Un coro di voci contro il cancro

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I GIORNI DELLA RICERCA
Un coro di voci
contro il cancro
“Ora posso parlare della mia
malattia al passato”
Ernesto Maria Cigliano
I Cioccolatini della
Ricerca
La distribuzione continuerà grazie a
UBI Banca
e con il supporto di ePRICE e SaldiPrivati
Il goloso appuntamento permette di sostenere il lavoro dei
ricercatori con una semplice donazione di dieci euro.
Dalla diagnosi alla cura
passando per Airc
Per capire a cosa serve la ricerca scientifica
e, in particolare, quali sono le ricadute concrete di questa attività sulla vita dei comuni
cittadini bisogna ascoltare chi ha affrontato
e combattuto una malattia come il cancro.
Negli Stati Uniti li chiamano “sopravvissuti”
(survivors, un termine che
in italiano può sembrare
eccessivamente negativo
ma che si riferisce soprattutto al superamento di
una prova impegnativa sia
dal punto di vista psicologico sia da quello medico). In
questa pubblicazione ne
incontrerete due:
sono per-
sone che hanno scelto di raccontare ciò che
hanno vissuto, per testimoniare la loro gratitudine alla medicina e alla ricerca scientifica
che hanno trovato la loro cura. Cura che ha
permesso a entrambi di guardare al futuro
con ottimismo e di continuare a combattere
offrendo un messaggio di serenità e di forza
anche ad altri pazienti.
Dietro tutto questo, in laboratorio ci sono
uomini e donne che portano avanti ricerche
complesse sul danno molecolare che conduce
alla formazione di un tumore, per identificare
nuove terapie sempre più efficaci; e ci sono i
medici, che assistono i pazienti con dedizione
e competenza. Ascolterete anche le loro voci.
Alcuni fanno parte di una nuova categoria
professionale, i medici-ricercatori, che si alternano al bancone del laboratorio e poi al
letto del malato per portare rapidamente le
novità dalla teoria alla pratica clinica.
E dietro tutti c’è AIRC che, attraverso un rigoroso processo di selezione basato esclusivamente sul merito, sostiene economicamente
i progetti e consente di arrivare a risultati
concreti. A questo servono le donazioni e i
contributi che tutti voi devolvete ad AIRC aderendo all’Associazione o scegliendo in piazza,
in occasione dei Giorni della Ricerca, i Cioccolatini della Ricerca. Per questo vi ringraziamo.
3
1000 al giorno,
ciascuno diverso
Mille nuovi casi di cancro al giorno, di cui più di metà (il 55
per cento) nelle donne: sono quelli che vengono diagnosticati in Italia ogni 24 ore. Dietro quei mille casi, ci sono
mille persone che affrontano con paura una diagnosi non
semplice, di quelle che possono cambiarti la vita.
Sembrerebbe un dato catastrofico, ma la realtà riserva molte sorprese. Dietro quel numero si celano infatti situazioni molto diverse: dalle forme identificate in fase precocissima grazie ai programmi di screening a quelle per cui esistono terapie efficaci. Analizzando i dati si scopre che aumentano
i casi nelle età avanzate, il che è comprensibile, poiché l’età è un fattore di rischio: aumentando
l’età media della popolazione, anche i tumori tendono a crescere, semplicemente per un
effetto demografico. Fa eccezione il tumore della mammella, che è in lieve crescita anche nella
fascia di età più giovane, cioè tra i 40 e i 50 anni.
A cinque anni dalla diagnosi, però, la sopravvivenza è pari in media al 57 per cento per gli uomini e
al 63 per cento per le donne, con qualche diversità tra Nord e Sud che bisognerà colmare negli anni
futuri. È un dato confortante, che pone l’Italia al di sopra della media europea (che ha una
sopravvivenza media per uomini e donne insieme intorno al 52 per cento) e degli Stati Uniti, e a
4
livello dei Paesi Scandinavi. In pratica il nostro Sistema sanitario nazionale riesce ancora a garantire
a tutti le migliori cure possibili e lo sviluppo della ricerca scientifica in ambito oncologico (sostenuta
da AIRC attraverso le sue diverse fonti di finanziamento) consente di portare al letto dei malati un
approccio basato sulle ultime conoscenze scientifiche.
La ricerca, infatti, ha una duplice funzione: permette di scoprire le cause delle malattie e di comprendere i meccanismi alla base della loro comparsa, ma anche di mettere a punto e portare
velocemente ai pazienti terapie innovative efficaci.
Sempre secondo i dati AIRTUM pubblicati nel 2013, dal 1990 a oggi il periodo di vita dopo la diagnosi dei malati di cancro si è allungato del 14 per cento per gli uomini e del 9 per cento per le
donne. I numeri sono aridi per definizione e non riescono a trasmettere tutte le settimane, i mesi,
gli anni di vita in più di cui i pazienti hanno potuto godere grazie ai progressi della scienza medica.
E infatti oggi si ritiene che il cancro sia una malattia da cui si può guarire e che, spesso, si
può mantenere sotto controllo anche per un tempo molto lungo. Se diventa una malattia cronica,
con il cancro si può convivere anche grazie a farmaci sempre più mirati, con effetti collaterali più
tollerabili di un tempo.
La sopravvivenza a cinque anni per diversi tipi
di tumore
87
63
91
94
71
45
leucemie colon-retto cervice mammella prostata
uterina
Fonte: AIRTUM, I numeri del cancro in Italia, 2013
tiroide
Valori %
5
Dal gene
alla cura
Storia di un ricercatore,
dall’ipotesi scientifica
al letto del paziente
Enrico Tiacci è un giovane ematologo ricercatore e i risultati del
lavoro condotto dal gruppo di ricerca di cui fa parte, diretto da Brunangelo
Falini dell’Università di Perugia, sono stati recentemente riconosciuti dalla comunità scientifica internazionale, all’interno di un importante simposio internazionale
di ematologia, nel corso della sessione più prestigiosa.
La storia
di BRAF
1988
6
1989
1990
1991
1992
1993
1988
2002
Scoperto il
gene BRAF e il
suo ruolo nella
proliferazione
cellulare
1994
1995
1996
Identificata una
mutazione nel
gene BRAF nella
metà dei
melanomi
1997
1998
1999
2000
200
01
Dopo una lunga permanenza in Germania, Tiacci è stato selezionato proprio da Falini – responsabile di una parte dell’importante programma di ricerca sulle leucemie finanziato con fondi del 5
per mille e diretto da Robin Foà, dell’Università la Sapienza di Roma – per elaborare una strategia
efficace nella lotta alla leucemia a cellule capellute, una malattia contro la quale esistono terapie
classiche efficaci ma che, data la sua natura cronica, con gli anni tende a non rispondere più ai
trattamenti.
Quale strategia avete messo a punto per battere la malattia?
Quando i nostri direttori di ricerca hanno elaborato il progetto da presentare ad AIRC per ottenere
il finanziamento legato ai fondi del 5 mille, la richiesta dell’Associazione era di lavorare su idee che
portassero, nel giro dei cinque anni, a una cura efficace per i pazienti o almeno a una applicazione
pratica.
Nel caso della leucemia a cellule capellute, una forma che colpisce ogni anno qualche centinaio di
pazienti ma che, data la lunga durata della malattia, è relativamente diffusa nella società, vi sono
terapie efficaci basate su chemioterapici classici, ma dopo qualche anno possono smettere di funzionare. Per fare un salto in avanti mancava l’individuazione della vera causa della trasformazione
delle cellule a livello molecolare. Dopo un anno di lavoro il gruppo diretto da Falini, di cui faccio
parte, l’ha finalmente trovata: è un gene, BRAF, che finora era stato chiamato in causa solo per il
melanoma e altri tumori solidi.
Trovare un gene coinvolto significa sempre trovare la causa della malattia?
Purtroppo non sempre è così: la stragrande maggioranza dei tumori è provocata da un gran numero di mutazioni genetiche e la cosa difficile è trovare quelle che giocano un ruolo chiave. Nel caso
della leucemia a cellule capellute, invece, sembra proprio che BRAF sia la causa.
2004
Ricreata in laboratorio la proteina
prodotta dal gene
BRAF con
la cristallografia
a raggi X
2002
2003
2003
2011
Identificata la
mutazione di BRAF
nei pazienti con
leucemia a cellule
capellute
2004
2005
2006
2012
Approvato il
Vemurafenib,
un farmaco contro
la forma mutata
di BRAF, per
il trattamento
del melanoma
2007
2008
2009
2010
2013
Viene sperimentato con buoni
risultati il Vemurafenib anche sui
pazienti con
leucemia a cellule
capellute resistenti
alla chemioterapia
classica
2011
2012
2013
7
Ora potrete curare la malattia?
Lo stiamo già facendo. BRAF è un gene coinvolto anche nella genesi di altri tumori ed esiste un
farmaco specifico in grado di interferire col suo funzionamento. L’abbiamo provato in 26 pazienti
ormai resistenti alle cure standard e abbiamo ottenuto risultati importanti: in tutti i casi meno uno
abbiamo avuto una risposta, e nel 30 per cento dei casi addirittura una scomparsa della malattia. Si
tratta però di uno studio preliminare, per cui non sappiamo ancora quanto a lungo durerà l’effetto,
ma è comunque di un risultato importantissimo per questi pazienti.
il donatore
È il primo essenziale anello di un
lungo processo. Può contribuire
a sostenere la ricerca sul cancro
con una donazione, partecipando alle iniziative di piazza
oppure firmando per donare
ad AIRC il suo 5 per mille.
Dalla donaz
il sistema d
il volontario
È l’anima di AIRC, sostiene
attivamente la ricerca,
contribuisce a organizzare
le manifestazioni di piazza,
Il denaro messo
si fa promotore di
a
disposizione
dalla
iniziative locali o aiuta
collettività viene distribuii Comitati regionali
to ai migliori progetti, che i
nel loro lavoro
ricercatori presentano aderenquotidiano di
do ai bandi emessi da AIRC. Ce
raccolta.
ne sono di vari tipi: per i ricercatori
più giovani (Start-up Grant, My First
AIRC Grant), per quelli più esperti
(Investigator Grant) o per gruppi di ricerca
che lavorano insieme a un comune obiettivo
(Programmi speciali).
i bandi
d
8
i revisori
Sono oltre 600 gli esperti
internazionali, scelti fra gli
scienziati al top della ricerca
sul cancro, che sono coinvolti
insieme ai membri del
Comitato tecnico scientifico di
AIRC nella selezione dei
progetti. Ogni progetto è
esaminato da almeno tre
revisori con la dovuta competenza e senza conflitto di
interessi. Sulla base delle
Nella ricerca non si è mai soli, si lavora con un gruppo. Quanto conta per un giovane
avere una figura di riferimento importante?
Conta moltissimo. I cosiddetti “senior”, cioè i direttori dei diversi gruppi di lavoro, sono il vero motore
intellettuale dell’impresa, guidano i più giovani e, soprattutto, danno loro la possibilità di crescere
dal punto di vista scientifico.
Lei è un medico e anche un ricercatore. Come concilia queste due funzioni?
Ho iniziato lavorando soprattutto in laboratorio, specie quando ero all’estero. Ma il bando AIRC 5
per mille prevedeva esplicitamente la formazione di medici ricercatori, che dividessero il loro tempo tra il bancone e il reparto, e così è stato. È la forza di questa idea: fare in modo che anche la ricerca
di base possa dare risultati concreti per i pazienti nel più breve tempo possibile.
zione al paziente,
di valutazione di AIRC
traguardo
il ricercatore
errcat
valutazioni,
si stila una graduatoria in base alla
quale si assegnano
i finanziamenti
finché c’è
disponbilità di
fondi. Ma i soldi
non bastano mai e
tanti ottimi progetti
restano senza
finanziamento.
Viene informato
dell’esito della valutazione: se è positivo può
cominciare presto a
lavorare, se è negativo
può seguire i suggerimenti dei revisori e
rivedere il proprio
progetto in vista di una
nuova presentazione
il paziente
I risultati della ricerca
vengono applicati il
più rapidamente
possibile ai malati. Il
rigoroso metodo di
valutazione è essenziale per ottimizzare i
risultati e investire
nel migliore dei modi
il denaro ricevuto
dalle donazioni.
9
La potenza
dell’umanità
A 16 anni, scoprire di avere una rara forma di tumore
del sangue vuol dire diventare grande all’improvviso.
È quanto è accaduto a Ernesto Maria Cigliano, un ragazzo che oggi ha 22 anni e può raccontare la storia
della sua malattia usando il passato.
Il giorno della diagnosi è impresso nella mente di Ernesto con tutti i particolari dei momenti salienti dell’esistenza: una visita in pronto soccorso per una epistassi che non si ferma, quindi un banale
esame del sangue che svela una citopenia refrattaria, ovvero un blocco del midollo osseo e della
produzione di piastrine, essenziali per la coagulazione. Infine, la diagnosi di un tumore del sangue.
Il ragazzo non è del tutto consapevole di ciò che lo attende. Lo capisce subito, invece
la mamma Carla. “Per lei è stato davvero difficile, anche se è stata magnifica. Per questo oggi,
quando vado a parlare come volontario negli ospedali pediatrici, mi rivolgo prima di tutto a loro, le
mamme, che mi ascoltano volentieri: la mia presenza è la prova che anche i loro figli possono farcela”.
Il viaggio al Nord
La famiglia di Ernesto, che sta a Napoli, viene indirizzata al reparto di ematologia diretto da Franco
Locatelli (uno degli scienziati finanziati da AIRC), che allora lavorava all’Ospedale San Matteo di Pavia
e oggi continua la sua attività all’Ospedale Bambin Gesù di Roma. “Solo lì ho capito davvero cosa
stava capitando: è importante avere un medico che ti stia vicino e che spieghi in modo
semplice ma chiaro quali sono le diverse opzioni. Ancora oggi sono molto legato al professor
Locatelli, perché è anche grazie alla sua umanità, oltre che alle sue conoscenze scientifiche, se oggi
posso parlare con serenità della malattia”.
Ernesto viene messo in lista per un trapianto di midollo, ma le complicanze ritardano la terapia.
Febbre alta, un’infezione grave a una gamba, che richiede un innesto di pelle sana, una fistola coccigea… sembra che i tormenti legati alla scarsa attività di difesa del suo sistema immunitario non
abbiano mai fine.
Ma arriva il giorno in cui dalla banca dei donatori di midollo arriva la notizia che c’è un donatore
compatibile. Nel dicembre del 2010 Ernesto si sottopone al trapianto.
“È una procedura molto dura e faticosa, inutile nasconderlo. Ma la vicinanza dei medici è stata es10
senziale e mi ha dato la
forza per andare avanti”.
Oggi il ragazzo si sottopone a un controllo l’anno
e sta bene. Ha tentato
per due anni di seguito di
iscriversi a medicina, senza però riuscire a superare
i test. Non si è perso d’animo e nel frattempo ha
frequentato la facoltà di
biotecnologie, scoprendo
però che non corrispondeva del tutto alle sue
aspirazioni, per cui col
nuovo anno accademico
si sposterà a economia,
la sua seconda passione.
“Il laboratorio e la ricerca
pura non fanno per me.
Vorrei fare il medico, per
me sarebbe una missione,
il mio grande sogno, che
spero di poter realizzare
presto, mettendo in campo grande umanità. Dalla
mia esperienza, infatti, ho
tratto una lezione: la guarigione non dipende solo
dalla medicina che prendi,
ma anche dalla sensibilità
di chi te la porge”.
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La scienziata...
Se oggi le donne colpite in giovane età da un tumore della
mammella possono conservare buone prospettive di diventare mamme, senza dover rinunciare alle migliori cure
antitumorali disponibili, gran parte del merito va alle ricerche condotte da Lucia Del Mastro, con il finanziamento
di AIRC.
Cilentana, è da molti anni trapiantata a Genova, dove lavora allo sviluppo di terapie innovative nel
reparto di oncologia dell’IRCCS San Martino-Istituto nazionale per la ricerca sul cancro. Ha pubblicato i risultati del suo studio durato parecchi anni sulla prestigiosa rivista JAMA.
“Per una donna giovane – spiega – ricevere una diagnosi di tumore è doppiamente angosciante.
Da un lato deve far fronte alla malattia, dall’altro vede all’improvviso cambiare il suo futuro,
soprattutto la possibilità di creare una famiglia, perché le chemioterapie possono compromettere la fertilità danneggiando il tessuto ovarico” spiega Del Mastro. “Per questo ho
cercato una soluzione che permettesse loro di sperare nel futuro”.
Soluzioni su misura
Qualche soluzione, in alcuni casi, si può trovare nelle tecniche di fecondazione artificiale, invitando le donne a prelevare
e congelare gli ovociti o il tessuto ovarico in vista di una successiva gravidanza.
Purtroppo, però, non sempre il tumore lascia spazio a questa opzione, sia perché non c’è
tempo da perdere e bisogna cominciare subito il trattamento sia perché, nel caso della mammella,
talvolta gli ormoni sono controindicati, giacché agiscono come fertilizzanti per le cellule maligne.
“Ho pensato: solo i tessuti più attivi assorbono i farmaci, e quindi anche le chemioterapie. Cosa
succede se riesco a bloccare il funzionamento del tessuto ovarico e quindi a diminuire la quantità di
chemioterapia assorbita dai futuri ovociti?”
Lo strumento adatto a ottenere questo effetto si chiama triptorelina, ed è la sostanza – tecnicamente definita un analogo dell’ormone che rilascia le gonadotropine – che permette di “mettere a
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riposo” le ovaie quando una donna giovane deve sottoporsi a una chemioterapia.
La ricerca che ne ha dimostrato l’efficacia, finanziata da AIRC e condotta da Del Mastro, ha coinvolto
281 giovani donne colpite da un tumore della mammella e ha confermato che l’uso della triptorelina riduce significativamente il rischio di dover rinunciare alla maternità, anche se
non funziona nel 100 per cento dei casi.
“Dall’inizio dei miei tentativi con il farmaco sono passati ormai diversi anni e alcune pazienti sono
guarite. Tenere in braccio i primi bambini nati dalle donne che hanno partecipato allo studio mi ha
dato una grande emozione” racconta la ricercatrice.
...e la paziente
Oggi Sara Caldarola ha 38 anni e una bimba di due anni di nome Agnese. È una biologa molecolare
e attualmente studia il carcinoma prostatico.
Nel 2007, a 31 anni, aveva appena ottenuto un contratto a tempo determinato come ricercatrice
presso l’Università Tor Vergata, a Roma, e collaborava con Stefania Gonfloni (un’altra ricercatrice
finanziata da AIRC) che studiava gli effetti della chemioterapia sugli ovociti, cioè sulle cellule germinali femminili.
Da ricercatrice a malata
A volte il destino gioca strani scherzi, dice oggi Sara: quattro giorni dopo la firma del suo contratto
con l’università, scopre di avere un tumore al seno. In realtà è un anno che tiene sotto controllo
con l’ecografia un nodulo che non promette nulla di buono, ma i responsi del suo medico sono
rassicuranti. Una mattina, però, sente due palline sotto l’ascella. “Mi occupo di tumori, sapevo che
non era un segnale incoraggiante”. E infatti è un cancro della mammella che ha già dato metastasi
ai linfonodi.
“Ho pensato alla malattia, certo, ma anche al fatto che finalmente avevo il lavoro che sognavo nella
ricerca. Avevo anche un altro pensiero fisso: forse non sarei mai diventata madre. Ho avuto paura di
non avere la forza di affrontare tutto questo”.
Un patto col medico
Sara pone la fatidica domanda a chi l’ha in cura presso l’Ospedale Fatebenefratelli di
Roma: potrò essere madre? Il medico non ha una risposta certa.
“Ero una delle prime a chiederglielo: lui pensava che la mia vita fosse in pericolo, e la gravidanza
non era tra le sue priorità. Per me, invece, non era così. Avevo bisogno di pensare al futuro per
14
15
affrontare il presente”.
Grazie alle sue conoscenze scientifiche e alla collaborazione dei suoi medici curanti, Sara si informa
e insieme trovano una possibile soluzione: c’è chi, come la ricercatrice di AIRC Lucia Del Mastro, sta
tentando di proteggere le ovaie durante la chemioterapia con un inibitore delle gonadotropine, in
sostanza un farmaco che induce una menopausa farmacologica. “I miei medici erano d’accordo nel
provare e anche a me sembrava una buona idea”.
Una strada difficile
Il 4 agosto 2007 inizia la chemioterapia, terminata poi a gennaio 2008. A febbraio 2008 viene operata. A maggio dello stesso anno inizia la radioterapia e continua la cura con un anticorpo monoclonale. “È stato un periodo difficilissimo: agli effetti inevitabili delle cure contro il tumore si sommavano i disturbi legati alla menopausa, per quanto indotta”.
Sono passati gli anni, la terapia ha avuto, per fortuna, l’effetto previsto e i ginecologi
decidono che si può pensare di ripristinare il ciclo e di autorizzare una gravidanza. Il 4
ottobre 2012 nasce Agnese.
“Se racconto la mia storia è perché avrei voluto, quando mi è successo, avere più informazioni e soprattutto la testimonianza di un’altra donna che ce l’aveva fatta. Ho avuto dei medici meravigliosi,
sempre disponibili a darmi una mano anche quando insistevo per seguire una strada che pochi
anni fa era ancora pionieristica. Basti pensare che quando sono rimasta incinta ho dovuto scegliere
un ginecologo che è anche oncologo, perché gli altri non se la sentivano di seguire una donna che
aveva avuto un cancro al seno, sebbene ormai al di fuori dal periodo di massimo rischio di recidiva”.
Un cambio di mentalità
Dopo i primi successi terapeutici e soprattutto grazie alla diffusione di storie come quella di Sara, il
problema di conservare la fertilità delle donne giovani è ben presente nella mente dei medici che
curano pazienti giovani, a dimostrazione del fatto che la strada tra la ricerca e l’applicazione nelle
cure quotidiane non è sempre così lunga come si immagina.
Sara oggi vorrebbe allargare la famiglia e inoltre farà un altro cambiamento importante nella sua
vita: dalla ricerca passerà all’insegnamento. Certo, la ricerca le mancherà, ma da docente potrà
spiegare ai ragazzi delle scuole quanto è importante cercare sempre una soluzione razionale ai
problemi che la vita pone davanti a ciascuno di noi, senza lasciarsi trascinare dall’emotività.
16
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La forza
del gruppo
La ricerca è un’impresa collettiva
Alcuni anni fa, un gruppo di ricercatori diretto da Paolo
Comoglio all’Istituto di ricerca sul cancro di Candiolo, in
provincia di Torino, ha identificato una particolare mutazione genetica in un piccolo sottogruppo di pazienti con
cancro al colon.
Si tratta del gene KRAS, responsabile dello sviluppo di una intensa resistenza ai farmaci chemioterapici che rende inefficaci, dopo un certo tempo, le terapie classiche. La scoperta si deve
al lavoro di Alberto Bardelli dell’Istituto di Candiolo che ha pubblicato i risultati sulla prestigiosa
rivista Nature, insieme a Salvatore Siena, direttore della Divisione di oncologia Falck dell’Ospedale
Niguarda di Milano e a un gruppo di oncologi del Memorial Sloan Kettering di New York. La ricerca
è stata resa possibile dai fondi 5 per mille di AIRC e dallo sviluppo di una nuova tecnologia, la
biopsia liquida, che identifica nel sangue del paziente le tracce del DNA delle cellule tumorali e
18
permette di verificare la risposta alle terapie senza ricorrere alla biopsia vera e propria. Ora sarà
possibile mettere a punto farmaci mirati contro KRAS e utilizzarli per migliorare anche l’effetto
dei chemioterapici classici.
Da HER2 al farmaco
Sempre a Candiolo, alcuni anni prima, e sempre grazie a un finanziamento di AIRC, altri ricercatori
avevano identificato una mutazione del gene HER2, presente in non più del 5 per cento dei malati
di cancro al colon.
Contro HER2 esistono diversi farmaci biologici che sono usati in altre forme tumorali.
Un gruppo di Candiolo, diretto da Livio Trusolino, ha provato tali farmaci in modelli sperimentali
e, dati i buoni risultati, il protocollo è approdato ai pazienti.
La sperimentazione prende il nome di Heracles ed è coordinata ancora da Salvatore Siena presso
l’Ospedale di Niguarda, dove arrivano pazienti di tutta Italia portatori della particolare mutazione, sotto l’abilissima responsabilità organizzativa di Silvia Marsoni, che lavora a Candiolo.
I risultati ottenuti nei primi pazienti sono eccezionali: la malattia viene fermata nella
grande maggioranza dei casi, anche in malati che ormai non avevano più armi a disposizione.
Per molti di loro, colpiti da cancro in fase già avanzata e con metastasi, la nuova cura con farmaci
mirati ha significato una cronicizzazione della malattia che permette loro di fare progetti per il
futuro e di condurre una vita familiare e lavorativa normale.
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20
Quando anche i pazienti
“fanno” ricerca
Se una scoperta scientifica arriva al letto del malato, prima di utilizzarla in un gran numero di persone si procede
in genere a provarla in un primo gruppo di volontari.
Secondo stime effettuate negli Stati Uniti, circa il 15 per cento dei pazienti oncologici entra a far
parte di un protocollo sperimentale, ovvero si offre per provare nuovi ritrovati, sottoporsi a particolari test diagnostici o infine per dare informazioni sui propri stili di vita nell’ambito di studi epidemiologici.
Senza la disponibilità dei volontari, la scienza non potrebbe progredire. In alcuni casi,
come quando si testano terapie riservate a pazienti che non rispondono più alle altre
cure disponibili, la sperimentazione può essere un’opportunità aggiuntiva anche per
il singolo.
Regole severissime
Esiste una procedura precisa, stabilita a livello internazionale, per condurre sperimentazioni farmacologiche nei pazienti.
La ragione di tanti scrupoli, che allungano fino a 20 anni il tempo prima di poter commercializzare
una nuova molecola, sta tutta nella tutela dei malati: non solo bisogna dimostrare che la nuova
medicina è efficace almeno quanto quella vecchia (o, meglio, più efficace) ma anche che non ha
effetti collaterali gravi. Non tutti i pazienti rispondono ai criteri necessari per l’inclusione in una
sperimentazione e questo è difficile da spiegare a chi magari ha provato di tutto e spera nell’ultimo
ritrovato della scienza.
Per entrare in una sperimentazione bisogna infatti avere caratteristiche individuali e
della malattia ben precise, stabilite a priori. È bene anche ricordare che da una sperimentazione farmacologica si può uscire in qualsiasi momento senza per questo perdere il diritto alla migliore
assistenza possibile. Non tutti gli studi sono di tipo farmacologico: alcuni si prefiggono lo scopo di
scoprire l’effetto di determinate scelte di vita sulla salute, altri studiano le basi genetiche di una
malattia (compresa la predisposizione a svilupparla, che implica l’accettazione dell’eventualità di
scoprire che si è a rischio), altri ancora vogliono capire se un certo strumento diagnostico è affida21
bile o meno. Per ogni tipo di studio esistono regole che devono essere rispettate. Per esempio, se
si chiede a un volontario di sottoporsi a un esame per la diagnosi precoce, è obbligatorio garantire
anche tutti gli accertamenti derivanti dalla diagnosi, sia essa corretta o sbagliata.
Prima di entrare nella sperimentazione
Cosa bisogna sapere
È utile, prima di accettare lo studio
proposto, cercare di capire se, per
la stessa malattia, ve ne sono altri
in corso e con quale obiettivo
È importante parlare con un
medico e decidere insieme a lui
qual è la sperimentazione più
adatta al proprio caso
Con l’aiuto del medico, fate un
bilancio dei rischi e dei benefici
ipotetici che derivano dalla
partecipazione
Siate certi di aver avuto una
risposta soddisfacente per ognuna
delle vostre domande
Fonte: American Cancer Society
22
Alcuni possibili rischi
Potrebbero comparire effetti
collaterali dovuti ai nuovi
trattamenti
La cura potrebbe non essere
efficace come ci si attendeva
Partecipare a uno studio clinico
può richiedere tempo, perché si
fanno più visite e più controlli
I potenziali benefici
Potreste accedere a terapie
non disponibili al pubblico
Sarete seguiti in un contesto
altamente specializzato e probabilmente anche attraverso una corsia
preferenziale per esami e controlli
Contribuirete al progresso delle
conoscenze e ad aiutare chi si è
ammalato della vostra
stessa malattia
Rendiamo il cancro sempre più curabile
NOTIZIARIO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA PER LA RICERCA SUL CANCRO
VIA CORRIDONI 7 - 20122 MILANO T 02 77.97.1 - WWW.AIRC.IT
Oggi i tassi di guarigione, soprattutto per alcuni tumori, sono aumentati clamorosamente
grazie al progresso della ricerca scientifica. La guaribilità media dei tumori è più che
raddoppiata in soli 30 anni. Di questo progresso sono promotrici AIRC e la sua
SPECIALE
DELLA
Fondazione FIRC, che
investonoARANCE
su giovani
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e progetti innovativi e diffondono una
corretta informazione sulle novità terapeutiche e diagnostiche e sugli stili di vita da adottare
per una buona prevenzione.
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60131 Ancona
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Piemonte - Valle
d’Aosta
c/o Istituto per la
ricerca e la cura del
cancro
Strada Provinciale
142, km 3,95
10060 Candiolo (To)
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Editore: Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro
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Coordinamento redazionale: Patrizia Brovelli ([email protected])
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Puglia
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Progetto grafico e impaginazione: Silvia Ruju
Fotografie: Francesco Giannella, Istockphoto,
Armando Rotoletti, Andrea Sborchia
Stampa: Amilcare Pizzi – Officine Grafiche Novara,
Novara, settembre 2014
I SUOI AUGURI ARRIVANO
DRITTI AL CUORE.
ANCHE DELLA RICERCA.
Questo Natale scelga i biglietti e le e-card della nostra Associazione:
tante idee originali per inviare ai suoi cari un augurio che va oltre il semplice
pensiero, perché aiuta la ricerca a rendere il cancro sempre più curabile.
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www.airc.it/biglietti • 035 419.9029
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