Capitolo VI CULTURA E SOCIETA’: COME LA CULTURA INFLUENZA L’AZIONE SOCIALE DUE APPROCCI TEORICI La cultura influisce in profondità sull’agire sociale, sia sotto forma di valori interiorizzati individualmente, sia sotto forma di norme e modelli culturali approvati e validati all’interno di un gruppo. Conferisce quindi alle relazioni sociali stabilità favorendo lo sviluppo e la diffusione di certi comportamenti. Anche se la cultura orienta i comportamenti, le azioni e i rapporti sociali (Parsons), è diversa da questi, infatti non si sovrappone a ciò che rappresenta perché le relazioni e le azioni sociali hanno caratteri e determinanti sia culturali sia non culturali (ad es., economiche, politiche, tecniche, ecc.). Da ciò deriva che i modelli culturali non possono essere automaticamente dedotti dall’osservazione dei comportamenti manifesti. Sappiamo che la maggior parte degli approcci teorici e delle ricerche mettono in rilievo la tesi che fondamentalmente si tratti di un’influenza reciproca e ciò si nota dalla maniera in cui operano classici come Durkheim e Weber: • Durkheim studia come le rappresentazioni collettive (forme di pensiero cognitivo, credenze religiose, miti, norme e valori morali condivise da un gruppo sociale, sentite dagli individui come obbligatorie) dipendano dalla strutturazione della società, ma osserva anche come tali rappresentazioni contribuiscono a forgiare le istituzioni sociali, fino al punto che i due elementi possono essere quasi sovrapposti; • Weber, a prima vista, sembrerebbe privilegiare la forza della cultura - vista come valori ed etiche - nel plasmare le strutture sociali, ma come sappiamo, dal punto di vista metodologico, ha più volte ribadito la multipresenza di spiegazioni e il fatto che comunque idee, valori ed etiche siano in stretto rapporto ai gruppi sociali che li veicolano Esistono due modelli esplicativi: 1. Modello dell’attore socializzato • Talcott Parsons ha sviluppato una teoria sistematica di come i valori sociali rendono conto dell’integrazione degli attori sociali nel sistema sociali. I valori e quindi di conseguenza le norme condivise da una comunità si traducono in azioni conformi grazie a processi di interiorizzazione che avvengono nell’infanzia e che producono personalità aderenti ai valori dominanti. In seguito nel ciclo di vita, vi sono diversi meccanismi di rinforzo, tra cui le norme e le relative sanzioni, che esercitano una funzione di controllo sociale anche nei momenti più ordinari e banali della vita quotidiana. In questo modo le disposizioni di base della personalità diventano compatibili con le aspettative legate ai ruoli sociali, rendendo meno imprevedibili e aperti al caso assoluto i comportamenti dei singoli e dei gruppi. Alcuni hanno osservato che 1 questo modello accentua gli aspetti consensuali, mentre trascura la possibilità di conflitto, dissenso, anticonformismo. 2. Modello dell’identità sociale • Per spiegare questo modello Francesca Cancian (1976) parte dalla constatazione che non sempre è riscontrabile un legame diretto tra valori e comportamenti. Secondo la Cancian le credenze normative sono collegate al comportamento se queste credenze sono condivise con un gruppo definiscono un’importante identità che è convalidata da questo gruppo. Ciò significa che: o solo certe classi di credenze condivise saranno correlate al comportamento. I membri di un gruppo possono condividere molte credenze, ma solo quelle che definiscono la loro identità in quanto membri collocati entro una particolare posizione sociale saranno in relazione con l’azione; o gli individui agiscono in conformità a una norma perché questo è il modo per dare validità a una particolare identità. Se ogni membro di un gruppo crede che gli altri abbiamo modificato le loro credenze che definiscono l’appartenenza al gruppo, allora le norme del gruppo cambieranno; o le credenze condivise sulla realtà delimitano possibili azioni significative. Ad esempio è impossibile essere uno scienziato finchè l’esistenza di questa identità non sia stata pubblicamente accettata. Questo modello stabilisce, dunque, che le credenze e i valori devono dare forma a specifiche identità sociali perché siano in grado di orientare l’azione. CULTURA E SVILUPPO ECONOMICO Il ruolo dell’etica protestante nello sviluppo del capitalismo moderno Ne L’etica protestante e lo spirito del capitalismo (1904) Weber ha studiato l’esistenza di rapporti (definiti di “affinità elettive”) tra strati sociali (classi e ceti) e diverse forme di religiosità, sottolineando il carattere non deterministico, ma reciproco e bilaterale tra realtà economico-sociale e specifiche configurazioni culturali: • la dottrina luterana della vocazione svaluta l’ascesi monacale e rivaluta il lavoro professionale come cammino di salvezza • la dottrina calvinista della predestinazione, in base alla quale solo pochi sarebbero già stati scelti da Dio per essere salvati, produce, come effetti imprevisti (non intenzionali), un grande attivismo in campo economico, perché gli individui cercano di dedurre dal successo negli affari la grazia divina e dunque l’appartenenza al gruppo degli eletti Weber identifica nello “Spirito del capitalismo” (ricerca razionale del guadagno, concezione del ruolo sociale discendente dalla professione, dalla morale e dal senso del dovere) la configurazione di idee e di valori che contraddistinguono il capitalismo moderno, di cui sono portatori i ceti borghesi in ascesa. 2 I tratti distintivi di tale “spirito”, emerso solo in Occidente tra il XVII e il XVIII, sono costituiti da due idee principali: 1. guadagno come fine in sé, ossia non come mezzo per raggiungere qualche altro fine, ad esempio per il soddisfacimento di bisogni materiali o per esibire la propria ricchezza, ma per essere reinvestito e generare così nuovo guadagno; 2. dovere professionale, l’idea cioè che il singolo debba sentire un’obbligazione morale nei confronti della sua attività professionale, qualunque essa sia, con il corollario che il successo in questa attività sia non solo un risultato auspicabile, ma anche un indice della virtù morale di chi lo realizza. Quindi per Weber l’elemento rilevante nella spiegazione dello sviluppo del capitalistico è rappresentato dai fattori culturali, senza i quali l’agire sociale avrebbe seguito strade differenti. Le tappe delle spiegazione di Weber: • l’etica protestante come impulso pratico all’azione di tipo capitalistico; parla di “spinte pratiche all’azione”, ossia di meccanismi micro sociali che indirizzano l’agire di grande masse di persone in direzione di un nuovi tipo di imprenditorialità capitalista. • la rottura della riforma protestante rispetto all’etica cattolica tesa invece a tollerare l’accumulazione capitalistica, ma non a razionalizzarla; • lo sviluppo di uno propensione psicologica imprevista da parte dell’ascesi mondana derivante dalla teoria della predestinazione. L’etica protestante spiega dunque la genesi del capitalismo in una determinata area sociale e culturale dell’Europa. Ma naturalmente non spiega né la sua successiva espansione, né tutti i rapporti interni al capitalismo. Per Weber, l’etica religiosa è una delle concause e aveva svolto un ruolo indispensabile per la nascita del capitalismo moderno. Weber svolge un’analisi comparata delle religioni universali con l’intento di mostrare che le religioni della tradizione asiatica e mediorientale hanno ostacolato lo sviluppo del razionalismo economico tipico del capitalismo moderno, favorendo invece un’etica economica tradizionalista: • Buddismo: vita contemplativa come mezzo per raggiungere il Nirvana. Questa è perseguita da elite intellettuali che diventano monaci mentre le masse rimangono estranee a questa forma di razionalismo religioso e dominate dalla magia. • Induismo: legittimando con la dottrina della reincarnazione il sistema delle caste, impedisce la mobilità sociale e l’innovazione economica; • Confucianesimo: costituito da un insieme di massime politiche e di regole di buon comportamento sociale per uomini di mondo colti a cui mancava ogni ancoramento trascendente all’etica e ogni tensione tra i comandamenti di un Dio sopramondano e il mondo. Il presupposto di quest’etica era costituito dal permanere di una religiosità puramente magica che si esprimeva in un insieme di valori centrato sul culto degli antenati e sulla devozione verso la famiglia che aveva la preminenza su tutti gli altri doveri, compresa l’obbedienza verso l’imperatore. Come conseguenza l’etica confuciana ha consentito che nella 3 società cinese dominasse una coesione dei gruppi parenterali che condizionava in maniera sfavorevole lo sviluppo di un’economia che andasse al di là della comunità naturale del gruppo parentale. Dopo le famose ricerche comparate di Weber sui tipi di religione nelle aree del mondo come prova che quella protestante è stata determinante per la genesi del capitalismo, si passa all’esame del rapporto tra fattori culturali e sviluppo dell’economia. Inglehart, utilizzando metodi statistici sottolinea i fattori che hanno una forte correlazione positiva con il tasso di sviluppo economico di un paese: • Fattori culturali: motivazione al successo degli attori; • Fattori di tipo economico: investimento in capitale umano; incremento del tasso di investimento in capitale materiale. Mentre presentano una correlazione negativa con la crescita economica • valori post-materialisti (quei valori che danno la priorità ad autorealizzazione, difesa della natura, qualità della vita CULTURA POLITICA E CULTURA CIVICA Nel corso della seconda metà del Novecento l’analisi sociologica della cultura integra tra le sue ricerche la verifica dell’influenza della cultura sui processi politici, sulla stabilità della democrazia e sui tipi di democrazia in quanto si ritiene che le preferenze che orientano le azioni degli individui nascano dall’interazione sociale e dai valori condivisi che legittimano diversi e a volte opposti modelli di pratiche sociali. Putnam è considerato l’iniziatore del pensiero secondo cui la tradizione culturale di un paese può rappresentare un fattore determinante per il buon o cattivo funzionamento di un sistema politico ed economico di un paese ma furono in particolare Almond e Verba ad affrontare in maniera molto sistematica questo nuovo campo di ricerca in un noto studio (‘The Civic Culture’ del 1963) che coinvolgeva 5 democrazie (USA, UK, Germania, Italia e Messico) con lo scopo di analizzare il rapporto tra le rispettive culture politiche con l’organizzazione sociale (tradizioni e legami) di ciascun paese. Ne emerse che ogni sistema politico è legato alla cultura attraverso valori e norme condivise dalla popolazione, ossia la cultura si sedimenta nel tempo e attraverso i processi di apprendimento mediati dalle agenzie di socializzazione (famiglia, scuola e gruppi sociali) fanno sì che questa cultura entri a far parte delle personalità degli individui originando delle disposizioni costanti ad agire in modo determinato. Questo è un esempio di come è stato applicato il Modello dell’attore socializzato. Gli orientamenti, quindi, non sono acquisiti in maniera automatica, ma sono appresi attraverso un processo, che presenta aspetti cogniti viti, affettivi e valutativi, si formano predisposizioni o orientamenti all’azione. 4 Nell’ambito del filone di studi inaugurato da Almond e Verba, il concetto di cultura civica (quel tessuto fatto di valori, norme e regole radicate nel contesto associativo e che favorisce la cooperazione sociale e la fiducia verso gli altri e le istituzioni) rappresenta una specificazione del concetto di cultura politica (l’orientamento psicologico dei membri di una società nei confronti della politica. E’ una variabile indipendente in grado di spiegare i comportamenti politici. Fa da ponte tra atteggiamenti politici individuali e struttura del sistema politico). La cultura politica può essere di tre tipi: • parrocchiale, ossia basata su interesse locali e su relazioni di fiducia limitate alla famiglia o al clan; • sottomessa, ossia caratterizzata da una predisposizione alla passività e alla deferenza verso l’autorità; • partecipativa, ossia caratterizzata dalla consapevolezza e competenza del proprio ruolo politico e fortemente interessata alla vita pubblica. Secondo Almond e Verba, in paesi come • l’Inghilterra e gli Stati Uniti, la cultura politica era di tipo misto perché contemperava in modo congruo l’ideal-tipo del modello attivista della cittadinanza democratica e l’ideal-tipo del modello passivo basato sulla fiducia e la deferenza verso le autorità e le istituzioni. • In paesi come l’Italia invece la cultura politica viene definita particolaristica in quanto la società appare frammentata, con un livello di fiducia ristretto alla famiglia in linea con ciò che negli stessi anni l’antropologo americano Edward Banfield riscontra nel suo ideal-tipo di familismo amorale (1958), concetto divenuto poi molto famoso diversi anni dopo. Le ricerche Sciolla e Negri hanno cercato di articolare il concetto di cultura civica considerandolo come un concetto complesso, scomponibile in 3 dimensioni: 1. morale: valori espressi sotto forma di giudizi su ciò che è giustificabile o meno negli atti nei confronti di beni pubblici e diritti della persona. A sua volta scomponibile in: a. responsabilizzazione giudizi su atti che possono essere rischiosi b. diritti autonomia e libertà della persona c. civismo condanna di comportamenti lesivi di interesse pubblico o contrari alla legge 2. fiducia: orientamenti cooperativi e aspettative di azioni conformi alle attese 3. identificazione: senso di appartenenza ad una comunità territoriale. Negli anni Novanta Putnam tentò di dimostrare, con una vasta mole di dati empirici, come la cultura civica variasse nelle diverse regioni italiane in quanto si articolava in diverse concezioni della cittadinanza: • libertaria, individualista e anticonformista; • orientata alla partecipazione politica; • incline al rispetto delle leggi e poco attivista. 5 Tutto questo comportava, di conseguenza, un differente rendimento istituzionale delle amministrazioni regionali. Ingleahart negli anni Novanta ha effettuato studi comparando per diversi paesi il livello di fiducia espresso verso gli altri e la continuità e la durata dei sistemi democratici giungendo a trovare una stretta correlazione tra le due variabili. Nelle democrazie più stabili almeno il 35% della popolazione ha espresso alti livelli di fiducia interpersonale che rappresenta, quindi, un indicatore della cultura civica. Ma quest’ultima può cambiare anche molto rapidamente. Un esempio sono le subculture politiche rilevate da nuove ricerche nell’ambito della sociologia politica ed economica. In Italia si distinguono in subcultura bianca (regioni del Nord-Est) e subcultura rossa (Centro) che si opponevano per l’orientamento ideologico a dominanza democristiana il Triveneto e a dominanza social comunista il Centro. Questo quadro caratterizzava una debolezza delle fonti di integrazione del senso civico in particolare la fiducia nelle istituzioni. Nei lavori più recenti Inglehart rileva che nel favorire il processo di democratizzazione incidono anche un insieme di valori legati all’autoespressività che enfatizzano • la libertà individuale piuttosto che la disciplina di gruppo, • la diversità umana piuttosto che la conformità, • l’autonomia e la libera scelta dell’individuo piuttosto che la deferenza rispetto all’autorità. CULTURA E CONSUMO Lo studio del consumo dal punto di vista culturale è stato importante perché ha permesso di superare la visione limitata del modello economico neoclassico secondo cui il consumatore agisce razionalmente, cioè con la capacità di acquisire tutte le informazioni necessarie sulla qualità e sui prezzi dei beni, mettendoli a confronto e calcolando la sua utilità. L’approccio culturale mette in luce il valore simbolico dei beni che sono acquisiti per il prestigio, per la distinzione e per l’identificazione. I primi autori a mettere in luce l’importanza di questi processi sono stati Thorstein Veblen e Georg Simmel, secondo i quali il consumo è ricercato come fonte di prestigio e di distinzione sociale. • Secondo Veblen per essere tale, vale a dire per servire come strumento di accrescimento del prestigio, il consumo deve essere vistoso e superfluo. • Simmel, in modo simile assegna una primaria importanza al fenomeno della moda in cui sono presenti sia l’imitazione che la differenziazione continue attraverso una sequenza dei beni basata su ricercatezza, diffusione, svalutazione, ulteriore ricercatezza. Cioè l’imitazione sollecita le classi superiori a produrre 6 un’incessante innovazione del gusto per continuare a mantener la distanza dalle classi inferiori. Queste ultime cercano di appropriarsi del nuovo gusto nel loro sforzo di ascesa sociale, con l’esito, che, non appena ci riescono, quel modello di consumo immediatamente si svaluta, viene abbandonato dalle classi superiori e sostituito con un altro. • Bourdieu ritiene che i comportamenti di consumo siano determinati dall’habitus, mediatrice tra dimensione soggettiva e dimensione oggettiva, che unifica in uno stile di vita l’insieme dei gusti e delle preferenze di un individuo. L’habitus è l’insieme di disposizione inconscie (inclinazioni a percepire, pensare e fare in una certa maniera) di un gruppo sociale, formatosi attraverso processi di socializzazione e di partecipazione a modi di vita particolari: habitus di classe. Quindi l’habitus è sia il prodotto della struttura di classe sia un principio autonomo di organizzazione della percezione e delle pratiche sociali. Attraverso l’habitus e in modo non troppo cosciente trasformiamo le cose e i beni che acquistiamo e consumiamo in segni che hanno un significato tanto per noi che per gli altri. Questo meccanismo della formazione e della diffusione del gusto ha subito numerosi cambiamenti intervenuti agli inizi del ‘900 quando l’esposizione ai mass media ha permesso la diffusone simultanea di diverse mode a tutti i livelli sociali senza che necessariamente questi rimandino a un livello superiore, bensì a innovatori interni al gruppo. Altri approcci che assegnano importanza alla cultura per la comprensione dei consumi, diminuiscono il peso della stratificazione sociale e sottolineano quello dello scambio simbolico (Douglas e Isherwood). Questi due autori rimarcano come il consumo sia una sorta di ‘campo di battaglia’ per definire la cultura e darle una forma: • I beni diventano accessori rituali e il consumo un processo la cui funzione primaria è quella di dare un senso al flusso indistinto degli eventi. • Il consumatore non ha un ruolo passivo, ma sceglie i beni attraverso cui costruire un universo intelligibile, caricando di significato alcuni aspetti delle azioni di consumo. I beni divengono marchi di identificazione e classificazione degli eventi. Gli approcci più recenti tendono a sganciare i gusti e gli stili di vita dalle classe sociali, negando così la distinzione netta tra cultura alta e cultura popolare e dando invece rilievo ai codici simbolici autonomi di identificazione. 7