Capitolo terzo: Fraternità, sviluppo economico e società civile. Tratta in particolar modo del mercato e dell’attività economica nell’epoca della globalizzazione, epoca che risente di modelli competitivi legati a culture tra loro diverse ma che ha necessità di “leggi giuste e di forme di distribuzione guidate dalla politica” e inoltre di “opere che rechino impresso lo spirito del dono”. “L’economia globalizzata - leggesi nell’enciclica - sembra privilegiare la prima logica, quella dello scambio contrattuale, ma direttamente o indirettamente dimostra di aver bisogno anche delle altre due, la logica politica e la logica del dono senza contropartita”. Occorre poi guardare all’impresa, alla gestione dell’impresa con occhi diversi, cioè non deve tener conto degli interessi dei soli proprietari della stessa, ma anche dei lavoratori, dei clienti, dei fornitori, di tutta la comunità di riferimento. In questi ultimi tempi l’impresa appare dominata da “una classe cosmopolita di manager che spesso rispondono solo alle indicazioni degli azionisti di riferimento costituiti in genere da fondi anonimi che stabiliscono di fatto i loro compensi”. Per quanto riguarda la globalizzazione “a priori, non è né buona né cattiva”. Non dobbiamo esserne vittime, ma protagonisti, “guidati dalla carità e dalla verità”. I processi di globalizzazione, se ben gestiti, possono offrire la possibilità di una ridistribuzione della ricchezza; se mal gestiti possono invece far crescere povertà e diseguaglianze. E’ necessario fare in modo che la ridistribuzione della ricchezza non avvenga con una ridistribuzione della povertà od una sua accentuazione ma “orientare la globalizzazione dell’umanità in termini di relazionalità, di comunione e di condivisione”.