I GIORNI DELLA RICERCA Un coro di voci contro il cancro “Ora posso parlare della mia malattia al passato” Ernesto Maria Cigliano I Cioccolatini della Ricerca La distribuzione continuerà grazie a UBI Banca e con il supporto di ePRICE e SaldiPrivati Il goloso appuntamento permette di sostenere il lavoro dei ricercatori con una semplice donazione di dieci euro. Dalla diagnosi alla cura passando per Airc Per capire a cosa serve la ricerca scientifica e, in particolare, quali sono le ricadute concrete di questa attività sulla vita dei comuni cittadini bisogna ascoltare chi ha affrontato e combattuto una malattia come il cancro. Negli Stati Uniti li chiamano “sopravvissuti” (survivors, un termine che in italiano può sembrare eccessivamente negativo ma che si riferisce soprattutto al superamento di una prova impegnativa sia dal punto di vista psicologico sia da quello medico). In questa pubblicazione ne incontrerete due: sono per- sone che hanno scelto di raccontare ciò che hanno vissuto, per testimoniare la loro gratitudine alla medicina e alla ricerca scientifica che hanno trovato la loro cura. Cura che ha permesso a entrambi di guardare al futuro con ottimismo e di continuare a combattere offrendo un messaggio di serenità e di forza anche ad altri pazienti. Dietro tutto questo, in laboratorio ci sono uomini e donne che portano avanti ricerche complesse sul danno molecolare che conduce alla formazione di un tumore, per identificare nuove terapie sempre più efficaci; e ci sono i medici, che assistono i pazienti con dedizione e competenza. Ascolterete anche le loro voci. Alcuni fanno parte di una nuova categoria professionale, i medici-ricercatori, che si alternano al bancone del laboratorio e poi al letto del malato per portare rapidamente le novità dalla teoria alla pratica clinica. E dietro tutti c’è AIRC che, attraverso un rigoroso processo di selezione basato esclusivamente sul merito, sostiene economicamente i progetti e consente di arrivare a risultati concreti. A questo servono le donazioni e i contributi che tutti voi devolvete ad AIRC aderendo all’Associazione o scegliendo in piazza, in occasione dei Giorni della Ricerca, i Cioccolatini della Ricerca. Per questo vi ringraziamo. 3 1000 al giorno, ciascuno diverso Mille nuovi casi di cancro al giorno, di cui più di metà (il 55 per cento) nelle donne: sono quelli che vengono diagnosticati in Italia ogni 24 ore. Dietro quei mille casi, ci sono mille persone che affrontano con paura una diagnosi non semplice, di quelle che possono cambiarti la vita. Sembrerebbe un dato catastrofico, ma la realtà riserva molte sorprese. Dietro quel numero si celano infatti situazioni molto diverse: dalle forme identificate in fase precocissima grazie ai programmi di screening a quelle per cui esistono terapie efficaci. Analizzando i dati si scopre che aumentano i casi nelle età avanzate, il che è comprensibile, poiché l’età è un fattore di rischio: aumentando l’età media della popolazione, anche i tumori tendono a crescere, semplicemente per un effetto demografico. Fa eccezione il tumore della mammella, che è in lieve crescita anche nella fascia di età più giovane, cioè tra i 40 e i 50 anni. A cinque anni dalla diagnosi, però, la sopravvivenza è pari in media al 57 per cento per gli uomini e al 63 per cento per le donne, con qualche diversità tra Nord e Sud che bisognerà colmare negli anni futuri. È un dato confortante, che pone l’Italia al di sopra della media europea (che ha una sopravvivenza media per uomini e donne insieme intorno al 52 per cento) e degli Stati Uniti, e a 4 livello dei Paesi Scandinavi. In pratica il nostro Sistema sanitario nazionale riesce ancora a garantire a tutti le migliori cure possibili e lo sviluppo della ricerca scientifica in ambito oncologico (sostenuta da AIRC attraverso le sue diverse fonti di finanziamento) consente di portare al letto dei malati un approccio basato sulle ultime conoscenze scientifiche. La ricerca, infatti, ha una duplice funzione: permette di scoprire le cause delle malattie e di comprendere i meccanismi alla base della loro comparsa, ma anche di mettere a punto e portare velocemente ai pazienti terapie innovative efficaci. Sempre secondo i dati AIRTUM pubblicati nel 2013, dal 1990 a oggi il periodo di vita dopo la diagnosi dei malati di cancro si è allungato del 14 per cento per gli uomini e del 9 per cento per le donne. I numeri sono aridi per definizione e non riescono a trasmettere tutte le settimane, i mesi, gli anni di vita in più di cui i pazienti hanno potuto godere grazie ai progressi della scienza medica. E infatti oggi si ritiene che il cancro sia una malattia da cui si può guarire e che, spesso, si può mantenere sotto controllo anche per un tempo molto lungo. Se diventa una malattia cronica, con il cancro si può convivere anche grazie a farmaci sempre più mirati, con effetti collaterali più tollerabili di un tempo. La sopravvivenza a cinque anni per diversi tipi di tumore 87 63 91 94 71 45 leucemie colon-retto cervice mammella prostata uterina Fonte: AIRTUM, I numeri del cancro in Italia, 2013 tiroide Valori % 5 Dal gene alla cura Storia di un ricercatore, dall’ipotesi scientifica al letto del paziente Enrico Tiacci è un giovane ematologo ricercatore e i risultati del lavoro condotto dal gruppo di ricerca di cui fa parte, diretto da Brunangelo Falini dell’Università di Perugia, sono stati recentemente riconosciuti dalla comunità scientifica internazionale, all’interno di un importante simposio internazionale di ematologia, nel corso della sessione più prestigiosa. La storia di BRAF 1988 6 1989 1990 1991 1992 1993 1988 2002 Scoperto il gene BRAF e il suo ruolo nella proliferazione cellulare 1994 1995 1996 Identificata una mutazione nel gene BRAF nella metà dei melanomi 1997 1998 1999 2000 200 01 Dopo una lunga permanenza in Germania, Tiacci è stato selezionato proprio da Falini – responsabile di una parte dell’importante programma di ricerca sulle leucemie finanziato con fondi del 5 per mille e diretto da Robin Foà, dell’Università la Sapienza di Roma – per elaborare una strategia efficace nella lotta alla leucemia a cellule capellute, una malattia contro la quale esistono terapie classiche efficaci ma che, data la sua natura cronica, con gli anni tende a non rispondere più ai trattamenti. Quale strategia avete messo a punto per battere la malattia? Quando i nostri direttori di ricerca hanno elaborato il progetto da presentare ad AIRC per ottenere il finanziamento legato ai fondi del 5 mille, la richiesta dell’Associazione era di lavorare su idee che portassero, nel giro dei cinque anni, a una cura efficace per i pazienti o almeno a una applicazione pratica. Nel caso della leucemia a cellule capellute, una forma che colpisce ogni anno qualche centinaio di pazienti ma che, data la lunga durata della malattia, è relativamente diffusa nella società, vi sono terapie efficaci basate su chemioterapici classici, ma dopo qualche anno possono smettere di funzionare. Per fare un salto in avanti mancava l’individuazione della vera causa della trasformazione delle cellule a livello molecolare. Dopo un anno di lavoro il gruppo diretto da Falini, di cui faccio parte, l’ha finalmente trovata: è un gene, BRAF, che finora era stato chiamato in causa solo per il melanoma e altri tumori solidi. Trovare un gene coinvolto significa sempre trovare la causa della malattia? Purtroppo non sempre è così: la stragrande maggioranza dei tumori è provocata da un gran numero di mutazioni genetiche e la cosa difficile è trovare quelle che giocano un ruolo chiave. Nel caso della leucemia a cellule capellute, invece, sembra proprio che BRAF sia la causa. 2004 Ricreata in laboratorio la proteina prodotta dal gene BRAF con la cristallografia a raggi X 2002 2003 2003 2011 Identificata la mutazione di BRAF nei pazienti con leucemia a cellule capellute 2004 2005 2006 2012 Approvato il Vemurafenib, un farmaco contro la forma mutata di BRAF, per il trattamento del melanoma 2007 2008 2009 2010 2013 Viene sperimentato con buoni risultati il Vemurafenib anche sui pazienti con leucemia a cellule capellute resistenti alla chemioterapia classica 2011 2012 2013 7 Ora potrete curare la malattia? Lo stiamo già facendo. BRAF è un gene coinvolto anche nella genesi di altri tumori ed esiste un farmaco specifico in grado di interferire col suo funzionamento. L’abbiamo provato in 26 pazienti ormai resistenti alle cure standard e abbiamo ottenuto risultati importanti: in tutti i casi meno uno abbiamo avuto una risposta, e nel 30 per cento dei casi addirittura una scomparsa della malattia. Si tratta però di uno studio preliminare, per cui non sappiamo ancora quanto a lungo durerà l’effetto, ma è comunque di un risultato importantissimo per questi pazienti. il donatore È il primo essenziale anello di un lungo processo. Può contribuire a sostenere la ricerca sul cancro con una donazione, partecipando alle iniziative di piazza oppure firmando per donare ad AIRC il suo 5 per mille. Dalla donaz il sistema d il volontario È l’anima di AIRC, sostiene attivamente la ricerca, contribuisce a organizzare le manifestazioni di piazza, Il denaro messo si fa promotore di a disposizione dalla iniziative locali o aiuta collettività viene distribuii Comitati regionali to ai migliori progetti, che i nel loro lavoro ricercatori presentano aderenquotidiano di do ai bandi emessi da AIRC. Ce raccolta. ne sono di vari tipi: per i ricercatori più giovani (Start-up Grant, My First AIRC Grant), per quelli più esperti (Investigator Grant) o per gruppi di ricerca che lavorano insieme a un comune obiettivo (Programmi speciali). i bandi d 8 i revisori Sono oltre 600 gli esperti internazionali, scelti fra gli scienziati al top della ricerca sul cancro, che sono coinvolti insieme ai membri del Comitato tecnico scientifico di AIRC nella selezione dei progetti. Ogni progetto è esaminato da almeno tre revisori con la dovuta competenza e senza conflitto di interessi. Sulla base delle Nella ricerca non si è mai soli, si lavora con un gruppo. Quanto conta per un giovane avere una figura di riferimento importante? Conta moltissimo. I cosiddetti “senior”, cioè i direttori dei diversi gruppi di lavoro, sono il vero motore intellettuale dell’impresa, guidano i più giovani e, soprattutto, danno loro la possibilità di crescere dal punto di vista scientifico. Lei è un medico e anche un ricercatore. Come concilia queste due funzioni? Ho iniziato lavorando soprattutto in laboratorio, specie quando ero all’estero. Ma il bando AIRC 5 per mille prevedeva esplicitamente la formazione di medici ricercatori, che dividessero il loro tempo tra il bancone e il reparto, e così è stato. È la forza di questa idea: fare in modo che anche la ricerca di base possa dare risultati concreti per i pazienti nel più breve tempo possibile. zione al paziente, di valutazione di AIRC traguardo il ricercatore errcat valutazioni, si stila una graduatoria in base alla quale si assegnano i finanziamenti finché c’è disponbilità di fondi. Ma i soldi non bastano mai e tanti ottimi progetti restano senza finanziamento. Viene informato dell’esito della valutazione: se è positivo può cominciare presto a lavorare, se è negativo può seguire i suggerimenti dei revisori e rivedere il proprio progetto in vista di una nuova presentazione il paziente I risultati della ricerca vengono applicati il più rapidamente possibile ai malati. Il rigoroso metodo di valutazione è essenziale per ottimizzare i risultati e investire nel migliore dei modi il denaro ricevuto dalle donazioni. 9 La potenza dell’umanità A 16 anni, scoprire di avere una rara forma di tumore del sangue vuol dire diventare grande all’improvviso. È quanto è accaduto a Ernesto Maria Cigliano, un ragazzo che oggi ha 22 anni e può raccontare la storia della sua malattia usando il passato. Il giorno della diagnosi è impresso nella mente di Ernesto con tutti i particolari dei momenti salienti dell’esistenza: una visita in pronto soccorso per una epistassi che non si ferma, quindi un banale esame del sangue che svela una citopenia refrattaria, ovvero un blocco del midollo osseo e della produzione di piastrine, essenziali per la coagulazione. Infine, la diagnosi di un tumore del sangue. Il ragazzo non è del tutto consapevole di ciò che lo attende. Lo capisce subito, invece la mamma Carla. “Per lei è stato davvero difficile, anche se è stata magnifica. Per questo oggi, quando vado a parlare come volontario negli ospedali pediatrici, mi rivolgo prima di tutto a loro, le mamme, che mi ascoltano volentieri: la mia presenza è la prova che anche i loro figli possono farcela”. Il viaggio al Nord La famiglia di Ernesto, che sta a Napoli, viene indirizzata al reparto di ematologia diretto da Franco Locatelli (uno degli scienziati finanziati da AIRC), che allora lavorava all’Ospedale San Matteo di Pavia e oggi continua la sua attività all’Ospedale Bambin Gesù di Roma. “Solo lì ho capito davvero cosa stava capitando: è importante avere un medico che ti stia vicino e che spieghi in modo semplice ma chiaro quali sono le diverse opzioni. Ancora oggi sono molto legato al professor Locatelli, perché è anche grazie alla sua umanità, oltre che alle sue conoscenze scientifiche, se oggi posso parlare con serenità della malattia”. Ernesto viene messo in lista per un trapianto di midollo, ma le complicanze ritardano la terapia. Febbre alta, un’infezione grave a una gamba, che richiede un innesto di pelle sana, una fistola coccigea… sembra che i tormenti legati alla scarsa attività di difesa del suo sistema immunitario non abbiano mai fine. Ma arriva il giorno in cui dalla banca dei donatori di midollo arriva la notizia che c’è un donatore compatibile. Nel dicembre del 2010 Ernesto si sottopone al trapianto. “È una procedura molto dura e faticosa, inutile nasconderlo. Ma la vicinanza dei medici è stata es10 senziale e mi ha dato la forza per andare avanti”. Oggi il ragazzo si sottopone a un controllo l’anno e sta bene. Ha tentato per due anni di seguito di iscriversi a medicina, senza però riuscire a superare i test. Non si è perso d’animo e nel frattempo ha frequentato la facoltà di biotecnologie, scoprendo però che non corrispondeva del tutto alle sue aspirazioni, per cui col nuovo anno accademico si sposterà a economia, la sua seconda passione. “Il laboratorio e la ricerca pura non fanno per me. Vorrei fare il medico, per me sarebbe una missione, il mio grande sogno, che spero di poter realizzare presto, mettendo in campo grande umanità. Dalla mia esperienza, infatti, ho tratto una lezione: la guarigione non dipende solo dalla medicina che prendi, ma anche dalla sensibilità di chi te la porge”. 11 La scienziata... Se oggi le donne colpite in giovane età da un tumore della mammella possono conservare buone prospettive di diventare mamme, senza dover rinunciare alle migliori cure antitumorali disponibili, gran parte del merito va alle ricerche condotte da Lucia Del Mastro, con il finanziamento di AIRC. Cilentana, è da molti anni trapiantata a Genova, dove lavora allo sviluppo di terapie innovative nel reparto di oncologia dell’IRCCS San Martino-Istituto nazionale per la ricerca sul cancro. Ha pubblicato i risultati del suo studio durato parecchi anni sulla prestigiosa rivista JAMA. “Per una donna giovane – spiega – ricevere una diagnosi di tumore è doppiamente angosciante. Da un lato deve far fronte alla malattia, dall’altro vede all’improvviso cambiare il suo futuro, soprattutto la possibilità di creare una famiglia, perché le chemioterapie possono compromettere la fertilità danneggiando il tessuto ovarico” spiega Del Mastro. “Per questo ho cercato una soluzione che permettesse loro di sperare nel futuro”. Soluzioni su misura Qualche soluzione, in alcuni casi, si può trovare nelle tecniche di fecondazione artificiale, invitando le donne a prelevare e congelare gli ovociti o il tessuto ovarico in vista di una successiva gravidanza. Purtroppo, però, non sempre il tumore lascia spazio a questa opzione, sia perché non c’è tempo da perdere e bisogna cominciare subito il trattamento sia perché, nel caso della mammella, talvolta gli ormoni sono controindicati, giacché agiscono come fertilizzanti per le cellule maligne. “Ho pensato: solo i tessuti più attivi assorbono i farmaci, e quindi anche le chemioterapie. Cosa succede se riesco a bloccare il funzionamento del tessuto ovarico e quindi a diminuire la quantità di chemioterapia assorbita dai futuri ovociti?” Lo strumento adatto a ottenere questo effetto si chiama triptorelina, ed è la sostanza – tecnicamente definita un analogo dell’ormone che rilascia le gonadotropine – che permette di “mettere a 12 13 riposo” le ovaie quando una donna giovane deve sottoporsi a una chemioterapia. La ricerca che ne ha dimostrato l’efficacia, finanziata da AIRC e condotta da Del Mastro, ha coinvolto 281 giovani donne colpite da un tumore della mammella e ha confermato che l’uso della triptorelina riduce significativamente il rischio di dover rinunciare alla maternità, anche se non funziona nel 100 per cento dei casi. “Dall’inizio dei miei tentativi con il farmaco sono passati ormai diversi anni e alcune pazienti sono guarite. Tenere in braccio i primi bambini nati dalle donne che hanno partecipato allo studio mi ha dato una grande emozione” racconta la ricercatrice. ...e la paziente Oggi Sara Caldarola ha 38 anni e una bimba di due anni di nome Agnese. È una biologa molecolare e attualmente studia il carcinoma prostatico. Nel 2007, a 31 anni, aveva appena ottenuto un contratto a tempo determinato come ricercatrice presso l’Università Tor Vergata, a Roma, e collaborava con Stefania Gonfloni (un’altra ricercatrice finanziata da AIRC) che studiava gli effetti della chemioterapia sugli ovociti, cioè sulle cellule germinali femminili. Da ricercatrice a malata A volte il destino gioca strani scherzi, dice oggi Sara: quattro giorni dopo la firma del suo contratto con l’università, scopre di avere un tumore al seno. In realtà è un anno che tiene sotto controllo con l’ecografia un nodulo che non promette nulla di buono, ma i responsi del suo medico sono rassicuranti. Una mattina, però, sente due palline sotto l’ascella. “Mi occupo di tumori, sapevo che non era un segnale incoraggiante”. E infatti è un cancro della mammella che ha già dato metastasi ai linfonodi. “Ho pensato alla malattia, certo, ma anche al fatto che finalmente avevo il lavoro che sognavo nella ricerca. Avevo anche un altro pensiero fisso: forse non sarei mai diventata madre. Ho avuto paura di non avere la forza di affrontare tutto questo”. Un patto col medico Sara pone la fatidica domanda a chi l’ha in cura presso l’Ospedale Fatebenefratelli di Roma: potrò essere madre? Il medico non ha una risposta certa. “Ero una delle prime a chiederglielo: lui pensava che la mia vita fosse in pericolo, e la gravidanza non era tra le sue priorità. Per me, invece, non era così. Avevo bisogno di pensare al futuro per 14 15 affrontare il presente”. Grazie alle sue conoscenze scientifiche e alla collaborazione dei suoi medici curanti, Sara si informa e insieme trovano una possibile soluzione: c’è chi, come la ricercatrice di AIRC Lucia Del Mastro, sta tentando di proteggere le ovaie durante la chemioterapia con un inibitore delle gonadotropine, in sostanza un farmaco che induce una menopausa farmacologica. “I miei medici erano d’accordo nel provare e anche a me sembrava una buona idea”. Una strada difficile Il 4 agosto 2007 inizia la chemioterapia, terminata poi a gennaio 2008. A febbraio 2008 viene operata. A maggio dello stesso anno inizia la radioterapia e continua la cura con un anticorpo monoclonale. “È stato un periodo difficilissimo: agli effetti inevitabili delle cure contro il tumore si sommavano i disturbi legati alla menopausa, per quanto indotta”. Sono passati gli anni, la terapia ha avuto, per fortuna, l’effetto previsto e i ginecologi decidono che si può pensare di ripristinare il ciclo e di autorizzare una gravidanza. Il 4 ottobre 2012 nasce Agnese. “Se racconto la mia storia è perché avrei voluto, quando mi è successo, avere più informazioni e soprattutto la testimonianza di un’altra donna che ce l’aveva fatta. Ho avuto dei medici meravigliosi, sempre disponibili a darmi una mano anche quando insistevo per seguire una strada che pochi anni fa era ancora pionieristica. Basti pensare che quando sono rimasta incinta ho dovuto scegliere un ginecologo che è anche oncologo, perché gli altri non se la sentivano di seguire una donna che aveva avuto un cancro al seno, sebbene ormai al di fuori dal periodo di massimo rischio di recidiva”. Un cambio di mentalità Dopo i primi successi terapeutici e soprattutto grazie alla diffusione di storie come quella di Sara, il problema di conservare la fertilità delle donne giovani è ben presente nella mente dei medici che curano pazienti giovani, a dimostrazione del fatto che la strada tra la ricerca e l’applicazione nelle cure quotidiane non è sempre così lunga come si immagina. Sara oggi vorrebbe allargare la famiglia e inoltre farà un altro cambiamento importante nella sua vita: dalla ricerca passerà all’insegnamento. Certo, la ricerca le mancherà, ma da docente potrà spiegare ai ragazzi delle scuole quanto è importante cercare sempre una soluzione razionale ai problemi che la vita pone davanti a ciascuno di noi, senza lasciarsi trascinare dall’emotività. 16 17 La forza del gruppo La ricerca è un’impresa collettiva Alcuni anni fa, un gruppo di ricercatori diretto da Paolo Comoglio all’Istituto di ricerca sul cancro di Candiolo, in provincia di Torino, ha identificato una particolare mutazione genetica in un piccolo sottogruppo di pazienti con cancro al colon. Si tratta del gene KRAS, responsabile dello sviluppo di una intensa resistenza ai farmaci chemioterapici che rende inefficaci, dopo un certo tempo, le terapie classiche. La scoperta si deve al lavoro di Alberto Bardelli dell’Istituto di Candiolo che ha pubblicato i risultati sulla prestigiosa rivista Nature, insieme a Salvatore Siena, direttore della Divisione di oncologia Falck dell’Ospedale Niguarda di Milano e a un gruppo di oncologi del Memorial Sloan Kettering di New York. La ricerca è stata resa possibile dai fondi 5 per mille di AIRC e dallo sviluppo di una nuova tecnologia, la biopsia liquida, che identifica nel sangue del paziente le tracce del DNA delle cellule tumorali e 18 permette di verificare la risposta alle terapie senza ricorrere alla biopsia vera e propria. Ora sarà possibile mettere a punto farmaci mirati contro KRAS e utilizzarli per migliorare anche l’effetto dei chemioterapici classici. Da HER2 al farmaco Sempre a Candiolo, alcuni anni prima, e sempre grazie a un finanziamento di AIRC, altri ricercatori avevano identificato una mutazione del gene HER2, presente in non più del 5 per cento dei malati di cancro al colon. Contro HER2 esistono diversi farmaci biologici che sono usati in altre forme tumorali. Un gruppo di Candiolo, diretto da Livio Trusolino, ha provato tali farmaci in modelli sperimentali e, dati i buoni risultati, il protocollo è approdato ai pazienti. La sperimentazione prende il nome di Heracles ed è coordinata ancora da Salvatore Siena presso l’Ospedale di Niguarda, dove arrivano pazienti di tutta Italia portatori della particolare mutazione, sotto l’abilissima responsabilità organizzativa di Silvia Marsoni, che lavora a Candiolo. I risultati ottenuti nei primi pazienti sono eccezionali: la malattia viene fermata nella grande maggioranza dei casi, anche in malati che ormai non avevano più armi a disposizione. Per molti di loro, colpiti da cancro in fase già avanzata e con metastasi, la nuova cura con farmaci mirati ha significato una cronicizzazione della malattia che permette loro di fare progetti per il futuro e di condurre una vita familiare e lavorativa normale. 19 20 Quando anche i pazienti “fanno” ricerca Se una scoperta scientifica arriva al letto del malato, prima di utilizzarla in un gran numero di persone si procede in genere a provarla in un primo gruppo di volontari. Secondo stime effettuate negli Stati Uniti, circa il 15 per cento dei pazienti oncologici entra a far parte di un protocollo sperimentale, ovvero si offre per provare nuovi ritrovati, sottoporsi a particolari test diagnostici o infine per dare informazioni sui propri stili di vita nell’ambito di studi epidemiologici. Senza la disponibilità dei volontari, la scienza non potrebbe progredire. In alcuni casi, come quando si testano terapie riservate a pazienti che non rispondono più alle altre cure disponibili, la sperimentazione può essere un’opportunità aggiuntiva anche per il singolo. Regole severissime Esiste una procedura precisa, stabilita a livello internazionale, per condurre sperimentazioni farmacologiche nei pazienti. La ragione di tanti scrupoli, che allungano fino a 20 anni il tempo prima di poter commercializzare una nuova molecola, sta tutta nella tutela dei malati: non solo bisogna dimostrare che la nuova medicina è efficace almeno quanto quella vecchia (o, meglio, più efficace) ma anche che non ha effetti collaterali gravi. Non tutti i pazienti rispondono ai criteri necessari per l’inclusione in una sperimentazione e questo è difficile da spiegare a chi magari ha provato di tutto e spera nell’ultimo ritrovato della scienza. Per entrare in una sperimentazione bisogna infatti avere caratteristiche individuali e della malattia ben precise, stabilite a priori. È bene anche ricordare che da una sperimentazione farmacologica si può uscire in qualsiasi momento senza per questo perdere il diritto alla migliore assistenza possibile. Non tutti gli studi sono di tipo farmacologico: alcuni si prefiggono lo scopo di scoprire l’effetto di determinate scelte di vita sulla salute, altri studiano le basi genetiche di una malattia (compresa la predisposizione a svilupparla, che implica l’accettazione dell’eventualità di scoprire che si è a rischio), altri ancora vogliono capire se un certo strumento diagnostico è affida21 bile o meno. Per ogni tipo di studio esistono regole che devono essere rispettate. Per esempio, se si chiede a un volontario di sottoporsi a un esame per la diagnosi precoce, è obbligatorio garantire anche tutti gli accertamenti derivanti dalla diagnosi, sia essa corretta o sbagliata. Prima di entrare nella sperimentazione Cosa bisogna sapere È utile, prima di accettare lo studio proposto, cercare di capire se, per la stessa malattia, ve ne sono altri in corso e con quale obiettivo È importante parlare con un medico e decidere insieme a lui qual è la sperimentazione più adatta al proprio caso Con l’aiuto del medico, fate un bilancio dei rischi e dei benefici ipotetici che derivano dalla partecipazione Siate certi di aver avuto una risposta soddisfacente per ognuna delle vostre domande Fonte: American Cancer Society 22 Alcuni possibili rischi Potrebbero comparire effetti collaterali dovuti ai nuovi trattamenti La cura potrebbe non essere efficace come ci si attendeva Partecipare a uno studio clinico può richiedere tempo, perché si fanno più visite e più controlli I potenziali benefici Potreste accedere a terapie non disponibili al pubblico Sarete seguiti in un contesto altamente specializzato e probabilmente anche attraverso una corsia preferenziale per esami e controlli Contribuirete al progresso delle conoscenze e ad aiutare chi si è ammalato della vostra stessa malattia Rendiamo il cancro sempre più curabile NOTIZIARIO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA PER LA RICERCA SUL CANCRO VIA CORRIDONI 7 - 20122 MILANO T 02 77.97.1 - WWW.AIRC.IT Oggi i tassi di guarigione, soprattutto per alcuni tumori, sono aumentati clamorosamente grazie al progresso della ricerca scientifica. La guaribilità media dei tumori è più che raddoppiata in soli 30 anni. Di questo progresso sono promotrici AIRC e la sua SPECIALE DELLA Fondazione FIRC, che investonoARANCE su giovani talentiSALUTE e progetti innovativi e diffondono una corretta informazione sulle novità terapeutiche e diagnostiche e sugli stili di vita da adottare per una buona prevenzione. I COMITATI REGIONALI, UN PUNTO DI RIFERIMENTO PER TUTTI I NOSTRI SOCI Abruzzo - Molise Viale Regina Elena, 126 65123 Pescara Tel. 085 352 15 com.abruzzo.molise@ airc.it Basilicata Contrada Serritello la Valle 75100 Matera Tel. 0835 303 751 [email protected] Emilia Romagna Via delle Lame, 46/E 40122 Bologna Tel. 051 244 515 [email protected] Friuli -Venezia Giulia Via del Coroneo, 5 34133 Trieste Tel. 040 365 663 [email protected] Calabria Viale degli Alimena, 3 87100 Cosenza Tel. 0984 41 36 97 [email protected] Lazio Viale Regina Elena, 291 00161 Roma Tel. 06 446 336 5 [email protected] Campania Via dei Mille, 40 80121 Napoli Tel. 081 403 231 [email protected] Liguria Via Caffaro, 1 16124 Genova Tel. 010 277 058 8 [email protected] Lombardia Via Corridoni, 7 20122 Milano Sede operativa: Via San Vito, 7 20123 Milano Tel. 02 779 71 [email protected] Marche c/o Edificio Scienze 3 dell’Università politecnica delle Marche Via Brecce Bianche 60131 Ancona Tel. 071 280 413 0 [email protected] Piemonte - Valle d’Aosta c/o Istituto per la ricerca e la cura del cancro Strada Provinciale 142, km 3,95 10060 Candiolo (To) Tel. 011 993 335 3 com.piemonte.va@ airc.it Editore: Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro Sede operativa: Via San Vito 7, 20123 Milano, Tel. 02 7797.1, www.airc.it - Numero Verde 800.350.350 Coordinamento redazionale: Patrizia Brovelli ([email protected]) Testi: Daniela Ovadia (Agenzia Zoe) Puglia Piazza Umberto I, 49 70121 Bari Tel. 080 521 870 2 [email protected] Umbria Via Brufani, 1 06124 Perugia Tel. 075 583 813 2 [email protected] Sardegna Via De Magistris, 8 09123 Cagliari tel. 070 664172 [email protected] Veneto Via Gaetano Trezza, 30 37129 Verona Tel. 045 8250234 [email protected] Sicilia Piazzale Ungheria, 73 90141 Palermo Tel. 091 611 034 0 [email protected] Toscana Via Cavour, 21 50129 Firenze Tel. 055 217 098 [email protected] Progetto grafico e impaginazione: Silvia Ruju Fotografie: Francesco Giannella, Istockphoto, Armando Rotoletti, Andrea Sborchia Stampa: Amilcare Pizzi – Officine Grafiche Novara, Novara, settembre 2014 I SUOI AUGURI ARRIVANO DRITTI AL CUORE. ANCHE DELLA RICERCA. Questo Natale scelga i biglietti e le e-card della nostra Associazione: tante idee originali per inviare ai suoi cari un augurio che va oltre il semplice pensiero, perché aiuta la ricerca a rendere il cancro sempre più curabile. Scopra tutte le proposte: www.airc.it/biglietti • 035 419.9029 SPECIALE AZIENDElore va Per auguri dal clienti a e ch unico an ri: e collaborato inatale airc.it/regalid