Nuovo capitalismo ed etica L’Italia vive di situazioni spesso contraddittorie: a spinte di forte ripresa economica si contrappongono momenti di grande sfiducia, che diventano generalizzati per il non corretto uso delle sostanze e la mancanza di rispetto nei confronti delle regole del mercato. I casi recenti di cronaca che hanno coinvolto sempre più spesso non solo grandi aziende, ma anche privati cittadini che hanno investito i loro risparmi vedendoli poi svanire come neve al sole, sono segni eloquenti di queste contraddizioni. Non sarà possibile una reale ripresa dell’economia, della finanza e quindi del Paese se non matura nello stesso tempo e di pari passo, senza squilibri, una coscienza etica. Il principio di responsabilità (Das Prinzip Verantwortung) non è solo il titolo e la teoria di un fortunato libro di Hans Jonas, ma il criterio con cui confrontarsi se si vuole concretamente guardare al futuro con lungimiranza e preparare le nuove generazioni all’assunzione di comportamenti che fanno della responsabilità personale e sociale, quindi pubblica, uni dei criteri di discernimento. Il problema, da come sembra porsi, non consiste solo nella natura di ciò che si fa, quanto piuttosto nella correttezza dei comportamenti che vengono adottati; il problema di responsabilità nel mondo dell’economia, quindi, riporta in primo piano l’orizzonte etico: come si svolge un’attività economica e a quali regole ci si ispira. Non è un caso che una delle espressioni maggiormente utilizzate negli ultimi anni faccia riferimento alla responsabilità sociale delle imprese. Cosa indica questo, se non l’assunzione di un principio etico quale la correttezza e la lealtà nei confronti di tutti gli interlocutori: dagli azionisti, ai lavoratori, ai fornitori, ai clienti... Come si nota, ciò che definisce l’effettiva responsabilità sociale di un’impresa è il comportamento adottato nei confronti di tutti i soggetti in questione. La catena di attività che un’impresa svolge deve corrispondere sia a livello locale che internazionale al corretto e coerente comportamento dei singoli. Non è un caso, mi sembra, che l’Unione Europea abbia incluso tra i suoi obiettivi di sviluppo sostenibile quello della “responsabilità sociale”. Insomma, se si devono ricreare le condizioni per un recupero credibile delle istituzioni è necessario che si riporti 1 l’impegno non solo teorico, ma pratico, a dei valori etici che incidono nel comportamento dei singoli e delle strutture, così da permettere uno sviluppo realmente sostenibile. Il richiamo all’etica non può essere solamente una parenesi più o meno convincente che si ascolta a seconda dei pulpiti da cui viene fatta. La storia già permette di verificare che quando l’impianto assiologico di una società è vissuto e condiviso ne scaturisce un’economia forte, stabile e competitiva. Il caso del Giappone, come si sa, è spesso chiamato in causa proprio a questo riguardo. Come era possibile che un paese uscito sconfitto e distrutto dalla guerra, senza ricchezze naturali, con una lingua incomprensibile e per di più confinato ai margini del mondo, sia potuto diventare una delle economie più potenti del pianeta? L’orizzonte etico è quello che emerge in primo piano. La religione dominante all’epoca, il confucianesimo, pone tra i suoi capisaldi il valore della lealtà; cioè della coerenza, della sincerità del rapporto e della conseguente forma di solidarietà che ne deriva. Perché non pensare che in una nuova visione dell’economia le parti in causa possano assumere la “trasparenza” come valore etico che consente di avere un equilibrio tra lo Stato, le imprese, i cittadini, così da sviluppare un’alleanza di solidarietà dove tutti convergono verso il bene e nessuno si sente umiliato per la prepotenza dell’altro? E in una società dove si è posta in crisi la famiglia – che permane come il nucleo fondativo non solo della società, ma della stessa regola economica, almeno nel nostro Paese che ha una tradizione del tutto peculiare in proposito – non è giunto il momento di riproporre forme che presentino non la chiusura in se stessi, ma una responsabile assunzione di responsabilità pubblica proprio nelle relazioni interpersonali? Ma davvero si crede di poter pensare a una nuova struttura dell’economia e del mercato fondandolo solo sul consumo e sul risparmio dell’individuo? Ritengo che sia questa un’ulteriore illusione che presto porterà a doversi interrogare di nuovo sui nostri impegni legislativi a favore della famiglia come traino dell’intera economia. Non sono un economista, ma a nessuno di noi dovrebbe sfuggire il fatto che Adam Smith prima di scrivere An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations (La ricchezza delle nazioni del 1776) ha scritto The Theory of Moral Sentiments (1759). 2 Il capitalismo, pur con i suoi principi referenziali del self-interest, della competizione e del guadagno, ha sentito il dovere di porre una dimensione etica della realtà economica con il richiamo alla solidarietà e alla filantropia, alla “simpatia” e alla “comprensione”. Insomma, per dirla con Giovanni Paolo II: “L’economia è solo un aspetto ed una dimensione della complessa attività umana. Se essa è assolutizzata, se la produzione ed il consumo delle merci finiscono con l’occupare il centro della vita sociale e diventano l’unico valore della società, non subordinato ad alcun altro, la causa va ricercata non solo e non tanto nel sistema economico stesso, quanto nel fatto che l’intero sistema socio-culturale, ignorando la dimensione etica e religiosa, si è indebolito e ormai si limita solo alla produzione dei beni e dei servizi” (CA 39). In una parola: La struttura economica di una società e il benessere raggiunto non è altro che lo specchio del modo di pensare e di comportarsi della società stessa. ? Rino Fisichella 3