SCARLETT E SPINOZA
Rossella: Ti prego, portami con te.
Rhett: No, ne ho abbastanza di tutto. Cerco
la pace, vedrò se la vita può darmi ancora
un po’ di serenità e di dolcezza. Tu sai cosa
intendo.
Rossella: No, so solo che ti amo!
Rhett: Questa è la tua disgrazia.
Rossella: Oh, Rhett... Rhett! Se te ne vai, che
sarà di me, che farò?
Rhett: Francamente me ne infischio.
Rossella: Non voglio perderlo, non voglio.
Ci deve essere un modo per ricondurlo a me.
Non voglio pensarci ora, se no divento
pazza. Ci penserò domani. Eppure devo
pensarci, devo pensarci! Che cosa posso
fare, cos’è che conta nella vita? Tara! A
casa, a casa mia! E troverò un modo per
riconquistarlo. Dopotutto, domani è un altro
giorno.
Victor Fleming, Via col vento, 1939
Sarà per la fama di pessimi amatori che molti celebri filosofi si sono
guadagnati in vita1, o per l’immagine contemporanea di disciplina
accademica arroccata nelle torri d’avorio e lontana dai problemi reali, ma
l’idea che la filosofia possa occuparsi con successo di problemi di cuore
suona quanto meno insolita. Eppure è un tema che chiede grande attenzione,
oggi più che mai, specie per chi la filosofia intenda praticarla. Non c’è
dubbio che, in qualsiasi ciclo di consulenza, l’argomento prima o poi salti
fuori, anche quando non rappresenti il tormento principale della
consultante2, ovvero quello per cui richiede il nostro supporto. La sola
questione precipua della fine di una relazione pone tanti di quegli
interrogativi sulle cause, le responsabilità, le possibilità di uscita, il ruolo
1
Si veda in proposito Andrew Shaffer, Great Philosophers Who Failed At Love,
HarperCollins e-books, New York 2011
2
Ho scelto di usare il femminile in ogni riferimento generico all’ospite. Naturalmente ogni
discorso si applica anche agli uomini. Chiedo solo a chi legge di compiere uno sforzo di
generalizzazione inverso a quello solito.
1
delle persone e quello della società, da costituire un’ottima base per
impostare un’indagine antropologico-filosofica3.
La filosofia si è occupata a lungo di emozioni e sentimenti. Sono stati
un cardine della sua esistenza almeno da Platone all’Ottocento: il conflitto
tra passione e ragione, tra quelle passioni che si manifestano come follia e
cecità momentanea e la razionalità, è stato un elemento che l’ha
accompagnata da sempre. Poi la filosofia ha abdicato in favore di psicologia
e medicina, e solo negli ultimi tempi ha ripreso a interessarsi delle passioni
non solo a livello individuale ma soprattutto in connessione alla sociologia,
considerando l’amore come legame sociale alla base del matrimonio o
dell’intimità4. Con la consulenza filosofica il tema recupera rilevanza per la
persona in sé, non escludendo implicazioni più ampie che, in generale,
possono servire ad allargare la visione ristretta di cui la consultante è
prigioniera.
Nella classificazione spinoziana tra passioni liete e tristi5, l’amore
figura tra le prime perché in grado di accrescere la nostra forza vitale.
Eppure anche questi sentimenti positivi possono trasformarsi in qualcosa di
deleterio: un amore che diventa possessivo fino allo stalking costituisce una
degenerazione dovuta all’assenza di intelletto in cui il fattore razionale e
giudicante non gioca più alcun ruolo, ed è foriero di un’ira letale che
annienta tutto. Un rapporto maniacale denota una forma di identificazione
nell’amato ed evidenti debolezze nella struttura della persona, che sente il
bisogno di appoggiarsi a qualcun altro. L’antidoto sarebbe non solo un
maggior senso di libertà ma anche di responsabilità e consapevolezza della
propria ossessione.
Per Spinoza gli uomini sono liberi di passare dal loro stato attuale a
uno migliore o peggiore: quando vanno verso il peggio è perché non sono
capaci di allontanarsi da quei tormenti che li opprimono, come l’invidia,
l’odio, la malinconia. Ma in caso di necessità l’uomo può evolvere,
diventando più padrone di se stesso. La capacità di giudizio e la coscienza
che sia utile fermarsi a riflettere sono gli elementi che consentono di evitare
questa discesa agli inferi. Non si tratta di raffreddare le passioni, ma di non
separare la conoscenza dalla passionalità, e questo si può fare se non si
usano categorie di carattere generale. In ogni situazione andrebbero
individuati ed esaminati gli elementi specifici di articolazione della vicenda
umana, per evitare di cadere nella repressione delle passioni o in un
3
Nel senso inteso da Max Scheler per cui, esaminando il complesso degli elementi che
contraddistinguono l’uomo (comportamenti, affetti, etc.), occorre considerare il suo modo
di esistenza specifico, ovvero quello di unico essere in grado di ribellarsi ai propri istinti.
4
Si veda ad es. Zygmunt Bauman, Amore liquido. Sulla fragilità dei legami affettivi,
Laterza, Bari 2006
5
Baruch Spinoza, Etica dimostrata secondo l’ordine geometrico, Parte terza, Proposizione
XI
2
atteggiamento individualistico fondato sull’idea che il proprio benessere
possa essere raggiunto a prescindere dagli altri. Dopodiché non basta
convincersi di essere divenuti più razionali, ma occorre mutare davvero i
propri comportamenti, dimostrare di saper guidare la propria esistenza,
ovvero diventare autonomi.
Circa a metà della quinta parte dell’Etica, la più oscura di tutto il
trattato, compare una chiave che permette invece di interpretare la filosofia
di Spinoza con chiarezza:
“Si deve poi notare che le infermità e gli scacchi dell’animo traggono
origine soprattutto da un eccessivo Amore verso cose soggette a molti
mutamenti e che noi non possiamo mai possedere pienamente”6
Il senso è che l’amore verso ciò che muta ed elude la nostra presa
(Rhett) può essere eccessivo, doloroso e produrre danni. Al contrario,
l’amore verso ciò che è immutabile ed eterno (Tara) non può mai essere
eccessivo, né ammettere limite. E nel novero degli eterni disponibili – anche
se non immutabili – rientriamo, ciascuno per sé, noi stessi.
Il termine che usa Spinoza è possedere: il paradosso sta proprio nel
fatto che, per la sua stessa natura, l’amato è soggetto a mutamenti e l’amante
che mira a possederlo e unirsi a lui ne soffre; il suo entusiasmo è sempre
accompagnato a una certa dose di tristezza per questa presa di coscienza.
L’amore verso qualcuno porta con sé paura per la sua finitudine e ansia per
il destino inevitabile che aspetta qualsiasi relazione.
Per liberarsi dai desideri di possesso travolgenti e dolorosi, sostiene
Spinoza, non li si deve evitare o negare. Al contrario, il desiderio di
possedere ciò che si ama senza limiti è sano e perseguibile. Occorre solo
reindirizzare l’amore verso ciò che si può davvero avere infinitamente per
sé, senza frustrazioni, senza timore di perderlo né di vederlo indebolirsi.
Spinoza non condanna gli affetti comuni, ma suggerisce che di ogni
sentimento è possibile individuare un uso corretto7 rivolgendo certi desideri
pre-razionali verso oggetti e situazioni in grado di sostenerli, e non verso
appagamenti momentanei cui spesso fa seguito una profonda tristezza.
Contro l’idea che promuova un sistema contrario alle emozioni, diremo
piuttosto che propone una trasformazione dell’amore da un tormento
continuo a una manifestazione di saggezza.
Quando parla di eterni immutabili, Spinoza ha in mente il Deus sive
natura, unico elemento stabile che permette non di comprenderci come
appartenenti alla natura - come se la natura fosse l’habitat del nostro essere 6
7
Baruch Spinoza, op. cit., Parte quinta, Proposizione XX, Chiarimento
Baruch Spinoza, op. cit., Parte quinta, Proposizione X, Chiarimento
3
bensì che la natura siamo noi, che la nostra volontà costituisce il suo essere,
quindi Dio stesso. Più modestamente possiamo raccogliere la lezione di
Rossella O’Hara, che pure riscopre sul finale di Via col vento quell’“eterno
immutabile” che per tutta la vita aveva disprezzato: Tara, la sua terra, teatro
di tante vicende e di tanta fatica (“Qualcosa che amate più di me, benché
forse non lo sappiate: Tara” le disse Ashley). È un ritorno alla natura in un
senso ben diverso da quello metafisico e meno praticabile suggerito dal
filosofo, ma appare come una metafora adeguata e funzionale alla
consulenza, l’esempio di un obiettivo concreto che ci si può porre
rivolgendo l’attenzione a qualcosa che già si possiede nel presente.
Insomma, le passioni ci travolgono e implicano, non solo per
assonanza, una forte componente di passività. Occorre trasformare le cause
della nostra sofferenza da qualcosa che ci limitiamo a subire a qualcosa che,
dopo tutto, accettiamo e comprendiamo. Se ci si riesce, appare chiaro il
senso di quelle pene, di quelle passività di cui prima si era preda, e si
possono convertire queste energie in azioni più costruttive, responsabili e
consapevoli.
Come dicevamo all’inizio, molti altri grandi del pensiero filosofico
hanno studiato a fondo l’amore. Ci basti citare ancora Søren Kierkegaard,
per il quale, al contrario di Platone8, si può rinunciare alla dignità pur di
conservare la vita e mantenere l’affetto della persona amata9. Nulla di nuovo
dunque se la filosofia riprende a occuparsi di Amore, anche se ci si aspetta
che i filosofi, davanti a due opposte indicazioni stradali, “Di qua per
l’amore”, “Di là per ragionare sull’amore”, siano i soli a prendere senza
indugi la seconda via.
Diego Chillo, 2012
8
Nel Simposio, il primo intervento di Fedro spiega come per chiunque sarebbe più
auspicabile la morte piuttosto che perdere dignità di fronte all’amato.
Platone, Simposio, Garzanti, Milano 2010, pag. 34
9
Søren Kierkegaard, In Vino Veritas, Laterza, Bari 2011
4