N°3/ 2010 (lug.- set. `10)

annuncio pubblicitario
a cura del
Centro Regionale di Formazione
per l’Area delle Cure Primarie
Anno XIV / N. 3 - Luglio-Settembre 2010
Nuovo Comitato Esecutivo di Ceformed
Alberto Giammarini Barsantii
Linee Guida sulla gestione
della depressione nelle cure primarie
a cura di Doriano Battigelli
MMG - Ceformed
Il Suicidio. Dal rischio alla gestione
in Medicina Generale
Matteo Balestrieri, Riccardo Zuliani, Corrado Barbagallo
Clinica Psichiatrica, Azienda Ospedaliero-Universitaria Santa Maria della Misericordia, Udine
I farmaci antipsicotici.
Caratteristiche e uso clinico
Matteo Balestrieri, SerenaGoljevscek
Clinica Psichiatrica, Azienda Ospedaliero-Universitaria Santa Maria della Misericordia, Udine
Malattie rare
di Licia Gerin
MMG - Cormons
L’angolo del Dottore Commercialista
a cura del
Centro Regionale di Formazione
per l’Area delle Cure Primarie
Anno XIV / N. 3 - Luglio-Settembre 2010
Direttore Responsabile Doriano Battigelli
Coordinatore Redazionale Velleda Minkusch
Gruppo Redazionale L. Canciani, L. Crapesi, S. Facchini,
A. Giammarini Barsani, G. Lucchini, G. Tubaro, R. Vallini
Nicola Santin
Dottore Commercialista
VI° Up-Date in Gastroenterologia
Stampa e grafica Stella Arti Grafiche - Trieste
Stampato su carta riciclata
Iscrizione al Tribunale di Trieste n. 976 del 13.01.1998
Via Galvani n. 1 - 34074 Monfalcone - tel. e fax 0481 487578
E-mail: [email protected]
http://www.ceformed.it
XX Congresso Nazionale AIMS
Associazione Italiana di Medicina del Sonno
Palazzo dei Congressi di Grado (GO) - 3 / 6 ottobre 2010
Nuovo Comitato Esecutivo di Ceformed
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Alberto Giammarini Barsantii
Linee Guida sulla gestione
della depressione nelle cure primarie
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a cura di Doriano Battigelli
MMG - Ceformed
Il Suicidio. Dal rischio alla gestione
in Medicina Generale
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Matteo Balestrieri, Riccardo Zuliani, Corrado Barbagallo
Clinica Psichiatrica, Azienda Ospedaliero-Universitaria Santa Maria della Misericordia, Udine
I farmaci antipsicotici.
Caratteristiche e uso clinico
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Matteo Balestrieri, SerenaGoljevscek
Clinica Psichiatrica, Azienda Ospedaliero-Universitaria Santa Maria della Misericordia, Udine
Malattie rare
di Licia Gerin
MMG - Cormons
L’angolo del Dottore Commercialista
Nicola Santin
Dottore Commercialista
VI° Up-Date in Gastroenterologia
XX Congresso Nazionale AIMS
Associazione Italiana di Medicina del Sonno
Palazzo dei Congressi di Grado (GO) - 3 / 6 ottobre 2010
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Il nuovo Comitato Esecutivo di Ceformed
Direttore Scientifico
Dott. Alberto GIAMMARINI BARSANTI
Componenti comitato esecutivo
Dott. Luigi CANCIANI
Dott.ssa Lucia CRAPESI
Dott. Sergio FACCHINI
Dott. Guido LUCCHINI
Dott. Gianni TUBARO
A far tempo dal 1° luglio la dottoressa Marina Tutta, da anni responsabile
amministrativo del Ceformed e coordinatrice di questa rivista, è andata,
come si usa dire, in quiescenza.
Parola strana “quiescenza” per una donna come Marina che è sempre
stata e sempre sarà attivissima e dinamica, con mille interessi ai quali potrà
finalmente dar seguito. Ci mancherai dottoressa Tutta, perdonaci per tutte
le volte che abbiamo ironizzato sul tuo cognome, per tutti i compiti extra
che ti abbiamo fatto svolgere, per tutte le volte che abbiamo sfruttato la tua
conoscenza e competenza fino ad ore inumane. Grazie per aver mantenuto
la calma, la dignità ed il ruolo nei momenti difficili, per aver remato insieme
con noi e più di noi per portare questa nave in porto. Continueremo a
navigare…ma ci mancherai.
Il Ceformed
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comitato esecutivo
Cari colleghi ed amici,
come vedete nel dettaglio è stato formalizzato il nuovo organigramma di Ceformed.
A nome del neo insediato comitato esecutivo intendo ringraziare il direttore scientifico
uscente e tutto l’esecutivo, per il lavoro svolto con competenza e passione. Crediamo fermamente nel ruolo istituzionale di Ceformed e desideriamo confermare che continueremo
a lavorare impegnandoci, con identica passione, a rendere il Centro sempre più vicino alle
esigenze di tutti i medici delle cure primarie, accogliendo e sperimentando le innovazioni
che possano contribuire al miglioramento della qualità dell’assistenza senza snaturare o
intaccare quelle che sono le solide fondamenta della professione, in qualunque campo
delle cure primarie sia essa esercitata.
Alberto Giammarini Barsanti
congresso di psichiatria
Linne Guida sulla gestione
della depressione nelle cure primarie
a cura di Doriano Battigelli
MMG - Ceformed
Come già rilevato nell’editoriale del precedente numero di questo
giornale, esistono nel Friuli-Venezia Giulia, per i percorsi di cura della
salute mentale, tuttora delle criticità. In particolare, non è stato mai
adottato un piano regionale di settore, vi è una disomogenea adesione
ai principi della Evidence-Based Medicine e c’è una considerevole separatezza tra Medicina Generale e Psichiatria, a discapito della continuità
delle cure.
Tali criticità hanno portato all’iniziativa regionale di una formazione
interdisciplinare su tale tema, iniziata nel novembre 2009 e che si protrarrà per tutto quest’anno e per il prossimo. Nel contesto di tale iniziativa, le presenti linee-guida sulla depressione, derivanti dalla sintesi lineeguida N.I.C.E. (National Institute for Clinical Excellence) del 2009 integrate da quelle della BAP (British Association of Psychopharmacology) e
dell’ICSI (Institute for Clinical Systems Improvement) del 2010, nonché da
quelle della Regione Puglia 2007 e dai risultati di un’ importante metanalisi, vogliono rappresentare uno strumento iniziale, il più possibilmente “evidence-based”, per il Medico di Medicina Generale ai fini di riacquisire competenze e migliorare la gestione di questo disturbo nell’ambito
del suo ruolo professionale.
MESSAGGI CHIAVE:
I MMG devono essere attenti ad una possible depressione (specialmente nei soggetti con storia di depressione o di
malattie fisiche croniche con associata invalidità) e fare due domande specifiche ai pazienti in cui sospettano una
depressione:
1. “Nell’ultimo mese, è stato disturbato spesso dalla sensazione di sentirsi giù, depresso o senza speranza?”
2. “Nell’ultimo mese, è stato spesso disturbato dalla sensazione di scarso interesse o piacere nel fare le cose?”
Molti pazienti con depressione maggiore non lamentano inizialmente umore depresso, e i MMG devono sospettare la diagnosi basandosi su un profilo di fattori di rischio e di presentazioni comuni. E’ meglio usare uno strumento
standardizzato per documentare i sintomi depressivi e seguire la risposta al trattamento.
Questi punti rappresentano un ostacolo ad una corretta diagnosi:
1. Spesso il paziente non riferisce spontaneamente i propri disturbi psichici; lo farebbe se il medico indagasse
sulla loro eventuale presenza in modo più preciso e diretto;
2. Il paziente all’inizio del colloquio riferisce disturbi psichici e disturbi somatici; il medico presta attenzione solo
ai secondi e trascura i primi diminuendo la possibilità che il paziente ritorni su di essi durante il corso della visita o nelle visite successive;
3. L’incontro avviene in una situazione in cui il paziente non è abbastanza a suo agio e ciò rende più difficile che
vengano riferiti vissuti, esperienze personali, difficoltà psicologiche, etc.;
4. Il paziente è affetto da una malattia organica nota al medico che trascura di accertare l’eventuale presenza di
disturbi psichici associati;
5. Il medico sospetta la presenza di un disturbo psichico ma, non essendo abbastanza sicuro di essere in grado di
affrontarlo, evita in modo più o meno consapevole ogni approfondimento.
La depressione maggiore è un disturbo dell’umore che produce alterazioni nella regolazione emozionale,
cognitiva, comportamentale e somatica. E’ detta secondaria se si verifica in associazione a intossicazione di
sostanze o sindromi di astinenza, o come conseguenza biologica di varie condizioni mediche generali, o in associazione con altri disturbi psichiatrici o come conseguenza dell’uso di certi farmaci. E’ detta primaria se non
avviene in associazioni a queste condizioni. I disturbi primari dell’umore si suddividono in depressivi (unipolari)
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congresso di psichiatria
o maniaco-depressivi (bipolari), questi ultimi di gestione prevalentemente specialistica psichiatrica. I disturbi
unipolari si suddividono in:
1. Disturbo (o episodio) depressivo maggiore
2. Disturbo distimico o distimia
3. Depressione non altrimenti specificata
EPISODIO DEPRESSIVO MAGGIORE
A.
B.
C.
D.
E.
Secondo il DSM-IV-TR*, i Criteri Diagnostici per l’Episodio Depressivo Maggiore sono i seguenti:
Cinque (o più) dei seguenti sintomi sono stati contemporaneamente presenti durante un periodo di 2 settimane e rappresentano un cambiamento rispetto al precedente livello di funzionamento; almeno uno dei sintomi è costituito da 1)
umore depresso o 2) perdita di interesse o piacere.
Nota Non includere sintomi chiaramente dovuti ad una condizione medica generale o deliri o allucinazioni incongrui
all’umore.
1. umore depresso per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno, come riportato dal soggetto (per es., si sente triste o vuoto) o come osservato dagli altri (per es., appare lamentoso).
Nota: Nei bambini e negli adolescenti l’umore può essere irritabile
2. marcata diminuzione di interesse o piacere per tutte, o quasi tutte, le attività per la maggior parte del giorno, quasi
ogni giorno (come riportato dal soggetto o come osservato dagli altri)
3. significativa perdita di peso, senza essere a dieta, o aumento di peso (per es., un cambiamento superiore al 5% del
peso corporeo in un mese) oppure diminuzione o aumento dell’appetito quasi ogni giorno.
Nota: Nei bambini, considerare l’incapacità di raggiungere i normali livelli ponderali
4. insonnia o ipersonnia quasi ogni giorno
5. agitazione o rallentamento psicomotorio quasi ogni giorno (osservabile dagli altri, non semplicemente sentimenti
soggettivi di essere irrequieto o rallentato)
6. faticabilità o mancanza di energia quasi ogni giorno
7. sentimenti di autosvalutazione o di colpa eccessivi o inappropriati (che possono essere deliranti), quasi ogni giorno
(non semplicemente autoaccusa o sentimenti di colpa per essere ammalato)
8. ridotta capacità di pensare o di concentrarsi, indecisione, quasi ogni giorno (come impressione soggettiva o osservata dagli altri)
9. pensieri ricorrenti di morte (non solo paura di morire), ricorrente ideazione suicidaria senza un piano specifico, o un
tentativo di suicidio, o l’ideazione di un piano specifico per commettere suicidio.
I sintomi non soddisfano i criteri per un Episodio Misto.
I sintomi causano disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento sociale, lavorativo o di altre
aree importanti.
I sintomi non sono dovuti agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (per es., una droga di abuso, un medicamento) o
di una condizione medica generale (per es., ipotiroidismo).
I sintomi non sono meglio giustificati da Lutto, cioè, dopo la perdita di una persona amata, i sintomi persistono per più di
2 mesi o sono caratterizzati da una compromissione funzionale marcata, autosvalutazione patologica, ideazione suicidaria, sintomi psicotici o rallentamento psicomotorio.
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congresso di psichiatria
DISTURBO DISTIMICO
I criteri diagnostici per il Disturbo Distimico secondo il DSM-IV-TR* sono i seguenti:
A. Umore depresso per la maggior parte del giorno, quasi tutti i giorni, come riferito dal soggetto ed osservato dagli altri,
per almeno 2 anni.
Nota: Nei bambini e negli adolescenti l’umore può essere irritabile, e la durata deve essere di almeno 1 anno.
B. Presenza, quando depresso, di due (o più) dei seguenti sintomi:
1. scarso appetito o iperfagia
2. insonnia o ipersonnia
3. scarsa energia o astenia
4. bassa autostima
5. difficoltà di concentrazione o nel prendere decisioni
6. sentimenti di disperazione
C. Durante i 2 anni di malattia (1 anno nei bambini e negli adolescenti) la persona non è mai stata priva dei sintomi di cui ai
Criteri A e B per più di 2 mesi alla volta.
D. Durante i primi 2 anni di malattia (1 anno nei bambini e negli adolescenti) non è stato presente un Episodio Depressivo
Maggiore; cioè il disturbo non è meglio inquadrabile come Disturbo Depressivo Maggiore Cronico, o Disturbo Depressivo
Maggiore, In Remissione Parziale.
Nota: Prima dell’insorgere del Disturbo Distimico può esserci stato un Episodio Depressivo Maggiore, purché seguito da
una totale remissione (nessun segno o sintomo per 2 mesi). Inoltre, dopo i primi 2 anni (1 anno per bambini o adolescenti) di Disturbo Distimico possono esserci episodi sovrapposti di Episodio Depressivo Maggiore; in questo caso vengono poste entrambe le diagnosi se risultano soddisfatti i criteri per l’Episodio Depressivo Maggiore.
E. Non è mai stato presente un Episodio Maniacale , Misto oIpomaniacale, né sono stati mai risultati soddisfatti i criteri per
ilDisturbo Ciclotimico.
F. La malattia non si manifesta esclusivamente durante il corso di un Disturbo Psicotico cronico, come Schizofrenia o
Disturbo Delirante.
G. I sintomi non sono dovuti agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (ad es., una droga di abuso, un farmaco) o di una
condizione medica generale (per es., ipotiroidismo).
H. I sintomi causano disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento sociale, lavorativo o di altre
aree importanti..
Specificare:
앩 d Esordio Precoce: esordio prima dei 21 anni
앩 Ad Esordio Tardivo: esordio a 21 anni o più tardi
EPISODIO MISTO
I criteri diagnostici per l’Episodio Misto secondo il DSM-IV-TR* sono i seguenti:
A. Risultano soddisfatti i criteri sia per l’Episodio Maniacale che per l’Episodio Depressivo Maggiore (eccetto per la durata),
quasi ogni giorno, per almeno 1 settimana.
B. L’alterazione dell’umore è sufficientemente grave da causare una marcata compromissione del funzionamento lavorativo o delle attività sociali abituali o delle relazioni interpersonali, o da richiedere l’ospedalizzazione per prevenire danni a
sé o agli altri, oppure sono presenti manifestazioni psicotiche.
C. I sintomi non sono dovuti agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (per es., una droga di abuso, un farmaco o un altro
trattamento), o di una condizione medica generale (per es., ipertiroidismo).
Nota: Gli episodi simil-misti chiaramente indotti da un trattamento somatico antidepressivo (per es., farmaci,terapia
elettroconvulsivante, light therapy ) non dovrebbero essere considerati per una diagnosi di Disturbo Bipolare I.
Nel corso della vita un soggetto può avere:
• un solo episodio depressivo maggiore(Disturbo Depressivo Maggiore Episodio Singolo)
• una serie < più o meno numerosa di episodi depressivi maggiori (ed allora si parla di Depressione Maggiore
Ricorrente ), oppure
• l’alternarsi (più o meno regolare) di episodi depressivi maggiori ed episodi maniacali e/o ipomaniacali (ed allora si
parla di Disturbo Bipolare I o II).
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Il DSM IV è la quarta versione del “Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi
Mentali”, uno degli strumenti diagnostici per disturbi mentali più utilizzati da medici,
psichiatri e psicologi di tutto il mondo. La prima versione risale al 1952 (DSM-I) e fu redatta dall’American Psychiatric Association (APA), come replica degli operatori nell’area del
disagio mentale all’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), che nel 1948 aveva
pubblicato un testo, la classificazione ICD (International Statistical Classification of
Diseases, Injuries and Causes of Death), esteso pure all’ambito dei disturbi psichiatrici.
Da allora vi sono state ulteriori edizioni: nel 1968 (DSM-II), nel 1980 (DSM-III), nel
1987 (DSM-III-Revised), nel 1994 (DSM-IV) e nel 2000 (DSM-IV-Text Revision o DSM-IV-TR,
quella attualmente in vigore).Sono state anche effettuate piccole modifiche nelle
ristampe di alcune versioni intermedie; particolarmente significativa la settima ristampa del DSM-II, che nel 1972 espulse l’omosessualità dalla classificazione psicopatologica. Il DSM-V è in fase di pianificazione, e dovrebbe essere pubblicato intorno al 2013. Nel
corso degli anni il manuale è stato migliorato ed arricchito con riferimenti allo sviluppo
attuale della ricerca psicologica in numerosi campi, ma anche con nuove definizioni di
disturbi mentali: la sua edizione più recente classifica un numero di disturbi mentali
pari a tre volte quello della prima edizione.
Parte della popolarità del DSM-IV è dovuta al fatto che esso si basa su una vasta base empirica ed è ateoretico, cioè si è
limitato a identificare le tipologie più frequenti di disturbo psichico e a fotografarne gli elementi associati.
Il manuale, secondo gli intendimenti degli autori e dell’APA, dovrebbe essere:nosografico: i quadri sintomatologici sono
descritti a prescindere dal vissuto del singolo, e sono valutati in base a casistiche frequenziali. ateorico: non si basa su nessun tipo di approccio teorico, né comportamentista, né cognitivista, né psicoanalitico, né gestaltico, etc. assiale: raggruppa i disturbi su 5 assi, al fine di semplificare e indicare una diagnosi standardizzata. su basi statistiche: si rivolge ad esse in
quanto il sintomo acquista valore come dato frequenziale; i concetti statistici di media, frequenza, moda, mediana,
varianza, correlazione, ecc. giungono ad essere essi stessi il “solco” mediante il quale si valuta la presenza o meno di un
disturbo mentale.
Si tratta di un manuale che raccoglie attualmente più di 370 disturbi mentali, descrivendoli in base alla prevalenza di
determinati sintomi (per lo più quelli osservabili nel comportamento dell’individuo, ma non mancano riferimenti alla struttura dell’Io e della personalità).
Il problema della malattia mentale non è un problema esclusivamente biologico o organicista come si credeva in passato (a tal proposito si parla di “riduzionismo biologico”), l’approccio attuale è necessariamente un approccio “multidisciplinare”: la malattia mentale è in sé stessa multifattoriale e ciò comporta che si tenga conto di tutti i diversi paradigmi di
spiegazione. Il disturbo mentale è il risultato di una “condizione sistemica” in cui, rientrano: il patrimonio genetico, la costituzione, le vicende di vita, le esperienze maturate, gli stress, il tipo di ambiente, la qualità delle comunicazioni intra ed
extra-familiari, l’individuale diversa plasticità dell’encefalo, i meccanismi psicodinamici, la peculiare modalità di reagire, di
opporsi, di difendersi. Dunque, una visione “plurifattoriale integrata” della malattia mentale.
Non a caso, il DSM-IV-TR non fa uso di termini quali infermità o malattia, ma ricorre al più generale concetto di “disturbo mentale”.Consiste in una classificazione “nosografica ateorica assiale” dei disturbi mentali. I disturbi mentali vengono
definiti in base a quadri sintomatologici, e questi ultimi sono raggruppati su basi statistiche.
Il DSM è uno strumento di diagnosi descrittiva dei disturbi mentali. Il suo approccio è quello di applicare la relativa stabilità dell’analisi descrittiva dei sintomi di patologie mediche all’universo dei disturbi mentali. La sua struttura segue un
sistema multiassiale: divide i disturbi in cinque Assi, così ripartiti:
• ASSE I: disturbi clinici, caratterizzati dalla proprietà di essere temporanei o comunque non “strutturali” e altre alterazioni che possono essere oggetto di attenzione clinica: lo psichiatra cerca la presenza di disturbi clinici che possono
essere riconducibili non solo al cervello e al sistema nervoso, ma anche a qualsiasi condizione clinica significativa
che il soggetto può avere (per esempio valuterà se il soggetto è sieropositivo, malato cronico, etc.)
• ASSE II: disturbi di personalità e ritardo mentale. Disturbi stabili, strutturali e difficilmente restituibili ad una condizione “pre-morbosa”; generalmente, ma non necessariamente, si accompagnano a un disturbo di Asse I, cui fanno da
contesto. Questo asse è divisa in sottoparagrafi corrispondenti ai diversi disturbi di personalità.
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congresso di psichiatria
* Nota: che cos’è il “DSM IV-TR”?:
congresso di psichiatria
• ASSE III: condizioni mediche acute e disordini fisici
• ASSE IV: condizioni psicosociali e ambientali che contribuiscono al disordine
• ASSE V: valutazioni globali del funzionamento.
Per fare qualche esempio, il DSM inserisce nell’ASSE I disturbi come schizofrenia ed altre forme di psicosi, e disturbi altrimenti noti come nevrosi, che il manuale ha “abolito” dalla sua nomenclatura. Nell’ASSE II invece sono raccolti disturbi di
personalità come quello borderline o quello paranoide. I restanti tre assi possono inquadrare sotto aspetti più ampi il
paziente.er ciascun disturbo mentale è effettuata una breve descrizione del cosiddetto “funzionamento generale”, che
allude alle strategie di gestione psichica ed ambientale dell’individuo, a grandi linee, ed un elenco di comportamenti sintomatici o stili di gestione delle emozioni o altri aspetti della vita psichica.
Generalmente il DSM richiede un cut-off, un numero minimo di sintomi raccolti per poter effettuare una corretta diagnosi. Ad esempio per il “Disturbo antisociale di personalità” si parla di un «quadro pervasivo di inosservanza e di violazione dei diritti degli altri» (APA, 1994) e di «tre (o più)» caratteristiche elencate, fra cui disonestà, incapacità di conformarsi
alle norme sociali, irritabilità e aggressività.Di solito il DSM richiede un periodo minimo di presenza dei sintomi per poter
effettuare una diagnosi (si parla di alcuni mesi). Altri criteri di esclusione sono l’età di insorgenza del disturbo (per i disturbi
di personalità ad esempio si richiede l’insorgenza nell’adolescenza) ed una diagnosi differenziale rispetto a disturbi che
potrebbero essere accomunati dagli stessi sintomi.
Il DSM è stato definito negli anni la “Bibbia di Psichiatria”, visto il larghissimo numero di psichiatri, medici e psicologi che
lo utilizzano come principale riferimento per la propria attività clinica e di ricerca, ed è presto diventato uno dei principali
punti di riferimento diagnostico anche nel campo della psicoterapia non legata alla psichiatria ed alla medicina.
Mentre è considerato da molti, soprattutto nel mondo anglosassone, uno degli strumenti più attendibili per la diagnosi
dei disturbi mentali, esso ha, d’altro canto, da sempre suscitato ampie critiche in quanto ritenuto, al contrario, inaffidabile. Oltre che come supporto diagnostico e terapeutico, il DSM è utilizzato anche per la costruzione di test e questionari psicologici o per valutare l’idoneità ad esercitare di uno psicologo in formazione (attualmente in Italia è necessario iscriversi
all’Albo degli Psicologi per esercitare la professione, e una delle quattro prove costitutive dell’Esame di Stato prevede la
descrizione di un caso clinico, il più delle volte valutato seguendo i criteri del DSM). I Corsi di Laurea sono ricchi di riferimenti a questo strumento diagnostico. È utilizzato anche da Compagnie di assicurazione sulla salute per determinare la copertura assicurativa.
Il DSM è al centro di numerose critiche, dal momento che non a tutti sembra uno strumento adeguato per valutare la
situazione clinica di una persona. Opinioni difformi da quella dell’APA criticano la sua struttura rigidamente statistica, in particolar modo la scelta dei cut-off che porterebbero a diagnosticare un disturbo mentale ad una persona con tre delle caratteristiche richieste, allo stesso modo di una persona con sette di quelle caratteristiche e “a scapito” di chi ne raccoglie solo due. In
sostanza, si riproduce un modello neo-positivista di spiegazione, cioè, si riproduce la cosiddetta. “nosografia” che è un metodo descrittivo della malattia psichiatrica su basi di etichettamento non necessariamente corrispondenti alla realtà.
Inoltre l’approccio descrittivo del DSM impedisce di individuare qualche riferimento alle caratteristiche soggettive del
paziente, agli effetti della sua esperienza e la sua storia personale. Senza contare che un riferimento acritico ad esso, non
supportato da ulteriori analisi cliniche, sacrificherebbe inevitabilmente ogni aspetto “psicologico-clinico”, nella sua (ormai
rara) accezione di “intervento sul caso”.Gruppi di attivisti omosessuali misero in discussione la posizione dell’APA riguardo
l’omosessualità, descritta sul DSM-II come una deviazione sessuale. Nel 1974, quindi, i membri dell’APA si riunirono per
decidere se continuare a considerare l’omosessualità una malattia, il risultato si espresse da una votazione che decise il
cambio di categoria e la rimozione dell’omosessualità dalle malattie.
Una conseguenza di questo evento fu l’inizio di lamentele da parte di persone e di scienziati che iniziarono a mettere in
discussione il metodo alle spalle del DSM.
Altre critiche riguardano più direttamente la dimensione etica, intaccando di conseguenza anche la credibilità scientifica dell’opera: la metà degli psichiatri che hanno partecipato alla stesura dell’ultima edizione del DSM ha avuto rapporti
economici (tra il 1989 e il 2004, con ruoli di ricercatore o consulente) con società farmaceutiche. Si tratta di tutti gli psichiatri che hanno curato la sezione sui disturbi dell’umore e sulle psicosi del manuale, definizioni di disturbi che in quegli anni
si sono accompagnate all’impennata nelle vendite di farmaci “appropriati”. Queste scoperte hanno fatto tornare in auge,
negli ultimi anni, il tema delle “malattie finte”, disturbi creati ad hoc (attraverso ad esempio un semplice “accorciamento”
del cut-off per l’inclusione in una diagnosi) per lanciare nuovi farmaci. Le perplessità di alcuni studiosi statunitensi sono
state pubblicate in un articolo della rivista scientifica americana Psychotherapy and Psychosomatics, che ha avuto larga
eco e diffusione anche in Italia.
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richiesta di visite mediche multiple (più di 5 all’anno)
aumento o perdita di peso immotivati
sintomi multipli inesplicabili
disturbi del sonno
disagio nell’ambiente di lavoro o disagio/cambiamento nelle relazioni interpersonali
astenia e affaticamento
demenza
riduzione dell’affettività
sindrome dell’intestino irritabile
sindromi dolorose croniche (cefalea, mal di schiena, sindrome fibromialgica, ecc.)
Un episodio depressivo maggiore può essere causato da:
• malattie della tiroide
• ictus
• infarto miocardico e interventi di rivascolarizzazione coronarica
• tumori maligni
congresso di psichiatria
Un episodio depressivo maggiore può presentarsi con:
Una condizioni morbosa medica può però coesistere in un paziente con una depressione primaria. E’ pertanto
necessario che I disturbi medici non siano sottovalutati e attribuiti sistematicamente alla depression, soprattutto
quando vengono riferiti nuovi sintiomi,
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congresso di psichiatria
Visitando una persona che può essere depressa, I MMG devono condurre una valutazione completa che prenda in
considerazione il grado di disabilità o di compromissione delle attività associato con una possibile depressione, la
durata dell’episodio depressivo e non devono basarsi solo sull’elencazione dei sintomi.
Nei soggetti con depressione minore o moderata persistente (“distimia”) i MMG devono prendere in considerazione l’effettuazione di:
• un programma strutturato di attività fisica
• un programma guidato di auto-aiuto basato su principi di terapia cognitivo-comportamentale
• un programma computerizzato di terapia cognitivo-comportamentale
La scelta dell’intervento dev’essere guidata dalle preferenze del paziente, nonché dalla disponibilità di servizi psicoterapici.
• Gli antidepressivi non sono raccomandati nel trattamento di routine della depressione minore di esordio recente o della depressione lieve poiché il rapporto rischio/beneficio è sfavorevole, ma può essere preso in considerazione nei soggetti con:
앩 depressione minore o lieve che persiste dopo altri interventi
앩 diagnosi iniziale di depressione minore persistente
앩 storia di depressione moderata o severa
Con la terapia farmacologica, i pazienti possono mostrare miglioramenti dopo due settimane, ma è necessario un
maggiore periodo di tempo per vedere realmente una risposta e la remissione dell’episodio depressivo. La maggior
parte dei pazienti trattati per una depressione iniziale richiede un trattamento prolungato per almento 6-12 mesi
dopo un’adeguata risposta ai sintomi.
I MMG devono essere consapevoli del bisogno di sostegno e incoraggiamento delle persone che assumono antidepressivi affinché continuino la terapia per almeno 6 mesi dopo la remissione di un episodio di depressione. I MMG
devono discutere con il paziente che ciò riduce fortemente il rischio di ricadute e che l’uso degli antidepressivi non
comporta rischio di dipendenza fisica.
I MMG devono rivedere con il paziente la necessità di continuare il trattamento antidepressivo oltre I 6 mesi (dopo
la remissione dell’episodio depressivo), prendendo in considerazione il numero dei precedenti episodi, la presenza di
sintomi residui, i problemi concomitanti di tipo fisico e le difficoltà psicosociali. I pazienti con depressione ricorrente
devono essere trattati per 2 anni o più.
Quando i pazienti si presentano inizialmente con un quadro di depressione severa, dev’essere presa in considerazione la combinazione tra terapia con farmaci antidepressivi e la terapia cognitivo-comportamentale individuale.
Quest’ultima può essere offerta da dola ai soggetti che non vogliono assumere o non tollerano gli antidepressivi.
Tutti gli interventi per la depressione dovrebbero essere effettuati da MMG competenti in questa materia.
Ai soggetti depressi considerati a rischio elevato di ricadute (compresi quelli che hanno avuto ricadute nonostante il trattamento antidepressivo e che sono non possono o non vogliono continuare il trattamento antidepressivo) o
a quelli che hanno sintomi residui, dovrebbe essere offerto il trattamento psicologico (terapia cognitivo-comportamentale individuale o di gruppo) e la terapia cogntivo-comportamentale basata sulla “mindfulness” (“consapevolezza”, vedi avanti) nei soggetti che stanno attualmente bene ma che hanno avuto in passato 3 o più episodi di depressione.
LINEA-GUIDA:
Il trattamento dei soggetti con depressione:
Fornire informazioni, ottenere il consenso informato e assicurare la continuità delle cure
Trattando pazienti con depressione e le loro famiglie e care-givers, i MMG dovrebbero:
• Costruire una relazione di fiducia e operare in modo aperto, impegnato e non giudicante
• Esplorare le opzioni di trattamento in un’atmosfera di speranza e ottimismo, spiegando i vari decorsi della depressione e che la guarigione è possibile
• Essere consapevoli che la stigmatizzazione e la discriminazione possono essere associate a una diagnosi di depressione
• Evitare linguaggi clinici senza spiegazioni adeguate
• Assicurarsi che ai pazienti siano disponibili informazioni scritte in linguaggio appropriato e, se possibile, in formato
audio
• Essere a conoscenza – e informare i pazienti e le loro famiglie – della presenza di gruppi di auto-aiuto o di supporto o
di psicologi esperti nella depressione
• Assicurari che il paziente depresso dia un consenso realmente informato alle terapie per la depressione.
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congresso di psichiatria
Sostegno alle famiglie e alle badanti:
Quando i familiari e le badanti sono coinvolti nel sostegno ad una persona con depressione severa o persistente, i MMG
devono offrire:
• Informazioni verbali e scritte sulla depressione e sul suo trattamento, che includano le modalità con cui i familiari possono sostenere la persona
• Informazioni sugli eventuali gruppi di sostegno familiare e associazioni di volontariato
I MMG devono essere capaci di negoziare in modo confidenziale e di condividere le informazioni tra la persona con
depressione e i suoi familiari o i care-givers.
Principi di diagnosi, coordinamento delle cure e scelta dei trattamenti:
La valutazione efficace di una persona con depressione (compresi – ove appropriato – un esame globale dei bisogni fisici, psicologici e sociali e una valutazione del rischio) e il successivo coordinamento delle cure contribuiscono in modo significativo al miglioramento degli esiti.
Nel diagnosticare un soggetto che può essere depresso, i MMG devono effettuare una valutazione globale che prenda in
considerazione il grado di compromissione e/o d’invalidità associati con la possibile depressione, la durata dell’episodio e
non basarsi semplicemente sull’elenco dei sintomi.
Nel valutare i bisogni, i MMG devono cercare di comprendere come i seguenti fattori possono avere influenzato lo sviluppo, il decorso e la gravità della depressione:
•
•
•
•
•
Qualità delle relazioni interpersonali
Storia di depressione e comorbidità mentali o fisiche
Esperienza e risposta con le precedenti terapie
Condizioni di vita e grado di isolamento sociale
Storia di elevazioni del tono dell’umore (per determinare se la depressione possa far parte di un disturbo bipolare, nel
quale caso i MMG devono riferire il paziente allo specialista psichiatra)
Insieme alla valutazione delle preferenze del paziente, tale valutazione deve guidare il contenuto di ogni trattamento.
I MMG devono essere consapevoli che con alcuni pazienti depressi la discussione dei loro problemi è difficile per motivi
di vergogna o di stigmatizzazione della condizione. Bisogna aver cura che la discussione avvenga in un contesto in cui la
confidenzialità, la privacy e la dignità siano rispettate.
I MMG che trattano pazienti depressi di origini etniche o con retroterra culturale diversi dal nostro dovrebbero essere
competenti in:
• Abilità di diagnosi in altri ambiti culturali
• Impiego di differenti modelli esplicativi per la depressione
• Considerazione delle differenze etnico-culturali nella formulazione dei piani di trattamento e nell’attesa e aderenza al
trattamento
• Lavoro con famiglie di differenti origine etnico-culturali
I MMG devono sempre chiedere esplicitamente al paziente depresso se ha idee o intenti suicidiari (presenti nel 15-40%
dei soggetti con depressione maggiore). Quando è presente il rischio di lesioni o di suicidio i MMG devono stabilire se il
paziente ha un adeguato sostegno sociale e conosce le persone che possono aiutarlo. I MMG devono predisporre l’aiuto in
modo appropriato rispetto al livello di rischio e consigliare il paziente a cercare ulteriore aiuto se la situazione si deteriora.
COMPONENTI NELLA VALUTAZIONE DEL RISCHIO DI SUICIDIO
• Presenza di idee, intenti o progetti di suicidio od omicidio
• Accesso ai mezzi di suicidio e letalità potenziale di tali mezzi
• Presenza di sintomi psicotici, di allucinazioni di comando o di grave ansia
• Presenza di abuso (o dipendenza) di alcool o di sostanze
• Storia e serietà di precedenti tentativi di suicidio
• Storia familiare di un recente suicidio o tentativo di suicidio
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congresso di psichiatria
I MMG devono consigliare i paziente depresso e i familiari a vigilare sui cambiamenti nell’umore, la comparsa di negativismo e disperazione, di idee suicidiarie, specialmente nei periodi ad alto rischio, come all’inizio o nelle fasi di cambiamento
delle terapie e di aumento dello stress personale, e a contattare immediatamento il MMG.
Attuazione efficace degli interventi per la depressione:
Tutti gli interventi per la depressione devono essere effettuati da MMG con competenze in questa materia. Gli interventi
psicologici e psicosociali devono basarsi su prove d’efficacia.
Cura a gradini.
Il modello “a gradini” della cura della depressione pone attenzione ai differenti bisogni che hanno i soggetti depressi – in
relazione alle caratteristiche della loro depressione e dalle loro circostanze personali e sociali – e alle risposte richieste dai
servizi. Esso fornisce un contesto nel quale organizzare l’erogazione dei servizi sostenendo sia i pazienti che i familiari, sia i
MMG nell’identificare e nell’accedere agli interventi più efficaci. Lo scopo di un programma di cura “a gradini” è di fornire
dapprima l’intervento meno intrusivo e più efficace, e poi di promuovere l’organizzazione e l’attuazione delle cure in modo
comprensibile ai pazienti, ai familiari e agli operatori sanitari.
Il modello “a gradini” nella cura della depressione
Obiettivo dell’intervento
Natura dell’intervento
GRADINO 4: depressione severa e complessa, rischio
per la vita, grave auto-abbandono
Farmaci, interventi psico-sociali ad alta intensità, terapia elettro-convulsivante, servizi di emergenza, trattamento combinati, cura multiprofessionale, ricoveri
GRADINO 3: depressione lieve o moderata con risposta
limitata agli interventi iniziali oppure depressione
moderata-severa
Farmaci, interventi psico-sociali ad alta intensità, trattamenti combinati, gestione specialistica
GRADINO 2: depressione minore o lieve-moderata
Interventi psicologici o psico-sociali a bassa intensità,
farmaci, consulenza specialistica psichiatrica
GRADINO 1: depressione sospetta
Valutazione, consulenza specialistica, psico-educazione, monitoraggio attivo e sostegno
1° GRADINO: RICONOSCIMENTO, VALUTAZIONE E TRATTAMENTO INIZIALE
I MMG devono essere attenti ad una possibile depressione (specialmente nei soggetti con storia di depressione o di malattie fisiche croniche con associata invalidità) e fare due domande
specifiche ai pazienti in cui sospettano una depressione:
1. “Nell’ultimo mese, è stato disturbato spesso dalla sensazione di sentirsi giù, depresso o senza speranza?”
2. “Nell’ultimo mese, è stato spesso disturbato dalla sensazione di scarso interesse o piacere nel fare le cose?”
Se un soggetto risponde in modo affermativo ad entrambe le
domande, il MMG deve iniziale una valutazione dello stato di salute mentale. Se non è sufficientemente competente per farlo, deve
inviare il paziente allo specialista.
Nel valutare un soggetto con sospetta depressione, i MMG
devono prendere in considerazione l’uso di uno strumento validato di misurazione (per esempio, per i sintomi, le funzioni e/o l’invalidità) al fine di stabilire il trattamento,
.
Nei soggetti con difficoltà significative di linguaggio o di comunicazione, per esempio in quelli con alterazioni sensoriali, i MMG devono prendere in considerazione l’uso del Distress Thermometer
(“Termometro del Disagio”) e/o chiedere ad un membro della famiglia o badante se il soggetto ha possibili sintomi di depressione.
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congresso di psichiatria
Valutazione del rischio e monitoraggio:
Se un soggetto depresso presenta un rischio immediato considerevole per sé stesso o per gli altri, è necessario l’invio
urgente al Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura.
I MMG devono avvisare i pazienti circa il rischio potenziale di aumento di agitazione, ansia, ideazione suicidiaria (e, nei
soggetti che assumono antidepressivi, di acatisia) negli stadi iniziali del trattamento I MMG devono ricercare attivamente
questi sintomi e assicurarsi che i pazienti depressi conoscano come/dove ottenere aiuto rapidamente se i sintomi creano
forte sofferenza. Se il paziente manifesta agitazione marcata e/o prolungata (o acatisia mentre assume un antidepressivo),
il trattamento dev’essere rivisto.
Se il MMG valuta che il paziente depresso sia a rischio di suicidio, deve prendere in considerazione:
• La possibile tossicità per overdose se è stato prescritto un antidepressivo, valutando la dose fornita ed eventualmente
mettendo in atto delle strategie atte a limitare la quantità di farmaco disponibile (per esempio, con l’aiuto dei familiari
o badanti)
• L’impiego di strumenti di sostegno addizionali quali maggiori contatti diretti o telefonici
• L’invio a consulenza specialistica psichiatrica
2° GRADINO: DEPRESSIONE DIAGNOSTICATA – DEPRESSIONE PERSISTENTE MINORE O
LIEVE-MODERATA
Misure generali
Depressione ansiosa:
Quando la depressione è accompagnata da sintomi d’ansia, la priorità dev’essere di solito il trattamento della depressione. Il trattamento della depressione di per sé spesso riduce i sintomi d’ansia. Se il paziente ha un disturbo d’ansia generalizzato senza depressione, dev’essere trattato come tale.
Igiene del sonno:
I pazienti depressi possono beneficiare di consigli per l’igiene del sonno, tra cui:
• Stabilire orari regolari per andare a dormire e svegliarsi
• Evitare gli eccessi nell’alimentazione, nel fumo o nel bere prima di dormire
• Creare un ambiente adatto per dormire
Monitoraggio attivo:
Con i pazienti con depressione persistente minore o lieve che non desiderano interventi o che, nell’opinione del medico,
possono guarire senza alcun intervento, i MMG devono:
• Discutere i problemi di presentazione e ogni preoccupazione che i pazienti possono avere a loro riguardo
• Fornire informazioni circa la natura e il decorso della depressione
• Organizzare un’ulteriore valutazione, di solito entro 2 settimane
• Contattare attivamente i pazienti che non si presentano agli appuntamenti prefissati
Interventi psicosociali a bassa intensità
Nei soggetti con depressione minore o moderata persistente (“distimia”) i MMG devono prendere in considerazione
l’effettuazione di:
• un programma strutturato di attività fisica
• un programma guidato di auto-aiuto basato su principi di terapia cognitivo-comportamentale
• un programma computerizzato di terapia cognitivo-comportamentale
• La scelta del tipo di intervento dev’essere guidata dalle preferenze del paziente.
Erogazione di interventi psicosociali a bassa intensità:
I programmi individuali di auto-aiuto basati sui principi cognitivo-comportamentali per i soggetti con depressione minore o lieve-moderata devono consistere in:
• fornitura di materiale scritto appropriato (o accesso a media alternativi)
• sostegno da parte di personale addestrato, che faciliti il programma di auto-aiuto e riveda i progressi e i risultati
• sedute di trattamento che si svolgano nell’arco di 9-12 settimane, compreso il follow-up
I programmi di attività fisica per i soggetti con depressione persistente minore o lieve-moderata devono di solito:
• svolgersi individualmente o in gruppi strutturati (in base alla preferenza del paziente) con il supporto di personale
esperto
• svolgersi in 3 sedute settimanali della durata di 45 minuti-1 ora nell’arco di 10-14 settimane (media 12), adattati alle
necessità del paziente per ottimizzare l’aderenza.
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congresso di psichiatria
I programmi computerizzati di terapia cognitivo-comportamentale devono essere svolti per mezzo di un computer isolato o attraverso programmi internet, devono svolgersi nell’arco di 9-12 settimane, incluso il follow-up e devono includere
una spiegazione del modello di terapia cognitivo-comportamentale, incoraggiare i compiti tra una seduta e l’altra, comprendere argomentazioni di sfida nei confronti dei pensieri negativi, monitoraggio attivo del comportamento, modelli positivi di
pensiero ed esiti. I programmi devono essere supportati da personale esperto.
Terapia cognitivo-comportamentale di gruppo:
Nei soggetti con depressione minore e lieve-moderata persistente, i MMG devono prendere in considerazione la terapia
cognitivo-comportamentale di gruppo nei pazienti che non desiderano un intervento individuale a bassa intensità o che
esprimono una preferenza per l’intervento di gruppo.
La terapia cognitivo-comportamentale di gruppo deve:
• consistere in 10-12 incontri di 8-10 partecipanti
• svolgersi normalmente nell’arco di 12-16 settimane, compreso il follow-up
• basarsi su modelli strutturati
• essere effettuata da 2 operatori esperti e competenti
Counselling
Il counselling va preso in considerazione nei soggetti con depressione persistente minore o lieve-moderata che hanno
rifiutato l’intervento psicosociale a bassa intensità o la terapia cognitivo-comportamentale. I MMG devono però spiegare ai
pazienti che l’efficacia del counselling nella depressione è incerta. Il counselling deve:
• essere basato su un modello non direttivo centrato sul paziente
• svolgersi tipicamente in 6-10 sedute nell’arco di 8-12 settimane.
Trattamento farmacologico
I farmaci antidepressivi non sono raccomandati per il trattamento di routine della depressione minore di esordio recente
e della depressione lieve poiché il rapporto rischio/beneficio è sfavorevole. Possono essere presi in considerazione nei
pazienti con:
• depressione minore o lieve persistente dopo altri interventi
• presentazione iniziale di depressione minore persistente
• pregressi episodi di depressione moderata o severa.
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congresso di psichiatria
Benché ci siano prove che l’iperico (Hypericum perforatum o erba di San Giovanni o scacciadiavoli) possa essere di beneficio nella depressione lieve o moderata i MMG dovrebbero:
• non prescriverlo né consigliarlo abitualmente poiché c’è incertezza sulle dosi appropriate, la persistenza dell’effetto, il
contenuto e la natura delle preparazioni e ci sono interazioni potenziali serie con molti farmaci (interagisce con molti
isoenzimi del Citocromo P450, inclusi CYP2C9, CYP2D6, CYP3A4: riduce i livelli sierici e quindi l’effetto degli inibitori
delle proteasi e della trascrittasi inversa usati nella cura dell’infezioni da HIV, dell’irinotecan, di ciclosporina, tacrolimus,
warfarina, digossina, teofillina, di anti-epilettici quali carbamazepina, fenobarbital, fenitoina, degli estroprogestinici,
degli antidepressivi triciclici, della fexofenadina, simvastatina, atorvastatina e rosuvastatina – ma non della pravastatina – del metadone, mentre aumenta gli effetti dei SSRI e dei triptani con possibili “sindromi serotoninergiche”)
• avvisare i pazienti della differente potenza delle varie preparazioni d’iperico e delle potenziali serie interazioni con
molti farmaci.
GRADINO 3: depressione lieve o moderata con risposta limitata agli interventi iniziali oppure depressione moderata-severa
Nei soggetti con depressione minore persistente o lieve-moderata che non hanno avuto benefici da un intervento psicosociale a bassa intensità, e nei soggetti con depressione moderata e severa, i MMG devono prendere in considerazione un
trattamento psicologico ad alta intensità oppure iniziare (o rivedere) un trattamento farmacologico antidepressivo. La scelta
del tipo di intervento è influenzata:
• dalle preferenze del paziente
• dalla disponibilità di operatori esperti e competenti
• dalla durata dell’episodio e dal tipo di sintomi
• dal decorso di un precedente episodio depressivo e dalla risposta al suo trattamento
Opzioni di trattamento
Discutere i vantaggi/svantaggi dei differenti tipi di intervento con il paziente depresso e offrire:
• farmaci antidepressivi (di solito SSRI)
• interventi psicologici (di solito terapia cognitivo-comportamentale e terapia interpersonale)
• una combinazione di farmaci antidepressivi e terapia cognitivo-comportamentale
La scelta sarà basata sulle preferenze del paziente, la probabilità di aderenza alla terapia e la probabilità di effetti indesiderati.
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Farmaci antidepressivi
Farmaci antidepressivi comunemente usati
(Cassano, 2007)
Nome generico
(Nome commercial)
Inibitori selettivi Ricaptazione
Serotonina (SSRI):
• Citalopram (Elopram,
Seropram)
• Escitalopram (Cipralex, Entact)
• Fluoxetina (Fluoxeren, Prozac)
• Fluvoxamina
(Dumirox, Fevarin, Maveral)
• Paroxetina
(Daparox, Sereupin, Seroxat)
• Sertralina (Tatig, Zoloft)
Inibitori ricaptazione
serotonina e noradrenalina (SNRI):
• Venlafaxina (Efexor,Faxine)
• Duloxetina (Cymbalta, Xeristar)
Inibitori ricaptazione noradrenalina
(NARI):
• Reboxetina
(Davedax, Edronax)
Modulatori noradrenalina
e serotonina (NaSSA):
• Mirtazapina (Remeron)
Inibitori ricaptazione Dopamina e
Noradrenalina:
• Bupropione
(Elontril, Wellbutrin, Zyban)
Attività serotoninergica mista:
• Trazodone (Trittico)
Tricliclici e tetraciclici:
• Amitriptilina
(Adepril, Laroxyl, Triptizol)
• Clomipramina (Anafranil)
• Imipramina (Tofranil)
• Maprotilina (Ludiomil),
• Mianserina (Lantanon)
• Nortriptilina
(Dominans, Noritren)
• Trimipramina (Surmontil)
Inibitori
Monoaminossidasi
irreversibili (IMAO):
• Tranilcipromina (Parmodalin),
in associazione a trifluperazina
Inibitori
Monoaminoossidasi
reversibili (RIMA):
• Moclobemide (Aurorix, non
disponibile in Italia)
Dose iniziale
(mg/die)
Dose usuale
(mg/die)
10-20
5-10
10-20
25-50
10-20
25-50
20-60
10-20
20-80
150-300
20-60
50-200
75
20
75-375
60-120
2
4-8
15
15-45
75-150
300
50
75-300
25-50
25-50
25-50
50-75
10-30
25-50
25-50
100-300
100-300
100-300
100-200
60-120
100-250
100-300
10
10-30
150
150-600
Principali
effetti indesiderati
Inappetenza, dimagrimento, nausea, mal
di testa, disturbi della sfera sessuale
(anorgasmia e orgasmo ritardato), raramente distonia e acatisia. Nelle fasi iniziali, alcuni composti (fluvoxamina) danno
sedazione, altri (fluoxetina) danno nervosismo e insonnia. L’uso a lungo termine di
paroxetina e fluvoxamina può dare
aumento di peso. La paroxetina dà sintomi alla sospensione (vedi testo).
Iponatriemia
Ipertensione, nausea, diarrea, nervosismo,
insonnia, sudorazione, xerostomia, disfunzione sessuale, cefalea, iponatriemia
Scarsa efficacia. Disturbi anticolinergici
(xerostomia, stipsi, ritenzione urinaria,
deficit accomodazione, rischio glaucoma), vertigini, sonnolenza
Sonnolenza, aumento ponderale
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Aritmie, ipertensione, tachicardia, prurito,
eruzioni cutanee, perdita di peso, stipsi,
artralgie, mialgie, xerostomia, confusione, vertigini, insonnia, acufeni, tremore,
ansia, agitazione, psicosi
Aritmie, ipotensione ortostatica, sudorazione, aumento ponderale, vertigini, sonnolenza, deficit di memoria, priapismo
Sedazione con amitriptilina, trimipramina
e imipramina, eccitazione con nortriptilina. Ipotensione ortostatica, tachicardia,
turbe del ritmo e della conduzione, tremori, atassia, discinesie, deficit di concentrazione e memoria, negli anziani confusione e disorientamento, visione offuscata, abbassamento della soglia convulsiva, ritenzione urinaria, stipsi, xerostomia, ipersudorazione, aumento di peso.
Controindicati se cardiopatia ischemica,
scompenso, aritmie ventricolari, epilessia,
ipertrofia prostatica, glaucoma.
Iponatriemia
Ipotensione, astenia, aumento ponderale,
tossicità epatica; rischio di gravi crisi ipertensive, con palpitazioni, sudorazione,
nausea, cefalea e quindi rischio di morte
per eventi cardiovascolari se interazione
con SSRI o triciclici o numerosi alimenti
congresso di psichiatria
La scelta del farmaco antidepressivo:
Discutere le opzioni di trattamento con il paziente depresso, compresi i seguenti aspetti:
• La sua percezione circa l’ efficacia e tollerabilità dei singoli farmaci, se il paziente ha già ricevuto antidepressivi
• La scelta dell’antidepressivo, che comprenda anche la discussione degli effetti indesiderati anticipati e le potenziali
interazioni con altri farmaci assunti per malattie fisiche
Inibizione relativa degli isoenzimi del citocromo P450 da parte degli antidepressivi non triciclici (o tetraciclici).
0 = nessuna
+ = debole
++ = lieve
+++ = moderata
++++ = potente
ND = dati non disponibili
Farmaco
CYP1A2
CYP2C9
CYP2C19
CYP2D6
CYP3A4
Venlafaxina
0
0
0
0
0
Nefazodone
+
0
0
+
++++
Mirtazapina
0
ND
ND
+
0
Reboxetina
0
0
0
+
+
Fluoxetina
+
++
++
++++
+
Sertralina
++
++
++
++
+
Paroxetina
++
++
++
++++
++
++++
++
+++
++
+++
Caffeina,
teofillina,
paracetamolo,
clozapina,
propranololo, Rwarfarina,
imipramina
Ibuprofene,
naproxene,
diclofenac,
flurbiprofene,
piroxicam,
tenoxicam,
losartan,
fenitoina,Swarfarina,
tolbutamide,
fluvastatina,
torasemide
Omeprazolo,
lansoprazolo,
pantoprazolo,
rabeprazolo,
omeprazolo,
esomeprazolo,
propranololo,
diazepam,
clomipramina,
imipramina,
codeina,
antidepressivi
triciclici,
captopril,
propranololo,
timololo,
ondansetron,
flecainide,
alcuni antipsicotici
(aloperidolo,
perfenazina, ecc.)
e SSRI
Astemizolo,
loratadina,
ciclosporina,
antidepressivi
triciclici,
venlafaxina,
zolpidem,
corticosteroidi,
eritromicina,
molti farmaci
cardiovascolari,
atorvastatina,
lovastatina,
simvastatina,
la maggior parte
delle
benzodiazepine,
omeprazolo,
lansoprazolo,
rabeprazolo,
esomeprazolo
fluvoxamina
Substrati
comuni di
ciascun
isoenzima
Quando viene prescritto un antidepressivo, dovrebbe essere normalmente un inibitore selettivo della ricaptazione della
serotonina (SSRI), poiché i SSRI sono ugualmente efficaci rispetto agli altri antidepressivi, ma sono meglio tollerati, hanno un
rapporto rischio/beneficio favorevole e hanno minore probabilità di essere sospesi a causa di effetti indesiderati. Questa
classe di farmaci non è peraltro scevra di problemi, costituiti soprattutto dalla mancata risposta in circa metà dei pazienti e,
durante la terapia a lungo termine, dalla comparsa di disfunzione sessuale (riduzione della libido, anorgasmia, orgasmo
ritardato) in una minoranza significativa, se non nella maggioranza, dei pazienti.
In una metanalisi pubblicata su Lancet nel 2009, comprendente 117 studi clinici controllati randomizzati (25928 partecipanti) eseguiti dal 1991 al 2007, sono stati comparati 12 antidepressivi non triciclici o quadriciclici nel trattamento acuto
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congresso di psichiatria
della depressione maggiore unipolare. La mirtazapina, l’escitalopram, la venlafaxina e la sertralina si sono dimostrati significativamente più efficaci rispetto alla duloxetina, alla fluoxetina, alla fluvoxamina, alla paroxetina e alla reboxetina.
Quest’ultima è significativamente meno efficace rispetto a tutti gli altri antidepressivi. L’escitalopram e la sertralina hanno
mostrato il migliore profilo di accettabilità, con conseguente minor numero di sospensioni del trattamento rispetto a
duloxetina, fluvoxamina, paroxetina, reboxetina e venlafaxina. Esistono quindi importanti differenze cliniche tra gli antidepressivi comunemente prescritti, sia in termini di efficacia che di tollerabilità; i farmaci con profilo rischio/beneficio più
favorevole sono l’escitalopram e la sertralina. La sertralina potrebbe essere la scelta migliore per iniziare la terapia nella
depressione moderata o severa per il migliore profilo di benefici, accettabilità, costo ed esperienza d’impiego.
La fluoxetina, la sertralina, l’imipramina e la nortriptilina sono le scelte preferenziali in caso di gravidanza e allattamento;
la paroxetina è associata con rischio di malformazioni cardiovascolari fetali, la paroxetina e la fluoxetina passano nel latte
materno in concentrazioni tali da dare disturbi al lattante..
Nel prescrivere un SSRI, i MMG dovrebbero preferire i prodotti generici o equivalenti. Dev’essere notato che:
• La fluoxetina, la fluvoxamina e la paroxetina sono associate con una maggiore incidenza di interazioni farmacologiche
rispetto agli altri SSRI.
• La paroxetina è associata con una maggiore incidenza di sintomi alla sospensione o alla riduzione cospicua della dose:
disturbi gastrointestinali, cefalea, ansia, capogiri, parestesie, disturbi del sonno, affaticamento, sintomi simil-influenzali, sudorazione aumentata (per evitarli la dose dovrebbe essere ridotta nell’arco di alcune settimane)
• Dev’essere considerata possibilità e il pericolo della tossicità da overdose nella scelta di un antidepressivo in un
paziente a rischio significativo di suicidio. Il rischio maggiore di morte da overdose si ha con gli antidepressivi triciclici
e con la venlafaxina.
Le prove di efficacia sostengono l’efficacia degli antidepressivi triciclici, ma, a causa dei maggiori effetti collaterali, vengono usati oggi come agenti di seconda scelta rispetto ai SSRI e la terapia va controllata con cura, anche con ECG seriati e
con il dosaggio delle concentrazioni plasmatiche, e va evitata nei soggetti con problemi cardiovascolari, con glaucoma o
ipertrofia prostatica.
Gli inibitori delle monoaminossidasi, in generale, sono di pertinenza strettamente psichiatrica e devono essere impiegati
esclusivamente ai pazienti che non rispondono ad altri trattamenti o con depressione atipica, a causa del rischio di effetti
indesiderati gravi e il rischio di interazioni dietetiche e farmacologiche.
Partenza e fase iniziale del trattamento:
Nel prescrivere un farmaco antidepressivo, i MMG devono esplorare tutte le preoccupazioni che il paziente può avere
riguardo a tale terapia e fornire una completa spiegazione delle ragioni della prescrizione, tra cui:
• Il tempo di latenza nello sviluppo del pieno effetto antidepressivo (di solito 2-4 settimane)
• L’importanza nell’assumere il farmaco come prescritto e la necessità di continuare il trattamento dopo la remissione
della fase acuta
• L’interazione potenziale con altri farmaci (vedi sopra)
• Il rischio di sintomi da sospensione, specialmente con farmaci a emivita più breve, come la paroxetina e la venlafaxina,
e come questi possono venire minimizzati
• Il fatto che con gli antidepressivi non si sviluppa dipendenza fisica
Dovrebbe essere disponibile anche un promemoria scritto in modo appropriato in relazione alla comprensione del
paziente.
I pazienti che iniziano la terapia con farmaci antidepressivi e che non sono considerati ad aumentato rischio di suicidio
dovrebbero essere rivisti normalmente dopo 2 settimane. Successivamente dovrebbero essere rivisti in modo regolare e a
intervalli appropriati, di solito ogni 2-4 settimane nei primi 3 mesi e in seguito a intervalli maggiori, se la risposta è buona. E’
buona regola iniziare il trattamento con dosi basse, mentre la titolazione per arrivare al dosaggio pieno varia da una a qualche settimana, a seconda del farmaco impiegato, della comparsa di effetti indesiderati, dell’età e delle condizioni mediche
generali del paziente, della presenza di altri disturbi in comorbidità. Nei pazienti in cui viene iniziata una terapia con antidepressivi triciclici a basse dosi e che hanno una chiara risposta clinica possono essere mantenuti con quella dose con accurato
monitoraggio.
I pazienti depressi che iniziano la terapia con farmaci antidepressivi e che sono considerati ad aumentato rischio di suicidio o che hanno meno di 30 anni (a causa della potenziale aumentata prevalenza di ideazioni suicidiarie negli stadi iniziali
del trattamento in questa fascia d’età) dovrebbero essere rivisti normalmente dopo 1 settimana e poi frequentemente, in
modo appropriato alle caratteristiche del paziente, finché il rischio non sia più considerato significativo.
Se un paziente depresso avverte degli effetti indesiderati durante le prime fasi del trattamento con farmaci antidepressivi, il MMG dovrebbe, discutendone con il paziente:
• Controllare spesso i sintomi se gli effetti indesiderati sono lievi e accettabili per il paziente
18
congresso di psichiatria
• Sospendere o cambiare la terapia con un
antidepressivo differente, se il paziente
preferisce questa soluzione
• Prendere in considerazione un trattamento
concomitante a breve termine con una
benzodiazepina (di solito per non più di 2
settimane), se ci sono ansia, agitazione e/o
insonnia molto problematiche, oppure
prendere in considerazione la somministrazione serale di un antidepressivo ad
azione ansiolitica (mirtazapina, trazodone,
trimipramina)
Se con la prima terapia antidepressiva non
c’è un miglioramento, il MMG deve verificare
innanzitutto che il farmaco sia stato assunto
regolarmente e alla dose prescritta.
Se dopo 4 settimane di terapia (assunta
regolarmente e alle dosi prescritte, che devono essere adeguate) la risposta è minima (2545% dei pazienti), prendere in considerazione:
• l’aumento della dose, se non ci sono effetti
indesiderati significativi e se non viene già
assunta la dose massima
• il cambio di terapia con un altro antidepressivo, se ci sono importanti effetti indesiderati, o viene già assunta la dose
massima e/o il paziente lo preferisce
Se un paziente trattato mostra un po’ di miglioramento, continuare il farmaco antidepressivo per altre 2-4 settimane e,
se la risposta non è ancora adeguata, ci sono effetti indesiderati o il paziente esprime il desiderio di cambiare terapia, prendere in considerazione la sostituzione con un altro farmaco.
Trattamenti psicologici:
Terapie cognitive e comportamentali, terapia interpersonale e terapia di coppia.
Le seguenti raccomandazioni sono focalizzate soprattutto sulla terapia cognitivo-comportamentale, ma la terapia interpersonale e la terapia di coppia sono pure trattamenti efficaci per la depressione.
Con la psicoterapia cognitivo-comportamentale individuale il paziente dovrebbe acquisire consapevolezza di quanto
la visione di sé e del mondo sia modificata dallo stato depressivo e di come sia portato a ingigantire e a generalizzare i propri
fallimenti, in genere immaginari, a sminuire e a screditare i propri successi, a interpretare in chiave pessimistica eventi ed
esperienze attuali. Il paziente viene aiutato a valutare realisticamente le proprie prestazioni e avvenimenti; ci si propone di
realizzare una ristrutturazione cognitiva profonda che, attraverso l’analisi della storia personale, porti all’individuazione
delle modalità con cui si è formata nell’infanzia l’immagine di sé negativa con la convinzione di incapacità. Attraverso un
progressivo aumento dell’autoconsapevolezza si mira quindi alla riorganizzazione dell’identità del paziente depresso, e al
cambiamento di stili di vita negativi.
Secondo il modello della psicoterapia interpersonale, l’insorgenza della depressione si accompagna comunque a rilevanti difficoltà sociali e interpersonali, la cui risoluzione è necessaria sia per il superamento del singolo episodio sia per prevenire recidive. Essa ha come obiettivi l’attenuazione dei sintomi, la risoluzione dei problemi contingenti, l’aumento della
resistenza allo stress e della capacità di gestione delle conseguenze familiari, sociali e lavorative della depressione.
La terapia di coppia è consigliata quando il paziente ha un partner regolare, non ha avuto benefici da un trattamento a
bassa intensità o farmacologico, il disturbo dell’umore influenza negativamente il matrimonio o il funzionamento familiare
(o ne è negativamente influenzato), e, secondo il paziente o il medico, il coinvolgimento del partner può avere un potenziale beneficio terapeutico.
Se un paziente si presenta inizialmente con una depressione grave, dev’essere preso in considerazione il trattamento
combinato con farmaci antidepressivi e psicoterapia cognitivo-comportamentale individuale, poiché tale combinazione è
più efficace del singolo trattamento farmacologico o della singola psicoterapia. Quest’ultima può essere proposta ai pazienti
che non vogliono assumere o non tollerano i farmaci antidepressivi.
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congresso di psichiatria
Scelta del trattamento psicologico:
Se il paziente non mostra un adeguato miglioramento, prendere in considerazione gli aspetti del trattamento che
potrebbero essere migliorati (per esempio, l’alleanza terapeutica, la concettuazzazione del problema, la competenza nell’erogazione del trattamento), oppure un trattamento alternativo.
Erogazione di interventi psicologici ad alta intensità
Per tutti gli interventi psicologici la durata del trattamento dovrebbe rientrare normalmente nei limiti indicate in questa
linea-guida. Lo scopo del trattamento è di ottenere un significativo miglioramento o una remissione.
• In tutti i soggetti depressi che ricevono una psicoterapia cognitivo-comportamentale individuale, la durata della terapia dovrebbe consistere di 16-20 sedute svolte nell’arco di 6-9 mesi
• La durata del trattamento può essere minore se viene raggiunta la remissione
• La durata del trattamento può essere maggiore se si verificano progressi, e c’è accordo tra il curante e il paziente che
sarebbero utili ulteriori sedute, per esempio, se in associazione ci sono un disturbo di personalità o fattori psicosociali.
• Nei soggetti con depressione grave dovrebbero essere svolte 2 sedute alla settimana nelle prime 2-3 settimane di trattamento.
• La terapia di coppia per la depressione dovrebbe basarsi normalmente su principi comportamentali e un corso psicoterapico adeguato dovrebbe consistere di 15-20 sedute nell’arco di 5-6 mesi
Psicoterapia psicodinamica a breve termine:
Nei pazienti con depressione moderata che hanno rifiutato o non hanno avuto benefici dalla terapia cognitivo-comportamentale o dalla psicoterapia interpersonale, può essere presa in considerazione una psicoterapia psicodinamica. Tuttavia i
medici curanti devono spiegare al paziente che l’efficacia di tale terapia nella depressione è incerta. La durata del trattamento psicodinamico per la depressione dovrebbe essere di 16-20 sedute nell’arco di 4-6 mesi.
Scelta del trattamento basata sui sottotipi di depressione
e sulle caratteristiche personali
C’è scarsa evidenza scientifica che guidi la prescrizione nei vari sottotipi di depressione o di caratteristiche personali.
L’aspetto principale riguarda l’impatto delle altre malattie fisiche sul trattamento della depressione.
I MMG non dovrebbero variare di routine le strategie di trattamento della depressione descritte in questa linea-guida né
in rapporto al sottotipo di depressione (per esempio la depressione atipica, particolare tipo di depressione nella quale c’è
iperfagia con aumento di peso, ipersonnia, reattività dell’umore, che migliora in seguito a eventi favorevoli, sensitività interpersonale e per la quale vengono spesso proposti gli SSRI, specie fluoxetina e sertralina, e gli IMAO, mentre i triciclici sarebbero inefficaci, la depressione ad andamento stagionale, nella quale viene spesso proposta la terapia della luce), né in rapporto alle caratteristiche personali (per esempio, sesso ed etnicità), poiché non ci sono sufficienti prove per sostenere tale
atteggiamento.
I MMG dovrebbero avvertire i pazienti con depressione invernale che segue un andamento stagionale e che vogliono
provare una terapia della luce al posto di un farmaco antidepressivo o di un trattamento psicologico che le prove di efficacia
della terapia della luce sono incerte.
Prescrivendo farmaci antidepressivi negli anziani, il MMG deve:
• Prescrivere una dose appropriata all’età, considerando l’impatto dell’età, delle condizioni generali di salute e delle
interazioni con altri farmaci assunti
• Monitorizzare accuratamente gli effetti indesiderati
Ai soggetti con depressione grave che non hanno ricevuto alcun intervento efficace, dovrebbe essere proposta inizialmente una combinazione di farmaci antidepressivi e terapia cognitivo-comportamentale.
Nei soggetti con depressione moderata o grave che beneficierebbero di sostegno sociale o vocazionale, dovrebbe essere
presa in considerazione:
• L’instaurazione di amicizie come fattore aggiunto ai trattamenti farmacologici o psicologici. Essa dovrebbe essere
effettuata da volontari addestrati che forniscano, tipicamente, almento un contatto settimanale in un arco di tempo di
2-6 mesi
• Un programma di riabilitazione se la depressione ha provocato la perdita del lavoro o il disimpegno da altre attività
sociali per lungo tempo
.
Cure potenziate per la depressione
I servizi sanitari non dovrebbero erogare la terapia farmacologica come intervento isolato nei soggetti con depressione;
la terapia farmacologica ha probabilità di essere efficace soltanto se fornita come parte di un intervento più complesso.
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Terapie sequenziali dopo una risposta iniziale inadeguata:
congresso di psichiatria
Nei soggetti con depressione grave o moderata e problemi complessi, i MMG dovrebbero prendere il considerazione:
• L’invio a una struttura psichiatrica per un programma di cure coordinate multiprofessionali
• Un intervento di collaborazione quando la depressione si verifica in un contesto di malattie fisiche croniche con associata inabilità
Alcuni soggetti con depressione non rispondono bene al trattamento iniziale. In questi casi vanno adottate le seguenti
strategie, da effettuarsi con la consulenza dello specialista psichiatra:
Trattamenti farmacologici:
Nell’iniziare o rivedere un trattamento farmacologico per un paziente con depressione, i cui sintomi non hanno risposto
adeguatamente agli interventi farmacologici iniziali, il MMG dovrebbe:
• Aumentare la frequenza degli incontri impiegando degli strumenti validati per misurare i risultati
• Sapere che l’uso di un farmaco singolo anziché di una combinazione di farmaci causa minore incidenza di effetti indesiderati
• Prendere in considerazione trattamenti precedenti che sono stati prescritti o assunti in modo inadeguato, fino a comprendere l’aumento della dose o il cambio con un antidepressivo alternativo
Cambio dell’antidepressivo:
Cambiando la terapia da un antidepressivo ad un altro, I MMG devono essere consapevoli che le prove del vantaggio relativo di cambiare farmaco all’interno di una classe o tra una classe e un’altra sono deboli. Le scelte ragionevoli per un secondo antidepressivo comprendono:
• Inizialmente un diverso SSRI o un antidepressivo di nuova generazione meglio tollerato
• In seguito, la sostituzione con un antidepressivo di una classe farmacologica diversa che può essere tollerato meno
bene, per esempio la venlafaxina o un triciclico o un IMAO (quest’ultimo di stretta pertinenza specialistica).
Il cambiamento di antidepressivo può essere effettuato normalmente nell’arco di una settimana tra farmaci a emivita
breve, ma il MMG deve prendere in considerazione il rischio di interazioni scegliendo il nuovo farmaco e il tipo e la durata
della transizione. In particolare è necessario fare attenzione cambiando:
• Da fluoxetina o paroxetina ad un triciclico, poiché tali farmaci inibiscono il metabolismo dei triciclici. E’ necessaria una
bassa dose iniziale di triciclico, soprattutto con la fluoxetina a causa della lunga emivita di quest’ultima
• Ad un nuovo antidepressivo serotoninergico o a un IMAO, a causa del rischio della “sindrome da serotonina”, che comprende confusione mentale, delirio, tremori, alterazioni della pressione arteriosa e mioclono
• Da un IMAO ad altri farmaci: è necessario un periodo di wash-out di 2 settimane, nel quale non devono essere assunti
altri antidepressivi.
Terapie associate:
Le terapie associate sono di solito chiamate “terapie di potenziamento” (“augmentation”)” quando un antidepressivo
viene usato insieme ad un farmaco non antidepressivo e come “terapie di combinazione”quando due antidepressivi sono
usati insieme.
Usando associazioni di farmaci, il medico curante deve:
• Assicurarsi che sia dimostrato che i farmaci prescelti siano sicuri quando usati insieme
• Sapere che aumenterà la probabilità e la gravità di effetti indesiderati
• Discutere il razionale di ogni associazione con il malato depresso, e controllare gli effetti indesiderati
Usando associazioni non usuali, è necessario familiarizzarsi con le prove d’efficacia e disporre di una consulenza specialistica.
Quando un soggetto depresso è informato sulla terapia di associazione ed è preparato a tollerare il maggior carico di
effetti indesiderati, è possibile potenziale una terapia antidepressiva già in atto con:
• Sali di Litio
• Un antipsicotico: ci sono alcune prove d’efficacia per aripiprazolo (Abilify), olanzapina (Zyprexa), quetiapina (Seroquel)
e risperidone (Risperdal)
• Un altro antidepressivo: ci sono alcune prove d’efficacia per mianserina (Lantanon), mirtazapina (Remeron), bupropione (Wellbutrin) nell’aumentare l’effetto degli SSRI
Prescrivendo il litio, assicurarsi che la funzione renale e tiroidea siano controllate prima e durante il trattamento, controllare periodicamente la litiemia e prendere in considerazione un controllo dell’ECG nei soggetti ad alto rischio con depressione o trattati con antipsicotici.
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congresso di psichiatria
Prescrivendo antipsicotici controllare il peso, l’assetto lipidico e la glicemia, e gli effetti indesiderati rilevanti con il farmaco prescelto (per esempio, effetti extrapiramidali e da iperprolattinemia con risperidone).
Potenziando un antidepressivo con un altro farmaco o usando una combinazione di antidepressivi, il MMG dovrebbe
documentare il razionale per l’associazione prescelta e avere una seconda opinione specialistica quando le prove di efficacia
di una certa strategia sono limitate o il rapporto rischio/beneficio è poco chiaro.
Le seguenti strategie non sono raccomandate di routine poiché non ci sono prove sufficienti per adottarle:
• Potenziamento di un antidepressivo con una benzodiazepina per più di 2 settimane
• Potenziamento di un antidepressivo con buspirone (Buspar), carbamazepina (Tegretol), lamotrigina (Lamictal), pindololo (Visken), valproato (Depakin) od ormoni tiroidei
• Combinazione con dosulepina (Protiaden), che non dev’essere iniziata poiché le prove di tollerabilità in rapporto ad
altri antidepressivi dimostrano un aumento del rischio cardiovascolare e della tossicità in caso di overdose
Terapia associate farmacologica e psicologica:
In un soggetto depresso che non ha risposto né alla terapia farmacologica né alla psicoterapia, va considerata l’associazione di farmaci antidepressivi con la terapia cognitivo-comportamentale.
Invio ad un centro specializzato per la depressione:
Un soggetto depresso che non ha risposto a varie strategie di potenziamento o combinazione va inviato ad un centro
specializzato per la depressione.
Continuazione della terapia e prevenzione delle ricadute:
L’interruzione prematura della terapia antidepressiva è associata con un aumento del 77% del rischio di ricadute o recidive della depressione. In media, 50-85% dei soggetti con un singolo episodio di depressione maggiore avranno almeno un
altro episodio entro 15 anni; la probabilità è del 25% dopo un anno, del 42% dopo 2 anni e del 60% dopo 5 anni. Ogni ulteriore recidiva aumenta del 16& i rischi di episodi successivi.
I MMG devono essere consapevoli della necessità di sostenere e incoraggiare i pazienti trattati con antidepressivi nel continuare la terapia per almeno 6 mesi dopo la remissione di un episodio. Inoltre, devono discutere con il paziente:
• Che la continuazione della terapia riduce fortemente il rischio di ricadute
• Che gli antidepressivi non comportano rischio di dipendenza fisica
• La necessità di continuare la terapia in caso di episodi precedenti, presenza di sintomi residui, comorbidità fisiche e
difficoltà psicosociali.
Nei soggetti depressi ad alto rischio di ricadute o con storia di depressione ricorrente, il MMG dovrebbe discutere la scelta dei trattamento al fine di ridurre il rischio di recidive. La scelta del trattamento sarà influenzata da:
• Preferenze del paziente
• Storia di precedenti trattamenti, comprese le conseguenze di una ricaduta, i sintomi residui, la risposta a precedenti
trattamenti e i problemi con gli effetti indesiderati dovuti alla sospensione del trattamento
Le scelte di trattamento comprendono la continuazione della terapia in atto, il potenziamento con altri farmaci o l’effettuazione di un trattamento psicologico
Uso dei farmaci per la prevenzione delle ricadute:
Ai soggetti depressi dev’essere raccomandato di continuare i farmaci antidepressivi per almeno 2 anni se sono a rischio
di ricaduta, mantenendo le dosi di farmaco efficaci nel trattamento acuto a meno che non si siano validi motivi per ridurre la
dose (come effetti indesiderati inaccettabili), se:
• Hanno avuto 2 o più episodi depressivi nel recente passato, nel corso dei quali hanno avuto una significativa compromissione funzionale
• Hanno altri fattori di rischio di ricaduta, quali sintomi residui, episodi pregressi multipli, storia di episodi gravi o prolungati o con scarsa risposta
• Le conseguenze di una ricaduta possono essere gravi (per esempio, tentativi di suicidio, incapacità di lavorare, inattività o grave disagio socio-familiare)
Decidendo se continuare la terapia di mantenimento oltre 2 anni, rivalutare insieme al paziente la situazione tenendo
conto dell’età, di comorbidità, e di altri fattori di rischio.
I soggetti depressi in terapia di mantenimento a lungo termine dovrebbero essere rivalutati regolarmente, con frequenza di contatti determinata dai seguenti fattori;
• presenza di comorbidità
• fattori di rischio per ricadute
• Gravità e frequenza degli episodi depressivi
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congresso di psichiatria
I pazienti depressi che hanno avuto episodi multipli di depressione, o che hanno avuto una buona risposta al trattamento con un antidepressivo e un agente potenziante, dovrebbero rimanere con questa associazione dopo la remissione, se gli
effetti collaterali sono tollerabili e accettabili ai pazienti. Se uno dei farmaci viene sospeso, dovrebbe essere di solito l’agente
potenziante, non l’antidepressivo. Il litio non dovrebbe essere usato come singolo farmaco per prevenire le recidive.
Trattamento psicologico per la prevenzione delle ricadute:
Ai pazienti depressi considerati a rischio significativo di ricadute (compresi quelli che hanno avuto ricadute nonostante
una terapia antidepressiva e che non possono o non vogliono continuare i farmaci) o che hanno sintomi residui, dovrebbero
essere proposti le seguenti psicoterapie:
• terapia cognitivo-comportamentale individuale o di gruppo per quelli con sintomi residui
• terapia cognitivo-comportamentale basata sulla “mindfulness” (“consapevolezza”, dei propri pensieri, azioni e motivazioni) nei soggetti che stanno attualmente bene ma hanno avuto 3 o più episodi di depressione
La terapia cognitivo-comportamentale dev’essere presa in considerazione nei pazienti depressi con depressione ricorrente che hanno avuto ricadute nonostante il trattamento antidepressivo, compresi quelli che:
• hanno avuto una risposta limitata con altri interventi
• esprimono preferenza per gli interventi psicologici
• non possono o non vogliono continuare I farmaci, sono a rischio significativo di ricadute
Effettuazione della psicoterapia
Se c’è rischio di ricadute dopo la terapia cognitivo-comportamentale individuale, dev’essere presa in considerazione una
terapia cognitivo-comportamentale di mantenimento o la terapia interpersonale.
La terapia cognitivo-comportamentale basata sulla “mindfulness” (“consapevolezza”) dovrebbe normalmente essere
effettuata in gruppi di 8-15 partecipanti e consistere di 8 incontri di 2 ore e di 4 ulteriori sedute di follow-up nell’arco di 12
mesi dopo la fine del trattamento.
Cessazione o riduzione dei farmaci antidepressivi
In seguito alla cessazione, alla mancata assunzione di singole dosi o, occasionalmente, alla riduzione della dose dei farmaci antidepressivi possono verificarsi delle sindromi da astinenza o sospensione, che però sono di solito lievi e autolimitate nel tempo, ma che talora possono essere gravi, soprattutto se il farmaco viene sospeso improvvisamente, o se il farmaco
era la paroxetina. Ciò non avviene con la fluoxetina a causa della sua lunga emivita.
I MMG devono normalmente ridurre gradualmente la dose del farmaco nell’arco di 4 settimane, anche se alcuni pazienti
richiedono periodi più lunghi. Practitioners should normally gradually reduce the doses of the drug over a 4-week period
although some people may require longer periods. This is not required with fluoxetine because of its long half-life.
Se si verificano sindromi da astinenza/sospensione, il MMG deve:
• controllare i sintomi e rassicurare il paziente che i sintomi saranno lievi
• informare il paziente che dovrebbe consultare il medico se avverte sintomi importanti
• prendere in considerazione di reintrodurre l’antidepressivo originale alla dose che era efficace (o un altro antidepressivo con emivita maggiore della stessa classe) e ridurlo più gradualmente controllando i sintomi se i sintomi sono gravi
GRADINO 4: DEPRESSIONE SEVERA E COMPLESSA
L’invio ai servizi psichiatrici è necessario di solito per le persone con depressione che sono a rischio significativo di autolesionismo, hanno sintomi psicotici, richiedono una gestione complessa multiprofessionale oppure la consulenza da parte
di un centro ad alta specializzazione.
La valutazione di un paziente depresso inviato al servizio psichiatrico deve comprendere l’accertamento completo di:
• profilo dei sintomi e rischio suicidiario e, se appropriato, dei precedenti trattamenti
• fattori di stress psicosociale associati, fattori di personalità e difficoltà relazionali significative, soprattutto se la depressione è cronica o ricorrente
• comorbidità associate, compreso l’abuso/dipendenza da alcol o sostanze, e i disturbi di personalità.
Nelle strutture specialistiche psichiatriche, dopo avere effettuato una valutazione completa dei precedenti trattamenti,
dev’essere presa in considerazione la reintroduzione di precedenti trattamenti che siano stati prescritti o seguiti in modo
inadeguato.
La risoluzione delle crisi e il trattamento domiciliare devono essere usati come mezzi per gestire le crisi nei soggetti con
depressione severa che presentano un rischio significativo alla valutazione. In tale contesto, le equipes psichiatriche
dovrebbero porre particolare attenzione al monitoraggio del rischio come fattore prioritario nell’attività di routine, pur consentendo al paziente di continuare la propria vita normale senza interruzioni.
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congresso di psichiatria
La terapia farmacologica nelle strutture psichiatriche dovrebbe essere condotta sotto la supervisione di uno specialista
psichiatra.
Il lavoro di gruppo nei pazienti con depressione complessa e severa deve prevedere lo sviluppo di piani di cura multidisciplinari e globali in collaborazione con il paziente depresso (e la sua famiglia o care-giver, se il paziente è d’accordo). Il
piano di cura deve:
• identificare chiaramente i ruoli (“chi fa che cosa”) e le responsabilità di tutti gli operatori sanitari coinvolti
• stabilire un piano per le crisi, che ne identifichi i possibili fattori scatenanti
• essere condiviso con il MMG e con il paziente depresso e con tutte le persone coinvolte nell’assistenza al paziente
Ricovero e risoluzione della crisi ed equipes di trattamento domiciliare
Il ricovero dev’essere preso in considerazione nei pazienti depressi ad elevato rischio di suicidio, autolesionismo o autoabbandono.
Tutta la gamma di terapie psicologiche ad alta intensità dovrebbe essere disponibile e proposta durante il ricovero, assicurandosi che essa possa essere continuata in modo efficace ed efficiente anche dopo la dimissione.
Trattamento farmacologico della depressione psicotica
Nei pazienti con depressione psicotica (depressione accompagnata da deliri e/o allucinazioni, di colpa, dannazione,
indegnità, povertà, rovina, ipocondriaco, di persecuzione, di influenzamento, di veneficio, ecc.) dev’essere preso in considerazione il potenziamento del piano terapeutico in atto con farmaci antipsicotici, anche se la dose e la durata ottimale del
trattamento sono ignote.
Terapia elettroconvulsivante (TEC)
La terapia elettroconvulsivante (TEC), nota comunemente come “elettroshock”, consiste nell’induzione di una crisi convulsiva mediante l’impiego di uno stimolo elettrico erogato unilateralmente o bilateralmente nella zona fronto-temporale
mentre il paziente è in anestesia generale con rilasciamento muscolare (mediante curarizzazione)
I rischi sono:
• patologie respiratorie (rischio di depressione respiratoria connesso con l’anestesia generale)
• patologie cardiovascolari (recente infarto miocardico, scompenso cardiaco, aritmie, aneurismi)
• lesioni cerebrali occupanti spazio
• stroke recente
Gli effetti indesiderati sono:
• disturbi cognitivi (stato confusionale, disturbi della memoria, aprassia), più frequenti negli anziani, con il posizionamento bilaterale degli elettrodi, con l’aumento dell’intensità e del numero delle applicazioni
• cefalea
• dolori muscolari
• nausea
La mortalità è pari a 1:10.000 pazienti trattati
Dovrebbe essere presa in considerazione nella depressione grave che mette a rischio la vita, quando è richiesta una
risposta rapida o quando altri trattamenti hanno fallito. Nella depressione psicotica grave, con deliri, allucinazioni, marcato
rallentamento psicomotorio e rischio di suicidio, costituisce il trattamento di prima scelta, producendo rapidamente miglioramenti nel 90% dei casi. La TEC non deve essere usata di routine nei pazienti con depressione moderata, ma solo nei casi
che non hanno risposto a trattamenti multipli. Ne soggetti che non hanno risposto bene a una precedente TEC, si può considerare di ripetere la TEC soltanto dopo avere esaminato tutte le altre opzioni e dopo la discussione dei rischi e benefici con il
pazienti e con i familari/care-givers.
Quando viene proposto la TEC come trattamento di scelta, il paziente dev’essere totalmente informato dei rischi e dei
benefici. La valutazione dev’essere documentata e deve considerare:
• I rischi associati con l’anestesia generale
• Le comorbidità presenti
• Gli effetti avversi potenziali, soprattutto il deficit cognitivo
• I rischi associati con la non effettuazione della TEC
I rischi associate alla TEC sono maggiori nei soggetti anziani e pertanto i medici devono avere particolare attenzione nel
proporre la TEC in questa fascia d’età.
La decisione di ricorrere alla TEC dev’essere presa –per quanto possibile – insieme al paziente, prendendo in considerazione in seguenti fattori:
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congresso di psichiatria
• Consenso informato valido del soggetto capace di intendere e volere (o dell’amministratore di sostegno o tutore),
senza pressioni o coercizione
• Possibilità di ritiro del consenso da parte del paziente in qualsiasi momento
La scelta del posizionamento degli elettrodi e la dose convulsivante devono essere bilanciate efficacemente con il rischio
di disturbi cognitivi. Dev’essere notato che:
• la TEC con posizionamento bilaterale degli elettrodi è più efficace della TEC unilaterale ma causa più disturbi cognitivi
• Nella TEC con posizionamento unilaterale degli elettrodi (nell’emisfero non dominante), uno stimolo più intenso è
associato a una maggiore efficacia, ma anche a maggiori disturbi cognitivi.
Le condizioni cliniche devono essere valutate dopo ogni TEC usando strumenti formali e validati di misurazione, e il trattamento dev’essere interrotto se viene ottenuta una risposta adeguata, o prima, se gli effetti avversi superano i benefici
potenziali.
Le funzioni cognitive devono essere valutate prima del primo trattamento e controllate almeno ogni 2-4 trattamenti e
alla fine della terapia. La valutazione deve comprendere:
• L’orientamento e il tempo per il riorientamento dopo ogni trattamento
• La misurazione dell’apprendimento, di amnesia anterograda, retrograda e di alterazioni soggettive della memoria eseguite almeno 24 ore dopo il trattamento
Se c’è evidenza di un’alterazione cognitiva significativa a qualsiasi stadio, dev’essere considerata l’opportunità di cambiare dal posizionamento bilaterale a quello unilaterale degli elettrodi, di ridurre la dose o di interrompere la terapia, in rapporto alla valutazione – eseguita insieme al paziente – dei rischi e dei benefici.
Se un paziente depresso ha risposto a un ciclo di TEC, i farmaci devono essere continuati o iniziati per prevenire la ricaduta. Può essere preso in considerazione il potenziamento con sali di litio dell’antidepressivo.
La terapia di mantenimento con TEC per la prevenzione delle ricadute non dev’essere usata di routine nel trattamento
della depressione poiché in benefici e rischi a lungo termine non sono stabiliti. Se viene intrapresa una TEC di mantenimento è necessaria una valutazione periodica accurata dello stato cognitivo:
Altri trattamenti fisici per la depressione:
La stimolazione del nervo vago si effettua mediante un generatore di impulsi elettrici, simile a un pacemaker, che
viene posizionato a livello della parete toracica e collegato, tramite un filo elettrico per via sottocutanea, al nervo vago di
sinistra, le cui fibre afferenti sono dirette al locus coeruleus e alle regioni del lobo limbico coinvolte nella regolazione del
tono dell’umore e dell’ansia. La stimolazione del nervo vago dovrebbe essere intrapresa soltanto nell’ambito di studi di
ricerca da parte di centri specialistici esperti in tale tecnica.
Le prove d’efficacia attuali suggeriscono che non ci sono gravi pericoli associati con la stimolazione magnetica transcranica per la depressione maggiore. Il trattamento viene praticato appoggiando sulla superficie del cranio una bobina del
diametro di pochi centimetri che produce un campo magnetico, il quale provoca una stimolazione dei neuroni della corteccia cerebrale sottostante. C’è incertezza sull’efficacia clinica della procedura, che può dipendere dalla maggiore o minore
intensità, frequenza, applicazione bilaterale e durata del trattamento. Dev’essere quindi eseguita nell’ambito di studi di
ricerca in centri specialistici.
Riferimenti bibliografici (sintesi):
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LINEE GUIDA DIAGNOSTICO-TERAPEUTICHE-GESTIONALI SULLA DEPRESSIONE PER I MEDICI DI MEDICINA GENERALE – Regione
Puglia 2007
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congresso di psichiatria
Il Suicidio. Dal rischio alla gestione
in Medicina Generale
Matteo Balestrieri, Riccardo Zuliani, Corrado Barbagallo
Clinica Psichiatrica, Azienda Ospedaliero-Universitaria Santa Maria della Misericordia, Udine
Ogni anno nel mondo avvengono circa un milione di suicidi,
accanto ad almeno 10 milioni di tentativi di suicidio. La stima
annua è di 14-15 decessi ogni 100.000 persone, il che equivale a
l’1-5% di tutti decessi, ovvero la decima causa di decesso al
mondo. Il tasso di suicidio è generalmente maggiore tra gli uomini, con un rapporto maschi-femmine di quattro/tre a uno, con
una eccezione: in Cina muoiono di suicidio più donne che uomini.
Il suicidio è un evento raro nei bambini fino ai 12 anni, diventando
più frequente dopo la pubertà. L’incidenza aumenta quindi progressivamente con l’adolescenza, per essere molto alta nelle persone con più di 65 anni. Negli ultimi 50 anni si è visto un incremento nel tasso di suicidio nei giovani, sebbene vi siano nell’ultimo periodo segnali in controtendenza per questo gruppo.
Maggiore è inoltre il tasso di suicidio in alcune popolazioni, come
quella carceraria, e tra gli omo e i bisessuali. Maggiori sono infine i tassi in alcune professioni, come quella medica.
In Italia il tasso di suicidio ha ormai superato il valore di 10 su 100.000, con un preoccupante aumento di suicidi tra i
minori e tra le donne tra i 18 e i 30 anni, con la conferma di una tendenza di un maggior numero di suicidi al Nord rispetto al
Sud. Ulteriori dati indicano inoltre un incremento dei tassi di suicidi per adolescenti e donne soprattutto nelle aree rurali,
lontane dai grossi centri.
Anche se alcune indagini sostengono che oltre il 90% dei suicidi avviene in momenti in cui il soggetto presenta una condizione psicopatologica grave, altri studi non confermano questo dato. Questo aspetto del problema è importante nella
costruzione di modelli teorici e nello sviluppo di strategie di prevenzione del suicidio. Infatti, se la malattia mentale non è
più prerequisito per il suicidio, si dovranno riconsiderare i modelli di suicidio nei quali fattori di rischio e protettivi agiscono
attraverso la loro influenza sulla presenza e gravità della malattia mentale. In questo caso approcci preventivi focalizzati
solamente sul riconoscimento e il management della malattia mentale dovranno essere affiancati da ulteriori strategie.
L’evidenza, per esempio, che un basso supporto sociale sia al contempo un fattore di rischio indipendente per suicidio nei
giovani residenti in aree rurali e un amplificatore del rischio in soggetti affetti da malattie mentali evidenzia la necessità dell’implementazione di strategie mirate all’identificazione/trattamento della malattia mentale con strategie più complesse.
Fattori protettivi e fattori di rischio
Il suicido come atto non può mai essere considerato come derivato da una singola causa od evento, bensì la risultante di
diversi fattori. Tra questi possiamo distinguere fattori protettivi e fattori di rischio.
Tra i fattori protettivi sono elencabili una sufficiente autonomia personale per far fronte a eventi stressanti, la capacità
mentale di elaborare tali eventi e la possibilità di ricevere e/o percepire un supporto sociale e familiare. Lo stato di gravidanza e l’avere figli sono anch’essi considerati fattori protettivi, sebbene la presenza di bambini piccoli sia associata con un
significativo aumento di rischio di presentazione per la prima volta di ideazione suicidaria. Nella particolare evenienza del
suicida che ha appena perpetuato un omicidio, è proprio la rottura dei legami familiari che determina gli eventi. L’autore più
frequente di un omicidio-suicidio è in effetti un maschio che uccide la moglie o la fidanzata (anche l’ex-), mentre le donne
uccidono più di frequente i propri bambini che altri adulti, prima di suicidarsi.
Tra i fattori di rischio distali sono stati individuati la predisposizione genetica, aspetti personologici (ad es. impulsività,
aggressività), una bassa crescita intrauterina e problematiche perinatali, eventi traumatici di vita precoci e disturbi neurobiologici (ad esempio, disfunzioni della serotonina o iperattività dell’asse ipotalamo-ipofisario). Studi familiari, su gemelli e
su persone adottate mostrano un’ereditarietà del rischio suicidario e di comportamenti suicidari. Parte della storia familiare
di comportamenti suicidari potrebbe essere spiegata dal rischio associato di disturbi di tipo psichiatrico, tuttavia alcuni studi
hanno evidenziato una trasmissione del rischio suicidario indipendente dai disturbi dell’umore e psicotici. Fattori genetici
sembra rispondano del 45% della varianza rispetto all’ideazione e comportamenti suicidari. Sebbene non siano stati identificati dei loci associati a tale rischio, sono stati ipotizzati correlati biologici nell’ambito di un’interazione geni-ambiente. Tra i
geni candidati ad un ruolo nell’incrementare tale rischio vi sono la triptofano-idrossilasi e il trasportatore della serotonina.
Esistono d’altronde correlazioni significative tra comportamento suicidario e sistema di trasmissione della serotonina.
Persone decedute per suicidio hanno evidenziato livelli più bassi di metaboliti della serotonina nel liquido cerebrospinale,
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congresso di psichiatria
meno siti di trasporto della serotonina a livello presinaptico e un maggior numero di recettori postsinaptici della serotonina,
suggerendo un deficit nell’abilità di inibire comportamenti impulsivi/suicidari. Evidenze esistono anche per un’alterazione
del sistema noradrenergico e per disfunzioni dell’asse ipotalamo-pituitario-adrenergico. Ancora, interessante è l’associazione esistente con i livelli di colesterolo: bassi livelli si associano ad un incremento del rischio suicidario. Infine, l’aumento del
Body Mass Index è associato con un rischio di depressione, ma non di suicidio.
Tra i fattori di rischio prossimali sicuramente il più importante è il rilievo di un precedente tentativo di suicidio. Altri fattori
di rischio sono dati dalla presenza di disturbi psichiatrici in atto, patologie fisiche, recenti crisi a livello psicosociale, disposizione di mezzi per compiere un atto suicidario, vicinanza o stretta conoscenza di persone che si sono suicidate. Oltre all’indubbia influenza emotiva - indipendente dal carico genetico - di un evento suicidario avvenuto tra i parenti stretti, si deve
ricordare l’impatto dei media sul suicidio imitativo (detto anche “effetto Werther”, o “copycat suicidario”): è fatto dimostrato
che il tipo di pubblicità data al suicidio o alle possibilità alternative può influenzare il tasso dei suicidi.
L’accessibilità a mezzi specifici può influire nel passaggio dal pensiero all’atto e può inoltre determinare l’esito fatale o
meno dell’evento. L’accessibilità a mezzi specifici influisce sui metodi utilizzati. Negli USA le armi da fuoco sono utilizzate
nella maggior parte dei suicidi, contrariamente a molti Paesi invia di sviluppo, dove è l’ingestione di pesticidi il mezzo maggiormente utilizzato. In Inghilterra la riduzione del monossido di carbonio nel gas domestico si è associata ad una riduzione
del tasso di suicidi, anche se la relazione causale tra le due evenienze è stata messa in dubbio da alcuni. Ancora, la regolamentazione nella distribuzione dei farmaci, e lo stesso uso di antidepressivi a minor tossicità sembrano essere associati ad
una riduzione del rischio suicidario.
La presenza di un disturbo psichiatrico costituisce uno dei fattori di rischio per comportamento suicidario più frequentemente riportati. Disturbi maggiori dell’umore (depressione maggiore e disturbo bipolare), abuso di sostanze/alcool,
disturbi psicotici e di personalità determinano i più alti rischi di suicidio e comportamenti suicidari. Il rischio suicidario
associato alla depressione è molte volte maggiore rispetto a quello della popolazione generale. Circa il 4% dei soggetti
depressi muoiono per suicidio, con un rischio maggiore negli uomini ed in soggetti che abbiano presentato precedenti
ospedalizzazioni per rischio suicidario. Tra i predittori clinici collegati al suicidio di pazienti depressi, vi sono una storia di
tentato suicidio, alti livelli di mancanza di speranza, importanti tendenze suicidarie. È più frequente che l’autosoppressione si presenti ad una prima presentazione di disturbo dell’umore e sia correlata a tratti di personalità impulsivo-aggressivi
e ad un abuso alcolico.
Chi è affetto da disturbo bipolare presenta un rischio di suicidio ancora superiore rispetto a chi ha esclusivamente sintomi di una depressione maggiore. Il 25-50% dei pazienti bipolari attua tentativi di suicidio e il 10-15% muore per suicidio.
Comunemente l’evento avviene precocemente nel corso della malattia. Fattori di rischio associati al suicidio nel bipolare
sono la presenza di auto-lesionismo, una storia familiare di suicidio, un esordio precoce, l’aumento della gravità della malattia, la presenza di sintomi depressivi (tra i quali la mancanza di speranza), la presenza di uno stato misto o di ciclizzazioni
rapide, altri disturbi psichiatrici in comorbilità e l’abuso di droghe o alcol.
Nei pazienti affetti da schizofrenia esiste un rischio lifetime del 4-5%, soprattutto agli esordi della malattia. Il rischio non
è tanto associato ai sintomi centrali della malattia, come deliri e allucinazioni, quanto piuttosto alla depressione e ai sintomi
affettivi aspecifici (agitazione, senso di “mancanza di significato”, mancanza di speranza), rendendo ad esempio particolarmente a rischio il periodo successivo ad un ricovero in ospedale. Altri fattori includono precedenti tentativi di suicidio, uso
di droghe, paura, dissociazione mentale, una recente perdita e scarsa aderenza al trattamento.
Altra patologia psichiatrica associata ad un incremento del rischio suicidario è la dipendenza alcolica, dove la gravità del
disturbo, con il carico di aggressività, impulsività e mancanza di speranza, sembra avere il maggior ruolo predisponente. Da
questo punto di vista, la riduzione dell’accessibilità agli alcolici potrebbe risultare una utile strategia di prevenzione del suicidio. Questo è avvenuto ad esempio in URSS, dove una minore disponibilità degli alcolici in vendita ha effettivamente ridotto il numero assoluto dei suicidi.
Ancora, il suicidio è frequente in persone con disturbi alimentari (in particolare l’anoressia nervosa) ed anche nei disturbi
dell’adattamento, d’ansia, da attacchi di panico. Anche in questo caso importante è la comorbilità con i disturbi dell’umore e
l’abuso alcolico.
Relativamente ai disturbi di personalità, è presente una prevalenza di tali disturbi nel 30- 40% in persone che commettono suicidio. Un maggior rischio sembra associarsi in particolare ai disturbi borderline e antisociale. Molto frequenti in questi
pazienti sono anche i comportamenti parasuicidari. In questo caso le caratteristiche cliniche che si associano ad un alto
rischio di comportamenti suicidari sono l’impulsività, il sentimento di disperazione, l’invidia pervasiva, caratteristiche antisociali e l’isolamento interpersonale.
Il suicido è stato associato con diversi patologie fisiche, tra le quali neoplasie (in particolare tumori del collo e della
testa), HIV/AIDS, corea di Huntington, sclerosi multipla, epilessia, ulcera peptica, patologie renali, traumi alla colonna vertebrale, lupus eritematoso sistemico e dolore cronico. É importante sottolineare che solo raramente si verificano suicidi in
portatori di malattie fisiche in assenza di sintomi psichiatrici concomitanti e che la gravità della patologia va a costituirsi
come fattore di rischio indipendente in presenza di uno scarso supporto sociale, familiare, finanziario, assieme alla scarsa
considerazione da parte dei medici di possibili problemi psichiatrici concomitanti. Recentemente ha assunto particolare
rilievo il rischio di suicidio nella popolazione ospedalizzata: in Italia il “suicidio o tentato suicidio di paziente in ospedale” è
stato l’evento sentinella più frequentemente segnalato dalle strutture sanitarie al Ministero della Salute, con 88 casi dal
settembre 2005 all’agosto 2009.
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congresso di psichiatria
Modelli esplicativi del comportamento suicidario
Negli ultimi anni la ricerca su casistiche limitate di individui ha prodotto un certo numero di modelli esplicativi sul comportamento suicidario. Particolare successo ha avuto il modello “diatesi-stress”, secondo il quale l’agito suicidario è la risultante dell’interazione tra una disposizione soggettiva (variamente misurata) e alcuni stressor, tra i quali la malattia psichiatrica, i life events e le diverse variabili sociali e culturali. Un altro modello è quello “di processo”, che descrive l’interazione tra
caratteristiche di stato e di tratto in un’evoluzione progressiva che precipita il comportamento autosoppressivo quando
vengono ad essere confrontati e superati dei fattori che funzionano da soglia (ad es. la disponibilità di mezzi o la proposta di
esempi di riferimento).
Il modello diatesi-stress è supportato dalle evidenze sulla frequente presenza di eventi di vita stressanti che precedono
l’atto suicidario. Tra questi emergono la presenza di un lutto, in particolare la perdita del partner o di una persona molto
vicina, rotture o conflitti in relazioni interpersonali/sentimentali o all’interno della famiglia, separazioni o divorzi, sradicamenti dal proprio contesto culturale e relazionale, la presenza di problemi di ordine giudiziario/disciplinare. Rispetto a tali
fattori, sembra che il rischio che ne consegue sia maggiore se ne deriva un isolamento sociale o il determinarsi di umiliazioni
o vissuti di vergogna.
La stessa presenza di stress cronici potrebbe inoltre spiegare perché alcune occupazioni sono più soggette a tali comportamenti (personale medico, militare o di polizia). Tuttavia è stato anche proposto che tale maggior rischio possa essere
spiegato dalle caratteristiche individuali che motivano a svolgere questi lavori.
In entrambi i modelli le caratteristiche di stato e di tratto possono essere descritte in termini psicologici e biologici. Ad
esempio, dal punto di vista della psicologia cognitiva la modalità di pensiero che fa percepire all’individuo la assenza di vie di
salvezza è associata a tratti impulsivi e aggressivi, alla incapacità a immaginare eventi positivi e al tratto temperamentale di evitamento del pericolo, secondo il modello di Cloninger. Studi di neuroimaging hanno a loro volta evidenziato una correlazione
negativa tra hopelessness, temperamento di evitamento del pericolo e binding prefrontale ai recettori serotoninergici 5-HT2A.
I modelli psicobiologici, integrati dalle conoscenze sulle variabili esperienziali degli individui, cercano di organizzare gli
elementi che definiscono i fattori di rischio individuali per il suicidio. Essi costituiscono gli strumenti conoscitivi per impostare i trattamenti psicoterapici e farmacologici negli individui che cercano una cura.
L’assessment e la prevenzione del rischio suicidario
Diverse sono le strategie adottate a livello nazionale nella prevenzione e management del rischio suicidario. In generale
la prevenzione sociale può integrare strategie mirate ad intervenire su gruppi di soggetti ad alto rischio.
Strategie sociali
La modificazione/ rimozione di mezzi usati per il suicidio si è dimostrata utile nel ridurre i tassi di suicidio. Come già
riportato, esempi sono il cambiamento in Inghilterra nelle forniture di gas da una forma più tossica ad un’altra meno tossica
o la riduzione drastica nell’accessibilità agli alcolici in URSS o il maggior controllo delle armi in Paesi dove queste vengono
utilizzate più spesso come mezzi per il suicido. Infatti la sostituzione con un altro mezzo avviene, ma è rara. Una simile strategia attraverso una regolamentazione nell’accesso è stata proposta per i pesticidi, mezzo frequentemente usato nelle aree
rurali, principalmente nei Paesi in via di sviluppo.
Accanto a questo tipo di forme di prevenzione sono stati attivati in diversi Paesi programmi di educazione per i medici di
medicina generale (MMG) per migliorare le sensibilità nell’individuare e gestire i casi di depressione in una presa in carico
primaria. Tali programmi si sono dimostrati efficaci nel ridurre i tassi di suicidio.
Esistono inoltre programmi scolastici che mirano ad aumentare il benessere psicologico nel tentativo di contribuire alla
prevenzione del suicidio nei soggetti giovani. Poiché su questi interventi sono stati sollevati alcuni dubbi, si lavora al
momento nell’individuare quali siano le migliori categorie oggetto di educazione.
Altri esempi di prevenzione sono riscontrabili nelle restrizioni ai media nelle modalità di riportare e dipingere comportamenti suicidari. Attualmente, i codici di comportamento dei giornalisti in diversi Paesi variano dalla disposizione di non
comunicare mai notizie sui suicidi (Norvegia) a posizioni meno drastiche. Sembra comunque che la riduzione più grande del
copycat suicidario possa derivare dalla diminuzione assoluta della quantità di notizie sul suicidio, piuttosto che dalla qualità
percepita del tipo di notizie riportate. In generale i media dovrebbero evitare atteggiamenti sensazionalistici e ipersemplificazioni, sottolineando la sofferenza, offrendo modelli positivi, ma soprattutto dando poco rilievo alla notizia.
Assessment clinico
Il contatto con i servizi sanitari nel periodo di tempo che precede il suicidio è frequente. Il MMG viene in contatto in media
con tre casi su quattro suicidi entro l’anno precedente, i Servizi di Salute Mentale (SSM) in un caso su cinque nel mese precedente il suicidio (Figura 1). Da qui la necessità da parte dei medici di riconoscere e valutare i fattori di rischio di un paziente.
Uno dei punti su cui si sta accentrando l’attenzione degli esperti è rappresentato dalle metodologie per l’assessment e il
management del rischio suicidario basate sulla clinica. L’introduzione di metodiche e di strumenti per la valutazione del
rischio suicidario è relativamente recente, ma ha evidenziato importanti possibilità di evoluzione e anche di applicazione cli28
congresso di psichiatria
nica. Laddove attentamente e correttamente applicata, assieme alle altre tipologie di intervento e di gestione del fenomeno
suicidario, la valutazione dei pazienti a rischio può apportare un contributo fondamentale per migliorare la pratica clinica e
per il benessere degli operatori e dei pazienti in generale. Ma la valutazione del rischio suicidario non è affatto un atto semplice, soprattutto in funzione della complessità del concetto stesso di valutazione del rischio, della diversità delle situazioni
in cui può essere attuata e della modalità con cui effettuarla in termini effettivamente efficaci.
È utile innanzitutto distinguere il rischio dalla prevedibilità di suicidio. Non esistono in effetti standard professionali di prevedibilità del gesto suicidario, anche se un suicidio del paziente può essere ritenuto prevedibile con il senno del poi. Ma il rischio di suicidio, invece, è determinabile e la sua determinazione può effettivamente aiutare alla prevenzione del gesto autolesivo.
In questo senso, è fondamentale uno stile di lavoro che preveda, tra i vari tipi di intervento, anche l’adozione di strumenti e procedure in grado di garantire un buon assessment del paziente. Una corretta e puntuale valutazione del rischio
suicidario, specie nelle situazioni più importanti e gravi, può avere risvolti positivi in primo luogo nella pratica operativa, ma
anche in chiave medico-legale.
I medici, e spesso anche gli psichiatri, sono spesso poco propensi a quantificare il livello di ideazione e di potenzialità
suicidaria del paziente, ad adottare strumenti specifici per l’assessment e rilevazione del rischio suicidario, nonché ad utilizzare strategie per il post-suicidio.
Esistono oggi numerosi strumenti per l’assessment del rischio suicidario, raggruppabili nelle due principali categorie
delle scale psicometriche e dei questionari. Questa seconda tipologia di strumento può rappresentare un valido aiuto per la
corretta registrazione della metodologia di lavoro e un supporto nel monitoraggio del soggetto individuato come a rischio,
giustificando le successive decisioni terapeutiche.
È evidente che simili strumenti non potranno e non dovranno essere considerati come una garanzia di una sorta di
modalità infallibile di gestione del paziente con comportamento suicidario, anche perché in questo campo nessun strumento o procedura ci autorizza, di per sé, a farci sentire poi tranquilli. Può però aiutarci a contribuire alla certezza di avere fatto
e registrato ciò che era opportuno fare.
Le scale di predizione del suicidio sono molte: ricordiamo la Scale for suicide ideation, la Suicidal attempted scale, il Suicide
attitude test, la Suicide prevention schedule, il Reasons for living inventory, il Consequence of suicidal behavior questionnaire.
Anche le più classiche indagini testistiche psichiatriche possono essere di aiuto, dal momento che forniscono un indicazione clinica delle situazioni maggiormente collegate con il suicidio dei pazienti psichiatrici.
Il Systematic Suicide Risk Assessment è un questionario elaborato da Simon e colleghi che si basa su una serie di indicatori
individuali, clinici, interpersonali situazionali e demografici che oltre ad essere indagati vengono quantificati su quattro
livelli (assente, basso, medio e alto rischio) oggettivando, da un lato, la situazione del soggetto in esame e, da un altro lato,
permettendo una valutazione personale dell’operatore per ciascun item considerato separatamente, ciò che permette di
avere al termine della valutazione un’impressione di rischio complessivo per il paziente. Proprio il fatto che sia prevista una
valutazione in forma di impressione personale dell’esaminatore, anziché un punteggio complessivo finale, definisce il significato centrato sul management clinico sistematico di questo strumento.
Un ulteriore aspetto da considerare è quello della responsabilità professionale del medico nella determinazione delle
potenzialità suicidarie di un paziente, nel doppio versante dell’accertamento e della gestione clinica. Chiles e Strosahl hanno
individuato quelle che sono le principali aree in cui ricadono, negli Stati Uniti, la maggior parte delle controversie civili
riguardanti pazienti suicidi. Tra queste, spiccano:
• assessment inappropriato o inadeguato
• mancata ospedalizzazione o trattamento ritardato del paziente
• mancato ricorso a consulenza specialistica
• mancanza di comunicazione tra terapisti
• mancanza di rivalutazione del rischio suicidario
• mancata adesione a protocolli di gestione per la crisi
• inadeguatezza di strutture di sicurezza e protezione.
Una sistematica documentazione dell’assessment del rischio suicidario contribuisce a fornire al giudice il suo orientamento nel corso di un eventuale processo. Quando la valutazione del rischio suicidario non è documentata o eseguita, la
Magistratura può non essere in grado di valutare le complessità clinica e le ambiguità insite nell’assessment e, in generale,
nella gestione dei pazienti a rischio suicidario.
Si potrebbe anche avanzare l’obiezione che un assessment troppo specifico e sistematico potrebbe esporre il medico a future critiche, oppure aumentare il ricorso al ricovero. In realtà per il medico non ci sono molte alternative e riteniamo che, piuttosto
che dover affrontare la situazione di un suicidio mancato o attuato in assenza di una documentazione della sua precedente valutazione, sia meglio ‘rischiare’ un incremento dei ricoveri. E, poi, non è forse un atteggiamento mistificante quello di nascondere
ciò che ci preoccupa e che temiamo solo per la paura che, in futuro, si possa venire a sapere che noi lo temevamo?
La gestione del paziente con rischio suicidario ritenuto elevato coincide con la pratica quotidiana del lavoro dello specialista psichiatra, ma più in generale di qualunque medico che abbia in cura un paziente.
La pubblicazione di linee guida internazionali su questo argomento suscita, come spesso accade per le altra tipologie di
linee guida, interesse e perplessità concomitanti. Un esempio di linee guida sono la WHO Guidelines
(WHO/MNH/MND/93,24: Guidelines for the primary prevention of mental, neurological amd psychiatric disorders.4.Suicide),
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congresso di psichiatria
che contengono informazioni per un vasto gruppo di utenti, tra cui operatori sanitari dell’assistenza di base e specialistica,
comunità scientifiche e organi di Polizia, ma anche giornalisti e la popolazione in generale.
Di maggiore interesse sul piano clinico sono le linee guida APA (Practice guideline for the assessment and treatment of patients
with suicidal behaviours) che, oltre ad essere particolarmente dettagliate, affrontano in modo diretto e specifico il problema dell’assessment, del management e del trattamento del soggetto con comportamento suicidario. Secondo queste linee guida, i pazienti
con pensieri, progetti o comportamenti suicidari dovrebbero in generale essere trattati nel setting meno restrittivo e, al contempo,
più protettivo ed efficace possibile. Non mancano, in queste linee guida, anche considerazioni originali, in grado di colpire l’attenzione: ad esempio, viene dichiarata apertamente la mancanza di evidenza sulla possibilità di una riduzione del rischio suicidario
attraverso il trattamento antidepressivo. Viene comunque riportato che l’efficacia degli antidepressivi nel trattamento degli episodi di depressione in acuto e, nel lungo termine, per l’ansia e la depressione ne supporta l’indicazione alla prescrizione in individui
con questi disturbi che sperimentano pensieri o comportamenti suicidari. E viene ribadito, sempre in tema di farmacoterapia,
come i sali di litio abbiano una documentata efficacia nel prevenire il suicidio nei soggetti bipolari. Viene, infine, confermata l’importanza della psicoterapie e degli interventi psicosociali nei soggetti con pensieri e comportamenti suicidari.
Nel loro insieme queste ed altre linee guida appaiono interessanti, ma occorre sottolineare come siano utilizzabili, nella
pratica, più come linee per l’assessment del suicidio, che per il suo trattamento. Rispetto a quest’ultimo aspetto, infatti,
contengono per lo più una raccolta di aggiornamenti, ma non delle vere e proprie raccomandazioni prescrittive per il sanitario. Ovviamente, ciò rimanda al significato e al ruolo delle linee guida in generale, tema di importanza e attualità che qui preferiamo limitarci a indicare, esponendo come nostro unico commento il concetto che le linee guida psichiatriche dovrebbero essere considerate e utilizzate soprattutto come un testo di consultazione, non una dottrina da seguire o adottare ciecamente come il termine ‘guida’ potrebbe lasciare intendere.
Nella pratica clinica, il medico deve accertare la possibilità che venga messo in atto un comportamento suicidario ogni
qual volta siano individuabili fattori di rischio prossimali e distali, ma più in generale quando percepisca dentro di sé il dubbio,
evitando di scartare la propria percezione come irrazionale o fuori luogo.
Nel corso del colloquio è necessario, accanto ad una raccolta dell’anamnesi medica e psichiatrica, affrontare l’esame dello stato
mentale. All’interno di questo, in particolare nei soggetti con depressione, si potrà iniziare chiedendo se sia presente una preoccupazione specifica e anche l’impressione di non farcela più o di non avere una via di uscita. La richiesta sulla presenza di ideazione e
piani suicidari può essere introdotta da una frase del tipo “Alcune persone nella sua situazione penserebbero che non vale la pena
continuare a vivere, è successo anche a Lei?”. Accanto a ciò andranno identificati specifici fattori di rischio, possibili target di interventi terapeutici ed eventuali fattori protettivi che possono risultare utili nello stesso intervento. Se esiste un rischio suicidario, un’ulteriore valutazione dovrebbe mirare a valutare l’imminenza di un comportamento autosoppressivo. L’intenzione di morire, esplicitamente espressa o inferita dal comportamento, la presenza di piani convincenti e alti livelli di mancanza di speranza indicano un
imminente rischio. Si è già sottolineato che una storia di tentativi di suicidio è uno dei più significativi indici di rischio. Esso aumenta
in proporzione per pregressi tentativi seri, frequenti o recenti. Importante sarà valutare la presenza di comportamenti autodistruttivi, e tra questi l’uso di alcol e di sostanze, che possono favorire l’impulsività e il facile accesso nei metodi atti a compiere l’atto.
La gestione del rischio suicidario
In casi di imminente o elevato rischio suicidario sarà fondamentale organizzare un intervento immediato. Tra questi la
vigilanza e la supervisione del paziente, in taluni casi attraverso l’ospedalizzazione. Importante sarà inoltre intervenire
rimuovendo i possibili mezzi per attuare l’autosoppressione. Accanto a ciò l’intervento andrà focalizzato sui fattori di
rischio precedentemente individuati. Tra questi sarà importante intervenire sui frequenti disturbi psichiatrici associati, ma
anche su eventuali fattori stressogeni.
Relativamente alle patologie psichiatriche associate ad un incremento del rischio, nel caso di un disturbo dell’umore, le opzioni
terapeutiche più frequentemente utilizzate sono le diverse classi di farmaci, antidepressivi, stabilizzanti dell’umore e antipsicotici,
oltre alla psicoterapia. Sebbene la diagnosi ed il trattamento del disturbo dell’umore risulti un aspetto cardine nella riduzione del
rischio, la relazione tra i trattamenti – in particolare gli antidepressivi – e il rischio suicidario è dibattuta. Una recente review sistematica di Barbui e colleghi, basata su studi osservazionali, ha evidenziato una riduzione del rischio suicidario associata all’uso di
SSRI negli adulti con depressione. Diversi sono i dati per gli adolescenti, dove sembra che l’uso degli stessi farmaci SSRI possa
aumentare in rischio. A tal proposito sono stati proposti dei possibili bias, come la gravità di malattia, associata alla scelta di iniziare
o meno una terapia psicofarmacologia. Esistono in ogni caso dei warning da parte di agenzie di regolamentazione relative all’uso
degli SSRI in bambini e adolescenti per il possibile incremento del rischio di ideazione suicidaria e tentativi non fatali di suicidio. Le
linee guida raccomandano che gli antidepressivi vengano dati solo in adolescenti con depressione moderata grave e in associazione ad una terapia di tipo psicologico. I benefici di una terapia cognitivo-comportamentale potrebbero includere un’attenuazione
del rischio di suicidalità durante il trattamento farmacologico. Altri farmaci antidepressivi, come i triciclici, dovrebbero essere usati
con cautela data la loro potenziale letalità in overdose. Prove di efficacia preventiva sul rischio suicidario esistono invece per i sali di
litio. Anche in questo caso sono però possibili dei bias, la scelta dell’utilizzo dei sali di litio è infatti solitamente condizionata alla
possibilità e necessità di un setting strutturato con un monitoraggio stretto a lungo termine. Ciò non esclude tuttavia una possibile
efficacia attraverso un effetto sulla stabilizzazione del tono dell’umore, impulsività e aggressività.
Importante in una presa in carico sarà in ogni caso un routinario controllo di sintomi, effetti collaterali e rischio suicidario
nel corso della terapia con antidepressivi. Ancora, rispetto alle ospedalizzazioni è importante ricordare che la maggior parte
di suicidi associati con una ospedalizzazione psichiatrica avvengono precocemente dopo la fine della presa in carico. In tal
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Conclusioni
congresso di psichiatria
caso servizi più sicuri, una presa in carico intensiva e che vada oltre il solo ricovero, sono importanti per ridurre il rischio di
suicidio in pazienti con disturbi psichiatrici.
In soggetti affetti da schizofrenia una maggiore mortalità è stata osservata in pazienti che non assumono antipsicotici.
Sebbene non siano molti gli studi effettuati sull’efficacia degli antipsicotici nel diminuire il rischio suicidario, le maggiori evidenze riguardano una riduzione del rischio con l’utilizzo della clozapina. Anche in questo caso è possibile un bias analogo a quello
per il litio, richiedendo la clozapina dei setting più strutturati rispetto a quelli necessari per l’utilizzo di altri antipsicotici.
Infine, dato l’alto tasso di suicidi in popolazioni con un pregresso tentativo suicidario e comportamenti auto-aggressivi è
importante considerare in questi casi programmi di prevenzione, considerando ad esempio specifici trattamenti psicologici,
specialmente la terapia cognitivo comportamentale e prevedere l’utilizzo, se disponibili, di linee di crisi per il self-help,
importante risorsa nell’aiutare persone suicidarie.
Esiste una molteplicità di fattori associati ad un aumento del tasso di suicidio. Difficile risulta tuttavia predire il suicidio
del singolo individuo, poiché questi fattori spiegano solamente una parte della varianza nel rischio.
L’evento suicidio rappresenta l’esito di un sistema complesso, dove nessun approccio singolo può determinare un
sostanziale calo del tasso di suicidi e le difficoltà di intervento preventivo e terapeutico esistono. Tuttavia la conoscenza di
diversi aspetti epidemiologici, unita a strategie di prevenzione ed al sapere clinico, hanno evidenziato la possibilità di
sostanziali riduzioni nel tasso di suicidi. In tal senso è importante una continua ricerca ed applicazione delle conoscenze.
Accanto a tutto ciò, è infine indispensabile ricordare che alle volte la realtà può produrre esperienze dolorose che travalicano la sopportazione della fatica del vivere, conducendo l’individuo a togliersi la vita.
Bibliografia consigliata
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Figura 1. Contatti con i MMG e i servizi psichiatrici prima del suicidio (Luoma et al, 2002)
31
congresso di psichiatria
I farmaci antipsicotici.
Caratteristiche e uso clinico
Matteo Balestrieri, Serena Goljevscek
Clinica Psichiatrica, Azienda Ospedaliero-Universitaria Santa Maria della Misericordia, Udine
È irrealistico un approccio alla terapia delle psicosi schizofreniche che non preveda, sia nella fase acuta che di stabilizzazione, una strategia farmacologica. La necessità di impiegare gli antipsicotici (AP) nella prevenzione delle riacutizzazioni psicotiche è stata infatti confermata molte volte. Numerose ricerche effettuate in questi ultimi venti anni hanno inoltre stabilito che un intervento farmacologico precoce in pazienti al primo episodio ne migliora la prognosi.
Se l’introduzione dei primi due farmaci AP (allora denominati “neurolettici”), la clorpromazina e l’aloperidolo, avvenuta
alla fine degli anni ’50, ha rappresentato un passo fondamentale nel trattamento delle psicosi, allo stesso tempo essa ne ha
rivelato i limiti sia di efficacia assoluta che di tollerabilità. In particolare, l’insorgenza di specifici effetti indesiderati, quali i
disturbi a carico del sistema extrapiramidale e quelli secondari ad iperprolattinemia, ha introdotto un rilevante elemento
problematico nella gestione complessiva del paziente.
L’introduzione sui mercati di AP più recenti ha comportato alcuni vantaggi per i pazienti sul piano della efficacia su alcuni sintomi, ma ha d’altra parte riproposto problemi di tollerabilità, questa volta centrati sui dismetabolismi che questi AP
tendono ad attivare.
Sebbene in questi ultimi trent’anni siano state acquisite importanti informazioni sui benefici/rischi del trattamento farmacologico della schizofrenia, molti quesiti restano in realtà ancora da risolvere. Si pensi ad esempio, al problema dei
pazienti che non rispondono in modo soddisfacente ai farmaci AP, alla difficoltà (presente in almeno un terzo dei pazienti
psicotici gravi) di sospendere un trattamento con AP per il rischio elevato di ricaduta, alla difficoltà di identificare fattori di
rischio predittivi di una riacutizzazione psicotica e infine alla mancanza di criteri forti per identificare a priori il farmaco AP e
la strategia di trattamento più adeguata nel singolo paziente.
Neurolettici, o antipsicotici tipici
La caratteristica farmacologia chiave di tutti i neurolettici – detti anche antipsicotici tipici, o di prima generazione (APG) – è la
capacità di bloccare i recettori D2 della dopamina, azione responsabile non solo dell’efficacia antipsicotica, ma anche della maggior
parte dei loro effetti indesiderati. L’azione terapeutica si esplica attraverso il blocco recettoriale nella via dopaminergica mesolimbica, riducendone quell’iperattività che si postula provochi i sintomi positivi delle psicosi. Tale blocco, non essendo selettivo, coinvolge i recettori D2 di tutto l’encefalo, e agisce su tre ulteriori vie dopaminergiche, la mesocorticale, la nigrostriatale e la tuberoinfundibolare. All’azione sulle ultime due vie è dovuta gran parte l’insorgenza di effetti indesiderabili di notevole importanza.
La mancata selettività degli APG si traduce in una loro azione a livello di sistemi neurotrasmettitoriali diversi da quello
dopaminergico e si esprime attraverso un blocco dei recettori colinergici muscarinici, adrenergici α1 e istaminergici H1,
responsabile dell’insorgenza di una ampio spettro di effetti indesiderati. Delle quattro vie dopaminergiche presenti nel cervello, il blocco di una sola di queste sembra essere utile a fini terapeutici, ma risulta dannoso nelle altre tre ed è quindi possibile che i sintomi negativi e cognitivi della psicosi peggiorino quando il blocco coinvolge l’area mesocorticale, che si manifestino effetti extrapiramidali (EPS) e discinesia tardiva quando sono inibiti i recettori nigrostriatali e che si produca iperprolattinemia con le sue complicanze quando il blocco avviene a livello tubero-infundibolare.
Il problema farmacologico è quello di agire in maniera selettiva, inducendo un blocco sulla via mesolimbica e una stimolazione della via mesocorticale, lasciando invece inalterate le restanti due vie per evitare gli effetti indesiderati.
Anche se gli APG possiedono una documentata efficacia sui sintomi psicotici, una proporzione consistente (35-40%) di
pazienti affetti da psicosi di tipo schizofrenico non risponde in modo soddisfacente ad un trattamento durante la fase acuta. Tali
pazienti sono definiti come “resistenti” (poor responders) o “refrattari” (non responders). L’efficacia antipsicotica, inoltre, risulta
soddisfacente solo nei confronti della sintomatologia positiva, mentre scarsi sono i risultati terapeutici nei confronti dei sintomi
negativi, cognitivi e depressivi. Per quel che riguarda la terapia di mantenimento della schizofrenia, numerosi studi di follow-up
hanno evidenziato come i pazienti che hanno risposto durante la fase acuta presentano un tasso di ricaduta pari al 20% dopo un
anno e al 40% dopo 4 anni. A ciò si aggiunge la scarsa tollerabilità degli APG, correlata all’induzione degli effetti indesiderati, che
possono manifestarsi sia nella fase acuta del trattamento che in quella di mantenimento. Tra gli effetti indesiderati alcuni meritano un’attenzione particolare, vista la invalidità e il decadimento della qualità di vita che ne consegue.
Il più grave tra gli EPS è la discinesia tardiva, che ha un’elevata incidenza (5%) e prevalenza (24%) ed è irreversibile nel
30% dei casi. Tale effetto determina una riduzione della qualità di vita dei pazienti e uno stigma sociale.
Altri effetti indesiderati riguardano la conduzione cardiaca. Alterazioni ECGgrafiche e aritmie ventricolari possono emergere in corso di terapia con AP, in particolare con l’aloperidolo. Di particolare rilievo clinico è il verificarsi di un prolungamento dell’intervallo QTc, che, superata la soglia dei 450 millisecondi, deve essere considerato un fattore predittivo di rischio
per l’insorgenza di tachicardia ventricolare “a torsione di punta”.
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congresso di psichiatria
Tachicardia ventricolare “a torsione di punta” in soggetto con QT lungo da aloperidolo
È quindi sempre necessario – anche perché normato dalla legge (vedi oltre) – effettuare nei pazienti a rischio e negli
anziani un monitoraggio ECGgrafico regolare durante un trattamento prolungato con AP. È anche bene ricordare che i fattori
di rischio per una sindrome da QT lungo sono il sesso femminile, una malattia cardiovascolare concomitante, l’uso di
sostanze, la presenza di interazioni farmacologiche, una bradicardia, disturbi elettrolitici, l’anoressia nervosa e infine la sindrome congenita da QT lungo.
Un altro effetto indesiderato è l’incremento ponderale anche cospicuo, associato al trattamento neurolettico nel 40% dei
casi. Esso produce una minore compliance del paziente e ne peggiora la salute fisica.
Una complicanza rara ma possibile è la sindrome maligna da neurolettici, evento tossico potenzialmente letale, che si
presenta solitamente entro i primi 30 giorni di esposizione agli AP e presenta i sintomi di febbre (38-40°), rigidità muscolare,
tachicardia, tachipnea, sudorazione profusa e ipertensione, associati ad un forte aumento dei livelli sierici di creatin-fosfochinasi (CPK). L’evoluzione favorevole di tale sindrome è legata al rapido riconoscimento dei primi sintomi e all’immediata
sospensione dell’AP.
Oltre agli effetti sin qui elencati, ricordiamo ancora la disforia soggettiva, espressione psichica dell’acatisia, che può comparire anche in assenza della componente motoria ed indurre quindi ad errori diagnostici e ad interventi terapeutici impropri e controproducenti. E’ stato dimostrato come la disforia soggettiva possa ridurre la compliance, peggiorare l’esito del
trattamento e indurre comportamenti autolesivi.
La componente emotiva e cognitiva del parkinsonismo configura infine quadri definiti come “depressione acinetica”, che
corrisponde alla condizione clinica del paziente “stabilizzato”, ritirato e anaffettivo. Questi effetti, tanto frequenti quanto
sottovalutati in clinica, rappresentano di fatto la quota iatrogena dei sintomi negativi secondari della schizofrenia.
Antipsicotici atipici, o di seconda generazione
Gli AP atipici – detti anche di seconda generazione (ASG) – sono stati sviluppati per ottenere trattamenti efficaci per la
schizofrenia, privi degli effetti indesiderati precedentemente elencati ed attivi su quella percentuale di pazienti che non
risponde al trattamento con gli APG.
Con il termine di ASG sono stati designati dei composti potenzialmente caratterizzati da:
• un diverso profilo recettoriale a livello del SNC
• una ridotta incidenza di effetti extrapiramidali
• una miglior efficacia sui sintomi negativi e cognitivi
• la capacità di risultare attivi in una percentuale di pazienti resistenti al trattamento con APG
• la capacità di migliorare l’umore e ridurre l’incidenza di suicidio
Le principali caratteristiche farmacodinamiche di questi farmaci comprendono:
• minore affinità per i recettori D2 nigrostriatali e tubero-infundibolari
• maggiore affinità per i recettori D2 mesolimbici e mesocorticali
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congresso di psichiatria
• dissociazione rapida dal recettore D2
• maggiore affinità per i recettori serotoninergici 5-HT2a
• rapporto 5-HT2a/D2 più elevato
Una caratteristica farmacologica fondamentale degli ASG è la loro elevata affinità per un ampio spettro di recettori serotoninergici, oltre al sottotipo 5-HT2a. Tale proprietà enfatizza l’azione dell’influenza inibitoria della trasmissione serotoninergica sull’attività dei neuroni dopaminergici a proiezione striatale e corticofrontale, con conseguente riduzione degli effetti
EPS e della sintomatologia negativa.
Un’altra importante caratteristica degli ASG è la rapidità della dissociazione del legame di questi farmaci al recettore D2:
gli ASG occupano i recettori D2 in maniera transitoria, dissociandosene rapidamente per l’azione competitiva della dopamina
stessa. Ciò permetterebbe una fisiologica attività di questo neurotrasmettitore, con l’effetto di normalizzare i livelli di prolattina, migliorare la funzionalità cognitiva ed evitare i sintomi extrapiramidali.
Secondo le classificazioni della letteratura internazionale, gli ASG vengono così suddivisi:
• Antagonisti multirecettoriali (clozapina, olanzapina, quetiapina)
• Antagonisti D2/ 5-HT2a/α1/α2 (risperidone, ziprasidone)
• Agonisti parziali D2 e 5HT1A e antagonisti 5HT2 (aripiprazolo).
• Antagonisti selettivi D2, D3, D4 (amisulpride)
Non è ancora chiaro se un profilo eterogeneo possa essere migliore rispetto a caratteristiche farmacodinamiche più definite, ma i dati della letteratura suggeriscono che spesso la risposta di un paziente schizofrenico è diversa a seconda delle
caratteristiche recettoriali del farmaco utilizzato. Bisogna capire se la risposta è legata ad un singolo sistema recettoriale in
grado di correggere una specifica disfunzione o piuttosto al fatto che l’interazione contemporanea con diversi sistemi
determini modificazioni differenti a livello di bersagli intracellulari, a loro volta responsabili degli effetti terapeutici.
I singoli pazienti possono avere risposte molto diverse nell’uso di un ASG rispetto ad un altro. Un posto particolare tra gli
ASG va riservato alla clozapina, sia perché è storicamente il primo di questi farmaci ad essere stato commercializzato, che
per il fatto che esso rappresenta il farmaco più efficace nella schizofrenia resistente al trattamento (è di fatto l’unico AP che
ha l’indicazione per la schizofrenia resistente). Nonostante ciò, l’effetto avverso più grave derivante da tale terapia (agranulocitosi) e la necessità conseguente di frequenti controlli della conta leucocitaria, inducono alcuni pazienti – e molti psichiatri – ad essere riluttanti nell’utilizzarla. Sono stati condotti diversi studi di confronto per valutare l’efficacia di altri ASG in
alternativa alla clozapina: da essi è emerso il dato che la clozapina resta il farmaco principale per le malattie psicotiche resistenti, benché possano anche essere usate con buoni risultati associazioni di AP di classi diverse e trattamenti combinati
con gli stabilizzatori dell’umore.
Un aspetto ulteriore da considerare quando si usano gli ASG è il processo metabolico cui vanno incontro, per azione sulle
diverse isoforme del citocromo P450:
• 1A2 per olanzapina e clozapina
• 2D6 per risperidone, olanzapina e clozapina
• 3A4 per clozapina, quetiapina e ziprasidone
In relazione a questi aspetti metabolici, viene a determinarsi la possibilità di interazioni farmacologiche, alcune delle
quali di particolare rilievo quando gli AP vengono associati ad altri psicofarmaci (antidepressivi o stabilizzanti dell’umore) o a
farmaci usati per altre patologie. Composti psicotropi, quali nefazodone o fluvoxamina, e non, come ketoconazolo o eritromicina, inibiscono l’isoenzima 3A4 e potrebbero, quindi, richiedere un’adeguata riduzione dei dosaggi di ASG metabolizzato da questa isoforma; al contrario, farmaci che aumentano l’attività 3A4 richiedono un aumento del dosaggio del farmaco
in uso: ciò è particolarmente rilevante per la carbamazepina, spesso utilizzato in associazione ai neurolettici. Il fumo, a sua
volta, determina una induzione dell’enzima 1A2, aumentando perciò il metabolismo di olanzapina e clozapina, con conseguente diminuzione della loro concentrazione ematica.
Efficacia e tollerabilità nel mondo reale
Negli anni, diversi studi clinici controllati (i randomized clinical trails, RCT) e le successive meta-analisi hanno prodotto
dati di confronto sull’efficacia e la tollerabilità di APG e ASG nella gestione della schizofrenia e delle altre patologie psicotiche
(Figura 1). Le conclusioni cui si giunge dall’analisi di tali studi evidenziano come alcuni, ma non tutti, gli ASG hanno una efficacia superiore agli APG.
È d’altra parte necessario osservare che non tutto ciò che viene suggerito da questi studi su popolazioni di pazienti selezionate e analizzate in situazioni ideali risulta poi confermato nel mondo reale del lavoro clinico quotidiano. Le dosi ottimali
suggerite da alcuni studi clinici spesso non corrispondono a quelle utilizzate nella pratica, essendo troppo alte per alcuni
farmaci e troppo basse per altri. In più, è possibile che l’effetto degli ASG non sia altrettanto rapido di quello degli APG per i
pazienti acutamente psicotici o agitati, che richiedono una pronta sedazione e in generale un’azione rapida del farmaco. Per
tali pazienti gli APG o le benzodiazepine con maggiore effetto sedativo possono essere utili come aggiunta o alternativa.
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• controindicazioni all’utilizzo di aloperidolo, droperidolo e pimozide in pazienti con patologie cardiache clinicamente significative, prolungamenti accertati del QTc, storia famigliare di aritmie e torsione di punta, uso di farmaci
che prolunghino il QTc, nonché avvertenze speciali e precauzioni per il loro uso (cautela nei pazienti con malattie
cardiovascolari, ECG di base prima di iniziare il trattamento, monitoraggio ECG in corso di terapia, riduzione di
dosaggio se si osserva prolungamento del QT, controllo periodico degli elettroliti)
• avvertenze speciali e precauzioni per l’uso di amisulpride, bromperidolo, clorpromazina, clotiapina, clozapina, flufenazina, levopromazina, quetiapina, risperidone, sulpride, trifluoperazina, zuclopentixolo, in pazienti con malattie cardiovascolari o con storia familiare di prolungamento di QTc; da evitare una terapia concomitante di questi
farmaci con altri neurolettici
• avvertenze speciali e precauzioni per l’uso di levosulpride, perfenazina, periciazina, procloperazina, promazina e
tiapride in pazienti con malattie cardiovascolari o con storia familiare di prolungamento di QTc; da evitare in concomitanza alla somministrazione di altri neurolettici.
• olanzapina da usare con cautela se prescritta insieme ad altri farmaci in grado di determinare un aumento del QTc,
soprattutto negli anziani, nei pazienti con insufficienza cardiaca congestizia, ipertrofia cardiaca, ipopotassiemia e
ipomagnesemia
• aripiprazolo da usare con cautela in pazienti con malattia cardiovascolare nota e con storia familiare di prolungamento del tratto QT
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congresso di psichiatria
In realtà, l’entusiasmo iniziale sugli ASG negli ultimi anni si è molto affievolito, trasformandosi in un dibattito sfaccettato
e aperto ai diversi aspetti relativi all’efficacia e alla tollerabilità degli AP. Gli studi di effectiveness (detti anche “studi clinici pratici” o “pragmatici”: relativi all’efficacia in condizioni cliniche non standardizzate, quanto invece di routine clinica) hanno in
effetti prodotto più interrogativi che certezze. Tra questi, i più estesi e noti sono il controverso CATIE (che ha dimostrato
una certa maggior efficacia di olanzapina, ma con il prezzo di un maggior aumento ponderale), il CUtLASS e l’EUFEST.
L’insieme dei dati derivanti dalle meta-analisi (riguardanti per definizione gli studi clinici controllati) e dagli studi di effectiveness dimostrano che gli ASG non costituiscono un gruppo omogeneo e che questa classificazione, ormai in uso da diversi anni, dovrebbe in realtà essere abbandonata. In generale si deve concludere che gli ASG non rappresentano la soluzione a
tutti i problemi. Ognuno di essi possiede proprietà differenti e il medico esperto dovrà individualizzare il progetto terapeutico – in una sorta di terapia sartoriale – in relazione alle problematiche e ai sintomi del paziente.
Anche per quello che riguarda misure d’esito differenti da quelle tradizionali, basate sulla valutazione dei sintomi, il
dibattito sull’efficacia degli ASG rimane aperto. Alcuni studi indicano una migliore esperienza soggettiva dei pazienti con l’utilizzo degli ASG rispetto agli APG, tuttavia altre ricerche non hanno confermato questi risultati. Lo stesso si può dire per
altre misure d’esito, come la qualità di vita e la compliance dei pazienti al farmaco. In questo momento storico si ha l’impressione di vivere in una situazione in cui gli psichiatri sono convinti dell’utilità clinica dell’utilizzo degli ASG a beneficio dei
pazienti, mentre la ricerca non riesce a individuare con certezza i metodi e le misure per confermare tale convinzione. Ciò è
anche dovuto sia ai problemi di selezione dei pazienti, esistenti nei clinical trial così come negli studi clinici pratici, che all’utilizzo – come già osservato – di una dicotomia ASG vs. APG utile a fini esplicativi generali, ma non più sostenibile nella pratica clinica. È da sottolineare comunque che le linee guida NICE, APA e australiane attualmente propongono gli ASG come farmaci di prima scelta nei primi episodi psicotici o in sostituzione degli APG con bassa efficacia e tollerabilità.
Le prospettive future su questo fronte sono quelle di valutare l’efficacia dei singoli AP (non più le classi!) con misure d’esito differenziate, valorizzando in particolare la capacità dei farmaci di favorire la socializzazione del paziente (nel doppio
aspetto delle capacità personali e dell’abbassamento dello stigma subito) e associando le caratteristiche personali (in futuro
anche la genetica) dei pazienti ai farmaci che più si adattano ad esse.
Anche per quello che riguarda la tollerabilità degli ASG, non è razionale affrontare l’argomento con il concetto di una
classe omogenea di farmaci. Esistono differenze nel rischio relativo di induzione di EPS (maggiore per il risperidone ad alti
dosaggi), aumento ponderale, iperglicemia e dislipidemia (maggiori per clozapina e olanzapina), iperprolattinemia (maggiore per amisulpride e risperidone) e prolungamento del QTc (maggiore per ziprasidone). Inoltre clozapina provoca in maggiore quantità sedazione, sintomi anticolinergici, ipotensione posturale, agranulocitosi e convulsioni.
Ad oggi non vi sono farmaci in grado di prevenire o contrastare l’effetto degli AP sull’aumento di peso, così come sulla
loro induzione del rischio di diabete mellito e di dislipidemie. Anche se studi recenti hanno dimostrato una certa efficacia
del farmaco anti iperglicemico metformina (somministrata successivamente all’AP), è sicuramente prematuro consigliarne
un uso diffuso.
In Italia, l’utilizzo degli AP nella pratica clinica è regolato da alcune norme, che vedono la loro origine dalle riflessioni
emerse da una rassegna del maggio 2006, pubblicata in Gran Bretagna, diretta dalla Pharmacovigilance Working Party, che si
prefissava di valutare il rischio cardiologico per ogni AP presente sul mercato britannico.
Nel 2007 un documento dell’AIFA introduceva una modifica delle schede tecniche dei farmaci AP, inerente la loro possibile azione sull’attività cardiaca. Da ciò originava successivamente il decreto n. 60 della Gazzetta Ufficiale del 13.03.2007,
che prevedeva l’inserimento nella scheda tecnica di:
congresso di psichiatria
A luglio 2005 risalgono, invece, le note AIFA inerenti il trattamento farmacologico dei disturbi psicotici in pazienti affetti
da demenza, che prevedono:
1. Attenta valutazione del disturbo da trattare. Il trattamento deve essere, infatti, riservato al controllo dei disturbi comportamentali gravi che non abbiano risposto all’intervento non farmacologico (modifiche ambientali,
counseling, ecc.)
2. Inizio della terapia con una dose bassa e graduale raggiungimento del dosaggio clinicamente efficace.
3. Se il trattamento è inefficace, sospensione graduale del farmaco e valutazione dell’utilizzo di un diverso composto
4. Se il trattamento è efficace, monitorare il soggetto per un periodo di 1-3 mesi e poi, una volta che il soggetto
sia asintomatico, tentare di sospendere gradualmente il farmaco.
5. Evitare di somministrare due o più AP contemporaneamente.
6. Evitare l’uso concomitante di AP e benzodiazepine. Si ricorda che a più del 40% dei dementi in istituzione vengono somministrati contemporaneamente tre o più tra AP e ansioliti/ipnotici! Anche questa associazione
andrebbe fortemente limitata, soprattutto alla luce della dichiarazione dell’EMEA che riporta l’uso concomitante di benzodiazepine e olanzapina tra i fattori predisponenti associati all’aumento di mortalità.
7. Attento monitoraggio della sicurezza ed efficacia dei AP e segnalazione tempestiva di tutti gli effetti indesiderati.
8. Cauta somministrazione di AP a soggetti con fattori di rischio cardiovascolare dopo attenta valutazione dello
stato clinico e con rivalutazione dei parametri vitali (e in particolare della pressione in clino e in ortostatismo) a
distanza di una settimana dall’inizio della terapia.
Linee di gestione clinica
Il trattamento del paziente schizofrenico è complesso e non può essere ridotto alla sola gestione della terapia farmacologica. È fondamentale un intervento di rete che coinvolga sul versante sanitario i servizi territoriali di salute mentale, la medicina generale e i distretti, ma importanti e a volte decisivi sono i servizi sociali e tutti gli attori impegnati nella gestione di agenzie e risorse per il disagio psichico. I medici sono solo alcuni dei professionisti coinvolti, mentre spesso molto del lavoro pratico quotidiano è affidato agli infermieri, ed educatori professionali, psicologi, assistenti sociali fanno poi la loro parte.
Un ulteriore aspetto di questa gestione complessa è collegabile alla diversità delle pratiche esistenti. Se raramente è possibile far equivalere la gestione di uno schizofrenico statunitense a quella di uno italiano, forti differenze esistono anche
all’interno dei Paesi dell’UE. La stessa Italia, al di là della notevole uniformità raggiunta della gestione della salute mentale
grazie alla legge 180, è di fatto un pot-pourri di pratiche collegabili a diverse politiche di gestione, alla organizzazione sanitaria e al dislocamento preferenziale delle risorse. I rapporti tra psichiatri e MMG sono a volte del tutto assenti e a volte ottimi, e quando ci sono si sono sviluppati spesso più grazie ai rapporti interpersonali che a vere politiche di integrazione.
Il Friuli Venezia-Giulia è una regione storicamente molto attenta alla salute mentale ed ha sviluppato una politica sanitaria concentrata sul territorio, con forte riduzione dei ricoveri ospedalieri ed attivazione di diversi Centri di Salute Mentale
aperti sulle 24 ore. Accanto a ciò sono state attivate strategie di gestione clinico-assistenziale collegate a risorse finanziarie,
finalizzate all’effettuazione di interventi efficaci di rete con il coinvolgimento dei dipartimenti di salute mentale (DSM) e dell’ambito socio-sanitario. Tra i progetti (non solo legati alla salute mentale) di questi ultimi anni vi sono il Fondo per
l’Autonomia Possibile (FAP) e i Progetti Terapeutici Personalizzati (PTP). Tali iniziative sono rivolte a persone che, per la loro
condizione di non autosufficienza, non possono provvedere alla cura della propria persona e mantenere una normale vita di
relazione senza l’aiuto determinante di altri e che necessitano di interventi complessi di rete gestiti dai DSM.
Sta di fatto che anche all’interno della regione stessa esistono modelli di intervento differenziati tra DSM, in relazione a
fattori geografici, culturali e storici. Non solo, anche all’interno degli stessi DSM i diversi Centri di Salute Mentale possono
avere risorse e stili di gestione diversi, ad esempio in relazione al fatto di agire in un territorio urbano piuttosto che rurale.
Uno degli aspetti di questa diversità sta nei rapporti tra gli attori socio-sanitari e, nello specifico, tra DSM e medicina generale. È per questo motivo che riesce difficile a volte consigliare ai MMG stili di intervento e pratiche di lavoro nella gestione
della terapia antipsicotica, che sarà necessariamente diversa in relazione ai rapporti di collaborazione con il rispettivo CSM.
Va da sé che l’inquadramento diagnostico iniziale e la gestione della strategia terapeutica spetta agli psichiatri che lavorano nel servizio pubblico, mentre solo in casi rari e comunque con grandi limiti (pazienti complianti, senza sintomi gravi, invalidanti o suscettibili a scompensi improvvisi, con una buona rete sociale strutturata) potrà occuparsene lo psichiatra privato.
Il MMG ha un ruolo importante di raccordo con il CSM e nella gestione complessiva del caso. Nelle situazioni in cui il CSM
non risulta gradito al paziente, per gli inevitabili vissuti connessi a una cura che è necessaria sì oggettivamente, ma non agli
occhi del paziente, il MMG può essere la risorsa determinante per il successo del progetto terapeutico. Ancora, il MMG può
essere l’attore efficacemente coinvolto in una strategia in cui vi siano rapporti conflittuali o ambigui tra il paziente e i familiari. Altre volte è molto importante l’alleanza tra MMG e CSM nei casi in cui si renda necessario un ricovero volontario o coatto, per evitare che si crei agli occhi di pazienti e/o familiari la catalogazione degli operatori in “buoni” e “cattivi”. Infine nella
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gestione di un paziente in buon compenso, il MMG può essere di grande aiuto, ed egli stesso può trovare grande soddisfazione nella gestione del caso, segnalando ad esempio alterazioni dei valori metabolici oppure peggioramenti clinici (come
comportamenti insoliti o un ritiro sociale) osservati personalmente o riferiti dai familiari.
Da tutto questo deve risultare chiaro che il trattamento antipsicotico non può, se non in casi selezionati, essere valutato
in base all’efficacia “pura” del farmaco, ma deve essere inquadrato nella strategia generale di gestione del paziente. Il farmaco potenzialmente efficace potrà fare relativamente poco se il contesto sociale sarà sfavorevole e i professionisti della salute non saranno concordi sul progetto terapeutico. Come è ben noto anche fuori della salute mentale, non è remota la possibilità che il peggioramento della sintomatologia derivi da cause iatrogene.
Considerazioni conclusive
La ricerca clinica nel campo della terapia antipsicotica presenta ancora numerosi quesiti che devono essere affrontati
con onestà scientifica e rigore metodologico, sapendo che la strada per una conoscenza realistica delle potenzialità e delle
differenze cliniche tra le diverse classi di AP è ancora lunga.
Di fatto, come tutti i clinici sanno, l’efficacia e la tollerabilità di un trattamento antipsicotico può variare notevolmente se
si trattano pazienti al primo episodio oppure pazienti cronici, magari “neurolettizzati” da anni. Anche se tra i farmaci disponibili non esiste un composto che racchiuda in sé tutte le caratteristiche dell’AP ideale, esistono abbastanza informazioni
per effettuare trattamenti farmacologici razionali ed adeguati ai problemi dei singoli pazienti.
La strategia cui ispirarsi per l’impostazione a breve e lungo termine della terapia antipsicotica deve essere quindi la personalizzazione del trattamento, intesa come accurata individualizzazione della scelta del farmaco, del dosaggio, della via di
somministrazione e della durata del trattamento stesso. Impostazioni terapeutiche rigide, con protocolli troppo standardizzati rischiano, infatti, di non garantire al singolo paziente il meglio delle risorse terapeutiche oggi disponibili nel campo della
farmacoterapia delle psicosi.
Bibliografia consigliata
Alvarez PA., Pahissa J. (2010). QT alterations in psychopharmacology: proven candidates and suspects. Current Drugs
Safety 5: 97-104.
Balestrieri M., Di Sciascio G., Isola M., Lomonaco E., Maso E., Merli R., Calò S., Bellantuono C. (2009). Drug attitude and
subjective well-being in antipsychotic treatment monotherapy in real-world settings. Epidemiologia e Psichiatria Sociale 18:
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Bellantuono C., Vampini C., Balestrieri M. (2010) I nuovi antipsicotici. Seconda edizione. Il Pensiero Scientifico Editore:
Roma.
Bellantuono C. & Balestrieri M. (2003) Trattato di psicofarmacologia clinica. Il Pensiero Scientifico Editore: Roma.
Leucht S., Kissling W. & Davis J. M. (2009). Second-generation antipsychotics for schizophrenia: can we resolve the conflict? Psychological Medicine 39, 1591–1602.
Newcomer J.W. (2005). Second generation (atypical) antipsychotics and metabolic effects: a comprehensive literature
review. CNS Drugs 19, suppl. 1: 1-93.
Stahl M.S. (2006). Psicofarmacologia essenziale. Guida alla prescrizione. Centro Scientifico Editore.
Figura 1. Confronto tra diverse meta-analisi. Viene raffigurato l’effect size (g di Hedges) per l’efficacia generale (punteggi alla
PANSS o alla BPRS) di ciascun ASG rispetto ad un APG nelle meta-analisi di Leucht et al. del 2009 (colonne grigio chiaro), Davis
et al. del 2003 (colonne bianche) e di Geddes et al. del 2000 (colonne grigio scuro) e nella revisione Cochrane di Adams et al.
del 2008 (colonne a righe oblique). Gli effect sizes sono sommati all’effect size calcolato per l’aloperidolo (HAL) rispetto al
placebo da Leucht et al. del 2008 (colonna nera, cui corrisponde la linea orizzontale tratteggiata. AMI, amisulpride; ARI, aripiprazolo; CLO, clozapina; OLA, olanzapina; QUE, quetiapina; RIS, risperidone; SER, sertindolo; ZIP, ziprasidone; ZOT, zotepina
(da Leucht et al., 2009).
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Malattie rare
di Licia Gerin
MMG - Cormons
malattie rare
Il 6-8% della popolazione italiana è affetta da Malattie Rare.
Nel nostro paese infatti nascono 20.000 bambini all’anno affetti da queste patologie e circa 1,5 milioni di pazienti affrontano quotidianamente le molteplici criticità diagnostiche,terapeutiche,assistenziali e riabilitative proprie delle MR.Queste
sono un obiettivo sanitario così rilevante da essere identificate dalla Unione Europea “un settore prioritario d’azione per il
periodo 2008-2013”.
Le Malattie Rare, incluse nel decreto ministeriale DM 279/2001,sono suddivise in 16 gruppi nosologici (di questi alcuni
sono ulteriormente suddivisi in sottogruppi per specificità assistenziali):
1. Malattie infettive e parassitarie
2. Tumori
3. Malattie delle ghiandole endocrine
4. Malattie del metabolismo
5. Disturbi immunitari
6. Malattie del sangue e degli organi ematopoietici
7. Malattie del sistema nervoso
8.Malattie dell’apparato visivo
9. Malattie dell’apparato genito-urinario
10. Malattie del sistema digerente
11. Malattie della pelle e del tessuto sottocutaneo
12. Malattie del sistema circolatorio
13. Malattie del sist.osteomuscolare e connettivo
14. Malformazioni congenite
15. Alcune condizioni morbose di origine perinatale
16.Sintomi,segni e stati morbosi mal definiti
Il DM 279/2001 individua anche le Strutture ed Unità Operative di riferimento nazionali competenti ed operanti in rete
per le patologie e/o gruppi di patologie aventi diritto all’esenzione dalla partecipazione al costo delle relative prestazioni
sanitarie, necessarie sia alla diagnosi sia al trattamento e al monitoraggio ed alla prevenzione degli ulteriori aggravamenti
della specifica malattia rara in quanto incluse nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA)indicati dal Ministero della Salute.
Il certificato di diagnosi di Malattia Rara viene rilasciato dallo specialista della Struttura di Rete accreditato per la specifica
malattia rara ed ha validità illimitata.
Il CEFORMED ha avvertito la necessità di intraprendere un percorso di sensibilizzazione/formazione sulle problematiche
di questa ampia categoria di malati. Si propone di concorrere ad affinare un’ attenta sensibilità diagnostica ed assistenziale
per le malattie rare che in virtù della loro bassa prevalenza ed alto grado di complessità e specificità necessitano di un
potenziamento conoscitivo utile ed auspicabile per incrementare il sospetto diagnostico.
Con questo intento punto il riflettore su alcune Malattie Rare scelte per la loro alta percentuale di certificazione erogata
dalla regione Lombardia sino al 2009 e, seguendo questo criterio, la neurofibromatosi è rilevante nel gruppo “tumori”.
NEUROFIBROMATOSI. Codice esenzione RBG010.
Ereditarietà autosomica dominante; colpisce le cellule nervose e
muco-cutanee per turbe dell’istogenesi da ricondurre alla traslocazione
genica sul cromosoma 17.
Si distinguono due tipi: - NF1 –detta malattia di von Recklinghausen
- NF2
NF1.Incidenza 1/3000-3500 nati. Importante la familiarità in quanto
almeno il 50 % degli affetti ha una storia familiare di neurofibromatosi 1
documentata;nella restante parte dei casi si tratta di nuove mutazioni.
Rara nelle forme conclamate, più frequente nelle forme incomplete, con
maggiore penetranza nei maschi Generalmente la sua manifestazione
franca avviene dopo la pubertà. E’caratterizzata dallo sviluppo di tumori
neuro fibromi multipli-(tumori delle cellule di Schwann e dei fibroblasti
dei nervi) e dalla presenza di manifestazioni cutanee.
I neuro fibromi (è possibile talvolta palparli nel sottocutaneo lungo il
decorso dei nervi periferici) si sviluppano a carico dei nervi cranici e spinali. La compressione esercitata dai tumori sulle fibre nervose ne com-
38
malattie rare
promette la funzionalità e la loro localizzazione ne determina le manifestazioni cliniche: i coinvolgimenti dei nervi periferici determinano parestesie, paresi nelle localizzazioni tronculari; i tumori delle radici spinali
possono dare sintomi da compressione radicolare o midollare,e quelli dei
nervi cranici sintomi e segni derivanti dall’interessamento dell’ VIII, X e V
paio(cecità progressiva –glioma ottico -sordità, vertigine, atassia, epilessia, convulsioni, ritardo mentale, disturbi dell’apprendimento e del linguaggio.
Le manifestazioni cutanee: sono tipiche le chiazze cafè-au –lait,
anomalie della pigmentazione distribuite solitamente sul tronco,sulla
pelvi,e nelle pieghe dei gomiti e delle ginocchia.La presenza, generalmente già alla nascita, di almeno 6 macchie, molto simili alle efelidi,con almeno una maggiore di 1,5 cm, permette la diagnosi di neurofibromatosi.
Si riscontrano inoltre: tumori cutanei multipli (color carne,di dimensioni e forme e numero variabili e che tendono a comparire nella tarda
infanzia) - noduli e crescita di tessuto sottocutaneo amorfo (neuromi
plessiformi) e di tessuto osseo che possono produrre alterazioni e
deformazioni ossee- raramente grottesche.-anomalie scheletriche con
interessamenti della parete orbitale posteriore ed esoftalmo pulsante,
incisure vertebrali, scoliosi, pseudoartrosi in particolare della tibia, cisti
ossee sub periostali, displasia fibrosa.
I pazienti affetti da NF1 hanno inoltre un rischio triplicato di sviluppare tumori rispetto alla norma, in particolare il tumore di Wilms, rabdomiosarcomi, meningiomi,feocromocitomi.
NF1 è quindi caratterizzata da una grande variabilità clinica anche nell’ambito della stessa famiglia:un medico ben informato può formulare la diagnosi nella maggior parte dei casi dopo un esame obiettivo, riscontrando almeno due dei
seguenti 7 criteri:
– 6 o più macchie caffe-latte,
– lentigginosi alle ascelle o all’inguine
– 2 o più neuro fibromi cutanei di ogni tipo o un fibroma plessiforme;
39
– 2 o più noduli di Lisch (amartomi dell’iride);
– una lesione scheletrica caratteristica (displasia dell’ala dello sfenoide,assottigliamento della corticale delle ossa lunghe,pseudoartrosi)
– glioma del nervo ottico
– un consanguineo di primo grado affetto(genitore,fratello).
La molteplicità dei tumori è la regola,la loro degenerazione maligna è rara, comune è la loro ri- espressione
e,generalmente la malattia è progressiva.L’imprevedibile decorso della malattia e la mancanza di una cura risolutiva impongono un follow –up clinico adattato all’età del paziente.L’obiettivo è assicurare la gestione precoce delle complicanze (difficoltà di apprendimento, scoliosi evolutive, glioma ottico aggressivo, ipertensione arteriosa…) programmando controlli
medici multi specialistici presso sedi qualificate indispensabili per pronti interventi. Le cure sintomatiche sono particolarmente efficaci se precoci, come l’asportazione chirurgica dei fibromi o la radioterapia. La terapia comunque,è penalizzata
dalla molteplicità (da uno a cento) e dalla diffusione delle lesioni, nonché dalla peculiarità delle sedi delle lesioni.
malattie rare
NF2: dieci volte meno comune rispetto NF1, incidenza 1/50.000 nati. Il gene NF2 responsabile –oncorepressore- è localizzato sul cromosoma 22.Caratterizzata da tre gruppi di sintomi:
– sintomi correlati alla insorgenza di schwannomi bilaterali multipli dei nervi cranici in particolare del nervo acustico
con perdita dell’udito –sordità nel 40% dei pazienti entro la seconda decade di vita;altri tumori del SNC quali meningiomi intracranici, tumori spinali (20%dei casi),
– i sintomi correlati a tumori sotto cutanei (10% dei casi)e neuro fibromi
– manifestazioni oculari quali cataratta e amartomi retinici, responsabili di perdita –deficit della visione o diplopia ad
esordio nell’ infanzia.
La terapia chirurgica mira ad evitare le complicanze neurologiche.
La diagnosi molecolare è uno strumento importante per l’identificazione precoce di NF2 in bambini portatori della
malattia, in virtù di un genitore affetto.
ASSOCIAZIONI DEI PAZIENTI:
UNIAMO -Federazione Italiana Malattie Rare – Onlus Castello 3816 30122 VENEZIA
Sito web:www.uniamo.org
ANANas-Associazione Nazionale Aiuto per la Neurofibromatosi,amicizia e solidarietà
Via di Selvanera 117 v/12 ROMA
sito web: www.ananasonline.it
ANF –Associazione Neurofibromatosi - Onlus
Via Milano 21/B PARMA sito web: www.neurofibromatosi.org
LINFA – Associazione Lottiamo Insieme per la Neurofibromatosi – Onlus
Dipartimento di Pediatria – Cattedra di Genetica Via Giustiniani,3 PADOVA
Sito web:www.associazionelinfa.it
SINCRO – Associazione Sindromi Cromosomiche e Genetiche
Clinica Pediatrica – Università di Ancona –Azienda Ospedaliera “ G.Salesi”
Via Corridoni,11 ANCONA
CENTRI DI RIFERIMENTO DELL’AREA VASTA INTERREGIONALE:
pediatrici:
IRCCS Burlo Garofolo - Via dell’Istria 65/1 Trieste Clinica Pediatrica;
Tel. 040-3785419/3785309 (dr.Rabusin)
Università degli Studi di Padova Dipartimento di Pediatria Via Giustiniani,3
Tel. 049 8213530 (Ufficio prenotazioni); 049 8213513 (Segreteria)
Ospedale Civile Maggiore Borgo Roma Dipartimento di Pediatria Piazzale A. Stefani, 1 Verona
Tel. 045-8121111 (Centralino) 045-8124395 (dr.Antoniazzi)
per adulti:
AOU S.M.M. UDINE Istituto di Genetica 0432-494370 (Segreteria)
40
L’angolo del Dottore Commercialista
Nicola Santin
Dottore Commercialista
In questo numero di “Medicina e Sanità” continuiamo a pubblicare la rubrica dedicata ai problemi di natura fiscale e/o previdenziale in cui frequentemente i Medici di Medicina Generale, i Pediatri di Libera Scelta e gli Specializzandi s’imbattono nella loro
attività quotidiana, Lo scopo è cercare di fare chiarezza in una materia così complessa e controversa – talora persino le opinioni
dei singoli fiscalisti o degli impiegati dell’Agenzia delle Entrate sono divergenti – in modo da aiutare i Colleghi nello scegliere il
comportamento più opportuno e vantaggioso. A tale fine ci avvaliamo della qualificata collaborazione del Dott. Nicola Santin,
iscritto all’Ordine dei Dottori Commercialisti e
al Registro dei Revisori contabili di Udine, il quale si occupa di consulenza strategica e direzionale e di formazione, selezione e
sviluppo delle risorse umane ed è specializzato nella consulenza fiscale contabile e previdenziale dei liberi professionisti, in particolare in ambito sanitario.
Auspichiamo una partecipazione attiva dei Colleghi, con domande, osservazioni, esposizione di problemi di interesse comune
per la Professione, a cui il Dott. Santin cercherà di dare risposta con una trattazione chiara ed esauriente.
Irap e Medici di medicina generale
Da un paio di pubblicazioni ho l’onore di scrivere per la presente rivista trattando di temi fiscali e contabili, ora mi è stato
proposto di affrontare un argomento molto spinoso: “IRAP e Medici di medicina generale: soggetti organizzati o non organizzati?”.
L’argomento non si presta a soluzioni definitive per una serie molteplice di motivazioni, la prima fra tutte è la presenza
di un conflitto di interessi profondo tra esigenze di gettito da parte dell’Amministrazione finanziaria ed esigenze di abbattimento del reddito imponibile da parte dei liberi professionisti privi di autonoma organizzazione. Questo conflitto in parte è
strutturale nel senso che si può riscontrare tendenzialmente in ogni tipo di tributo, d’altra parte però va evidenziata una
profonda resistenza dell’Agenzia delle Entrate verso il riconoscimento dell’assenza dei requisiti di autonoma organizzazione laddove effettivamente questi non vi siano. Mi riferisco al fatto che, nonostante la Cassazione abbia superato le 180 sentenze, in merito all’assoggettabilità ad IRAP di soggetti non organizzati e che quasi l’80% di queste hanno visto vincere il
contribuente, l’Agenzia, attraverso il suo personale, continui a promuovere il contenzioso non fermandosi al primo grado,
ma proseguendo spesso con il secondo grado fino ad arrivare in Cassazione.
Che dietro a questo comportamento vi siano esigenze di gettito appare evidente, pertanto, stante la situazione, è naturale che non vi sia da parte dell’Amministrazione finanziaria né da parte del Legislatore Nazionale l’esigenza di fare chiarezza in maniera definitiva.
Fatte queste premesse la situazione odierna in materia IRAP è la seguente:
fisco
1) nonostante il gran numero di sentenze della Cassazione non sussistono criteri interpretativi generali;
2) l’esclusione da IRAP non può essere oggetto di interpello preventivo;
3) manca ad oggi un intervento legislativo o di prassi che permetta di individuare dei parametri precisi.
La posizione assunta attualmente dalla Cassazione (Cass. 27959/2008) è una posizione intermedia: la sussistenza del
requisito dell’autonoma organizzazione va verificato volta per volta. Sicuramente non è necessario che la struttura debba
essere in grado di funzionare anche senza il titolare affichè vi sia l’assoggettabilità all’imposta.
L’Agenzia delle Entrate oggi ha assecondato questo orientamento della Cassazione (un tempo sosteneva che qualunque
soggetto con partita iva era soggetto passivo IRAP) secondo il quale è il surplus di attività impersonale ed aggiuntiva rispetto
a quella del professionista a determinare l’incremento di produttività tassato ai fini irap.
Una cosa molto interessante è che l’appuramento del requisito spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di
legittimità (cioè la Cassazione non a titolo per eccepire) se motivato congruamente. Questo è molto interessante in quanto
Le Commissioni tributarie (giudici di merito) in gran parte hanno sostenuto una tesi più estrema rispetto alla Cassazione:
esclusione da IRAP dei professionisti iscritti in un Albo. La motivazione più frequente consiste nell’impossibilità di svolgere
l’attività in assenza della presenza del professionista.
41
Vediamo ora i casi in cui sussiste l’autonoma organizzazione e pertanto sussiste senza alcun dubbio interpretativo l’assoggettabilità all’IRAP:
a) il contribuente è il responsabile dell’organizzazione;
b) il contribuente impiega beni strumentali eccedenti le quantità che secondo il buon senso comune costituiscono il
minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione;
c) il contribuente si avvale in modo non occasionale di lavoro altrui.
Concentriamoci ora sui punti b) e c). In merito ai beni strumentali la Cassazione nelle ultime sentenze ha precisato che
l’utilizzo di beni strumentali di ingente valore (immobili, attrezzature ad alta tecnologia ad esempio di alcuni studi medici o
di ingegneria) non implica l’assoggettamento ad IRAP. L’Agenzia invece è contraria su questo punto. La Cassazione parla
anche di “minimo indispensabile” che a mio avviso va letto con quanto già precisato, cioè è la tipologia di beni e non il loro
valore che permette di dire se sussiste o meno un’autonoma organizzazione. Chiaramente questo punto non può lasciare
soddisfatti i lettori in quanto inevitabilmente bisogna vedere caso per caso.
Rispetto al punto c) le prime sentenze della Cassazione prevedevano l’assenza totale di dipendenti, le ultime sentenze
prevedono invece che la presenza di un collaboratore non occasionale non comporti necessariamente l’autonoma organizzazione ma che occorra verificare il suo utilizzo: se il collaboratore non può sostituire il professionista (vedasi il tipico
caso della segretaria) non rileva, cioè non vi è autonoma organizzazione. Su questo punto l’Agenzia è contraria e riconosce
solo il caso della figura del tirocinante.
Fatte queste premesse e questa analisi sommaria, che non ha la pretesa di essere esaustiva, possiamo dare queste indicazioni al Medico di base:
a) qualora un Medico di Base abbia un numero contenuto di beni strumentali, operi da solo od abbia una segretaria alla
sue dipendenze che non svolga attività di tipo sanitario (alcuni medici assumono come collaboratrici delle infermiere
professionali, in tal caso vedo più difficile, ma non impossibile motivare l’esclusione dell’autonoma organizzazione)
potrebbe evitare di pagare l’irap ben sapendo che comunque non ha la certezza di non incorrere in un successivo
accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria né ha la certezza di vincere la causa nel caso dell’avvio di un
contenzioso tributario;
b) in tutte le altre situazioni il Medico di base è soggetto ad irap.
Sta al Medico valutare se valga la pena correre il rischio di un possibile contenzioso futuro e se, da un punto di vista prettamente economico, gli convenga tenuto conto del costo del professionista e del ritorno in caso di vittoria della causa.
fisco
Dott. Comm. Nicola Santin
www.fiscoliberiprofessionisti.it
[email protected]
42
Auditorium
Palazzo della Regione
Palazzo della Regione - Via Sabbadini, 31 - Udine
COME RAGGIUNGERE LA SEDE
Presidente
MAURIZIO ZILLI
no
zia
le
Via
e
Ven
S.I.E.D.
Società Italiana
Endoscopia Digestiva
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Associazione Italiana
Gastroenterologi
ed Endoscopisti
Ospedalieri
Euro 50,00 + IVA (Euro 60,00 IVA inclusa)
L’evento è in fase di accreditamento al Programma Nazionale
di Educazione Continua in Medicina per medici specialisti
in Gastroenterologia, Patologia Clinica, Medicina Interna,
Pediatria, Anatomia Patologica, MMG; Biologi; Dietisti;
Personale Infermieristico; Tecnici di Laboratorio.
Corso aperto anche ai dirigenti ed agli associati AIC.
COMITATO SCIENTIFICO
G. MILAZZO - Marsala (TP)
R. SABLICH - Pordenone
S. VADALÀ - Udine
D. VISENTINI - Udine
E. BENEDETTI - Gorizia
D. BERRETTI - Udine
F. CURCIO - Udine
M. FABRIS - Udine
SEGRETERIA ORGANIZZATIVA
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Vicolo Volto Cittadella, 8 - 37122 Verona
Tel. 045.8006786 - Fax 045.593487
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CELIACHIA 2010
Corso Avanzato
Direttori:
a celiachia è una patologia autoimmune
P R O G R A M M A
con prevalenza estremamente elevata
nei paesi occidentali ma presente anche
nei Paesi in via di sviluppo. Recentemente è stato
della mucosa duodenale, particolari pattern
della flora batterica intestinale e meccanismi
sono
fondamentali
nella patogenesi della malattia celiaca. Per
fare il punto della situazione abbiamo deciso
di organizzare questo corso avanzato che
affronterà aspetti innovativi di fisiopatologia,
diagnosi e terapia. Un tema interessante che
verrà affrontato è quello della differenziazione
tra celiachia, allergia e ipersensibilità al glutine.
La diagnosi di celiachia, che prevede tutt’oggi un
iter che si conclude con la gastroduodenoscopia
e la biopsia intestinale, è attualmente oggetto
di discussione e sarà dibattuto nel corso
della presentazione delle ultime linee guida
diagnostiche condivise a livello internazionale.
Verranno inoltre presentate novità assolute in
R. MAIERON - E. TONUTTI
TERZA SESSIONE
Moderatori: F. DE LAZZARI (Padova) - A. SPADACCINI (Vasto, CH)
9.30 Saluto delle Autorità
9.45 Introduzione al Corso
E. TONUTTI (Udine) - M. ZILLI (Udine)
dimostrato che alterazioni della permeabilità
peculiari
Regione Autonoma
Friuli Venezia Giulia
QUOTA DI ISCRIZIONE
*5$),&+($8525$9(521$
SIED - Società Italiana di Endoscopia Digestiva
AIGO - Associazione Italiana Gastroenterologi ed Endoscopisti
Digestivi Ospedalieri
SIP - Società Italiana di Pediatria
SIGENP - Società Italiana Gastroenterologia Epatologia
e Nutrizione Pediatrica
SIMeL - Società Italiana di Medicina di Laboratorio
GdS-AI - Gruppo di Studio in AutoImmunologia
FADOI - Federazione delle Associazioni dei Dirigenti
Ospedalieri Internisti
AIC - Associazione Italiana Celiachia
Società Medica del Friuli
Università degli Studi di Udine
Ordine dei Medici di Udine
Comune e Provincia di Udine
Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia
immunologici
Provincia di Udine
LQ$XWRLPPXQRORJLD
Associazione
Interdisciplinare Studi
in Gastroenterologia
ed Epatologia
Auditorium
Palazzo Via Sa
della Regione bbadini
ssi
Autostrada A4 - Uscita Udine Sud
tu r
ECM
PAT R O C I N I
L
in Gastroenterologia
Udine
4 Ottobre 2010
SEDE DEL CORSO
Via Va
lu
S. INFANTI - Udine
R. MAIERON - Udine
S. MARTELLOSSI - Trieste
P. MELLI - Udine
S. MONASTRA - Napoli
T. NOT - Trieste
N. ORZES - Gorizia
G. PARISI - Feltre (BL)
L. PEGORARO - Udine
S. PIZZOLITTO - Udine
G. SOARDO - Udine
A. SPADACCINI - Vasto (CH)
E. TONUTTI - Udine
A. VENTURA - Trieste
D. VILLALTA - Pordenone
V. VILLANACCI - Brescia
M. ZILLI - Udine
Vol
Via
S. AGOSTINI - Gorizia
M.G. ALESSIO - Bergamo
M.T. BARDELLA - Milano
N. BIZZARO - Tolmezzo (UD)
A. BULFONI - Udine
R. CANNIZZARO - Aviano (PN)
M. CARRARA - Bussolengo (VR)
C. CATASSI - Ancona
M. CLAAR - Napoli
G.R. CORAZZA - Milano
F. CURCIO - Udine
F. DE LAZZARI - Padova
L. ELLI - Milano
M. FABRIS - Udine
A. FASANO - Baltimora (USA)
R.R. FORMICA - Cividale
del Friuli (UD)
M. GAWHIL - Tripoli (Libia)
VI° UP-DATE
INFORMAZIONI
GENERALI
PRIMA SESSIONE
Moderatori: M. CLAAR (Aversa, CE) - F. CURCIO (Udine)
10.00 Microbioma intestinale e fisiopatologia
della celiachia - A. FASANO (Baltimora, Maryland, USA)
10.20 Citochine e patogenesi - M. FABRIS (Udine)
10.35 Up-date sulla diagnosi di laboratorio - E. TONUTTI (Udine)
10.50 Tecniche di diagnosi endoscopica
ed inquadramento diagnostico - R. MAIERON (Udine)
Tecniche di prelievo di frustoli duodenali
S. INFANTI (Udine)
L’ecografia 3D può identificare l’atrofia dei villi?
G. PARISI (Feltre, BL)
11.10 Dibattito - Discussant: N. BIZZARO (Tolmezzo, UD)
11.25 Intervallo
SECONDA SESSIONE
Moderatori: S. MONASTRA (Napoli) - S. PIZZOLITTO (Udine)
11.40 Celiachia e dintorni: ruolo dell’istologo
V. VILLANACCI (Brescia)
12.00 Danno istologico ed anti-transglutaminasi:
c’è una correlazione? - M.G. ALESSIO (Bergamo)
14.20 Le nuove linee-guida: serve sempre
la biopsia duodenale? - A. VENTURA (Trieste)
14.40 Prevalenza della malattia celiaca in pazienti libici
di età pediatrica con diabete tipo I°
M. GAWHIL (Tripoli, Libia)
14.55 Reazioni avverse ai cereali: non solo celiachia
D. VILLALTA (Pordenone)
15.15 Celiachia pre-potenziale, celiachia potenziale
o celiachia e basta? - T. NOT (Trieste)
15.30 Dibattito - Discussant: L. ELLI (Milano)
15.45 Intervallo
QUARTA SESSIONE
Moderatori: M.T. BARDELLA (Milano) - A. BULFONI (Udine)
16.00 Case-finding o screening nella celiachia:
è tempo di cambiare? - C. CATASSI (Ancona)
16.20 A chi compete la gestione “globale”
del paziente celiaco? - M. CARRARA (Bussolengo, VR)
16.35 La multidisciplinarietà nella diagnosi di celiachia
in età pediatrica. L’esperienza di Udine
P. MELLI (Udine) - S. INFANTI (Udine)
16.50 Il counseling dietetico nel paziente celiaco
S. AGOSTINI (Gorizia)
17.05 L’intervento pedagogico nel bambino celiaco,
nella famiglia e nella scuola - R.R. FORMICA (AIC FVG)
12.15 I depositi mucosali delle anti-transglutaminasi-2
nella diagnosi - S. MARTELLOSSI (Trieste)
17.20 La legislazione vecchia-nuova per il paziente-utente
celiaco: il punto sulla situazione e le problematiche
da risolvere - L. PEGORARO (AIC FVG)
che potrebbe permettere al paziente celiaco di
12.30 Fegato e celiachia - G. SOARDO (Udine)
17.30 Dibattito - Discussant: N. ORZES (Gorizia)
alimentarsi con dieta libera. È infine previsto un
12.45 Focus sulla celiachia latente, potenziale e refrattaria
G.R. CORAZZA (Pavia)
17.45 Nuove opportunità terapeutiche nel celiaco…
oltre la dieta - A. FASANO (Baltimora, Maryland, USA)
13.05 Dibattito - Discussant: R. CANNIZZARO (Aviano, PN)
18.05 Chiusura del Corso
E. TONUTTI (Udine) - M. ZILLI (Udine)
campo terapeutico: saranno infatti discussi i
risultati di “trial” clinici sull’utilizzo di un farmaco
contributo dell’associazione italiana dei malati
celiaci (AIC) che riguarderà problematiche
gestionali-legislative, psicologiche e dietetiche.
13.20 Light lunch (profumi ed aromi della terra friulana
realizzati con cibi aglutinati)
43
formazione medica continua
R E L AT O R I
E M O D E R AT O R I
Consegna finale del materiale ECM
8-9 Ottobre 2010
Auditorium
Hypo Alpe Adria
Tavagnacco
Presidente
MAURIZIO ZILLI
PRESIDENTE
MAURIZIO ZILLI
Direttore S.O.C. Gastroenterologia
Azienda Ospedaliero-Universitaria
S. Maria della Misericordia - Udine
COMITATO SCIENTIFICO
D. BERRETTI - Udine
D. CHECCHIN - Udine
L. FAMILIARI - Messina
I. LODOLO - Udine
J. PAÑOS ZAMORA - Udine
P. ROSSITTI - Udine
S. VADALÀ - Udine
Comune di Udine
Regione Autonoma
Friuli Venezia Giulia
S.I.E.D.
Società Italiana
Endoscopia Digestiva
Associazione Italiana
Gastroenterologi
ed Endoscopisti
Ospedalieri
G. VERDIANELLI - Ferrara
L. ZORATTI - Udine
Associazione
Interdisciplinare Studi
in Gastroenterologia
ed Epatologia
SEGRETERIA SCIENTIFICA
A.I.S.G.E.
Associazione Interdisciplinare Studi
in Gastroenterologia ed Epatologia
Viale delle Terme, 123
35031 Abano Terme (PD)
E-mail: [email protected]
SEGRETERIA ORGANIZZATIVA
EVERYWHERE s.r.l.
Vicolo Volto Cittadella, 8 - 37122 Verona
Tel. 045 8006786 - Fax 045 593487
E-mail: [email protected]
www.everywheretravel.it
D
INFORMAZIONI
GENERALI
a sempre l’obiettivo dell’Up-date, ormai
giunto alla sua sesta edizione, è quello
di fornire una panoramica sulle novità
più salienti in ambito gastroenterologico. Il
convegno si articola in multiple sessioni che
Sede del Congresso
toccano diversi aspetti della gastroenterologia.
Auditorium Hypo Alpe Adria
Via Alpe Adria, 6
Tavagnacco (UD)
Alla lettura magistrale sulla personalizzazione
della terapia dell’epatite da HBV fanno seguito
due sessioni inerenti le complicanze emorragiche
Dall’autostrada A 23, uscita Udine Nord, al bivio
mantenere la sinistra al bivio, proseguire sulla S.S. 13,
indicazioni per Tolmezzo / Tarvisio / Tavagnacco.
Dopo circa 1 km svoltare a destra, indicazione Feletto
Umberto, alla rotonda prendere la prima uscita e
imboccare Via Alpe Adria.
dell’ipertensione portale, affrontate sia in
termini di profilassi che di trattamento dell’evento
acuto. La terza sessione, che riguarda le malattie
infiammatorie croniche intestinali, propone
le nuove acquisizioni scientifiche in ambito
immunologico e terapeutico con particolare
riferimento ai farmaci biologici. Al confronto
Quota di iscrizione
Euro 200,00 + IVA 20%. La quota di iscrizione dà
diritto alla partecipazione ai lavori congressuali, al
kit congressuale, al volume degli atti del congresso,
all’attestato di partecipazione.
tra le diverse linee-guida segue la ricerca di
strategie volte all’ottimizzazione delle terapie
e quindi al contenimento dei costi, argomento
quest’ultimo di stringente attualità.
La problematica dell’eradicazione di Helicobacter
Pilori (sempre necessaria?) e il ruolo di questa
ECM
L’evento è stato accreditato con 6 punti formativi
al Programma Nazionale di Educazione Continua in
Medicina per medici specialisti in: Gastroenterologia,
Radiodiagnostica, Malattie Infettive, Medicina Interna,
Oncologia e Chirurgia Generale.
infezione nei disturbi funzionali delle alte
vie, ancora oggetto di discussione, costituisce
l’argomento della quarta sessione.
L’Up-date si conclude con un’analisi delle nuove
acquisizioni biomolecolari e tecnologiche in
materia di carcinogenesi colica. Vengono quindi
affrontate problematiche sia di ordine tecnico
che di ordine organizzativo per la gestione
*5$),&+($8525$9(521$
formazione medica continua
Udine
in Gastroenterologia
VI° UP-DATE
della poliposi intestinale, ai fini di migliorare i
programmi di screening e i percorsi diagnosticoterapeutici per una patologia di così rilevante
impatto clinico ed economico.
44
II SESSIONE
Moderatori: R. CONIGLIARO - G. BENEDETTI
VENERDÌ 8 OTTOBRE 2010
17.30 Fattori predittivi e profilassi del risanguinamento
alla luce di Baveno V - M. PRIMIGNANI
13.00 Registrazione dei partecipanti
17.50 I sanguinamenti del piccolo intestino
nel cirrotico: non solo varici - R. MARMO
13.30 Saluto delle Autorità
13.45 Apertura dei lavori, razionale ed obiettivi - M. ZILLI
18.10 Eco-endoscopia e Ipertensione Portale:
quale ruolo? - R. MANTA
14.00 Lettura magistrale
Il trattamento dell’epatite cronica B:
un approccio “personalizzato” - M. BRUNETTO
18.30 Discussione con gli esperti
18.50 Lettura magistrale
I SESSIONE
Può la cirrosi epatica essere trattata senza
terapia specifica nel 2010? - A.K. BURROUGHS
LE COMPLICANZE EMORRAGICHE
DELL’IPERTENSIONE PORTALE
19.40 Chiusura dei lavori
Moderatori: A.K. BURROUGHS - L.A. SECHI
14.15 Profilassi pre-primaria e primaria
SABATO 9 OTTOBRE 2010
del sanguinamento:
- Terapia medica tra vecchi farmaci e nuove
prospettive - B. GERMANÀ
- Profilassi endoscopica - S. PEVERE
III SESSIONE
IBD: COME OTTIMIZZARE LA TERAPIA
Moderatori: G. MASTROPAOLO - C. VIRGILIO
14.55 Discussione con gli esperti
8.30 Lettura magistrale
15.10 TAVOLA ROTONDA
Dalla scelta dell’approccio terapeutico
al follow-up: utili suggerimenti su come
stratificare il paziente con IBD - F. CASTIGLIONE
Il trattamento del sanguinamento in acuto
Conduce: A.K. BURROUGHS
- Il medico del Dipartimento d’Emergenza:
quale ruolo? - W. ZALUKAR
- Terapia farmacologia: quando e quale?
9.00 TAVOLA ROTONDA
Immunomodulatori e biologici:
alternativi o complementari?
P. RAVELLI
- Terapia endoscopica: come e quando?
Conduce: V. ANNESE
Overview: M. MARINO
Partecipano: S. ARMUZZI - R. MAIERON - A. RISPO - G. ZOLI
A. BALZANO
- La TIPSS: quanto prima, tanto meglio?
D. GASPARINI
- C’è ancora uno spazio per la chirurgia?
10.30 Lettura magistrale
F. BRESADOLA
Linee-guida ECCO e linee-guida nazionali:
che cosa cambia? - S. ARMUZZI
17.10 Intervallo
R E L AT O R I
E M O D E R AT O R I
IV SESSIONE
HELICOBACTER PYLORI & GERD:
“STILL ON FASHION”?
V. ANGIONE - Udine
V. ANNESE - Firenze
A. ARMUZZI - Roma
A. BALZANO - Napoli
G. BENEDETTI - Pordenone
E. BOTTONA - Arzignano (VI)
F. BRESADOLA - Udine
M. BRUNETTO - Pisa
L. BURI - Trieste
A.K. BURROUGHS - Londra (UK)
F. CASTIGLIONE - Napoli
R. CONIGLIARO - Modena
C. FAVARETTI - Udine
L. FICANO - Palermo
D. FREGONESE - Camposampiero (PD)
D. GASPARINI - Udine
B. GERMANÀ - Belluno
G. GUARRERA - Udine
G.P. LOLLO - Conegliano (TV)
C. MACOR - S. Daniele (UD)
Moderatori: C. MACOR - G. MILAZZO
11.00 Terapia eradicante per tutti? - R.M. ZAGARI
11.30 GERD: i casi difficili - V. SAVARINO
12.00 Discussione con gli esperti
12.10 Intervallo
12.30 Lettura magistrale
Innovazione tecnologica e sostenibilità:
l’approccio di HTA - C. FAVARETTI - G.M. GUARRERA
V SESSIONE
LA POLIPOSI COLICA:
TRA VECCHI COMPORTAMENTI E NUOVE
ACQUISIZIONI SCIENTIFICHE
R. MAIERON - Udine
R. MANTA - Modena
M. MARINO - Udine
R. MARMO - Polla (SA)
G. MASTROPAOLO - Bassano
del Grappa (VI)
G. MILAZZO - Marsala (TP)
S. PEVERE - Udine
V. PIETROPAOLO - Roma
M. PRIMIGNANI - Milano
P. RAVELLI - Bergamo
A. REPICI - Milano
A. RISPO - Napoli
V. SAVARINO - Genova
L.A. SECHI - Udine
C. VIRGILIO - Catania
R.M. ZAGARI - Bologna
W. ZALUKAR - Trieste
M. ZILLI - Udine
G. ZOLI - Cento (FE)
PAT R O C I N I
13.00 TAVOLA ROTONDA
SIED - Società Italiana di Endoscopia Digestiva
Come gestire la poliposi colica: tra problemi
tecnici ed aspetti organizzativi
AIGO - Associazione Italiana Gastroenterologi ed Endoscopisti
Digestivi Ospedalieri
Conducono: L. BURI - V. PIETROPAOLO
FADOI - Federazione delle Associazioni dei Dirigenti
Ospedalieri Internisti
Partecipano: V. ANGIONE - E. BOTTONA - L. FICANO
LILT - Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori
D. FREGONESE - G.P. LOLLO
Ordine dei Medici della Provincia di Udine
Società Medica del Friuli
14.30 Lettura magistrale
Università degli Studi di Udine
“Pescare i polipi senza bagnarsi”:
il problema delle complicanze - A. REPICI
Comune di Udine
Provincia di Udine
Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia
15.00 CHIUSURA DEI LAVORI E CONSEGNA DEI TEST
Hypo Alpe-Adria-Bank S.p.A.
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formazione medica continua
P R O G R A M M A
formazione medica continua
XX CONGRESSO NAZIONALE AIMS
ASSOCIAZIONE ITALIANA DI MEDICINA DEL SONNO
PALAZZO DEI CONGRESSI DI GRADO (GO) - 3 / 6 OTTOBRE 2010
Il Centro di Medicina del Sonno dell’Università di Udine è lieto di invitare i medici di medicina generale del FVG a Grado, dal 3 al 6 ottobre 2010, in occasione del XX Congresso
Nazionale dell’AIMS.
Nessun MMG dovrebbe pensare che questo invito non lo riguardi.
Il sonno, infatti, occupa un terzo della nostra vita e molte malattie possono essere favorite
da un sonno alterato, oppure si manifestano nel sonno o sono modificate nella loro espressione durante il sonno. A loro volta, molte sono le patologie che provocano disturbi del sonno.
Il Consiglio Direttivo ha predisposto un programma ricchissimo e di alto profilo scientifico,
prevedendo anche alcuni temi innovativi, mai affrontati in precedenti congressi nazionali.
Alcune delle sessione sono certamente di grande interesse per il MMG. Tra di esse vi è
anzitutto la sessione sul trattamento dell’insonnia primaria cronica, organizzata congiuntamente alla SIMG e pensata dopo che, nei mesi scorsi, un gruppo di lavoro intersocietario
SIMG-AIMS aveva prodotto un documento congiunto sul tema. Vi sono poi alcuni temi classici, quali sonno e depressione o la sindrome delle gambe senza riposo. Anche chi non si
interessa specificamente di insonnia potrà trovare occasioni di stimolo e di curiosità. Basti
pensare alle sessioni sulle relazioni tra sonno e scompenso cardiaco, sonno e ipertensione
arteriosa, sonno e rischio cerebrovascolare, sonno e dolore, sonno e malattia di Parkinson,
per non parlare dell’abbondanza di temi pneumologici.
Un particolare significato, in considerazione della collocazione geografica della regione,
rivestirà la sessione inaugurale, “Sleep Medicine and Research in the Alpe Adria Region”, che
ci permetterà di confrontarci con i colleghi dei paesi vicini, al di delle Alpi Carniche e Giulie.
Per quanti vorranno partecipare, il Comitato organizzatore si è impegnato a garantire
efficienza dei servizi e ospitalità cordiale, nell’attrezzata sede del Palazzo dei Congressi di
Grado, situato accanto agli stabilimenti termali.
Quale segno di apprezzamento per la loro presenza, i medici della Regione potranno
beneficiare di una quota d’iscrizione sensibilmente ridotta (150 € invece di 400), senza perdere tutti i benefici previsti per gli altri partecipanti e mantenendo il diritto ai crediti ECM.
Confidiamo che molti MMG del FVG vorranno approfittare di un’occasione di formazione
di alto profilo, soprattutto per l’opportunità di poterne godere senza muoversi dalla regione in cui abitano.
Prof. Gian Luigi Gigli
Ordinario di Neurologia
nell’Università di Udine
Presidente del Congresso
Maggiori informazioni sul Congresso e sulle modalità di iscrizione sono visualizzabili sui
siti www.sonnomed.it – www.avenuemedia.eu (sezione Congresso AIMS)
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XX CONGRESSO NAZIONALE AIMS
Associazione Italiana di Medicina del Sonno
GRADO, 3 - 6 OTTOBRE 2010
Palazzo dei Congressi - V.le Italia, 2
PRESIDENTE DEL CONGRESSO
GIAN LUIGI GIGLI
COMITATO SCIENTIFICO NAZIONALE
IL CONSIGLIO DIRETTIVO AIMS
Presidente onorario:
Presidente:
Past president:
Vice Presidente:
Segretario:
Tesoriere:
COMITATO SCIENTIFICO LOCALE
Elio Lugaresi
Gian Luigi Gigli
Luigi Ferini-Strambi
Liborio Parrino
Marco Zucconi
Alberto Braghiroli
Corrado Angelini (Padova)
Mario Furlanut (Udine)
Matteo Balestrieri (Udine)
Lucio Lazzarino De Lorenzo (Gorizia)
Fabio Barbone (Udine)
Consiglieri:
Alessandro Cicolin, Enrica Bonanni, Francesco Fanfulla,
Raffaele Manni, Lino Nobili, Gianfranco Parati,
Giuseppe Plazzi, Rosalia Silvestri, Giovanni Sorrenti
Gianfranco Micaglio (Castelfranco V.)
Massimo Bazzocchi (Udine)
Salvatore Monaco (Verona)
Paolo Bergonzi (Udine)
Francesco Paladin (Venezia)
Araldo Causero (Udine)
Gilberto Pizzolato (Trieste)
Corrado Cavallero (Trieste)
Sebastiano D’Anna (Portogruaro)
Giorgio Della Rocca (Udine)
Probiviri:
Fabio Cirignotta, Oreste Marrone, Mario Giovanni Terzano
Diego Marchesoni (Udine)
Leontino Battistin (Padova)
Antonio Fiaschi (Verona)
Massimo Politi (Udine)
Leonardo A. Sechi (Udine)
Bruno Tavolato (Padova)
Alfred Tenore (Udine)
SEGRETERIA SCIENTIFICA
SEGRETERIA ORGANIZZATIVA
Pierluigi Dolso
Anna Perelli
Simone Lorenzut
Anna Scalise
Giovanni Merlino
Martina Sommaro
Clinica Neurologica, Università di Udine
[email protected]
Via Riva Reno 61 - 40122 Bologna
Tel. 051 6564300 - Fax 051 6564334
[email protected]
www.avenuemedia.eu
Per informazioni dettagliate e aggiornamenti: www.avenuemedia.eu • www.sonnomed.it
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formazione medica continua
Associazione Italiana
di Medicina del Sonno
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IL CEFORMED INVITA A COMUNICARE ALLA
REDAZIONE DI “MEDICINA E SANITÀ” TUTTE LE
ATTIVITÀ, I PROGETTI, LE SPERIMENTAZIONI,
LE LINEE-GUIDA, I PERCORSI DIAGNOSTICOTERAPEUTICI RIGUARDANTI LE CURE PRIMARIE ELABORATE DALLE AZIENDE SANITARIE,
DAI DISTRETTI O DA REALTÀ PROFESSIONALI
DEL FRIULI VENEZIA GIULIA, AI FINI DELLA
LORO DIVULGAZIONE E DISCUSSIONE NELLA
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