INDICATORI SOCIALI E DI QUALITA` DELLA VITA

INDICATORI SOCIALI E DI QUALITA’ DELLA VITA.
Dispensa del corso di sociologia urbana
di
Francesca Silvia Rota
Indice
Premessa. Gli indicatori nelle scienze sociali………………………………………………………..pag. 2
L’evoluzione nelle applicazioni degli indicatori sociali……………………………………………..pag. 3
Le premesse teoriche e le tecniche di analisi nei programmi di raccolta
degli indicatori di sviluppo e di qualità della vita…………………………………………………... pag. 7
Alcuni esempi di indicatori sociali………………………………………………………………….. pag. 11
La ricerca basata sugli indicatori sociali in Italia…...………………………………………………..pag. 18
Riferimenti bibliografici…………………………………………………………………………….. pag. 21
Elenco siti internet …………………………………………………………………………………. pag. 23
Premessa. Gli indicatori nelle scienze sociali
Le scienze sociali, nel loro cammino di sviluppo, hanno dovuto fronteggiare numerose difficoltà. Tali
difficoltà, particolarmente evidenti nelle fasi iniziali dell’evoluzione di queste discipline, possono essere
imputate al verificarsi di più fattori. In parte, esse sono ascrivibili alla complessità dell’oggetto di studio
(le scienze sociali nascono con lo scopo di ricercare le leggi che governano le società industriali) ed al
fatto che le scienze sociali costituiscono un’invenzione piuttosto recente nell’ambito della ricerca
scientifica. In parte, esse sono dovute alla problematicità della creazione di un contesto sperimentale in
campo sociale ed al fatto che la società costituisce ‘un bersaglio mobile’ in adattamento continuo ai
mutamenti del contesto (Martinotti, 1997).
Tutt’oggi, le scienze sociali si trovano di fronte ad una duplice sfida:
-
la necessità di capire – e fronteggiare – le accresciute e mutevoli complessità che caratterizzano le
entità sovranazionali di recente formazione (Unione europea);
la necessità di rispondere adeguatamene alla maggiore interconnettività delle comunicazioni sociali.
Nel tentativo di superare le difficoltà incontrate, uno degli strumenti che le discipline sociali si sono
date nel corso del tempo è stato quello dell’eleborazione di indicatori sociali1. Indicatori che – come si
vadrà in seguito – vengono inizialmente costruiti con lo scopo di fornire indicazioni ai decisori, in vista
dell’elaborazione di politiche e programmi di sviluppo (‘movimento degli indicatori sociali’), ma che, in
seguito, trovano applicazione sempre più diffusa e significativa in molteplici altri settori.
La ricerca sugli indicatori sociali è un fenomeno caratteristico dei paesi ad elevato livello di sviluppo
che, soprattutto negli ultimi tempi, sta assumendo dimensioni inedite. Si assiste oggi a quello che viene
definito un generale processo di ‘alfabetizzazione statistica’ (Martinotti, 1992), ovvero ad una
straordinaria diffusione di produttori e fruitori di dati relativi ai fenomeni sociali e statistiche (siano esse
prodotte dagli enti pubblici, o dalla ricerca sociale autonoma), accompagnata ad una pervasiva opera di
divulgazione di tali dati da parte dei mass media e del rapido diffondersi delle tecnologie informatiche. Il
fenomeno è presente anche nel nostro paese, dove, non solo si assiste all’ampliamento del ruolo dei
produttori ufficiali ed istituzionali di dati, primo tra tutti l’Istituto nazionale di statistica (ISTAT), ma si
assiste anche alla caduta del ‘regime di monopolio’ in cui essi lavoravano.
A queste trasformazioni di fondo si accompagna, in generale, un allargamento di interesse e di
attenzione (da parte della pubblica amministrazione, degli istituti di ricerca e dei singoli ricercatori) verso
lo studio delle caratteristiche socioeconomiche dei diversi tipi di aree territoriali e delle loro
modificazioni, e, più in particolare, del differente livello di benessere e qualità della vita che ivi si
registra (Zajczyk, 1997). Inoltre – come accennato in precedenza –, con l’emergere della nuova entità
territoriale europea, per le scienze sociali si fa sempre più urgente la necessità di elaborare una scienza
sociale di prospettiva europea, che sia basata su principi di interdisciplinarietà e sulla consapevolezza
della diversità delle culture che la compongono, ma che, allo stesso tempo, non risulti vincolata a nessuna
di queste; in altre parole, anche a livello sovralocale, si pone alle scienze sociali (soprattutto alla
1
Secondo Guala (2000), “un fenomeno complesso ed articolato può essere colto attraverso una serie di concetti più semplici e
specifici, i quali diventano strumenti che descrivono aspetti e problemi del fenomeno complesso” (p. 447). L’utilità degli
indicatori dunque risiede in tale funzione denotativa, resa possibile dall’instaurarsi di ‘rapporto di indicazione’, ovvero di un
nesso tra il concetto più generale che si vuole indagare e quelli più specifici ed analitici che servono a livello operazionale come
misura e sintomo del fenomeno più generale. A titolo esemplificativo, la ‘qualità urbana’ (che costituisce sicuramente un
fenomeno complesso) può essere descritta schematicamente attraverso numerosi indicatori analitici quali: l’utilizzazione di
trasporti pubblici, la fruizione di servizi, la distribuzione di aree verdi e strutture sportive, la composizione dell’utenza
dell’offerta culturale ecc (Guala, 2000).
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sociologia) il problema di sviluppare misure che siano decontestualizzate2, quali sono (appunto) gli
indicatori sociali (Martinotti, 1997).
Ciò premesso, si analizzeranno, in primo luogo, le fasi temporali che hanno scandito la ricerca sugli
indicatori sociali, evidenziandone le premesse teoriche e le condizioni di contesto (L’evoluzione nelle
applicazioni degli indicatori sociali). Successivamente, si andranno a considerare specificatamente gli
indicatori di sviluppo e di qualità della vita, di cui si illustreranno i presupposti concettuali, le tecniche di
analisi (Le premesse teoriche e le tecniche di analisi nei programmi di raccolta degli indicatori di
sviluppo e di qualità della vita) e qualche esempio pratico (Alcuni esempi di indicatori sociali). Infine, si
cercherà di tratteggiare come si sia vissuta nel nostro paese l’esperienza del ‘movimento degli indicatori
sociali’ e quali risultati abbia prodotto (La ricerca basata sugli indicatori sociali in Italia).
L’evoluzione nelle applicazioni degli indicatori sociali
Secondo gli studiosi della materia (Zajczyk, 1997), i presupposti della ricerca sugli indicatori sociali
possono essere fatti risalire all’esperienza maturata negli Stati Uniti, nel corso degli anni venti e trenta di
questo secolo; in particolar modo, essi si riferiscono all’opera del sociologo statunitense William Ogburn
che, tra il 1928 e il 1942, cura la redazione di una serie di rapporti sociali, tra cui il più noto, Tendenze
sociali recenti negli Stati Uniti, viene pubblicato nel 1933 dai Comitati presidenziali e costituisce per anni
l’unico modello di riferimento per la redazione delle moderne inchieste sociali.
La ricerca riceve un nuovo impulso nel 1954, quando l’ONU nomina una commissione con il
compito di migliorare la rilevazione dei livelli di vita attraverso una più puntuale definizione dei contenuti
del concetto di Standard of Living e degli indicatori necessari. Ma, a dire il vero, è poi solo con il progetto
dell’agenzia spaziale NASA (teso a studiare gli effetti indiretti del programma spaziale sulla società
americana) che si può far coincidere l’origine degli indicatori sociali, definiti da Bauer (1966) “le
statistiche, le serie statistiche ed ogni altra forma di valutazione che ci consentano di determinare dove
siamo, e dove stiamo andando, rispetto ai nostri valori e obiettivi” (p. 115).
A questo proposito, è interessante sottolineare il fatto che la problematica della qualità della vita
(tema centrale della riflessione sugli indicatori sociali) giunge con molto ritardo in ambito accademico.
Szlalai e Andrews (1980), denunciano questa situazione, sottolineando come l’origine dell’espressione
‘qualità della vita’ (o, meglio, del suo uso su larga scala) non derivi da ambienti universitari, bensì dai
mezzi di comunicazione di massa che, fin dai tardi anni cinquanta, si occupano di problemi legati
all'inquinamento ambientale e al deterioramento delle condizioni di vita urbane.
Per quel che riguarda il contesto (socioeconomico e culturale) in cui si avviano queste iniziali
sperimentazioni sugli indicatori sociali, gli anni sono quelli tra i ‘50 e l'inizio dei ‘60, anni dominati
dall’affermarsi delle teorie economicistiche ed evoluzionistiche dello sviluppo, in base alle quali:
-
lo sviluppo economico costituisce un processo che avanza per fasi successive;
il benessere costituisce una condizione derivante, quali automaticamente, dalla crescita economica.
2
L’aggettivo ‘decontestualizzato’ viene qui utilizzato per indicare che la misura ricercata deve essere in grado di cogliere il
significato funzionale, e perciò astratto e generalizzabile, di una determinata osservazione sulla realtà sociale (Zajczyk, 1997).
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In merito a ciò, di particolare interesse è la teoria dei cinque stadi elaborata da Rostow, il quale
teorizza che lo sviluppo storico della società industriale passi sempre attraverso cinque fasi successive:
1.
2.
3.
4.
5.
la fase definita ‘della società tradizionale’;
la fase in cui si creano le condizioni di base per il ‘decollo’ economico;
la fase durante la quale si realizza il ‘decollo’ economico;
la fase definita di ‘progresso verso la maturità’;
la fase caratterizzata dall’affermarsi di modelli di consumo di massa.
I primi indicatori elaborati dalle scienze sociali vengono impiegati per analizzare (e possibilmente
comprendere) le leggi o le regolarità che sottostanno al funzionamento delle società industriali: si tratta
per lo più di indicatori di tipo economico, che misurano il livello di benessere raggiunto dalla comunità
attraverso la quantificazione di grandezze esclusivamente monetarie (come ad esempio il calcolo del
Prodotto interno lordo – PIL - pro capite).
La situazione muta profondamente soprttutto intorno alla metà degli anni sessanta; in questo periodo,
caratterizzato da profondi conflitti sociali, in numerosi paesi, si assiste alla crisi delle concezioni
evoluzionistiche ed economicistiche dello sviluppo ed all’affermarsi di considerazioni più critiche a
riguardo dei modelli dominanti di crescita economica.
Si assiste a quella “crisi del mito dello Sviluppo e dell’Illimitato, del Progresso e del Benessere, del
Programma, in sintesi, della modernità e dell’Occidente, [che] trascina nella propria caduta i grandi
paradigmi che hanno costituito i presupposti del suo pensiero, primo tra i quali l’universalismo, quella
opinione e idea secondo cui esistono verità scientifiche che sono valide in tutti i contesti spaziali e
temporali” (Scandurra, 1999, p. 13) e tra i politici e gli studiosi si viene affermando la consapevolezza
che:
•
•
•
•
lo sviluppo non si attua spontaneamente in tutti i paesi;
anche nei paesi sviluppati, lo sviluppo non porta uguali benefici a tutti i contesti e a tutti i gruppi
sociali;
vi sono conseguenze indesiderabili connesse con lo sviluppo (soprattutto in campo ambientale e
sociale);
la crescita economica non porta automaticamente ad un miglioramento della qualità della vita.
Le scienze sociali si trovano a dover fronteggiare l’emergere di una forte domanda (espressa dalla
classe politica e amministrativa) di nuovi criteri e maggiori informazioni, attraverso cui guidare le
politiche sociali. Il ‘movimento degli indicatori’ costituisce la risposta a tale domanda. I tratti salienti
della nascita e della storia di tale movimento e delle fasi relative all’uso degli indicatori sociali possono
essere suddividisi in tre differenti tappe temporali (Zajczyk, 1997):
a)
una prima fase (comprendente gli anni ‘60 e ‘70) nella quale si sanziona la nascita del movimento
degli indicatori sociali e la sua diffusione negli ambienti pubblici ed in quelli accademici;
b) una seconda fase (nel periodo che va dalla fine degli anni ‘70 alla metà degli anni ‘80), che, secondo
alcuni (Innes, 1990), può essere interpretata come una fase di crisi, disillusione e delusione del
movimento, secondo altri (Andrews, 1990), come un momento di consolidamento e maturazione;
c) una terza fase (dalla fine degli anni ‘80 sino ad oggi), che vede una ‘rivitalizzazione’ nella ricerca
sugli indicatori sociali, in particolare per quel che concerne la comparabilità internazionale delle
statistiche sociali.
Posto ciò, si vede più nello specifico in che cosa consiste ciascuna fase temporale.
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Prima fase. Lo sviluppo iniziale del movimento degli indicatori sociali.
Si può dire che l’interesse per gli indicatori sociali trovi origine, negli Stati Uniti, verso la metà degli
anni sessanta. Tuttavia, un consolidamento fondamentale di questo tipo di ricerca lo si registra nel 1970,
con l’avvio del programma OCSE sugli indicatori sociali, seguito, nel 1974, dallo sviluppo (da parte
dell’ONU ed in collaborazione con la Conferenza degli statistici europei) di un innovativo Sistema di
statistiche sociali e demografiche (United Nations, 1975).
Questa prima fase di studi e sperimentazioni si accompagna ad un progressivo intensificarsi del
rapporto tra ricerca e potere. Il momento pubblico sempre più si pone come committente della ricerca
sociale al punto che la maggior parte degli studi vengono avviati in risposta alle esigenze conoscitive
espresse dalla pubblica amministrazione. E’ dunque in questo quadro di partecipazione ed impegno ‘quasi
missionario’ che coinvolge contemporaneamente ricercatori, dirigenti del settore pubblico e politici, che
nasce il cosiddetto ‘movimento degli indicatori sociali’; il movimento si origina inizialmente negli Stati
Uniti, ma, in breve, trova ampia diffusione anche nei paesi europei.
In Europa, in particolare, il movimento degli indicatori assume delle caratteristiche specifiche; qui,
infatti, l’incentivo alla ricerca non sorge principalmente da pressioni e richieste governative, ma,
piuttosto, la ricerca si svolge per lo più a livello accademico o all’interno di istituti di ricerca pubblici
non direttamente collegati all’attività governativa. Il risultato di tutto ciò è che non si può parlare, per i
paesi europei, di attività di ricerca con rilevante incisività nel processo di formazione delle scelte
politiche.
Durante questa prima fase di sviluppo degli indicatori sociali, vengono inoltre formulati alcuni degli
interrogativi ‘chiave’ della ricerca sociologica: ci si interroga su quali siano gli aspetti del sociale da
privilegiare, quali siano i dati da utilizzare, a quali soggetti (tra committente pubblico e ricercatore) vada
assegnato l’incarico di individuare i social concerns (preoccupazioni sociali) da analizzare. Di questi anni
sono infatti i primi modelli di contabilità sociale ed i primi rapporti annuali (sistema di ‘bilancioprogramma-pianificazione’, ‘analisi costi-benefici/costi-efficacia’ ecc.), redatti in vista di uno sforzo
comune di definizione di un sistema di informazione sociale sufficientemente sviluppato da consentire
l’analisi dei cambiamenti sociali e l’elaborazione di modelli esplicativi e di predizione (Sheldon e Moore,
1960).
Per quel che riguarda le motivazioni, i presupposti che determinano l’ascesa e la diffusione del
‘movimento degli indicatori sociali’, se ne possono evidenziare due in particolare.
La prima motivazione va riferita allo specifico clima politico presente alla fine degli anni sessanta. In
quegli anni, nelle società sviluppate del mondo occidentale, si comincia a mettere in dubbio l’equivalenza
tra crescita economica e progresso sociale: il concetto di ‘qualità della vita’ diviene obiettivo primario di
carattere multidimensionale nella politica sociale.
La seconda motivazione va riportata alla crescente domanda di informazione avanzata da una politica
sociale sempre più ‘attiva’, ovvero da un politica pubblica che sempre più necessita dell’informazione
sociale per diagnosticare i problemi, stabilire le priorità, controllare e valutare le conseguenze delle sue
decisioni, nonché trovare soluzioni operative.
Seconda fase. Un momento di stagnazione
Dopo una fase caratterizzata da entusiasmo e forse eccessive aspettative, in tutti i paesi sviluppati la
ricerca sugli indicatori sociali entra in un periodo in cui prevalgono gli elementi di difficoltà e di
riflessione critica. Abbiamo visto come, inizialmente, agli indicatori sociali venissero attribuite funzioni
anche molto complesse, non solo di rilevazione del benessere e di analisi del cambiamento sociale, ma
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anche di diagnosi dei problemi sociali e di valutazione dei programmi. Aspettative forse eccessive che
(probabilmente) sono tra le cause principali di quella crisi degli indicatori sociali che si delinea verso la
fine degli anni ottanta. L’ambizioso progetto di usare gli indicatori sociali ai fini diretti delle decisioni
politiche e della programmazione sociale, si ridimensiona nel tempo. Benchè si continui a credere nella
capacità degli indicatori di rendere più efficaci i processi decisionali, ci si rende altresì conto che questa
relazione non è sempre dimostrabile e si finisce con l’attribuire agli strumenti statistici una funzione
prevalentemente conoscitiva. Il fenomeno viene dibattuto soprattutto a livello internazionale, dove non
assume tanto i connotati di una crisi, quanto piuttosto di una riduzione dell'interesse, che porta con sé una
fase di stagnazione delle iniziative di ricerca e delle pubblicazioni.
Tra i fattori che intervengono a determinare tale situazione occorre annoverare in particolare quelli di
ordine economico e politico; infatti, in molti paesi sviluppati, negli anni '80 si registrano condizioni
economiche meno ‘floride’, che inducono le pubbliche amministrazioni (quella statunitense e quella
inglese in particolare, ma non solo quelle) ad apportare pesanti tagli negli investimenti della ricerca
sociologica e del monitoraggio. Tagli che colpiscono soprattutto istituzioni come l’OCDE e l’UNESCO,
che, nel periodo precedente, avevano investito molto nel tentativo di promuovere un sistema
internazionale di statistiche.
Non mancano, tuttavia, anche motivazioni di ordine teorico e metodologico, dovute alla mancanza di
un modello teorico d’interpretazione della realtà sociale universalmente accettato, mancanza che rende
difficile la formulazione di un sistema di indicatori sociali a sua volta ampiamente condivisibile; oltre a
ciò si aggiunga il fatto che, nelle scienze sociali, manca anche un ‘comune sistema di misurazione’, quale
può essere invece quello basato sul calcolo monetario per le scienze economiche.
Terza fase. Il rilancio nella ricerca sugli indicatori sociali..
Più tardi, a partire dalla metà degli anni ottanta, si assiste ad un progressivo rilancio delle
pubblicazioni sui dati relativi ai fenomeni sociali e sulle statistiche. Tale ripresa negli studi sociali si
verifica in tutti i paesi occidentali ed è dovuta all’affermarsi di un bisogno urgente, tempestivo e mirato di
informazione, a sua volta determinato dalla rapidità e varietà con cui si manifestano le trasformazioni
sociali, dopo la crisi del cosiddetto "modello fordista" di società industriale. Si assiste al nascere di un
rinnovato interesse per gli indicatori sociali e, contemporaneamente, allo spostamento di tale attenzione
dal livello sovranazionale e nazionale a quello locale (nel caso dell’Italia, al livello provinciale o
comunale).
In molti paesi industrializzati, si verifica un vero e proprio ‘boom’ nella redazione di rapporti e
compendi di statistiche sociali: documenti finalizzati ad ottenere una migliore definizione dei programmi
di politica sociale, sulla base dell’analisi del livello del benessere socioeconomico raggiunto dalle
popolazioni. Rapporti ed indagini sociali che, a seconda delle funzioni attribuite agli indicatori sociali,
vengono ‘caricati’ molteplici definizioni e scopi3 . Si hanno, ad esempio:
•
•
•
3
rapporti sociali finalizzati alla rilevazione del benessere di una determinata popolazione, tramite la
raccolta di informazioni statistiche;
rapporti sociali finalizzati all’osservazione del cambiamento sociale (in questo caso gli indicatori
sociali assumono una funzione dinamica connessa all’analisi dei sistemi);
rapporti sociali finalizzati alla predizione ed individuazione di misure di controllo.
Tali rapporti possono ad esempio assumere le caratteristiche di “documenti che descrivono le condizioni sociali passate e presenti,
con riguardo soprattutto agli aspetti sociali particolarmente rilevanti per le condizioni di vita delle popolazioni” (United Nations,
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In questo periodo, assume un forte rilievo anche l'impluso proveniente dai programmi e delle
iniziative promosse dall'Unione Europea. Significativo, a questo proposito è l’impegno dell’agenzia
comunitaria Eurostat, il cui lavoro consiste nel promuovere l’adozione di un linguaggio statistico
condiviso a livello eurocomunitario attraverso l'avvio della standardizzazione delle nomenclature dei
modelli di rilevazione e dei questionari usati nelle indagini. L’Eurostat, inoltre, amplia il campo della
produzione statistica comunitaria, coinvolgendo nuovi settori di intervento politico e di interesse
pubblico, ed incentiva la produzione di indagini campionarie dirette di indicatori statistici4.
Tra le più recenti tendenze negli studi sugli indicatori sociali, è possibile delineare alcune linee di
sviluppo:
- la crescente attenzione da parte di sociologi e politici nei confronti dei valori della ‘qualità della vita’
che provoca una progressiva complessificazione e diversificazione degli indicatori;
- le recenti esperienze (soprattutto a livello internazionale ed europeo) di pluralismo metodologico
(Marra, 1989); ovvero, le recenti sperimentazioni di forme di integrazione tra dati ecologici,
aggregati, e dati di survey, individuali e tra dati oggettivi di contesto e dati soggettivi di opinione,
percezione, bisogno. Il fenomeno risponde, a sua volta, ad una duplice necessità: la necessità di
soddisfazione (attraverso il valore aggiunto che deriva dalla possibilità di integrare informazioni e
indicatori elaborati sulla base di dati di natura diversa) di bisogni conoscitivi sempre più complessi;
la necessità di rendere i dati e, quindi, gli indicatori più comparabili (Zajczyk, 1997). A livello
internazionale, si possono contare da tempo alcune importanti attività di raccolta diacronica di
indicatori sociali di diverso tipo (oggettivo e soggettivo), tra cui le surveys sulla qualità della vita dei
paesi scandinavi, lo SPES-sistema di indicatori sociali della Germania occidentale, il Social Trends
della Gran Bretagna, gli Eurobarometri dei paesi della Comunità europea ecc;
- la maggiore attenzione posta allo studio della qualità della vità in ambito urbano. E’ infatti proprio
nelle città, e cioè nei luoghi dove si concentrano maggiormente risorse e popolazione, che le
contraddizioni della civiltà moderna acquistano i caratteri più manifesti, principalmente in termini di
diseguaglianza e disagio sociale.
Le premesse teoriche e tecniche di analisi nell’elaborazione di programmi di
raccolta di indicatori di sviluppo e di qualità della vita
Uno specifico settore di applicazione degli indicatori sociali è, come si è visto, quello inerente lo
sviluppo e la qualità della vita. Con ‘qualità della vita’ si identifica un concetto oggi molto utilizzato, ma
a cui – vista la molteplicità degli aspetti che il termine sottende – risulta difficile dare una definizione
esauriente. Sinteticamente, si potrebbe dire che “…l’espressione ‘qualità della vita’ viene sempre più
utilizzata, tanto nel linguaggio comune, quanto in quello delle scienze sociali, per descrivere
sinteticamente il complesso di problemi non soltanto economici, ma anche sociali, ambientali e di
relazione che caratterizzano le società moderne. Più in particolare, il sostantivo di qualità si contrappone a
4
1979, p. 2), oppure possono assumere le caratteristiche di documenti che illustrano alternative di sviluppo, il cui fine è quello di
esplicitare “la natura e la direzione dei possibili cambiamenti nel contesto delle politiche sociali” (United Nations, 1979, p. 4).
A tal proposito, si ricodano gli Eurobarometri, ovvero dei sondaggi sull’opinione dei cittadini effettuati nei paesi membri della
CEE due volte all’anno (ogni primavera ed autunno) e che sono importanti perché costituiscono un insieme di dati comparabili a
livello internazionale per ampiezza e regolarità di rilevazione.
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quello di quantità e sta ad indicare che la disponibilità, per una comunità, di un grande volume di risorse
economiche non sempre è sufficiente a determinarne il benessere” (Nuvolati, 1998, p. 69).
All’origine del concetto e delle riflessioni teoriche sulla qualità della vita si possono identificare
diversi filoni di studio, a loro volta afferenti a più ambiti disciplinari. Tra questi filoni è poi possibile
individuare due principali ‘basi teoriche’ (o linee interpretative), cui ricondurre i recenti programmi di
raccolta di indicatori di sviluppo e qualità della vita, e cioè:
-
le teorie dei bisogni umani;
le teorie dello sviluppo sostenibile.
Le teorie dei bisogni umani attingono dal patrimonio scientifico proprio delle discipline filosofiche e
riconducono il concetto di qualità della vità all’analisi dei bisogni umani e di come essi si configurano ed
evolvono nel tempo. Secondo queste teorie, “rispetto ad una specifica conformazione dei bisogni ed alle
soluzioni adottate, è possibile ipotizzare il raggiungimento di un determinato livello di qualità della vita”
(Nuvolati, 1997, p. 70). Le prime teorie dei bisogni umani vengono elaborate in seno alla tradizione
marxista e vengono fatte risalire alla ‘teoria dei bisogni’ formulata da Eric Frömm, Herbert Marcuse e
Agnes Heller; secondo tale formulazione, infatti, la società industriale-capitalista va fortemente criticata
perchè responsabile di un processo di alienazione e dipendenza dell’individuo rispetto ad una serie di
merci e consuni superflui e, contemporaneamente, della negazione dei suoi bisogni fondamentali in
termini di espressione, comunicazione e relazione con gli altri esseri umani (Fischer, 1976). Ciò
corrisponde a riconoscere e sostenere il principio secondo cui i veri bisogni (bisogni ‘radicali’
contrapposti a quelli ‘ricchi’, nella concezione marxiana) non consistono nell’acquisizione di determinati
beni, quanto nella partecipazione ad un processo di autorealizzazione e nell’immediatezza dei rapporti
sociali (Ruffolo, 1990). Questa concezione fa da sfondo teorico a tutta l’analisi in tema di qualità della
vita. Si origina così un fondamentale filone di ricerca che, attraverso gli anni e gli autori, porta in
evidenza la distinzione tra bisogni di tipo primario e bisogni di tipo secondario (o postmaterialisti).
Soprattutto, viene a prendere forma un concetto di qualità della vita non esclusivamente basato sul
possesso di determinati beni, o sul possesso di un determinato livello di soddisfazione, bensì sulla
possibilità per l’individuo di svolgere una serie di attività (functionings) in sintonia con i valori in cui
crede e nel rispetto dei diritti altrui (Sen, 1994). La componente materiale perde via via la centralità che le
veniva solitamente attribuita nella determinazione del benessere e viene affiancata da una ricerca
individuale della condizione di felicità che sia in linea con principi di libera espressività e gli orientamenti
etici dell’individuo. L’identificazione e la classificazione dei bisogni umani divengono punti di partenza
privilegiati per lo studio della qualità della vita. A tal proposito, un tentativo interessante di
sistematizzazione dei bisogni umani è rappresentato dal lavoro di Galtung e Wirak (1976), in cui ci si
ricercano le principali, inalienabili esigenze dell’uomo con lo scopo di tradurle in fini che il sistema
sociale e politico deve poi perseguire.
Le teorie dello sviluppo sostenibile possono essere invece riferite al pensiero di alcuni scienziati
naturali – fisici e biologi, in particolare – e sociali che hanno manifestato visioni profondamente
pessimistiche sulle conseguenze del progresso scientifico e tecnologico e sugli usi delle scoperte
scientifiche. L’idea di fondo di queste teorie è la seguente: non è pensabile uno sviluppo socioeconomico
della società che risulti incompatibile con le esigenze fondamentali dell’uomo (esigenze a vivere in un
ambiente sano e ad esprimere se stessi liberamente). Proprio la constatazione che, spesso e volentieri,
dietro la crescita economica ed industriale di una nazione si celano costi sociali non facilmente
sopportabili (soprattutto per i ceti più deboli della comunità) ha portato anche gli economisti a
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riconsiderare l’effettiva validità di un indice classico come il GNP (Gross National Product) ed a
proporne la sostituzione con il MEW (Measure of Economic Welfare) (Nordhaus e Tobin, 1972), che, a
differenza del precedente, consente di inserire nel bilancio i cosiddetti ‘aspetti non immediatamente
monetizzabili’.
Oltre alla filosofia, alla sociologia e all’economia, anche altre discipline si sono interessate alla
qualità della vita, dandone una propria definizione e proponendone tecniche di analisi di volta in volta
diverse; tra queste si ricordano (solo a titolo esemplificativo), la psicologia, per quanto attiene la
valutazione delle componenti personali ed emozionali della felicità, e la medicina, per la valutazione delle
condizioni psicofisiche degli individui.
Da quanto visto, ciò che emerge è che, a livello di ricerca sociologica, la crescente preminenza
dell’individuo singolo e dei suoi specifici bisogni in tema di qualità di vita hanno determinato la necessità
di orientare l’osservazione non solo verso gli aspetti oggettivi (materiali e non) della qualità della vita, ma
anche verso quelli di natura più soggettiva, più legati al rapporto che ogni persona intrattiene con la realtà
circostante (Guala, 2000). Con Allart (1981), si afferma la consapevolezzza che, a determinare il
benessere di un individuo, concorrono più fattori, riferibili tanto alla sfera oggettiva del vivere umano,
quanto a quella soggettiva. Si giunge così all’elaborazione dei primi modelli di analisi sociologica basati
sulla distinzione tra aspetti oggettivi ( responsabili del livello di vita di una popolazione e quindi della sua
soddisfazione) e soggettivi (responsabili della qualità di vita di una popolazione e quindi della sua
felicità) del benessere (tab. 1.1).
Tab. 1.1 – Gli aspetti del benessere (fonte: Allardt, 1981)
Gli aspetti del benessere
Livello di vita
Risorse materiali o impersonali
(having)
Soddisfazione
Sentimenti soggettivi nei riguardi delle
condizioni materiali di vita
Qualità della vita
Relazione delle persone con:
altri (loving)
la società (being)
la natura
Felicità
Sentimenti soggettivi nei riguardi delle
condizioni non materiali di vita
A Zapf (1984) si deve invece la descrizione delle quattro possibilità, risultanti dall’incrocio tra
benessere oggettivo e benessere soggettivo: well-being e dissonanza (nel caso di buone condizioni
oggettive di vita), adattamento e privazione (nel caso di cattive condizioni oggettive di vita).
Per quel che riguarda i metodi di ricerca e le tecniche di analisi sulla qualità della vita, si possono
individuare due grandi famiglie: quelle basate sulla raccolta ed elaborazione di dati istituzionali, aggregati
a livello territoriale (nazione, regione, provincia, ussl, comune ecc.) e quelle basate su dati di survey
(ovvero di indagini con questionario) su campioni rappresentativi della popolazione residente, elaborati
per determinate aree geografiche o afferenti ad una specifica comunità (Zajczyk, 1997).
La scelta del metodo dipende dall’oggetto specifico di studio, così come dalle risorse di cui dispone il
ricercatore. Nel caso delle ricerche realizzate con dati territorialmente aggregati, l’obiettivo principale dei
ricercatori è, in generale, quello di valutare le condizioni oggettive di vita (materiali e non) riscontrabili in
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un determinato contesto. A tal fine, i ricercatori fanno ricorso a dati di base elaborati in indicatori sociali
oggettivi (o indici sintetici di qualità della vita) utili per confrontare nel tempo e nello spazio differenti
unità di analisi (ad esempio tutte le province italiane, tutte le città europee con più di 200.000 abitanti
ecc.). Nel caso delle survey, lo scopo è invece di valutare tanto le caratteristiche del contesto
socioeconomico in cui vivono gli intervistati, quanto i comportamenti, gli atteggiamenti e le valutazioni
espresse da questi ultimi rispetto ad un elenco di problematiche che condizionano il benessere individuale
e collettivo. A tale scopo, i ricercatori si impegnano a costruire indicatori sociali soggettivi che siano
anche utili a confrontare gruppi differenziati di popolazione (ad esempio, gli occupati e di disoccupati, i
giovani gli adulti e gli anziani ecc.).
In entrambi i casi, è da notare il fatto che, comunque sia, il punto di partenza è sempre costituito
dall’individuazione delle aree tematiche in cui scomporre il concetto di qualità di vita sulla cui base
proporre i relativi indicatori sociali5. A questo proposito, un’analisi comparata dei concerns proposti in
occasione di differenti ricerche italiane e straniere sulla qualità della vita, fa emerge che gli argomenti più
frequentemente considerati riguardano(Zajczyk, 1997):
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–
le caratteristiche demografiche della popolazione e la struttura familiare;
le condizioni di salute;
la qualità e la tutela dell’ambiente (naturale e costruito);
il clima;
la situazione abitativa;
la sicurezza pubblica;
il disagio sociale;
le condizioni di lavoro;
la situazione economica;
il tempo libero e la cultura;
la disponibilità di servizi di vario tipo (trasporti assistenza, sanità, esercizi commerciali);
la partecipazione;
le relazioni interpersonali.
Una volta raccolti i dati di base ed elaborati gli indicatori, si procede alla trasformazione e
combinazione di questi ultimi in indici sintetici di qualità della vita, mediante l’applicazione di tecniche
differenziate a seconda del livello di complessità richiesto. Tale passaggio di trasformazione (o
standardizzazione) degli indicatori – indispensabile soprattutto nel caso di indicatori basati su dati di tipo
aggregato – si rende necessaria perché le unità di misura degli indicatori risultano quasi sempre differenti
e, quindi, gli indicatori stessi non sono direttamente combinabili.
Tra le procedure adottabili per la trasformazione degli indicatori vanno ricordati: i) il calcolo degli Zscores, ottenibili facendo, per ciascun indicatore, la differenza tra il valore medio registrato per il
complesso delle unità di analisi (comuni, province ecc.) ed il valore della singola unità, precedentemente
divisa per la deviazione standard; ii) la costruzione di numeri indice, in cui i valori più elevati riscontrati
per ogni indicatore corrispondono a 100 (o a 1.000) e gli altri vengono calcolati nel rispetto
dell’equazione in tal guisa definita; iii) l’utilizzo di graduatorie, più o meno organizzate in decili, quintili
5
Operazioni queste che vengono oggi facilitate (ma non esaurite) dalla presenza di appositi ‘elenchi di preoccupazioni sociali’
forniti da numerose organizzazioni internazionali.
10
ecc., in base alle quali ciascuna unità di analisi per ogni indicatore occupa una posizione particolare
rispetto alle altre unità di analisi.
Anche le tecniche di ponderazione (attribuzione di un ‘peso’ ad un indicatore, in base all’importanza
che esso riveste nella determinazione della qualità della vita) sono molteplici. Tra le più diffuse
ricordiamo l’analisi fattoriale6, soprattutto nella variante dell’analisi delle componenti principali; ma
esistono anche altri metodi di ponderazione meno complessi, come quello che prevede una distribuzione
‘ad albero’ dei pesi a seconda del numero di indicatori che rientrano in un medesima area tematica
(Seidman e Liu, 1977) o come quello basato sulle risposte di un campione di popolazione (o di un più
ristretto gruppo di testimoni privilegiati) cui viene esplicitamente richiesto di attribuire dei pesi relativi
agli indicatori ed ai concerns.
Successivamente alla costruzione di un indice di qualità della vita per ogni unità di analisi, vengono
predisposte delle graduatorie, finalizzate a porre in evidenza le situazioni di maggiore benessere e quelle
di maggior disagio. Ulteriore operazione è infine quella di procedere ad un raggruppamento delle unità di
analisi in base ai valori registrati sui singoli indicatori, tramite cluster analysis, o in base al valore
ottenuto per l’indice complessivo, dividendo la classifica finale in decili o segmenti di altra dimensione;
tali procedure consentono un’utile mappatura del territorio con la possibilità di individuare le aree
geografiche maggiormente caratterizzate in senso positivo o negativo.
Alcuni esempi di indicatori sociali
Si farà ora cenno ad alcuni dei più significativi programmi di ricerca basati su indicatori di qualità della
vita, promossi, in particolare, al livello internazionale.
L’INDICE DI SVILUPPO UMANO
L’Indice di sviluppo umano (ISU7) viene proposto per la prima volta nell’ambito del Rapporto sullo
sviluppo umano n. 1 (United Nations Development Programme, 1999). In tale rapporto, lo sviluppo
umano viene definito come ‘processo di ampliamento delle scelte delle persone’, sottolineando come le
scelte, le opzioni base, di cui un essere umano deve poter disporre, siano sostanzialmente quelle di una
vita lunga e sana, dell’acquisizione di conoscenze e dell’accesso ad un reddito sufficientemente elevato da
consentire un dignitoso tenore di vita. Alla luce di tale interpretazione, risulta evidente l’inadeguatezza
del ricorso al solo strumento del reddito quale mezzo per quanticare il livello di sviluppo umano; il
rapporto propone quindi l’adozione di un nuovo indicatore che tenga conto, contemporaneamente di tutte
e tre le dimensioni dello sviluppo sopra individuate (speranza di vita, istruzione e reddito).
L’indicatore dello sviluppo umano (ISU) viene costruito in tre passaggi. Il primo passo è quello della
definizione di una misura della privazione sofferta dal singolo paese, rispetto a ciascuna delle tre variabili
base: speranza di vita (X1), alfabetizzazione (X2) ed il valore del logaritmo del PIL reale procapite (X3).
6
7
Con il termine di analisi fattoriale, si denota un insieme di procedure che si propongono di individuare l’esistenza, o meno, di
variabili latenti denominate fattori, o componenti principali, non direttamente osservabili, in grado di spiegare le correlazioni
esistenti tra il complesso degli indicatori osservati (Ferrari, 1992). In questo caso, il peso o factor loading è costituito da un
coefficiente rappresentante la forza di relazione esistente tra l’indicatore ed i fattori individuati. Obiettivo finale delle
elaborazioni e l’individuazione dei cosiddetti factor scores, cioè dei valori raggiunti da ciascuna unità di analisi sui fattori.
La traduzione inglese dell’espressione Indice di sviluppo umano (ISU) è Human Development Index (HDI).
11
Per ciscuna delle tre variabili, vengono determinati un valore massimo ed uno minimo in base ai valori
effettivi. L’indicatore di privazione colloca quindi un paese in una scala da zero a uno, definita in base
alla differenza tra il valore massimo ed il minimo. Quindi, Iij rappresenta l’indicatore di privazione del
paese j-mo rispetto alla variabile i-ma e viene definito come:
(max Xij – Xij )
Iij =
j
(max Xij – min Xij)
j
j
Il secondo passo è la definizione di un indice medio di privazione (Ij) calcolato facendo la media
semplice dei tre indicatori:
Ij =
1
3
3
i=1
— ∑ Iij
Il terzo passo è l’ottenimento dell’indice di sviluppo umano (ISU) ricavato sottraendo all’unità
l’indice medio di privazione:
(ISU)j = (1-Ij)
L’indice ISU ha suscitato grande interesse tra i politici, gli operatori dello sviluppo, gli studiosi, la
stampa e l’opinione pubblica. In particolare, ciò che ha colpito maggiormente l’attenzione degli esperti è
stato il fatto che L’ISU proponga una media non ponderata della classificazione di un paese nella scala
della speranza di vita, dell’alfabetizzazione e del reddito; in altre parole ciò che colpisce è il fatto che, nel
calcolo dell’indice medio di privazione, la somma delle tre variabili
3
∑ Iij
i=1
non venga ponderata e che a tutte e tre venga attribuito un peso eguale. Questo si spiega in base alla
considerazione che tutte e tre le componenti dello sviluppo (speranza di vita, istruzione e reddito)
contribuiscano in egual misura nel determinare il livello di sviluppo di un paese.
Sulla base dei valori dell’ ISU, calcolati per i vari paesi del mondo, è dunque possibile rendere in
forma grafica (fig. 1.1) la rappresentazione dell’andamento della distribuzione globale del reddito.
12
Fig. 1.1 – Rappresentazione grafica della distribuzione del reddito
Dall’esame del grafico (fig. 1.1), si possono così ricavare due prime considerazioni (significative e
insieme preoccupanti) sul fenomeno: il 20% più ricco della popolazione mondiale riceve l’82,7% del
reddito mondiale, mentre il 20% più povero della popolazione mondiale ne riceve solo l’1,4%. La
distribuzione globale del reddito per quintili (tab. 1.2) è la seguente:
Tab. 1.2 – Distribuzione globale del reddito
Popolazione mondiale
20% più ricco
Secondo 20%
Terzo 20%
Quarto 20%
20% più povero
Reddito mondiale
82,7%
11,7%
2,3%
1,9%
1,4%
13
Tab. 1.3 – Stesso reddito, ISU differente
Paese
PIL pro capite
(dollari)
Valore ISU
Mortalità infanntile (per
1.000 nati viv
Graduatoria
ISU
Speranza di
vita (anni)
Alfabetizzazio
-ne adulta (%)
90
106
132
173
71,2
65,4
58,3
43,9
89
78
36
27
24
53
99
135
74
98
112
123
66,2
67,3
65,2
51,7
87
82
75
59
58
37
46
83
38
57
93
100
71,9
70,4
62,2
65,7
94
80
80
73
17
14
53
59
PIL pro capite tra 400 e 500 dollari
Sri Lanka
Nicaragua
Pakistan
Guinea
500
400
400
500
0,665
0,583
0,393
0,191
PIL pro capite tra 1000 e 1100 dollari
Ecuador
Giordania
El Salvador
Congo
1.010
1.060
1.090
1.040
0,718
0,628
0,543
0,461
PIL pro capite tra 2300 e 2600 dollari
Cile
Malaysia
Sud Africa
Iraq
2.360
2.520
2.540
2.550
0,848
0,794
0,650
0,614
THE CITY DEVELOPMENT INDEX
Il City Development Index (CDI) costituisce, insieme con il City Product per person8, il principale
indicatore utilizzato per calcolare lo sviluppo (o il livello di performance) di una città.
Il CDI è stato elaborato come prototipo per Habitat II, dove veniva impiegato con lo scopo di
classificare le città in base al livello di sviluppo da esse raggiunto. La tecnica utilizzata per costruire il
City Development Index è molto simile a quella utilizzata dal UNDP (United Nations Development
Programme) per lo Human Development Index9 (HDI). Alla base dell’elaborazione del CDI vi è, infatti,
la considerazione che gli aspetti che contribuiscono a determinare lo sviluppo di un sistema urbano siano
molteplici e complessi (livelli di crescita economica, di vivibilità, di sostenibilità, di povertà, di inclusione
sociale ecc.) e che, pertanto, per quantificarne il livello, un solo indicatore non risulti sufficiente.
Perché la misura sia davvero indicativa bisogna realizzare un indice sintetico che sia il risultato della
combinazione di più indicatori (ognuno dei quali rappresentativo di un particolare aspetto dello sviluppo
urbano). In questo modo, si giunge all’elaborazione del CDI che è dato dalla costruzione e combinazione
di più sotto-indici.
I sotto-indici impiegati sono cinque: i) il City Product (misura del prodotto urbano); ii) Infrastructure
(misura dell’infrastrutturazione); iii) Waste (misura dei rifiuti); iv) Health (misura della salubrità
dell’ambiente urbano); v) Education (misura del sistema di istruzione). Ognuno di questi sotto-indici è
dato dalla combinazione di numerosi indicatori, i cui valori vengono normalizzati e ricondotti a misure
numeriche comprese tra 0 e 1.
Per poter elaborare l’indice CDI è dunque necessario procedere preliminarmente alla quantificazione
di questi cinque sotto-indici (i cui valori a loro volta saranno compresi tra 0 e 100). Più specificatamente,
per calcolare il City Development Index, si procede applicando le seguenti formule:
8
Il City Product per person è l’analogo del GDP, calcolato alla scala urbana, e viene utilizzato per quantificare le uscite economiche
(economic output) della città. In particolare, il CDI può anche essere utilizzato per fornire una misura del benessere e dell’accesso
ai srvizi della città di cui i singoli cittadini dispongono.
14
Tab. 1.4 – Formula per calcolare il CDI
Index
Formula
Infrastructure
25 x Water connections + 25 x Sewerage + 25 x Electricity + 25 x Telephone
Waste
Wastewater treated x 50 + Formal solid waste disposal x 50
Health
(Life expectancy – 25) x 50/60 + (32 – Child mortality) x 50/31.92
Education
Literacy x 25 + Combined enrolment x 25
Product
(log City Product – 4.61) x 100/5.99
City Development
(Infrastructure index + Waste index + Education index + Health index + City
Product index)/5
Dal momento che le variabili che intervengono nel calcolo del CDI sono fortemente interrelazionate,
esistono più modi per giungere all’elaborazione dell’indice che danno più o meno tutti gli stessi risultati.
Un modo possibile prevede che i pesi assegnati ad ogni indicatore siano calcolati inizialmente attraverso
un istema statistico chiamato Principal Components Analysis e che vengano quindi semplificati. Questa
formulazione dell’indice in modo specifico, ricalca da vicino le formule utilizzate nel calcolo dei sottoindici (speranza di vita, istruzione e reddito) impiegati per elaborare lo HDI.
Per ottenere una classifica significativa delle città in base al livello da esse raggiunto di sviluppo
urbano è però necessario che i dati cui si ricorre siano completi, sicuri e precisi (il che non è sempre
facile). Vengono quindi previsti degli aggiustamenti nel caso in cui i dati risultassero incompleti o
inaffidabili (come il fatto di sostituire il valore ‘compromesso’con quello di una città analoga per
dimensioni ed appartenente alla stessa nazione).
Il CDI di una città può essere messo in relazione con il corrispondente valore del HDI nazionale.
Tuttavia, poichè nell’ambito di una stessa nazione possono esistere variazioni notevoli tra città e città, ne
risulta che (tra i due indici) il CDI sia quello che fornisce la misura più attendibile delle reali condizioni
della città. Inoltre, il CDI può essere anche utilizzato come un valido indice di misura sia del livello di
povertà sia del livello governance urbana. Non a caso le variabili relative a salute, educazione ed
infrastrutture risultano utili per la misura della situazione di povertà nelle città, mentre le variabili sulle
infrastrutture, i rifiuti ed il prodotto urbano sono variabili chiave nelle definizione dell’efficacia della
governance urbana. Il CDI si relaziona efficacemente anche con il livello del prodotto urbano; si è potuto
infatti verificare che le città che presentano valori elevati di prodotto urbano sono anche quelle dove è
maggiore il valore del CDI.
Qui di seguito si riportano alcuni dei valori di CDI calcolati per i sei grandi ambiti territoriali
(Regioni) in cui può essere suddiviso il pianeta (il continente africano, gli stati arabi, l’area asiaticopacifica, l’insieme dei paesi più industrializzati, l’area dell’America latina e dei Caraibi, i paesi in via di
sviluppo) e per alcune città selezionate.
9
Lo Human Development Index (HDI) è l’analogo dell’Indice di sviluppo umano (ISU) di cui si è parlato in precedenza.
15
Tab. 1.5 – CDI components by Region
Sub – indices
Region
CDI
City Product
Infrastructure
Waste
Health
Education
Africa
Arab States
Asia – Pacific
Highly Industrialized
Countries
Latin America and
the Caribbean
Transition countries
42.85
64.55
65.35
49.69
66.52
62.90
36.17
69.79
67.75
26.04
45.87
44.40
50.39
77.18
78l.27
51.96
63.39
73.43
96.23
90.60
99.21
100.00
94.26
97.10
66.25
78.59
62.93
71.62
70.42
90.64
39.50
55.93
82.71
85.80
75.68
88.94
1998 data
Tab. 1.6– CDI components for selected cities
Sub – indices
City
Stockholm
Melbourne
Singapore
Homg Komg
Moscow
Seoul
Rio de Janeiro
Sofia
Hanoi
Havana
Jakarta
Ulaanbaatar
Lahore
Colombo
Bangalore
Dhaka
Vientiane
Accra
Phnom Penn
Port Moresby
Lagos
Niamey
CDI
City Product
Infrastructure
Waste
Health
Education
97.4
95.5
94.5
92.0
89.9
86.0
79.4
79.1
74.2
71.0
69.2
68.4
61.1
58.4
58.0
48.4
47.1
46.6
43.5
39.3
29.3
21.7
93.5
90.0
91.6
89.4
81.0
65.3
82.3
70.9
59.6
65.0
66.2
53.7
71.1
46.9
51.1
55.6
44.0
49.4
40.2
69.0
42.1
40.0
99.5
99.8
99.5
99.3
98.7
98.4
86.2
93.7
72.0
74.8
57.3
59.0
78.5
68.6
82.7
45.3
58.0
50.0
33.0
18.1
29.5
22.0
100.0
100.0
100.0
99.0
86.8
100.0
62.6
58.5
90.0
50.0
46.7
90.0
50.0
45.0
31.3
27.5
0.0
0.0
27.0
10.0
2.0
0.0
94.0
93.7
92.7
90.9
83.8
88.7
81.9
86.2
80.6
80.7
80.2
72.5
64.9
86.2
76.5
64.6
62.3
71.4
47.2
59.1
44.0
78.3
99.8
94.1
88.6
81.3
99.3
77.7
84.3
86.3
69.0
84.7
95.7
66.7
40.8
45.3
48.5
48.7
71.3
62.0
69.9
40.2
29.1
14.9
1998 data
Si conclude il discorso sul CDI con un’osservazione che riguarda gli investimenti fatti dalle città: dal
valore del CDI ottenuto risulta che le città che hanno maggiormente investito in infrastrutture fisiche e
sociali hanno poi avuto ritorni positivi in quelle stesse aree (fisica e sociale) ma anche in altre aree
connesse con lo sviluppo urbano.
THE URBAN AUDIT
Quella dello Urban Audit è un’iniziativa lanciata dall’Unione europea nel 1997 come risposta alla
crescente richiesta di un aumento della qualità della vita nelle città europee ed alla necessità di
incrementare e rendere comparabile il sistema statistico comunitario.
16
Lo Urban Audit costituisce un sitema di valutazione della qualità delle città europee (sito internet
http://www.inforegio.cec.eu.int/urban/audit/src/intro.html). L’Unione Europea si sta impegnando molto
dal punto di vista della valutazione, monitoraggio e promozione della qualità di vita a livello locale e, in
particolare, della sostenibilità a livello urbano. Ne consegue, pertanto, l’impegno nell’elaborazione di
indicatori comuni europei, appositamente pensati per quantificare la sosteniblità secondo modalità
comuni a tutta l’Unione e consentire così il confronto.
Lo scopo prioritario di Urban Audit è permettere un miglioramento delle condizioni delle singole
città dell’Unione e, nello stesso tempo, rendere loro possibile l’accesso a informazioni comparabili su tali
condizioni. Nella fase iniziale del programma (pilot phase) sono state invitate a partecipare 58 città
europee e sono stati elaborati i indicatori riguardanti 5 distinti campi tematici: aspetti socioeconomici
(socio-economic aspects), partecipazione alla vita civica (participation in civic life), educazione e
formazione (education and training), ambiente e cultura (environment and culture), piacere (leisure). Il
confronto tra i risultati di questi indicatori permetterà nel tempo alle diverse città partecipanti di giudicare
il progressi fatti e di identificare le eventuali difficoltà incontrate. Da notare il fatto che per 27 delle 58
città che hanno partecipato alla fase sperimentale, gli indicatori sono calcolati a livello di conurbazione
(Conurbation level) o relativamente all’unità territoriale più vasta (Wider Territorial Unit) e che, in alcuni
casi, si è cercato di capire se esistono disparità interne di condizione all’interno di una stessa città,
attraverso l’elaborazione di inficatori (soprattutto per gli aspetti socioeconomici) a livello di singole ‘subdivisioni’ urbane10.
GLI INDICATORI COMUNI EUROPEI
Iniziative recenti (e sicuramente degne di nota), in materia di indicatori sociali e di qualità della vita,
sono quelle avviate dalla Commissione europea. Più precisamente, ci si riferisce all’iniziativa di
monitoraggio della sostenibilità su scala europea, Verso un quadro della sostenibilità a livello locale –
Indicatori comuni europei (Commissione Europea, 2000), sviluppata con un ‘approccio dal basso’ da un
gruppo di lavoro11 esperto dei temi dell’ambiente urbano di concerto con altri enti locali europei.
L’iniziativa va posta in relazione con i recenti sviluppi del quadro politico europeo. Infatti, l’attività di
monitoraggio della sostenibilità affonda le proprie radici in un decennio di politiche europee a favore
dell’ambiente e sempre più orientate verso l’adesione ai temi della sostenibilità (politiche quali il Quinto
programma d’azione europeo a favore dell’ambiente, gli accordi di Rio del 1992, la Carta di Alborg del
1994, la Relazione sulle città sostenibili del 1996, la comunicazione Quadro d’azione per uno sviluppo
urbano sostenible nell’Unione europea del 1998 ecc.). In linea con questa tendenza di crescente
attenzione verso le città e verso l’apporto che tali entità territoriali posso dare nella ricerca di una
condizione di sostenibilità a livello globale, si inserisce l’iniziativa europea di elaborazione di un set
comune di indicatori (di sostenibilità), attraverso i quali ricavare informazioni sull’andamento e sui
risultati degli interventi ‘pro-sostenibilità’ avviati in Europa. Il fine è quello di sostenere gli sforzi degli
10
11
Per ulteriori informazioni sull’argomento, la metodologia con la quale sono state raccolte le informazioni ed i dati inerenti le
singole città dei differenti paesi dell’Unione è riportatata nel Urban Audit Manual (sito internet
http://www.inforegio.cec.eu.int/urban/audit/src/intro.html).
Il gruppo di esperti sull’ambiente urbano che coopera a questa iniziativa di monitoraggio è lo stesso che era stato inizialmente
istituito dalla Commissione europea, nel 1991, con il compito di valutare come inserire gli obiettivi ambientali nelle future
strategie comunitarie di pianificazione a livello urbanistico e del territorio e di fornire indicazioni alla Commissione su come
sviluppare la dimensione dell’ambiente urbano all’interno della politica ambientale comunitaria. In seguito, nel 1993, questo
stesso gruppo era anche stato il promotore, assieme alla Commissione Europea, del progetto ‘città sostenibili’ (Commissione
Europea, 2000) .
17
enti locali per raggiungere la sostenibilità e fornire, allo stesso tempo, informazioni obiettive e
comparabiili sui progressi conseguiti in materia.
La ricerca basata sugli indicatori sociali in Italia
In Italia, l’attenzione per gli indicatori sociali – sia da parte del mondo accademico, sia da parte
dell’apparato pubblico di produzione dei dati (ISTAT) – si è sviluppata considerevolmente più tardi che
in altri paesi. Come per gli altri paesi occidentali, così anche in Italia, per tutti gli anni ottanta il
movimento degli indicatori sociali non conosce una particolare evoluzione, almeno sotto il profilo
dell’elaborazione concettuale. Nonostante ciò, si assiste in quello stesso periodo alla pubblicazione di un
gran numero di rapporti; rapporti in gran parte realizzati da istituti regionali di ricerca con la
collaborazione di singoli studiosi (sociologi e economisti, in genere, di matrice accademica)12ed incentrati
sull’analisi delle condizioni socioeconomiche delle Regioni. In particolare, si evidenzia il fatto che, nel
nostro paese:
-
-
-
nei rapporti regionali si passa da un’attenzione prevalente per l’analisi di dati di natura economica, ad
una crescente rilevanza assegnata agli aspetti sociali, da impiegare nell’elaborazione delle valutazioni
e degli interventi di politica sociale (rilevanza di tipo, quindi, ‘normativo’);
in tutti i rapporti, l’inserimento degli indicatori sociali non è concettualmente giustificato nell’ambito
di uno schema generale interpretativo della realtà, né è concettualmente giustificata la scelta degli
indicatori; se ne ricava che il ricorso agli stessi indicatori sociali risulta, almeno in apparenza, casuale
e dettato dalla disponibilità dei dati;
l’attività degli enti locali in questo campo non ha riferimenti importanti a livello nazionale.
A livello nazionale, a partire soprattutto dalla metà degli anni ottanta, oltre ad un utilizzo più ampio
ed articolato di dati, si assiste ad una crescente attenzione verso dati di tipo soggettivo, risultanti da
indagini empiriche campionarie su porzioni di universi. Anche il CENSIS, si avvia sulla strada già
percorsa da altri paesi occidentali e che porta ad integrare, ampliare ed approfondire, attraverso dati di
tipo soggettivo, quanto le informazioni oggettive, fornite dalle fonti ufficiali, non sono in grado di
cogliere. In questo stesso filone interpretativo vanno riportati i due volumi di statistiche sociali
dall’approccio molto pragmatico pubblicati dall’ISTAT nel 1975 (il primo) e nel 1981 (il secondo).
Oggi, in Italia, il panorama statistico si caratterizza, almeno sotto il profilo quantitativo, per una certa
ricchezza di informazioni; informazioni che, però, non vengono ancora organizzate in un sistema coerente
(Golini, 1981) né rispetto alla fase della progettazione, né, tanto meno, rispetto alla fase della produzione
e trasformazione dei dati in indicatori.
Nell’analisi della situazione italiana, d’altrocanto, vanno tenute presenti due considerazioni. Da una
parte, occorre considerare il ruolo dell’ ISTAT, della sua lenta, se pur continua, evoluzione verso una
progressiva democratizzazione dell’informazione, ma anche del non ancora adeguato livello di
modernizzazione e sviluppo tecnologico raggiunto dall’istituto. Dall’altra, non si può prescindere dalle
specificità della cultura amministrativa (eccessivamente lenta, settorializzata e burocraticizzata) del nostro
paese. In qualunque ente pubblico locale (comune, provincia, regione) ci troviamo così in presenza di una
rilevante massa di indagini e studi (e quindi di dati e informazioni) inerenti a problemi e temi di interesse
12
In particolare, meritevoli di nota sono lo studio sugli indicatori sociali per la Regione Toscana condotto da Renato Curatolo e
quello sui bilanci sociali di area (BSA) condotto in Lombardia (Guala, 2000).
18
locale, senza, tuttavia, che si produca un processo di accumulazione della conoscenza. Il risultato di tutto
ciò è anzi una situazione di grande frammentazione che, a sua volta, determina e favorisce una scarsa
utilizzazione dei risultati delle ricerche.
Uno dei settori della ricerca sociale nel quale più spesso ritroviamo questo problema è quello inerente
la misura del livello di benessere e di qualità della vita di una comunità: ambito di ricerca che nel nostro
paese non ha ancora trovato una piena legittimazione scientifica e che, spesso, si presenta sottoforma di
indagini conoscitive sulla situazione socio-economica. Quello di ‘indicatore sociale’ è un termine
largamente e comunemente diffuso, alle volte persino abusato: per ogni rapporto o studio che contenga
una qualche minima percentuale su temi sociali si parla comunque di indicatori sociali. In altre parole,
questo termine viene usato in modo piuttosto convenzionale per definire qualunque tipo di statistica
sociale, mentre scarso è lo sforzo per coniugare singole statistiche sociali ad un sistema, a un modello
complessivo di indicatori. I concetti di ‘benessere’ e ‘qualità della vita’ sono stati spesso oggetto
(soprattutto in Italia) di un uso spregiudicato ed indiscriminato, senza che alla loro diffusione abbia
pertanto corrisposto una precisa definizione né sul piano concettuale né su quello della sua
operativizzazione. Emerge soprattutto una lacuna dal punto di vista della combinazione degli indicatori
riguardanti le condizioni di vita degli individui (oggettive o percepite) ed i modelli esistenziali condivisi
dagli stessi in un’ottica più generale, che tenga conto di un processo di autovalutazione o, meglio, di
autodefinizione del benessere.
In merito agli indicatori di sviluppo e qualità della vita elaborati nel nostro paese, per il livello locale,
si possono menzionare quelli de “Il Sole 24 Ore”, appositamente costruiti per valutare e classificare la
situazione di sostenibilità urbana posseduta dai singoli comuni italiani. Tale rilevazione annuale sulla
qualità delle città italiane, costituisce infatti materiale interessante sia per la modalità di costruzione degli
indici, sia per la rilevazione del trend in atto nello sviluppo degli indicatori nel tempo. A livello
sovralocale (provinciale), gli indicatori vengono per lo più elaborati a partire da “indagini di tipo
comparato, basate su dati secondari ed orientate a misurare la qualità della vita” (Guala, 2000, p. 459); tra
queste, si ricordano Qualità della vita e cultura nelle Province italiane (G. Botta, a cura di, 1986), che
però si sofferma esckusivamente sul livello provinciale senza riuscire a cogliere le differenze tra comune
capoluogo e resto della provincia, e quella di Luigi Dall’Osso (1987) che utilizza dati disaggregati a
livello comunale per giungere ad una comparazione delle “città dove si vive meglio”13.
Sempre relativamente agli indicatori sociali e alla qualità della vita, Martinotti ed altri (1988),
partendo dal presupposto che nessun modello appare completo (data la complessità delle variabili
chiamate in causa, la variabilità delle tecniche di misurazione e di classificazione, la discreta probabilità
di successo nel gestire le ‘analisi dei fattori’, l’interferenza di ipotesi di lavoro e criteri personali ecc.)
teorizza la necessità di operare contemporaneamente a livello di dati secondari, opportunamente elaborati,
ed a livello di indagini empiriche sulla popolazione, in modo tale da stimare la ‘domanda reale’ della
popolazione (o di alcune sue fasce specifiche di popolazione) rispetto alla ‘domanda potenziale’
teoricamente resa attraverso dati secondari a sfondo territoriale. Indagini empiriche ad hoc permettono,
infatti, di comparare le misurazioni oggettive con variabili di atteggiamento e comportamento di tipo
13
Si tratta di un’indagine sulle città italiane del centro nord basata su 49 indicatori, desunti da dati oggettivi e trattati in sei
macroaree di analisi (la demografia, il settore abitazioni, benessere e consumi, il welfare, attrattive, elementi di negatività legati al
clima e all’ambiente ed elementi di crisi connessi con il mercato del lavoro). Nelle sei grandi aree considerate viene stabilita una
graduatoria per tutte le città e ad ogni città viene assegnato il grado (rank) occupato nella graduatoria, seguendo il criterio
secondo cui si assegna sempre 1 al valore migliore, 2 al secondo e così via.
19
personale, cercando così di ovviare ai limiti imposti dalle fonti secondarie (Guala, 2000). A tal proposito,
si ricorda il discorso avviato da Martinotti (1986) sui Bilanci Sociali di Area (progetto avviato a Milano
nel corso degli anni settanta): “nella filosofia dei BSA si doveva creare un circuito quasi automatico di
dati sulla popolazione, dati di dotazione delle circoscrizioni, raccordo tra domanda reale e potenziale,
decisione politica e allocazione delle risorse” (Guala, 2000, p. 465), circuito che doveva essere gestito e
aggiornato periodicamente da un’apposita struttura amministrativa.
L’esperienza milanese dei BSA viene ripresa successivamente anche da altre entità territoriali, come
nel caso delle iniziative di ricerca e programmazione dei servizi sociali della Regione Liguria, nel caso
del Progetto Torino e Progetto Torino Internazionale, nel caso delle indagini settoriali condotte
dall’IRER e di ulteriori indagini empiriche condotte sulla qualità della vita a Milano.
Per quel che riguarda l’esperienza torinese in materia di indagini sulla qualità della vita, si ricorda
che “nel corso del 1986 e del 1987, a Torino, è stata svolta una vasta ricerca sui consumi culturali e, più
in generale, su comportamenti, attese e valutazioni della popolazione e di gruppi sociali e professionali
privilegiati. La maggior parte dell’indagine è stata dedicata a quelle che sono state definite le ‘componenti
culturali della qualità della vita’ nell’area metropolitana torinese” (Guala, 2000, p. 467). Il lavoro si è
sviluppato in diverse direzioni: i) una survey generale sulla popolazione; ii) una survey più specifica su
solo 500 casi; iii) un censimento ragionato; iv) un’analisi della ‘cultura tecnologica’ presente presso
gruppi professionali e testimoni privilegiati; v) un’analisi dei mercati culturali rilevabili; vi) un’analisi del
sistema universitario torinese. La filosofia di questo lavoro non è dissimile da quella del BSA, e verrà in
seguito ripresa in alcuni altri lavori portati avanti dall’università di Torino e il suo Dipartimento di
Scienze Sociali14.
Un aspetto particolare dell’indagine sociologica connessa con la ricerca di quantificazione della
qualità della vita è quello connesso con il diffondersi di studi di tipo psicografico15. Le prime
sperimentazioni si hanno negli Stati Uniti vero la fine degli anni sessanta, mentre in Italia lo sviluppo di
tali psicografie trova un referente, intorno alla metà degli anni settanta, nel Progetto Sinottica dell’Istituto
di ricerche Eurisko (Calvi, 1977). Altri esempi di analisi dei comportamenti e delle attese del
consumatore che adottano come criterio di base il concetto di stile di vita sono la ricerca Fabris e Mortara
(1986), denominata Monitor 3SC , in cui i dati derivano da una serie di sondaggi finalizzati a ricostruire la
tipologia degli orientamenti socioculturali, ed il programma Common Choice, svolto per l’Italia da parte
dell’Istituto di ricerche Young & Rubican, con lo scopo di studiare “i valori socialmente diffusi e
condivisi e di definire segmenti di mercato aventi in comune una serie di valori.” (Guala, 2000, p. 485).
14
15
Ci si riferisce ai casi studio di Alessandria (1990-91) e di Genova (1992-93), in cui l’indagine sociale sul tema della qualità della
vita si è però focalizzata su pochi argomenti specifici (la condizione femminile, nel primo, le possibilità di avviare processi di
riconversione (turistica e culturale) e strategie di sviluppo per la città a partire dai processi di smantellamento industriale, nel
secondo) (Guala, 2000). Lo studio di Genova, in particolare, consente una riflessione sul dilagare del fenomeno dei city users e,
di conseguenza, sul sempre maggior successo di strategie territoriali di city marketing, finalizzate ad attirare finanziamenti ed
insediamenti produttivi, a migliorare i servizi, le infrastrutture e l’arredo urbano ed a promuovere a livello nazionale e
internazionale l’immagine di una città e le opportunità che è in grado di offrire.
“Si tratta di complesso piuttosto eterogeneo di studi e ricerche nelle quali le variabili tradizionalmente inquadrate in termini
anagrafici e di struttura sociale o di classe vengono rilette e trattate per riconfigurare stili di comportamento, modelli di
atteggiamento, tipologie di valori comuni a nuove forme di aggregazioni sociali: i comportamenti diventano l’elemento comune
di tali aggregazioni gli orientamenti ‘attraversano’ gruppi e classi e formano un ‘collante’ di nuovo tipo. Questi stili di
comportamento incidono anche sulla sfera dei valori, ma la loro caratteristica fondamentale è che sono nati nell’ambito delle
indagini di marketing e quindi hanno senso specialmente in indagini orientate al consumo, anche se ovviamente gli effetti
indiretti di tali aggregazioni ricadono in varia misura in ambito familiare, lavorativo, politico”(Guala, 2000, pp.480-481).
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http://www.inforegio.cec.eu.int/urban/audit/src/intro.html
A questo indirizzo è possibile trovare informazioni sul Urban Audit, l’iniziativa lanciata dall’Unione
europea nel 1997 come risposta alla crescente domanda di aumento della qualità della vita nelle città
europee.
http://www.inforegio.cec.eu.int/urban/audit/src/publics.html
Questo indirizzo fa sempre parte del sito sul Urban Audit. In particolare, si tratta della parte del sito
in cui sono scariucabili le pubblicazioni sui risultati di urban audit, si tratta di tre volumi (disponibili in
lingua inglese e francese) in cui si illustrano: i trend urbani emergenti in Europa e le differenze più
evidenti che si riscontrano tra le varie città (volume I); i risultati degli indicatori calcolati per ogni singola
città che ha partecipato alla sperimentazione (volume II); la metodologia impiegata nella raccolta ed
elaborazione dei dati (The Urban Audit – volume III). Sul sito è inoltre possibile consultare tali risultati
operando una ricerca per dominio o per città
http://www.sustainable-cities.org/indicators
A questo indirizzo siposso ottenere informazioni sull’ECI (The European Common Indicators),
ovvero sull’iniziativa di monitoraggio, avviata dalla Commissione europea, incentrata sulla valutazione
della sostenibilità a livello locale. ECI è il risultato della collaborazione di differenti organizzazioni e
livelli amministrativi che si stanno impegnando nella ricerca di un sistema comune condivisibile e
comprensibile di dati sulla sostenibilità della comunità locali di tutta Europa. Con tale scopo sono stati
elaborati dieci common local sustainability indicators che sono al momento sperimentati da più di
novanta autorità lovcali e regionali.
http://www.sustainable-cities.org/sub2.html
A questo indirizzo, nel sito (about the campaign history and structure) si tracciano le fasi salienti
dell’iniziativa finora portate avanti e quelle che si sono già state programmate. Inoltre, si fornisce il
quadro della struttura ‘burocratico-amministrativa’ preposta al programma.
http://www.unchs.org e
http://www.unhabitat.org/default.asp
A questi due indirizzi si forniscono informazioni sul programma delle Nazioni Unite “the United Nations
Human Settlements Programme”, meglio conosciuto come “UN-Habitat”. Originariamente, il programma si
chiamava “the United Nations Centre for Human Settlements” (da qui UNCHS), ma, a partire dal 1 gennaio 2002, è
stato trasformato come detto sopra. Il programma sipropone come mucleo foicale per la coordinazione degli
insediamenti umani e per il coordinamento delle loro attività all’interno del sistema delle Nazioni Unite.
http://www.undp.org/index.html
A questo indirizzo si forniscono informazioni sul programma delle Nazioni Unite “the United Nations Development
Programme”. Lo scopo di tale programma è quello di intervenire a livello mondiale in favore: della diffusione di forme
democratiche di governo; della riduzione della piaga della povertà; della prevenzione delle crisi ; dell’energia e dell’ambiente; della
diffusione delle tecnologie cella comunicazione; contro il diffondersi dell’HIV/AIDS. Più precisamente, il programma UNDP
fornisce fondi, aiuta i paesi in via di sviluppo ad attrarre risorse e finanziamenti ed a impiegarli in maniera efficace, promuove la
cooperazione tra paesi del sud del mondo.
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