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DOSSIER LE TIGRI D’ORIENTE
Contadini
alla fame e semi
sterminatori
È la più grande ondata di suicidi nella storia
dell’umanità: circa uno ogni mezz’ora.
Accade in India, dove, tra il ’95 e il 2010, più di
250mila agricoltori si sono tolti la vita.
Ingerendo, nella maggior parte dei casi, pesticidi
utilizzati per coltivare i campi.
di Antonio Storto
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È
come un’epidemia, spaventosa, insensata. Eppure nascosta. Gli ultimi dati
circolati a livello internazionale sono
stati diffusi nel 2011, in un rapporto redatto
da Vandana Shiva, scienziata e attivista per la
difesa della biodiversità. Le cause sono molteplici e controverse. Nonostante il grandioso
boom dell’industria tecnologica, l’India resta
ancora oggi un paese a vocazione agraria. Il
60 per cento della sua forza lavoro, la più numerosa del pianeta, è impiegata nel settore
agricolo, secondo per produttività solo a quello
cinese. I cambiamenti climatici e la riduzione
dei monsoni hanno comportato un calo nella
produzione, richiedendo ai contadini un massiccio acquisto di prodotti chimici, per proteggere raccolti sempre più scarsi. Non riuscendo
a ottenere alcun accesso al credito, la maggior
parte di loro è finita nella morsa degli strozzini.
Secondo Shiva, però, la responsabilità di
questa epidemia sarebbe da addebitare soprattutto a una sigla di recente introduzione. Due
semplici lettere che, da sole, hanno rivoluzionato il settore cotonifero indiano. B.T. come “bt
cotton”. Ovvero il primo cotone geneticamente
modificato. Distribuito a partire dal 2002, il cotone bt ha segnato l’apertura ufficiale dell’agricoltura indiana al mercato degli Ogm. A commercializzarlo, nel 1996, è stata la statunitense
Monsanto, multinazionale leader indiscussa
nel settore delle biotecnologie. Questa varietà
oggi è coltivata nell’85 per cento dei campi di
cotone indiani. Secondo Monsanto, la ragione
di questa irresistibile ascesa è banale: la pianta
Ogm garantirebbe una resa maggiore rispetto
alla controparte naturale, richiedendo al contempo un minor uso di coadiuvanti chimici.
Ma la comunità ambientalista, capitanata da
Navdanya, organizzazione fondata da Vandana
Shiva, racconta una storia diversa.
“Quando l’India ha legalizzato il commercio
di cotone Ogm – ricorda Ruchi Shroff, coordinatrice internazionale di Navdanya – i rappresentanti della Monsanto sono andati di villaggio
in villaggio. Radunavano i contadini, offrivano
banchetti, giuravano sulle proprietà miracolose
dei semi bt. Oggi, dieci anni dopo, sappiamo
che molte di quelle promesse erano false. Nei
terreni coltivati a Ogm, l’uso dei pesticidi è
aumentato e così i piccoli agricoltori hanno
continuato a indebitarsi. Il passaggio al cotone
Ogm ha comportato un vertiginoso incremento
del prezzo, schizzato da nove a quattromila
rupie per chilogrammo. Buona parte di questa
cifra va a coprire i diritti di proprietà intellettuale della Monsanto, detentrice del brevetto
sulla tecnologia genetica.”
Il cotone bt prometteva di essere la soluzione a molti dei mali dell’agricoltura indiana.
Ma oggi al cotone Ogm viene contestata una
resa molto minore rispetto alle promesse iniziali, oltre a una scarsa resistenza ai più comuni parassiti. Lo scorso anno, lo stato del
Maharashtra ne ha vietato la vendita e la distribuzione. Una simile decisione era già stata
presa nello stato dell’Andhra Pradesh, che
aveva inoltre imposto alla Mahyco-Monsanto
di risarcire i danni agli agricoltori.
Ruchi Shroff è coordinatrice della banca
dei semi del Vidharba, uno dei cento depositi
per lo stoccaggio, la conservazione e la distribuzione di semi di cotone, mais e vegetali,
east european crossroads
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DOSSIER
LAIF/CONTRASTO
INDIA
sparsi nei 28 stati dell’India. Grazie a queste
strutture, gli attivisti dell’organizzazione hanno
iniziato a redistribuire semi nativi ai contadini
che ne fanno richiesta, formandoli alla coltivazione biologica. Secondo Vandana Shiva, più
che a spezzare un monopolio, la dottrina della
conservazione delle sementi è servita a porre
rimedio a un’emergenza ambientale. In India,
infatti, la maggioranza delle piante di cotone
è affetta da una forma di sterilità. Producono
frutto, ma non altri semi. Questa condizione
non interessa le sole varietà Ogm: gradualmente, anche le piante native hanno smesso
di produrre sementi.
numero 48 luglio/agosto 2013
Molte organizzazioni ambientaliste accusano l’industria del cotone transgenico, il cui
monopolio sarebbe basato proprio sull’impossibilità – da parte dei contadini – di conservare
parte dei semi. La Monsanto è stata spesso accusata di aver utilizzato in India la cosiddetta
tecnologia “Terminator”: una sequenza genetica
che, impiantata nelle sementi, ne provoca la
sterilità. Contaminando, con l’ impollinazione
incrociata, anche le piante native. Nel 2000, la
Convenzione sulle biodiversità delle Nazioni
Unite ha stabilito una moratoria su pratiche di
questo tipo. E proprio l’India, insieme al Brasile,
ha varato una legge che ne proibisce l’utilizzo.
\ Navdanya, India,
delle coltivatrici di riso
essiccano il raccolto.
Nonostante il boom
dell’industria
tecnologica, l’India
resta ancora oggi un
paese dalla vocazione
agraria.
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DOSSIER LE TIGRI D’ORIENTE
St. Louis un collega del dipartimento
di ricerche agricole mi parlò di esperimenti in corso per introdurre i geni
della cosiddetta varietà Terminator.
Sapevo cosa significasse tutto questo
e ne fui disgustato.”
Tra le prime persone a cui Jagadisan ha rivelato questo episodio c’è
un’italiana, Barbara Ceschi. Vicentina, ex produttrice cinematografica,
Ceschi lavora oggi come imprenditrice nella bioedilizia. Proprio la disputa sul cotone Ogm l’ha spinta a
finanziare la produzione di Behind
the label, documentario girato in India da Cecilia Mastrantonio e Sebastiano Tecchio. “Il film è stato realizzato contro ogni logica di profitto
o persino di pareggio dei costi. Per
me è stato una sorta di regalo al
mondo: volevo che la gente sapesse,
che si parlasse di una questione capitale, del tutto nascosta…”
tore generale Monsanto in India. Che
racconta di essersi dimesso proprio
dopo aver discusso di sterilità indotta
con uno dei suoi omologhi americani.
“Era il maggio del 1987 – ricorda
Jagadisan, che oggi ha 86 anni – e a
LAIF/CONTRASTO
Ufficialmente, i semi Terminator non
sono mai stati messi in commercio.
Già nel 1999, la Monsanto si era impegnata pubblicamente a non farlo.
Ad avallare l’ipotesi contraria,
però, è Tiruvadi Jagadisan, ex diret-
andana Shiva è una scienziata,
ambientalista ed eco-femminista
indiana. Figlia di una guardia forestale
e di una convinta ecologista, Shiva
cresce nel municipio di Dehradun, nello
stato dell’Uttarakhand, nel nord-est del
Paese. Nel 1977, dopo la laurea in
fisica, consegue il Master in Filosofia
della Scienza all’università del Guelph,
in Ontario (Canada). Nel ’78 completa il
dottorato di ricerca in Fisica Nucleare
all’università Western Ontario, con una
tesi in Meccanica quantistica.
Tornata in India, si interessa ai temi
dell’agricoltura etica, della biodiversità
e della globalizzazione, divenendo una
delle voci più influenti, a livello
internazionale, nella difesa
dell’ambiente. Nel 1991 è tra i fondatori
di Navdanya, organizzazione che
attualmente ruota attorno a un network
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di depositi per la conservazione e la
distribuzione delle sementi native
indiane. A oggi, Navdanya ha formato
più di 500 mila agricoltori alla
coltivazione biologica.
Ha inoltre pubblicato numerosi studi e
rapporti sullo stato dell’agricoltura in
India e nel resto del mondo, che
l’hanno resa un autentico think tank
planetario del movimento
ambientalista e anti-Ogm.
L’organizzazione è membro di Terra
Madre, la rete delle comunità del cibo
fondata nel 2004 dal movimento Slow
food a Torino.
Nel 1994, Vandana Shiva è stata inoltre
tra i fondatori del Forum Internazionale
sulla Globalizzazione, unione di
sessanta tra i maggiori attivisti,
studiosi, economisti e scienziati sul
tema dell’economia globale.
BERND JONKMANNS/LAIF/CONTRASTO
 Chi è Vandana Shiva
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