TERAPIE Carcinomi del seno In questo articolo: DCIS e LCIS linee guida lesioni pretumorali In situ non significa che si possano trascurare DCIS e LCIS sono due forme di tumore del seno considerate precancerose, anche se vengono spesso trattate come tumori veri e propri. In crescita per via delle mammografie che le individuano anche in fase precoce, ora vengono trattate diversamente l’una dall’altra GENNAIO 2016 | FONDAMENTALE | 13 TERAPIE Carcinomi del seno a cura di AGNESE CODIGNOLA no studio recentemente pubblicato sulla rivista Jama Oncology, a firma di un grande gruppo di ricercatori canadesi, ha indagato che cosa accade alle donne che ricevono una diagnosi di DCIS, o carcinoma duttale in situ. L’obiettivo era di stimare la mortalità per cancro al seno in seguito a tale diagnosi e di identificare i fattori di rischio che portano alcune, e solo alcune, delle donne a un esito tanto grave. Dopo 20 anni di osservazione su oltre 100.000 donne, gli esperti hanno stimato che solo il 3,3 per cento delle donne con DCIS muore per cancro al seno. Tra i fattori di rischio maggiore ci sono la giovane età al momento della diagnosi e l’appartenenza alla popolazione afroamericana che, nel contesto in cui è stato fatto lo studio, è portatrice di alcune mutazioni genetiche che ne accrescono la suscettibilità alla malattia. La radioterapia o persino la mastectomia non sembrano efficaci nel prevenire la mortalità per cancro al seno, a riprova del fatto che le forme veramente gravi sono quelle legate a particolari profili genetici che le rendono molto aggressive. Lo studio di Jama Oncology è l’ultimo, in ordine di tempo, a tentare di dare indicazioni pratiche su come gestire queste forme di tumore “ambiguo”, al punto che alcuni esperti, anni fa, hanno proposto di cambiare loro il nome, U togliendo la parola “carcinoma” dalla definizione che conferisce un carattere eccessivamente negativo. Il motivo è presto spiegato. Il DCIS, e soprattutto il suo parente molto stretto LCIS (carcinoma lobulare in situ), di cui si parla meno, sono le forme iniziali del tumore al seno, lesioni preinvasive che l’avvento di mammografie sempre più precise e fatte anche in giovane età hanno portato alla ribalta. Si tratta di cellule anomale che iniziano a costituire piccolissime masse neoplastiche, spesso del diametro di qualche millimetro, e che destano allarme, perché potrebbero rappresentare l’inizio di qualcosa di molto più pericoloso. Potrebbero, ma non è detto che sia così. E a tutt’oggi, gli strumenti per capire che cosa succederà sono molto scarsi e non del tutto attendibili. Da qui le polemiche e i dubbi. Sono forme iniziali a evoluzione non chiara LINEE GUIDA ITALIANE (Grandi) numeri alla mano, c’è chi sostiene che la mammografia, estesa a donne troppo giovani, porti alla luce molte lesioni che non costituirebbero mai un serio pericolo, non crescerebbero e, lasciate lì, potrebbero convivere con la loro ospite tutta la vita. Secondo altri, invece, è bene toglierle o neutralizzarle sempre, anche dovendo affrontare interventi e terapie. Nel mezzo di queste due scuole di pensiero vi sono le donne cui viene comunicata una diagnosi di DCIS o LCIS che, se non opportunamente informate, spesso si spaventa- 14 | FONDAMENTALE | GENNAIO 2016 no e iniziano un iter terapeutico che le porta prima a sottoporsi a esami invasivi come le biopsie e poi, a volte, a interventi e terapie. Come regolarsi e che cosa dice oggi la scienza? L’Associazione italiana di oncologia medica (AIOM), che riunisce la maggior parte degli oncologi italiani, ha emanato di recente le sue linee guida, che aiutano a capire perché la situazione è, nei numeri, molto meno confusa di quanto non sia emerso negli ultimi anni. Del comitato di esperti che le ha elaborate, dopo un’analisi molto attenta della letteratura più aggiornata, ha fatto parte anche Lucia Del Mastro, senologa e diret- tore dell’UO sviluppo di terapie innovative dell’IRCCS San Martino di Genova, che da molti anni cura donne con tumore al seno e contemporaneamente studia, anche nell’ambito di progetti finanziati da AIRC, una malattia complessa, che può avere molte facce diverse. Spiega Del Mastro: “Si fa confusione, a volte, tra DCIS e LCIS. Il carcinoma duttale è considerato a tutti gli effetti una lesione pretumorale e come tale viene trattato, poiché è stato dimostrato che i benefici associati alle terapie superano di gran lunga gli eventuali rischi e i casi di errore sono compensati dalle molte situazioni più gravi prevenute e dalle vite salvate. Il trattamento consigliato EPIDEMIOLOGIA IL DCIS NELLE DONNE ANZIANE L’ incidenza dei DCIS potenzialmente invasivi aumenta con l’età, ma le donne che hanno più di 65-70 anni difficilmente sono avviate a protocolli di cura convalidati, perché i dati a disposizione su che cosa fare sono ancora insufficienti. Questo il paradosso emerso da uno studio pubblicato su Radiology nel quale i ricercatori dell’Ospedale Universitario di Muenster, in Germania, sono andati a verificare che cosa era successo in una popolazione di oltre 733.000 donne di età compresa tra i 50 e i 69 anni che avevano preso parte a un programma di screening tra il 2005 e il 2008. Per valutare l’importanza delle forme più a rischio di DCIS, gli autori hanno suddiviso i tumori trovati (989, pari all’1,5 per cento del totale del campione analizzato) in tre categorie, a seconda delle caratteristiche istologiche dei campioni delle è quindi la chirurgia. Con l’avvento delle tecniche mininvasive, a volte viene prescritta anche la radioterapia o, se non si è sicuri di riuscire ad asportare tutto, la mastectomia tradizionale. Su questo approccio non ci sono dubbi: è quello da tenere per prevenire lo sviluppo di una malattia più estesa. Se poi il DCIS, analizzato dal punto di vista molecolare, esprime i recettori per gli estrogeni, in casi specifici, e dopo chirurgia e radioterapia, viene indicata una chemioprevenzione con tamoxifene, il modulatore estrogenico che negli anni ha dimostrato di prevenire le recidive e allungare significativamente la sopravvivenza, a fronte di una tossicità ben conosciuta e gestibile”. LA FORMA PIÙ DUBBIA La forma che ha invece alimentato i dubbi è il LCIS, perché sulla sua natura la discussione è ancora aperta. È noto che le donne con carcinoma lobulare hanno una probabilità maggiore di sviluppare negli anni un tumore al seno, ma il rischio, oggi, non viene considerato tale da giustificare un approccio invasivo, e non è ancora chiaro quanto il LCIS sia effettivamente maligno. Si preferisce quindi, di solito, non intervenire, ma tenerlo d’occhio da vicino, come spiega ancora Del Mastro: “In questo caso, a seconda della situazione, dell’età, di altri fattori di rischio e della malattia, le opzioni possibili sono tre: la sorveglianza, la chemioprevenzione e la mastectomia profilattica bilaterale. La prima consiste in un esame clinico ogni 6-12 mesi e in una mammografia annuale; nelle donne giovani o con seno den- biopsie: a rischio basso, intermedio e alto; hanno così visto che le forme ad alto rischio erano 419, quelle a rischio intermedio 388 e quelle a rischio basso 182. È emersa quindi una relazione chiara tra età e aumento della possibilità che il tumore presente, ancorché in fase iniziale, abbia in sé le potenzialità per diventare pericoloso. Per le donne più giovani ci sono indicazioni specifiche, ma per questa importante fascia d’età no. E il motivo è noto: per moltissimi anni, le sperimentazioni hanno incluso donne di età varia, ma sempre, anche per ragioni normative, inferiore ai 65 anni, come se il tumore non fosse ciò che è e cioè, essenzialmente, una malattia dell’invecchiamento. Il commento finale degli autori non può che essere l’indicazione della strada da seguire: concentrare gli sforzi della ricerca su queste donne (che non di rado hanno altre malattie e condizioni diverse da quelle di una donna giovane e con gli ormoni in circolo), per avere a disposizione maggiori informazioni su come il loro organismo reagisce ai trattamenti e per poter scegliere protocolli più adatti a quella fascia di età. so o, ancora, con una storia familiare di tumore mammario, può essere utile anche la risonanza. Per quanto riguarda la prevenzione con farmaci, non riconosciuta dal Sistema sanitario nazionale, ci sono dati positivi relativi all’impiego del tamoxifene, del suo parente stretto raloxifene e di un altro farmaco usato in donne che hanno un tumore sensibile agli estrogeni, l’examestano: possono far diminuire i rischi di evoluzione. Va detto però che questi usi, appunto non codificati, devono restare nell’ambito delle norme per l’impiego off label, cioè al di là delle indicazioni ufficiali, e che si tratta di cure con effetti collaterali, noti e gestibili, ma non di cure che passano del tutto inosservate. Infine, per quanto riguarda la mastectomia, è opportuno ricordare che deve essere prospettata soltanto quando ci siano concreti elementi che qualificano la donna come ad alto rischio, per esempio per familiarità o per le caratteristiche genetiche (come la mutazione dei geni BRCA1 e 2) del suo tumore. Si tratta cioè di situazioni veramente molto specifiche, da trattare con la massima prudenza e personalizzazione”. Il quadro che emerge dalle parole dell’esperta, così come dalle linee guida dell’AIOM è dunque meno confuso di quanto si potrebbe pensare: per DCIS e LCIS le indicazioni ci sono, e sono chiare. Ciò che manca, sempre secondo l’AIOM, è la cultura della loro gestione, una conoscenza diffusa tra tutti i medici delle possibili scelte. La donna, in seguito alla diagnosi, deve essere guidata nella scelta da persone in grado di esporre i pro e i contro di tutti gli scenari possibili, quali sono i rischi associati alla cura prevista e quelli che possono derivare dal rifiuto di tale cura. La chiave per affrontare con serenità queste situazioni è sempre la razionalità e la discussione aperta e franca con il medico. Il quadro è meno confuso di quanto appaia GENNAIO 2016 | FONDAMENTALE | 15