Prove e misure sugli impianti - Ingegneria elettrica ed elettronica

Prove e misure sugli impianti - 1
Prove e misure sugli impianti
1 - Misure per la sicurezza
Pericolosità della corrente elettrica
L’impiego dell’energia elettrica comporta condizioni di potenziale pericolo. Nel seguito richiamiamo quanto prevede lo stato dell’arte sulle tecniche per ottenere impianti elettrici sicuri
e presentiamo le modalità con cui si verificano e si misurano gli elementi che stabiliscono la
sicurezza.
Quando una corrente elettrica circola nel corpo umano si hanno diversi gradi di conseguenze.
Fra gli effetti più lievi della corrente elettrica vi sono le ustioni sulla pelle, provocate nei punti
di ingresso o di uscita della corrente. Effetti più gravi sono dati dalla stimolazione neuromuscolare e dalla contrazione incontrollata dei muscoli interessati. Nel linguaggio comune si dice che la persona infortunata è “rimasta attaccata” alla parte in tensione; infatti muscoli non
rispondono più e se la contrazione si verifica sui muscoli del sistema respiratorio si può verificare il blocco della respirazione. Le conseguenze estreme si manifestano quando la corrente
elettrica interessa il cuore. In tal caso può provocare la fibrillazione, che consiste in un disordine del ritmo che regola il pulsare del cuore. Tale fatto può avere come conseguenza ultima
l’arresto cardiaco.
Tutti gli eventi richiamati hanno effetti che dipendono congiuntamente dal valore
dell’intensità di corrente e dalla sua frequenza, dal tempo di permanenza, dagli organi interni
interessati e dal percorso seguito (per esempio percorso mano-piedi, mano-mano, ecc).
L’interruzione rapida di una corrente, anche elevata, che attraversa il corpo umano potrebbe
non avere conseguenze gravi.
Le Norme sulla sicurezza fanno riferimento a particolari diagrammi che riassumono gli effetti
osservati statisticamente sull’uomo, per una frequenza della corrente di 50 Hz.
Da questi diagrammi risulta, per esempio, una soglia di percezione di 0.5 mA, al disotto della
quale non si hanno reazioni, anche per un tempo prolungato. Viceversa una corrente di 500
mA può provocare fibrillazione ventricolare, arresto cardiaco e gravi ustioni, se permane per
più di 20 ms. È tuttavia opportuno ricordare, in ogni caso, l’origine statistica dei dati e
l’ampia variabilità di reazioni dei singoli individui.
La Fig.1.1 riporta le Curve di sicurezza tempo/corrente secondo la Norma IEC 60479-1: Effects of current on human beings and livestock (Effetti della corrente sul corpo umano e sugli
animali domestici) e CEI 64-18. Si hanno quattro zone:
• Zona 1 - Abitualmente nessuna reazione.
• Zona 2 - Abitualmente nessun effetto fisiologicamente pericoloso.
• Zona 3 - Abitualmente nessun danno organico. Tuttavia si ha probabilità di contrazioni
muscolari e difficoltà respiratoria; disturbi reversibili nella formazione e conduzione di
impulsi nel cuore, inclusi fibrillazione atriale e arresto cardiaco provvisorio senza fibrillazione ventricolare, che aumentano con l’intensità della corrente e il tempo.
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2 - Prove e misure sugli impianti
• Zona 4 - In aggiunta agli effetti della zona 3, la probabilità di fibrillazione ventricolare aumenta fino al 5% per la curva c2 e fino al 50% per la curva c3 (oltre il 50% al di là della
curva c3). Effetti fisio-patologici come arresto cardiaco, arresto respiratorio, gravi ustioni si
presentano con l’aumentare dell’intensità della corrente e del tempo di esposizione.
Nella stessa Fig.1.1 (a destra) si riportano i valori statistici dell’impedenza totale del corpo
umano (Ω), per esseri viventi, nel percorso mano-mano oppure mano-piede, per tensioni
comprese da 0 V fino a 700 V, a (50/60 Hz).
Per esempio: con una tensione di 300 V, circa il 5 % della popolazione ha impedenza inferiore a 1000 Ω, mentre il 95 % della popolazione ha impedenza inferiore a 2000 Ω.
Fig.1.1 - Curve di sicurezza tempo/corrente.
Impedenza del corpo (a destra).
Gli effetti della corrente elettrica nel corpo umano sono indicati dalla Norma per la frequenza
di 50/60 Hz. In corrente continua (senza ondulazione), si registrano gli stessi effetti della corrente alternata a 50/60 Hz, ma con un valore della corrente continua da due a quattro volte più
grande. Analogamente per frequenze più alte di 50/60 Hz: in pratica, al crescere della frequenza diminuiscono gli effetti negativi della corrente.
Si definisce il fattore di frequenza Ff come rapporto tra la corrente a frequenza f che provoca
un determinato effetto fisiologico (con assegnata probabilità) e la corrente che provoca lo
stesso effetto a 50/60 Hz.
Il contatto indiretto
Un circuito elettrico risulta normalmente isolato per il livello di tensione nominale al quale
deve funzionare. In tali condizioni, un contatto dell’uomo su parti conduttrici dell’involucro
di protezione di un qualsiasi apparecchio elettrico non provoca alcun inconveniente.
Uno schema che illustra questo fatto è riportato in Fig.1.2, con riferimento a un circuito monofase (Fase-Neutro). I circuiti monofasi, negli impianti di distribuzione ordinaria, sono parte
dei sistemi trifasi che hanno origine nelle cabine di trasformazione MT/BT.
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Fig.1.2 - Circuito elettrico monofase in funzionamento regolare.
Quando si verifica un guasto interno nell’apparecchio utilizzatore e una parte conduttrice in tensione viene in contatto accidentale con una parte dell’involucro metallico esterno, detto massa, si
crea una situazione di pericolo per un uomo che tocca accidentalmente la massa.
Tale circostanza, rappresentata in Fig.1.3, è detta contatto indiretto.
Fig.1.3 - Contatto indiretto in un circuito con guasto a massa.
In queste condizioni, la corrente di fase IF, nel richiudersi verso il generatore, si divide in due
parti: una IN che percorre il conduttore neutro e l’altra IG (la corrente di guasto) che percorre il
corpo dell’uomo infortunato e poi il terreno, fino al centrostella del sistema di generatori (avvolgimenti secondari del trasformatore) che è posto a terra.
Circuiti equivalenti
Per meglio analizzare il fenomeno del contatto indiretto, possiamo tracciare i circuiti equivalenti rappresentati in Fig.1.4. Innanzitutto, a causa del guasto a massa, l’impedenza Z
dell’apparecchio utilizzatore è stata rappresentata suddivisa in due parti ideali ZA e ZB, rispettivamente a monte e a valle del punto di guasto.
Fig.1.4 - Circuiti equivalenti per il contatto indiretto.
La corrente IG dovuta al contatto indiretto si richiude verso il generatore di alimentazione U0
attraversando sia la resistenza RT,u dell’impianto di terra dell’utilizzatore sia la resistenza RT,g
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dell’impianto di terra del generatore di alimentazione U0, tipicamente l’impianto di terra della
cabina di trasformazione MT/BT.
Nell’esempio riportato in Fig.1.4 si è ritenuto che gli impianti di terra della cabina di distribuzione e dell’impianto utilizzatore siano fra loro separati e quindi possano individuarsi e misurarsi i valori delle resistenze RT,g e RT,u rispetto a un punto lontano ideale (PL) che assumiamo
a potenziale zero.
La corrente nel terreno
Quando nel terreno circola una corrente fra due punti (P1 e P2), impressa da un generatore di
tensione Ug, da una parte si eleva il potenziale del terreno (VT1) e dall’altra si abbassa (VT2), in
relazione al verso della corrente. Osservando la Fig.1.5 risulta:
U g = VT 1 + VT 2
RT 1 =
VT 1
Im
RT 2 =
VT 2
Im
(1.1)
La figura mostra anche l’andamento qualitativo delle linee equipotenziali viste dall’alto, disposte attorno ai punti di ingresso e uscita della corrente (P1 e P2) e alcuni percorsi qualitativi
della corrente (tratteggiati). Nell’esempio i dispersori sono di dimensioni diverse.
Fig.1.5 - Circolazione della corrente nel terreno e profilo dei potenziali.
Un punto lontano PL
Man mano che ci allontaniamo dai punti (P1 e P2) in cui la corrente entra o esce, il profilo dei
potenziali si appiattisce. Il punto che abbiamo chiamato “punto lontano” PL si trova a distanza tale dai punti di iniezione della corrente (P1 e P2) che nel suo intorno si può ritenere che il
profilo dei potenziali non vari più: si è esaurito il gradiente di potenziale e si assume che il potenziale di questa zona sia pari a zero.
É usuale definire tensione di terra di un sistema di dispersione della corrente come la differenza di potenziale fra il conduttore che porta la corrente al dispersore e un punto lontano PL.
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Si può individuare una zona che ha le caratteristiche del punto lontano PL, solo se i punti (P1
e P2) di ingresso e di uscita della corrente si trovano a una distanza sufficiente perché il gradiente si annulli e in questa zona il potenziale sia costante.
Le tensioni di contatto
Nel caso di un guasto a massa e prima del contatto (Fig.1.6 a sinistra), la corrente di fase IF0 è
uguale alla corrente nel neutro IN0 e si manifesta una tensione a vuoto UG0 sulla massa rispetto
al terreno:
IF0 =
U0
= IN0
Z A + ZB
UG0 = U0
ZB
U0
=
Z A + ZB 1 + Z A / ZB
(1.2)
Il valore maggiore per la tensione a vuoto UG0 si ha quando il guasto si verifica in un punto
dell’apparecchio utilizzatore prossimo al conduttore di fase. In tal caso si parla di guasto franco a massa: (ZA = 0) e (UG0= U0 = 230 V).
In seguito al contatto indiretto, il circuito equivalente assume l’aspetto di Fig.1.6 (a destra),
dove è presente l’impedenza convenzionale del corpo umano Zuomo.
Durante il contatto, la corrente di fase IF si ripartisce nei due rami in parallelo: il ramo di neutro IN e il ramo di guasto IG che comprende anche l’impedenza dell’infortunato Zuomo;
Z p = Z B //(Zuomo + RT ,u + RT , g ) < Z B
(1.3)
Risulta:
I F = I N + IG =
U0
> IF0
ZA + Zp
UG = U0
Zp
ZA + Zp
=
U0
< UG0
1+ ZA / Zp
(1.4)
La corrente di fase IF è maggiore di quella a vuoto IF0 mentre la tensione di contatto UG è minore di quella a vuoto UG0.
Fig.1.6 - Circuito di guasto a vuoto e sotto contatto.
Il collegamento a terra delle masse
È possibile ridurre la corrente che attraversa il corpo umano, in condizioni di guasto e contatto
indiretto, se cortocircuitiamo l’impedenza Zuomo con un efficiente collegamento a terra delle
masse. In pratica tale collegamento (vedi Fig.1.7) viene realizzato con un conduttore (il conduttore di protezione) la cui resistenza Rp deve essere sufficientemente piccola affinché la
maggior parte della corrente di guasto I’G non interessi il corpo dell’eventuale infortunato, ma
venga appunto drenata a terra.
Se il cortocircuito verso la resistenza di terra dell’impianto utilizzatore RT,u fosse ideale, la
corrente I”G che attraverserebbe il corpo umano sarebbe nulla.
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Fig.1.7 - Effetto del conduttore di protezione Rp.
Il collegamento all’impianto di terra delle masse (di tutte le masse che si trovano nell’area
dell’impianto utilizzatore) non è tuttavia sufficiente a garantire la protezione dai contatti indiretti. Viene ulteriormente richiesto che la condizione di pericolo venga eliminata automaticamente all’insorgere del guasto a massa, qualora la tensione sulle masse risulti superiore ai limiti prescritti, per i tempi ammessi. L’apertura del circuito elettrico è ottenuta tramite un interruttore automatico e deve avvenire in tempi tanto più brevi quanto più è alta la tensione di
contatto a vuoto UG0. Il valore massimo della tensione di contatto a vuoto, che è possibile
mantenere sulle masse per un tempo indefinito, è la tensione limite convenzionale UL.
Per i sistemi ordinari in c.a. con tensione nominale di 230 V (rms) verso terra, la tensione limite UL è pari a 50 V per gli ambienti ordinari, mentre è pari a 25 V per gli ambienti particolari a maggior rischio (per esempio gli ospedali).
L’interruttore automatico
Un circuito elettrico in un impianto utilizzatore viene normalmente inserito ed escluso dalla
rete di alimentazione tramite un interruttore automatico.
In particolare, l’apertura dei contatti può essere attivata sia manualmente dall’operatore sia
mediante uno sganciatore di protezione. In ogni caso, per un interruttore automatico, la velocità dei contatti è indipendente dal tipo di comando ma dipende solo dal cinematismo
dell’interruttore. Gli interruttori per uso domestico, ad esempio, hanno una durata
dell’apertura dell’ordine di 10÷20 millisecondi.
L’interruttore automatico, oltre a consentire il sezionamento del circuito, protegge anche la
linea (cioè i cavi) dai sovraccarichi e dai cortocircuiti tramite lo sganciatore magnetotermico.
Il relè termico protegge dal sovraccarico con caratteristica di intervento a tempo inverso.
Il relè magnetico protegge dal cortocircuito con intervento istantaneo.
Fig.1.8 - Interruttore automatico magnetotermico modulare.
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La standardizzazione prevede diversi tipi di caratteristiche. Nella Fig,1.8 è mostrato un interruttore automatico modulare, per impieghi civili, e alcune caratteristiche di intervento (tipo B,
C e D) secondo la norma CEI EN 60898-1.
Per esempio, un interruttore automatico con corrente nominale In e caratteristica C attiva
l’intervento magnetico nel tempo tm (10÷20 ms), per correnti comprese nella fascia (5-10)In.
L’interruttore differenziale
L’interruttore differenziale contiene un toroide magnetico attraversato dai conduttori di fase
(F) e di neutro (N). In condizioni ordinarie: IF = IN. In condizioni di guasto: IF ≠ IN perché la
corrente di guasto IG non si richiude passando entro il toroide
Lo scompenso di corrente provoca uno scompenso di flusso che fa aprire l’interruttore.
In tal modo si esclude il circuito guasto dalla rete, prima che possa verificarsi un contatto indiretto accidentale. La corrente di intervento differenziale, cioè quella che provoca l’apertura
dell’interruttore qualora venga superata, può avere diversi valori di taratura, in relazione alle
condizioni impiantistiche e alle scelte progettuali; quello più diffuso è il valore di 30 mA.
In molti casi, per garantire con un unico dispositivo anche la sicurezza delle persone,
l’interruttore magnetotermico è dotato anche della protezione differenziale (vedi Fig.1.9).
Fig.1.9 - Interruttore automatico magnetotermico e differenziale
La Fig.1.10 mostra le caratteristica di intervento degli interruttori differenziali con soglie 10 e
30 mA. Osservando le aree di intervento (tratteggiate) sovrapposte alle curve di sicurezza
IEC, risulta evidente l’efficacia della protezione differenziale.
Fig.1.10 - Copertura delle zone di sicurezza con interruttori differenziali.
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8 - Prove e misure sugli impianti
Nota
I provvedimenti elencati (collegamento a terra delle masse e interruttore automatico differenziale) sono del tutto inefficaci se una persona tocca contemporaneamente con una mano il
conduttore di fase e con l’altra il conduttore di neutro.
Infatti, la protezione differenziale non rivela alcuno squilibrio di correnti e pertanto non interviene. Anche la protezione magnetotermica non interviene, perché la sua funzione principale
è quella di proteggere le condutture e con tale obiettivo vengono coordinati i tempi e le correnti di intervento.
L’esito di questo infortunio può essere molto grave, nonostante l’impianto sia realizzato e
condotto a perfetta regola d’arte. Talora, l’enfasi che viene data alle misure di sicurezza e protezione può indurre comportamenti poco prudenti o addirittura azzardati, per i quali non esistono rimedi.
2 - Sistemi elettrici in BT
Riferimenti normativi
Per comprendere quali sono i parametri che determinano la sicurezza degli impianti elettrici e
poter quindi procedere consapevolmente alle misure di verifica, occorre approfondire alcune
considerazioni sulle protezioni previste dalle Norme CEI 64-8, in relazione al sistema elettrico
adottato. I sistemi di distribuzione prevalentemente usati in BT sono:
• Sistema TT
(neutro a terra, masse a terra)
• Sistema TN
(neutro a terra, PE sul neutro)
• Sistema IT
(neutro isolato, masse a terra)
La prima lettera si riferisce allo stato del neutro, la seconda lettera si riferisce allo stato delle
masse degli utilizzatori.
Per i sistemi elettrici con tensione nominale U0 = 230 V verso terra, il metodo di protezione più
diffuso contro i contatti indiretti è ottenuto con la messa a terra e l’interruzione automatica
dell’alimentazione.
Sistema di distribuzione TT
Il sistema di distribuzione TT è quello realizzato nel caso di fornitura dell’energia in bassa
tensione (BT) da parte dell’Ente Distributore, per esempio alle utenze domestiche.
In Fig.2.1 è rappresentata la condizione di guasto a massa in un sistema TT monofase.
La corrente di guasto IG interessa sia la resistenza RT,u dell’impianto di terra dell’utilizzatore
sia la resistenza RT,g dell’impianto di terra del generatore di alimentazione U0 (cabina di trasformazione MT/BT).
Fig.2.1 - Sistema TT.
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Nel sistema TT si ritiene che gli impianti di terra della cabina di distribuzione e dell’impianto
utilizzatore siano separati e quindi possano individuarsi le resistenze RT,g e RT,u rispetto a un
punto ideale (lontano) assunto a potenziale zero.
Per un sistema TT ordinario deve essere soddisfatta la condizione:
RT ,u I a ≤ U L = 50 V
(2.1)
RT,u è la resistenza totale, in ohm, dei dispersori e dei conduttori di protezione dell’impianto
utilizzatore. Ia è la corrente, in ampere, che provoca l’apertura del dispositivo di protezione.
Confronto fra protezione magnetotermica e differenziale
In passato era ammesso che il dispositivo di apertura fosse un interruttore magnetotermico
con caratteristica di intervento a tempo inverso e il tempo massimo prescritto in corrispondenza della corrente di apertura Ia era di 5 secondi.
Per esempio, impiegando un interruttore commerciale con caratteristica C e corrente nominale In
= 16 A, dalla sua caratteristica tempo-corrente si deduce che la corrente che sicuramente apre entro 5 secondi è paria a 7In = 112 A. Pertanto si ha RT,u = 50/112 = 0,45 Ω.
Viceversa, impiegando un interruttore differenziale con soglia di scatto di Idn = 30 mA, risulta: RT,u = 50/0,03 = 1667 Ω; che è una condizione assai meno onerosa.
L’interruttore differenziale è il dispositivo di apertura più adatto per i sistemi TT, tanto che la
Norma CEI 64.8 (art. 413.1.4) ne prescrive esplicitamente l’impiego.
Infatti la resistenza complessiva del circuito di terra (RT,u + RT,g) è spesso elevata e allora risulta difficile ottenere una corrente di guasto a terra sufficientemente alta che faccia aprire
l’interruttore magnetotermico nel breve tempo richiesto.
Questo fatto è tanto più vero quanto più è grande la taglia dell’interruttore automatico, cioè
quanto più è elevata la sua corrente nominale In.
Nel caso di interruttori differenziali sono ammessi ritardi di intervento non superiori a un secondo, per realizzare la selettività con altri dispositivi differenziali posti in cascata.
Sistema di distribuzione TN
Il sistema di distribuzione TN è quello realizzato, tipicamente, nel caso di utenze con cabina
di trasformazione propria, per esempio utenze industriali o grandi strutture civili (ospedali, alberghi, supermercati, ecc.). In tali casi, l’impianto di terra è unico (sia per la cabina che per
l’impianto utilizzatore). Pertanto potremo caratterizzarlo con la sola resistenza di terra RT.
In Fig.2.2 è presentato lo schema di un guasto a massa. Se il guasto è franco, questo equivale
a un corto circuito e la corrente IG risulta elevata. Si possono quindi impiegare protezioni di
massima corrente. La richiusura della corrente IG avviene senza interessare l’impianto di terra
unico, bensì attraverso in conduttore di protezione PE.
Fig.2.2 - Sistema TN-S.
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Per rispettare la condizione di sicurezza, la corrente di guasto IG deve essere maggiore di
quella corrente Ia che sicuramente provoca l’apertura dell’interruttore entro i tempi stabiliti.
Secondo la Norma, deve essere soddisfatta la condizione:
IG =
U0
≥ Ia
Zs
⇒ Zs Ia ≤ U0
(2.2)
U0 è la tensione nominale del sistema verso terra, in volt rms.
Zs è l’impedenza dell’anello di guasto, in ohm, comprendente la sorgente, il conduttore attivo
fino al guasto e il conduttore di protezione PE fra il guasto e la sorgente di alimentazione.
Ia è la corrente, in ampere, che provoca l’apertura del dispositivo di protezione entro un tempo
specificato, in funzione della tensione U0. Questo tempo vale 0,4 secondi per U0 = 230 V e si
ritiene sufficiente per la protezione dei circuiti terminali che alimentano (tramite o senza prese
a spina) componenti elettrici di classe I, mobili, portatili o trasportabili.
Impiegando un interruttore differenziale, la corrente Ia coincide con la corrente differenziale
nominale Idn.
Per le condutture di distribuzione a posa fissa è ammesso un tempo di interruzione non superiore a 5 secondi. Anche per un circuito terminale che alimenti componenti elettrici fissi è
ammesso un tempo di interruzione fino a 5 secondi, ma deve essere previsto l’impiego di collegamenti equipotenziali supplementari.
Il sistema di Fig.2.2 è più propriamente un sistema TN-S, in quanto il neutro N è separato dal
conduttore PE. Esistono anche i sistemi TN-C dove le funzioni di neutro e di protezione sono
combinate in un solo conduttore (PEN).
Sistema di distribuzione IT
Il sistema di distribuzione IT prevede che la tensione di alimentazione non sia riferita a terra,
mentre le masse siano collegate all’impianto di terra dell’utilizzatore.
In generale, i sistemi IT possono essere sia monofasi che trifasi e il neutro può essere distribuito oppure non distribuito. In Fig.2.3 è riportato un sistema IT monofase in condizioni di
primo guasto a massa. In questo caso la corrente di guasto IG si può richiudere verso il generatore di alimentazione U0 solo attraverso le capacità distribuite della linea (CN e CF): in sostanza è una corrente di dispersione.
Fig.2.3 - Sistema IT; primo guasto.
In particolare, se il guasto a massa avviene sul conduttore di fase (F), è interessata prevalentemente la capacità CN. La corrente di guasto è comunque di piccolo valore e non risulta necessario interrompere automaticamente il circuito al primo guasto.
Infatti è facile soddisfare la condizione richiesta dalla Norma:
RT ,u I d ≤ U L = 50 V
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(2.3)
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RT,u è la resistenza totale, in ohm, dei dispersori e dei conduttori di protezione.
Id è la corrente di dispersione, in ampere, dovuta al primo guasto di un conduttore di fase in
contatto con la massa.
Il sistema di distribuzione IT consente quindi la prosecuzione dell’attività, ma la Norma richiede che il primo guasto venga segnalato e che, inoltre, sia presente un dispositivo per il
controllo dell’isolamento. Il primo guasto, inoltre, deve essere eliminato nel più breve tempo
possibile. Nel caso che si verifichi un secondo guasto a massa, il sistema IT diventa quello
rappresentato in Fig.2.4, nell’ipotesi che le masse sono connesse allo stesso impianto di terra
e che il secondo guasto avvenga sul conduttore che abbiamo chiamato di neutro (N).
Fig.2.4 - Sistema IT con secondo guasto.
In queste condizioni il guasto assume le caratteristiche di un cortocircuito e il sistema elettrico
diventa sostanzialmente un sistema TN. Per un sistema IT con neutro distribuito, la Norma richiede di soddisfare le seguente condizione:
Z 's ≤
U0
2Ia
(2.4)
dove: U0 è la tensione nominale fase-neutro; Z’s è l’impedenza del circuito di guasto, in ohm,
costituito dal conduttore di neutro N e dal conduttore di protezione PE; Ia è la corrente, in ampere, che provoca l’apertura del dispositivo di protezione in un tempo prefissato.
A questo proposito valgono le considerazioni, possibilità e limitazioni, fatte per il sistema TN.
Per gli aspetti più specifici, che esulano dal nostro contesto, si rimanda alla Norma CEI 64-8.
3 - Prove e misure sugli impianti elettrici BT
Le verifiche e la normativa
Le verifiche sugli impianti elettrici hanno lo scopo di stabilire la loro rispondenza alle norme
tecniche e di legge. Le verifiche comprendono gli esami a vista e le prove.
Gli esami a vista hanno lo scopo di verificare la rispondenza alla regola dell’arte, al progetto e
al capitolato. Questi esami devono essere condotti durante la realizzazione, prima della messa
in servizio e in occasione di ogni modifica.
Per quanto riguarda le prove, possiamo distinguere le prove di funzionamento, di sicurezza e
strumentali. Nel seguito ci occuperemo essenzialmente delle prove strumentali. A queste
spesso è richiesto di fornire dei risultati da comparare con dei valori limite per poter dichiarare la conformità di un parametro o di una grandezza.
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12 - Prove e misure sugli impianti
Misura della resistenza di terra
La misura della resistenza di terra, negli impianti BT, è richiesta per la verifica della protezione dai contatti indiretti nei sistemi TT. La modalità e il significato della misura possono essere
spiegati con riferimento alla Fig.3.1.
Il generatore di tensione flottante Ug inietta nel terreno la corrente di misura Im attraverso
l’impianto di terra in prova, di cui si vuole determinare la resistenza di terra RT. La corrente si
richiude al generatore dopo aver attraversato il terreno, passando per una sonda di corrente infissa nel terreno con questo scopo.
Nel terreno viene infissa anche un’altra sonda, detta sonda di tensione, con la quale si misura
la differenza di potenziale Vm fra il punto di infissione e l’impianto di terra in prova.
La resistenza di terra RT dell’impianto in prova è data dal rapporto delle letture RT = Vm/Im.
Il metodo è detto voltamperometrico in quanto si basa sulla misura di tensione e corrente.
Fig.3.1 - Schema per la misura della resistenza di terra RT.
La tensione totale Ug del generatore di alimentazione si ripartisce nelle due cadute VT e VC, rispettivamente ai capi della resistenza equivalente RT dell’impianto in prova e ai capi della resistenza equivalente RC della sonda di corrente. Normalmente la caduta VC è maggiore della
tensione di terra VT sull’impianto in prova.
Nella Fig.3.1 è riportato anche un andamento qualitativo dei percorsi della corrente Im nel terreno (linee tratteggiate) e il profilo delle differenze di potenziale Vm nel terreno (zona in grigio). Affinché la misura sia corretta è necessario che la sonda di tensione risulti infissa in un
tratto del terreno in cui l’andamento dei potenziali risulti il più possibile costante.
Questa condizione si verifica operativamente spostando la sonda di tensione finché non si arriva in una zona dove la lettura Vm del voltmetro si mantiene costante (vedi la zona in Fig.3.1
in cui l’altezza della zona tratteggiata è sensibilmente costante). La zona cui si è giunti corrisponde al potenziale della terra lontana (il punto lontano, PL), che per definizione è il punto
rispetto al quale valutare la resistenza di terra RT dell’impianto in prova.
Il metodo di misura voltamperometrico viene realizzato, nella pratica, attraverso dispositivi
compatti, che racchiudono al loro interno tutti i componenti necessari e forniscono la lettura
direttamente in ohm.
Nella Fig.3.2 è mostrata una possibile realizzazione di questi strumenti. I morsetti C1 e C2 sono i morsetti amperometrici che fanno capo al generatore interno, che imprime la corrente Im;
V1 e V2 sono i morsetti voltmetrici, per la misura della tensione Vm.
Per la correttezza della misura, è necessario soddisfare una importante condizione riguardante
le distanze reciproche delle sonde (vedi la Fig.3.2).
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Prove e misure sugli impianti - 13
Se indichiamo con D è la dimensione massima dell’impianto di terra in prova, la sonda di corrente deve essere infissa nel terreno ad una distanza DC dall’impianto in prova pari almeno a 5
volte D. A titolo di esempio: per un semplice picchetto verticale, la dimensione D risulta pari
alla lunghezza del picchetto; per un impianto realizzato con un anello conduttore interrato orizzontalmente, la dimensione D risulta pari alla diagonale dell’anello.
Fig.3.2 - Dispositivo per la misura della resistenza di terra.
La distanza DV della sonda di tensione deve essere variata alla ricerca della condizione di flesso del profilo dei potenziali.
Misure di resistività
La misura della resistività del terreno presenta interesse nelle indagini preliminari sulla natura
del terreno in cui dovrà essere realizzato un impianto di terra.
Si può utilizzare la stessa strumentazione già vista per la misura della resistenza di terra.
Con riferimento alla Fig.3.3, si infiggono nel terreno le sonde di corrente (C1 e C2) e le sonde
di tensione (V1 e V2), in modo tale che risultino allineate essendo a la distanza reciproca.
Fig.3.3 - Schema per la misura della resistività del terreno.
Si misurano la corrente Im iniettata nel terreno e la tensione Vm fra i due picchetti più interni
(V1 e V2). Se il terreno è omogeneo, si dimostra che la resistività vale:
ρ = 2π ⋅ a ⋅ R
(Ωm)
essendo R =
Vm
Im
(3.1)
Se il terreno non è omogeneo, la resistività così determinata è quella che corrisponde alla profondità media a.
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14 - Prove e misure sugli impianti
Pertanto, in questo caso, il valore misurato può variare al variare delle distanza a fra i picchetti. Per impianti di terra estesi, è opportuno indagare la resistività del terreno in diversi punti
dell’area di interesse e per diverse profondità.
Misura della resistenza dell’anello di guasto (Sistema TT)
Talvolta la misura della resistenza di terra, soprattutto nel caso di dispersori estesi e di impianti in aree urbane, può risultare di difficile esecuzione, in quanto non si riesce a porre il dispersore ausiliario di corrente a una distanza sufficiente (DC = 5D) per avere un andamento
dei potenziali con un flesso a tangente orizzontale. È il caso, tipicamente, dei sistemi elettrici
TT, prevalenti per la distribuzione civile in area urbana.
Inoltre, è spesso difficile realizzare un dispersore ausiliario di corrente che abbia una resistenza propria sufficientemente bassa, in modo che la corrente di prova non determini la presenza
di tensioni pericolose sullo stesso dispersore ausiliario, che deve pertanto essere reso inaccessibile durante la prova.
Il fatto che le distanze reciproche dei dispersori siano troppo ridotte, comporta che il dispersore in prova e quello ausiliario di corrente si trovino in zone di reciproca influenza e, in definitiva, si eseguono misure non corrette.
Per questi motivi, qualora la misura della resistenza di terra non sia praticabile con il metodo
voltamperometrico, si può ricorrere a un altro metodo molto semplice, schematizzato nella
Fig.3.4. Il metodo consiste nel misurare la resistenza complessiva del circuito di guasto a terra. Il suo impiego appare ragionevole quando la resistenza di terra dell’impianto utilizzatore
risulta preponderante rispetto alle altre resistenze in serie al circuito di guasto.
Il metodo schematizzato nella Fig.3.4 si rivela pertanto idoneo per i sistemi TT.
In questi casi, infatti, la resistenza di terra RT,g della cabina di trasformazione è usualmente
abbastanza minore della resistenza di terra RT,u dell’impianto utilizzatore.
Fig.3.4 - Sistema TT: schema per la misura della resistenza complessiva
del circuito di guasto a terra.
In ogni caso, la misura della resistenza totale dell’anello di guasto sovrastima la resistenza
RT,u dell’impianto di terra dell’utilizzatore. Questo fatto risulta a favore della sicurezza.
Per eseguire la misura, si adoperano appositi strumenti che si possono inserire in una qualunque presa dell’impianto utilizzatore (vedi il Meter di Fig.3.4).
Lo strumento va collegato fra il polo della fase (F) e il polo di terra (T) della presa.
Essenzialmente è costituito (vedi lo schema di principio in Fig.3.4) da una resistenza R che
può esser inserita nel circuito di misura tramite un contatto. Ai capi della serie formata dalla
resistenza R e dal contatto è posto un voltmetro (V). Si procede facendo due letture successive
della tensione Vm: la prima (V1) a vuoto e la seconda (V2) dopo aver chiuso il contatto.
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Prove e misure sugli impianti - 15
Indicando con Ranello la resistenza complessiva dell’anello di guasto risulta:
V1 = U 0
V2 =
⎛V
⎞
⋅ R ⇒ Ranello = R ⋅ ⎜⎜ 1 − 1⎟⎟
Ranello + R
⎝ V2 ⎠
U0
(3.2)
Conclusa la misura si riapre il contatto. È necessario che fra le due letture non si abbiano apprezzabili variazioni della tensione di rete U0.
Inoltre, occorre avere variazioni sufficientemente apprezzabili fra le letture V1 a vuoto e V2 a
carico. Questo comporta la necessità di avere la resistenza R dello strumento sufficientemente
piccola. Conseguentemente sono relativamente elevate le correnti di prova Im che circolano
nel sistema. Allo stesso tempo è necessario che le masse collegate al nodo principale di terra
(PE) non assumano tensioni pericolose. Pertanto, durante la prova, deve essere verificato che
la tensione sul PE sia minore della tensione limite UL ammessa.
Se trascuriamo, in prima approssimazione e a favore della sicurezza, la resistenza RT,g rispetto
a RT,u deve risultare:
VPE = RT ,u ⋅ I m ≅ U 0 − Vm < U L
⇒ Vm > U 0 − U L
(3.3)
In pratica, con tensione nominale U0 = 220V e tensione limite UL = 50V l’indicazione del
voltmetro deve risultare Vm > 170V.
Misura dell’impedenza dell’anello di guasto (Sistema TN)
Il metodo di misura appena descritto può essere applicato anche al caso di un sistema TN, per
la verifica dell’intervento delle protezioni con dispositivi di massima corrente.
Lo schema di misura è quello riportato in Fig.3.5. In questo caso non intervengono le resistenze dell’impianto di terra, ma la corrente di guasto, così come la corrente di prova Im, si richiudono entrambe sul conduttore di protezione PE.
Fig.3.5 - Sistema TN: schema per la misura della resistenza dell’anello di guasto.
È frequente il caso in cui l’impedenza complessiva dell’anello di guasto risulti particolarmente piccola e inoltre l’impedenza dell’anello di guasto può non essere prevalentemente resistiva
ma di natura vettoriale. Pertanto può essere critico l’impiego dello strumento descritto in precedenza, che si basa sulla misura di una caduta di tensione.
In questi casi può essere preferibile ricorrere a un metodo di misura che prevede l’impiego di
un’alimentazione separata e uno strumento dedicato.
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16 - Prove e misure sugli impianti
Misura dell’impedenza dell’anello di guasto con alimentazione separata
Il metodo di misura dell’impedenza dell’anello di guasto tramite un’alimentazione separata è
idoneo nel caso di circuiti vicino ai trasformatori oppure sui quadri generali Power Center di
un sistema TN.
Lo schema di misura è presentato in Fig.3.6 e comprende il secondario del trasformatore di
potenza MT/BT, il conduttore di fase (L3), il conduttore di protezione (PE). La corrente di misura Im viene iniettata nell’anello di guasto da un generatore di tensione separata Ug.
Fig.3.6 - Sistema TN: schema per la misura dell’impedenza
dell’anello di guasto a terra con alimentazione separata.
Per questa prova il primario deve essere aperto e i morsetti a valle dell’interruttore di macchina MT sono posti in cortocircuito.
L’impedenza complessiva dell’anello di guasto risulta allora:
Z anello =
Ug
Im
(3.4)
4 - Incertezza nelle misure per la sicurezza
Incertezza nella misura dell’anello di guasto (Sistema TT)
Consideriamo la misura della resistenza dell’anello di guasto ai fini della protezione dai contatti indiretti in un sistema TT, alimentato a 230 V e 50 Hz in un ambiente ordinario,
nell’ipotesi di impiegare un interruttore differenziale con IΔn = 0,3 A.
Supponiamo che lo strumento usato per la misura della resistenza dell’anello di guasto abbia
fornito il valore: RΤ = 10 Ω.
Per la condizione di sicurezza, la Norma prevede: RΤ IΔn ≤ 50.
Dunque deve essere: RT ≤ 50/IΔn = 50/0,3 ≤ 166,6 Ω. La verifica è ampiamente soddisfatta.
Consideriamo ora l’aspetto dell’incertezza. Con riferimento all’errore strumentale, consideriamo due casi:
1) Errore strumentale pari a ± 5 %, quindi errore assoluto pari a 0,5 Ω.
La fascia di valore è (9,5 Ω ÷ 10,5 Ω);
2) Errore strumentale pari a ± 30 %, quindi errore assoluto pari a 3 Ω.
La fascia di valore è (7 Ω ÷ 13 Ω).
In entrambi i casi, l’errore strumentale sulla lettura di 10 Ω, non è influente ai fini del limite
richiesto sulla resistenza di terra, che è pari a RTmax = 166 Ω . Infatti tutti i valori possibili per
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Prove e misure sugli impianti - 17
la resistenza dell’anello di guasto, tenendo conto del valore misurato e della sua fascia di incertezza, sono abbondantemente minori dei valori di resistenza necessari per soddisfare la
Norma, nel caso in esame.
Diverso è il caso in cui la misura di RT fosse stata vicina al valore limite RTmax.
Incertezza nella misura dell’anello di guasto (Sistema TN) - Caso 1
Nei sistemi TN i valori dell’impedenza dell’anello di guasto sono normalmente piccoli.
Pertanto, in questi casi, può accadere di operare con lo strumento all’inizio della scala.
D’altra parte, è noto che l’errore relativo di una misura è tanto maggiore quanto minore è il
valore misurato rispetto al valore di fondoscala. Se accade che una lettura è inferiore all’errore
assoluto non può essere accettata. Infatti una lettura, per risultare valida (e avere un senso),
deve essere sempre maggiore dell’errore assoluto.
Consideriamo, come esempio, il caso di uno strumento in cui la portata è 5 Ω e la classe di
precisione è 5 %. l’errore assoluto è ± 0,25 Ω.
Supponiamo che la lettura sia, per esempio, 0,22 Ω. Tale valore non può essere accettato, in
quanto la lettura è inferiore all’errore assoluto. In questo caso lo strumento non è adeguato.
Incertezza nella misura dell’anello di guasto (Sistema TN) - Caso 2
Consideriamo ora la misura dell’impedenza dell’anello di guasto in un sistema TN e supponiamo che la tensione nominale sia Vn = 230 V. Supponiamo inoltre che l’indicazione dello
strumento sia: ZS = 0,7 Ω e l’errore assoluto sia: ΔZS = ± 0,25 Ω.
La misura dell’impedenza dell’anello di guasto si esprime nella forma: ZS = 0,7 Ω ± 0,25 Ω.
La fascia di valore è: (ZS,min ÷ ZS,max) = (0,45 Ω ÷ 0,95 Ω). Il valore vero dell’impedenza ZS è
rappresentato da uno qualsiasi dei valori compresi nell’intervallo.
L’errore percentuale è: ΔZS (%) = 100⋅(0,25/0,7) = 36 %.
A favore della sicurezza, si deve considerare il valore più elevato dell’impedenza (ZS,max =
0,95 Ω), al quale corrisponde il valore più basso della corrente di guasto IS,min.
Infatti, con riferimento al coordinamento delle protezioni, osserviamo che alla lettura ZS = 0,7
Ω, corrisponde la corrente IS nell’anello di guasto:
IS =
U 0 230
=
= 328 A
Z S 0,7
(4.1)
D’altra parte, l’incertezza sull’impedenza ZS comporta un’incertezza sulla corrente IS:
ƒ a ZS,min = 0,45 Ω corrisponde IS,max = 230/0,45 = 511 A,
ƒ a ZS,max = 0,95 Ω corrisponde IS,min = 230/0,95 = 242 A.
L’intervallo di incertezza da attribuire alla determinazione della corrente nell’anello di guasto
IS (diversamente dall’impedenza ZS) non è più simmetrico. Risulta infatti:
ƒ (IS,max - IS) = (511 - 328) = 183 A, con errore emax = 183/328 = 56%,
ƒ (IS - IS,min) = (328 - 242) = 86 A, con errore emin = 86/328 = 26%
Dunque ai fini del coordinamento devo considerare la relazione:
I a < I S,min =
230
U0
=
= 242 A
Z S,max 0,95
(4.2)
Se non avessi tenuto conto dell’incertezza di misura, avrei assunto la corrente di gusto pari al
valore IS = 230/0,7 = 328 A. Per il coordinamento avrei potuto scegliere una corrente di apertura del dispositivo di interruzione appena inferiore a tale valore: Ia ≤ IS = 328 A.
Per valori della corrente di guasto compresi fra il valore minimo possibile e il risultato della
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Misure sui Sistemi di Potenza
18 - Prove e misure sugli impianti
misura (IS,min ÷ IS), cioè (242 A ÷ 328 A), la non sarebbe stata coordinata con incertezza.
Gli esempi riportati in questa sezione sono tratti dalla Norma CEI 0-11 “Guida alla gestione
in qualità delle misure per la verifica degli impianti elettrici ai fini della sicurezza”
5 - Altre verifiche in BT
Dispositivi differenziali
Gli interruttori differenziali sono detti anche dispositivi a corrente residua (RCD, Residual
Current Device) e sono caratterizzati dalla corrente nominale IΔn che rappresenta il valore di
corrente differenziale oltre il quale sicuramente l’interruttore interviene, cioè apre il circuito.
Valori tipici per la corrente differenziale IΔn sono:
I Δn = 10 mA, 30 mA
I Δn = 100 mA, 300 mA, 500 mA
(5.1)
I differenziali ad alta sensibilità (IΔn = 10 mA e 30 mA) sono detti anche a sensibilità fisiologica, perché il dispositivo può proteggere sia dai contatti indiretti che dai contatti diretti.
I differenziali a bassa sensibilità (IΔn > 30 mA) devono essere coordinati con la resistenza di
terra del sistema (IΔn < 50/RT) per proteggere contro i contatti indiretti.
Analogamente si definisce una soglia di corrente IΔn0 < IΔn al disotto della quale sicuramente
l’interruttore non interviene. Tipicamente IΔn0 = 0,5IΔn.
Rimane dunque definito l’intervallo fra IΔn0 e IΔn entro il quale l’intervento è incerto.
Riguardo alla forma della corrente di dispersione gli interruttori differenziali RCD più diffusi
sono del tipo (Fig.5.1):
ƒ AC: adatti solo per correnti differenziali alternate
ƒ A: adatti per correnti differenziali alternate e/o pulsanti (tipiche di carichi non lineari)
ƒ B: adatti per correnti alternate e/o pulsanti e in continua
Fig.5.1 - Tipi di interruttori differenziali.
Gli interruttori differenziali per correnti continue (tipo B) hanno circuiti elettronici più o meno raffinati per rilevare la corrente continua di sbilanciamento. Un’applicazione tipica si ha
negli impianti fotovoltaici. Esistono anche altre tipi di RCD, ad esempio per correnti in alta
frequenza (tipo F e B+) e per applicazioni particolari.
Prova di funzionamento dei dispositivi differenziali
Le prove di funzionamento dei dispositivi di protezione a corrente differenziale possono esseMisure sui Sistemi di Potenza
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Prove e misure sugli impianti - 19
re effettuate con vari metodi.
Nella Fig.5.2 viene presentato uno schema di principio (inserito in un sistema TT) che consiste nel regolare la corrente di prova Im che fluisce dalla fase (F) verso la terra (T) tramite una
resistenza di carico R controllata elettronicamente e temporizzata.
L’amperometro segnala il valore a cui interviene lo scatto di apertura. Le prove si fanno con
diversi valori della corrente Im e contemporaneamente si registrano i tempi di intervento.
Fig.5.2 - Uno schema per la prova di funzionamento dei dispositivi differenziali.
Nel circuito di Fig.5.2 è presente anche un voltmetro che misura la tensione Vm tra la fase (F)
e il conduttore di protezione (PE). È opportuno controllare questa tensione durante il tempo
della misura e verificare che si mantenga al disopra del valore (U0 - UL), dove U0 è la tensione
verso terra del sistema (230 V) mentre UL è la tensione limite ammessa sul PE (per esempio
50 V) e quindi su tutte le masse a questo collegate durante la prova.
Questa precauzione nasce dal fatto che, nei sistemi TT, le resistenze di terra RT,u possono essere elevate e pertanto possono comportare tensioni di contatto elevate anche con valori non
troppo alti della corrente a terra.
Infatti, trascurando in prima approssimazione RT,g rispetto a RT,u deve essere soddisfatta la
condizione di sicurezza:
VPE ≅ U 0 − Vm = RT ,u ⋅ I m < U L
⇒ Vm > U 0 − U L
(5.2)
Riguardo ai tempi di intervento, esistono gli interruttori differenziali di tipo generale (G) e ritardato (S), per consentire la selettività (vedi Fig.5.3).
Fig.5.3 - Selettività fra interruttori differenziali (a sinistra).
Tempi di apertura e correnti differenziali.
Nella tabella di Fig.5.3 si riportano i tempi di apertura ta secondo la Norma CEI 23-103, per
interruttori differenziali di tipo AC, generali e selettivi. Ad esempio, per interruttori di tipo G
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Misure sui Sistemi di Potenza
20 - Prove e misure sugli impianti
si richiede un tempo di apertura alla corrente nominale IΔn minore di 300 ms; alla corrente
2IΔn minore di 150 ms e per correnti oltre 5IΔn minore di 40 ms.
Verifica della continuità dei conduttori di protezione
La prova di continuità dei conduttori di terra (CT), di protezione (PE) e dei conduttori equipotenziali, principali e supplementari (EQP e EQS), si esegue prima di qualsiasi altro controllo.
La continuità elettrica tra i vari punti dell’impianto di terra deve essere verificata a partire dal
dispersore fino alle masse e masse estranee collegate (vedi Fig.5.4).
Per questa prova si deve utilizzare uno strumento in grado di erogare almeno 0,2 A con una
tensione a vuoto compresa tra 4 V e 24 V in c.c. o in c.a.
Fig.5.4 - Verifica della continuità dei conduttori di protezione.
Misure della resistenza di isolamento
Lo scopo della misura è quello di accertare che la resistenza d’isolamento dell’impianto sia
adeguata ai valori prescritti dalla Norma CEI 64-8/6 (vedi Fig.5.5). I limiti in tabella si riferiscono al singolo circuito sezionato con apparecchi utilizzatori disinseriti.
Fig.5.5 - Misura della resistenza di isolamento e valori prescritti.
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Prove e misure sugli impianti - 21
6 - Cenni alle misure su sistemi con tensione > 1000 V
La tensione totale di terra
Nel seguito daremo un cenno alle misure negli impianti di terra in media e alta tensione, limitandoci a inquadrare il problema.
Quando una corrente di guasto a terra IgT fluisce nella resistenza RT di un impianto di terra,
produce sul conduttore di protezione PE la tensione totale di terra UT rispetto a un punto lontano PL. In Fig.6.1 è riportato un andamento qualitativo del potenziale.
Come ci allontaniamo dalla massa e dall’impianto di terra che disperde nel terreno la corrente
IgT, il potenziale nel terreno decade finché raggiunge il valore zero quando ci siamo allontanati “a sufficienza”, cioè quando spostandoci ancora, il potenziale non varia più.
Lo schema del profilo del potenziale nel terreno, riportato nella Fig.6.1, è molto semplificato
e può essere realistico solo per un dispersore a picchetto verticale e nel caso di terreno omogeneo. In pratica l’andamento effettivo dei potenziali nel terreno dipende da molto fattori, fra
i quali l’omogeneità del terreno, la forma, la disposizione e l’estensione dei dispersori.
Se consideriamo il terreno nelle vicinanze del dispersore, la tensione a vuoto UC0 fra la massa
su cui si è verificato il guasto e un punto P del terreno, sul quale potrebbe trovarsi una persona prima del contatto con la massa, risulta solo una frazione della tensione totale di terra UT.
Infatti nel punto P la corrente di guasto IgT, nel suo tragitto di dispersione, ha attraversato solo
breve tratto del terreno.
Se immaginiamo di suddividere la resistenza totale di terra RT in due parti, la prima R’T dal
nodo equipotenziale PE fino al punto P e la seconda R”T dal punto P fino al punto lontano
PL, avremo:
UT = RT I gT
RT = R 'T + R"T
U C 0 = R 'T I gT =
R 'T
UT
R 'T + R"T
(6.1)
La tensione di contatto a vuoto UC0 è tanto più piccola quanto più siamo vicini al nodo equipotenziale PE.
Fig.6.1 - Tensione totale di terra e profilo del potenziale nel terreno.
La tensione di contatto
Nel caso in cui una persona tocchi la massa in condizioni di guasto, a causa della resistenza R
del corpo umano, pari convenzionalmente a 1000 Ω, si modifica il circuito elettrico e dunque
varia il profilo dei potenziali nel terreno (vedi Fig.6.2). Pertanto, tra la massa PE e il punto P,
avremo una resistenza Rp data dal parallelo di R con R'T (e dunque minore di R'T).
Se ammettiamo, in prima approssimazione, che non vari la corrente di guasto IgT, allora la
tensione di contatto UC cui realmente è sottoposta una persona è quella del parallelo fra R e
R’T. Dunque: UC = Rp IgT è minore della tensione di contatto a vuoto UC0.
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22 - Prove e misure sugli impianti
Fig.6.2 - Le tensioni di contatto UC0 e UC.
Le tensioni di contatto e di passo
La tensione di contatto (UC) è la differenza di potenziale che si stabilisce fra una parte metallica (massa) di un’apparecchiatura, che si porta in tensione a causa di un guasto, e il terreno
ove si trova un operatore. La tensione di passo (UP) è la differenza di potenziale fra due punti
del terreno, che disperde una corrente di guasto, posti alla distanza convenzionale di un metro.
Fig.6.3 - Tensioni di contatto (A) e di passo (B).
Nella pratica, le tensioni effettive di contatto e di passo a carico (UC e UP) sono minori di
quelle a vuoto (UC0 e UP0).
In entrambi i casi, le reali tensioni di contatto e di passo (che dipendono dalle effettive condizioni circuitali, compresa la effettiva resistenza R del corpo umano) non devono superare i valori imposti dalla curva di sicurezza, per il tempo t0 di permanenza e cioè fino all’interruzione
della linea in guasto.
I limiti
Per la verifica dei limiti richiesti dalle Norme, occorre innanzitutto conoscere la corrente di
guasto a terra IgT che il sistema a monte può immettere nell’impianto di terra in esame e il
tempo t0 di eliminazione del guasto, impiegato dalle protezioni a monte (che sono normalmente sotto giurisdizione dell’Ente Distributore).
L’impianto di terra va dimensionato per la massima corrente di guasto IgT che si può verificare
nell’impianto e va considerato il caso più gravoso, con riferimento alla gestione del neutro.
La vecchia Norma CEI 11-8 stabiliva dei criteri e dei limiti molto cautelativi.
Nel 1999, sulla base di ricerche teoriche e dell’esperienza di molti decenni, la Norma CEI 118 è stata sostituita dalla Norma CEI 11-1, molto più articolata della precedente. In particolare
sono stati posti dei limiti solo alle tensioni di contatto, essendo le tensioni di passo normalMisure sui Sistemi di Potenza
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Prove e misure sugli impianti - 23
mente minori. Inoltre sono stati aumentati i limiti stessi delle tensioni di contatto ammissibili
rispetto alla Norma precedente.
La Norma CEI EN 50522
Nel 2011 è stata pubblicata la Norma CEI EN 50522 “Messa a terra degli impianti elettrici a
tensione superiore a 1 kV in c.a.”
I limiti per le tensioni di contatto (touch) ammissibili (permissibile) UTp sono riportati nella
Fig.6.3. La stessa Norma sottolinea che la figura è basata soltanto sul contatto mano - mano
nude o mano nuda - piedi nudi.
È ammesso tener conto di resistenze addizionali quali ad. es. scarpe o materiali ad alta resistività del piano di calpestio (le modalità di calcolo sono fornite nell’Allegato A della Norma).
Inoltre, tutti i guasti a terra devono essere disconnessi automaticamente o manualmente.
Per questo motivo, a seguito di guasti a terra non si manifestano tensioni di contatto di durata
molto lunga o infinita.
Fig.6.4 - Tensioni di contatto ammissibili UTp.
Definizioni
UE Tensione totale di terra (EPR, Earth Potential Rise) - tensione tra un impianto di terra e
la terra di riferimento.
ZE Impedenza di terra - impedenza, ad una data frequenza, tra un punto specifico in un sistema o un impianto o apparecchiatura e la terra di riferimento.
UT Tensione di contatto (touch) effettiva - tensione tra parti conduttrici quando vengano toccate simultaneamente.
US Tensione di passo (step) effettiva - tensione tra due punti della superficie del terreno alla
distanza di 1 metro (lunghezza convenzionale del passo d’una persona in quel punto).
UvT Tensione di contatto a vuoto - tensione tra parti conduttrici accessibili simultaneamente
quando non vengano toccate.
UvS Tensione di passo a vuoto - tensione tra punti del terreno quando non vi è una persona.
Verifica dei limiti secondo la Norma CEI EN 50522
Si considerano soddisfatti i valori ammissibili per la tensione di contatto UTp se:
1) è soddisfatta una delle seguenti condizioni C:
• C1: L’impianto considerato diventa parte di un impianto di terra globale.
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Misure sui Sistemi di Potenza
24 - Prove e misure sugli impianti
• C2: Il valore della tensione totale di terra, determinato con misure o calcoli, non supera il
doppio del valore della tensione di contatto ammissibile secondo la Fig.6.4;
2) oppure sono stati adottati i provvedimenti specificatamente riconosciuti M in accordo con
il valore della tensione totale di terra e della sua durata.
Se non sono rispettate le condizioni C né adottati i provvedimenti M, si deve verificare che sia
rispettata la tensione di contatto ammissibile UTp della Fig.6.4 per mezzo di misure.
Le correnti di guasto a terra negli impianti AT e MT
Quando si considerano gli impianti in alta tensione AT e in media tensione MT, è necessario
considerare anche le funi di guardia delle linee elettriche aeree e gli schermi metallici dei cavi, perché contribuiscono al ritorno delle correnti di guasto a terra. Infatti sia le funi di guardia
che gli schermi dei cavi sono interessati da una quota parte della corrente di guasto e pertanto
l’impianto di terra dovrà scaricare una corrente effettivamente minore.
La Fig.6.5 mostra un tipico sistema in alta tensione AT in cui la stazione di partenza A (a sinistra) è collegata alla stazione di ricevimento B tramite una linea aerea con fune di guardia, tesate sui tralicci. Nel caso di guasto a terra di una fase (per esempio la fase 3 nella stazione A),
la corrente di guasto (fault) IF che fluisce dal circuito principale verso terra, si ripartisce, nel
suo percorso di richiusura verso i generatori, nei seguenti contributi (fasoriali):
I F = I N + I RS + IWA
(6.2)
Dove:
IN è la corrente che si richiude verso il neutro del trasformatore, attraverso percorsi metallici, senza scaricarsi nel suolo.
IRS è la corrente che scorre nella resistenza di terra RS del dispersore a maglia (mesh earth).
IWA è la corrente che entra nella fune di guardia (wire) che si attesta nella stazione A.
Notiamo innanzitutto che la distribuzione effettiva delle correnti dipende molto dal tipo di
collegamento a terra del neutro e dalla sua corrente IN.
Se il neutro è collegato a terra con un’impedenza molto piccola, la corrente di guasto IF è praticamente un corto circuito fase-neutro e le restanti correnti a terra sono relativamente piccole.
Fig.6.5 - Schema per le correnti di guasto su un impianto AT.
La corrente IRS si scarica direttamente nell’impianto di terra RS del dispersore a maglia.
La corrente totale immessa dall’impianto A nella fune di guardia IWA in parte si scarica a terra
attraverso i successivi tralicci (towers) della linea, in parte scorre nella fune di guardia e prosegue verso la connessione a terra dell’impianto ricevitore B (a destra).
La corrente totale IWT che i tralicci drenano a terra attraverso le loro resistenze di terra RT è la
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Prove e misure sugli impianti - 25
somma delle singole correnti IRT: IWT = ∑ I RT .
L’impedenza equivalente attraversata dalla corrente verso terra dei tralicci IWT (vista dalla stazione in partenza) è indicata con Z∞ e corrisponde all’insieme di impedenze (fune di guardia e
piede del sostegno) di tutta la linea elettrica aerea che si presume di lunghezza infinita.
Spesso, nella pratica, l’azione di drenaggio a terra dei tralicci si esaurisce dopo alcune campate della linea e dunque si manifesta solo fino una certa distanza dall’impianto di partenza.
Le correnti effettivamente condotte a terra sono IRS e IWT e formano la corrente totale di terra
IE che si richiude attraverso il punto lontano a potenziale nullo (vedi Fig.6.6).
I E = I RS + IWT = I RS + ∑ I RT
(6.3)
Nella pratica si definisce il fattore di riduzione “r” che tiene conto delle funi di guardia per le
linee aeree (oppure degli schermi per le linee in cavo). Il fattore di riduzione è il rapporto tra
la corrente totale di terra IE e la somma delle correnti (di sequenza zero) nei conduttori di fase
del circuito principale 3I0, in un punto lontano dal cortocircuito e dall’impianto di terra:
r=
IE
3I 0
(6.4)
La corrente di richiusura 3I0 ritorna ai generatori attraverso i conduttori di fase della linea ed è
pari alla differenza vettoriale fra la corrente di guasto IF e la corrente che ritorna dal neutro IN,
oppure alla somma vettoriale della corrente totale a terra IE e del contributo trasferito della fune di guardia IW. In definitiva avremo:
∑ Ii = 3I0 = I F − I N = I E + IW
(6.5)
i =1, 2,3
Pertanto la corrente totale IW trasferita dalla fune di guardia dalla stazione A alla stazione B è:
IW = 3I 0 − I E = (1 − r ) 3I 0
(6.6)
Fig.6.6 - Ripartizione delle correnti di guasto.
Il fattore di riduzione “r” di una linea trifase dipende dai componenti circuitali che modellano
i conduttori di fase (L1 L2 L3) e la fune di guardia (LW): in particolare dai loro elementi resistivi e induttivi, sia di auto che di mutua induzione. Pertanto, da un punto di vista circuitale, il
fattore di riduzione “r” si potrà calcolare in funzione dell’autoimpedenza dei conduttori di fase Z L = RL + jX L e della fune di guardia Z W = RW + jX W e della mutua impedenza fra i condut© 2014, Nicola Locci
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26 - Prove e misure sugli impianti
tori di fase e la fune di guardia Z LW .
Notare che la corrente condotta a terra dai tralicci IWT così come la corrente trasferita dalla fune di guardia IW sono distribuite lungo la linea e non si possono misurare direttamente.
Infine, se all’impianto in AT si attestano più linee aeree, per esempio “n”, allora l’impedenza
totale di ciascuna fune di guardia che accompagna ciascuna linea aerea è vista in parallelo
dall’impianto di terra e l’impedenza complessiva di terra dell’impianto AT risulta:
1
1
1
=
+n
Z E RES
Z∞
(6.7)
Le tensioni durante il guasto
Consideriamo ora un gusto a terra in un impianto di alta tensione AT. In questi impianti la corrente di guasto a terra IF è normalmente elevata e spesso anche la componente IE che fluisce
nell’impianto di terra.
Benché l’impianto di terra sia realizzato per avere una piccola impedenza di terra ZE, la tensione totale di terra EPR (UE = IE ⋅ZE) risulta normalmente elevata e può raggiungere anche
valori di diversi kilovolt.
Con riferimento al profilo dei potenziali, dovuti alla corrente di guasto dispersa dall’impianto
di terra, è possibile entro l’area dell’impianto contenere a valori modesti le tensioni di contatto e di passo, realizzando una buona rete di terra magliata con un’elevata equipotenzialità sulla superficie del terreno (vedi Fig.6.7).
In questi casi, il vero problema è quello di evitare di esportare la tensione di terra fuori
dell’area dell’impianto AT, a causa di parti conduttrici (tubazioni interrate, recinzioni, rotaie,
ecc.), oppure di importare il potenziale di terra lontano entro l’area dell’impianto, con modalità analoghe (tubazioni metalliche rivestite e isolate, ecc.).
Opportuni accorgimenti devono essere presi sul perimetro dell’area dove si hanno i gradienti
maggiori del potenziale.
Le tensioni di contatto e di passo dipendono infatti dalla tensione totale di terra e dal profilo
dei potenziali, che si stabiliscono sulla superficie calpestabile.
In questi casi sono necessarie verifiche sperimentali.
Fig.6.7 - Simulazione per il profilo dei potenziali.
Le misure
Si devono eseguire misure dopo la costruzione, quando è necessario e per verificare
l’adeguatezza del progetto. Le misure devono comprendere l’impedenza dell’impianto di terra, le tensioni di contatto e di passo nei luoghi pertinenti e i potenziali trasferiti, se appropriaMisure sui Sistemi di Potenza
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Prove e misure sugli impianti - 27
to. Quando si misurano le tensioni di contatto e di passo sono possibili due scelte.
Misurare le tensioni di contatto (touch) e di passo (step) a vuoto (UvT e UvS ) utilizzando un
voltmetro ad alta impedenza, oppure misurare le tensioni di contatto e di passo reali che si
manifestano ai capi di una resistenza che simula il corpo umano (UT e US ). In questo secondo
caso si mette in parallelo al voltmetro una resistenza adeguata di 1000 Ω.
Metodo a iniezione di corrente
Per gli impianti di terra estesi è indicato il metodo di iniezione di corrente di valore elevato.
Si utilizza un generatore ausiliario di tensione che inietta nel collettore di terra dell’impianto
in prova una corrente IM la quale si richiude attraverso un sistema di picchetti ausiliari di corrente infissi nel terreno. Vedi la Fig.6.8 tratta dalla Norma CEI EN 50522.
Negli impianti in alta tensione, per formare il circuito provvisorio di prova, si usano i conduttori attivi delle linee aeree (sezionate dalle sbarre a monte e a valle). Il circuito di prova si
chiude attraverso un traliccio sufficientemente lontano dall’impianto in prova, utilizzando la
messa a terra del traliccio, eventualmente integrata da altri picchetti ausiliari in parallelo, per
limitare i gradienti di potenziale locale.
Prima della prova occorre verificare che la tensione che si manifesta sul sistema dei picchetti
ausiliari di corrente non assuma valori pericolosi e, in tal caso, recintare e presidiare la zona di
iniezione della corrente.
Le funi di guardia e le guaine dei cavi, con effetto di dispersori, collegati funzionalmente
all’impianto di terra, non devono essere scollegati durante la misura.
La distanza tra l’impianto di terra in prova ed il dispersore lontano dovrebbe essere da 1 km a
5 km per impianti di terra estesi, per assicurare zone d’influenza separate.
Il generatore ausiliario può essere costituito da un trasformatore monofase a due avvolgimenti, per la separazione galvanica dalla rete, e da un autotrasformatore, per la regolazione della
tensione d’uscita.
La corrente di prova dovrebbe essere scelta di valore sufficientemente elevato che le tensioni
misurate (tensione totale di terra UEM e tensioni di contatto UTM, riferite alla corrente di prova
IM) risultino maggiori delle possibili tensioni di interferenza e di disturbo. Ciò è generalmente
assicurato con correnti di prova superiori a 50 A.
Fig.6.8 - Schema pratico per la verifica dell’impianto di terra in AT.
Risultati delle misure
Indichiamo con I M = 3I 0 la corrente erogata dal generatore e misurata durante la prova.
Indichiamo con IEM la corrente che circola nell’impianto di terra durante la prova.
La corrente IEM è pari a quella immessa dal generatore I M = 3I 0 diminuita della quota ricon© 2014, Nicola Locci
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28 - Prove e misure sugli impianti
dotta al generatore della fune di guardia: IEM = 3I0 − IW = r ⋅ 3I0 .
Essendo UEM la tensione misurata tra l’impianto di terra in prova e una sonda posta nell’area
della terra di riferimento (terra lontana), allora l’impedenza di terra ZE dell’impianto in prova
risulta (in modulo):
ZE =
U EM U EM
=
I EM r ⋅ I M
(6.8)
Se la linea aerea trifase non ha la fune di guardia (oppure è disconnessa) il coefficiente di riduzione è r = 1: cioè tutta la corrente immessa IM è pari alla corrente di terra IE e uguale alla
componente omopolare che si richiude 3I0.
La tensione di contatto UT viene misurata fra la massa sotto controllo e due elettrodi, riuniti in
parallelo, premuti sul terreno con una forza di 250 N e posti alla distanza di un metro dalla
massa in esame. La tensione di passo US viene misurata fra due elettrodi premuti sul terreno
con una forza di 250 N e posti alla distanza reciproca di un metro.
Ciascun elettrodo ha un’area di 200 cm2 ed è opportuno che fra gli elettrodi e il terreno sia posto un panno umido. In certe condizioni si può utilizzare anche una sonda infissa nel terreno
per almeno 20 cm (vedi la Norma).
Le prove sono normalmente eseguite in scala ridotta, cioè con correnti di prova minori di
quelle che l’impianto dovrà disperdere. La tensione totale di terra UE quando l’impianto è
chiamato a disperdere una corrente di terra effettiva IE risulta:
UE = ZE IE =
U EM
IE
r ⋅ IM
(6.9)
Le tensioni di disturbo
In alcuni casi le tensioni di terra misurate UEM possono risultare alterate dalle tensioni di disturbo Ud. Queste eventuali tensioni di disturbo sono dovute alla circolazione nel terreno delle
correnti di disturbo non note. Pertanto, al fine di ottenere misure corrette, è necessario tener
conto di questi fenomeni. A tale scopo, uno dei metodi che si possono usare prevede
l’inversione di polarità della tensione di alimentazione.
Per ogni misura, viene preliminarmente misurata la tensione di disturbo Ud in assenza di circolazione della corrente di prova IM. Successivamente si inietta nel terreno la corrente di prova IM. In tali condizioni la caduta di tensione UE prodotta dalla corrente di prova IM
sull’impedenza ZE dell’impianto di terra si somma vettorialmente con la tensione di disturbo
Ud. Pertanto il voltmetro misura la tensione complessiva:
UEM = UE + Ud
(6.10)
Per separare la tensione utile sull’impianto di terra UE dalla tensione di disturbo Ud si inverte
la polarità del generatore di alimentazione, invertendo in tal modo il verso della corrente IM e
la sua caduta di tensione (+UE → −UE).
Pertanto fatte due misure di tensione con polarità invertite si ottiene:
UEM ,1 = UE + Ud e UEM ,2 = −UE + Ud
(6.11)
Dunque, nel caso sia presente la tensione di disturbo Ud e facciamo le misure UEM,1 e UEM,2
con le polarità invertite, vale il diagramma fasoriale della Fig.6.9.
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Fig.6.9 - Fasori per la separazione della tensione di disturbo.
Applicando il teorema di Carnot ai triangoli con il lato in comune ±UE, si deducono le seguenti relazioni fra i moduli:
2
2
U E2 = U EM
,1 + U d − 2U EM ,1U d cos α
2
2
U E2 = U EM
,2 + U d − 2U EM ,2U d cosβ
(6.12)
Da cui, sommando membro a membro:
2U E2 = U12M + U22M + 2Ud2 − 2Ud (U EM ,1 cos α + U EM ,2 cosβ) =
2
2
2
2
= U EM
,1 + U EM ,2 + 2U d − 4U d
(6.13)
Dunque l’effettiva tensione di terra UE risulta:
UE =
2
U EM
,1
2
+
2
U EM
,2
2
− U d2
(6.14)
La relazione trovata si può applicare se la tensione di disturbo Ud rimane costante durante le
due prove con polarità invertita.
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