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Endomorfismi

Endomorfismi
1
Endomorfismi diagonalizzabili, autovalori,
autovettori
Sia K un campo, una matrice A ∈
ogni i 6= j, ovvero se è del tipo:

d1 0
 0 d2

A =  .. ..
 . .
0 0
Mn (K) è detta diagonale se aij = 0 per
···
···
..
.
0
0
..
.
· · · dn



 , di ∈ K,

Sia V uno spazio vettoriale di dimensione n su K. Un endomorfismo definito
su V è una applicazione lineare di V in sé stesso. Un endomorfismo f si dice
diagonalizzabile se esiste un riferimento R di V tale che la matrice associata
a f rispetto a R è una matrice diagonale. Rispetto a tale riferimento la
rappresentazione matriciale Y = AX di f è data da:
y 1 = d 1 x1 ,
y 2 = d 2 x2 ,
···
y n = d n xn ,
e dunque assume una forma particolarmente semplice.
Obiettivo fondamentale a cui siamo interessati è determinare condizioni necessarie e sufficienti affinché un endomorfismo sia diagonalizzabile.
1
Siano A e A0 due matrici quadrate di ordine n su un campo K, si dice che A
è simile ad A0 se esiste una matrice invertibile P ∈ Mn (K) tale che:
A0 = P −1 AP.
Si verifica facilmente che la similitudine tra matrici è una relazione di equivalenza.
Teorema 1.1. Sia f : V −→ V un endomorfismo. Siano R e R0 due riferimenti di V e siano A e A0 le matrici associate a f rispetto a R e R0 . Le
matrici A e A0 sono simili.
Dimostrazione. Sia P la matrice associata all’endomorfismo identico:
idV : v ∈ V −→ v ∈ V
rispetto ai riferimenti R e R0 .
La matrice associata a f ◦idV , rispetto a R e R0 è la matrice prodotto A0 P . La
matrice associata a idV ◦f , rispetto a R e R0 è P A. Essendo f ◦idV = idV ◦f ,
si ha A0 P = P A. Posto R = (e1 , e2 , . . . , en ), le colonne di P sono date da:
φR0 (e1 ), φR0 (e2 ), . . . , φR0 (en ),
ed essendo φR0 un isomorfismo e i vettori e1 , e2 , . . . , en linearmente indipendenti si ha che le colonne di P sono linearmente indipendenti, ovvero |P | =
6 0.
La matrice P è dunque invertibile e si ha:
A = P −1 A0 P.
2
Sia V uno spazio vettoriale su un campo K e sia f : V −→ V un endomorfismo. Un vettore non nullo v ∈ V è detto autovettore di f se esiste un
elemento k ∈ K tale che:
f (v) = kv,
l’elemento k è detto autovalore di f . Dunque un autovettore di f è un
vettore non nullo che viene trasformato, mediante f , in un vettore ad esso
proporzionale.
Proposizione 1.2. Ad ogni autovettore è associato un unico autovalore.
2
Dimostrazione. Sia f : V −→ V un endomorfismo, sia v un autovettore di
f e siano k1 e k2 due autovalori associati a v. Dalle relazioni:
f (v) = k1 v, f (v) = k2 v,
segue che (k1 − k2 )v = 0, ed essendo v 6= 0, per la legge di annullamento del
prodotto si ha k1 = k2 .
2
Proposizione 1.3. Sia V uno spazio vettoriale su un campo K, sia f un
endomorfismo definito su V e sia k ∈ K un autovalore di f .
L’insieme:
Vk = {v ∈ V : f (v) = kv},
è un sottospazio vettoriale di V .
Dimostrazione. Osserviamo che Vk è costituito dall’insieme di tutti gli
autovettori di f associati all’autovalore k e dal vettore nullo di V .
Siano v, v0 ∈ Vk , allora f (v) = kv e f (v0 ) = kv0 , da cui segue
f (v + v0 ) = f (v) + f (v0 ) = kv + kv0 = k(v + v0 ),
e quindi v + v0 ∈ Vk .
Siano ora t ∈ K e v ∈ Vk , allora f (v) = kv, da cui segue:
f (tv) = tf (v) = t(kv) = (tk)v = (kt)v = k(tv),
2
quindi tv ∈ Vk .
Il sottospazio vettoriale Vk , definito nella proposizione precedente, è detto
autospazio di f associato all’autovalore k.
Vedremo ora che l’esistenza in V di una base di autovettori garantisce la
diagonalizzabilità di un endomorfismo.
Teorema 1.4. Un endomorfismo f : V −→ V è diagonalizzabile se, e solo
se, V possiede una base di autovettori di f .
3
Dimostrazione. L’endomorfismo f è
un riferimento R = (e1 , e2 , . . . , en ) di V
è una matrice diagonale, ovvero:

d1 0
 0 d2

A =  .. ..
 . .
0 0
diagonalizzabile se, e solo se, esiste
rispetto a cui la matrice associata A
···
···
..
.
0
0
..
.
· · · dn



.

Se C1 , . . . , Cn denotano le colonne di A, si ha che:



d1
 0 




C1 = φR (f (e1 )) =  ..  , C2 = φR (f (e2 )) = 
 . 

0


0
 0 


Cn = φR (f (en )) =  ..  .
 . 
dn
0
d2
..
.



, ...,

0
Dire che A è una matrice diagonale equivale dunque ad affermare che:
f (e1 ) = d1 e1 , f (e2 ) = d2 e2 , . . . f (en ) = dn en .
Ne segue che f è diagonalizzabile se, e solo se, lo spazio vettoriale V possiede
una base B = [e1 , e2 , . . . , en ] formata da autovettori di f .
2
Proposizione 1.5. Sia f : V −→ V un endomorfismo, sia R un riferimento
di V e sia A la matrice associata a f rispetto a R. Se k ∈ K è un autovalore
di f , allora l’autospazio Vk è rappresentato, rispetto al riferimento R dal
sistema lineare omogeneo:
(A − kIn )X = 0.
Dimostrazione. Sia v ∈ V e siano X = φR (v), Y = φR (f (v)) = AX.
Valgono le seguenti equivalenze:
v ∈ Vk ⇔ f (v) = kv ⇔ φR (f (v)) = φR (kv) = kφR (v)
⇔ AX = kX ⇔ (A − kIn )X = 0.
2
4
2
Polinomio caratteristico
Sia f : V −→ V un endomorfismo, sia R = (e1 , e2 , . . . , en ) un riferimento di
V e sia A la matrice associata a f rispetto a R. Il polinomio
pA (t) = |A − tIn |
è detto polinomio caratteristico di f .
Osserviamo che se A = (aij ), allora
pA (t) =
a11 − t
a12
···
a1n
a21
a22 − t · · ·
a2n
..
..
..
..
.
.
.
.
an1
an2
· · · ann − t
risulta essere un polinomio di grado n sul campo K. Osserviamo inoltre che
il polinomio caratteristico non dipende dalla scelta del riferimento, infatti se
R0 = (e01 , e02 , . . . , e0n ) è un altro riferimento di V e A0 è la matrice associata
a f rispetto a R0 , dal teorema 1.1 segue che le matrici A e A0 sono simili,
ovvero A0 = P −1 AP , con P matrice invertibile.
Dunque si ha:
pA0 (t) = |A0 −tIn | = |P −1 AP −tIn | = |P −1 AP −tIn P −1 P | = |P −1 AP −P −1 tIn P | =
|P −1 (A − tIn )P | = |P −1 ||A − tIn ||P | = |A − tIn | = pA (t).
2
In base a tale risultato il polinomio caratteristico di un endomorfismo sarà
nel seguito denotato con p(t).
Teorema 2.1. Sia f : V −→ V un endomorfismo. Gli autovalori di f sono
tutte e sole le radici del polinomio caratteristico appartenenti al campo K.
Dimostrazione. Un elemento k ∈ K è un autovalore di f se, e solo se, esiste
un vettore non nullo v ∈ V tale che f (v) = kv. Ricordando che rispetto a
un riferimento R di V , l’autospazio Vk è rappresentato dal sistema omogeneo
(A − kIn )X = 0, si ha:
k è un autovalore di f ⇔ Vk 6= {0} ⇔ dimVk > 0
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⇔ n − ρ(A − kIn ) > 0 ⇔ |A − kIn | = 0 ⇔ p(k) = 0.
2
Sia k ∈ K un autovalore di un endomorfismo f : V −→ V e sia p(t) il
polinomio caratteristico di f , si definisce molteplicità algebrica dell’autovalore
k, e si denota con ak , il massimo esponente m tale che p(t) è divisibile per
(t − k)m , ovvero
p(t) = (t − k)m g(t),
e g(t) non è divisibile per il polinomio t − k, cioè, in base al Teorema di
Ruffini, g(k) 6= 0. Si definisce inoltre molteplicità geometrica dell’autovalore
k, e si denota con gk , la dimensione dell’autospazio Vk . Esiste una relazione
di diseguaglianza tra la molteplicità algebrica e la molteplicità geometrica di
un autovalore, come mostrato dal seguente:
Teorema 2.2. Sia k ∈ K un autovalore di un endomorfismo f : V −→ V .
Allora si ha:
1 ≤ gk ≤ ak .
Dimostrazione. Poiché k è un autovalore di f , per definizione si ha che
Vk 6= {0}, e quindi gk = dimVk ≥ 1. Poniamo r = gk e sia B 0 = [v1 , . . . , vr ]
una base di Vk . Essendo B 0 linearmente indipendente esso è contenuto in
una base B = [v1 , . . . , vr , vr+1 , . . . , vn ] di V , dove n denota la dimensione di
V . Poiché f (v1 ) = kv1 , . . . , f (vr ) = kvr , la matrice associata a f rispetto al
riferimento R = (v1 , . . . , vr , vr+1 , . . . , vn ) assume la forma:


k 0 · · · 0 a1,r+1 · · · a1n
 0 k · · · 0 a2,r+1 · · · a2n 
 . .
.. ..
..
..
.. 
 . .

. .
.
.
. 
 . .


 0 · · · 0 k ar,r+1 · · · arn  ,


 0 · · · 0 0 ar+1,r+1 · · · ar+1,n 
 . .
.. ..
..
..
.. 
 .. ..
. .
.
.
. 
0 · · · 0 0 an,r+1 · · · an,n
6
e dunque il polinomio caratteristico di f è dato da:
p(t) =
k−t
0
···
0
a1,r+1
0
k − t ···
0
a2,r+1
..
..
..
..
..
.
.
.
.
.
0
···
0 k−t
ar,r+1
0
···
0
0
ar+1,r+1 − t
..
..
..
..
..
.
.
.
.
.
0
···
0
0
an,r+1
···
···
..
.
a1n
a2n
..
.
···
···
..
.
arn
.
ar+1,n
..
.
· · · ann − t
Applicando r volte il teorema di Laplace si trae:
p(t) = (k − t)r g(t).
Poiché p(t) è divisibile per (k − t)r , esso risulta divisibile anche per (t − k)r ,
ed essendo ak il massimo esponente m tale che p(t) è divisibile per (t − k)m ,
si ha che ak ≥ r = gk .
2
3
Caratterizzazione degli endomorfismi diagonalizzabili
In questo paragrafo determineremo una condizione necessaria e sufficiente
affinché un endomorfismo sia diagonalizzabile, espressa in termini del polinomio caratteristico, delle sue radici e molteplicità.
Teorema 3.1. Sia f : V −→ V un endomorfismo e siano k1 , . . . , kt autovalori distinti di f . Gli autospazi Vk1 , . . . , Vkt sono sommandi diretti.
Dimostrazione. Procediamo per induzione su t. Sia t = 2 e siano k1 , k2
autovalori distinti di f . Se v ∈ Vk1 ∩ Vk2 allora f (v) = k1 v = k2 v, da cui
(k1 − k2 )v = 0. Essendo k1 e k2 autovalori distinti risulta v = 0 e quindi
Vk1 ∩ Vk2 = {0}. Gli autospazi Vk1 e Vk1 sono dunque sommandi diretti.
Supponiamo ora il risultato vero per t − 1 autovalori e dimostriamolo per t
autovalori distinti. Occorre dimostrare che ogni vettore della somma Vk1 +
Vk2 + · · · + Vkt si esprime in unico modo come somma di vettori appartenenti
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ciascuno a un Vki . Sia allora v ∈ Vk1 + Vk2 + · · · + Vkt e supponiamo che v si
possa esprimere nei due modi seguenti:
v = v1 + v2 + · · · + vt = v10 + v20 + · · · + vt0 ,
con vi , vi0 ∈ Vki , per i = 1, . . . , t.
Posto wi = vi − vi0 , si ha ovviamente che wi ∈ Vki e inoltre:
w1 + w2 + · · · + wt = 0.
(1)
Applicando ad ambo i membri della (1) l’endomorfismo f si ha:
k1 w1 + k2 w2 + · · · + kt wt = 0.
(2)
Moltiplicando ambo i membri della (1) per lo scalare k1 si ha:
k1 w1 + k1 w2 + · · · + k1 wt = 0.
(3)
Sottraendo membro a membro (3) e (2) si ha:
(k1 − k2 )w2 + · · · + (k1 − kt )wt = 0.
(4)
Il vettore (k1 − k2 )w2 + · · · + (k1 − kt )wt appartiene alla somma Vk2 + · · · + Vkt
che, per l’ipotesi di induzione, è diretta. Ogni vettore di Vk2 ⊕ · · · ⊕ Vkt si
esprime dunque in unico modo come somma di un vettore di Vk2 , uno di Vk3 ,
. . . , uno di Vkt . Poiché il vettore nullo di Vk2 ⊕ · · · ⊕ Vkt è esprimibile come
somma dei vettori nulli di Vki , per i = 2, . . . , t, (ciascuno dei quali ovviamente
coincide con il vettore nullo di V ), dalla (4) si trae:
(k1 − k2 )w2 = 0, . . . , (k1 − kt )wt = 0,
ed essendo gli autovalori distinti, si ha w2 = 0, . . . , wt = 0. Dalla (1) segue
inoltre w1 = 0. Poiché ogni vettore wi è nullo risulta vi = vi0 per ogni
i = 1, 2, . . . , t e dunque la somma degli autospazi Vk1 , Vk2 , . . . , Vkt è diretta.
2
Teorema 3.2. Sia V uno spazio vettoriale di dimensione n su un campo K
e sia f : V −→ V un endomorfismo. f è diagonalizzabile se, e solo se, il
polinomio caratteristico di f ha tutte le radici nel campo K, ciascuna di esse
con molteplicità algebrica uguale alla molteplicità geometrica.
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Dimostrazione. Se f è diagonalizzabile allora V possiede una base B =
[v1 , v2 , . . . , vn ] di autovettori di f , dunque f (vi ) = ki0 vi per ogni i = 1, . . . , n.
Gli elementi k10 , . . . , kn0 sono autovalori di f . Siano k1 , . . . , kt , con t ≤ n, gli elementi distinti tra k10 , . . . , kn0 e sia Bi l’insieme formato dagli autovettori della
base B corrispondenti all’autovalore ki , per ogni i = 1, . . . , t. Denotiamo con
si la cardinalità dell’insieme Bi . Essendo:
B = B1 ∪ B2 ∪ · · · ∪ Bt ,
ne segue che s1 + s2 + · · · + st = n. Inoltre poiché Bi è un sistema linearmente
indipendente contenuto nell’autospazio Vki , si ha:
si ≤ dimVki = gki ≤ aki .
Sommando membro a membro queste disuguaglianze si ottiene:
n = s1 + s2 + · · · + st ≤ gk1 + gk2 + · · · + gkt ≤ ak1 + ak2 + · · · + akt ≤ n.
Dunque deve essere:
ak1 + ak2 + · · · + akt = n,
gk1 + gk2 + · · · + gkt = n.
Dalla prima uguaglianza sege che il polinomio caratteristico p(t) di f ha tutte
le radici nel campo K. Essendo inoltre gki ≤ aki , dalle due uguaglianze precedenti, si ha che aki = gki per ogni i = 1, . . . , t. Quindi tutte le radici di p(t),
ovvero k1 , . . . , kt , hanno molteplicità algebrica uguale a quella geometrica.
Supponiamo inversamente che il polinomio catatteristico p(t) di f abbia tutte
le radici in K, ciascuna con molteplicità algebrica uguale a quella geometrica.
Siano k1 , . . . , kt le radici distinte di p(t), essendo per ipotesi k1 , . . . , kt ∈ K ,
si trae:
ak1 + ak2 + · · · + akt = n,
ed essendo inoltre, per ipotesi, aki = gki per ogni i = 1, . . . t, si ha:
gk1 + gk2 + · · · + gkt = n.
Gli autospazi Vk1 , . . . , Vkt sono sommandi diretti, dunque:
dim(Vk1 ⊕Vk2 ⊕· · ·⊕Vkt ) = dimVk1 +dimVk2 +· · ·+dimVkt = gk1 +gk2 +· · ·+gkt = n,
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ovvero Vk1 ⊕ Vk2 ⊕ · · · ⊕ Vkt = V .
Sia ora Bi una base di Vki per ogni i = 1, . . . , t. L’insieme:
B = B1 ∪ B2 ∪ · · · ∪ Bt
è una base di V formata da autovettori di f . L’endomorfismo f risulta pertanto diagonalizzabile.
2
Osservazione. Sia f : V −→ V un endomorfismo e siano k1 , k2 , . . . , kt
gli autovalori distinti di f . Dalla dimostrazione del teorema precedente segue
che f è diagonalizzabile se, e solo se, V = Vk1 ⊕ Vk2 ⊕ · · · ⊕ Vkt .
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Endomorfismi diagonalizzabili che commutano
In questo paragrafo determineremo una condizione necessaria e sufficiente
affinché due endomorfismi di uno spazio vettoriale V siano simultaneamente
diagonalizzabili, ovvero esista un riferimento di V rispetto a cui le matrici
associate ai due endomorfismi siano entrambe diagonali.
Teorema. Siano f : V −→ V e g : V −→ V due endomorfismi diagonalizzabili. Lo spazio vettoriale V possiede una base di autovettori comuni a f e
g se, e solo se, f ◦ g = g ◦ f .
Dimostrazione. Supponiamo che esista in V una base B = [e1 , e2 , . . . , en ]
formata da autovettori comuni a f e g, ovvero, per i = 1, . . . , n si ha:
f (ei ) = ki ei ,
g(ei ) = λi ei .
Gli endomorfismi f ◦ g e g ◦ f agiscono sui vettori di B al seguente modo:
f ◦ g(ei ) = f (g(ei )) = f (λi ei ) = λi f (ei ) = λi ki ei ,
g ◦ f (ei ) = g(f (ei )) = g(ki ei ) = ki g(ei ) = ki λi ei .
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Da cui segue f ◦ g(ei ) = g ◦ f (ei ). Poiché le applicazioni lineari f ◦ g e g ◦ f
assumono gli stessi valori sui vettori della base B, ne segue che f ◦ g = g ◦ f .
Viceversa supponiamo che f ◦g = g ◦f . Siano k1 , . . . , kt gli autovalori distinti
di f . Poiché f è diagonalizzabile, V è somma diretta degli autospazi di f
corrispondenti a tali autovalori, ovvero:
V = Vk1 ⊕ Vk2 ⊕ · · · ⊕ Vkt .
(5)
Per ogni vettore v ∈ Vki , si ha f (v) = ki v, dunque:
f (g(v)) = g(f (v)) = g(ki v) = ki g(v),
da cui segue che g(v) ∈ Vki . Dunque l’applicazione g, ristretta a Vki è ancora
un endomorfismo.
Siano λ1 , . . . , λs gli autovalori distinti di g. Poiché g è diagonalizzabile si ha:
V = Vλ1 ⊕ Vλ2 ⊕ · · · ⊕ Vλs .
Allora ogni vettore v ∈ Vki si decompone in unico modo come somma dei
seguenti vettori:
v = v1 + v2 + · · · + vs ,
(6)
dove vj ∈ Vλj , per j = 1, . . . , s.
Per induzione vogliamo dimostrare che ogni vettore vj appartiene a Vki .
Per s = 1 si ha v = v1 , dunque v1 ∈ Vki .
Supponiamo che l’asserto sia vero per s − 1 vettori vj e dimostriamolo per s
vettori.
Applicando g ad ambo i membri della (6) si ottiene:
g(v) = λ1 v1 + λ2 v2 + · · · + λs vs ,
(7)
inoltre, moltiplicando ambo i membri della (6) per λ1 , si ottiene:
λ1 v = λ1 v1 + λ1 v2 + · · · + λ1 vs .
(8)
Sottraendo membro a membro (7) e (8) si ha:
g(v) − λ1 v = (λ2 − λ1 )v2 + · · · + (λs − λ1 )vs .
(9)
Poiché il vettore g(v) − λ1 v appartiene a Vki , per l’ipotesi di induzione si ha
che:
(λ2 − λ1 )v2 ∈ Vki , . . . , (λs − λ1 )vs ∈ Vki ,
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da cui segue che v2 ∈ Vki , . . . , vs ∈ Vki . Dalla (6) si trae che anche v1 ∈ Vki ,
resta pertanto provato l’asserto se v si esprime come somma di s vettori.
Poiché, per la (6), ogni vettore di Vki si esprime in unico modo come somma
di un vettore di Vki ∩ Vλ1 , un vettore di Vki ∩ Vλ2 , . . . , e un vettore di
Vki ∩ Vλs , ne segue che:
Vki = (Vki ∩ Vλ1 ) ⊕ (Vki ∩ Vλ2 ) ⊕ · · · ⊕ (Vki ∩ Vλs ).
Se D1 denota una base di Vki ∩ Vλ1 , D2 una base di Vki ∩ Vλ2 , . . . , Ds una
base di Vki ∩ Vλs , allora l’unione D1 ∪ D2 ∪ · · · ∪ Ds = Bi è una base di Vki
formata da autovettori comuni a f e g (per ogni i = 1, . . . , t).
Dalla (5) segue che l’unione:
B1 ∪ B2 ∪ · · · ∪ Bt
è una base di V formata da autovettori comuni a f e g.
12
2