Asma: impostazione del trattamento “a step” nelle più recenti versioni delle Linee Guida il paziente deve essere asintomatico con normale funzione respiratoria e senza risvegli notturni. Per la maggior parte dei pazienti, come trattamento sintomatico si raccomanda un β2-agonista a breve durata d’azione (SABA, Short-Acting Beta Agonist). Gli step di trattamento successivi, dal 2 al 5, combinano un farmaco sintomatico con un farmaco di controllo. Nello step 2, si raccomanda l’impiego di una terapia regolare con corticosteroidi inalatori (ICS) a basse dosi come trattamento iniziale di fondo nei pazienti con asma lieve persistente. È stato dimostrato che il trattamento con ICS a basse dosi riduce i sintomi di asma, aumenta la funzionalità polmonare, migliora la qualità della vita e riduce il rischio di riacutizzazioni e di ospedalizzazioni legate all’asma o di morte. Farmaci di controllo alternativi comprendono gli antileucotrienici che, tuttavia, sono meno efficaci degli ICS. Gli antileucotrienici possono essere indicati nei pazienti incapaci o non disposti ad assumere ICS, nei pazienti che soffrono di intollerabili effetti collaterali da ICS o nei soggetti con rinite allergica concomitante. La teofillina a lento rilascio ha un’efficacia limitata nell’asma, mentre gli effetti collaterali sono comuni e possono essere anche gravi. I cromoni (sodio nedocromile e sodio cromoglicato) hanno un profilo di sicurezza favorevole, ma scarsa efficacia. Lo step 3 prevede l’uso di una combinazione di ICS a basse dosi con un β2-agonista a lunga durata d’azione (LABA, Long-Acting Beta Agonist) (somministrati in un unico erogatore o assunti separatamente) come trattamento di fondo, con aggiunta di un SABA al bisogno. A causa dell’effetto additivo di queste associazioni è in genere sufficiente una bassa dose di steroidi inalatori, che può essere aumentata se il controllo non viene raggiunto entro 3-4 mesi. Un’altra opzione è l’impiego di un’associazione di ICS (budesonide o beclometasone) a basse Diagnosi Controllo dei sintomi e fattori di rischio (incluso funzionalità polmonare) Tecnica inalatoria e aderenza Preferenza del paziente Re per vision iod i ich e Aggiustamento trattamento e ion taz u Val Sintomi Riacutizzazioni Effetti collaterali Soddisfazione del paziente Funzionalità polmonare Farmaci per asma Strategie non farmacologiche Trattamento dei fattori di rischio modificabili Figura 3.1 Ciclo di trattamento dell’asma basato sul controllo (Global Initiative for Asthma. Pocket Guide, 2015). MALATTIE ALLERGICHE Gli obiettivi a lungo termine nella gestione dell’asma sono controllare i sintomi e ridurre al minimo il rischio di riacutizzazioni, danni alle vie aeree ed effetti collaterali dovuti all’assunzione di farmaci. L’approccio alla gestione dell’asma è basato sul controllo della malattia e viene regolato in un ciclo continuo di valutazione, aggiustamento del trattamento e rivalutazione della risposta terapeutica (Figura 3.1) (Global Initiative for Asthma, 2015). Le attuali Linee Guida GINA raccomandano un approccio progressivo a “step” per il trattamento dell’asma (Global Initiative for Asthma, 2015). Le opzioni terapeutiche per i diversi livelli di gravità dell’asma sono simili sia negli adulti sia nei bambini di età superiore ai 6 anni e sono elencate nella Figura 3.2. Il concetto è quello di un progressivo incremento del livello di terapia dallo “step 1“ allo “step 5”, con la possibilità di scegliere ad ogni livello tra l’opzione principale (quella che ha mostrato la maggiore efficacia comparativa negli studi clinici controllati) e le opzioni secondarie o alternative. La decisione di iniziare un trattamento regolare alla prima osservazione del paziente dipende dalla gravità dell’asma al momento della prima osservazione e dalla frequenza e dalla gravità delle riacutizzazioni. La scelta della terapia dovrà essere orientata dalla gravità dell’asma, da considerazioni relative all’efficacia e agli effetti collaterali dei farmaci da utilizzare, dall’aderenza del paziente allo schema di trattamento, nonché dalla valutazione e dalla gestione delle comorbidità e/o dei fattori aggravanti. In ogni caso, bisogna cercare di raggiungere gli obiettivi terapeutici con la minore quantità possibile di farmaci e con gli schemi terapeutici più semplici. Lo step 1 prevede il trattamento con un farmaco sintomatico nel paziente con asma intermittente lieve. Tra gli episodi, 23 STEP 1 Farmaci di controllo di prima scelta STEP 2 STEP 3 STEP 4 STEP 5 Bassa dose ICS Bassa dose ICS/LABA* Dose medio-alta ICS/LABA Trattamento add-on per es.: Anti-IgE Antileucotrieni (LTRA) Bassa dose di Teofillina* Dose medio-alta ICS Bassa dose ICS+LTRA (o + Teofillina*) Aggiungere Tiotropio# Alta dose ICS+LTRA (o + Teofillina*) Aggiungere Tiotropio# Aggiungere bassa dose steroide orale Altre opzioni Considerare bassa dose ICS Farmaci al bisogno SABA secondo necessità SABA secondo necessità o Bassa dose ICS/formoterolo** *Per bambini fra 6 e 11 anni la teofillina non è raccomandata e il trattamento di step 3 consigliato è la dose media di ICS. **Nei pazienti in terapia con bassa dose di budesonide/formoterolo o bassa dose di beclometasone/formoterolo il trattamento al bisogno è rappresentato da ICS a bassa dose/ formoterolo. #Il tiotropio, somministrato mediante inalatore Soft Mist, è un trattamento aggiuntivo per i pazienti con una storia di riacutizzazioni; non è indicato nei pazienti di età <18 anni. MALATTIE ALLERGICHE Figura 3.2 Approccio graduale al trattamento dell’asma (Global Initiative for Asthma. Pocket Guide, 2015). 24 dosi con formoterolo come strategia terapeutica sia di mantenimento che al bisogno. Le associazioni ICS/LABA approvate per il trattamento della malattia includono: fluticasone/formoterolo, fluticasone/salmeterolo, beclometasone/formoterolo, budesonide/formoterolo e mometasone/formoterolo. Un’altra opzione negli adulti e negli adolescenti è quella di incrementare il dosaggio degli ICS (dosi medie), ma questa strategia è meno efficace dell’aggiunta di un LABA. Altre opzioni meno efficaci includono l’aggiunta di un antileucotrienico agli ICS a basse dosi o la somministrazione di basse dosi di teofillina a lento rilascio. Nello step 4, la prima scelta è rappresentata dalla combinazione di ICS a basso dosaggio con formoterolo come terapia di mantenimento e al bisogno, oppure dalla combinazione di ICS a medio dosaggio con un LABA come terapia di mantenimento più un SABA al bisogno. Le alternative includono l’aggiunta di tiotropio negli adulti con esacerbazioni, l’impiego di una combinazione ICS/LABA con dosaggio alto di ICS, oppure l’aggiunta di un antileucotrienico o teofillina a lento rilascio. Nello step 5, che riguarda i pazienti con asma grave di difficile controllo, si raccomanda l’invio del paziente a specialisti con esperienza nella gestione dell’asma. Le opzioni di trattamento includono l’impiego di anticorpi monoclonali anti-IgE (omalizumab) che possono essere utilizzati nei pazienti con asma allergico grave. Il trattamento guidato dallo sputo indotto, se disponibile, migliora gli outcome. Un’opzione alternativa, recentemente introdotta, è la termoplastica bronchiale (TB) che può essere utilizzata in alcuni pazienti adulti con asma grave; tuttavia, le evidenze attuali sono limitate e gli effetti a lungo termine non sono noti. Alcuni pazienti possono trarre beneficio dal trattamento con corticosteroidi orali (OCS) a basse dosi (prednisone ≤7.5 mg/die o equivalente), ma possono osservarsi effetti collaterali sistemici a lungo termine. Dopo l’impostazione della terapia e la scelta del livello di trattamento consigliato, i pazienti devono essere visitati periodicamente, preferibilmente entro 1-3 mesi dopo l’inizio del trattamento e ogni 3-12 mesi dopo tale visita (escluse le donne in gravidanza che devono essere visitate ogni 4-6 settimane) al fine di valutare la risposta al trattamento. Dopo una riacutizzazione, la visita di controllo deve essere effettuata entro una settimana. La frequenza delle visite dipende dal livello iniziale di controllo ottenuto dal paziente, dalla risposta ai trattamenti precedenti e dalla capacità e collaborazione del paziente nell’iniziare un trattamento autogestito seguendo un piano terapeutico. In occasione di ogni visita di controllo, si dovrà verificare il livello di controllo, vale a dire se il paziente risulta controllato, parzialmente controllato o non controllato. I sintomi diurni e notturni, l’uso di farmaci sintomatici e le limitazioni delle attività sono gli indici clinici da valutare. La rivalutazione periodica dell’ottenuto controllo permette di adeguare la terapia sia in step-up che in step-down (Global Initiative for Asthma, 2015). L’incremento della terapia può essere a breve termine, per esempio durante le infezioni virali o l’esposizione ad allergeni. Prima di considerare un incremento sostenuto della terapia, è necessario valutare la presenza dei seguenti problemi: • tecnica inalatoria non corretta • aderenza terapeutica inadeguata • fattori di rischio modificabili (es. fumo) • presenza di sintomi dovuti a comorbidità (es. rinite allergica). Tali problemi dovranno essere affrontati e trattati prima di procedere ad un eventuale step-up terapeutico. Una volta ottenuto e mantenuto per 3 mesi un buon controllo dell’asma, si può prendere in considerazione una riduzione del trattamento, cercando il più basso livello di trattamento in grado di controllare sia i sintomi che le riacutizzazioni e con minimi effetti collaterali. Per lo step-down della terapia, è importante scegliere un momento appropriato (es. assenza di infezioni respiratorie, pazienti non in viaggio, donne non gravide). Lo step-down terapeutico va effettuato cercando di ridurre il dosaggio di ICS del 25-50% a intervalli di 2-3 mesi. Gli ICS non devono essere sospesi completamente (negli adulti o adolescenti) a meno che ciò non sia necessario temporaneamente per confermare la diagnosi di asma (Global Initiative for Asthma, 2015). Bibliografia •Global Initiative for Asthma. Global Strategy for Asthma Management and Prevention. Updated 2015. http://www.ginasthma.org/local/ uploads/files/GINA_Report_2015_Aug11.pdf •Global Initiative for Asthma. A Pocket Guide for Physicians and Nurses. Updated 2015. http://www.ginasthma.org/local/uploads/files/ GINA_Pocket_2015.pdf La rinite allergica: aspetti diagnostici e moderni approcci terapeutici La rinite o rinocongiuntivite allergica è una patologia della mucosa nasale sostenuta da un’infiammazione IgE-mediata, conseguente all’esposizione allergenica. È caratterizzata clinicamente da rinorrea acquosa, starnuti a salve, prurito nasale, ostruzione nasale e congiuntivite concomitante, reversibili spontaneamente o in seguito a terapia. Se lo stimolo allergenico è protratto nel tempo, l’infiammazione allergica può diventare cronica. La rinite allergica rappresenta un problema sanitario globale. È infatti diffusa in tutto il mondo e colpisce almeno il 10-25% della popolazione e la sua prevalenza è in aumento. Pur non essendo una patologia solitamente grave, la rinite allergica condiziona pesantemente la vita sociale dei pazienti ed influisce negativamente sul rendimento sia scolastico che lavorativo. Inoltre, i costi economici diretti e indiretti ad essa associati sono rilevanti. In passato, la rinite allergica veniva classificata in perenne, stagionale e occupazionale, in base alla durata e al tipo di esposizione. Attualmente si utilizza la classificazione ARIA, che si basa sulla durata e sulla gravità dei sintomi. Secondo tale classificazione, la rinite è definita “intermittente” se la durata dei sintomi è <4 giorni/settimana o <4 settimane, o DIAGNOSI DI RINITE ALLERGICA (storia +/- SPT* o IgE specifiche nel siero) ALLONTANAMENTO DELL’ALLERGENE lievi Non in ordine preferenziale: • H1 bloccanti orali • H1 bloccanti intranasali • e/o decongestionanti SINTOMI PERSISTENTI moderati/lievi severi Non in ordine preferenziale: • H1 bloccanti orali •H1 bloccanti intranasali • e/o decongestionanti • corticosteroidi intranasali •(cromoni) nelle riniti persistenti rivedere il paziente dopo 2-4 settimane se fallimento: step-up se miglioramento: continuare per 1 mese moderati/severi corticosteroidi intranasali rivedere il paziente dopo 2-4 settimane migliorato step-down e continuare la terapia per 1 mese non migliorato rivedere la diagnosi rivedere la terapia indagare infezioni o altre cause aumentare rinorrea le dosi di aggiungere corticosteroidi ipratropio inalatori prevalenza di starnuti aggiungere H1 bloccanti SE CONGIUNTIVITE aggiungere: H1 bloccanti orali, H1 bloccanti intraoculari, cromoni intraoculari, salina CONSIDERARE L’IMMUNOTERAPIA SPECIFICA In caso di miglioramento: step-down. In caso di peggioramento: step-up. decongestionante o corticosteroide orale (a breve termine) fallimento consultare il chirurgo MALATTIE ALLERGICHE SINTOMI INTERMITTENTI *SPT= skin prick test Figura 3.3 Algoritmo diagnostico della rinite allergica (ARIA, 2014). 25 “persistente” se la durata dei sintomi è >4 giorni/settimana e >4 settimane. In termini di gravità, la rinite può essere classificata in “lieve” (sonno conservato, nessuna limitazione nelle attività quotidiane, normale attività lavorativa o scolastica, assenza di sintomi fastidiosi) o “moderata/grave” (presenza di almeno una delle seguenti condizioni: alterazioni del sonno, limitazioni delle attività quotidiane, riduzione delle prestazioni lavorative o scolastiche, sintomi gravi) (ARIA, 2014). La rinite allergica è più frequente in età scolare, mentre è rara prima dei 2 anni di vita. Sebbene possa verificarsi a qualsiasi età, l’esordio più comune è nel periodo puberale. Insieme alla dermatite atopica, è parte della cosiddetta “marcia atopica o allergica” (ossia lo sviluppo progressivo delle malattie allergiche durante l’infanzia, dalla dermatite atopica, alla rinite allergica, all’asma bronchiale). Inoltre, l’asma e la rinite sono comunemente associate (comorbidità) e la rinite rappresenta un fattore di rischio per l’insorgenza di asma. Tale osservazione ha suggerito il concetto di “una via aerea, una malattia”, secondo il quale l’asma e la rinite allergica sarebbero espressione di un’unica malattia infiammatoria delle alte e basse vie respiratorie (Progetto-ARIA, 2014). La diagnosi di rinite allergica si basa innanzitutto sull’anamnesi personale che deve indagare la presenza dei sintomi LIEVE INTERMITTENTE MOD/GRAVE tipici (rinorrea acquosa, starnuti, prurito) e sull’anamnesi familiare positiva per allergia. Per la conferma sono disponibili diversi test diagnostici, che includono il prick test (che è l’esame di prima scelta), il dosaggio delle IgE allergene-specifiche nel siero e il test di provocazione nasale specifico (utilizzato soprattutto a scopi di ricerca e, raramente, nella pratica clinica). Le indagini di secondo livello comprendono la citologia nasale e dell’escreato, la rinoscopia posteriore, l’endoscopia e la tomografia computerizzata (TC) (Figura 3.3) (ARIA, 2014). Nei pazienti con rinite persistente è necessario valutare la possibile coesistenza di asma mediante anamnesi, esame obiettivo e, se opportuno, spirometria con test di provocazione bronchiale aspecifica. Analogamente, nei pazienti asmatici si dovrebbe indagare l’eventuale presenza di rinite tramite anamnesi ed esame obiettivo (Progetto-ARIA, 2014). Per quanto concerne l’approccio terapeutico, i 4 cardini sono rappresentati da: allontanamento dell’allergene, ove possibile; educazione del paziente, sempre indicata; farmacoterapia, che deve essere caratterizzata da efficacia, sicurezza e facilità di somministrazione; ed immunoterapia specifica, che è l’unica terapia in grado di modificare la storia naturale della malattia. LIEVE Antistaminico orale o nasale e/o decongestionante nasale* o steroide nasale (o cromone) Antistaminico orale o nasale e/o decongestionante nasale*, LTRA§ MALATTIE ALLERGICHE RIVEDERE DOPO 2-4 SETTIMANE Migliora: ridurre e continuare il trattamento per 1 mese Non migliora: aumentare terapia Steroide nasale, antistaminico o LTRA RIVEDERE DOPO 2-4 SETTIMANE Non migliora: Rivedere diagnosi Compliance? Altre cause? Migliora: continuare 1 mese Aggiunge Aggiungere Rinorrea decongest., Aggiungere decongestionante*, steroide steroide orale orale ipratropio Aumentare steroide topico Aggiungere antistaminico Misure di prevenzione/allontanamento dell’allergene Se congiuntivite aggiungere: antistaminico orale o topico o cromone topico CONSIDERARE IMMUNOTERAPIA SPECIFICA *Solo nei soggetti di età >12 anni. § LTRA (antileucotrienici) 26 PERSISTENTE MOD/GRAVE Figura 3.4 Trattamento della rinite allergica (Progetto-ARIA, 2014). Non migliora: CONSIDERARE CHIRURGIA La tollerabilità è stata buona per entrambi gli antistaminici (Day et al, 1998). Gli steroidi nasali sono i farmaci più efficaci nella rinite allergica e agiscono efficacemente anche sull’ostruzione nasale e sull’iposmia. Cominciano ad agire dopo 6-12 ore, ma l’effetto è massimo in alcuni giorni. Ciò nonostante, occorre tenere presente i possibili effetti avversi di tali farmaci sulla crescita nei bambini, anche se alcuni studi hanno dimostrato che, alle dosi usuali, mometasone e fluticasone non producono effetti negativi sulla crescita (Progetto-ARIA, 2014). In ogni caso, gli steroidi sistemici non devono essere utilizzati per lunghi periodi di tempo per ragioni di sicurezza. I cromoni possono essere impiegati per il trattamento della rinite e della congiuntivite allergica, ma la loro efficacia è modesta. L’ipratropio può essere utilizzato per trattare la rinorrea, se questa è importante. I decongestionanti topici possono essere utilizzati negli adulti e nei bambini sopra i 12 anni, ma solo per brevi periodi di tempo, se l’ostruzione nasale è molto severa. I decongestionanti orali non devono essere impiegati nei pazienti pediatrici (ARIA, 2014). La terapia farmacologica delle congiuntiviti prevede l’utilizzo di antistaminici, vasocostrittori, FANS e steroidi topici, oltre all’impiego di antistaminici orali in presenza di rinite ed il ricorso alla immunoterapia specifica che trova indicazione se sono presenti rinite e/o asma (ARIA, 2014). L’immunoterapia specifica è efficace se correttamente prescritta e somministrata. Di solito, non è raccomandata nei bambini al di sotto dei 5 anni, a meno che non vi siano indicazioni specifiche. L’immunoterapia specifica è tuttavia l’unico trattamento potenzialmente in grado di modificare il corso naturale della malattia e può prevenire l’insorgenza di asma (Progetto-ARIA, 2014). Bibliografia •Allergic Rhinitis and its Impact on Asthma (ARIA). Progetto mondiale ARIA 2014. Linee-Guida Italiane. Modena, Marzo 2014. www.progettoaria.it/materiale/2014/ARIA-LIBRA-2014-final.pdf •Day JH, Briscoe M, Widlitz MD. Cetirizine, loratadine, or placebo in subjects with seasonal allergic rhinitis: effects after controlled ragweed pollen challenge in an environmental exposure unit. J Allergy Clin Immunol 1998; 101(5):638-45. •Progetto ARIA - Gestione della rinite allergica e del suo impatto sull’asma. Guida Tascabile 2014. www.progetto-aria.it/materiale/ guida_tascabile.pdf. MALATTIE ALLERGICHE Come per l’asma, anche la strategia terapeutica per la rinite allergica prevede un approccio “a gradini o step” in base alla durata e alla gravità della malattia (Figura 3.4) (Progetto-ARIA, 2014). In generale, i principi di trattamento sono gli stessi nei bambini e negli adulti, ma occorre una particolare attenzione per evitare l’insorgenza di effetti collaterali nei pazienti in età pediatrica. Le dosi dei farmaci devono essere adattate e devono essere rispettate le speciali avvertenze. Tuttavia, pochissimi farmaci sono testati clinicamente nei bambini al di sotto dei 2 anni di età. Inoltre, è importante ricordare che nei bambini la rinite allergica può alterare le funzioni cognitive riducendo il rendimento scolastico, che può essere ulteriormente peggiorato dall’uso di antistaminici orali con effetto sedativo (Progetto-ARIA, 2014). Gli antistaminici orali o topici di seconda generazione (cetirizina, levocetirizina, loratadina, desloratadina e fexofenadina) sono raccomandati per il trattamento della rinite e della congiuntivite negli adulti e nei bambini, e sono efficaci sui sintomi mediati dall’istamina quali rinorrea, starnuti e prurito. Inoltre, hanno meno effetti sedativi rispetto agli antistaminici di prima generazione; in particolare, studi clinici hanno mostrato che la cetirizina al dosaggio raccomandato ha effetti indesiderati minori a livello del SNC in termini di sonnolenza, affaticamento, capogiri e cefalea. Cetirizina si è dimostrata efficace nel trattamento di rinite allergica stagionale e perenne, in adulti e bambini con rinite allergica stagionale (SAR) e rinite allergica persistente/perenne (PAR). Ad esempio, per quanto riguarda la SAR, uno studio randomizzato, in doppio cieco, a gruppi paralleli ha confrontato cetirizina vs un altro antistaminico (loratadina) o placebo, in monosomministrazione giornaliera, nel trattamento di pazienti adolescenti e adulti. I pazienti sono stati esposti al polline allergizzante per 2 giorni consecutivi e successivamente trattati con cetirizina 10 mg (n=67), loratadina 10 mg (n=67) o placebo (n=68). Cetirizina è stata più efficace rispetto a loratadina e placebo per quanto riguarda i due principali endpoint di efficacia dello studio, ossia la variazione rispetto al basale del MSC (punteggi individuali compositi dei principali sintomi) e la variazione rispetto al basale del TSC (punteggio totale dei sintomi) dopo esposizione naturale al polline. Per entrambi gli endpoint di efficacia, la differenza a favore di cetirizina vs loratadina e placebo è stata significativa (p≤0.01). La rapidità di insorgenza dell’azione sui sintomi è stata migliore per cetirizina vs loratadina (2 ore vs 3 ore). 27 MALATTIE NEUROLOGICHE L’emicrania, una condizione dai molteplici aspetti clinici: approccio razionale al trattamento sintomatologico 28 L’emicrania è una cefalea primaria caratterizzata da attacchi ricorrenti di cefalea di tipo pulsante a localizzazione generalmente unilaterale, di intensità moderata o forte, aggravata dai movimenti e associata a nausea, vomito, fonofobia e/o fotofobia. La durata di un attacco può variare dalle 4 alle 72 ore. L’attuale classificazione dell’International Headache Society (IHS), l’International Classification of Headache Disorders (ICHD-II, 2004) (Olesen J, 2005) elenca diversi tipi e sottotipi di emicrania. In generale, esistono due forme principali di emicrania: l’emicrania senza aura e l’emicrania con aura, che si distinguono in base all’assenza o alla presenza di particolari sintomi neurologici transitori e reversibili che precedono la fase dolorosa, definiti nel loro complesso aura emicranica (Figura 4.1). L’emicrania è una delle malattie neurologiche più comuni e invalidanti, e ha un notevole impatto sulla vita familiare, sociale e lavorativa dei pazienti, soprattutto quando gli attacchi sono molto frequenti o addirittura quotidiani. In Europa, la prevalenza media di emicrania nella popolazione adulta è pari al 14.7% (17% nel sesso femminile e 8% nel sesso maschile), con un picco tra i 25 e i 55 anni, ovvero nel periodo di maggiore produttività (Stovner LJ, Andrée C, 2010). Per la sua diffusione e il suo carattere disabilitante, l’emicrania può essere considerata una vera e propria malattia sociale con elevati costi economici, diretti (spese mediche, farmaci, ricoveri) e indiretti (perdita di produttività lavorativa, assenteismo). In Italia, i costi complessivi, sia diretti che indiretti, dell’emicrania ammontano a circa 3,5 miliardi di euro l’anno (Andlin-Sobocki P et al, 2005). Se si considera che i pazienti emicranici sono costretti, a causa degli attacchi emicranici, a limitare gli impegni lavorativi e scolastici, come pure le attività sociali e familiari, si può facilmente comprendere come i costi indiretti (es. perdita di produttività) siano notevolmente superiori rispetto a quelli diretti. A tutto ciò va aggiunto l’impatto dei cosiddetti costi intangibili, che non possono essere misurati direttamente (come il dolore, l’ansia, ecc.) e che incidono sulla qualità di vita del paziente. Inoltre, rispetto ad altre patologie croniche, i soggetti emicranici presentano una maggiore incidenza di comorbidità (es. ansia e depressione), per cui consultano più spesso il medico e richiedono un maggior numero di esami diagnostici. La diagnosi di emicrania è fondamentalmente clinica. Un’anamnesi accurata è essenziale per formulare una diagnosi corretta utilizzando i criteri diagnostici dell’IHS. In particolare, l’anamnesi deve includere tutte le caratteristiche della cefalea, quali frequenza e durata degli attacchi, tipo di dolore, intensità della cefalea, ecc. L’esame obiettivo deve servire a confermare o confutare il sospetto diagnostico di una forma di cefalea secondaria e dovrebbe includere la misurazione della pressione arteriosa, della frequenza cardiaca e della temperatura corporea, oltre all’esame di alcune strutture come i seni paranasali, le carotidi, lo scalpo, i muscoli paravertebrali cervicali e le articolazioni temporo-mandibolari (Linee Guida SISC, 2011). Va, inoltre, effettuato un esame neurologico completo, con particolare attenzione alla presenza di segni di irritazione meningea, segni neurologici focali, alterazioni del fondo oculare e dello stato di coscienza (Linee Guida SISC, 2011). EMICRANIA SENZA AURA A. Almeno 5 attacchi che soddisfino i criteri B-D B. Gli attacchi durano dalle 4 alle 72 ore (senza trattamento o con trattamento inefficace) C. La cefalea presenta almeno due delle seguenti caratteristiche: • Unilateralità • Dolore pulsante • Intensità media o severa • Aggravamento indotto dallo sforzo fisico D. La cefalea è accompagnata da almeno uno dei seguenti sintomi: • Nausea e/o vomito • Foto e fonofobia E. Non attribuibile ad altra patologia EMICRANIA CON AURA A. Almeno due attacchi che soddisfino i criteri B-D B. L’aura è caratterizzata da almeno uno dei seguenti sintomi ma non da debolezza muscolare: • Sintomi visivi completamente reversibili rappresentati sia da sintomi positivi (spot e linee luminose, luci scintillanti) e/o sintomi negativi (perdita del visus) • Sintomi sensitivi completamente reversibili rappresentati sia da sintomi positivi (parestesie a tipo formicolio) e/o sintomi negativi (sensazione di intorpidimento) • Disturbo dell’eloquio completamente reversibile C. Almeno 2 delle seguenti caratteristiche: • Sintomi visivi omonimi e/o sintomi sensitivi unilaterali • Almeno un sintomo dell’aura si sviluppa progressivamente in almeno 5 minuti e/o sintomi di aura differenti compaiono in successione oltre i 5 minuti • Ciascun sintomo dura almeno 5 minuti e non supera i 60 minuti D. Cefalea che soddisfa i criteri B-D per l’emicrania senza aura, inizia durante l’aura o entro i 60 minuti successivi E. Non attribuibile ad altra patologia Figura 4.1 Criteri diagnostici per l’emicrania senza aura e per l’emicrania con aura. Gli esami strumentali e di laboratorio non sono generalmente indicati; tuttavia, l’esecuzione di indagini mirate è necessaria nel caso in cui l’anamnesi e/o l’esame obiettivo pongano il sospetto di una possibile origine secondaria della cefalea. La terapia farmacologica dell’emicrania si basa su due cardini fondamentali: la terapia sintomatica o abortiva; e la terapia di profilassi o preventiva. La prima ha come scopo primario l’interruzione dell’attacco quando esso sopraggiunge, mentre la seconda si propone di ridurre la frequenza, l’intensità e la durata degli attacchi. In generale, la terapia sintomatica è necessaria in tutti i pazienti emicranici. Il suo obiettivo è quello di ridurre l’intensità del dolore e dei sintomi associati e, se possibile, bloccare completamente l’attacco in tempi brevi in modo da permettere la ripresa delle attività quotidiane. Per il trattamento sintomatico sono disponibili numerosi presidi terapeutici sia specifici (triptani ed ergotaminici) che non specifici (FANS/analgesici, antiemetici). La terapia sintomatica può essere “graduale” (stepped care) o “stratificata” (stratified care). L’approccio graduale prevede l’utilizzo di farmaci non specifici come prima scelta e di farmaci specifici come seconda scelta in caso di inefficacia dei primi. L’approccio stratificato si basa sulla preliminare valutazione della gravità degli attacchi in un dato paziente; ciò consente di scegliere, fin dall’inizio, la terapia più adatta per il singolo attacco. Esso prevede la somministrazione di analgesici o FANS nelle crisi medio/ lievi e di triptani in quelle medio/forti. L’approccio stratificato permette di trattare in modo adeguato i pazienti con forme emicraniche più gravi fin dalla prima visita, evitando “ritardi” dovuti alla necessità di effettuare visite ripetute per valutare l’efficacia della terapia. Attualmente l’approccio graduale è stato abbandonato a favore dell’approccio stratificato. Un valido ausilio per l’uso della “terapia stratificata” nella pratica clinica è rappresentato dal questionario MIDAS che consente una rapida valutazione del grado di disabilità determinato dall’emicrania. RISCHIO CUMULATIVO DI RECIDIVA NELLE 48 H Frovatriptan vs. Rizatriptan Rischio cumulativo di recidiva (%) 50 40 p<0.05 30 10 0 0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 Tempo (ore) 80 70 *p<0.05 60 50 40 30 20 10 0 * 2-4 * * 4-8 9-12 12-16 16-20 20-24 24-36 36-48 Tempo (ore) Frovatriptan vs. Almotriptan Rischio cumulativo di recidiva (%) Rischio cumulativo di recidiva (%) Frovatriptan vs. Zolmitriptan 50 40 p<0.05 30 20 10 0 0 10 20 30 40 50 MALATTIE NEUROLOGICHE 20 Tempo (ore) Figura 4.2 Rischio cumulativo di recidiva negli studi di preferenza italiani tra triptani (Cortelli P et al, 2011). 29 TOLLERABILITÀ % di attacchi di emicrania con eventi avversi farmaco-correlati 10 Frovatriptan Altri 3 triptani 8 5 5 0 p<0.05 MALATTIE NEUROLOGICHE Figura 4.3 Percentuale di attacchi di emicrania con eventi avversi farmaco-correlati (Cortelli P et al, 2011). 30 I FANS sono indicati per il trattamento degli attacchi di intensità lieve o moderata e in caso di controindicazioni dei triptani. In ogni caso, è importante ricordare che i FANS non sono privi di effetti collaterali anche gravi e di controindicazioni che ne limitano l’uso in sottogruppi di pazienti. Alcuni FANS si trovano in commercio in associazione con caffeina, butalbital o codeina: tali associazioni sono sconsigliate per il rischio di maggiori effetti collaterali e per l’alta probabilità di indurre assuefazione/cronicizzazione. Gli ergotaminici sono una classe di farmaci ormai in disuso che è stata ampiamente soppiantata dai triptani. Anche se si tratta di farmaci ad azione antiemicranica specifica, le caratteristiche farmacologiche, gli effetti collaterali e i potenziali rischi collegati al loro uso cronico ne sconsigliano l’uso. Essi vanno riservati solo ai pazienti resistenti a tutti gli altri farmaci sintomatici, che non presentano controindicazioni note e che hanno una bassa frequenza di episodi di cefalea. I triptani (o agonisti dei recettori per la serotonina di tipo 5-HT1B/D) costituiscono la classe più importante di farmaci specifici per l’emicrania e sono indicati come farmaci di prima scelta per il trattamento degli attacchi emicranici di intensità forte o moderata. Sono caratterizzati da un meccanismo d’azione in grado di interferire con i meccanismi fisiopatogenetici dell’emicrania, e il loro profilo rischio/beneficio è il più favorevole tra i sintomatici disponibili. Tutti i triptani si sono dimostrati efficaci nel ridurre non solo il dolore, ma anche i sintomi di accompagnamento (foto e fonofobia, nausea e vomito) e la disabilità correlata all’attacco. L’efficacia dei triptani è stata confermata in numerosi studi nel trattamento di più attacchi (costanza dell’effetto), nel trattamento a lungo termine (assenza di tachifilassi) e nel trattamento sintomatico degli attacchi correlati al ciclo mestruale (Ferrari MD et al, 2002), (Pascual J et al, 2007). I diversi triptani sono molto simili tra loro per efficacia e profilo di tollerabilità. D’altra parte, alcune differenze di tipo farmacocinetico e la disponibilità di varie vie di somministrazione offrono la possibilità di scegliere un prodotto rispetto ad un altro in particolari situazioni cliniche. Ad esempio, frovatriptan ha l’emivita più lunga (26 ore) rispetto a tutti gli altri triptani; in virtù di ciò, può essere considerato farmaco di prima scelta nel trattamento dei pazienti con attacchi di lunga durata (es. episodi perimestruali di emicrania). Questa caratteristica può inoltre spiegare la minore incidenza di recidiva osservata nei pazienti trattati con frovatriptan rispetto ai pazienti trattati con altri triptani. A tal proposito, gli studi di preferenza italiani (Cortelli P et al, 2011) hanno dimostrato che l’assunzione di frovatriptan si associa ad un rischio significativamente più basso di recidiva rispetto a rizatriptan, zolmitriptan e almotriptan (Figura 4.2). Inoltre, il trattamento con frovatriptan è risultato associato, in questi studi, ad un’incidenza significativamente inferiore di eventi avversi farmaco-correlati rispetto agli altri triptani (Figura 4.3); in particolare, è stata riportata una minore incidenza di sintomi sia toracici (costrizione, peso retrosternale) che sistemici (parestesie, astenia). Bibliografia •Stovner LJ, Andrée C. Prevalence of headache in Europe: a review for the Eurolight project. J Headache Pain. 2010;11:289-99. •Andlin-Sobocki P, Jönsson B, Wittchen HU, Olesen J. Cost of disorders of the brain in Europe. Eur J Neurol. 2005;12 Suppl 1:1-27. •Olesen J. The International Classification of Headache Disorders, 2nd edition: application to practice. Funct Neurol 2005;20:61-8. •Linee Guida SISC. Società Italiana per lo Studio delle Cefalee (SISC). Linee Guida per la diagnosi e la terapia delle cefalee primarie. 2011. •Ferrari MD, Goadsby PJ, Roon KI, Lipton RB. Triptans (serotonin, 5-HT1B/1D agonists) in migraine: detailed results and methods of a meta-analysis of 53 trials. Cephalalgia 2002;22:633-658. •Pascual J, Mateos V, Roig C, et al. Marketed oral triptans in the acute treatment of migraine: a systematic review on efficacy and tolerability. Headache 2007;47:1152-1168. •Cortelli P, Allais G, Tullo V, Benedetto C, Zava D, Omboni S, Bussone G. Frovatriptan versus other triptans in the acute treatment of migraine: pooled analysis of three double-blind, randomized, cross-over, multicenter, Italian studies. Neurol Sci 2011;32(Suppl 1):S95-S98. I disturbi depressivi sono caratterizzati da una riduzione persistente del tono dell’umore, associata a perdita di interesse o piacere e diminuzione dell’energia. Spesso determinano compromissione del funzionamento sociale e della qualità di vita del paziente, con conseguenti notevoli costi diretti e indiretti per l’individuo e per l’intera società. La depressione maggiore (DM) è una condizione di comune riscontro in Medicina Generale. Di conseguenza, i Medici di Medicina Generale (MMG) devono essere in grado di riconoscerla e trattarla. Diversi studi hanno mostrato che i disturbi depressivi possono essere adeguatamente gestiti dal MMG. Recentemente, l’Institute for Clinical Systems Improvement (ICSI) ha pubblicato le nuove Linee Guida per la gestione della depressione dell’adulto nel setting delle cure primarie (Mitchell J et al, 2013). Tali Linee Guida forniscono un approccio operativo e pragmatico alla diagnosi e al trattamento dei pazienti con disturbi depressivi che afferiscono agli ambulatori di Medicina Generale. In particolare, è stato proposto un algoritmo diagnostico-terapeutico per assistere il MMG nel percorso assistenziale (Figura 4.4) (Mitchell J et al, 2013). Secondo le Linee Guida ICSI, la depressione deve essere sospettata nei pazienti che lamentano sintomi quali affaticamento, disturbi del sonno, disturbi cognitivi (es. perdita di memoria, difficoltà di concentrazione), variazioni del peso (perdita o incremento ponderale), sintomi somatici non giustificati da condizione medica (es. dolori cronici, disturbi gastrointestinali quali colon irritabile), visite frequenti (>5 anno), nonché nei pazienti che presentano alcuni fattori di rischio per la DM quali storia familiare o personale di DM e/o abuso di sostanze, perdita recente, presenza di patologie croniche, esposizione ad eventi molto stressanti (morte di una persona cara, divorzio), eventi traumatici (incidente stradale), importanti cambiamenti di vita (cambiamento di lavoro, difficoltà finanziarie), violenza o abusi domestici (Figura 4.4) (Mitchell J et al, 2013). Se si sospetta un disturbo depressivo, le Linee Guida ICSI consigliano di utilizzare uno strumento di screening standardizzato per identificare i pazienti con DM. Lo strumento più semplice è il PHQ-2 (Patient Health Questionnaire) che include due domande specifiche sull’umore depresso e sulla perdita di interesse o piacere (vedi Box 1a, Figura 4.4). Se il paziente risponde affermativamente ad una delle 2 domande, si somministra il questionario PHQ-9 completo per valutare la presenza di altri sintomi depressivi (Figura 4.5). Il PHQ-9 è composto da 9 item che corrispondono ai sintomi della DM secondo il DSM-IV, con un punteggio totale che può variare da 0 a 27. I punteggi compresi tra 0 e 9 indicano la presenza di una depressione sottosoglia, mentre i punteggi superiori a 9 indicano una depressione clinicamente rilevante. Il livello di gravità della depressione può essere valutato in base al punteggio ottenuto (5-9 = depressione sottosoglia; 10-14 = depressione minore/DM lieve; 15-19 = DM moderata; ≥20 = DM severa). PHQ-9 è stato validato come strumento sia per la diagnosi che per il monitoraggio della depressione nel setting delle cure primarie; può essere somministrato telefonicamente come pure al letto al paziente (Mitchell J et al, 2013). Per la diagnosi di depressione maggiore, le Linee Guida ICSI raccomandano di utilizzare i criteri stabiliti dal DSM-5 (Tabella 4.1). La diagnosi clinica si basa sull’anamnesi, sulla sintomatologia, sul decorso clinico e sulla risposta al trattamento. L’anamnesi e l’esame obiettivo sono generalmente sufficienti per escludere la presenza di patologie che possono essere associate a depressione (es. demenza, delirio, ipotiroidismo, morbo di Parkinson, ictus, malattie del tessuto connettivo, ecc.). In alcuni casi, l’uso e/o l’abuso di determinate sostanze o farmaci può spiegare la sintomatologia depressiva. Il MMG deve sempre valutare il rischio suicidario nel paziente con sintomi depressivi, indagando in maniera diretta la presenza di ideazioni suicidarie, intenzioni o piani di suicidio e precedenti tentativi. In caso di riscontro di un rischio significativo di autolesionismo o di suicidio, è indicato l’invio a consulenza specialistica. Per quanto concerne il trattamento, le Linee Guida ICSI raccomandano di adottare un modello di cura collaborativa, con un piano terapeutico condiviso e concordato dal paziente, che coinvolga il paziente e la sua famiglia nei processi decisionali. In questo modello di cura, il paziente viene assistito da un’équipe che include specialisti psichiatri e psicologi, oltre al MMG. Tale approccio si è dimostrato efficace nel migliorare l’aderenza terapeutica, gli esiti clinici e la qualità di vita dei pazienti. Gli obiettivi del trattamento includono: • remissione completa o miglioramento dei sintomi • recupero del funzionamento psico-sociale e della qualità di vita • prevenzione delle ricadute e recidive. Le principali opzioni terapeutiche consigliate nei pazienti con DM sono la farmacoterapia, la psicoterapia o una combinazione dei due trattamenti. La scelta dell’intervento deve essere guidata dalla gravità della malattia, dalle preferenze del paziente, dalla probabilità di aderenza al trattamento e dal rischio di effetti indesiderati, nonché dalla disponibilità e dal costo dei trattamenti (Mitchell J et al, 2013). La psicoterapia individuale o di gruppo è efficace nel trattamento dei disturbi depressivi. Anche se una discussione completa di questi approcci terapeutici esula dagli scopi della presente trattazione, gli interventi di terapia cognitivo-comportamentale, interpersonale e psicodinamica si sono dimostrati efficaci da soli o in combinazione con la terapia farmacologica nei pazienti con DM lieve o moderata. In particolare, la terapia cognitivo-comportamentale (CBT), la terapia interpersonale (IPT), la psicoterapia psicodinamica a breve termine (STPP, Short-Term Psychodynamic Psychotherapy) e il problem-solving (PST, Problem-Solving Treatment) sono tutte opzioni di documentata efficacia. Nei MALATTIE NEUROLOGICHE La depressione e il suo trattamento nella pratica della Medicina Generale 31 classi di farmaci indicate nel trattamento della depressione. Gli antidepressivi possono essere suddivisi nelle seguenti categorie: 1) antidepressivi triciclici (TCA), che comprendono amitriptilina, nortriptilina, protriptilina, imipramina, desipramina, doxepina e trimipramina; 2) inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI), che includono fluoxetina, sertralina, paroxetina, fluvoxamina, citalopram ed pazienti con depressione severa, la combinazione con la farmacoterapia è generalmente più efficace dei singoli interventi (Mitchell J et al, 2013). La farmacoterapia, in combinazione o meno con la psicoterapia, è il trattamento di prima scelta per la DM da moderata a severa, mentre la DM lieve può anche essere trattata con la sola psicoterapia. Gli antidepressivi includono diverse 1 Sospetta depressione (vedi Box 1a) • Presentazione (in aggiunta ad evidente tristezza) • Fattori di rischio • Strumenti di screening 2 Diagnosticare e caratterizzare la depressione maggiore con l’intervista clinica includendo: •Criteri DSM-5 (vedi Box 2a) •Diagnosi alternative •Storia della presente malattia (esordio e gravità dei sintomi, compromissione funzionale, precedenti episodi e fattori di stress psicosociale) 4 Utilizzare un protocollo istituzionale se disponibile per valutare e minimizzare il rischio di suicidio/ coinvolgere specialisti di salute mentale 3 SÌ Il paziente è pericoloso per sé o per gli altri? NO 5 Valutare la presenza di abuso di sostanze o di comorbidità psichiatrica se sospettata 6 7 Ulteriori considerazioni (comorbidità mediche, SÌ considerazioni culturali, popolazioni speciali)? Individuare cause secondarie e/o adattare un piano per le speciali popolazioni NO MALATTIE NEUROLOGICHE 8 32 Piano di trattamento esaustivo con processo decisionale condiviso • Modello di cura collaborativa • Educare e coinvolgere il paziente • Discutere le opzioni di trattamento: Psicoterapia, Farmacoterapia, Medicina integrata 9 Il paziente risponde adeguatamente? Box 1a Screening con due domande: Durante le ultime due settimane, è stato disturbato da: 1.Scarso interesse o piacere nel fare le cose? 2.Sentirsi giù, depresso o disperato? Box 2a Criteri DSM-5 per episodio depressivo maggiore: Deve essere presente un totale di 5 sintomi per almeno 2 settimane. Uno dei sintomi deve essere umore depresso o perdita di interesse. 1. Umore depresso 2. Marcata diminuzione di interesse o piacere per tutte, o quasi tutte, le attività 3. Perdita di peso o aumento di peso significativo (>5% del peso corporeo), oppure diminuzione o aumento dell’appetito 4. Insonnia o ipersonnia 5. Agitazione o rallentamento psicomotorio 6. Affaticabilità o mancanza di energia 7. Sentimenti di autosvalutazione o di colpa eccessivi 8. Riduzione della concentrazione o indecisione 9. Pensieri ricorrenti di morte o di suicidio SÌ NO 10 Durata del trattamento di continuazione e di mantenimento in base all’episodio 11 Valutare dose, durata, tipo e aderenza ai farmaci e/o alla psicoterapia. Riconsiderare accuratezza della diagnosi o impatto delle comorbidità 12 Considerare altre strategie: • Augmentation • Ospedalizzazione • Trattamento elettroconvulsivante (TEC) • Fototerapia Figura 4.4 Linee Guida ICSI per la gestione della depressione dell’adulto: Algoritmo diagnostico-terapeutico (Mitchell J et al, 2013). Durante le ultime 2 settimane, con quale frequenza è stato disturbato da uno dei seguenti problemi? Mai Molti giorni Più della metà dei giorni Quasi tutti i giorni 1. Scarso interesse o piacere nel fare le cose 0 1 2 3 2. Sentirsi giù, depresso o disperato 0 1 2 3 3. Difficoltà ad addormentarsi o mantenere il sonno, o dormire troppo 0 1 2 3 4. Sentirsi stanco o avere poca energia 0 1 2 3 5. Scarso appetito o mangiare troppo 0 1 2 3 6. Sentirsi in colpa o di essere un fallito o di aver danneggiato se stesso o la sua famiglia 0 1 2 3 7. Difficoltà a concentrarsi sulle cose, come leggere il giornale o guardare la televisione 0 1 2 3 8. Muoversi o parlare così lentamente tanto che anche gli altri se ne accorgevano o, al contrario, essere così irrequieto o agitato da doversi muovere da ogni parte molto più del solito 0 1 2 3 9. Pensare che sarebbe meglio essere morto o di farsi del male in qualche modo 0 1 2 3 0 Codice interno _______ + _________ + __________ + _______ = Totale __________ Se ha riscontrato la presenza di qualcuno dei problemi indicati nel presente questionario, in che misura questi problemi Le hanno creato difficoltà nel Suo lavoro, nel prendersi cura delle cose a casa o nello stare insieme agli altri? Nessuna difficoltà Qualche difficoltà Notevole difficoltà Estrema difficoltà Mitchell J et al, 2013 escitalopram; 3) inibitori della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina (SNRI), che comprendono venlafaxina, desvenlafaxina e duloxetina; 4) inibitori delle monoamino ossidasi (IMAO), che includono fenelzina, tranilcipromina, isocarbossazide e selegilina; 5) altri farmaci, che includono bupropione, nefazodone, trazodone e mirtazapina (Linee Guida APA, 2010). Anche se alcuni studi hanno suggerito la superiorità di alcune categorie di farmaci rispetto ad altre, gli antidepressivi appaiono comparabili per efficacia, sia in termini di classi diverse che di principi attivi di una stessa classe. Le percentuali di risposta negli studi clinici variano in genere dal 50% al 75%, con alcuni studi che suggeriscono una maggiore efficacia nei pazienti con sintomi depressivi gravi rispetto a quelli con sintomi lievi o moderati (Linee Guida APA, 2010). L’efficacia degli SSRI è sostenuta da un gran numero di evidenze cliniche e sperimentali. I dati degli studi clinici e delle meta-analisi dimostrano che gli SSRI hanno un’efficacia comparabile a quella degli altri antidepressivi. Ciò nonostante, gli SSRI sono generalmente preferiti come farmaci di prima scelta rispetto alle altre classi per la loro maggiore tollerabilità e sicurezza, anche in caso di sovradosaggio, per la possibilità di monosomministrazione giornaliera con necessità minima di titolazione e per l’ampio spettro di efficacia nel trattamento dei disturbi depressivi. I TCA sono efficaci nel trattamento della DM e hanno un’efficacia comparabile a quella delle altre classi di antidepressivi, compresi SSRI, SNRI e IMAO. I TCA possono essere particolarmente efficaci in certe popolazioni di pazienti come quelli ospedalizzati. Questo effetto si spiega con la superiorità dei TCA nel sottogruppo di pazienti con depressione più grave, dal momento che tale effetto non è stato costantemente documentato negli studi condotti su pazienti ambulatoriali con malattia meno grave (Linee Guida APA, 2010). Per quanto riguarda gli SNRI, alcune analisi hanno suggerito un piccolo vantaggio degli SNRI rispetto agli SSRI. Tuttavia, altre meta-analisi hanno dimostrato un’efficacia comparabile tra SSRI e SNRI, mentre alcuni studi hanno documentato la superiorità di singoli farmaci. Gli IMAO hanno un’efficacia paragonabile agli altri antidepressivi nei pazienti ambulatoriali con disturbo depressivo maggiore. Oggi, tuttavia, vengono impiegati esclusivamente nei pazienti che non rispondono agli altri farmaci o in quelli con depressione atipica, a causa del rischio di effetti indesiderati gravi (crisi ipertensive, sindrome serotoninergica) e di interazioni farmacologiche e dietetiche. MALATTIE NEUROLOGICHE Figura 4.5 Patient Health Questionnaire (PHQ)-9©. 33 Gli altri farmaci antidepressivi vengono solitamente utilizzati come seconda scelta; tra questi il bupropione può essere una valida opzione nei pazienti che devono smettere di fumare, dato che è approvato per questa indicazione (Linee Guida APA, 2010). Anche se si ritiene che gli antidepressivi abbiano un effetto terapeutico simile, le diverse molecole differiscono in termini di risposta terapeutica, tollerabilità e possibilità di interazioni farmacologiche. Pertanto, la scelta iniziale del farmaco sarà in gran parte basata su alcune caratteristiche quali sicurezza, tollerabilità e costo del farmaco, precedente risposta alla terapia con antidepressivi nello stesso paziente o nei suoi familiari, schema di somministrazione, possibilità di interazione con altri farmaci, e presenza di altre malattie che possono interferire con il trattamento. Di conseguenza, la presenza di condizioni mediche o psichiatriche concomitanti può essere un fattore significativo nella scelta del farmaco antidepressivo. Ad esempio, i TCA sono generalmente sconsigliati nei pazienti con patologie cardiovascolari, difetti di conduzione cardiaca, glaucoma ad angolo chiuso, ritenzione urinaria e ipertrofia prostatica. Gli SSRI e gli SNRI possono essere inadeguati nei pazienti che soffrono di disfunzione sessuale. A causa della necessità di restrizioni dietetiche e del rischio di gravi effetti collaterali e di interazioni farmacologiche, l’impiego degli IMAO è generalmente limitato ai pazienti che non rispondono ad altre terapie (Mitchell J et al, 2013). Il trattamento della DM prevede tre fasi fondamentali: la fase acuta, la fase di continuazione e la fase di mantenimento. La fase acuta o iniziale ha una durata di 6-12 settimane circa e si propone di ottenere la risoluzione completa della sintomatologia, ovvero la remissione. La fase di continuazione, che segue quella iniziale, ha una durata di 4-9 mesi circa e ha come obiettivo principale la prevenzione delle ricadute. In queste fasi iniziali del trat- Tabella 4.1. Criteri diagnostici del DSM-5 per l’episodio depressivo maggiore nell’adulto. Secondo il DSM-5, i criteri diagnostici per l’episodio depressivo maggiore sono i seguenti: A. Cinque o più dei seguenti sintomi sono stati contemporaneamente presenti durante un periodo di 2 settimane e rappresentano un cambiamento rispetto al precedente livello di funzionamento; almeno uno dei sintomi è costituito da 1) umore depresso o 2) perdita di interesse o piacere. Nota: Non includere sintomi chiaramente attribuibili ad un’altra condizione medica generale. 1) Umore depresso per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno, come riportato dal soggetto (es., si sente triste, vuoto) o come osservato dagli altri (es., appare lamentoso). 2) Marcata diminuzione di interesse o piacere per tutte, o quasi tutte, le attività per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno (come riportato dal soggetto o come osservato dagli altri). 3) Significativa perdita di peso, senza essere a dieta, o aumento di peso (es., cambiamento superiore al 5% del peso corporeo in un mese) oppure diminuzione o aumento dell’appetito quasi ogni giorno. MALATTIE NEUROLOGICHE 4) Insonnia o ipersonnia quasi ogni giorno. 5) Agitazione o rallentamento psicomotorio quasi ogni giorno (osservabile dagli altri, non semplicemente sentimenti soggettivi di essere irrequieto o rallentato). 6) Affaticabilità o mancanza di energia quasi ogni giorno. 7) Sentimenti di autosvalutazione o di colpa eccessivi o inappropriati (che possono essere deliranti), quasi ogni giorno (non semplicemente autoaccusa o sentimenti di colpa per essere ammalato). 8) Ridotta capacità di pensare o di concentrarsi, o indecisione, quasi ogni giorno (come impressione soggettiva o osservata dagli altri). 9) Pensieri ricorrenti di morte (non solo paura di morire), ricorrente ideazione suicidaria senza un piano specifico, o un tentativo di suicidio, o l’ideazione di un piano specifico per commettere suicidio. B. I sintomi non soddisfano i criteri per un episodio misto. C. L’episodio non è attribuibile agli effetti fisiologici diretti di una sostanza o un’altra condizione medica. Nota: Le risposte ad una perdita significativa (es. lutto, rovina finanziaria, perdite derivanti da un disastro naturale, una grave patologia medica o disabilità) possono comprendere sentimenti di intensa tristezza, ruminazione sulla perdita, insonnia, mancanza di appetito e perdita di peso, come riportati nel Criterio A, i quali possono ricordare un episodio depressivo. Sebbene tali sintomi possano essere comprensibili oppure considerati appropriati alla perdita, la presenza di un episodio depressivo maggiore in aggiunta alla normale risposta a una perdita significativa, dovrebbe essere considerata attentamente. Questa decisione richiede inevitabilmente l’esercizio del giudizio clinico [una valutazione clinica] basato sulla storia dell’individuo e sulle norme culturali per l’espressione del disagio nel contesto della perdita. D. La presenza di un episodio depressivo maggiore non è meglio spiegata da un disturbo schizoaffettivo, schizofrenia, disturbo schizofreniforme, disturbo delirante o altro disturbo dello spettro schizofrenico oppure altri disturbi psicotici. E. Non si sono mai verificati episodi maniacali o ipomaniacali. 34 Nota: I criteri A-C costituiscono un episodio depressivo maggiore. Nota: Questa esclusione non si applica se gli episodi simil-maniacali o simil-ipomaniacali sono indotti da sostanze o sono attribuibili agli effetti fisiologici di un’altra condizione medica. Nei pazienti con 2 episodi depressivi maggiori, il trattamento farmacologico deve essere continuato per 3 anni e poi può essere sospeso gradualmente. La terapia farmacologica deve essere continuata a tempo indeterminato nei pazienti con 3 o più episodi di DM, oppure con 2 episodi di DM e almeno una delle seguenti complicanze: • esordio dopo i 60 anni • episodi gravi o familiarità • episodi ricorrenti rapidi. La decisione di sospendere il trattamento deve essere sempre effettuata valutando i possibili rischi di una recidiva. La terapia con antidepressivi deve essere sospesa gradualmente per evitare il rischio di reazioni da sospensione.La lentezza della sospensione è inversamente proporzionale all’emivita plasmatica del farmaco. La dose del farmaco deve essere ridotta gradualmente nel corso di un periodo di diverse settimane o mesi (Mitchell J et al, 2013). Bibliografia •Linee Guida APA: American Psychiatric Association (APA). Practice guideline for the treatment of patients with major depressive disorder. 3rd ed. Arlington (VA): American Psychiatric Association (APA); 2010. Disponibile all’indirizzo: http://psychiatryonline.org/pb/assets/raw/ sitewide/practice_guidelines/guidelines/mdd.pdf •Mitchell J, Trangle M, Degnan B, et al. Institute for Clinical Systems Improvement. Adult Depression in Primary Care. Updated September 2013. Disponibile all’indirizzo: https://www.icsi.org/_asset/fnhdm3/ Depr-Interactive0512b.pdf MALATTIE NEUROLOGICHE tamento, la remissione può essere solo parziale; in tal caso, è necessario rivedere la gestione terapeutica con particolare riferimento all’aderenza al trattamento prescritto (tempi e dosi) e al raggiungimento della dose massima del farmaco. In caso di mancata risposta al trattamento, sono consigliate le seguenti strategie: • sostituzione del farmaco utilizzato con un altro antidepressivo (switching) • aggiunta di un altro farmaco antidepressivo • augmentation (aggiunta all’antidepressivo di un farmaco non antidepressivo come il litio) • aggiunta della psicoterapia • invio a consulenza specialistica (terapia con IMAO, terapia elettroconvulsiva). Nei pazienti con mancata risposta o con risposta solo parziale, è necessario verificare l’idoneità del trattamento in termini di dosaggio e/o aderenza, prima di procedere ad una modifica della terapia. L’importanza del corretto dosaggio è evidenziata, ad esempio, dai risultati di uno studio controllato che ha dimostrato che l’aumento della dose di fluoxetina (da 20 mg a 40 o 60 mg) in pazienti con risposta parziale è stato più efficace dell’aggiunta di desipramina (25-50 mg/die) o di litio (300600 mg/die) (Mitchell J et al, 2013). Una volta raggiunta la remissione, la fase di mantenimento si propone di prevenire le recidive. Ha una durata variabile, in rapporto alla storia clinica, al numero e alla gravità degli episodi, nonché alla risposta clinica ottenuta nell’ultimo episodio. 35 RESPONSABILITÀ LEGALE Tipi di responsabilità: penale, civile, disciplinare 36 Nell’esercizio della sua professione il Medico può incorrere in varie fattispecie di responsabilità penale, civile e disciplinare. La responsabilità penale si concretizza in tutti i casi in cui venga compiuto un reato previsto dal Codice Penale o da altra legge dello Stato. I reati possono essere classificati secondo tre diversi criteri: l’intenzione, l’azione e la procedibilità. La classificazione “per intenzione” suddivide i reati in: dolosi, ovvero commessi secondo l’intenzione; preterintenzionali, anche detti oltre l’intenzione; colposi, ovvero non voluti o contro l’intenzione dell’agente. Questi ultimi rappresentano indubbiamente la categoria di reati più frequentemente contestati in ambito sanitario e trovano la propria origine nel comportamento negligente, imprudente o imperito del professionista (colpa generica) (Tabella 5.1) ovvero nella inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline (colpa specifica). La classificazione “per azione” suddivide poi i reati in commissivi ed omissivi. Si parla di reato commissivo quando questo consiste nel compimento di un’azione prevista dalla legge come reato, mentre l’omissione si concretizza nella mancata esecuzione di un atto dovuto. Infine, la classificazione “per procedibilità” suddivide i reati in procedibili d’ufficio e procedibili a querela della persona offesa. Nel primo caso, si tratta di avvenimenti di gravità tale da richiedere che l’Autorità giudiziaria venga informata del fatto indipendentemente dalla volontà della vittima del reato, mentre nel secondo caso questo avviene esclusivamente se la persona offesa procede a querela, avviando pertanto un’azione penale nei confronti dell’autore del reato. In materia di procedibilità d’ufficio, è opportuno ricordare che il Medico di Medicina Generale (MMG) e il Pediatra di Libera Scelta, in quanto incaricati di pubblico servizio, sottostanno all’obbligo di denuncia di un reato di cui abbiano avuto notizia nell’esercizio o a causa delle loro funzioni, a meno che il delitto in oggetto non sia punibile a querela della persona offesa (art. 362 c.p.). In materia di responsabilità civile, la conseguenza giuridica di un comportamento illecito si traduce nell’obbligo di risarcire i danni derivanti da tale condotta. Essi comprendono sia la perdita economica patita dal paziente (perdita o riduzione della capacità di guadagno, c.d. lucro cessante e le spese sostenute, c.d. danno emergente), sia il risarcimento per la riduzione dell’integrità psicofisica (c.d. danno biologico), sia per le sofferenze patite sul piano morale e infine per la lesione dei diritti di terzi (congiunti) costituzionalmente garantiti (Cassazione Civile Sez. unite sentenza 11-11-2008 n. 26972). Nell’ambito del diritto civile, la responsabilità può essere distinta in responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale. La responsabilità contrattuale è conseguente al mancato adempimento di un’obbligazione assunta nei confronti del creditore (paziente), e presuppone l’esistenza di patti sanciti da un contratto e violati per l’inadempimento del rapporto spe- cifico nato dall’obbligazione (art. 1218 c.c.). La responsabilità extracontrattuale o aquiliana deriva, genericamente, dall’aver cagionato ad altri un danno ingiusto, più specificatamente quando il danno sia originato da un comportamento colposo tenuto dal sanitario (art. 2043 c.c.). La distinzione tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale ha importanza anche in relazione al c.d. onere della prova. Nella responsabilità contrattuale l’onere della prova grava sul debitore (il Medico), che deve dimostrare di avere fatto tutto ciò che poteva e doveva per evitare il danno. Nella responsabilità extracontrattuale l’onere della prova ricade sul danneggiato che deve perciò dimostrare il fondamento della propria pretesa. Un’ulteriore differenza tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale riguarda i termini di prescrizione del diritto al risarcimento del danno, che sono di 10 anni nel caso della responsabilità contrattuale e di 5 anni per la responsabilità extracontrattuale. La responsabilità disciplinare deriva dalla inosservanza dei doveri di ufficio o di servizio propri del medico dipendente di enti pubblici o privati. Tale responsabilità è regolata da disposizioni e norme speciali, la cui violazione comporta sanzioni di carattere amministrativo. Tabella 5.1 Elementi costitutivi della colpa generica. NEGLIGENZA Si concretizza nei casi in cui vengono trascurate le comuni regole di diligenza richieste nello svolgimento della professione. È tra tutte la condotta meno scusabile, in quanto l’attenzione posta dal sanitario nello svolgimento dei propri compiti deve essere sempre tale da evitare di causare danno all’assistito. IMPRUDENZA Si parla di imprudenza nei casi in cui il sanitario agisce con avventatezza o eccessiva precipitazione, senza adottare le cautele consigliate dalla ordinaria prudenza. È imprudente il sanitario che non si attiene alle regole dell’arte dell’eseguire il proprio intervento e che non tiene in adeguata considerazione le possibili conseguenze del proprio operato. IMPERIZIA L’imperizia presenta un carattere strettamente tecnico e consegue alla mancanza di nozioni scientifiche o pratiche ovvero alla insufficiente esperienza professionale. Viene considerato imperito il sanitario che non è in grado di fare quello che altri colleghi di pari livello professionale avrebbero saputo svolgere. Per il MMG è previsto un sistema sanzionatorio dei comportamenti scorretti e degli inadempimenti degli obblighi convenzionali di cui potrebbe rendersi responsabile nello svolgimento della sua attività. Le norme per valutare le violazioni contrattuali del MMG sono fissate dall’art. 30 dell’Accordo Collettivo Nazionale. A tale proposito, la Giurisprudenza ha puntualizzato che al MMG non può essere revocata la convenzione se non per gravi e accertati motivi. Un ulteriore tipo di responsabilità disciplinare è quella deontologica, che riguarda tutti i Medici iscritti all’Albo professionale, i quali sono tenuti ad agire rispettando le norme stabilite dal Codice di Deontologia Medica. In caso di violazione alle norme del Codice, la sanzione disciplinare viene applicata dal Consiglio dell’Ordine Provinciale d’iscrizione del Medico e prevede diversi gradi, a seconda della gravità del fatto contestato: avvertimento, censura, sospensione e radiazione dall’Albo. Presupposti della responsabilità professionale sono ovviamente la prova del danno e l’accertamento del nesso di causalità fra la condotta del sanitario e l’evento dannoso. Ne consegue che chiunque per imperizia, imprudenza, negligenza ovvero per inosservanza di norme nello svolgimento della professione medica cagioni ad altri lesioni, danni fisici o la morte, soggiace in sede penale a sanzioni restrittive della libertà personale e in sede civile ad obblighi risarcitori. Nell’ambito del diritto civile, il modello principale di riferimento per la valutazione della responsabilità professionale è quello del rapporto contrattuale. La norma che regolamenta la responsabilità contrattuale è quella enunciata dall’art. 1218 c.c., secondo il quale «il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile». La giurisprudenza ha affermato la sussistenza di un’obbligazione contrattuale del Medico nei confronti del proprio assistito, che viene descritta come obbligazione “di mezzi” e non “di risultato,” con l’eccezione di alcuni casi specifici in cui il risultato desiderato dal paziente può essere considerato il vero e proprio oggetto del contratto (es. interventi di chirurgia estetica). L’obbligazione del sanitario consiste, quindi, nel mettere a disposizione del proprio paziente tutti i mezzi disponibili e conformi alla leges artis al fine di raggiungere l’obiettivo sperato, il cui raggiungimento non può, però, essere considerato un obbligo. Secondo tale orientamento, si è ritenuto in passato che l’onere della prova dell’inadempimento contrattuale incombesse sul creditore (paziente), che era perciò tenuto a provare l’inesatto adempimento del debitore (sanitario). In seguito, la Cassazione Civile a Sezioni Unite ha stabilito, con la sentenza n. 13533/2001, che il paziente che chiama in causa il Medico per ottenere il risarcimento di un danno conseguente ad un inadempimento del professionista è tenuto esclusivamente a dimostrare la fonte negoziale o legale del suo diritto (ovvero l’esistenza di un rapporto contrattuale con il sanitario), allegando solamente la circostanza del mancato adempimento. Grava invece sul Medico convenuto l’onere di provare l’avvenuto adempimento; pertanto, il Medico deve provare che l’adempimento è stato, diversamente da quanto lamentato, correttamente compiuto. Tale sentenza ha segnato un punto di svolta fondamentale nella valutazione della responsabilità civile del Medico, affermando un principio che rappresenta in pratica una vera e propria inversione dell’onere della prova nell’ambito del processo civile. In estrema sintesi, l’attuale impostazione giurisprudenziale prevede che, in ambito di responsabilità professionale sanitaria, al creditore (paziente o suoi eredi) spetta la prova del contratto (o del c.d. contratto “da contatto sociale”) e dell’aggravamento della condizione di salute (per l’aggravamento della patologia preesistente, la comparsa di una nuova patologia o il decesso), oltre all’allegazione dell’inadempimento del sanitario (ovvero la dichiarazione, non necessariamente argomentata nel dettaglio, della circostanza in cui il sanitario avrebbe commesso l’errore causativo del danno). Spetta invece al debitore (il sanitario convenuto in giudizio) dimostrare che la prestazione sanitaria è stata diligentemente eseguita (o che la lamentata omissione non è stata conseguente a negligenza ma era giustificata nell’ambito del percorso diagnostico-terapeutico) e che gli esiti lamentati dal paziente sono stati determinati da un evento imprevisto ed imprevedibile oppure che, sebbene vi sia stato da parte sua un comportamento negligente, questo non è stato responsabile del verificarsi del danno. L’inversione dell’onere probatorio in ambito civile rende ancora più importante il tema della corretta tenuta della documentazione sanitaria (tra cui anche la cartella clinica o il fascicolo sanitario, in formato sia cartaceo che elettronico) che acquisisce valore non solo per le finalità di tutela della salute dell’assistito, ma anche in quanto insieme di informazioni relative alle prestazioni fornite dal Medico che consentono di ricostruire l’iter diagnostico-terapeutico effettuato. Quanto finora illustrato non trova ovviamente applicazione in ambito penale, dove l’intero impianto giurisprudenziale si caratterizza per una maggiore tutela dell’imputato che viene considerato non colpevole fino alla condanna definitiva (principio della “presunzione di innocenza”). L’onere della dimostrazione della colpa è in questo caso in capo all’accusa. La sussistenza del nesso di causalità tra il comportamento astrattamente idoneo a provocare il danno e il danno stesso è la condizione necessaria per l’individuazione della responsa- RESPONSABILITÀ LEGALE La colpa e l’errore medico: onere della prova e nesso di causalità 37 RESPONSABILITÀ LEGALE 38 bilità in ambito sia civile che penale e il conseguente obbligo al risarcimento. In penale, la valutazione del nesso di causalità si basa principalmente sulla previsione dell’articolo 40 c.p. secondo cui «nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione». Per la valutazione delle eventuali concause, il riferimento è quello dell’articolo 41 c.p. che afferma che i fattori causali concorrenti, siano essi preesistenti, simultanei o sopravvenuti, non escludono il rapporto di causalità tra condotta ed evento, anche se sono indipendenti dalla condotta, mentre i fattori causali sopravvenuti escludono il rapporto di causalità se da soli sono stati sufficienti a determinare l’evento. Da ciò si evince che è causa penalmente rilevante qualsiasi condotta (commissiva o omissiva) che si pone come condizione necessaria affinché si verifichi l’evento dannoso (principio della “conditio sine qua non”) e senza la quale tale evento non si sarebbe verificato. La verifica della causalità avviene infatti tramite il cosiddetto “giudizio controfattuale”, procedimento mentale attraverso il quale si elimina ipoteticamente la condotta ritenuta responsabile del danno e ci si chiede se, in queste nuove condizioni, il fatto dannoso si sarebbe comunque verificato. Va da sé che tale procedimento, seppur teoricamente ineccepibile, trova una evidente limitazione nella reale possibilità di ricostruire con elevata verosimiglianza un diverso andamento degli eventi, in ragione della complessità e pluralità di ipotesi che ciascun caso oggetto di giudizio consente di sviluppare. L’attuale orientamento, ampiamente condiviso in ambito penale, relativo alla valutazione del nesso di causa ed all’accertamento della responsabilità è stato sancito in tempi relativamente recenti dalla Corte di Cassazione con sentenza 30328/2002 (cosiddetta sentenza Franzese). Con tale pronuncia, i giudici di legittimità hanno innanzitutto chiarito i principi su cui si basa la regola della “sussunzione sotto leggi scientifiche”, criterio secondo il quale il giudizio controfattuale può essere considerato valido solamente nei casi in cui è noto con certezza che una determinata condotta è in grado (o non è in grado) di provocare un determinato risultato. Tale certezza non può che derivare dalla comune esperienza ovvero da un modello scientifico generale che fornisca l’insieme di regole alla cui luce reinterpretare i fatti che caratterizzano l’evento. Più semplicemente, un evento può essere considerato condizione necessaria al verificarsi del danno solamente se questo rientra nel novero degli effetti che possono essere considerati una normale conseguenza dell’evento stesso sulla base di regole di esperienza o di provata validità scientifica (c.d. criterio di “probabilità logica”). In ambito di responsabilità civile, la valutazione del nesso causale segue principi differenti, benché molti criteri siano mutuati dalla giurisprudenza e dottrina penale, quali il ricorso a criteri di probabilità scientifica ovvero, qualora questi non siano applicabili, a criteri di logica. Pertanto, anche in ambito civile è fondamentale procedere all’accertamento di un duplice nesso di causa, ovvero quello tra la condotta illecita e la lesione (causalità materiale) e quello tra la lesione e il danno che ne è derivato (causalità giuridica). Tuttavia, un significativo scostamento dalla impostazione adottata dalla giurisprudenza e dalla dottrina penale è stato chiaramente evidenziato dalla sentenza della Cassazione Civile n. 581/2008 nella quale si è affermato che, ai fini del risarcimento del danno, il nesso causale tra la condotta e l’evento deve ritenersi sussistente ogni volta che, in base alle leggi scientifiche ed alle specifiche circostanze del caso in esame, si può affermare che una diversa condotta del sanitario avrebbe impedito il verificarsi del danno con una probabilità superiore al 50% (“più probabile che non”). Va notato che la probabilità del 50% non deve essere considerata una soglia di probabilità fissa, in quanto l’analisi del nesso deve essere effettuata anche sulla base delle specifiche circostanze dell’evento. In sintesi, in materia civile, vige la regola della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non,” mentre nel processo penale vige la regola della prova “oltre il ragionevole dubbio.” Problematiche connesse alla sostituibilità dei farmaci: farmaci LASA, “biocreep”, “zapping brand-generico e generico-generico”, intolleranza agli eccipienti I farmaci generici rappresentano certamente un’opportunità di risparmio per il Servizio Sanitario Nazionale, se rispondono a criteri di efficacia e tollerabilità paragonabili a quelli dei farmaci originali. Tuttavia, la bioequivalenza tra il prodotto di riferimento e il generico non garantisce automaticamente l’equivalenza terapeutica, soprattutto nel caso di alcune sottopopolazioni di pazienti e per certe categorie di farmaci. La sostituibilità tra brand e generico deve essere quindi attentamente valutata dal Medico che dovrebbe monitorare gli effetti del nuovo trattamento, in particolare nei pazienti anziani, fragili o politrattati che sono maggiormente esposti al rischio di eventi avversi. Gli eccipienti utilizzati nelle formulazioni generiche possono essere diversi rispetto al prodotto di riferimento, in quanto non vi è alcun obbligo di legge che ne imponga l’uguaglianza. Questo fatto può comportare non solo un problema in termini di differenze nel rilascio del principio attivo (e nel profilo farmacocinetico), ma anche in termini di effetti indesiderati quali reazioni di tipo allergico o di intolleranza. In con lo stesso prodotto di riferimento, siano per proprietà transitiva bioequivalenti tra di loro. Ad esempio, supponendo che un generico abbia una biodisponibilità (AUC)+15% ed un secondo generico una biodisponibilità -15%, entrambi sono bioequivalenti rispetto allo standard di riferimento, ma non sono tra loro bioequivalenti in quanto la differenza tra di loro è superiore al 20%. Pertanto, la sostituibilità dovrebbe avvenire solo tra il farmaco “brand” e un generico e non tra due generici. Infatti, lo switch da un generico all’altro, soprattutto nel caso di generici con una biodisponibilità ai limiti del range tra -20% e +20% rispetto al prodotto originale, può comportare notevoli rischi in termini di tollerabilità, soprattutto nel caso di farmaci con indice terapeutico ristretto (Dong-Seok Yim, 2009). La sostituzione tra un generico e l’altro dovrebbe essere quindi evitata, in quanto non vi è alcuna certezza che due o più equivalenti dello stesso “brand ” siano tra loro bioequivalenti. In pratica, lo switch da un generico all’altro può comportare notevoli rischi in termini di fallimento terapeutico o di aumento dell’incidenza di effetti indesiderati, soprattutto nel caso dei farmaci con indice terapeutico ristretto. Da evitare in ogni caso è il cosiddetto “zapping farmaceutico”, ovvero il continuo passaggio da “brand ” a generico e da generico ad altro generico, soprattutto nel paziente anziano. Tale pratica, oltre a ridurre l’aderenza terapeutica, può comportare rischi da sovra o sottodosaggio. A tale proposito, è opportuno ricordare che, dal punto di vista giuridico, la responsabilità di eventuali effetti avversi conseguenti alla sostituzione di un medicinale ricade sempre sul Medico prescrittore, anche se la sostituzione del medicinale è stata effettuata dal Farmacista ad insaputa dello stesso Medico. Pertanto, il MMG dovrebbe apporre sulla ricetta la dicitura “non sostituibile” quando ritiene che, per varie ragioni, la sostituzione del medicinale prescritto possa recare danni al paziente. Responsabilità prescrittiva del Medico: definizione e possibili conseguenze degli eventi indesiderati I profili di responsabilità connessi alla prescrizione farmacologica sono molteplici, sia in ambito penale che in ambito civile. Per quanto concerne il penale, si ricordano in particolare le ipotesi di reato per falsità ideologica e omissione o rifiuto di atti d’ufficio da parte del Medico convenzionato con il SSN che esplica la sua attività nell’ambito della convenzione e riveste pertanto, nella sua attività certificativa, il ruolo di pubblico ufficiale. Al di là di tali ipotesi di reato, il Medico può essere chiamato a rispondere in sede penale per qualsiasi ipotesi di responsabilità colposa connessa alla prescrizione farmacologica (es. morte per shock anafilattico di un paziente al quale era stato somministrato un antibiotico a cui era allergico, senza che il Medico avesse accertato eventuali allergie allo stesso farmaco). In ambito civile, i possibili profili di responsabilità del Medico a seguito della prescrizione farmacologica sono molteplici, potendosi riferire a qualsiasi danno conseguente ad una prescrizione (o mancata prescrizione) effettuata dal Medico. Un aspetto peculiare di responsabilità professionale in ambito civile, ma che presenta anche notevoli implicazioni etiche, è quello relativo all’acquisizione del consenso informato del paziente alla terapia proposta. A tale proposito, il Codice di Deontologia Medica ricorda che «il medico non deve intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza l’acquisizione del consenso esplicito e informato del paziente» (art. 35). RESPONSABILITÀ LEGALE particolare, occorre prestare particolare attenzione ad alcune categorie di pazienti come i soggetti intolleranti al lattosio, i celiaci, i diabetici ed i soggetti allergici. Ad esempio, un farmaco generico potrebbe contenere come eccipiente il saccarosio o altri zuccheri potenzialmente pericolosi per un paziente diabetico, a differenza della formulazione originale che è priva di questi ingredienti. Anche altri dolcificanti possono essere controindicati: ad esempio, la saccarina può indurre allergia crociata con i sulfamidici, mentre l’aspartame è controindicato nei soggetti affetti da fenilchetonuria. L’amido di grano, un eccipiente spesso utilizzato in compresse e capsule, è controindicato nei soggetti celiaci. Vi è infine il rischio di reazioni allergiche anche gravi, non sospettabili con il farmaco originale (Dueñas-Laita A, et al, 2009). Una problematica strettamente correlata a quella dell’aderenza terapeutica riguarda i cosiddetti farmaci LASA, acronimo di “Look-Alike/Sound-Alike”. Per LASA si intendono quei medicinali che possono essere scambiati per altri a causa della somiglianza grafica della confezione (Look Alike, LA) e/o fonetica del nome (Sound Alike, SA). Come è noto, le possibilità di errore aumentano in modo direttamente proporzionale al numero di farmaci assunti e all’età dei pazienti. Tali errori possono derivare dalla sostituzione di un farmaco “brand” nei confronti del quale il paziente ha una certa familiarità con un prodotto di diverso nome e con differenti caratteristiche fisiche (es. colore, forma, dimensioni). Un altro problema, che riguarda la sostituibilità tra due o più generici dello stesso prodotto originale, è rappresentato dal cosiddetto fenomeno del “biocreep”. Tale fenomeno è dovuto al fatto che gli studi di bioequivalenza prevedono un confronto tra un singolo generico e il suo corrispondente prodotto originale, ma non confrontano tra loro i diversi generici. Di conseguenza, in assenza di un confronto diretto, è errato supporre che due o più generici, ciascuno bioequivalente 39 RESPONSABILITÀ LEGALE Il problema dell’appropriatezza della prescrizione farmacologica non è però limitato agli aspetti etici del rapporto medico-paziente. Dall’attività prescrittiva del Medico convenzionato con il SSN derivano infatti anche implicazioni in ambito amministrativo: in particolare, l’Accordo collettivo nazionale (D.P.R. 270/2000) afferma che il MMG ha, fra i suoi doveri, quello di assicurare «l’appropriatezza nell’utilizzo delle risorse messe a disposizione dall’Azienda per l’erogazione dei livelli essenziali ed appropriati di assistenza» (art. 15-bis) e di ricercare «la sistematica riduzione degli sprechi nell’uso delle risorse disponibili mediante adozione di principi di qualità e di medicina basata sulle evidenze scientifiche» (art. 31). La normativa attualmente in vigore riconosce la sussistenza di una responsabilità amministrativo-contabile esclusivamente nei casi in cui il fatto contestato sia stato compiuto con dolo o colpa grave ed abbia prodotto un danno finanziario ad un ente pubblico che acquisisce, pertanto, il diritto al risarcimento del danno. Inoltre, è importante ricordare che, accanto agli effetti terapeutici desiderati, la somministrazione di un farmaco può determinare una serie di effetti collaterali o indesiderati di diversa gravità che devono essere prontamente riconosciuti e trattati. La pericolosità o tossicità di un farmaco è tanto maggiore quanto più ristretto è l’indice terapeutico 40 (rapporto tra dose tossica e dose efficace) (es. antiepilettici, teofillina, warfarin, ecc.). Gli effetti collaterali di questi farmaci sono quindi prevedibili, e possono essere evitati rispettando le indicazioni e i dosaggi terapeutici consigliati. Vi sono poi le reazioni avverse non prevedibili che non dipendono direttamente dalla quantità di farmaco assunta (dose-indipendenti), ma piuttosto dalla risposta individuale del singolo soggetto: di questa categoria fanno parte le intolleranze e le reazioni allergiche. Per tale motivo, prima di prescrivere o somministrare un farmaco, il Medico dovrebbe sempre informarsi sulla presenza di eventuali allergie o intolleranze ai farmaci. Infine, in aggiunta alle indicazioni sul regime posologico, il Medico dovrebbe informare adeguatamente il paziente sugli eventuali effetti indesiderati che si potrebbero presentare durante il trattamento. Bibliografia •Dueñas-Laita A, Pineda F, Armentia A. Hypersensitivity to generic drugs with soybean oil. N Engl J Med. 2009; 361:1317-1318. •Dong-Seok Yim. Simulation of the AUC changes after generic substitution in patients. J Korean Med Sci 2009; 24:7-12.