Biotecnologie in agricoltura Realtà, sicurezza e futuro

Biotecnologie
in agricoltura
Realtà, sicurezza
e futuro
a cura di Massimo Delledonne e Nicola Borzi
Biotecnologie
in agricoltura
Realtà, sicurezza
e futuro
a cura di Massimo Delledonne e Nicola Borzi
© Assobiotec 2001
Associazione Nazionale
per lo sviluppo
delle biotecnologie
Via Giovanni Da Procida 11
20149 Milano
È vietata la riproduzione
anche parziale con qualsiasi
mezzo effettuata, salvo
esplicita autorizzazione.
Redazione
Assobiotec
Grafica
CReE
Elaborazione immagini
Gianluca Poletti
Stampato nel novembre 2001
da Signum S.r.l. Bollate, Milano
Sommario
Introduzione
6
Le domande più frequenti
8
1
Le biotecnologie vegetali
16
2
Le piante geneticamente modificate,
l’alimentazione e la salute
20
3
Gli OGM nell’ambiente
23
4
Le biotecnologie in sintesi
28
5
Per saperne di più
La regolamentazione delle biotecnologie
Per saperne di più
Biotecnologie e brevetti
31
6
35
7
Glossario
38
Note biografiche
39
Introduzione
Il dibattito sulle applicazioni biotecnologiche in agricoltura è sempre aperto. Per
molti, in tutto il mondo, le biotecnologie rappresentano una straordinaria opportunità di sviluppo e, con le loro grandi potenzialità, anche di progresso sociale; altri le
considerano una scommessa gravida di incognite.
Tra queste posizioni, opposte, sta la categoria di gran lunga più numerosa.
È quella composta dalla grande maggioranza dei cittadini, consumatori, persone comuni, che assistono con difficoltà e disagio a polemiche, non sempre comprensibili,
su temi che pure li riguardano direttamente, come la sicurezza alimentare, l’ambiente, la qualità della vita.
Queste difficoltà e questo disagio sono del tutto giustificati. Molto spesso, il modo con
il quale si è affrontato il tema delle biotecnologie, ed in particolare quello degli organismi geneticamente modificati, non ha contribuito affatto ad aumentare il livello di
informazione e di consapevolezza nel grande pubblico: al contrario, ha alimentato
incertezza e confusione.
In altre parole, si può affermare che, all’impegno profuso nel confronto di opinioni
sulle agrobiotecnologie, non è corrisposto un analogo impegno nello spiegare che cosa esse realmente siano.
È una lacuna che Assobiotec, con questa sua pubblicazione, vuole contribuire a
colmare.
Nelle pagine seguenti vengono illustrate le basi scientifiche, le caratteristiche, le finalità, i campi di applicazione delle biotecnologie agricole: se ne descrivono i vantaggi,
quelli già documentati e quelli potenziali, e, allo stesso tempo, si affrontano senza reticenze i dubbi e le obiezioni più diffuse.
Tutti questi argomenti, pur trattati con rigore scientifico, sono proposti con un linguaggio il più possibile semplice e comprensibile, anche a chi non è esperto della materia.
È però necessaria, a questo proposito, un’avvertenza.
Il tema delle biotecnologie - come del resto ogni altro tema scientifico e tecnologico è di per sé ampio e complesso e non ammette facili semplificazioni: chi se ne lascia
tentare, qualunque sia il suo scopo, non offre un buon servizio alla comunicazione né
alla collettività.
È invece doveroso informare con completezza, fornendo all’opinione pubblica tutti
gli elementi utili a una valutazione obiettiva. Offrendo anche, se necessario, alcuni
strumenti interpretativi ‘di base’, come fa opportunamente questa pubblicazione:
che cos’è un gene, per esempio, oppure in che cosa consista effettivamente la ‘diversità’ genetica tra le specie.
La scarsa familiarità con questo tipo di informazioni ha probabilmente contribuito a
condizionare non poco, nel passato recente, la comprensione e la stessa accettazione
delle biotecnologie. Con conseguenze negative, in particolare in Italia, sulle prospettive di sviluppo di un settore scientifico e tecnologico estremamente promettente e in
grado di offrire consistenti benefici alla società, all’alimentazione e alla salute, all’economia, all’ambiente.
Le agrobiotecnologie rappresentano una risorsa di eccezionale importanza per migliorare la qualità e il valore nutrizionale degli alimenti; sono l’opzione più seria per
garantire all’agricoltura un futuro di sostenibilità ambientale; possono svolgere un
ruolo di grande rilievo nella tutela della biodiversità, salvaguardando le specie e le
varietà a rischio di estinzione; permettono di incrementare la produttività delle colture, e quindi possono assicurare più cibo a costi contenuti. Offrono, inoltre, ampie
garanzie di sicurezza, sottoposte come sono alla rigida disciplina della ricerca scientifica, oltre che a norme e regolamentazioni che non hanno eguali in campo agricolo
e alimentare.
Questa è la realtà delle biotech agricole e ad essa fa riferimento questa pubblicazione, in modo documentato e obiettivo. L’augurio è che sia accolta con attenzione, e
che possa rivelarsi un utile strumento di informazione e divulgazione.
Sergio Dompé, Presidente di Assobiotec
Associazione Nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie
7
1
Le domande
più frequenti
Quali sono i benefici
per i consumatori dell’uso
di vegetali geneticamente
modificati?
Le piante geneticamente modificate sono innanzitutto un’innovazione tecnologica, quindi il beneficio di questi nuovi
prodotti per il consumatore talvolta non
viene immediatamente percepito. La
maggior parte delle modifiche genetiche
apportate ad alcune piante permette un
aumento della produttività, grazie a una
migliore adattabilità a condizioni ambientali e climatiche sfavorevoli, alla resistenza a malattie che altrimenti ridurrebbero la resa delle colture, oppure a
una maggiore capacità di combattere le
piante infestanti. Questi miglioramenti
produttivi vanno a vantaggio degli agricoltori, ma hanno effetti positivi anche
sul consumatore, al quale viene offerto
un prodotto più sano (perché senza malattie e con minori residui di sostanze
chimiche) e verosimilmente meno costoso.
Ma le modifiche genetiche possono of-
frire ai consumatori anche benefici diretti, per esempio quando migliorano il
profilo nutrizionale e anche le caratteristiche nutritive del raccolto, come accade a specie in cui si è modificato il contenuto di vitamine, proteine e grassi.
8
Da dove provengono i geni
inseriti negli OGM?
Le piante che si
autoproteggono dai
parassiti possono creare
nuovi insetti resistenti
agli insetticidi?
Dal momento che il codice genetico è un
linguaggio universale, in ingegneria genetica si possono in teoria usare tutti i
geni presenti in natura.
In realtà, non tutti gli OGM contengono
geni provenienti da un altro organismo:
anzi, sempre più spesso le modifiche genetiche si ottengono usando geni che
provengono dalla specie a cui appartengono. Il gene viene estratto, modificato in
modo da migliorarne o ridurne la funzione, e poi reinserito. Questa specie di ‘terapia genica’ genera quindi un OGM che
non contiene nessun gene ‘straniero’.
A proposito di questi ultimi, è necessario qualche chiarimento. Quando si introduce in una pianta un pezzo di DNA
(cioè un gene) preso, ad esempio, da un
pesce, non ha senso dire che si inserisce
un pezzo di animale in un vegetale: una
volta portato fuori dall’organismo di
origine, questo frammento di DNA è solo una sostanza in grado di esprimere o
meno una proteina, proteina che può
essere presente in molti altri organismi
oltre il pesce.
Il problema della resistenza indotta,
cioè della possibilità che microrganismi
e animali nocivi divengano capaci di resistere ai prodotti impiegati per distruggerli, è vecchio quasi quanto l’agricoltura e non riguarda quindi solo le varietà
geneticamente modificate. Fa parte dell’evoluzione naturale che queste resistenze si sviluppino e, tuttavia, la comparsa di nuovi insetti o di microrganismi più resistenti non significa che questi siano più pericolosi dei precedenti,
se non per la necessità di utilizzare nuovi metodi di difesa delle colture.
Lo sviluppo di forme di resistenza è legato alla ‘pressione selettiva’ alla quale
è sottoposto l’agente patogeno, cioè il livello di competizione ambientale cui
viene sottoposto nel tentativo di salvare
le colture. Si teme, per esempio, che la
diffusione del mais Bt possa indurre fenomeni di resistenza nella piralide.
Questo insetto però non si nutre esclusivamente di mais, ma anche di specie
molto diverse come il pomodoro, il melo, il peperone, quindi la ‘pressione selettiva’ non è molto elevata. Per limitarla ulteriormente si adotta una particolare strategia: si coltivano varietà tradizionali di mais, che vengono normalmente attaccate dal parassita, accanto a
quelle geneticamente modificate resistenti, per creare delle ‘zone di rifugio’
in cui si possano sviluppare delle popolazioni di insetti che trasmettano alla loro discendenza l’incapacità di resistere
alla tossina Bt. La resistenza alla tossina è un carattere geneticamente recessivo. Pertanto, poiché gli insetti resistenti provenienti dai campi di mais geneticamente modificato (mais Bt) si ac9
coppiano con gli individui di questa popolazione che invece non è resistente, i
discendenti saranno ancora sensibili alla tossina.
Le piante resistenti agli
erbicidi possono trasferire
questa caratteristica
ad altri vegetali?
Le piante con proprietà
‘insetticide’ possono colpire
anche gli insetti utili?
Perché questo trasferimento di geni avvenga è necessario che, nel luogo in cui è
presente la coltura resistente agli erbicidi, siano presenti piante appartenenti alla stessa specie o a specie molto simili. In
questo caso, il polline della pianta transgenica potrebbe trasmettere a queste
ultime il gene che le rende tolleranti all’erbicida. Ma se anche esistono specie
selvatiche geneticamente vicine alla coltura modificata geneticamente, gli eventuali ibridi che si formerebbero con l’impollinazione incrociata sarebbero poco
numerosi e per lo più sterili. La riproduzione di specie simili, come nel caso dell’incrocio tra un cavallo e un asino, dà
spesso luogo a organismi incapaci di riprodursi ulteriormente, come avviene
appunto nel caso del mulo. Inoltre, l’acquisizione della tolleranza da parte, per
esempio, di piante infestanti, non darebbe loro alcun vantaggio, tranne che in
presenza dell’erbicida: in questo caso,
però, potrebbe causare danni economici
alla coltivazione, ma non costituirebbe
un pericolo per l’ambiente.
È stato avanzato il sospetto che le piante
di mais Bt possano essere tossiche non
solo per gli insetti parassiti, ma anche
per quelli benefici (i predatori degli insetti patogeni), per gli insetti impollinatori
(come le api) o per le farfalle. Sono in corso numerosi studi, in laboratorio e in
campo, per valutare la reale consistenza
di questi rischi e, dai risultati ottenuti
fino ad ora (anche in sperimentazioni su
larga scala), non ci sono ragioni per supporre che gli eventuali effetti negativi siano maggiori rispetto a quelli provocati
dall’insetticida Bt, comunemente irrorato anche nell’agricoltura biologica.
Quello che è certo è che la produzione
della tossina da parte della pianta di
mais geneticamente modificata ne permette un’azione localizzata, in quantità
ridotte rispetto a quelle irrorate con i
trattamenti esterni: in questo modo, l’effetto tossico è limitato a quegli insetti
dannosi che si nutrono dei tessuti della
pianta, e non si estende agli insetti innocui, che sarebbero invece inevitabilmente colpiti dallo spargimento della tossina
mediante irrorazione.
ne, come l’America. Se parecchie di queste specie sono innocue o addirittura
danno benefici, altre sono definite ‘invasive’, per la capacità di invadere l’ambiente e di degradarlo.
Questo pericolo è inesistente per le specie molto addomesticate, come il mais o
la soia, che non sono in grado di sopravvivere senza l’intervento umano, mentre
se ne deve tenere conto nel caso di specie
più ‘selvatiche’ come può essere la colza.
In ogni caso, non c’è nessun motivo per
ritenere le piante geneticamente modificate più invasive delle specie naturali
coltivate in habitat non nativi.
La coltivazione di OGM
richiede maggiori quantità
di erbicidi?
No, le può invece ridurre. Per dimostrarlo si può ricorre a un esempio.
Attualmente gli agricoltori inglesi utilizzano fino a otto diversi erbicidi per combattere le piante infestanti nella coltivazione della barbabietola da zucchero,
una delle più difficili e sensibili a questo
tipo di problema, con l’uso dei prodotti
chimici prima e dopo la germinazione e
con modalità di impiego differenti.
L’utilizzo delle piante tolleranti al glifosate o al glufosinate riduce l’impiego di erbicidi, in quanto non sono più necessari
otto differenti prodotti ma un unico erbicida a largo spettro d’azione e ad elevata
‘compatibilità’ ambientale. La possibilità
di effettuare il trattamento con il glifosate
o con il glufosinate anche dopo la germinazione della pianta permette inoltre di
programmare l’impiego dell’erbicida in
modo più razionale, in base alle necessità e all’andamento climatico della stagione, riducendo le quantità totali impiegate.
Che cos’è la contaminazione
genetica?
È la possibilità che il polline prodotto da
una pianta geneticamente modificata fecondi i fiori di piante vicine.
Questa probabilità cambia a seconda delle specie coltivate, delle specie affini con
cui condividono lo stesso habitat e delle
caratteristiche di fertilità o di sterilità degli ibridi spontanei che si formano con
esse.
Occorre inoltre considerare anche il tipo
di riproduzione delle piante, in quanto
esistono numerose specie che si autofecondano, per le quali la probabilità di
contaminazione genetica è bassissima, e
specie che invece si riproducono per fecondazione incrociata, disperdendo il
polline nell’ambiente attraverso il vento
o usando come ‘corrieri’ gli insetti. Per
queste ultime, i fenomeni di impollinazione incrociata sono possibili.
Per limitare la probabilità di contaminazione genetica da parte delle varietà geneticamente modificate, si è sviluppata
la tecnologia nota come ‘terminator’ o ‘a
semi suicidi’. In queste piante i semi prodotti dalla fecondazione con il polline
transgenico si sviluppano normalmente,
ma sono incapaci di germinare e produrre nuove piante, evitando così che possa
Una pianta geneticamente
modificata può diffondersi
nell’ambiente in modo
incontrollato?
Non è semplice predire gli effetti a lungo
termine dell’introduzione di nuovi organismi vegetali, che siano geneticamente
modificati o no. L’agricoltura utilizza abbondantemente specie che non sono presenti naturalmente nel luogo di coltivazione. Per secoli sono state introdotte in
Europa specie non indigene, in modo intenzionale o casuale. Basti pensare a
mais, soia, patata e pomodoro, che oggi
rappresentano gran parte dell’agricoltura europea e che sono state introdotte nel
Vecchio Continente da zone molto lonta11
sità, che viene così salvaguardata, in
quanto fonte di geni, invece di essere
potenzialmente eliminata perché ‘obsoleta’ o non più commercialmente conveniente. Esistono nel mondo centri specializzati per la conservazione del materiale genetico vegetale (detto germoplasma), come vere e proprie ‘banche delle
sementi e dei geni’, che lavorano per
evitare la scomparsa di una moltitudine
di varietà vegetali non più coltivate perché non comprese nei costosi programmi di miglioramento genetico che hanno portato alla realizzazione delle colture attuali.
avvenire la dispersione del gene estraneo introdotto (transgene). Questa tecnologia, richiesta per evitare rischi potenziali di contaminazione genetica, è stata
oggetto di forti critiche: si è infatti obiettato che le piante ‘terminator’ possono
rappresentare un sistema mediante il
quale le industrie sementiere costringono gli agricoltori all’acquisto di nuove sementi ogni anno. Questo tipo di critica,
però, non tiene conto del fatto che già
molte colture (come mais, girasole e pomodoro) derivano da sementi ibride ‘tradizionali’ che ogni anno devono essere
riacquistate per non perdere le caratteristiche di produttività e uniformità.
Gli alimenti derivati da
OGM possono avere effetti
negativi sulla salute?
Gli OGM ridurranno
o elimineranno
la biodiversità?
Il timore che gli OGM possano essere
dannosi per la salute è in qualche modo
collegato a fatti che nulla hanno a che vedere con le modifiche genetiche: per
esempio la vicenda dei ‘polli alla diossina’, la malattia della ‘mucca pazza’ (Bse)
o l’epidemia di afta epizootica.
Nonostante gli OGM non ne siano in alcun modo coinvolti, questi incidenti hanno provocato un clima generale di insicurezza alimentare. Al punto che anche gli
alimenti derivati da organismi modificati
geneticamente sono da alcuni considerati pericolosi. Ma non ci sono motivi reali
per considerarli tali. Il Dipartimento economico e sociale della FAO, l’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura
dell’ONU, ha confermato che tutte le sperimentazioni effettuate non hanno rilevato alcun grado di tossicità degli OGM
vegetali in commercio. Negli Stati Uniti,
dove questi sono entrati nella catena alimentare diversi anni fa, non si è riscontrato nessun aumento dell’incidenza di
malattie tra i consumatori, rispetto ai valori riscontrati in Europa, dove invece le
piante geneticamente modificate non sono ancora coltivate. Tutti gli alimenti che
Nel corso di oltre tre miliardi di anni,
l’evoluzione naturale ha generato l’enorme patrimonio di diversità biologica
che popola il nostro pianeta, la ‘biodiversità’ appunto.
Questo potenziale genetico è essenziale
per assicurare l’adattamento delle specie al progressivo mutamento delle condizioni di vita: la perdita della biodiversità rappresenta quindi una minaccia
per la sopravvivenza delle specie viventi
sulla Terra.
Lo sviluppo dell’agricoltura, con la progressiva selezione delle sole piante di
maggior interesse produttivo, ha effettivamente portato a una riduzione della
variabilità genetica e solo di recente si è
cominciato a porre la dovuta attenzione
alla conservazione della biodiversità
esistente, che una volta perduta non è
più possibile ricreare.
La possibilità di creare piante geneticamente modificate dipende strettamente
dal ‘serbatoio di geni’ a disposizione,
rappresentato dalla diversità genetica.
Pertanto, le biotecnologie hanno bisogno della preservazione della biodiver12
temporaneamente. È infinitamente più
alta la probabilità che l’organismo possa
assumere geni antibiotico-resistenti grazie al milione e più di batteri che ingeriamo ogni giorno, con la respirazione o l’alimentazione. Inoltre, il gene estraneo
eventualmente trasferito nel batterio intestinale non potrebbe funzionare, a causa della mancanza di un promotore adatto, cioè di quell’interruttore molecolare,
nelle cellule, ‘accende’ o ‘spegne’ il funzionamento del gene, e che è diverso tra
piante e microrganismi.
fanno parte della nostra dieta quotidiana
sono il risultato di secoli di selezione, incroci e ibridazioni compiuti su animali e
piante e le biotecnologie non fanno altro
che accelerare e rendere più efficiente tale processo.
Consumando vegetali
con un gene ‘estraneo’,
questo può trasferirsi
nell’organismo umano?
La complessità del nostro organismo è
tale per cui nulla di estraneo può integrarsi nelle nostre cellule: da sempre
l’uomo si alimenta con vegetali e animali
senza tuttavia averne assunto alcuna caratteristica, cioè senza averne assimilato
i geni. Il DNA e le proteine ‘estranee’ si
trovano in tutto ciò che mangiamo, in
ogni cellula che compone la frutta, la carne e la verdura, e ogni giorno ne mangiamo notevoli quantità senza che ciò ci
‘modifichi’ minimamente. Ad esempio,
nessuno è mai diventato verde dopo aver
consumato un piatto di insalata.
Le piante modificate
geneticamente possono
provocare allergie?
Le allergie a proteine alimentari colpiscono una bassa percentuale della popolazione e gli individui allergici manifestano reazioni a poche proteine, dette allergeni, che appartengono a una ristretta
classe di cibi: noci, uova, soia, latte, arachidi, pesce, crostacei, frumento. Alcuni
anni fa gli scienziati pensarono di risolvere il problema della mancanza di amminoacidi solforati nella soia modificandola per farle produrre una proteina ricca in zolfo: la proteina 2S, purificata dalla noce brasiliana. I test preliminari mostrarono però che la proteina 2S era proprio uno degli allergeni della noce brasiliana, quindi il progetto fu interrotto sin
dalle sue fasi iniziali.
Oggi la FAO e l’OMS (Organizzazione
Mondiale della Sanità) hanno reso ulteriormente sicuri i processi di sviluppo e
sperimentazione di nuovi OGM, al fine di
escludere ogni possibile allergenicità degli alimenti derivati. Proprio perché sono sottoposte obbligatoriamente a questi controlli, le piante geneticamente modificate sono di fatto più sicure di diversi
frutti e verdure esotiche, che sempre più
spesso vengono importate dai Paesi tropicali e vendute senza aver prima verificato se possano causare allergie in
Gli OGM possono trasferire
all’uomo la resistenza
agli antibiotici,
indebolendo le sue difese?
Nonostante i vegetali geneticamente modificati di nuova concezione ne siano
spesso privi, le sementi geneticamente
modificate di prima generazione contengono anche dei geni ‘marcatori’ che permettono ai ricercatori di distinguere le
piante trasformate da quelle che non
contengono le caratteristiche volute. Il
pericolo ipotizzato consiste nel fatto che
il gene marcatore possa entrare in uno
dei batteri che costituiscono la nostra flora intestinale, superi le difese del microrganismo e si inserisca nel suo genoma.
Ebbene tutti questi eventi hanno una
probabilità bassissima di avvenire con13
una popolazione che prima d’ora non se
ne era cibata. Se il kiwi, per esempio,
prima di essere introdotto in Europa
fosse stato sottoposto a tali test, non sarebbe stato commercializzato, proprio a
causa della sua elevata allergenicità.
esiste allo stato ‘selvatico’: non è infatti
possibile ritrovarla in natura, così come
non è possibile trovare in natura la fragola coltivata, altro prodotto dell’uomo.
Il mais, a sua volta, deriva da un antenato che produceva solo pochi granelli,
come anche il frumento. L’intervento
dell’uomo ha profondamente alterato
sia l’aspetto esteriore di queste piante,
sia il loro patrimonio genetico. Le modificazione genetiche sono dunque sempre esistite, sia pure con tecniche convenzionali, rimescolando cioè in modo
casuale il DNA delle piante.
Queste tecniche possono dare ottimi risultati, ma anche produrre conseguenze imprevedibili. In passato, ad esempio, si sono fuse insieme una cellula di
patata e una di pomodoro, allo scopo di
ottenere una pianta di pomodoro che
producesse anche tuberi di patata: il risultato, denominato ‘topato’, possedeva
il fusto e le foglie della patata e le radici
del pomodoro, cioè l’opposto di ciò che
si voleva.
A differenza di queste tecniche, le biotecnologie sono precise, cioè modificano il DNA solo nei caratteri desiderati,
evitando così di stravolgere il corredo
genetico delle piante.
Gli OGM hanno un gusto
diverso dalle varietà
‘tradizionali’?
I cambiamenti che vengono apportati
alle piante con le biotecnologie riguardano l’introduzione di caratteristiche
vantaggiose per l’impiego agricolo.
Proprio perché si tratta di vegetali utilizzati nella catena alimentare, il gusto dei
cibi prodotti con ingredienti modificati
geneticamente non viene alterato. Per
esempio il passato di pomodoro geneticamente modificato venduto in Gran
Bretagna vanta un elevato indice di gradimento da parte dei consumatori.
Si può riconoscere
una pianta geneticamente
modificata?
Le piante geneticamente
modificate sono
‘innaturali’?
Una pianta geneticamente modificata è
del tutto simile a una ‘naturale’. Le tecniche di biologia molecolare oggi disponibili permettono di identificare un particolare gene ‘straniero’ inserito in un
organismo (cioè un transgene), quando
si conosce almeno una porzione del suo
DNA. Se non lo si conosce non è possibile identificarlo in alcun modo.
Inoltre, le tecniche di controllo possono
essere utilizzate abbastanza facilmente
se si opera su materiale vegetale ‘fresco’, ad esempio una foglia della pianta,
Sono ‘naturali’ esattamente come le altre. Oppure ‘innaturali’ come le altre, se
si preferisce. Infatti tutte o quasi le varietà oggi coltivate (per uso alimentare e
non) sono state profondamente modificate nel corso di lunghi e laboriosi programmi di miglioramento genetico. La
soia coltivata, per esempio, è un prodotto del miglioramento genetico, e non
14
mentre divengono quasi inutili, cioè
perdono la capacità di riconoscere la
presenza del transgene, se si utilizzano
materiali lavorati in cui il DNA è stato
distrutto o rimosso. Nel caso si cerchi ad
esempio un transgene di cui si conosce
la struttura, come nel caso delle varietà
oggi coltivate di mais geneticamente
modificate, è abbastanza facile trovarlo
se lo si cerca nei chicchi, mentre è difficile se lo si cerca nell’olio estratto dai
semi stessi.
Uno dei metodi più rapidi e semplici per
verificare se un organismo sia geneticamente modificato è la PCR (reazione a
catena della polimerasi): si basa sulla
capacità di un enzima (tipo particolare
di proteina) di copiare ‘a catena’ il DNA,
raddoppiandone cioè ogni volta le copie.
Il difetto di questa tecnica però è che fun-
ziona solo se si conoscono le sequenze
iniziali e finali delle lettere che compongono il pezzo di DNA che si intende copiare.
L’elenco
degli organismi
geneticamente
modificati approvati
nel mondo
è disponibile sul sito:
http://www.agbios.com
15
2
Le biotecnologie
vegetali
le stesse esigenze a cui, da secoli, si tenta di provvedere con i metodi di miglioramento ‘convenzionali’. Gli obiettivi sono gli stessi, cambia solo la tecnica impiegata.
Le piante geneticamente
modificate.
A che cosa servono?
La modificazione genetica di piante coltivate può avere diversi scopi. Serve a
rendere queste piante resistenti a un
parassita o a una malattia; oppure ad
aiutarle a sopportare condizioni climatiche difficili, come la siccità o il gelo; o
ancora a permettere la loro coltivazione
in terreni poco adatti, come quelli troppo ricchi di sali. Una pianta può essere
inoltre modificata per migliorare i suoi
contenuti nutritivi o per sviluppare caratteristiche utili alla sua trasformazione alimentare: per esempio per aumentare il contenuto di proteine nel frumento per la panificazione, o per ridurre i
grassi nell’olio da colza.
Infine, l’introduzione di una informazione genetica ‘nuova’ in una pianta può
consentire il suo utilizzo per produrre
medicine, come vaccini od ormoni, oppure materiali chimici di uso industriale
(per esempio, plastiche biodegradabili).
Quando si modifica geneticamente una
pianta, dunque, si vogliono soddisfare
Le tecniche
di miglioramento
convenzionali
Tradizionalmente, una varietà vegetale
viene migliorata attraverso l’incrocio con
altre varietà, non di rado selvatiche, che
presentano caratteristiche interessanti.
Spesso le piante ottenute da questo incrocio vengono nuovamente incrociate
con il ‘genitore’, già coltivato per le sue
proprietà agronomiche positive (produttività, qualità, resistenza, ecc.) e questo
processo viene ripetuto per più generazioni, finché non si ottiene una varietà
con le proprietà desiderate.
Per produrre delle varietà migliorate con
queste tecniche, è necessario disporre di
un’ampia riserva di forme vegetali (coltivate e selvatiche), per poter individuare,
tra le diverse specie e varietà, quella capace di trasferire nell’incrocio la caratte16
Principi del miglioramento delle piante – Esempio: la patata
ristica voluta. I reincroci sono necessari
per garantire che la varietà finale contenga questa ma al tempo stesso non perda tutte le altre qualità del tipo ‘pregiato’
già coltivato. Alla fine di questa procedura, la pianta conterrà il gene o i geni responsabili della specifica caratteristica
voluta. Assieme a questi, però, avrà ereditato numerosi altri geni, estranei e sconosciuti.
sfrutta le piante nelle quali si insedia,
modificandone il genoma: inserisce cioè
alcuni geni del proprio DNA nel DNA
della pianta, che la costringono a produrre ormoni vegetali dei quali si nutre.
I biologi molecolari hanno imparato a
usare l’Agrobacterium tumefaciens come mezzo di trasporto: nel frammento
di DNA che il batterio trasferisce alla
pianta, vengono cioè sostituiti alcuni geni, che verranno così inseriti nella pianta stessa.
Non sempre l’agrobatterio riesce a portare a termine il suo lavoro in maniera
soddisfacente. È quindi necessario identificare le piante che contengono effettivamente il gene che si è voluto introdurre. A questo scopo si inseriscono
nel DNA dell’agrobatterio anche alcuni
geni ‘marcatori’, che permettono di riconoscere i tessuti o gli individui tra-
Le piante transgeniche
Esistono vari metodi per ottenere piante geneticamente modificate. Uno dei
più utilizzati fa ricorso al batterio Agrobacterium tumefaciens, un ‘ingegnere
genetico’ naturale. Si tratta di un microrganismo, innocuo per gli animali e
per l’uomo, che è presente comunemente nel terreno e che per sopravvivere
17
che permettono di moltiplicare una
pianta senza ricorrere al seme (riproduzione vegetativa). Una volta rigenerate,
le piante geneticamente modificate si
comportano in tutto e per tutto come le
piante non modificate, tranne che per la
caratteristica nuova che è stata in esse
inserita con l’ingegneria genetica.
Un altro metodo di trasformazione consiste nell’introdurre i geni direttamente
sformati: tra i più comuni ci sono quelli
che consentono alla pianta di resistere
agli antibiotici. Nei primi OGM sviluppati, questi geni rimanevano indefinitamente nel DNA della pianta: in seguito, i
continui progressi della scienza hanno
permesso di eliminare il gene marcatore al termine della selezione.
Le cellule selezionate vengono riprodotte con metodi di coltura simili a quelli
Realizzazione di un costrutto genico
18
Le piante
geneticamente
modificate
si ottengono
generalmente
utilizzando un
‘ingegnere genetico’
naturale:
l’Agrobacterium
tumefaciens
nel nucleo della cellula vegetale da modificare. In questo caso si ‘sparano’, all’interno delle cellule, micro-proiettili
metallici ricoperti di DNA: questi penetrano nella cellula e inseriscono il nuovo
DNA nel genoma, come se alcune nuove
pagine venissero ‘incollate’ all’enciclopedia che contiene le informazioni vitali
della pianta.
Dal gene alla proteina
19
3
Le piante
geneticamente
modificate,
l’alimentazione e la salute
Piante per produrre
vaccini
Recentemente è stata dimostrata l’utilità
delle piante geneticamente modificate
nel prevenire le malattie di alcuni animali. Un esempio viene dalla realizzazione
di patate geneticamente modificate capaci di immunizzare il coniglio contro il
virus RHDV, che causa una febbre emorragica con gravi danno al fegato e al sistema sanguigno, portando l’animale alla morte. Ricerche come queste aprono le
porte allo sviluppo di tutta una serie di
OGM in grado di produrre un’ampia
gamma di proteine immunizzanti, con le
quali ‘vaccinare’ molte specie animali di
interesse zootecnico.
20
Il miglioramento
delle caratteristiche
organolettiche
Il pomodoro
conservabile
più a lungo
è un tipico esempio
di OGM che
non contiene
un gene ‘straniero’:
la modifica
genetica
è infatti ottenuta
prelevando
un gene
dalla stessa pianta
e reinserendolo
poi in orientamento
opposto
(girato al contrario)
La ricerca biotecnologica applicata all’alimentazione sta lavorando da diversi
anni su due direttrici principali: il miglioramento della qualità degli alimenti e il
loro arricchimento dal punto di vista nutrizionale. Alcuni OGM caratterizzati da
una migliore qualità hanno già ottenuto
l’autorizzazione alla commercializzazione. Il primo è stato il pomodoro: bloccando la produzione dell’enzima che causa il
rammollimento dopo la maturazione (poligalatturonasi), è conservabile più a lungo ed è meno esposto agli attacchi di
muffe e batteri. Anziché raccoglierlo ancora acerbo, il frutto può essere lasciato
maturare più a lungo sulla
pianta, garantendo migliori
qualità alimentari, senza trascurare il fatto che un frutto
più consistente, dalla polpa
migliorata, presenta minori
problemi di trasporto.
Nei Paesi in via di sviluppo,
dove spesso le vie di comunicazione sono scarse e difficoltose, la possibilità di mantenere intatte le derrate agricole durante il lungo trasporto tra i campi e le città avrà
un’importanza crescente, soprattutto per il fenomeno del
continuo aumento della popolazione urbana.
21
OGM per la salute umana
tamina A, indispensabile per il funzionamento normale della vista, per la crescita, per lo sviluppo delle ossa e per l’immunità contro le malattie.
La carenza di vitamina A rappresenta un
grave problema sanitario in ben 118 paesi, in quanto causa primaria di 500.000
casi di cecità irreversibile e di quasi 2 milioni di morti ogni anno nei paesi la cui
dieta si basa sul riso.
Si stima che alleviando la carenza di vitamina A tra i bambini in età prescolare
dei Paesi in via di sviluppo, sia possibile
ridurne la mortalità fino al 23 per cento.
È inoltre allo studio un riso geneticamente migliorato ricco di ferro e dotato di
una proteina che ne favorisce l’assorbimento nell’intestino. Di questo riso potrebbero beneficiare circa quattro miliardi di persone la cui dieta è carente di
ferro.
Uno degli obiettivi più rilevanti delle biotecnologie è quello di aiutare a risolvere i
problemi di alimentazione: in questa direzione la ricerca ha prodotto importanti
risultati, come una varietà di pomodoro
con una più forte presenza di licopene,
sostanza antiossidante che protegge i vasi sanguigni e previene alcune forme di
tumore.
È stata anche brevettata e resa disponibile gratuitamente ai Paesi in via di sviluppo una varietà di riso geneticamente
modificato contenente beta-carotene.
I carotenoidi sono importanti per la salute umana: in quanto antiossidanti e distruttori di radicali liberi, possono contribuire a prevenire il cancro, le malattie
cardiache e l’invecchiamento precoce.
Il beta-carotene è un precursore della vi22
4
Gli OGM
nell’ambiente
OGM e ‘agricoltura
sostenibile’
Cosa si intende per agricoltura sostenibile? In sintesi, è un’agricoltura che, pur rimanendo intensiva (cioè in grado di produrre grandi quantità di alimenti su superfici limitate) riduce l’impatto ambientale provocato dalle sostanze chimiche
utilizzate contro le erbe infestanti e come
fertilizzanti.
Le piante geneticamente modificate rappresentano un mezzo molto importante
per raggiungere questo obiettivo: l’ingegneria genetica infatti permette di adattare le piante all’ambiente nel quale sono coltivate. Esattamente il contrario di
quanto è costretta a fare l’agricoltura
convenzionale che, attraverso sostanze
chimiche, cerca di adattare l’ambiente
alla pianta.
Già oggi, molte piante geneticamente
modificate limitano l’impiego della chimica nelle coltivazioni. Quelle che si autoproteggono da insetti, funghi o batteri, per esempio, riducono o addirittura
eliminano l’uso dei fitofarmaci necessari per controllare questi parassiti; quelle
23
modificate per resistere agli erbicidi a
largo spettro permettono un utilizzo più
intelligente dei composti chimici disponibili, e sono quindi utili nel limitare i
danni causati dall’accumulo nell’ambiente dei tradizionali erbicidi, usati per
debellare le erbe infestanti.
Il controllo delle erbe
infestanti
La crescita di piante infestanti, che sottraggono alle colture acqua, luce e nutrimento, causa notevoli danni alle coltivazioni: si stima che ogni anno nel mondo
le perdite siano pari al 10-15% di tutti i
raccolti. Per affrontare questo problema
si ricorre normalmente alla distribuzione sui campi di sostanze chimiche ad
azione erbicida: senza ricorso a questi
composti, le perdite sarebbero molto più
elevate.
Il massiccio impiego di erbicidi (o diserbanti) nell’agricoltura moderna, però,
comporta rischi di inquinamento, soprattutto per quanto riguarda le falde acquifere. Inoltre, gli erbicidi utilizzati per
una certa coltura spesso rimangono per
un periodo più o meno lungo nel terreno,
impedendo una ottimale rotazione delle
coltivazioni. Esistono erbicidi a basso
impatto ambientale, che però non sono
selettivi, il cui impiego è cioè limitato dal
fatto che uccidono anche le colture. La
possibilità di coltivare piante ‘tolleranti’
a questi erbicidi ne permette l’utilizzo
non solo in alternativa a diserbanti molto
più inquinanti, ma anche in dosi più limitate, grazie alla possibilità di usarli in
maniera più razionale.
Attraverso l’ingegneria genetica è possibile ottimizzare queste potenzialità, conferendo la tolleranza alle varietà che non
la possiedono.
Esempi concreti sono la soia tollerante al
glufosinate e la soia tollerante al glifosate, tra le prime piante geneticamente
modificate a essere immesse sul mercato, coltivate a partire dal 1996 e oggi
molto diffuse, tanto da risultare le colture
geneticamente modificate più coltivate in
tutto il mondo. Il glufosinate ed il glifosate sono erbicidi non selettivi che permettono un intervento efficace con dosi ridotte e sono considerati tra i migliori per
Le piante
geneticamente
modificate possono
rappresentare un
passo concreto verso
la riduzione
dell’impatto
ambientale
dell’agricoltura,
senza che ciò
comporti una perdita
di produttività.
24
rus del mosaico del cetriolo che attacca
sia la pianta che la bacca, distruggendole
in pochi giorni.
Oggi questi danni possono essere finalmente limitati grazie all’uso delle biotecnologie che hanno permesso di scoprire
le modalità di infezione dei virus e di sviluppare delle tecniche per contrastare le
virosi.
Sono stati sviluppati ben tre approcci diversi, ognuno dei quali si è rivelato utile.
Il primo consiste nell’introdurre nella
pianta il gene del ‘capside’, che è il rivestimento (innocuo e non tossico) del virus: in questo modo l’agente patogeno
‘crede’ che la pianta transgenica sia già
infetta ed evita di attaccarla. Un secondo
metodo si basa, invece, sulla possibilità
di bloccare la produzione delle proteine
virali all’interno delle cellule della pianta, introducendo un RNA (un acido nucleico parente del DNA) ‘complementare’
a quello del virus, in modo che si leghi a
quello virale impedendo l’avvio della malattia. Un terzo metodo, infine, sfrutta un
acido nucleico presente nel virus che attenua la malattia: lo si inserisce nella
pianta e, nel caso questa venisse attacca-
quanto riguarda la ridotta tossicità ed il
limitato impatto ambientale: questi prodotti, e quelli simili, si degradano rapidamente a contatto con il suolo e terminano
la loro azione poche ore dopo che sono
stati diffusi nell’ambiente.
Altre varietà vegetali, come mais, soia,
barbabietola da zucchero e riso, sono
state rese invece resistenti a questi erbicidi o ad altri con analoghe caratteristiche eco-tossicologiche favorevoli.
La resistenza
ai virus
Oltre agli erbicidi, l’agricoltura moderna
fa uso di altri composti chimici, chiamati
fitofarmaci, che vengono sparsi sulle coltivazioni per impedire che siano danneggiate dagli insetti, dai parassiti e dai microrganismi fitopatogeni (che causano
cioè malattie delle piante). Nessuna di
queste sostanze però può difendere le
piante dai virus vegetali. Alcuni di questi
virus sono un vero flagello per le colture:
interi raccolti di pomodori, per esempio,
vanno perduti ogni anno a causa del vi25
ta, i sintomi della malattia sarebbero più
blandi, senza danni per l’agricoltore.
Le sperimentazioni di queste tecniche
stanno dando buoni risultati. Prendiamo
il caso del pomodoro San Marzano: è un
ortaggio condannato all’estinzione a causa di una malattia causata dal virus mosaico del cetriolo. Questo ‘oro rosso’ è
stato modificato geneticamente attraverso l’inserimento di un frammento del capside del virus. Le piantine geneticamente modificate sono resistenti e hanno mostrato di essere uguali in tutte le altre caratteristiche alle piante ‘normali’: gli
esami a cui sono state sottoposte dimostrano che non vi sono differenze nel gusto, nel colore, nella forma, nelle qualità
alimentari rispetto ai pomodori San
Marzano non modificati.
Contro gli insetti nocivi
Ogni anno circa il 13% della produzione
agricola mondiale viene divorato dagli
insetti, che rappresentano, di conseguenza, un enorme problema per la coltivazione delle specie vegetali e per l’alimentazione.
La presenza degli insetti viene ridotta
con l’uso di composti chimici, ma queste
pratiche causano numerosi problemi:
per una lotta efficace sono infatti necessarie dosi elevate di insetticidi, il che
comporta un alto uso di sostanze chimiche nell’ambiente.
Le biotecnologie hanno permesso di ottenere piante di patata, mais e cotone
capaci di ‘autoproteggersi’ dall’attacco
di insetti nocivi, grazie a un gene del
Bacillus thuringiensis (Bt), comune microrganismo del terreno. Questo gene
abilita la pianta a produrre una sostanza tossica (tossina Bt) che causa la morte della piralide, un insetto che distrugge le coltivazioni di mais, divorandone
gli steli dall’interno. La proteina Bt è
tossica solo per un ristretto gruppo di
insetti e innocua per gli insetti utili e la
flora, gli animali e l’uomo: non a caso, i
preparati commerciali di questa molecola sono già ampiamente utilizzati come bioinsetticidi da oltre trent’anni, anche nell’agricoltura biologica.
Proteggendo le piante, questa modificazione genetica offre importanti benefici
anche alla salute umana. La piralide, infatti, forma gallerie all’interno della
pianta e rosure sulle pannocchie: in
queste si insediano particolari funghi
26
che producono micotossine, sostanze
cancerogene responsabili di tumori al
fegato e ai reni, e strettamente correlate
anche con l’insorgenza di tumori all’esofago. Le piante Bt sono protette dalla
piralide e hanno livelli di micotossine
molto più bassi delle piante tradizionali
come conseguenza della minore infezione fungina.
Anche alcune varietà di patate (coltivate
negli Stati Uniti e in Canada) sono state
modificate per proteggersi dalla dorifora, l’insetto che causa le più ingenti perdite per questa coltivazione, con sistemi
analoghi a quelli del mais.
Grazie all’aumento dell’estensione di
colture geneticamente modificate, nel
1998 gli insetticidi usati su mais, cotone
e soia sono diminuiti del 3,5% rispetto
al 1997.
27
5
Le biotecnologie
in sintesi
DNA, geni, genoma
Tutte le caratteristiche ereditarie di un
organismo (come il colore degli occhi,
quello della pelle, ma anche l’altezza)
vengono trasmesse dai genitori ai figli e
questo trasferimento è possibile grazie
ai geni.
I geni sono sequenze di una sostanza
chiamata DNA (la sigla, in inglese, dell’acido desossiribonucleico), contenuta
nei cromosomi all’interno del nucleo
delle cellule, e contengono appunto le
informazioni ereditarie.
L’insieme di tutti i geni di un essere vivente è il genoma: una grande enciclopedia, costituita di volumi (cromosomi)
e paragrafi (geni) nella quale sono contenute tutte le informazioni che servono
allo sviluppo e alla vita dell’organismo,
in pratica il suo ‘manuale di sopravvivenza’.
Quando una cellula si divide per riprodursi, questa enciclopedia viene copiata
e lasciata in eredità alle nuove cellule.
Ogni specie vivente dispone di una enciclopedia diversa e ogni individuo della
specie ne possiede una versione perso-
nalizzata. Però il linguaggio con cui è
scritta (il codice genetico) è universale:
tutti gli organismi viventi, infatti, anche
se dispongono di genomi molto diversi,
li hanno scritti tutti nel medesimo linguaggio. Questo fatto ha permesso che,
nel corso dell’evoluzione, avvenissero
scambi di geni anche fra individui appartenenti a specie molto diverse tra loro. Ciò che distingue un organismo da
un altro, e una specie da un’altra, è la
presenza di geni specifici, il numero
complessivo di geni e la loro diversa
combinazione e il modo in cui interagiscono tra loro.
Per fare alcuni esempi, il numero di geni (paragrafi) presenti nei batteri è di
circa 4.000, mentre le piante ne possiedono circa 30.000 e l’uomo circa
40.000. Molti geni sono comuni a quasi
tutti gli organismi: le emoglobine, per
esempio, si trovano anche nei batteri e
nelle piante: quelle dei batteri contengono un unico gene, mentre quelle di un
organismo complesso come l’uomo ne
possiedono dieci.
28
Ogni organismo
contiene
un grande numero
di geni, le piante
circa 30.000,
l’uomo circa 40.000.
Questi geni vengono
tradotti in proteine
che svolgono
i ‘lavori’ necessari
a far vivere una
cellula.
Le proteine, gli enzimi
Il DNA, la sostanza di cui sono costituiti i
geni, di per sé non ha alcuna funzione diretta, così come non l’hanno le lettere
che compongono il testo di un libro, a
meno che non siano lette. Per svolgere
una funzione, il DNA deve essere dunque
‘letto’ e la cellula dispone appunto di un
meccanismo apposito per farlo: si tratta
delle proteine, molecole (cioè sostanze
chimiche) complesse. Se un capitolo dell’enciclopedia-genoma è dedicato al modo di ‘digerire’ uno zucchero come il glucosio, la cellula legge i diversi paragrafi
(geni) di quel capitolo attraverso una serie di enzimi (che sono un tipo particolare di proteine) che la rendono capace di
digerire il glucosio e di trasformarlo in
energia. Ogni proteina è chiamata a svolgere una specifica funzione biologica
nella cellula: nel nostro caso, vi saranno
diversi enzimi che per passi successivi
trasformeranno glucosio in sottoprodotti, ricavandone energia.
cemente, sostituire una copia di un gene
che non funziona con una funzionante.
Quando queste tecniche vengono usate
per modificare un organismo al fine di
produrre effetti utili, prendono il nome
di ‘biotecnologie genetiche’ e l’organismo ottenuto si dice ‘geneticamente
modificato’.
Che cosa si intende
per ‘OGM’?
Un organismo geneticamente modificato (OGM) è un organismo nel quale viene
inserito un gene di un’altra varietà o di
un’altra specie, ma anche quell’organismo in cui un gene, già presente, è stato
modificato tramite tecniche di ingegneria genetica. Più precisamente (e secondo la terminologia ufficiale) il termine
OGM va applicato agli organismi nel cui
DNA sono state provocate variazioni
mediante processi diversi da incroci o
ricombinazione genetica. La legge stabilisce anche che non sono considerati
OGM gli organismi ottenuti ‘fondendo’
in laboratorio cellule appartenenti a
specie diverse, o il cui DNA sia stato mo-
L’ingegneria genetica
È un insieme di tecniche che permette
di modificare il DNA: consente cioè di
intervenire sul ‘manuale di sopravvivenza’ di un individuo, così da correggere, aggiungere o togliere alcune caratteristiche. Con l’ingegneria genetica
è per esempio possibile impedire che un
organismo produca una tossina (cioè
una proteina tossica, nociva), oppure
inserire un gene che consenta di resistere a una malattia o, ancora più sempli29
derivata da questa varietà ‘naturale’ di
frumento.
È quindi considerata OGM una pianta di
frumento che contiene un gene modificato attraverso l’ingegneria genetica,
mentre la pianta di frumento non è considerata OGM se lo stesso gene o l’intero
genoma è stato modificato con altre tecniche, come nel caso della varietà Creso.
In sintesi, ciò che identifica un OGM è
solo la ‘tecnica’ con la quale è stata effettuata la modificazione: due piante
identiche possono essere l’una OGM e
l’altra ‘naturale’, non OGM, solo perché
ottenute con metodiche diverse.
dificato impiegando prodotti chimici
oppure fisici (come raggi X e raggi gamma) che causano mutazioni genetiche.
Si deve sottolineare che, in questi ultimi
casi, la struttura o la sequenza del DNA
di un individuo risultano modificate in
modo casuale. Un prodotto ottenuto con
queste tecniche è per esempio il grano
‘Creso’ (varietà di grano duro impiegata
largamente dagli agricoltori italiani da
alcuni decenni), costituito trattando con
i raggi gamma altre varietà di grano: si
è calcolato che verso la metà degli anni
’80 circa un quarto degli spaghetti prodotti in Italia fosse ottenuto da farina
30
6
Per saperne di più
La regolamentazione
delle biotecnologie
dei nuovi vegetali e la loro autorizzazione è affidata a tre organismi e agenzie federali: l’USDA (United States Department of Agricolture), il ‘ministero dell’agricoltura’ americano; la FDA (Food and
Drug Administration), l’ente responsabile del controllo di alimenti e farmaci; la
EPA (Environment Protection Agency),
l’agenzia federale per la protezione dell’ambiente.
Nella valutazione degli OGM ha avuto
una grande importanza il lavoro del
Group of National Experts (GNE) on
Safety of Biotechnology, che ha operato
per l’Organizzazione per la Cooperazione e Sviluppo Economico (OCSE). I criteri
e principi di sicurezza elaborati da questo gruppo hanno costituito la base di
partenza per la redazione di un Protocollo internazionale di biosicurezza (il
cosiddetto ‘Protocollo di Cartagena’, poi
firmato a Montreal nel gennaio 2001)
nell’ambito dell’ONU. L’obiettivo principale del protocollo è quello di consentire
ai Paesi in via di sviluppo di mettere a
punto le misure da adottare per l’impiego sicuro delle biotecnologie e dei prodotti che ne derivano.
Prevenzione dei rischi
e sicurezza degli OGM
In tutti i Paesi occidentali sono in vigore
severe misure di autorizzazione e controllo sullo sviluppo e l’impiego degli
OGM. Le norme per la sicurezza delle
biotecnologie sono tutte di natura precauzionale e fanno costante appello alla
necessità di accurate valutazioni di rischio prima di intraprendere attività di
ricerca e sviluppo, di produzione e/o
messa in vendita dei prodotti ottenuti
con l’impiego delle moderne tecnologie
biologiche.
La regolamentazione
della sicurezza a livello
internazionale
Nei Paesi dotati di solide strutture tecniche di verifica e controllo (ad esempio gli
Stati Uniti, il Canada, il Giappone) è prevalso il criterio di valutare l’efficacia e la
sicurezza d’uso dei prodotti, senza particolare attenzione alle tecnologie usate
per ottenerli. Negli Stati Uniti, in particolare, la verifica dei requisiti di sicurezza
31
Il Regolamento 258/97, sulla vendita di
nuovi alimenti, stabilisce che i prodotti e
ingredienti alimentari derivati da OGM
non devono presentare rischi per il consumatore; non lo devono indurre in errore; non devono creare svantaggi nutrizionali, nel caso vadano a sostituire prodotti o ingredienti tradizionali.
La regolamentazione
della sicurezza nell’Unione
Europea
A differenza degli Stati Uniti, in Europa è
prevalsa l’opzione di imporre per legge
‘regolamentazioni di tecnologia’, collegate a meccanismi di notifica e autorizzazione sia nelle fasi di ricerca che in
quelle produttive.
In termini di efficacia nel garantire i necessari livelli di sicurezza, i due diversi
approcci (nordamericano ed europeo)
non hanno messo in luce significative differenze: la principale differenza oggettiva è di natura burocratica e amministrativa e si manifesta nei tempi più lunghi
delle procedure adottate dall’Unione
Europea per l’autorizzazione degli OGM
a uso agricolo e alimentare.
Le principali norme dell’Unione Europea sul settore agroalimentare sono: il
Regolamento 258/97 per la vendita dei
cosiddetti ‘Novel Foods’, cioè i ‘nuovi
alimenti’ ottenuti con materie prime derivate da organismi geneticamente modificati; la Direttiva 2001/18/CE sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati (in
particolare le sementi e i materiali di riproduzione vegetale) che supera la precedente Direttiva 90/220/CEE.
Queste norme sono redatte nel pieno rispetto degli orientamenti internazionali
in materia di sicurezza agricola, ambientale e alimentare, ma sono state finora
soggette in modo eccessivo alle decisioni
di natura politica. In particolare la Direttiva 90/220/CEE è stata di fatto bloccata
per molti anni; la recente Direttiva 2001/
18/CE, che la sostituisce, intende semplificare le procedure e attribuire maggiore importanza alle valutazioni scientifiche espresse in sede comunitaria. Tuttavia alcuni Paesi membri hanno espresso
l’intenzione di non approvare la commercializzazione di nuovi OGM prima
che siano adottati ulteriori regolamenti.
La ‘equivalenza sostanziale’
Il Regolamento 258/97 sui ‘Novel Foods’
adotta come elemento discriminante la
nozione di ‘equivalenza sostanziale’, accettata a livello internazionale: due alimenti (uno tradizionale e l’altro ottenuto
con materie prime di derivazione biotech) sono considerati sostanzialmente
equivalenti quando non presentano alcuna differenza dal punto di vista nutrizionale, organolettico e della sicurezza.
In alcuni Paesi dell’Unione Europea si
chiede invece di considerare ‘discriminante’ lo stesso impiego delle biotecnologie nella produzione alimentare: basta
che un solo ingrediente, additivo o aroma sia ottenuto (anche casualmente o
parzialmente) da materie prime geneticamente modificate perché i due alimenti non siano più considerati equivalenti.
Di conseguenza, le autorità nazionali di
controllo hanno difficoltà a certificare
l’equivalenza sostanziale di tutti gli alimenti loro sottoposti, in funzione delle
diverse letture del Regolamento operate
dai singoli Stati, e si crea una diversità di
applicazione delle norme comuni a livello nazionale.
32
Breve schema per l’approvazione degli alimenti OGM
Cibi o ingredienti
che contengono o sono
costituiti
di materiale GM
Regolamentazione
sui cibi di nuovo tipo
Bocciare in caso di:
Pericoli per il consumatore
o se sono ingannevoli
o svantaggiosi dal punto
di vista nutrizionale
Stati membri
Comitato
di valutazione
degli alimenti
a) i cibi o gli ingredienti
contengono o consistono di materiale GM,
Additivi alimentari
89/107EEC
Aromi 88/388/EEC
Solventi di estrazione
88/344/EEC
Sono sostanzialmente
equivalenti
oppure
b) non sono sostanzialmente equivalenti
Revisione
di tutti gli Stati Membri
Accettazione
Comitato di valutazione degli alimenti
Accertamenti iniziali
Nessuna richiesta di valutazione
supplemementare
e nessuna obiezione di Stati membri
Richiesta di valutazione
supplemementare
e/o obiezioni di Stati membri
Obiezioni di:
a) Presidente del Comitato
generi alimentari
b) Stato Membro
Comitato permanente
per i Generi Alimentari
Misure conformi a favore
Misure non conformi
ai generi alimentari
Varietà di piante
(se le direttive sono riesaminate)
Consiglio Direttivo
70/457/EEC
Catalogo Comune,
oppure:
Consiglio Direttivo
70/457/EEC
Commercializzazione
di semi di vegetali
Articolo 7
Condizioni d’uso;
designazione
e specificazione;
specifici requisiti
delle etichette
Nessuna opinione
Consiglio dei ministri
dell’UE
Decide a favore
Decide contro
Nessuna decisione
in tre mesi
Requisiti delle etichette
(Articolo 8)
a) caratteristiche/proprietà modificate e metodi usati;
b) presenza di materiale con ignote implicazioni per la salute;
c) presenza di materiale
che può riguardare ragioni etiche;
d) presenza di OGM
Commercializzazione
nell’EU
Adozione della proposta
della Commissione
Notifica della commissione
di Rilancio
In Italia. Le norme
per l’immissione di OGM
nell’ambiente
In Italia. L’autorizzazione
all’impiego di OGM
nell’alimentazione
Il Decreto legislativo n. 92 del 3 marzo
1993, che recepisce la Direttiva 90/220
/CEE sull’emissione deliberata nell’ambiente degli organismi geneticamente
modificati, prevede una valutazione preventiva di rischio prima di ogni rilascio
nell’ambiente di un nuovo tipo di OGM e
che nessun rilascio possa essere effettuato senza il via libera del Ministero
della Salute.
Nei casi in cui le conoscenze scientifiche
sul tipo di modifica genetica effettuata e
sull’OGM che ne viene ottenuto richiedano ulteriori approfondimenti tecnicoscientifici, prima di concedere l’autorizzazione al rilascio deliberato a scopi di ricerca e sviluppo, il Decreto legislativo
prevede che la Commissione interministeriale di coordinamento per le biotecnologie (CIB) possa chiedere il parere del
Comitato Nazionale per la Biosicurez-za e
le Biotecnologie e anche quello del
Consiglio Superiore di Sanità. Durante la
fase di rilascio deliberato dell’organismo
geneticamente modificato, la CIB effettua
ispezioni nel sito del rilascio per verificare: la conformità degli esperimenti a
quanto notificato; gli effetti dell’organismo geneticamente modificato sull’ambiente circostante; le pratiche agronomiche utilizzate; i trattamenti dopo il raccolto dell’area interessata; la conservazione
o l’eliminazione dell’organismo geneticamente modificato. Al termine dell’esperimento di rilascio, il privato o l’impresa
che ha ottenuto il nulla osta alla ricerca
sull’OGM deve presentare una relazione
conclusiva sull’esperimento, sulla base di
linee guida elaborate dalla CIB, mirata
sulla valutazione dell’impatto ambientale
e della sicurezza: questa valutazione è
uno degli elementi necessari per richiedere l’autorizzazione all’immissione sul
mercato dell’OGM in questione.
Per quanto riguarda l’attuazione in Italia
del Regolamento 258/97/CE concernente
l’immissione sul mercato di nuovi prodotti
alimentari derivati da ingredienti, aromi e
additivi ottenuti da materie prime geneticamente modificate, è stata istituita un’apposita Commissione interministeriale di
coordinamento per la valutazione delle
notifiche ai fini della commercializzazione
dei nuovi prodotti e nuovi ingredienti alimentari. Questa Commissione è inserita
nel Ministero della Salute. A questo organismo competono le valutazioni sulla sicurezza d’uso nell’alimentazione umana o
animale degli organismi geneticamente
modificati e dei loro derivati.
Chiunque intende mettere in vendita
nell’Unione Europea un OGM o un alimento derivato da OGM o i suoi derivati deve
quindi presentare domanda di autorizzazione allo Stato membro sul cui territorio
vuole vendere per la prima volta questi
prodotti, inviando contemporaneamente
copia della richiesta alla Commissione
Europea. La documentazione presentata
deve contenere una serie di dati scientifici
per la verifica della sicurezza d’uso del
prodotto e - nel caso di prodotti ottenuti
tramite l’applicazione delle tecniche del
DNA ricombinante (le biotecnologie) che
contengano o siano costituiti da OGM - la
valutazione dei rischi per l’ambiente e, se
del caso, la decisione di autorizzazione di
immissione sul mercato corrispondente
alla parte C della Direttiva 90/220/CEE.
La domanda deve contenere informazioni
tecnico-scientifiche che dimostrino che il
nuovo alimento presenta le garanzie richieste dal Regolamento 258/97/CE, nonché una proposta di etichettatura del prodotto: questi elementi devono permettere
all’autorità competente dello Stato destinatario della domanda la valutazione sulla
sicurezza d’uso del prodotto.
34
7
Per saperne di più
Biotecnologie
e brevetti
pianta geneticamente modificata, oppure ottenere un certificato di ‘costitutore’
di una nuova varietà vegetale, non attribuisce il diritto esclusivo di produrre o
vendere questa varietà vegetale, ma
semplicemente quello di impedire ad altri di farlo senza avere legalmente ottenuto l’autorizzazione dell’inventore.
I brevetti sono, in sostanza, strumenti
giuridici finalizzati a ricompensare l’attività degli innovatori: in modo simile al
‘diritto d’autore’ in campo letterario e
musicale, l’utente deve pagare all’inventore una piccola frazione del prezzo del
prodotto finito come diritto per l’invenzione, per un periodo di tempo determinato.
In Europa, la protezione della proprietà
intellettuale relativamente al materiale
biologico è regolata dalla Convenzione
Upov, che nel 1991 è stata adeguata alle
innovazioni biotecnologiche.
Queste norme consentono di rivendicare
la proprietà intellettuale attraverso l’identificazione, la separazione e l’impiego di informazioni genetiche - ad esempio, di geni o filamenti di DNA - ottenute
con mezzi tecnici originali.
La ‘proprietà intellettuale’
e la sua legislazione
La ‘proprietà intellettuale’ su una invenzione, riconosciuta dal brevetto, ha lo
scopo di garantire all’inventore i diritti
che derivano dall’aver inventato un nuovo processo produttivo o addirittura un
nuovo prodotto. Il rilascio di un brevetto
è competenza di organismi pubblici, gli
Uffici Brevetti, che dopo aver effettuato la
verifica legale della regolarità dell’invenzione e dei suoi requisiti, la ufficializzano, iscrivendola tra quelle tutelate.
Per essere brevettabile, l’invenzione deve avere tre caratteristiche: la ‘novità’
(cioè non dev’essere stata già realizzata
da altri), la ‘non ovvietà’ (non si può brevettare qualcosa di ovvio, come l’uso del
fuoco per portare l’acqua all’ebollizione)
e l’‘utilizzo produttivo’ (l’invenzione,
prodotto o processo produttivo, deve essere utile).
Il riconoscimento della ‘proprietà intellettuale’ di un determinato bene non
coincide con la proprietà intesa in senso
tradizionale: nel settore delle biotecnologie, per esempio, brevettare una nuova
35
• stabile: la descrizione della varietà rimane conforme all’originale dopo riproduzioni o moltiplicazioni successive.
Il Regolamento 2100/94, adottato dal
Consiglio Europeo nel luglio 1994, ha
provveduto ad armonizzare i regimi di
proprietà intellettuale e industriale per le
varietà vegetali dei Paesi dell’Unione
Europea, tenendo debito conto dell’evoluzione delle tecniche di selezione varietale, incluse quelle proprie delle biotecnologie. Tutti i regolamenti prevedono
che da una varietà vegetale possano essere ottenute ‘varietà derivate’ con l’uso di
tecniche di ingegneria genetica (e quindi
quando si tratta di OGM) che ricadono nel
diritto di proprietà intellettuale della varietà vegetale originale.
A questo punto va sottolineato che l’estensione ai Paesi in via di sviluppo dei
diritti di protezione della proprietà intellettuale in ambito vegetale costituisce un
punto di particolare attenzione della
Convenzione di Rio sulla biodiversità,
che prospetta la necessità di proteggere
le sovranità nazionali sulla proprietà delle risorse naturali. In questo contesto, occorrerà elaborare strumenti giuridici che
compensino i Paesi in via di sviluppo per
l’utilizzo delle loro risorse genetiche,
finalizzato a ottenere nuove piante e
nuove varietà vegetali.
In termini estremamente sommari, la
maggior parte dei brevetti concessi nel
mondo per l’uso o la realizzazione di
OGM fanno riferimento ad applicazioni
come ‘sequenza nucleotidica (cioè gene)
che, introdotta in un opportuno vettore
di espressione (come un microrganismo,
una pianta, un animale) permette la produzione di sostanze utili (come le proteine umane) oppure determina nuove e
interessanti proprietà del vettore stesso
(come la resistenza ad alcune malattie)’.
L’espressione ‘brevettare geni’ è quindi
sostanzialmente errata: un gene può essere oggetto di un brevetto solo se l’inventore è stato capace di separarlo,
identificarne la funzione e impiegarlo in
un processo innovativo utile a fini produttivi.
Convenzioni internazionali
e diritti degli inventori
La Convenzione Upov, recepita nella legislazione italiana dal Decreto legislativo 3
novembre 1998, n. 455, prescrive come
elemento distintivo, affinché una nuova
varietà vegetale possa essere tutelata da
brevetto, una serie di requisiti del tutto
analoghi a quanto richiesto dalle norme
generali sui brevetti. Per esempio, viene
riconosciuta la proprietà intellettuale a
chi, con le tecniche della selezione genetica tradizionale, ha costituito una varietà vegetale:
• nuova: il materiale di riproduzione o di
moltiplicazione e i prodotti di raccolta
della semente non sono mai stati venduti
o ceduti a terzi per l’utilizzazione produttiva;
• distinta: si distingue nettamente da tutte le altre varietà notoriamente conosciute, in particolare da quelle iscritte nel registro ufficiale delle varietà vegetali;
• omogenea: la riproduzione sessuale o
la moltiplicazione vegetativa esprime in
modo uniforme i caratteri pertinenti della varietà;
Protezione giuridica
delle invenzioni,
la Direttiva 98/44/CE
In mancanza di un quadro legislativo
specificamente dedicato, le invenzioni
biotecnologiche oggetto di brevetto sono
state spesso oggetto di polemiche e contestazioni, che hanno reso necessaria
un’azione di armonizzazione giuridica
a livello di Unione Europea. Con la Direttiva 98/44/CE del 1998 sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, l’UE attribuisce particolare importanza alle preoccupazioni di carattere
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etico, definendo gli strumenti di protezione della dignità umana e degli interessi
degli utilizzatori di prodotti coperti da
brevetti contro ogni indebito monopolio o
privilegio. La Direttiva pone particolare
attenzione alle sequenze geniche (e dispone che quelle di cui non sia specificata
alcuna funzionalità o applicazione industriale non possano essere brevettabili) e
chiarisce quanto previsto dalla Convenzione sul brevetto europeo in materia di
protezione dei diritti dei ricercatori, consentendo esplicitamente la sperimentazione di invenzioni di prodotto o di processo senza incorrere nella violazione dei
diritti brevettuali. In conclusione, la Direttiva concilia le esigenze di finanziamento della ricerca biotecnologica con
la domanda di controllo sociale sulla
brevettabilità del materiale vivente (per
esempio con norme che regolano le licenze obbligatorie tra i titolari di diritti brevettuali e titolari di diritti di costitutore).
Proprietà intellettuale,
l’evoluzione della
legislazione italiana
Il Decreto legislativo del 3 novembre
1998, n. 455, adegua la legislazione italiana a quanto previsto dalla riforma del
1991 della Convenzione Upov sui vegetali. La Direttiva 98/44/CE è legalmente
operativa in tutti i Paesi membri dell’Unione Europea dal 30 luglio 2000, ma
non è ancora stata recepita nella legislazione italiana. L’atto formale del recepimento sancirebbe il rinnovato impegno
del Paese nell’innovazione biotecnologica e contribuirebbe a creare le condizioni perché l’Italia possa competere sul
piano internazionale.
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Glossario
Gene
Piccolissima quantità di DNA situata nel
nucleo della cellula, capace di duplicarsi,
mutare e trasmettersi indefinitamente
per eredità. È l’unità fondamentale del
sistema genetico: determina le caratteristiche strutturali e funzionali di ciascun
individuo.
Biotecnologia
È l’insieme di tutte le tecnologie che utilizzano organismi viventi (batteri, lieviti,
cellule vegetali o animali ...) o loro componenti per lo sviluppo di nuovi prodotti
o processi. In questa definizione rientrano le biotecnologie tradizionali, come
l’utilizzo delle attività fermentative dei
microrganismi, e quelle ‘innovative’, che
fanno ricorso alle tecniche dell’ingegneria genetica, prima fra tutte quella del
DNA ricombinante.
Genoma
L’insieme del patrimonio ereditario di un
organismo che corrisponde, in senso fisico, all’insieme del DNA.
DNA (acido deossiribonucleico)
Il DNA è la molecola che costituisce i geni: la sua struttura a doppia elica racchiude e trasmette tutte le informazioni
necessarie allo sviluppo e alle funzioni
biologiche e riproduttive della singola
cellula o dell’individuo pluricellulare.
Ingegneria genetica
L’insieme di tecniche multidisciplinari
volte a isolare, analizzare e modificare
elementi del patrimonio genetico di un
organismo o di un individuo.
OGM
È la sigla con la quale si indicano gli
‘Organismi Geneticamente Modificati’,
quelli cioè le cui caratteristiche sono state migliorate con la tecnica del DNA ricombinante.
DNA ricombinante
Tecnica dell’ingegneria genetica che permette di estrarre il DNA dalla cellula di
un organismo, isolarne i geni che interessano e inserirli (eventualmente dopo
averli modificati) in cellule di organismi
diversi. In questo modo è possibile modificare il corredo genetico di un organismo e quindi trasferirgli delle caratteristiche di cui era privo.
Transgenico
È l’organismo, vegetale o animale, nel
cui genoma sono stati apportati cambiamenti mediante la modificazione o l’introduzione di geni con la tecnica del DNA
ricombinante.
Enzima
Proteina che funziona da catalizzatore
biologico: è cioè in grado di facilitare o
rendere realizzabile (per temperatura e
condizioni fisiologiche) una specifica
reazione biochimica.
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Note biografiche
Nicola Borzi
Nicola Borzi è nato nel 1966 in provincia
di Mantova. Dopo studi di economia, nel
1991 frequenta l’Istituto per la formazione al giornalismo di Milano, dove si specializza in comunicazione finanziaria e
scientifica. Iniziata la collaborazione con
Il Sole 24 Ore, nel 1993 partecipa alla
fondazione del quotidiano ‘La Voce di
Mantova’.
Nel 1996 collabora con Alessandro Mastrantonio alla fondazione di ‘Agrisole’, il
settimanale del Sole 24 Ore dedicato all’agricoltura e al sistema agroindustriale, per il quale si occupa di biotecnologie
agroalimentari in oltre 150 articoli. Nel
1998 è ospite del Governo Usa per un
tour di due settimane negli Stati Uniti dedicato ad approfondire sul campo e nei
centri di ricerca i temi delle biotech agricole e della sicurezza alimentare. Dal luglio 2000 lavora al sito Internet del Sole
24 Ore per il quale segue ancora, tra l’altro, i temi della sicurezza agroalimentare
e delle biotecnologie vegetali.
Massimo Delledonne
Massimo Delledonne è nato a Cortemaggiore (PC) nel 1963. Si laurea in Scienze
Agrarie presso l’Università Cattolica del
S. Cuore di Piacenza nel 1988. Nel 1994
consegue il titolo di dottore di ricerca in
Biotecnologie molecolari. Dal novembre
dello stesso anno è ricercatore in genetica agraria presso la Facoltà di Agraria
dell’Università Cattolica.
Docente di Biotecnologie genetiche presso la Facoltà di Scienze dell’Università di
Verona nell’ambito del corso di Laurea in
Biotecnologie agroindustriali a partire
dal 1998, nel 2001 è chiamato dall’Università Cattolica a svolgere lo stesso corso in qualità di Professore Associato.
Fra il 1990 al 2000 svolge numerosi periodi di ricerca all’estero presso il Department of Genetics dell’Iowa State University e presso il Plant Molecular and
Cellular Biology Laboratory del Salk Institute for Biological Studies. Si occupa di
genetica formale e molecolare, in modo
particolare della resistenza delle piante
agrarie nei confronti di stress biotici, dalla comprensione di aspetti specifici della
fisiologia e dell’ereditarietà fino alla messa a punto di materiale genetico migliorato. È membro della Società Italiana di
Genetica Agraria, della Società Italiana di
Fisiologia Vegetale e dell’American Society of Plant Biologists.
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È possibile richiedere
gratuitamente l’opuscolo
Biotecnologie in agricoltura
Realtà, sicurezza e futuro
rivolgendovi a:
Assobiotec
Associazione Nazionale
per lo sviluppo
delle biotecnologie
Via Giovanni da Procida 11
20149 Milano
Tel. ++39 02 34565306
Fax ++39 02 34565284
E-mail [email protected]
Internet http://assobiotec.federchimica.it
I.P.