numero intero e semintero. Abbiamo due soluzioni: y (]\ x ) ~ x v ^>jci))x li y m ( x) =x“ v^ J c L2)xl. o o Per quanto riguarda la prima soluzione, il sistema di equazioni algebri­ che soddisfatto dai coefficienti { ^} è: c^/oCv) J\Ì£ /+, i 1\ L ì JQ{ V~t~L) = A a(15 c'yfaiv + 2) + c'ò1 c ( 3 )/ o ( v + 3 ) 0 = rlV arbitrario, = u = .c y = - ^ ~ -, + c (1) = 0 = > c(P = 0 , ■ C\Y=------ — nczv-tn) La soluzione ha solo potenze pari. <£>= - - -n(v + n) - h M 1 4"n!(v + l)(v+ 2)...(v+ n ) ’ 1 poniamo clò' = W r irsulta: / (-D * c-(D 2ii ”* m nn\T(v + l)[(v *1- l)(v 4- 2). 2» + v y w (x) = xv ' 2 d ' y " ^ 0 o i \I1 . 1\ *■) * (-1 nir(v + n +1) Il raggio di convergenza della serie vale: iim Ln- 2 = lim n ( 2v + n) ~ C0) c /? Il valore infinito del raggio di convergenza è una conseguenza della cir­ costanza che non possono esser presenti altre singolarità, al finito, oltre quella n ell’origine, in quanto i coefficienti dell’equazione di Bessel presen­ tano singolarità solo in zero e a ll’infinito. CAPITOLO SECONDO 16 2 Questa soluzione viene chiamata funzione di Bessel di 1° tipo e di ordine v e indicata con J v (x). Avendo supposto che l ’indice v non sia un numero intero, né semintero, la seconda soluzione, linearmente indipendente da questa, si determina, esattamente come la prima, ponendo per a il valore —v nel sistema di equa­ zioni algebriche che abbiamo derivato per i coefficienti dello sviluppo. Si ottiene la stessa espressione di /v(;r), con —v sostituito a v. Si usa indicare la soluzione che si ottiene con J - V(x), ogni altra soluzione è una combina­ zione lineare delle due. Se V è un numero intero o semintero, le due radici dell’equazione deter­ minante differiscono per un numero intero e occorre trovare differentemen­ te la seconda soluzione. Abbiamo studiato come costruire, in questo caso, la seconda soluzione. Yale l ’espressione: d w2(z) W|(z) dz Wj (z) w2(z) = w Le costanti/! e£ sono arbitrarie. Questa seconda soluzione si chiama funzione di Bessel di 2° tipo. La si indica con Yv{x). Ogni altra soluzione è una combinazione lineare delle due soluzioni J v(x) e Yv(x). Le rappresentazioni delle soluzioni presentate valgono n ell’intero piano complesso. La soluzione presenta una singolarità essenziale all’infinito. Il comportamento a ll’infini to, in presenza di una singolarità essenziale, di­ pende dal settore del piano complesso in cui si effettua il limite. L ’espres­ sione ricavata non è idonea alla determinazione dell’andamento asintotico della funzione. Per affrontare questa problematica -occorre sviluppare op­ portuni metodi di calcolo, detti metodi asintotici. Bibliografia [ 1 ] L . V. A h lfo r s , C o m p l e x A n a l y s i s , 3 n ed ., M c g r a w H ill, 1 9 7 9 . [ 2 ] N . I. A k ie z e r e I. M . G la z m a n , T h e o r y o f L i n e a r O p e r a t o r s in H i l b e r t S p a c e , F r e ­ d e ric k U n g a r P u b lish in g , 1 9 6 6 . [3] M . G e l ’ fan d e G .E . S h ilo v , G e n e r a l i z e d F u n c t i o n s , v o i. I, A c a d e m ic P re ss , 19 6 4 . [4] A . K o lm o g o ro v e S . F o m in , E l e m e n t i d i t e o r i a d e l l e f u n z i o n i e d i a n a l i s i f u n z i o ­ n a l e , E d iz io n i m i r , 19 8 0 . [5] V .I . S m irn o v , A C o u r s e o f H i g h e r M a t h e m a t i c s , v o i. I l l , p arte 2, P e rg am o n P re ss , 19 6 4 . [ 6 ] A . N . T ik h o n o v e A . A . S a m a rsk ii, E q u a t i o n s o f M a t h e m a t i c a l P h y s i c s , P ergam o n P re ss, 19 6 3 . [7] F. T ric o m i, I s t i t u z i o n i d i a n a l i s i s u p e r i o r e , G h e ro n i, 19 6 2 . Indice analitico Armoniche sferiche, 12 8 , 156 Autofunzioni, 48 Auto spazio, 49 Autovalori, 48 Campo di regolarità, 53 operatore isometrico, 58 operatore simmetrico, 57 quadro riassuntivo. 55 Classificazione delle equazioni totalmente Fuchsiane, 146 Convergenza nello spazio di Hilbert, 47 debole, 47 forte, 47 Convergenza di operatori, 48 debole, 48 forte, 48 uniforme, 48 Criterio di compattezza, 94 Decomposizione spettrale, 94 Equazione delle armoniche sferiche, 128, 15 6 Equazione determinante, 14 2 Equazione di B essel, 160 Equazione di Laplace, 126 Equazione di Legendre, 129 Equazione ipergeometrica, 149 Equazione radiale, 12 7 Equazioni integrali, 108 di Fredholm di 1 “ specie, 108 di Fredholm di 2 a specie, 1 0 8 ,10 9 Funzionale integrale, 9 Funzionale lineare, 3 Funzione 8, 14 , 18, 20 Funzione di Bessei di I s tipo, 162 Funzione di Bessei di 2 ° tipo. 162 Funzione di Green, 1 1 7 Funzione T, 159 Funzione generalizzata, 8 , 15 regolare, 16 punto essenziale, io supporto, 16 Funzione generatrice, 1 1 , 16 Funzione P di Riemann, 149 Funzione 6 ,2 0 Funzioni di Hermite, 85 Funzioni di operatori. 96 in uno spazio a dimensione finita, 96 per operatori limitati, 98 per operatori compatti e autoaggiunti, 99 funzione esponenziale, 100 esponenziale d ell’operatore impulso, 1 0 1 sulla circonferenza, lu i sulla retta. 1 0 1 Funzioni sferiche, 15 6 indice di difetto, 58 Insieme risolvente, 52 Metodo della separazione delle variabili, 12 6 Operatore aggiunto, 35 di operatore non limitato, 38 di operatore inverso, 43 Operatore autoaggiunto (Hennitiano), 43 criteri di autoaggiuntezza, 59 Operatore chiudibile, 37 Operatore chiuso, 37 Operatore compatto, 87 INDICE ANALITICO 166 criteri di compattezza, 94 Operatore di Fourier-Plancherei, 47, 85 Operatore di Hermite, 81 Operatore di proiezione, 86 Operatore essenzialmente autoaggiunto, 43 Operatore impulso, 62 intervallo limitato, 62 estensione autoaggiunta, 68 inverso, 106 intervallo (0, <*>), 68 intervallo ( —«*>, °°), 7 1 Operatore inverso, 3 1 , 4 3 Operatore isometrico, 46 Operatore parità, 83 Operatore posizione, 60 intervallo limitato, 60 intervallo ( —<*>, <~), 62 Operatore simmetrico, 42 Operatore unitario, 47 Operatori integrali, 10 2 di Hilbcrt-Schniidt, 102 Particella su di una circonferenza, 78 Particella su di un segmento, 80 Polinomi di Legendre, 15 5 Problema di Sturm -LiouYillc, 109 Punti di tipo regolare, 53 Rappresentazione matriciale di operatori, 45 Regolarizzazione, 16 valor principale, 17 Relazione di indeterminazione, 77 Risoluzione d ell’identità, 87, 94 Risolvente, 52 Serie di Fourier, 2 1 convergenza nel senso delle funzioni gene­ ralizzate, 2 1 convergenza uniforme, 107 S ^ x ) t S2{X) t S3(.v), 73-74 Singolarità Fuchsiane, 138 Spazi di difetto, 58 Spazio degli impulsi, 76 Spazio delle configurazioni, 76Spazio duale, 6 Spazio K , 10 Spazio S.., 10 Spettro, 50, 52 quadro riassuntivo, 53 operatore autoaggiunto, 57 operatore isometrico, 58 operatore unitario, 58 Spettro continuo, 52 Spettro puntuale, 5 1-5 2 Spettro residuo, 5 1-5 2 Successioni <5-conYcrgcnti, 28 Teorema di Fuchs, 138 Teorem a di Hellinger e Tocplitz, 41 Teorema di Hilbert-Schmidt, 89 Teorema di Osgood, 40 Teorema di R icsz, 5 Trasformata di Fourier, 19 Unitaria equivalenza di Q e P, 72 Valor principale, 1 7 ,2 7