3 luglio 2013
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Genetica
Trasformare per migliorare
Sergio Salvi
Tolleranza agli stress ambientali
e produzione di composti benefici
alla salute umana: gli effetti positivi
della transgenesi.
Il primo organismo geneticamente modificato risale al
1973, anno in cui Stanley Cohen e colleghi modificarono
per la prima volta il patrimonio genetico di un batterio
mediante tecniche d’ingegneria genetica, introducendo
un gene che conferiva la resistenza all’antibiotico streptomicina [1].
Il risultato dei ricercatori statunitensi fu possibile grazie
a tre importanti scoperte fatte negli anni precedenti:
quelle degli enzimi di restrizione, della Dna-ligasi e delle prime tecniche di trasformazione batterica.
Grazie alla possibilità di tagliare e “cucire” segmenti di
Dna a piacere e introdurre i costrutti così ottenuti
all’interno di un organismo ospite in grado di replicarli,
le porte della transgenesi si dischiusero, a cascata, praticamente per ogni specie vivente. Nel 1974 si ebbe il
primo animale transgenico (un topo il cui genoma fu
trasformato mediante l’inserimento di Dna virale [2]),
mentre nel 1983 fu ottenuta la prima pianta transgenica, contenente un gene batterico in grado di conferire
resistenza all’antibiotico kanamicina [3].
La possibilità di trasformare le piante si ebbe grazie alla
manipolazione della naturale capacità del batterio Agrobacterium tumefaciens di infettare le cellule vegetali
di molte specie dicotiledoni e di trasferirvi parte del
proprio patrimonio genetico (un plasmide denominato
Ti, dall’inglese Tumor inducing) inducendo la formazione di tumori. Manipolando il plasmide Ti in modo da
eliminare i geni responsabili dell’attività tumorigena e
mantenendo inalterata la capacità d’inserimento di una
sua parte nel genoma dell’ospite, i ricercatori riuscirono
a trasformare stabilmente le cellule vegetali impiegate,
semplicemente inserendo nella porzione infettante del
Dna di Agrobacterium i geni che si desideravano veicolare nella pianta. Questa tecnica di trasformazione è an-
cora oggi utilizzata di routine nei laboratori di tutto il
mondo.
Dal momento che Agrobacterium non è in grado di infettare le specie monocotiledoni (quali riso, mais e frumento), per la loro trasformazione fu sviluppata la cosiddetta biolistica [4], una tecnica con la quale microsfere metalliche ricoperte di Dna trasformante sono letteralmente “sparate” all’interno delle cellule. Il Dna così
veicolato, una volta staccatosi dalle microsfere, va a integrarsi nel genoma vegetale e successivamente viene
effettuata la selezione delle piante trasformanti. La biolistica ha quindi aperto la strada alla trasformazione dei
cereali: l’esempio più famoso di cereale transgenico ottenuto con questa tecnica è il mais Bt, capace di produrre una proteina tossica, sintetizzata da un gene del batterio Bacillus thuringiensis inserito nel genoma della
pianta, in grado di contrastare gli attacchi della piralide
[5].
La transgenesi ha consentito lo sviluppo di piante geneticamente modificate aventi caratteristiche molto diversificate. Sono state ottenute – solo per fare qualche esempio – varietà resistenti a malattie, a insetti dannosi,
a erbicidi e a stress ambientali come la siccità, oppure
utilizzate come bioreattori per la produzione di anticorpi, vaccini e sostanze ad attività farmacologica in planta
o, ancora, impiegate nella fitodepurazione ambientale.
Un importante percorso è stato intrapreso verso la realizzazione di varietà migliorate sotto il profilo nutrizionale. Uno degli esempi più famosi è il riso ‘Golden Rice’,
nel quale sono stati inseriti i geni del pathway biosintetico dei carotenoidi, concepito – e successivamente migliorato con la realizzazione del ‘Golden Rice 2’ – al fine
di aumentare l’apporto di beta-carotene (precursore
della vitamina A) alla dieta tipica di molte popolazioni
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sazione di “manipolazione” del significato culturale e
simbolico attribuito da sempre a questo cereale [7].
Tuttavia, la ricerca scientifica ha provato a percorrere
strade alternative alla transgenesi classica nel tentativo
di agevolare l’accettazione di questo importante approccio al miglioramento vegetale: è il caso del ricorso alla
cosiddetta cisgenesi, ossia la trasformazione mediante
l’introduzione di geni provenienti da altre varietà di una
data specie oppure da specie differenti purché in grado
di dare luogo a incroci interspecifici. Si tratta di operare
una selezione “a tavolino” (o meglio, in laboratorio) di
una o più varianti alleliche di geni esprimenti caratteristiche utili (per esempio, la resistenza a una malattia)
che, in condizioni naturali, potrebbero essere normalmente trasferite mediante incrocio spontaneo, e di inserirle nella pianta ospite impiegando le tecniche già in
uso nella transgenesi classica. In questo modo, si evita
di introdurre nella pianta geni posseduti da specie che
in natura non potrebbero mai incrociarsi. Inoltre, il trasferimento genico risulta essere più specifico e mirato
rispetto all’incrocio classico e i tempi di costituzione di
nuove varietà sono significativamente ridotti rispetto a
quelli richiesti dagli schemi classici di breeding [8].
È comunque fuori di dubbio che per assicurare
un’adeguata offerta di cibo a una popolazione mondiale
in continua crescita sarà necessario mettere insieme un
kit di tecniche agricole il più assortito possibile. Come
afferma Tom Standage in un suo recente libro [9]: “È
troppo semplicistico suggerire che il mondo deve scegliere tra il fondamentalismo organico da una parte e
la fede cieca nella biotecnologia dall’altra. Il futuro
della produzione alimentare, e dell’umanità, è sicuramente nel mezzo, un terreno intermedio vasto e fertile”.
asiatiche, presso le quali il consumo di riso “brillato”
(ossia privato della cuticola, unica fonte di vitamina A
nel chicco) è predominante al pari della carenza cronica
di questa vitamina, responsabile di cecità e mortalità
infantile [6].
Il ‘Golden Rice’ è però diventato anche uno degli esempi
più emblematici del problema che da sempre accompagna la diffusione degli organismi geneticamente modificati: il loro rifiuto sulla base di timori derivanti dalla
loro potenziale dannosità per la salute e per l’ambiente,
seppure a fronte dei vantaggi che la diffusione di una
specie migliorata – in questo caso nel suo profilo alimentare – può arrecare.
Nonostante dal mondo della ricerca scientifica giungano continuamente rassicurazioni sull’innocuità degli
Organismi geneticamente modificati (Ogm) e sulla loro
sostanziale equivalenza alle corrispettive varietà non
trasformate, le resistenze di larga parte dell’opinione
pubblica, di numerosi mezzi di comunicazione e – di
conseguenza – della maggior parte dei politici hanno
determinato, in molti Paesi, la messa al bando della diffusione di organismi geneticamente modificati e, in alcuni (tra cui l’Italia), persino il divieto di condurre attività di ricerca e sperimentazione sulle colture transgeniche. Nel caso del nostro Paese, l’unico modo di svolgere attività di ricerca e sperimentazione sugli Ogm diventa quello di “agganciarsi” a partners internazionali,
come è avvenuto di recente per il progetto europeo Amiga, iniziato nel dicembre 2011 e coordinato dal Centro ricerche Enea della Trisaia (Basilicata), che vede la
partecipazione di 22 partners europei e uno argentino.
Non vi saranno test in campo per gli Ogm in Italia, delegati ad altri partners del consorzio, tra cui l’Irlanda,
dove per quattro anni saranno effettuate prove di campo con patate geneticamente modificate esprimenti la
resistenza alla peronospora (Phytophthora infestans),
fungo patogeno abitualmente contenuto con l’utilizzo di
pesticidi.
Non c’è quindi da meravigliarsi se la possibilità di diffondere alcune particolari specie vegetali transgeniche
abbia provocato “levate di scudi” su scala globale. Emblematico in questo senso è il caso del frumento: diverse varietà transgeniche di frumento sono già state prodotte e sono oggetto di sperimentazione (in campo o in
serra), ma finora tutti i Paesi del mondo ne hanno respinto l’introduzione in coltura effettiva, preoccupati
non solo per i presunti rischi sul piano sanitario e ambientale, ma anche influenzati da una più generica sen-
Riferimenti bibliografici
[1] Cohen S. N., Chang A. C., Boyer H. W., Helling R. B.,
1973. Construction of biologically functional bacterial
plasmids in vitro. Proceedings of the national academy
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[2] Jaenisch R., Mintz B., 1974. Simian virus 40 Dna
sequences in Dna of healthy adult mice derived from
preimplantation blastocysts injected with viral Dna.
Proceedings of the national academy of science Usa,
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[3] Fraley R. T., Rogers S. G., Horsch R. B., Sanders P.
R., Flick J. S., Adams S. P., Bittner M. L., Brand L. A.,
Fink C. L., Fry J. S., Galluppi G. R., Goldberg S. B.,
Hoffmann N. L., Woo S. C., 1983. Expression of bacterial genes in plant cells. Proceedings of the national
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[5] Estruch J. J., Carozzi N. B., Desai N., Duck N. B.,
Warren G. W., Koziel M. G., 1997. Transgenic plants: an
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[6] Paine J. A., Shipton C. A., Chaggar S., Howells R.
M., Kennedy M. J., Vernon G., Wright S. Y., Hincliffe E.,
Adams J. L., Silverstone A. L., Drake R., 2005. Improving the nutritional value of Golden Rice through increased pro-vitamin A content. Nature biotechnology,
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[7] Aa. Vv., 2006. Grano o grane - La sfida Ogm in Italia. Manni editori, San Cesario di Lecce.
[8] Jacobsen E., Schouten H. J., 2007. Cisgenesis
strongly improves introgression breeding and induced
translocation breeding of plants. Trends in biotechnology, 25, 219-223.
[9] Standage T., 2010. Una storia commestibile
dell’umanità. Codice edizioni, Torino
Sergio Salvi, biologo, è ricercatore di genetica e biologia molecolare.
www.intersezioni.eu
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