Alessandro Gassman
Alessandro Gassman Il teatro è idee, pensieri, emozioni, ma anche trucco, materia, legno,
corpo, luci. Teatro, specchio della vita. Da attore a regista: la messa in scena della
proprie idee, si realizza plasmando la forma delle materia, l’interpretazione è l’ultimo atto
di un processo iniziato con la mente e con il cuore…
di Antonella Iozzo
Alessandro Gassman
Teatro, specchio della vita
Il teatro è idee, pensieri, emozioni
Sinceramente penso che gli italiani siano meglio, molto meglio di chi li governa.
Quando la seduzione della parola rivela l’impeto della passione, l’energia della creatività, la musicalità
della poesia, può dimorare in un solo luogo, in teatro. Ne scopriamo il fascino l’essenza, la sua bellezza
visiva, con un’artista d’eccezione, un maestro della recitazione, Alessandro Gassman.
Teatro, cinema, televisione, tre atti di un’opera senza soluzione di continuità, tre forme d’arte,
tre linguaggi diversi. Qual’è l’elemento unificante, se c’è, nelle infinite possibilità di Alessandro
Gassman ?
In realtà è uno solo: l’emozione, nel senso di ricerca, sia al cinema che in televisione, ma soprattutto al
teatro, di raccontare storie che mi emozionano. Ricevere emozioni da quello che leggo è l’elemento
fondamentale nella scelta dei testi.
Il fascino della parola teatrale, la seduzione del grande schermo, la popolarità della televisione.
C’è spazio per un monologo che mette a nudo la propria anima?
Continuamente scopriamo pezzi di noi. In realtà abbiamo la fortuna come nel caso de “La parola ai giurati”
che porto a Bolzano, di farlo con le parole di gente che scrive meglio di noi. Comunque cerchiamo di non
scoprirci completamente, anche perché spesso e volentieri la vita di noi artisti non è poi tanto interessante
come si pensa.
Il teatro è idee, pensieri, emozioni, ma anche trucco, materia, legno, corpo, luci. Vivere il teatro,
può portare l’attore a scoprire se stesso nello specchio della vita?
E’ un lavoro terapeutico. Io lo vivo sul palcoscenico in maniera molto concreta , molto terrena. Non rivesto il
personaggio che interpreto, mantengo un minimo di distacco, mi piace giocare, essere l’altro, essere
spettatore di quello che faccio.
Il suo carisma, la sua intensità interpretativa avvolgono ogni suo personaggio e coinvolgono il
pubblico. È il punto d’arrivo o di partenza per chi crede nell’attimo fugace del palcoscenico?
E’ una partenza. Dopo venticinque anni di palcoscenico cerco di migliorare tutte le sera. E’ un compito che,
in qualche modo, auguro anche ai miei attori, lavorando con me sono motivati e determinati a proseguire la
ricerca nella stessa direzione.
Dalla realtà all’illusione, dalla visione all’evasione, per alcuni nel teatro ciò che appare non è ciò
che è. Tolstoi definiva Shakespeare “maestro delle illusioni menzognere”. Condivide, e nel suo
modo di fare teatro quanto è trasposizione del reale e quanto apparenza?
Dipende da quello che porto in scena. Nel lavoro precedente, la“Forza dell’abitudine” di Bernhard, l’aspetto
onirico, la fantasia erano molto presenti. Al contrario nella “Parola ai giurati” l’attaccamento alla realtà e
alla verità è totale, è inevitabile un’osservazione distaccata della realtà e il tentativo, quasi maniacale, se
vogliamo, di riprodurlo in maniera credibile.
A “fare lo spettacolo” concorrono più cose dalla spazio dell’attore, alla regia, alla drammaturgia,
ma quanto è importante credere nella verità della scena con la stessa sensibilità con cui si crede
nella verità della vita?
E’ molto più facile farlo in scena che nella vita.
Da attore a regista: la messa in scena della proprie idee, si realizza plasmando la forma delle
materia, l’interpretazione è l’ultimo atto di un processo iniziato con la mente e con il cuore. Per
lei è un percorso professionale , un percorso di vita, una maturità che immancabilmente fa da
collante?
E’ un passaggio inevitabile. Dopo parecchi anni che faccio questo mestiere con passione ed entusiasmo, cioè
l’attore, ho cominciato ad avere interesse più per il lavoro degli attori che mi circondavano che per il
mio. Da questo interesse l’esigenza di diventare regista dei miei spettacoli. Una vera scoperta, una grande
autentica passione, una passione che ha superato quella della recitazione, e che mi sta dando enormi
soddisfazioni.
Dopo la sua prima esperienza come regista teatrale con “Forza dell’abitudine” di Bernhard, “La
parola ai giurati” di Reginald Rose, quì scava nella profondità rivelando l’altrove in una
dimensione così vicina a noi che ci disarma perché rivela gli aspetti umani di una situazione
considerata cerebrale. È d’accordo?
Si, grazie all’intensa scrittura di Rose ho la possibilità di raccontare dodici umanità. Vite, pezzi o modelli nei
quali il pubblico che ci viene a vedere riconoscerà pregi e difetti della società nella quale viviamo.
Con i profondi cambiamenti degli ultimi anni, emerge una nuova coscienza del reale, dov’è si è
smarrita ogni certezza, il mondo artistico non ne rimane estraneo anzi ne avverte e ne
interpreta tutte le tensioni. È quello che accade anche in questo lavoro?
Si, diciamo di si. Questo è un lavoro scritto nel 1957, ma attualissimo, mostra tutte le pieghe della società,
ieri come oggi. In questo momento la nostra società è un malato che peggiora man mano, appare in modo
evidente su tutti i giornali; speriamo che sia, come dire, una morte rapida ed indolore che riporti ad una
rinascita, perché, francamente, l’Italia è veramente un Paese che meriterebbe una classe dirigente migliore
di quella che abbiamo. Sinceramente penso che gli italiani siano meglio, molto meglio di chi li governa.
Ha mai pensato alla regia di un’opera lirica?
No, non ci ho mai pensato perché non ho una grande cultura in questo campo specifico, mi affascinerebbe
molto farlo , e chissà ….
Cosa lascia dentro una tournee teatrale?
Lascio una famiglia, la compagnia teatrale è una famiglia. Si vive insieme, si divide tutto, diviene un gruppo
molto solido, molto affiatato, soprattutto se le cose vanno bene come nel nostro caso.
Immagini di posare per un ritratto preferirebbe essere nello studio di Tiziano,
Velàzquez, Picasso?
Ma, preferirei essere riconoscibile, si preferirei essere ritratto da Tiziano.
Un suo profilo con un paio di aggettivi?
Credo di essere una persona generosa, però sono anche una persona rissosa, qualità che emergerebbero
sicuramente dal ritratto tizianesco.
Il dopo teatro preferito?
È quello che facciamo tutte le sere: al ristorante, a parlare di teatro, con l’intera compagnia.
Prossimo progetto ?
Il prossimo sarà un altro lavoro di Thomas Bernhard, grandissimo autore austriaco, si chiamerà Immanuel
Kant ispirato al grande filosofo, e sono contento di avere la possibilità di portarlo in Italia.
di Antonella Iozzo © Produzione riservata
( 22/02/2008)
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