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Psicopatologia dell'Adolescenza e dell'Infanzia

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Psicopatologia dell’Adolescenza e
dell’Infanzia
1 DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
Per comprendere i disturbi del comportamento alimentare è importante, prima di tutto, comprendere
l’adolescenza, in quanto è il lasso di tempo in cui maggiormente esordiscono questi disturbi. Questo è infatti
un periodo caratterizzato da: modificazioni corporee, tentativi di definizione dell’identità, riemersione delle
pulsioni sessuali, distacco dagli oggetti d’amore infantili, intensificazione del narcisismo e nuove relazioni con
i coetanei.
Dal punto di vista psicoanalitico, poi, è possibile tradurre questi elementi come la “struttura” su cui si articola
quel percorso fatto su un “doppio binario” che vede il soggetto preso fra due istanze. Da un lato 1)l’istanza
narcisistica, legata ai cambiamenti fisici del soggetto che si sostanziano, anche, in un incremento del
pulsionale. Dall’altro 2) l’istanza relazionale, ovvero una nuova modalità di mettersi in rapporto con gli
oggetti, modalità fortemente influenzata dall’incremento pulsionale.
Di fronte a questa nuova pulsionalità, il soggetto adotta delle difese sia contro gli impulsi1 (il soggetto tende
a non prendere in considerazione le sue spinte verso l’indipendenza, preferendo continuare ad assecondare
le figure genitoriali), sia contro i legami oggettuali (sono i casi contrari in cui il soggetto tende ad evitare i
legami con i genitori, appunto perché in preda a questa “smania di autonomia). Nello specifico avremo
spostamenti dell’affetto per i genitori verso i pari, l’inversione dell’affetto, ritiro della libido verso il Sé, o
regressioni a stadi libidici precedenti.
Se questi elementi “fisiologici” dell’adolescenza possono spiegare da un lato l’insorgere della maggior parte
di questi disturbi in questo periodo, è però importante notare come esistano dei fattori predisponenti per la
scelta del sintomo. Questi elementi possono essere divisi in tre categorie:
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

Individuali: genere, età, storia di sovrappeso e di diete in età infantile, malattie croniche (es.
diabete mellito), tratti ossessivi di personalità, aspettative esasperate, perfezionismo patologico,
difficoltà nel processo di individuazione-separazione, rifiuto del corpo adulto, forme infantili di
dipendenza.
Familiari: disturbi anoressici in madre e/o sorelle, disturbi maniaco-depressivi nel contesto
familiare, scarsa definizione dei ruoli del gruppo familiare e mito del successo.
Cultura: competitività esagerata, esaltazione della magrezza, mito della bellezza, le sollecitazioni
molteplici e contraddittorie in generale.
1.1 FAMIGLIA E DCA
Quando si studia il rapporto tra paziente e famiglia bisogna ricordarsi di tener in conto sia la “famiglia reale”
(esterna) che quella fantasmatica (interna). Molto spesso, infatti, il DCA emerge nel momento in cui un
fantasma interno trova una conferma nella realtà esterna.
Nello studio della famiglia ha elevata importanza lo studio del transgenerazionale. Il transgenerazionale può
esser spiegato come la trasmissione di un deficit di mentalizzazione del genitore al figlio, a sua volta tale
1
Si può già anticipare il fatto che l’anoressia spesso viene intesa come una forma di difesa da questi impulsi verso
l’indipendenza, un tentativo per fermarli.
deficit potrebbe derivare da una carenza del nonno. In sintesi l’evento traumatico potrebbe essere avvenuto
anni e generazioni fa, ma ripresentarsi oggi.
Come accennato sopra in molti casi l’anoressia spesso si sviluppa in situazioni familiari di tipo fusionale, e
quindi la sintomatologia può esser letta come un tentativo di “staccarsi” da questo “accudimento invadente”.
1.2 DCA COME CONDOTTA DI DIPENDENZA
L’anoressia può esser letta come una condotta di dipendenza da rifiuto. Non esistono delle strutture di
personalità caratteristiche dei disturbi di dipendenza, e infatti si possono individuare diverse teorie rispetto
all’eziopatogenesi di questi disturbi. È poi importante notare come molti soggetti con diagnosi di anoressia
mostrino poi comorbilità con la diagnosi di abuso e dipendenza da sostanze.
1.2.1 Diniego
Vede l’anoressia come un tentativo di non pensare alla morte, un tentativo perverso di dominarla.
1.2.2 Brusset Cristophe
Brusset vede l’anoressia come il risultato di un “entrata anticipata” del soggetto nell’adolescenza.
L’anoressia, quindi, sarebbe una sorta di moratoria alimentare che permette di vivere questo senso di
indipendenza, e di svilupparlo. Ovviamente in maniera patologica in quanto l’indipendenza viene agita e non
pensata. Paradossalmente la condotta anoressica, però, porta i genitori ad aumentare le attenzioni verso la
figlia: questa incongruenza mostra ancora meglio come il sintomo si faccia portavoce di questa
“impreparazione” del soggetto all’ingresso nell’adolescenza.
1.2.3 Laufer
L’anoressia nascerebbe da un rifiuto del corpo sessuale, ovvero di quel corpo che cambia e che richiama al
distacco dai genitori (= oggetto materno-genitoriale). Smettere di alimentare il corpo, quindi, come tecnica
per bloccare questo processo di distanziamento dall’infanzia.
1.2.4 Jeammet
Parte anche lui dalla constatazione che l’adolescenza è un momento importante in quanto terreno dove si
scontrano la dipendenza del bambino dai genitori e, allo stesso tempo, il loro sviluppo. Proprio su questo
conflitto si inserisce il parallelo con la condotta di dipendenza poiché essa ha come scopo principale:
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Difesa da Dipendenza Affettiva
Controllo della Distanza Relazionale
Salvaguardia dell’Identità
Il nucleo del problema è il conflitto tra l’estremo bisogno di vicinanza, di fusione, e la paura di essere intrusi
e occupati dall’altro che caratterizza ognuno di noi ma che certo è esasperato al massimo in
adolescenza diventando esplosivo. La coppia anoressia / bulimia rappresenta così una concretizzazione di
questo paradosso in cui : “ciò di cui ho bisogno mi minaccia”. Per questo Jeammet pensa che l’anoressia e
più in generale i DCA rappresentano solo una variante delle condotte di dipendenza che celano un grande
bisogno di riconoscimento legato ad una grande insicurezza interna. Ed è in ragione di questa insicurezza
che gli inevitabili incidenti che si possono incontrare in adolescenza rischiano di innescare la paura di essere
sopraffatti e/o di perdere il controllo. Cio’ si traduce in una chiusura che diventa concreta e impedisce il
nutrirsi per il timore di essere invasi dal troppo bisogno dell’altro, di cibo.
Cercando altri punti in comune tra condotta tossicomanica e DCA notiamo che entrambe tendono ad
autorinforzarsi, ed agiscono su un terreno depressivo (che cercano di evitare). Altro aspetto importante, se
non il più importante, è che dca e tossicodipendenza si presentano come una cortocircuitazione del
pensiero.
2 AUTOLESIONISMO
È un fenomeno in aumento che coinvolge sempre un maggior numero di ragazzi. Tuttavia solo pochi casi
giungono ai servizi, in media 1/8.
L’atto autolesivo solitamente è seguito da altri atti autolesivi e spesso la cosa diviene contagiosa-> un po’
come le soluzioni tossicomaniche e/o anoressiche. Il grosso problema è che spesso poi l’autolesionismo si
risolve nel suicidio, questo può essere inteso come risultato del fatto che l’atto autolesionista è una
richiesta d’aiuto, che se non viene presa sul serio deve essere espressa con sempre maggior forza. Altro
aspetto è rispetto all’infliggersi del dolore, l’autolesionismo può quindi esser letto come un tentativo di
dimostrarsi che nonostante ci si faccia del male non si muore: un mettersi alla prova.
Secondo il DSM-5 l’atto autolesionistico serve per innescare una sensazione durante l’atto.
Il metodo preferito per infliggersi dolore è il self-cutting, sia nei maschi che nelle femmine. Sembrerebbe
poi, secondo una stima di uno studio italiano poco affidabile, che il 20% dei giovani abbia o messo in atto
un pensiero suicidario o messo in atto un comportamento autolesivo. !!! avere pensieri suicidari, in
adolescenza, e in una quantità discreta è fisiologico.
Alla base degli atti autolesivi è ricorrente trovare tratti di personalità impulsivi ma anche depressivi, anche
se è da riconoscere come l’impulsività sia preponderante. Che il soggetto, di fronte all’evento traumatico,
vada a far ricorso ad atteggiamenti autolesivi piuttosto che suicidari dipende molto dal “repertorio di
comportamenti” che possiede (se ad esempio è stato in contatto con soggetti che mettono/hanno messo in
pratica condotte autolesive ecco che opterà per questa via piuttosto che per il suicidio, e viceversa).
2.1 ASPETTI IN COMUNE FRA CONDOTTE AUTOLESIVE E TENTATIVI DI SUICIDIO
Sicuramente sia i tentativi di suicidio che l’autolesionismo mostrano una minor inibizione
comportamentale, ovvero una maggior impulsività, che è poi legata ad una difficoltà nel vivere e pensare le
emozioni (= alessitimia). Oltre a ciò si aggiunge, come già detto, l’umore triste e depresso che può esser
letto come “fattore scatenante”. Il suicidio, ovviamente, necessita della capacità di passare all’azione.
2.2 INTERPRETAZIONI DELL’AUTOLESIONISMO IN PSICOANALISI
2.2.1 Lemma
Lavora molto intorno al concetto della perdita
L’autolesionismo può assolvere i compiti inconsci di: 1) negare la separazione o la perdita, nel senso che il
taglio sanziona una perdita che è altrimenti inaccettabile. 2) tentare la separazione, nel senso di strappare
l’Altro, questo altro può essere inteso sia come la persona con cui mi relaziono (che viene sentita come
troppo vicina, invadente) ma anche come parti di me che non riesco ad accettare: ferisco qualcuno (ad
esempio con un litigio) o vengo ferito da quel qualcuno e quindi cerco di “togliermi di dosso” quella parte di
me che ha offeso o è stata offesa. In generale si sta tentando di separare da sé degli oggetti di relazione.
Legata a questa interpretazione c’è poi quella dell’ 3) attacco all’oggetto, nel senso che ferisco me per
attaccare quell’oggetto che mi fa male, questo pensiero mostra in tutto la sua forza gli esiti
dell’indifferenziazione (me=lui -> attacco me=attacco lui).
Una spiegazione più “soggettivista”/”personalistica” riguarda il fatto che il soggetto cerca si sente
4)frammentato, quindi grazie alla sensazione di dolore, quindi, il soggetto può tornare ad auto-percepirsi, a
sentirsi vivo come ente unico. Come se il segnale di dolore fosse anche segnale di vita. Oltre a ciò è
possibile individuare anche una componente identitaria: sono l’autolesionista. Con tutti i rimandi gruppali
garantiti dalla rete e dal gruppo in genere.
Infine Lemma propone anche una visione dell’autolesionismo come meccanismo di difesa contro la
4)vergogna per il proprio corpo-> mostro una sola parte di me, attiro l’attenzione dell’altro, controllo lo
sguardo dell’altro così non guarda il “mio-corpo-schifoso” (cfr. con l’anoressia): il soggetto diventa quel che
l’altro vede, e si identifica con quello così da poter fuggire dalla sua vera identità, derelitta.
L’autolesionismo sia come tentativo di proteggere la propria vera identità sia come mezzo per separarsene.
2.2.2 Rossi Monti
1) Tagliarsi diviene un modo per rendere concreto un dolore psicologico. Balottin non è d’accordo poiché
se fosse un dolore psicologico non ci sarebbe bisogno di agirlo, secondo lei è invece un dolore non ancora
pensato, un dolore iscritto nel corpo.
2) Una seconda visione, già presente nel pensiero della Lemma, è quella dell’autolesionismo come tentativo
di punire, estirpare e purificare. Anche in Rossi Monti, quindi, l’autolesionismo diviene un mezzo per poter
attaccare e staccare elementi non accettati di Sé. Un aspetto che però viene aggiunto è quello della
sequenza traumatica: un trauma ha rotto le capacità di pensiero dell’individuo, e quindi questo elemento
non pensato rimane nella psiche come buco nero, e quindi l’azione diviene un mezzo per poter
“padroneggiare” il trauma impensato. 2.1) Il padroneggiare si declina poi anche in un divenire se stessi gli
agenti attivi del trauma, e quindi non sentirsi abbandonati al destino: un volgere in attivo dove
l’autoriferimento agisce come uno strumento per trasformare in attive le esperienze vissuta con
impotenza.
3) Soprattutto nei casi in cui vi è una forte disforia, l’autolesionismo si inquadra come meccanismo teso al
controllo di tali sentimenti. Di nuovo torna poi, soprattutto con i borderline, la ricerca di esperienze vive e
stimolanti per interrompere la derealizzazione.
4) Costruire una memoria di Sé, torna ancora quel bisogno di identità (che altrimenti sarebbe dispersa),
nonché di fissare sul corpo le esperienze traumatiche del soggetto. Segno sul corpo i momenti più significativi
della mia vita (e traumatici) così da ricordarmi chi sono.
3 DISTURBI AFFETTIVI: DEPRESSIONE, LUTTO E SEPARAZIONE
La depressione è un disturbo difficile da definire, soprattutto perché essa è sia uno stato d’animo
“passeggero”, sia un sintomo di altri disturbi (un sintomo trasversale, presente nella gran parte dei disturbi
nevrotici e psicotici) ma anche una patologia a sé. Si potrebbe quindi concludere che la depressione è più
che altro un affetto, piuttosto che una patologia.
3.1 L’AFFETTO DEPRESSIVO E LA DEPRESSIONE NELL’INFANZIA
Dal corpus delle teorie che hanno cercato di dare una spiegazione della depressione in infanzia è possibile
distinguere due “macro-filoni”. 1) Quello della Mahler, secondo cui la depressione deriverebbe da una
ferita/precarietà narcisistica, e che si esprime in un forte timore dell’abbandono derivante da esperienze
precoci di abbandono. 2) Quello della Klein che vede nella depressione il risultato della gestione
“patologica” della rabbia da parte del bambino, nel senso che la rabbia provata per l’oggetto viene rivolta
dal bambino verso se stesso.
A queste due visioni della depressione come elemento fisiologico dello sviluppo del soggetto, che può poi
degenerare, si aggiunge la voce di Spitz che indaga in maniera più specifica l’insorgenza della depressione
patologica. Egli individua due tipi di depressione infantile a) depressione anaclitica, che riguarda i bambini
separati dalle madri durante i primi 6 mesi di vita e si manifesta con un progressivo distacco dall’ambiente.
b) Ospitalismo, che può essere invece letto come una degenerazione della depressione anaclitica che
insorge per un prolungamento della separazione madre-bimbo. In questi casi, invece, si assiste, oltre al
ritiro degli investimenti libidici nell’ambiente, anche ad una regressione dello sviluppo sia cognitiva ma
anche fisica.
Legata a questa analisi delle conseguenze della separazione madre-bimbo, c’è poi il lavoro di Bowlby
sull’attaccamento che individua le fasi della risposta alla separazione:

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

Protesta: c’è speranza che la madre ritorni.
Disperazione : la speranza viene sempre meno a favore della tristezza
Distacco: perdita di interesse per il mondo circostante.
Rifiuto: il bambino non piange, è inespressivo.
Oltre alla distinzione di Spitz è possibile compierne un’altra:


Depressione da Deprivazione Massiva: ovvero legata appunto ad una perdita molto precoce
dell’ambiente materno. Tale depressione si risolve poi in un alterato sviluppo e un alterato
psicosomaticismo. Tale depressione infantile è detta vuota in quanto organizzata intorno ad una
mancanza di rappresentabilità.
Perdita Secondaria: è una forma per certi versi meno grave in quanto è organizzata intono agli
oggetti interiorizzati (c’è rappresentazione). Il soggetto in questi casi è “pieno di oggetti mancanti”,
che ovviamente vanno a ridurre gli investimenti sull’Io e, quindi, a renderlo più fragile e soggetto ad
attacchi, da cui la depressione.
3.1.1 Depressione Adulta vs Depressione Infantile (Sintomi Depressione Infantile)
Un aspetto importante per la diagnosi di depressione nell’infanzia sono le differenze che esistono tra
l’espressione della depressione nell’infanzia e nell’adultità. Nella depressione infantile, infatti, oltre
all’anedonia e alla tristezza della depressione adulta, troviamo anche l’irritabilità e l’aggressività. Oltre a
questi emergono poi anche sintomi quali l’inibizione delle diverse attività del bambino, soprattutto a livello
motorio (diminuzione delle attività di esplorazione) come anche un ritorno dell’uso deficitario del
linguaggio. Si riscontrano poi perdita dell’appetito (e disturbi precoci della sfera alimentare), disturbi del
sonno, fino ad agiti auto ed etero aggressivi, dallo sbattere la testa sul muro al lancio di oggetti (o morsi).
Ovviamente ci sono poi altre differenze tra la depressione di un bambino di <3 anni vs una di un bambino
>3 anni. Nel primo caso i sintomi si concentreranno più che altro sulla sfera del sonno e del cibo, oltre a
tutta una serie di anomalie nel contatto sociale (sorriso/sguardo). Con l’aumentare dell’età (3-5 anni) il
bambino diventerà sempre più bravo nell’esprimere la sua tristezza (ovviamente con manifestazioni
comportamentali piuttosto che verbali).
In generale, quindi, la depressione del bambino è, più che altro, una depressione agita e somatica, e ad essa
concorrono, da un lato, disordini della mentalizzazione affettiva, e dall’altra, appunto, le dinamiche
depressive agite sul piano somatico.
3.1.2 “Fenomenologia” dell’Affetto Depressivo
Se l’angoscia è questo sentimento di “ansia e apprensione” rispetto a un qualcosa che deve ancora
accadere (anche se spesso non si sa cosa sia questo qualcosa), l’affetto depressivo differisce da ciò proprio
perché riguarda un qualcosa già avvenuto. L’affetto depressivo è quindi un fatto della vita, qualcosa di già
accaduto: una patologia del presente in cui non si ha paura di perdere l’oggetto, l’oggetto è già perduto (o
di aver già perso l’amore dell’oggetto).
Questa descrizione trova conferma nella teorizzazione di Freud che vede la depressione come un lutto.
Nello specifico c’è una fissazione nella fase orale (seconda sottofase) che struttura la personalità in una
modalità per cui la reazione alla perdita dell’oggetto è la sua introiezione. A sua volta questa introiezione
devia le pulsioni che erano verso l’oggetto verso l’Io per cui l’odio e l’aggressività che un tempo “erano
del/per l’oggetto” ora sono rivolte verso/contro il soggetto.
Questi attacchi auto-inferti all’Io sono alla base dei sintomi come: calo dell’autostima, autoaccuse,
autoaggressioni, suicidio. Tutti comportamenti che non sono altro che il mettere in pratica su se stessi ciò
che era destinato all’altro.
3.2 L’AFFETTO DEPRESSIVO NELL’ADOLESCENZA
3.2.1 Lutto
“La depressione ha lo stesso rapporto con il lutto dell’angoscia con la paura”.
Lutto: processo che permette all’individuo di rinunciare gradualmente a ciò che ha perduto. Secondo
Kubler-Ross il lutto segue precise fasi:
1.
2.
3.
4.
Diniego
Rabbia
Negoziazione
Depressione
Accettazione
3.2.2 La Depressione in Adolescenza
Abbiamo già detto come la depressione sia un fenomeno comunque fisiologico nella vita e nello sviluppo
dell’individuo. Nel periodo dell’adolescenza ciò è ancora più vero in quanto non c’è adolescenza senza
depressività. Tuttavia questa depressività, appunto perché fisiologica non deve essere confusa con la
patologia depressiva.
L’adolescenza è depressiva proprio perché è un periodo di perdita identitaria, da un lato lo sviluppo del
corpo, e la perdita di quell’esperienza della corporeità propria dell’infanzia e, collegato a ciò, la perdita
oggettuale dei genitori. Di nuovo, e per l’ultima volta, tutti questi lutti portano l’umore depresso nella vita
dell’adolescente, ma non per questo vuol dire che tale adolescente sia depresso.
I fattori che possono invece far sfociare l’affetto depressivo adolescenziale in una forma patologica sono
piuttosto: diverse perdite contemporanee, debolezza dell’Io, alterazione autostima (cfr. gruppo dei pari) e
ambivalenza. La depressione patologica si sostanzia poi, in un’ottica dinamica, in un ripiegamento
narcisistico.
Ovviamente l’umore depresso in adolescenza non prende solamente due strade, è piuttosto conveniente
differenziare fra:



Reazione Ansioso-Depressiva (fisiologica)
Depressione Melanconica (di stampo più psicotico) -> non mancano i casi in cui questo tipo di
depressioni sfociano in schizofrenia.
Depressione di Inferiorità: una depressione vuota e narcisistica, che fa sentire la persona inferiore
poiché la realtà ha smentito le sue aspettative naricistico-melanconiche. Il soggetto non si sente
amato o approvato e continua a cercare prove del proprio valore. Come accennato sopra questa
depressione è più che altro dovuta al fatto che il paziente ha delle pretese megalomani,
oggettivamente irrealizzabili.

Depressione Abbandonica: una depressione che non è né reattiva né melanconica, è la depressione
che troviamo spesso nei casi dei pazienti border. Proprio per questa “familiarità” con la
sintomatologia border, la depressione malinconica si caratterizza per i frequenti passaggi all’atto,
spesso nella direzione di assunzione di droghe, eccesso di cibo, rapporti omo/etero-sessuali in
un’ottica di “aggrappamento”. Alla base di queste manifestazioni sintomatologiche è possibile
rintracciare delle carenze precoci.
3.2.3
L’Ambiente Familiare dell’Adolescente
Speso le radici della depressione adolescenziale possono essere rintracciate all’interno del sistema
famigliare. Sia per quanto riguarda lo scatenarsi di eventi traumatici, ad esempio lutti e/o separazioni
difficili nella prima infanzia (cfr. regressioni e fissazioni alla fase orale), sia per quanto accennato sopra
rispetto agli ideali megalomani, che spesso il paziente ha “ereditato” dal padre.
3.3 DISTURBI D’ANSIA
L’angoscia insorge nel momento in cui la dotazione maturativa dell’individuo non può più rispondere in
maniera efficace ad una tensione vissuta come minacciosa. Data questa definizione è facile capire come
sotto ansia/angoscia sia possibile ascrivere la quasi totalità dei fenomeni psicopatologici. È allora
importante non fermarsi all’aspetto semeiologico ed approfondire anche quello eziologico.
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

Klein: vede l’angoscia come un dato esistenziale cui nessuno può sfuggire.
Bowlby: la inquadra come una reazione primaria di fronte alla separazione.
Mahler: compare nei primi stadi della separazione.
Tuttavia anche se si riuscisse ad individuare in maniera completa l’origine dell’angoscia ancora non sarebbe
sufficiente per predire il successivo equilibrio psichico: è l’apparato psichico con cui l’angoscia si va a
rapportare che determina la reazione del soggetto a tale evento. In funzione del tipo di apparato psichico
che andrà a gestire questa angoscia avremo poi la messa in pratica di diversi meccanismi di difesa
dall’angoscia: dalle fobie, ai rituali fino all’inibizione.
 Capitolo “a parte” lo costituiscono poi le paure fisiologiche che ogni individuo sviluppa e deve
imparare ad affrontare durante il suo sviluppo.
4 PSICOSI IN ADOLESCENZA E PRE-ADOLESCENZA
Il dibattito rispetto alla diagnosi e alla definizione della psicosi in adolescenza è particolarmente ostico.
Questo soprattutto perché l’adolescenza può essere vista come un “periodo di psicosi fisiologica”, o meglio
un periodo della vita del soggetto in cui quest’ultimo deve riuscire ad integrare nel Sé alcune esperienze di
stampo psicotico. Ovviamente questo non vuol dire che non esistano quadri di psicosi psicopatologica
durante l’adolescenza, ma dà una misura delle ambiguità insite in essa.
4.1.1 Problemi di Definizione
Un altro grosso problema della psicosi riguarda le diverse accezioni con cui viene utilizzato questo termine:



Psicoanalisi: tutte le patologie che non rientrano nei criteri nevrotici (schizofrenia, paranoia, psicosi
maniaco-depressiva).
Come sinonimo di Schizofrenia
Strutturale: indica quei disturbi in cui compaiono: compromissione dell’esame di realtà, perdita dei
confini dell’Io, uso di difese arcaiche, deliri, allucinazioni, disturbi del pensiero.
Altro problema di definizione emerge quando si confronta il quadro psicotico in relazione all’età di
insorgenza, avremo così casi diversi di psicosi:



VEOS (Very Early Onset Schizophrenia): in riferimento a quei casi in cui il disturbo emerge prima dei
12 anni.
EOS (Early Onset Schizophrenia): in riferimento a quei casi in cui la psicosi emerge tra i 12-17 anni.
AOS (Adult Onset Schizophrenia): quando l’insorgenza avviene dopo i 18 anni.
4.2 NOSOGRAFIA DELLA PSICOSI
Il DSM-IV-R (ma bene o male anche il DSM-5) individua diversi quadri psicotici:

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


Schizofrenia
Disturbo Schizofreniforme
Disturbo Delirante
Disturbo Psicotico Breve
Disturbo Schizoaffettivo
4.2.1 Schizofrenia
È un disturbo che dura almeno 6 mesi ed implica almeno un mese di sintomi attivi, ovvero la presenza di
deliri, allucinazioni, eloquio disorganizzato e comportamento disorganizzato/catatonico. Devono poi
mostrarsi anche i sintomi negativi, ovvero appiattimento dell’affetto, alogia e abulia.
Esistono diversi sotto-tipi di schizofrenia: -paranoide, -disorganizzata, -catatonica, -indifferenziata e residua.
4.2.2 Disturbo Schizofreniforme
È un disturbo il quadro clinico è praticamente uguale a quello della schizofrenia, la differenza è nella durata:
in questo caso è inferiore a sei mesi. Oltre a ciò questo tipo di diagnosi non necessità dell’indicatore di
deterioramento delle capacità cognitive.
4.2.3 Disturbo Delirante
Almeno un mese di deliri non bizzarri. Con “deliri non bizzarri” si fa riferimento a quei deliri che fanno
riferimento a situazioni che ricorrono nella vita reale, come essere inseguito, infettato, avvelenato, tradito
ecc. A queste costruzioni deliranti possono poi associarsi anche delle allucinazioni tattili o olfattive legate al
delirio. Anche in questo caso il funzionamento del paziente non è compromesso come nella schizofrenia.
4.2.4 Disturbo Psicotico Breve
Questo quadro diagnostico fa riferimento ai casi in cui, da una situazione di normalità si passa rapidamente
ad uno stato psicotico che dura per almeno due settimane (massimo un mese), per poi tornare alla
normalità. Molto spesso questi casi sono comprensibili come psicosi reattive ad eventi altamente stressanti.
Con episodio psicotico, poi, si fa riferimento alla comparsa dei sintomi positivi della schizofrenia.
4.2.5 Disturbo Schizoaffettvo
Questo episodio prevede la simultanea presenza di un episodio di alterazione dell’umore (depressivo,
maniacale o bipolare) con i sintomi positivi della schizofrenia. Inoltre deve esserci stato un periodo in cui
erano presenti solamente i sintomi psicotici, senza i disturbi affettivi.
In sintesi, in questi casi, vengono soddisfatti sia i criteri per la diagnosi di un disturbo dell’umore che quelli
per la schizofrenia.
4.3 SCHIZOFRENIA AD ESORDIO PRECOCE (EOS)
Per descrivere la schizofrenia ad esordio precoce (ovvero la schizofrenia adolescenziale) è possibile
identificare tre grandi raggruppamenti sintomatologici:



Sintomi Positivi: sono tutte manifestazioni “in eccesso” delle funzioni psichiche, e possono a loro
volta essere divisi in due sottocategorie.
o Sintomi Positivi Psicotici: che comprende i deliri e le allucinazioni.
o Sintomi Positivi Disorganizzati: che riguardano invece l’eloquio e il comportamento
disorganizzato.
Sintomi Negativi: Che riguardano invece l’espressione di un’assenza o di un deficit delle funzioni,
un deficit che esita in un appiattimento dell’affettività. Tra questi appunto: appiattimento del
linguaggio, abulia, perdita di interesse per i contatti con le persone e anedonia.
Relazioni Personali Disturbate: l’insieme dei sintomi deve risolversi in un deficit lavorativo o
comunque nelle capacità del soggetto di stare insieme alle persone.
Nonostante i sintomi necessari per la diagnosi in età adulta siano i medesimi per quella in adolescenza è
anche vero che quali sintomi andranno a manifestarsi e quali no dipende anche largamente dal grado di
sviluppo dell’individuo coinvolto. Nei casi di EOS, infatti, avremo una prevalenza dei seguenti sintomi:




Allucinazioni: soprattutto uditive, i cui contenuti saranno soprattutto di “comando” o minaccia, ma
anche casi in cui le voci commenteranno il comportamento del paziente.
Deliri: riguardano soprattutto il soma, ma anche la grandiosità e, in certi casi, anche la religione,
senza dimenticare i deliri di riferimento.
Disturbi Formali del Pensiero: neologismi, pensiero magico, perdita dei nessi associativi,
deragliamento e pensiero disorganizzato.
Deficit: ritiro, apatia, emotività appiattita.
Oltre all’età di insorgenza è da notare come anche il livello di sviluppo del soggetto influenzi molto il tipo di
sintomi. Nonostante la scarsa omogeneità dei risultati si può dire che più il livello di funzionamento
cognitivo è alto, maggiore sarà la “positività” dei sintomi, e viceversa.
Anche il modo di esordio è differente a seconda dell’età presa in considerazione. Se il VEOS è ad esordio più
“insidioso”, ovvero lento e silente, l’EOS può essere invece sia ad esordio silente che ad esordio acuto.
Decorso: i risultati sono molto contraddittori, l’unica correlazione diretta che sembra emergere con
discreta solidità è quella fra “Piano di assistenza statale” e miglioramento sintomatologico.
4.4 PSICODINAMICA DELLA PATOLOGIA
L’adolescenza, come già detto e ridetto, è la linea d’ombra che segna il passaggio dall’infanzia all’età adulta,
per certi versi può essere quindi letta in termini bioniani come un cambiamento catastrofico, ovvero come
un processo di slegamento e rottura che, se da un lato può portare ad una completa destrutturazione del
Sé del soggetto (soprattutto nei casi in cui vi è un accesso acuto all’adolescenza), dall’altro può anche
divenire occasione di cambiamento e sviluppo.
Nello specifico l’accesso all’adolescenza comporta le seguenti “sfide psicodinamiche”:

Accesso alla Genitalità: ovvero il dover integrare all’interno del sé l’immagine del proprio corpo
sessuato, si tratta di un processo che impegna l’apparato percettivo-sensoriale in una
polisensorialità traumatica. In termini più masticabili ciò fa riferimento al fatto che il soggetto si
trova ad avere a che fare con un aumento della pulsionalità, nonché con il concentrarsi della libido
nella zona genitale. La sessualità genitale connota i processi di pensiero in maniera negativa, in


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

maniera perturbante. Mettendola in termini manginiani l’adolescenza è il secondo tempo del
trauma edipico, essa (avendo accesso a nuove rappresentazioni, ovvero nuove modalità di
significazione degli eventi) fornisce cioè delle nuove interpretazioni delle “scene infantili”
connotandole di una dimensione traumatica che prima mancava.
Oltre a ciò vi è un assottigliamento delle strutture dell’apparato psichico, che si sostanzia poi in un
assottigliamento delle distanze fra attività fantasmatica inconscia e, di conseguenza, facilita
l’emersione di rappresentazioni ed affetti intensi (angoscianti) che mobilitano una gran mole di
meccanismi di difesa (= diniego, proiezione, rinnegamento del corpo).
Risessualizzazione delle Immagini Genitoriali: i genitori, dopo essere stati “snobbati” durante la
latenza, tornano ad essere suscettibili di investimento libidico. Questo però crea confusione in
quanto il soggetto rischia di fare confusione nella ricerca di un nuovo oggetto d’amore nella realtà
ed un ritorno in una nuova situazione edipico-incestuosa.
A questo “rischio” di confusione si aggiunge anche la comparsa di un Super-Io non più protettore,
ma al contrario colpevolizzante, colpa che va ad esacerbarsi con l’aumento della pulsionalità e della
masturbazione.
Ideale dell’Io: il soggetto è in conflitto anche nei confronti del suo ideale dell’Io, da un lato infatti
l’adolescente vorrebbe preservare il suo ideale narcisistico di purezza e perfezione, dall’altro non
può che ritrovarsi “sporco” della colpa per la sua sessualità inarrestabile.
Identità e Versatilità delle Identificazioni: secondo Meltzer la caduta dell’identità nell’adolescenza
è dovuta alla scoperta da parte del soggetto del fatto che i suoi genitori smettono di essere
considerati come onnipotenti e onniscenti, gli unici in possesso del segreto sulla nascita dei
bambini. Di fronte a questa caduta dell’onniscenza genitoriale il bambino può protendere verso una
costruzione autarchica del mondo (si è fatto da solo), e quindi rinnegare il ruolo genitoriale, oppure
accettare che il suo essere al mondo dipende dalla capacità generativa dei suoi genitori.
Lutti: lutto per il corpo dell’infanzia, lutto per l’onnipotenza infantile, lutto per l’onnipotenza
genitoriale, e lutto per l’assenza di temporalità. -> lutto per il “quando sarò grande”.
Meccanismi di Difesa: nuovi meccanismi di difesa, più aderenti alla realtà ma anche più dispendiosi
a livello energetico.
Se queste sono caratteristiche psicodinamiche “strutturali” all’infanzia è però da notare come non esista un
gran consenso rispetto alle teorie eziologiche della psicosi in adolescenza. Si possono individuare tre gruppi:



Teoria del Deficit: spiega i sintomi schizofrenici a partire dal disinvestimento delle rappresentazioni
di parola e di cosa che determinano un ridotto funzionamento dell’Io. A sua volta la debolezza
dell’Io si risolve in una sempre maggior difficoltà a neutralizzare le pulsioni, che a sua volta toglie
energie all’Io che a sua volta va a strutturare un Sé instabile. A questo disinvestimento seguirebbe
poi un iper-investimento delle rappresentazioni di parola per “riguadagnare” rapporto con la realtà.
Il problema è che il precedente disinvestimento a fatto collassare le rappresentazioni di parola che
ora coincidono con quelle di cosa, e quindi vengono trattate in maniera analoga = allucinazioni,
deliri ecc.
Teoria del Conflitto: è quella secondo cui il disinvestimento è causato da un tentativo di difendersi
da un conflitto (una regressione per fronteggiare il trauma.
Diatesi/Stress: la vulnerabilità del paziente dipenderebbe da fattori neurobiologici + genetici.
4.4.1 Modello di Rinsley
È un modello fortemente ispirato ai lavori della Mahler, soprattutto rispetto alla distinzione fatta
dall’autrice fra psicosi simbiotiche e psicosi pre-simbiotiche.

Psicosi Pre-Simbiotiche: sono psicosi che si innestano sul fallimento di un soddisfacente simbiosi
nella relazione madre-bimbo durante i primi due trimestri di vita del bambino. Questo mancato

“Incontro” si traduce poi sia in disfunzioni somatiche (soprattutto deficit neurobiologici, legati
quindi alla postura, all’articolazione delle azioni, la coordinazione e l’integrazione visuo-motori), sia
neurologiche (come il ritardo mentale).
I soggetti che manifestano questo tipo di schizofrenia manifestano i sintomi molto precocemente,
nello specifico questi si sostanzieranno in:
o Incoordinazione occhio-mano-bocca, basati sul fallimentare rapporto con il seno.
o Fissazione autoerotica, che blocca lo sviluppo psicosessuale alla fase delle isole
autoerotiche (= no costruzione dell’Io-corpo).
o La fissazione a livello autoerotico impedisce a sua volta che il soggetto riesca a maturare
efficacemente la barriera di contatto contro gli stimoli esterni.
o Pseudocomunità autistica, costituita dai diversi persecutori reintroiettati.
o Fallimento dello sviluppo della costanza dell’oggetto. Che come è facile immaginare
comporterà a sua volta una grossa difficoltà nello sviluppo dei legami di attaccamento e del
pensiero simbolico.
Questi soggetti, poi, sono soliti presentare diversi sintomi allucinatori visivi, uditivi e tattili.
Psicosi Simbiotiche: queste sono invece dovute ad un fallimento nel processo di separazione fra
bambino e madre. In questo caso quindi il bambino rimane vincolato alla madre, l’unica che gli può
fornire quel “rifornimento” narcisistico di qui egli abbisogna in maniera spasmodica.
In questo caso il bambino è profondamente sensibile alle perdite, ne deriva una personalità
dominata dal bisogno di mantenere costantemente il legame con l’oggetto materno idealizzato,
allo stesso, quindi, anche da forti sentimenti di sospettosità, dubbio, persecuzione e continuamente
minacciati dall’angoscia depressiva, legata alla costante paura di essere abbandonati.
4.4.2 Modello di Ammaniti e Feru
Questo modello parte intanto da una distinzione dei tipi di psicosi a seconda della loro età d’insorgenza.
Avremo così:
I.
II.
III.
Psicosi della Pubertà: caratterizzate da modalità di insorgenza insidiose, dominate
dall’appiattimento affettivo, difficoltà cognitive, elementi bizzarri, assenza della permanenza
dell’oggetto e un’intensa distruttività celata da meccanismi di difesa pervasivi ed arcaici.
Psicosi della Media Adolescenza: in questi casi il crollo psicotico sembra essere scaturito
dall’incapacità di gestire il lutto per gli oggetti d’amore infantili perduti, in quanto tale perdita
genera un sentimento di “interruzione” della linearità del proprio senso di sé. In questi casi la
sintomatologia è meno eclatante e tende piuttosto verso delle “manovre-anti-lutto”, si sostanzierà
quindi in processi tesi al ritiro dalla vita ecc.
Psicosi della Tarda Adolescenza: in questi casi l’esordio psicotico può essere collegato al fallimento
nell’affrontare la sfida rappresentata dalla realtà, e dalle sue richieste.
Ammaniti e Feru leggono tutte queste diverse difficoltà come legate ad una “tridimensionalità”
dell’esperienza adolescenziale: ovvero a tre “nuclei” conflittuali che il soggetto deve risolvere una volta
entrato nel periodo adolescenziale.

Narcisismo e Identità (Aulagnier): l’adolescenza costituisce il momento di conclusione del tempo
utile per poter stipulare le ultime clausole del contratto narcisistico, che garantiscono al soggetto
l’inalienabilità della sua posizione nel mondo. Il soggetto va cioè ad inserirsi nel mondo al di là del
volere parentale. Se però nell’infanzia ha avuto luogo una falla nel processo identificatorio dell’Io è
allora facile che il soggetto non riesca ad accettare/gestire il vuoto dei significati, ad accedere cioè a
quella dimensione esistenziale del limite, una dimensione anti-narcisistica. Una “caduta” del
soggetto in questo senso si sostanzia poi in una perdita della certezza sulle origini, nonché in un
fallimento della capacità di retroattivazione della dimensione storica proiettabile sul passato (?). in



termini meglio digeribili l’adolescente se fallisce in questo compito perde la sua capacità di
storicizzarsi, collocarsi all’interno di una generazione così da poter raggiungere il livello di
autonomia necessario per “funzionare”. In questa “battaglia” per l’acquisizione della temporalità
assume un fattore importantissimo la realtà, che potrà avere funzioni protettrici o al contrario
favorenti l’insorgere della psicosi. Il risvolto negativo si darà nei casi in cui la realtà ricalcherà
episodi avvenuti nella vita arcaica del soggetto. La catastrofe identitaria si risolve poi in una
precarizzazione delle basi narcisistiche (ovviamente) e quindi in una dipendenza dall’esterno,
o meglio della realtà percettivo-motoria -> da qui il bisogno di allucinare.
Corpo Sessuato (Laufer): qui si fa invece riferimento al fatto che l’adolescente vede riaffrontare il
complesso edipico, tuttavia questa volta è accompagnato dalla grande “rinascita” pulsionale
propria dell’adolescenza, e quindi molto più angosciosa. È proprio il corpo dell’adolescente che
mette quest’ultimo di fronte all’inevitabilità della scelta, della sua limitatezza: deve essere uomo o
donna, il suo sviluppo non gli permette più di stanziare nella bisessualità. Il breakdown evolutivo
deriverebbe cioè dall’impossibilità del soggetto di “ritornare” al suo corpo-narcisistico, l’incontro
del soggetto con il suo corpo lo costringe ad un contatto con la realtà. Secondo Laufer è poi
importante riuscire a distinguere i diversi casi di episodio psicotico.
o Episodio Psicotico Acuto
o Funzionamenti Psicotici Duraturi
o Psicosi Strutturate
Asse Economico-Traumatico (Freud-Kestemberg): l’adolescenza, come già accennato sopra, può
essere infatti letta come un secondo tempo del trauma, sia perché rende pensabili/comprensibili
determinati vissuti dell’infanzia dell’individuo, ma anche perché con l’incremento dell’attività
pulsionale il conflitto assume connotazioni fortemente traumatiche.
In ognuno di questi casi viene mostrato il rapporto ambiguo che il soggetto mantiene con la realtà: da un
lato gli oggetti sono sentiti come altamente necessari, e la loro mancanza viene sofferta, dall’altro
l’eccessiva vicinanza degli stessi può esser letta come un’intrusione (leggi minaccia) e quindi innescare
meccanismi di difesa tesi ad allontanare l’oggetto. Allucinazione e delirio servono quindi proprio a questo
scopo.
Come sostiene Bion, infatti, la difficoltà a separarsi implica l’incapacità dello sviluppo dell’apparato per
pensare e, quindi, dello sviluppo del pensiero simbolico. Allo stesso tempo sul versante “interno” le
immagini fantasmatiche acquisiscono sempre più le loro connotazioni arcaiche e quindi aggressive e
minacciose (-> la madre vorrebbe cioè “riassorbire” il bambino, cosa che il bambino teme).
In questa prospettiva il delirio può esser visto come il tentativo di modulare la distanza dall’oggetto
attraverso la proiezione all’esterno o all’interno del corpo, e di recuperare attraverso il ritorno della realtà
dall’esterno ciò che non è rappresentabile a causa dell’impossibilità di accedere ai processi simbolici, né
rimovibile perché frammento della verità storica dell’individuo. (?)
Secondo Jeammet il processo che porta all’autonomia è reso possibile dal supporto offerto dagli oggetti
esterni, in questi casi, però, gli oggetti esterni sono visti come un’ulteriore minaccia.
4.5 SIMBIOSI
Si è detto che la simbiosi, o meglio la sua gestione e l’uscita da essa, è un tema centrale dell’adolescenza.
Secondo Bleger la simbiosi appare caratterizzata da un deficit della personificazione, nel senso di identità e
nello schema corporeo, da una confusione fra i ruoli femminili e maschili e da una comunicazione carente
sul piano simbolico, ma nello stesso tempo più intensa su quello preverbale; anche il parlare è un modo di
agire.
5 PSICOSOMATICA
È importante sottolineare come il bambino sia l’essere psicosomatico per eccellenza, egli è infatti privo di
quelle funzioni di mentalizzazione propri dei soggetti adulti. A ciò è da aggiungere, conseguentemente, che
non è possibile considerare il bambino al di là del suo ambiente (soprattutto quello materno) tanto che si
può dire che ogni psicopatologia infantile sia una psicopatologia del bambino e della madre.
Detto ciò è possibile dare una definizione generale di disturbo psicosomatico: disordine organico la cui
determinazione o evoluzione riconosce una partecipazione prevalentemente psicologica. È in altre parole
un problema di mentalizzazione.

Un’importante distinzione da fare è quella fra sintomo isterico e sintomo psicosomatico: nella
sintomatologia isterica troviamo che il soggetto parla attraverso il corpo, mentre nel caso del
paziente psicosomatico il soggetto soffre attraverso il corpo, viene cioè a mancare la dimensione
simbolica. Il sintomo isterico, infatti, assume delle caratteristiche specifiche che lo rendono in grado
di “trasportare” una dimensione simbolica.
L’eziologia del disturbo psicosomatico poggia, essenzialmente, su due binari: da un lato gli eventi di vita,
ovvero degli avvenimenti traumatici che “invadono” lo psichico del soggetto, soggetto che non avendo a
disposizione le capacità per gestire tale ammontare di eccitamento ricorre alla soluzione psicosomatica.
Nell’altro binario, come già accennato sopra, troviamo appunto delle personalità predisposte allo sviluppo
del sintomo psicosomatico, o in termini bioniani delle funzioni di personalità che mancano di alcuni di quei
fattori necessari per la gestione di determinati contenuti psichici.
!!! attenzione è importante sottolineare la doppia via su cui corre il sintomo somatico -> non esistono
propriamente delle personalità psicosomatiche in senso deterministico, quanto piuttosto appunto delle
funzioni di personalità che possono essere carenti in riferimento a taluni aspetti della vita e, quindi, reagire
ad essi con comportamenti psicosomatici. -> bisogna sempre confrontare la funzione con il suo contenuto.

Per quanto riguarda il bambino possiamo parlare di organizzazioni di tipo comportamentale,
ovvero casi in cui il bambino appare ben adattato all’ambiente, ma allo stesso tempo povero o
privo di vita fantasmatica. Molto spesso questo tipo di organizzazione comportamentale è il
risultato di una carenza affettiva precoce, dovuta a sua volta alla personalità della madre o alla
depressione della stessa (spesso unite alla debolezza della figura paterna).
5.1 SINDROME DEL COMPORTAMENTO VUOTO
Si tratta di bambini caratterizzati da:





un gioco concreto, mancante di tutti quegli aspetti personali che solitamente i bambini vanno ad
inserire all’interno dei loro giochi.
Sono bambini attirati verso le situazioni più concrete. Spesso sono bambini dallo sguardo spento
che non interagiscono in maniera molto attiva con l’ambiente.
!!! sono quadri clinici caratteristici di quelle famiglie dallo status socio-economico molto basso (-> i
genitori erano a lavorare come negri e lasciano il bambino da solo).
Come è facile intuire anche il bambino con organizzazione comportamentale (come l’alessitimico o
la personalità bianca) non sogna.
Attaccamento: sono bambini che hanno difficoltà ad instaurare un legame di attaccamento
specifico con una persona, non differenziano tra una figura ed un’altra, ogni Altro va bene. Sono
cioè bambini che sorridono a tutti, questo non perché sono dei mostri dell’adattamento, quanto
piuttosto perché non sono riusciti ad “erotizzare” il legame con la figura principale di attaccamento.
Di fronte a questa “erotizzazione delusa” il bambino è come se reagisse con un annullamento di
tutta la dimensione affettivo-erotica del legame con l’Altro.
Sono i casi più gravi, quelli che con maggior probabilità confluiranno in una personalità di tipo
psicosomatico.
5.2 MECCANISMI PSICHICI DI SCOMPENSO
Vi sono principalmente due modalità attraverso cui può svilupparsi/insediarsi il sintomo psicosomatico, uno
attivo ed uno passivo.


Scompenso Depressivo: è uno stato di atonia affettiva, casi di depressione che sono privi di tutte
quelle strutture psicologiche invece presenti negli altri casi di depressione, manca sia l’angoscia sia
la disistima sia la colpa. Vi è un nucleo devitalizzato la cui espressione fondamentale è un
funzionamento di tipo operatorio.
Eccesso di Eccitazione: tale eccesso può provenire sia dall’interno del soggetto che dall’esterno. In
questi casi, come è facile comprendere è di fondamentale importanza le modalità di azione e
interazione del paraeccitatorio.
5.3 TRAUMA
Def. Da un punto di vista economico si riferisce all’afflusso di eccitazione che supera la capacità del
soggetto di elaborazione e regolazione. Tale evento provoca la rottura del sistema di paraeccitazione e
porta al congelamento e all’inibizione della funzione psichica.

Il paraeccitatorio dell’adulto è essenzialmente la F(a) di Bion, nel bambino la cosa si complica
poiché il paraeccitatorio è interpersonale (mamma + bambino).
5.3.1 Trauma Cumulativo
È un concetto molto utile per comprendere e lavorare i disturbi di personalità, dove il trauma non è tanto
un unico evento, specifico ed unico, quanto piuttosto un reiterarsi di diversi eventi traumatici che, appunto
si accumulano. -> a reiterarsi sono degli eventi che il bambino non è in grado di gestire con il suo psichico e
a cui reagisce attraverso inibizioni e distorsioni dello sviluppo psicologico.
5.4 SINTOMATOLOGIA DEL TRAUMA IN INFANZIA
Sono molto simili a quelli dell’adultità:





Intrusività: l’esperienza traumatica viene rievocata spesso e involontariamente da parte del
bambino. * nel bambino, a differenza dell’adulto, il trauma viene rievocato, più che verbalmente,
attraverso il disegno e il gioco.
o Ripetizione: in molti casi nel gioco si ripete sempre la scena traumatica, sul ritorno del tema
del trauma. È da notare poi che in questi giochi emerge spesso l’angoscia legata a questi
eventi.
Arousal: che si sostanzia poi in crisi d’angoscia durante il giorno e risvegli improvvisi durante la
notte. Allo stesso tempo il bambino finisce con il voler evitare determinate situazioni
eccessivamente stressanti.
Cognitivo: il bambino è come se fosse intontito, confuso. In alcuni casi regredisce proprio nello
sviluppo.
Pensiero Operatorio: il bambino preferisce i giochi concreti, magari ben regolamentati, rispetto a
quelli di fantasia. Il gioco non genera soddisfazione nel bambino.
Disegno Congelato: le figure dei disegni sono congelate, sono ferme.



!!! in altri casi i bambini reagiscono con un’iper-attivazione, anche arrivando a sviluppare sintomi
molto vicini all’ADHD. La reazione al trauma si sviluppa cioè su due binari: o con un congelamento
dell’attività o con un’iperattività. -> non mancano poi i casi in cui il bambino mostra alti livelli di
aggressività.
Sintomi Ossessivi: alcuni bambini sviluppano sintomi ossessivi legati soprattutto alla sfera della
pulizia. Da un lato questo tipo di comportamento può essere letto come un tentativo di imporre
una certa quantità di controllo sulla realtà che gli appare come altrimenti ingestibile. Allo stesso
tempo può essere possibile rintracciare in questi comportamenti un tentativo di “pulirsi” dallo
sporco che il trauma ha gettato loro addosso (cfr. soprattutto i traumi sessuali).
Esclusione: se i bambini “normali” tendono ad includere l’adulto nel gioco, i bambini posttraumatici sono invece più propensi ad escludere completamente l’altro dal gioco. Giocano da soli
come se non ci fossi, il tutto sempre a scopo protettivo.
5.4.1 Clinica del Trauma
In molti casi il clinico, di fronte ad un paziente che ha subito un trauma, tende a non notare gli aspetti
patologici del comportamento di questo. Anzi, appunto in virtù dei meccanismi di difesa di questi bambini
vi è la tendenza a reputarli normali, una sorta di “diniegare con loro” l’evento traumatico.
Di fronte a questa tendenza a “non notare”, il clinico può incorrere in due errori: da una parte andare a
tralasciare situazioni disfunzionali, mancando così la presa in cura, dall’altra c’è il rischio di andare a vedere
dei traumi laddove non esistono.
6 DISTURBO BORDERLINE DI PERSONALITÀ
La struttura della personalità Borderline si erge su quattro assi:



Relazione Oggettuale: di tipo anaclitico, ovvero una relazione in cui l’Altro mi serve come oggetto
d’appoggio, per sopperire al mio mancante senso di esistenza, e sicurezza dello stesso. In questi
casi l’oggetto non è riconosciuto nella sua interezza, ma in modo parziale, così da poter ignorare la
sua autonomia rispetto a me, e meglio gestirlo psichicamente per i miei bisogni/scopi.
Meccanismi di Difesa Arcaici: i soggetti border sono soliti far ricorso a quei meccanismi propri del
bambino e della sua prima infanzia, nello specifico:
o Scissione: è il meccanismo di difesa cardine del borderline, è ad esso che bisogna imputare i
bruschi passaggi nella valutazione della realtà, con il mantenimento di immagini di sé,
nonché degli altri, come totalmente buone da una parte e totalmente cattive dall’altra. Non
c’è via di mezza, e questo spiega la radicalità dei comportamenti del paziente. !!! la
scissione è importante poiché è anche ciò che permette al paziente di non scivolare in vero
e proprio scompenso psicotico (poiché protegge gli oggetti buoni da quelli cattivi).
o Idealizzazione/Svalutazione: cooperano con la scissione per mantenere queste immagini
parziali di sé e degli altri.
o Identificazione Proiettiva: spiega i meccanismi di controllo dell’Altro utilizzati dal paziente.
o Agiti: in molti casi sono l’unica valvola di sfogo che rimane al soggetto per liberarsi dal
tormento del suo mondo interno.
Angoscia: è un’angoscia anaclitica, legata cioè alla paura di perdere l’oggetto, alla necessità di
averlo sempre a fianco per proteggersi dal rischio di veder dissolta la propria identità. L’angoscia
del borderline è inquadrabile anche come pregenitale, ovvero contemporaneamente sadica,
onnipotente e narcisistica. -> molto spesso l’angoscia assume caratteri persecutori, soprattutto
quando vengono tradite le aspettative del soggetto.

Esame di Realtà: l’esame di realtà è mantenuto, tuttavia è viziato da una distorsione emotiva del
senso delle cose con cui il soggetto si ritrova ad avere a che fare.
6.1 KERNBERG: ADOLESCENZA, IDENTITÀ E BORDERLINE
Otto sottolinea quello che forse è l’aspetto centrale del Borderline, ovvero la sua identità diffusa. Le i
pazienti BP presentano spesso una concezione di sé e della realtà confusa e contraddittoria. Queste
concezioni si risolvono poi spesso in una estremizzazione drammatica degli atteggiamenti di dipendenza
sottomissione e/o ribellione. Questo perché 1) l’alterata concezione di sé si traduce in un’affannosa ricerca
di identità in prestito che possono mescolarsi in modo confuso e inconsistente (personalità del come sé).
2) può anche darsi il caso in cui l’alterata concezione di Sé si traduce nell’inquietudine o nell’angoscia
centrata sul corpo -> ipocondria, DCA e autolesionismo. 3) sempre legata all’identità diffusa c’è poi il tema
dell’umore depressivo di fondo, con sentimenti di vuoto, inutilità, inadeguatezza e vergogna.
4) a questi sentimenti depressi si associa poi, a sua volta, l’incapacità di tollerare l’angoscia (sempre legata
alla personalità fragile poiché diffusa). Questa intolleranza all’angoscia si sostanzia poi nei comportamenti
impulsivi e compulsivi, droghe, TS ecc. ecc.
6.2 ADOLESCENZA E BORDERLINE
È molto complicato riuscire a compiere delle diagnosi di borderline in adolescenza (anche se è il periodo
dello sviluppo nel quale emergono con più facilità questi quadri psicopatologici). Questo, come è facile
intuire, è dovuto alle molte somiglianze che esistono fra questi due funzionamenti psicologici. Nello
specifico abbiamo :




Il disturbo borderline può esser visto come un prolungamento dell’adolescenza, con passaggi
all’atto, abuso di sostanze, condotte sessuali a rischio, angosce e depressione.
Oltre a ciò nel border, come nell’adolescente l’Io è ancora molto debole, e deve fare i conti con un
Super-Io tirannico.
Legata alla fragilità dell’Io troviamo le difese fragili, e spesso arcaiche.
Ma l’aspetto che più avvicina i border agli adolescenti è piuttosto l’incertezza identitaria, e il
narcisismo a rischio.
Di fronte a tutte queste somiglianze sul piano semeiologico non resta che ricordarsi che, nel border, tali
sintomi sono l’espressione di una specifica modalità di funzionamento psicologico, non espressione di una
crisi di identità (per quanto acuta) che è passeggera e, per certi versi, anche fisiologica al periodo evolutivo
preso in considerazione.
6.2.1 Bergeres
Rispetto al tema del funzionamento psicologico è importante citare il pensiero di Bergeres. Secondo
l’autore è scorretto parlare di personalità border, quanto, appunto, di funzionamento border. Più nello
specifico, secondo l’analista francese, il paziente BP avrebbe un funzionamento border in determinate
“aree del funzionamento psichico” (non in ogni più piccolo aspetto della sua vita). La funzione di personalità
del soggetto (in termini bioniani) risponderà quindi in maniera patologica a seconda del tipo di evento cui
andrà incontro.
6.3 EZIOLOGIA
Secondo Kernberg il disturbo borderline emergerebbe per un fallimento/trauma nella fase del
riavvicinamento (1/2 anni), ovvero in quella fase in cui il bambino ha cominciato a manifestare una certa
autonomia nei confronti della madre, ma si trova ancora profondamente bisognoso di quest’ultima come
“base sicura”. Ecco che allora, intorno a questa età, il bambino, dopo aver tentato di allontanarsi dalla
madre, tornerà da questa, ma non la troverà, sentendosi così tradito. In questi casi, quindi, la madre ha
gestito in maniera sufficientemente buona la fase simbiotica, ma mostra deficit e problemi in quella “postsimbiotica”. Di fronte a questa mancata presenza il bambino si ritrova ad avere problemi con lo stabilirsi
della costanza dell’oggetto. L’adolescenza, poi, è inquadrabile come la seconda edizione del processo di
separazione, un periodo della vita che riporta il paziente a questo trauma infantile di separazioneindividuazione. La madre, causando il trauma infantile nella fase del riavvicinamento, avrebbe trasmesso al
figlio il messaggio “la crescita e l’autonomia provocano la perdita del supporto materno”, un invito a non
rendersi autonomo. Di fronte a questa “minaccia” il paziente border sviluppa sentimenti di ambivalenza: da
un lato vorrebbe divenire indipendente e aprirsi al mondo dei possibili, dall’altro ciò lo spaventa
profondamente (poiché verrebbero a mancare le basi su cui poggia la sua esistenza) e quindi tende ad
evitarlo.
Il fatto poi che il trauma si collochi in questa fase spiega anche i deficit dei pazienti BP nei compiti di
verbalizzazione delle proprie emozioni.
 Kernberg è importante nella discussione sull’eziologia del broderline soprattutto perché sostiene
fortemente il ruolo giocato dall’aggressività costituzionale presente in questi pazienti. (una sorta di
predisposizione).
o Collegati a ciò vi sono poi i diversi deficit della mentalizzazione, che il bambino sviluppa
(secondo la Linehan) per il mancato riconoscimento delle proprie emozioni
(costituzionalmente eccessive) da parte dell’ambiente familiare, creando così un circolo
vizioso. -> i genitori finiscono così con il rinforzare gli stessi atteggiamenti che vedono come
disturbanti (poiché eccessivi).
Alla visione di Kernberg si oppone invece quella di Bergeres. Secondo questo analista il paziente border
bypassa il complesso edipico. Il paziente border avrebbe cioè dei grossi problemi nella F di apres-coup,
ovvero dei problemi nell’assegnare un nuovo valore agli avvenimenti passati in funzione delle nuove
conoscenze acquisite. Nel border mancherebbero cioè le rappresentazioni psichiche per narrare il trauma,
un trauma che, come già accennato sopra, avviene proprio nel periodo in cui il bambino ha iniziato a
sviluppare la propria F di parola.
7 AGITI E COMPORTAMENTI ESTERNALIZZANTI
In adolescenza la gestione emotivo-psichica attraverso l’azione è fisiologica. Secondo Winnicott “agire per
impulso è necessità e diritto fondamentale di ogni adolescente”. Il percorso dovrebbe quindi essere
bambino-gioco -> adolescente-agisce -> adulto-parla (nei migliori casi, nevrotici).
Secondo Roussillon l’azione dell’adolescente è interpretabile come una messa alla prova del mondo
esterno, per vedere se esso riesce a “reggere” ai propri agiti. Alla base di ciò c’è un profondo senso di
incertezza di se stessi, e la paura di non riuscire a reggere tale emotività, di non riuscire a non sopportare
tutta questa “turbolenza emotiva”.
Come sostiene Jeammet nell’adolescenza non si è ancora risolta la questione della “separazione” fra
mondo interno e mondo esterno: l’adolescenza è anzi un periodo di grande apertura. Il processo di
soggettivazione è forse al suo apice e si gioca proprio in questo rapporto fra fantasmi e realtà. -> la
relazione con l’esterno è strutturante per il soggetto, che si porta “dentro” ciò che ha vissuto fuori. Anche
per questo la terapia della parola si inquadra come meno efficace rispetto a quella, consigliata anche da
Winnicott, della cura istituzionale (internale) grazie alla quale il soggetto può esperire determinate
situazioni che, poi, verranno interiorizzate.
Il passaggio all’atto, in quest’ottica, da un alto può essere inteso come una modalità fisiologica per “fare
propria” l’esperienza da parte del soggetto adolescente (si parla in questi casi di passaggio per l’atto).
Tuttavia non bisogna dimenticare tutti i casi in cui l’agito assume sempre più connotazioni impulsive e
violente, che vengono detti passaggi all’atto. In questa “categoria” rientrano l’abuso di sostanze, disturbi
alimentari, agiti auto/etero-aggressivi (+ breakdown evolutivo, ovvero episodio psicotico che blocca lo
sviluppo del soggetto). Tra i passaggi all’atto (ovviamente) rientrano i disturbi del comportamento, che
tendono a virare verso l’antisocialità.
7.1 VIOLENZA NEI DISTURBI DEL COMPORTAMENTO
La violenza può esser letta come una risposta ad un attacco che il soggetto sente diretto verso il suo assetto
narcisistico, una difesa da ciò che viene percepito come una minaccia all’identità. -> l’agito può essere
inteso come una modalità per riportare la distanza in quei confini che sembrano confondersi, come nei casi
delle madri eccessivamente invasive/preoccupate. L’aggressività dei disturbi del comportamento non è
quindi un modo di “autoaffermarsi”, un’aggressività assertiva, tesa all’imporsi, quanto piuttosto, come
detto sopra, un modo per difendersi da minacce esterne come interne. Quando si parla di minacce interne
si fa riferimento a quelle esperienze in cui il soggetto si sente esplodere perché invaso da una gran mole di
emozioni ingestibili, che vengono in questo caso espulse con l’agito.
In alcuni casi gli episodi d’aggressività emergono in quei casi in cui il paziente riesce ad essere avvicinato da
qualcuno (ad esempio gli operatori). Questo tipo di comportamenti può esser letto come una difesa del
narcisismo che è stato messo a repentaglio dall’incontro con l’altro (quasi come se si riattulizzasse la
relazione traumatica madre-bambino, dove la madre veniva vista come oggetto invadente). Lo scoppio di
rabbia permette di reinserire le distanze di sicurezza. È importante notare come questi episodi non siano
necessariamente negativi, in questo modo infatti il ragazzo ha modo di esperire una relazione senza però
quegli effetti nefasti propri della relazione con la madre.
7.2 DISTURBI DEL COMPORTAMENTO
I disturbi del comportamento dell’infanzia e dell’adolescenza tendono a evolvere secondo “la loro natura”,
nel senso che i disturbi del comportamento internalizzanti (disturbo d’ansia) tenderà ad evolvere verso
disturbi con logica internalizzante (ad esempio depressione e abuso di sostanze), al contrario i disturbi
esternalizzanti (ADHD, DOP ecc) tenderanno ad evolvere verso l’esternalizzazione, dal disturbo della
condotta fino al disturbo antisociale.
Terminologia dei Disturbi del Comportamento: In letteratura troviamo diversi termini per parlare del
disturbo del comportamento che, però, rimandano essenzialmente sempre alla stessa cosa. Avremo quindi
che prepsicosi=patologia caratteriale=organizzazione disarmonica. Alla base c’è sempre 1) il passaggio
all’atto, 2) un’aggressività malcontenuta, 3) sintomi svariati, che sono interpretabili come un’instabilità del
soggetto che lo porta a cercare soluzioni sempre diverse e sempre inefficaci. 4) massiccio ricorso alla
scissione come meccanismo di difesa. 5*) di solito ci sono episodi di abbandono.
In generale i disturbi del comportamento sono delle patologie dello stato limite, anche se l’adolescenza,
proprio per la sua “apertura” e scarsa definizione malamente si presta alle classificazioni.
7.3 QUADRI DIAGNOSTICI
7.3.1.1 Disturbo Oppositivo Provocatorio (DOP)
Comportamento sistematicamente provocatorio, negativista ed ostile (collerico, litigioso e teso alla sfida). I
tre cluster intorno a cui ruota questa diagnosi sono:
1. Umore Arrabbiato/Irritabile: il soggetto perde spesso il controllo, è inoltre permaloso irritandosi
facilmente + molto risentimento.
2. Polemico Provocatorio: litiga spesso con gli altri. Molto spesso si rifiuta di eseguire le richieste
fattegli, soprattutto se sono fatte da adulti con autorità. Biasima gli altri per i loro errori.
3. Vendicativo: il soggetto è stato vendicativo almeno due volte negli ultimi 6 mesi.
7.3.1.2 Disturbo da Disregolazione dell’Umore Dirompente
!!! in realtà è inserito fra i disturbi dell’umore. Anche se è molto esternalizzante, e quindi ne parliamo qui.
Si tratta di una specie di depressione agitata in cui la caratteristica principale sono gli scoppi d’ira e per
questo è molto vicina al DOP, si discosta da quest’ultima diagnosi per il “sub-strato” depressivo che
soggiace ai comportamenti del paziente. -> tanto duro fuori quanto vuoto dentro.
7.3.1.3 Disturbo della Condotta (DC)
È essenzialmente un disturbo oppositivo provocatorio molto più grave, si distingue per la presenza di
condotte antisociali, nello specifico: aggressioni ad animali o persone, distruzione di proprietà, frode o
furto, gravi violazioni di regole in generale. Molta importanza ha poi la dimensione della rissa, che spesso
contempla anche l’uso di armi. Il furto ovviamente non manca.
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DOP e DC non sono cose prettamente distinte, sono piuttosto disposti su un continuum di gravità, il
primo infatti spesso precede il secondo. In sintesi si può dire che il DOP è un precursore in forma
attenuata del DC.
La comorbidità poi è altissima anche con ADHD, disturbi ansiosi, depressivi. Quindi boh, serviranno
a qualcosa ste diagnosi? Errore diagnostico? Si può anche pensare a questi disturbi come le
componenti maniacali di una depressione.
7.3.1.4 Disturbo Antisociale di Personalità
È possibile diagnosticarlo solo dopo i 18 anni.
7.4 ADHD
Diagnosi categoriali di ADHD “pure” sono rare se non impossibili, molto più spesso il deficit d’attenzione si
inquadra in comorbilità con altri disturbi. L’ADHD sarebbe quindi da intendere più che altro come un
sintomo che come una diagnosi. A ciò va aggiunto che molti studi hanno trovato alti tassi di correlazione fra
ADHD e traumi, mettendo in crisi quindi l’idea di una sua origine neurfisiologica.
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