Il teatro didattico: un’ “esperienza irrinunciabile”
L’arte del drammatizzare è occasionata e arricchita da esperienze vissute, da racconti e fatti umani
e si regge sulle ali dell’originalità e dell’inventiva infantile. (Pio Cinqueti)
Fare teatro a scuola è intendimento ambizioso in quanto chiede di essere realizzato all’interno di
una molteplicità di pratiche disciplinari e, più in generale, di impegni scolastici che talvolta
rendono quasi impossibile ai docenti di trovare la forza per condurre “qualcosa di altro” con la
propria classe.
Ma “fare teatro” significa molto più di questo e, in un certo senso, anche molto meno.
L’attività teatrale si traduce, infatti, in un impulso creativo che mette al bando il contenitore
burocratico da cui troppo spesso la scuola è fagocitata e si presenta all’insegnante quale punto di
convergenza dell’energia del gruppo – classe, della volontà di cambiamento dei docenti e degli
alunni, troppe volte avvolti in schemi stereotipati ed avvinti da rigidità formali non di rado
impenetrabili dall’esterno; l’attività teatrale è quell’occasione, allora, accattivante che permette al
singolo allievo e agli alunni in quanto gruppo di esprimersi liberamente, di misurare le proprie
potenzialità, di comunicare mediante l’uso del linguaggio corporeo, musicale, mimico – gestuale; è
quell’ incessante e quanto mai dirompente opportunità di coniugare armoniosamente i processi di
simbolizzazione, di espressione, di sviluppo e cognitivi che, in una normale realtà scolastica sono,
ahimè, molto spesso disancorati dal contesto esperenziale ed inseriti piuttosto in netti e settoriali
campi del sapere che sì, forniscono contenuti ed arricchiscono il patrimonio culturale disciplinare,
ma non consentono di raccordare in maniera flessibile e dinamica la crescita armonica della
personalità del bambino e della sua cultura.
Non si chiede agli insegnanti di insegnare ai ragazzi a fare il teatro in senso stretto, ma piuttosto di
animare spazi e strutturare metodologie per fare teatro didattico, che è cosa ben diversa, ma che
deve essere la premessa posta alla base di un lavoro di laboratorio teatrale che non vuole crescere
attori, bensì insinuare in loro la consapevolezza di una forma espressiva e comunicativa assai
complessa e dinamica, che può divenire per molti lo strumento di ricerca introspettiva , attraverso il
quale scoprire le proprie potenzialità e smussare gli angoli della propria debolezza, soprattutto sul
piano delle dinamiche relazionali.
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Tutti i bambini, infatti, hanno la necessità di interpretare la realtà e ristrutturarla per inserire la
propria ritrovata identità all’interno di un sistema complesso di linguaggi e contesti, entro cui si
svolge il percorso di crescita emotiva di ciascuno.
La mia esperienza fin qui condotta mi ha portato spesso a costatare che, in momenti di animazione
teatrale ben strutturati e impegnati, i bambini vivono una sorta di “alienazione hegeliana”, per
impulso della quale essi rompono gli schemi formali e d’identità entro cui la società vuole che siano
inseriti, e si allontanano man mano dalla realtà per vestire i panni di personaggi altri, lontani nel
tempo e nello spazio che, quasi di riflesso e per contrappasso, li aiutano a conoscere se stessi.
E’ questa straordinaria valenza formativa che fa del teatro didattico un’ “esperienza irrinunciabile”
per il sistema scuola e per le persone che lo abitano.
E’ una sociologia dell’essere che nasce come scoperta di se stessi e, con il contributo della creatività
si eleva come slancio vitale che sprigiona in ogni attore del gioco il desiderio di realizzare qualcosa
che è “per sempre”.
Marianna Traversetti
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