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Articolo per Aprile
Peter Kammerer
GLOBALIZZAZIONE COME DESTINO?
"Cago sull` ordine del mondo,
sono perduto". (Brecht 1928)
1. DOCUMENTI “DI BASE”
Tra i primi grandi documenti -del tutto attuali- che analizzano quel fenomeno che
chiamiamo oggi “globalizzazione”, eccellono:
Immanuel Kant: “Idea di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico” del
1784 e “Per la pace perpetua” del 1795
K. Marx-F. Engels: “L`Ideologia tedesca”, frammenti degli anni 1845/46.
Si tratta di documenti di spirito cosmopolita, come si diceva allora. Il primo è di natura
filosofica e politica, il secondo passa dalla filosofia all` economia politica.
Kant:
La lunga storia dell` unificazione del mondo è un processo portato avanti da guerre e
dal commercio internazionale, fenomeni spesso intrecciati tra di loro. Il carattere
progressivo e addirittura civilizzatore della guerra viene sottolineato da Kant, ma nello
stesso tempo anche messo in discussione. La storia fattasi universale costringe la
specie umana “ad attuare una società civile che faccia valere universalmente il diritto”
ed a “sottrarsi ai mali che gli uomini si recano a vicenda”. Per Kant è iniziato il lungo
periodo della costruzione di un ordine mondiale cosmopolitico nel quale i popoli,
organizzatisi in Stati con una costituzione civile all` interno e con rapporti esterni
anch` essi basati sulle leggi (una grande federazione) bandiscano la guerra e realizzino
il disegno occulto della natura, lo sviluppo multiforme della libertà dei singoli in seno
all` umanità: “Le naturali disposizioni dirette all`uso della ragione hanno il loro
completo svolgimento solo nella specie, non nell` individuo”. Kant si rende conto che
si possa deridere questo progetto, ma è convinto che l` uso della ragione e le stesse
forze materiali, lo stesso commercio, spingano inevitabilmente in questa direzione.
Infatti, il termine commercio ha due significati: attività fondata sullo scambio di merci
e poi, in senso traslato, “essere in corrispondenza continua”, “epistolare” e perfino
“carnale” (Il nuovo Zingarelli). Il mondo diventa una fitta rete di rapporti che per
svilupparsi hanno ormai bisogno della legge e non più della guerra. Può darsi che si
tratti di una storia infinita e che non si raggiunga mai “la pace perpetua”, ma il corso
della storia verso una globalizzazione dei rapporti tra gli uomini è voluto dal destino
(Kant dice dalla “natura”), ma di questo destino gli uomini possono essere gli artefici
coscienti.
Marx/Engels:
Pochi anni dopo queste riflessioni si avvertono le conseguenze devastanti del
commercio internazionale e l` impotenza crescente di individui, di gruppi sociali e di
stati interi di fronte ad esse. Vorrei citare un passo significativo dal “L`Ideologia
tedesca”:
“Come avviene che il commercio, il quale pur non è altro che lo scambio dei prodotti
di individui e paesi diversi, attraverso il rapporto di domanda e di offerta domina il
mondo intero- un rapporto che, come dice un economista inglese, sta sopra di noi come
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il destino nel mondo antico e con mano invisibile ripartisce fortuna e disgrazia fra gli
uomini, edifica e distrugge regni, fa sorgere e scomparire popoli ...” (Opere complete,
Vol. V, Roma 1972, pag. 35).
Il “despotismo” delle forze di mercato costringe l` ottimismo filosofico-politico a
compiere un passo indietro (dalle “idee” alla realtà, dice Marx) ed a domandarsi:
come possono gli uomini riprendere “in loro potere lo scambio, la produzione, il modo
del loro reciproco comportarsi?”. Ma non si tratta solo di un “riprendere”. Il grado
dello sviluppo delle forze produttive ormai raggiunto permette agli uomini di agire “sul
piano della storia universale, invece che sul piano locale". Solo con lo “sviluppo
universale delle forze produttive possono aversi relazioni universali fra gli uomini”.
Agli individui locali si sostituiscono “individui inseriti nella storia universale,
individui empiricamente universali” con una loro capacità di agire coscientemente.
Di questa capacità di agire e di prendere possesso della terra la storia moderna ci ha
fornito un quadro piuttosto inquietante.
2. IL MERCATO AUTOREGOLATO COME DESTINO?
Nella sua critica al marxismo utopico che promette una “ricostruzione del pianeta terra
mediante tecnologia scatenata” Hans Jonas avverte: “Qui per la prima volta la
responsabilità per il futuro storico nel segno della dinamica viene posta con evidenza
razionale sulla mappa etica, e già per questo motivo il marxismo deve essere
costantemente assunto come interlocutore nei nostri sforzi teorici di elaborare una etica
della responsabilità storica” (“Principio responsabilità”, Torino 1990, pag. 158). Fino
alla rivoluzione industriale il sapere e il potere erano “così limitati che la maggior parte
del futuro doveva essere affidata al destino e alla stabilità dell` ordine naturale” (pag.
153). Kant, Marx e Jonas fanno tutti e tre parte ancora di quella cultura che cerca di
rispondere alle esperienze storiche reali. Kant risponde alla rivoluzione americana e
francese e al nascente mercato mondiale; Marx alla scoperta che le forze produttive
scatenate si rivolgono contro l` uomo stesso; Jonas alla crisi del marxismo utopico e al
paradosso che: più si realizzava il suo “programma”, più si allontanava “la felicità”
(pag. 272). Ma tutti e tre hanno in comune di mettere al centro della loro filosofia
critica la responsabilità dell` uomo.
In una “società di mercato” plasmata fondamentalmente dall` economia di mercato, alla
responsabilità si sostituisce il mercato che si regola da sé. Meccanismi autoregolati
tolgono dalle nostre spalle il peso della responsabilità. Questo è un grande sollievo
morale e pratico e solo questo fatto può spiegare che i cosiddetti potenti di questo
mondo girino ancora con la testa alzata. Una raccolta abbondante di grano in un paese
si trasforma in una catastrofe per i produttori di un altro paese; i cattivi programmi
televisivi cacciano quelli buoni; il trasferimento di una fabbrica butta sul lastrico
migliaia di famiglie; i posti di lavoro si creano in un settore che produce bombe, danni
ambientali, stupidità e contemporaneamente in un altro settore “sociale” che cerca di
rimediare a questi danni assistendo i feriti, i malati e gli emarginati culturalmente; chi
è responsabile di questo stato di cose? Il sistema economico-sociale produce effetti che
si abbattono sugli uomini come delle calamità naturali. Il commercio internazionale
distribuisce i suoi beni in forma di “inondazioni”; la disoccupazione è un “flagello”.
Ma le stesse catastrofi naturali ormai sono il prodotto di azioni umane dietro le quali
non è possibile scoprire i responsabili. Scrive Brecht nella chiusura della poesia “Canto
dell` autore drammatico”:
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“Vedo venire innanzi le nevicate,
vedo avanzare i terremoti.
Vedo montagne sbarrare la via,
e fiumi vedo straripare.
Ma le nevicate hanno il cappello in capo,
i terremoti hanno denaro nella tasca interna,
le montagne son scese di vettura,
e i fiumi irresistibili comandano squadre di agenti”.
"L` umanizzazione della natura" naturalizza l` uomo in un modo perverso. Come venire
a capo di questo sviluppo?
Senza una analisi profonda del sistema basato sull` “autoregolazione del mercato”
come quella attuata ad esempio da Polanyi non si riuscirà a comprendere né la
questione destino-responsabilità, né in generale il fenomeno della globalizzazione
(continuo ad usare questo concetto gommoso; per una sua eventuale precisazione vedi:
"Voce globalizzazione" di Linda Weiss, Rassegna Italiana di Sociologia, n. 2, aprilegiugno 1998). Polanyi scrisse nel 1944: “Questo sistema si sviluppava a salti e balzi,
inghiottiva spazio e tempo e creando moneta di credito produceva una dinamica finora
sconosciuta. Al tempo in cui esso raggiunse la sua massima estensione, verso il 1914,
ogni parte del globo, tutti i suoi abitanti e generazioni ancora da nascere, persone
fisiche e enormi corpi fittizi chiamati società per azioni ne facevano parte. Un nuovo
modo di vita si diffuse su tutto il pianeta con una pretesa di universalità che era senza
confronti dall` epocha degli inizi del cristianesimo; questa volta tuttavia il movimento
era ad un livello puramente materiale” (“La grande trasformazione”, Torino 1974, pag.
167).
Questa lunga citazione ci fa capire che molti elementi attribuiti alla “globalizzazione”
o alla “rivoluzione informatica” siano non solo presenti nel modello del mercato
autoregolato, ma anche dovuti al suo funzionamento: la “scomparsa” tendenziale dello
spazio e del tempo, lo sviluppo fatto gravare come ipoteca sulle generazioni future, gli
enormi corpi fittizi che si nutrono di illusioni finanziarie, la pretesa militante di
universalità del modo di vita.
Insomma, se non vediamo la questione della “globalizzazione” nel quadro della lunga
storia del mercato che si autoregola diventeremo vittime di novità che tali non sono (la
pubblicità insegna) e incapaci di cogliere il criterio decisivo: ogni tempo applica
tecniche nuove; veramente nuovo sarebbe se l` uomo potesse riconoscere ed esercitare
la propria responsabilità nella scelta delle tecnologie e nel modo del reciproco
comportarsi.
3. I VECCHI PROBLEMI
Una lettura di “La grande trasformazione” di K. Polanyi ci fa capire che i grandi
problemi di oggi sono problemi vecchi nel senso che erano veramente nuovi nel `700.
Allora erano talmente nuovi da provocare intorno ad essi la formazione di scienze
nuove quali quelle sociali. Come spiegare il fenomeno paradossale della concomitanza
non casuale, ma funzionale tra crescente ricchezza e crescente povertà, questione sorta
nel `700 e da allora sempre di nuovo affrontata fino ad arrivare ai “globalizzatori”
nostri con la loro ennesima proposta di soluzione? Come spiegare il fatto che la
crescente produttività economica non produce tempo veramente libero, cioè ozio nel
significato più umano e più nobile della parola, ma disoccupazione e devastazioni
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culturali? Lo stesso progresso scientifico pare crei più problemi (da addossare al
futuro) di quanti è capace di risolvere perdendo di vista il suo scopo più nobile di
“alleviare la fatica dell` esistenza umana”. Dice il Galilei di Brecht: “Credo che la
scienza non possa proporsi altro scopo che quello di alleviare la fatica dell’esistenza
umana. Se gli uomini di scienza […] si limitano ad accumulare sapere per sapere, la
scienza può rimanere fiaccata per sempre, ed ogni nuova macchina non sarà fonte che
di nuovi triboli per l’uomo. E quando, coll’andar del tempo, avrete scoperto tutto lo
scopribile, il vostro progresso non sarà che un progressivo allontanamento
dall’umanità. Tra voi e l’umanità può scavarsi un abisso così grande che a ogni vostro
eureka rischierebbe di rispondere un grido di dolore universale” (Bertolt Brecht: "Vita
di Galilei", Opere teatrali, Torino, 1963, pp. 115-116).
Vorrei sostenere qui la tesi di un filo rosso drammatico e tutt` altro che esaurito il
quale percorre tempi e concezioni differenti tra di loro: le teorie di Malthus, il discorso
di Hitler davanti agli industriali di Düsseldorf nel gennaio 1932, il Club of Rome e le
percezioni degli ambientalisti circa la limitatezza delle risorse. Cominciamo con
Malthus. Polanyi coglie un pesante “cambiamento di atmosfera” nei pochi decenni tra
la pubblicazione nel 1776 dell`opera di Adam Smith “La ricchezza delle Nazioni”, la
“Dissertation on the Poor Laws” di W. Townsend pubblicato nel 1786 e il “Saggio sul
principio della popolazione ....” di Malthus del 1798. Questo cambiamento era dovuto
al fatto che “ci si rese conto del significato della miseria” (Polanyi, pag. 141).
Townsend è il primo pessimista tra i classici dell` economia (seguiranno Malthus,
Ricardo, Marx). L` impossibilità del sistema di risolvere “la questione dei poveri” lo
induce a ricercare le cause della miseria in fattori biologici. Malthus e Ricardo lo
seguiranno in questa “caduta nel naturalismo”. Malthus spiegherà con realismo brutale
che “all` immensa tavola della natura non c`è posto per tutti” e che l`uomo "nato in un
mondo già preso in possesso e ... del cui lavoro la società non ha bisogno, non ha il
diritto di vendicare nutrimento”. Hitler adopera la stessa logica ferrea quando spiega
agli industriali tedeschi la necessità della razza ariana di conquistare con gli armi “uno
spazio vitale” a spese delle “razze inferiori”. "Date ai popoli che costituiscono oggi il
mercato per i nostri prodotti il nostro tenore di vita e vedrete che sarà impossibile
mantenere la posizione egemonica della razza bianca". “Il limite delle risorse” è infine
un modo ambiguo per non dire “consumo rapace di una piccola minoranza di paesi
sviluppati”. Che il modello di consumo e di produzione oggi vittorioso a livello globale
non sia generalizzabile ed estendibile globalmente è la nuova forma paradossale,
abbastanza nota e documentata, del vecchio problema.
Un altra trama vecchia che percorre il processo di globalizzazione è costituita dalla
colonizzazione iniziata con quella di continenti interi e in atto oggi per quanto riguarda
l` uomo stesso, i suoi sensi, il suo “spazio sociale”, il suo patrimonio genetico. La
parola di Georg Büchner nella “Morte di Danton”: “Oggigiorno si lavora in carne
umana” sta all` inizio della produzione di un “uomo nuovo” da parte di una società
sottomessa a destini che si accumulano: la burocrazia come destino (Max Weber), il
mercato come destino, la tecnologia come destino. L` uomo sta diventando un residuo
flessibile costretto non più di addattarsi alla "natura", ma alla "seconda natura", ad un
mondo artificiale creato da lui stesso.
4. AGIRE CON COMPASSIONE
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Vorrei derimere un possibile malinteso. La mia posizione non è quella di un uomo
consumato che vede nulla di nuovo perchè sa già tutto. Al contrario. Penso che non
conosciamo il nuovo, perchè i vecchi problemi si presentano continuamente come
nuovi. Irrisolti ma in forma nuova. Prima ogni secolo, poi ogni decennio, poi ogni anno
si presentano delle rotture, dei limiti, delle soglie considerate poco tempo prima ancora
come invalicabili. Come trovare dei criteri che reggono? Come trovare una risposta che
sia veramente nuova? Temo che per ora ci rimane nient`altro che seminare dei dubbi e
di riattivare una capacità di "compassione" rifiutata da Malthus, derisa da Nietzsche e
sacrificata dalla nostra civiltà sull` altare delle grandi e ferree leggi della storia, del
mercato, del progresso ecc. ecc.
Due citazioni:
Hans Jonas: "Con l` insediamento al potere della tecnologia (quella rivoluzione non
pianificata da nessuno, del tutto anonima e irresistibile) la dinamica della storia ha
assunto degli aspetti che non erano inclusi in nessuna concezione precedente né
potevano venire previsti da alcuna teoria, neppure da quella marxista -una direzione
che anziché un compimento, potrebbe determinare una catastrofe universale, e un ritmo
la cui accelerazione impetuosa, esponenziale, inquietante, minaccia di sottrarsi a ogni
controllo. Certo è che non possiamo più confidare in una “ragione della storia” e che
parlare di un senso autorealizzantesi degli eventi sarebbe una leggerezza” (pag. 159).
Karl Polanyi: "Ma poichè non si può, non si vuole e in effetti non si dovrebbe
interrompere volontariamente l` avventura di un ambiente sempre più artificiale, se l`
uomo deve continuare a vivere sulla terra si deve risolvere il problema di adattare la
vita, in un contesto siffatto, alle esigenze dell` esistenza umana. Nessuno può dire in
anticipo se un adattamento del genere sia possibile, o se l` uomo debba perire nel
tentativo di realizzarlo." (in: "Economie primitive, arcaiche e moderne", Torino 1980,
pag. 59).
E la compassione? L` uomo con i suoi sensi e il suo corpo costituisce una resistenza
alle trasformazioni, segna i limiti e le soglie dello sviluppo, trova la sua perfezione nel
lavoro creativo, nell` ozio e nell` abbondanza (non espressa in merci!). Solo attraverso
la cura dell` uomo concreto questo diventa ricchezza: l` uno la richezza dell` altro,
come Marx scrisse nei "Manoscritti filosofici". La violenza che si abbatte
sistematicamente sugli uomini per trasformarli in "esseri funzionanti" e la cultura che
premia questo "funzionamento" meritano la nostra compassione e la nostra resistenza.
Misurare e confrontare con questa visione "umanistica" la globalizzazione come tappa
dell` evoluzione degli individui e della specie, questo, credo, è il lavoro che ci aspetta.
Sapete tutti che i fenomeni si vedono chiari nella luce o dell` alba o del tramonto. I
classici hanno visto il processo di globalizzazione all` alba. "Globalizzazione dal
basso" significa per me costruire un interlocutore collettivo e critico delle loro paure e
delle loro speranze.
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