Riflessioni sul regime di massa. Il concetto di massa, di società di massa o di regime di massa, merita qualche riflessione in un periodo come l’attuale, nel quale i fenomeni di massa si moltiplicano e con essi le implicazioni che ne conseguono, che riguardano i rapporti tra individuo e società, le condizioni e gli sviluppi dell’economia e del capitalismo, le manifestazioni del potere e della società politica e, soprattutto, il contesto ideologico nel quale viviamo e pensiamo. Se molti autori classici hanno dedicato pagine importanti e riflessioni significative al concetto di massa, allo sviluppo dei fenomeni di massa e al rapporto, nel mondo moderno, tra individualismo e massa (e posso qui appena ricordare Tocqueville, Le Bon, Weber, gli autori della Scuola di Francoforte, Theodor Geiger e Giacomo Perticone), sono mancati studi storici approfonditi per analizzare la diffusione e l’evoluzione dei fenomeni di massa e indagini sociologiche per sistemare in un quadro d’ insieme le varie prospettive attraverso le quali autori diversi hanno cercato di mettere in evidenza aspetti rilevanti di un fenomeno che ha attraversato tutta la modernità e tuttora ci coinvolge. Il concetto di massa ha avuto sempre una connotazione negativa. Con l’idea di massa, ha scritto Theodor Geiger, “è stata bollata tutta l’organizzazione sociale del XX secolo”. Soprattutto lo sviluppo del regime di massa è stato criticato perché ha prodotto una maggiore estroversione e superficialità della vita individuale, per un verso incardinata sull’esaltazione dei diritti e degli interessi personali che, come è stato scritto, “hanno trasformato il cittadino nell’avente diritto” (G. Burdeau), per l’altro rivolta ad annullare la tipicità e la solitudine della vita singola nella fuggevole emotività della massa, dalla quale sono derivate la prevalenza della quantità sulla qualità, la fuga dalla responsabilità nell’anonimato, la rottura dell’equilibrio fra emozione e ragione. La cultura di massa è l’ “eclissi della ragione” per fare spazio all’iperrazionalismo o per produrre una radicale perdita di senso nella vertigine emozionale (vedi M. Horkheimer, Eclissi della ragione. Critica della ragione strumentale, Torino Einaudi, 1969). La cultura di massa è fondata sulla materialità, sull’utilitarismo, sull’esaltazione del presente e perciò sui problemi posti dalla contingenza. Mutevole nei contenuti,cioè negli oggetti sacri o profani o nei comportamenti che costituiscono massa, la condizione di massa, nella sua passività strutturale e nella sua sottomissione allo stimolo che la genera, stravolge e distrugge individualità, identità e quelle difformità sociali sulle quali si fonda la libertà. La vita intellettuale, limitata anch’essa nei regimi di massa a argomentare sul presente, si frammenta e si disperde. Chi vuole ragionare oltre questi limiti e secondo il vecchio stile, è condannato a pensare e ad essere compreso fuori del proprio tempo. Nell’insieme la società e la vita individuale si segmentano nelle microesperienze create dalla parcellizzazione del lavoro, dai mezzi di distrazione e dalle tecniche di manipolazione e di emarginazione. Mentre la vita individuale è in gran parte eterodipendente, l’ “agire condizionato di massa”, come scrive Max Weber, non è propriamente un agire sociale, in quanto non corrisponde ad una autonoma volontà sociativa ma risponde ad una azione esterna strumentale intesa a generarla (M. Weber, Economia e società, Milano, Edizioni di Comunità, 1980, vol. 1, pp. 20 e segg.). In tempi più recenti Julien Freund ha sottolineato che il mondo postmoderno, in cui individualismo estremo e massificazione si contrappongono e in qualche modo si compensano, “ ha come risultato di aver contribuito ad atomizzare la società per farne un insieme di individualità che si contentano di tanto in tanto di rompere le loro solitudini in aggregazioni effimere, in mancanza della coesione che producono le credenze nei valori stabili e comuni” (cit. in M. Xiberras, Les théories de l’exclusion, Paris, A. Colin,1966, p. 10). Proprio la mancanza di valori stabili e comuni ha generato un profondo cambiamento anche nella gestione della politica, che è ora legata al presente, alla contingenza e allo sfruttamento dell’utilitarismo e della emotività delle masse. Fenomeni di deificazione e demonizzazione personale infiammano le masse e sostituiscono quel giudizio più equilibrato che faceva riferimento ai valori ideologici ritenuti desiderabili per la società (giustizia, eguaglianza, moralità ecc.). La mancanza di questo tipo di valutazione ha fatto venir meno anche il significato e il senso di oggettività della legge, come possiamo constatare in sempre maggior misura. Non è più la convinzione sui valori che sostiene e regola la rappresentanza politica ma sono le emozioni del momento, il populismo, la paura e, per quanto riguarda gli interessi, sono le cifre, vere o manipolate, diffuse dagli economisti e l’iperrazionalismo dei loro schemi teorici. Il potere fondato su queste basi emargina o disattiva il pensiero lasciando allo sbando le nuove generazioni e alimentando un “neotribalismo” che, secondo alcuni, rappresenta l’unica via per contrapporsi alla “massificazione crescente” (vedi M. Maffesoli, Il tempo delle tribù. Il declino dell’individualismo nella società di massa, Roma, Armando, 1988, pp. 14 e 35-36). Malgrado tutta questa trasformazione rivoluzionaria, l’analisi della società di massa e dei suoi effetti resta marginale nella letteratura contemporanea, così come il discorso sul potere e sul capitalismo. Capitalismo che peraltro trova nel regime di massa le migliori condizioni di sviluppo. Infatti, dal punto di vista ideologico, la massa soddisfa il bisogno di cancellare in apparenza le diseguaglianze, costruendo solidarietà artificiali fondate su un momentaneo interesse comune, fragile e provvisorio, ma sostitutivo dell’ idea di comunità. La massa si forma attorno a un oggetto, a una rappresentazione, a un comportamento, a un capo. Le nature di questi punti di riferimento possono non essere significative, ma hanno la capacità di attrarre, di polarizzare, di cancellare tutto ciò che è “altro da”. Così ogni altro pensiero individuale, ogni moto dell’anima, annega nell’identità di una stessa esperienza emotiva. Il “noi” che allora si costituisce, a differenza dei gruppi, non è un atto consapevole, ma una proiezione emotiva. Non ha una base razionale, ma è la reazione a uno stimolo che produce un salto della realtà e dell’ordine razionale. All’emozione dell’incontro interpersonale con l’altro e alla complessità dell’interazione, la condizione di massa sostituisce la sensazione di una unificazione collettiva che apparentemente libera dai limiti e dalle angustie dell’essere individuale, anche se l’identità collettiva che vi si produce è un fuoco di paglia che si estingue rapidamente. Finito così l’effetto vertigine, la solitudine ritorna più pesante di prima. Malgrado tutti gli effetti descritti, negativi a considerarli dal precedente modello di vita borghese, la trasformazione della vita sociale si muove in questa direzione. L’illusione emotiva della massa è tanto più ricercata quanto più l’emozionalità non trova espressione nei sentimenti forti della vita individuale e del rapporto interpersonale. I regimi di massa non durano a lungo, ma, finchè durano, servono il capitalismo e il mercato, il quale materializza i desideri degli uomini e crea intorno alla politica una “foresta incantata”, ricca di attese e di sogni (vedi G. Burdeau, La politique au pays des merveilles, Paris, PUF,1979), che appiana le diversità e le distinzioni affinchè la massa possa essere una unità passiva, ricettiva e di consumo e non un insieme di individui tra i quali emerge una concorrenza creativa. Perciò da questa esperienza di massa può uscire solo l’ “individuo programmato”, inserito un un sistema rigido, cioè totalitario. L’individuo programmato, scrive Paolo Prodi, “non è più responsabile delle proprie azioni e quindi viene a cessare non soltanto il discorso della salvezza ( discorso fondamentale per tutte e tre le religioni monoteiste, cristiana, ebraica e islamica) ma anche il teorema della responsabilità morale personale che è alla base della cultura laica e liberale” (P. Prodi, Storia moderna o genesi della modernità? Bologna, Il Mulino, 2012, p. 24). Con l’individuo programmato dall’iperrazionalismo e consolato dalle emozioni di massa, il sistema si chiude e qualunque soluzione (dittatura dei profeti del razionalismo o degli illusionisti del populismo) ci porta verso la decadenza dell’ Occidente e l’ “eclisse della ragione”. “ Un tempo – ha scritto in proposito Max Horkheimer – l’individuo vedeva nella ragione solo uno strumento dell’ io, ora si trova davanti al rovesciamento di questa deificazione dell’io. La macchina ha gettato a terra il conducente e corre cieca nello spazio. Al culmine del processo di razionalizzazione, la ragione è diventata irrazionale e stupida” (M. Horkheimer, op. cit., p. 113). Il regime di massa con le sue molteplici implicazioni è oggi una realtà della quale bisogna prendere atto, sulla quale bisogna ragionare, perché nelle sue espressioni sociali, politiche e ideologiche, determina essenzialmente le nostre condizioni di vita. E’ la consapevolezza di queste condizioni che può portare le nuove generazioni a pensare al loro futuro e a cercare di riappropriarsene.