Aprile '10 a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini Numero Aprile '10 Numero Aprile '10 EDITORIALE Primo numero di primavera per “Fuori dal Mucchio”, lo spazio del Mucchio storicamente dedicato a quanto di più interessante avviene nell’underground musicale italiano, e quarto dall’inizio dell’anno. Un anno che finora ha regalato grosse soddisfazioni per quanto riguarda i nostri ambiti di competenza: artisti che in passato sono stati protagonisti delle nostre pagine come Baustelle, Samuel Katarro, ...A Toys Orchestra, Virginiana Miller e Calibro 35 hanno realizzato nuovi dischi di altissimo livello, e ci piacerebbe che la loro esperienza fosse di esempio per le tante band emergenti che si stanno affacciando sulla scena. Perché è doveroso cercare di inseguire qualità a prescindere dalle regole del mercato e dell’airplay mainstream, e i nomi poc’anzi citati, ognuno alla propria maniera, dimostrano come un’altra musica sia possibile rispetto a quella preconfezionata che i media di massa ci propinano ogni giorno, magari cercando anche di farci credere che si tratti di prodotti dotati di una qualche valenza culturale. Detto questo, vi lasciamo al solito piatto ricchissimo di recensioni e interviste e vi auguriamo, come sempre, buone letture e buoni ascolti. E, naturalmente, buona Pasqua. Aurelio Pasini Pagina 2 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 E42 Ritornano i romani E42 con un nuovo album – “Uomini celesti” (Cantoberon/Audiogobe) –, occasione che ci permette di fare qualche chiacchiera con una band che non ama farsi coinvolgere dal turbinio delle scadenze serrate dettate dalla discografie, e che ha prodotto l'ennesimo disco attento al dettaglio e fedele ad un pop ricco di sfumature. Sono passati più di cinque anni dal lavoro precedente, a che cosa è dovuto questo lungo intervallo? In realtà avete sempre manifestato una certa tendenza a curarvi poco delle classiche tempistiche della discografia, preferendo concentrarvi sulla creazione di qualcosa che vi convincesse fino in fondo. Si in effetti non teniamo molto in considerazione le cosiddette "esigenze" produttive fine a sé stesse. Non esistono regole prestabilite, fortunatamente. Come detto in altre occasioni, del resto, di musica a nostro avviso se ne produce fin troppa... vale la pena a volte prendersi pause di riflessione o lavoro su un disco per poter portare a termine un lavoro secondo i canoni desiderati. Dopo la pubblicazione del nostro primo album “Libera” e le relative date live, abbiamo investito molto in pre-produzione e selezione del materiale per il nuovo album. Inoltre ci siamo presi i nostri tempi, in accordo con l'etichetta discografica Cantoberon per cui registriamo, per trovare la giusta piattaforma distributiva, e siamo molto contenti della professionalità e la competenza degli amici di Audioglobe. Il titolo - ma anche la copertina - sembra tirare in ballo il Battisti di “Anima latina”. Magari è una coincidenza, ma mi sembra di intravedere qualche similitudine attitudinale nel trattare il pop italiano come qualcosa di contestualizzabile all'interno di un linguaggio “esterno”... in quel caso un certo tipo di progressive e di contaminazione etnica, nel vostro caso una sensibilità dalle lontane radici new wave, naturalmente aggiornata al presente. Possiamo affermare che il filo conduttore dell'album è questa dicotomia tra la dimensione Pagina 3 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 “alta” del titolo dell'album (e relativa copertina) e i temi che presentiamo nelle canzoni, che trattano di tematiche invece molto terrene e spesso “basse”. Per definizione non possono esistere “uomini celesti” e questo senso di “sospensione” emotiva crediamo sia percepibile nell'intero album (temi a noi cari sin dai tempi degli Elettrojoyce). La copertina in particolare è tratta da una foto originale di Claudio Corrivetti, un maestro della fotografia che ci accompagna da molto tempo in soluzioni visive che fanno da contorno alla nostra musica. Per quanto riguarda “Anima Latina” riteniamo che si tratti di uno degli album più interessanti di quel periodo proprio per quella innovativa dimensione di contaminazione (che tu in qualche modo chiami etnico-progressive), anche da un punto di vista puramente produttivo, che indubbiamente ci ha influenzato in qualche misura. E infine, molto più banalmente, troviamo il titolo dell'album poetico ed estremamente musicale. Altra citazione, questa volta assolutamente consapevole, è lo “Spara Jurij” dei CCCP. Un modo, in quel caso, per esibire un legame con un periodo fondamentale, di autocoscienza, per un linguaggio rock autenticamente italiano? Hai ragione, ovviamente è stata una citazione assolutamente consapevole. Abbiamo rispetto per quella scena che ha dato moltissimo alla musica italiana. Nutriamo stima per i grandi musicisti e autori che in quegli anni hanno aperto le porte e consolidato il cosiddetto "rock italiano"... Trent'anni di grande musica che a volte è stata sottovalutata.. “Spara Jurij” per noi è una icona e volevamo renderle omaggio... Evviva la musica italiana. Gli E42 nascono dall'esperienza di un gruppo come gli Elettrojoyce, un nome di spicco della scena anni 90: come vedete a distanza di un decennio quella esperienza e come vi sembra il panorama musicale della penisola oggi? Quanto e come vi ci ritrovate? È cambiato molto dall'esperienza Elettrojoyce, mercato, tecnologie, pubblico, stampa e media... Cosa dire.. Solo che ci riteniamo tra i pochi fortunati che hanno la possibilità dopo 15 anni di attività (il primo demo degli Elettrojoyce è datato 1994) di produrre ancora musica con impegno e passione. Con Elettrojoyce prima ed E42 adesso abbiamo sempre avuto un'ottica di lungo periodo con una forte attenzione al “senso della storia”... E la storia continua. Contatti: www.myspace.com/e42band Alessandro Besselva Averame Pagina 4 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 Flora “Le traiettorie di volano” dei piacentini Flora, appena uscito per la Lizard, è una bella sorpresa. Questo già di sé è un traguardo al giorno d’oggi. Le dinamiche del sestetto, cercano un filo conduttore principale che è rappresentato dalla serenità e dalla leggerezza. Il loro intento è raggiunto attraverso il metodo del post-rock, del jazz e della sinfonia di una voce quella di Claudia Nicastro che ogni tanto è anche stonata ma riesce lo stesso a toccare certe corde sensibili. Ne parliamo con Paolo Nicastro, bassista e seconda voce del gruppo. Completano la band Pietro Beltrami alle tastiere, Fabrizio Lusitani alla chitarra, Pina Muresu ai sassofoni e Michele Tizzoni alla batteria. L'idea musicale dell'inizio dei Flora si è modificata nel corso di questi anni, con aggiunta di componenti e di nuove concezioni della forma canzone. Quali sono state le fasi salienti per voi che vi hanno portato al risultato attuale di "Le traiettorie di volano"? Fino al 2001 avevamo un sound più grezzo e immediato. L’ingresso di uno strumento a fiato - all’epoca il clarinetto di Leonardo Andreoli, poi passato al sax fino al disco omonimo del 2005 - ha aperto un mondo nuovo. Le trame musicali si sono fatte più complicate e abbiamo lasciato più spazio all’improvvisazione. Infatti se all’inizio era il sax che correva dietro alla forma canzone quando eravamo ancora molto rock, poi si è verificato il contrario. Colono che hanno avuto la possibilità di avere tra i suoi CD sia “Fili Distanti” del 2002 che “Flora” del 2005 non potrà che notare questo passaggio. “Traiettorie di volano” rifonde insieme le caratteristiche dei primi due dischi però è impreziosito da una maggiore consapevolezza e da un po’ più di tecnica, senza dimenticare l’istinto che rimane il nostro maggiore pregio. Mi viene in mente per descriverci il sasso che si lancia nello stagno, perché noi ci sentiamo come fossimo cerchi concentrici che si propagano. La ricerca della leggerezza che si intravede nelle vostre trame, quanto è importante per voi? Pagina 5 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 Molto importante, tanto che è diventata una necessità. L’intersecarsi dei vari strumenti ha come obiettivo proprio quello. Sappiamo che è difficile da raggiungere, ma è il nostro scopo. Ogni strumento è singolo e corale nello stesso tempo. Forse è per questo che impieghiamo dai tre ai quattro anni per concepire un disco. Come avviene il momento della creazione di una vostra canzone e com'è cambiato nel corso degli anni? All’inizio Paolo arrivava con il pezzo già strutturato, lo scheletro per così dire, poi ognuno aggiungeva la sua parte sempre con dose massiccia d’istinto. Invece, da quando abbiamo inserito sax e tastiera tutto è cambiato. Ci siamo messi a fare lunghe improvvisazioni, sempre molto circolari, tenendo il buono e scartando il marcio. Sistema complicato ma redditizio. Parliamo sempre poco e suoniamo perché è così che comunichiamo tra di noi soprattutto e c’è ancora un bel feeling, anche se gli anni passano. "Come costruire un albero" mi è sembrata la canzone più profonda. Privarsi del nostro essere noi stessi alla fine ci lascerà vuoti. Così l'ho interpretata da ascoltatrice. Voi come la descrivereste? In realtà è una rinascita, o quanto meno la speranza di ottenerla. Il verbo “potare” è la metafora naturale (naturale in tutti i sensi) di un futuro più rigoglioso. Nei testi di Paolo c’è sempre una componente cinica, a tratti ironica, a tratti rassegnata, tutto però incline al benessere psico-fisico. In “Come costruire un albero” la speranza è celata dietro ad un immagine cruenta, in realtà il fine è la ricerca della pienezza. Cosa pensate dell'interpretazione delle canzoni? Quando le scrivete sperate possano essere comprensibili per come le avevate pensate? O una volta pubblicate le vostre canzoni sono di tutti e quindi possono per voi trovarci quel che vogliono? Sarebbe bello ascoltare le varie interpretazioni di chi ci ascolta. Sarebbe divertente. Sappiamo che i testi possono risultare di difficile comprensione, il guaio è che non possono essere che così. In parte sono guidati dalla musica in parte dall’istinto: sono immagini che prendono forma nella quotidianità, la vita si sa, fa piangere e ridere. Dove avete registrato il disco e in che modo? L’abbiamo registrato all’Elfo Studio di Tavernago (PC) con l’aiuto del preparatissimo Alberto Callegari. Il basso, la chitarra e la batteria sono tutti registrati in presa diretta, il resto degli strumenti uno alla volta. In tre giorni le tracce erano pronte, abbiamo dedicato invece molto più tempo al missaggio. L’idea di base era quella di comunicare calore, speriamo di esserci riusciti. L'alchimia musicale che si sente tra voi musicisti di un sestetto è stato facile conquistarla? La risposta è si. Al costo di sembrare presuntuosi. Ci siamo trovati, non credo che avremmo potuto tirare avanti per dieci anni in altro modo. L'improvvisazione quanto è presente nella vostra musica suonata da vivo? Il giusto. C’è molta energia dal vivo e il momento del live lo consideriamo il nostro lato migliore da sempre. Ci sono tanti stili che si fondono insieme, ma il mix rimane personale e Pagina 6 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 originale e mi chiedo perché non siamo ancora diventati famosi! A proposito siamo in cerca di un booking. Come mai la scelta di aggiungere DJ Krash per "L'attesa"? Krash dei Lowpitch è un caro amico. “L’attesa” è un pezzo tratto dal nostro disco “Fili distanti” riarrangiato per l’uscita di una compilation sulla Resistenza prodotta dal comune di Piacenza. Il testo parla della guerra in generale senza dimenticare quella interiore, e Krash aveva già remixato la vecchia versione. Poi lo abbiamo risuonato tutti insieme e funzionava. Sarebbe stato stupido non inserirlo in “Traiettorie di volano”. In effetti si discosta un po’ dal sound complessivo del disco e quei quindici secondi che la separano dal pezzo precedente è un tentativo di renderla una ghost track neanche troppo ghost. Forse un po’ troppo sottile... Il disco è uscito per ben quattro etichette. Come si sono accomunate queste collaborazioni? E come il disco verrà distribuito? In realtà, la Lizard è la capofila e produttrice esecutiva. Tea-Kettle Records si è aggiunta all’ultimo per cercare di dare maggiore sostegno al progetto. BTF, GT Music, Eventyr sono distributori che ci aiutano a divulgare il CD e permettono di rintracciarlo in canali underground e via Internet. Speriamo che “Traiettorie di volano”abbia la visibilità che merita. Quando aggiornerete il vostro sito? Credo mai, a meno che qualche informatico appassionato ci prenda in simpatia. Siamo pigri e tecnologicamente antiquati, però c’è sempre il MySpace. Contatti: www.myspace.com/florakiki Francesca Ognibene Pagina 7 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 Il Pan del Diavolo I Pan del Diavolo sono una bella realtà del nostro underground. Il duo palermitano – Alessandro Alosi e Gianluca Bartolo – che si autodefinisce di “folk/melodramatic popular songs/psychobilly”, ha al suo attivo un EP e un recente album davvero trascinante dal titolo “Sono all’osso” (La Tempesta/Venus). Abbiamo scambiato qualche impressione con mezzo Pan del diavolo, Alessandro Alosi, che non è un chiacchierone. Il detto “il pan del diavolo è sempre avvelenato” è il manifesto della nostra musica”, avete detto. Commenti questa affermazione? Le cose fatte dal male e con cattiva fede vanno sempre a finire in malora, questo è il significato del proverbio, per me rappresenta un cerchio magico all’interno del quale immagino e scrivo le canzoni. Il vostro approccio si può definire cantautorale-punk, se non fosse che non è proprio semplice mediare le due attitudini. Quali sono i vostri maestri di stile, e cosa pensate di aver “rubato” a ciascuno di essi? Le mie influenze sono vaste e si sono pian pano polverizzate. Sicuramente mi sento debitore nei confronti dei Cramps e nei confronti di Tenco quando diceva: ”per fare una canzone che sia bella sincera e vera basta un buon testo“. Ho letto di varie influenze attribuitevi, ma a me avete fatto pensare soprattutto al primo Edoardo Bennato, con 12 corde e grancassa. Ti dice qualcosa o è un abbaglio? Mi piace Bennato dei tempi di “Era solo un sogno” e sicuramente anche lui ha la sua colpa se oggi il Pan del diavolo esiste, solo non è l’unico o il primo, ecco. So che parlare di “scena” è sempre scivoloso, ma mi pare vi sia un importante movimento che fa della Sicilia una specie di Arizona italiana; non so, penso ad artisti come Cesare Basile, Marta sui Tubi... vi sentite parte di qualcosa, o vi pensate come Pagina 8 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 un fenomeno a sé stante? Non avevamo mai pensato a questo parallelismo però ci piace. Di fatto loro però non vivono più in Sicilia. Come avviene il momento compositivo? La maggior parte dei pezzi è firmata da te, altri insieme. Che apporto dà ciascuno di voi alle intuizioni dell’altro? Io butto giù lo scheletro dei pezzi con melodia e testo per il resto lavoriamo come una squadra alla ricerca delle orchestrazioni più o meno definitive dei brani. In uno dei testi più riusciti, “Il boom”, cantate: “viva la giornata che non lascia certezze, viva lo schermo che mi lascia addosso come più forte segno di protesta”. Elogio della precarietà e della sconfitta nobilitata? Quella sconfitta era più personale, ma sempre con un’occhiata a quello che vedo succedere attorno a me, in questo caso i due punti di vista si sono uniti. Il boom è una scossa che ad una certo punto arriva, fa crollare le tue certezze e ti spinge a cercarne delle altre. Vi confesso che ascoltando “Ciriaco”, pensavo di aver capito “celiaco”, parola che collegavo a “pan del diavolo”, magari privo di glutine. Ci spieghi il pezzo, in cui si dice “voglio essere ricordato come cattivo, non dolce e gentile casuale ma Ciriaco”? È un pezzo estremamente rabbioso , scritto di getto , Ciriaco è il mio Mister Hide che vuole uscire, urla e scalcia. Il pezzo finale “Scarpette a punta” è nelle tinte di Vinicio Capossela. Potrebbe essere uno sviluppo futuro del vostro mood? No non direi, rappresenta una ricerca su questo disco, sugli stornelli e sulle ninna nanne. “Scarpette” è un episodio a parte. Il missaggio dell’album è stato realizzato insieme a JD Foster, che ha lavorato tra gli altri con Calexico e Marc Ribot. Cosa ha aggiunto Foster? Da chi fareste produrre un prossimo lavoro? JD ha fissato il suono definitivo del disco, a lui il compito di tradurre le tracce semplicemente registrate in un linguaggio musicale preciso. In questo caso il suono croccante delle chitarre la grancassa esplosiva e in sapore vintage dell’album sono tutti stati prodotti dalla mano di JD. Eseguite cover dal vivo? No, in questo momento ne stiamo preparando qualcuna per i live senza grancassa. Contatti: www.myspace.com/pandeldiavolo Gianluca Veltri Pagina 9 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 Il Vortice Si sono formati nel 2003 a Napoli, una città con una grande – direi grandissima - tradizione musicale, che spesso guarda alla tradizione o alla contaminazione, ma Il Vortice (di cui vi abbiamo riferito recentemente, in occasione dell’uscita del secondo album “Dodici gradi di grigio” (Imakerecords/CNI), dopo altrettanti EP), guidato dal chitarrista/cantante Michele De Finnis, che è anche il nostro interlocutore, non sembra interessato dalla memoria del suono partenopeo, preferisce piuttosto ambire ad un rock ad ampio raggio, senza schemi, senza senso di appartenenza – “se non a persone che abbiano capito che fare musica è qualcosa di contro culturale oramai” – e guarda al domani artistico con fare disincantato, consapevole che questi sono anni cupi per chi non si allinea, ma comunque soddisfatto di poter fare ciò che gli piace, tanto da definirsi un privilegiato. Non si può dire che avete saturato il mercato, in sei anni di storia, siete “solo” al secondo album. Una scelta che condivido. In un momento dove tutti sembrano solo interessati a produrre e a divulgare, a prescindere dalla qualità, non pensate di rischiare di essere dimenticati, con questi lungi silenzi? Si pubblica quando c’è qualcosa da dire o cosa altro? Sarò onesto: la nostra più che una valutazione ben pianificata è stata una sorta di necessità. Sono accadute cose all’interno dell’organico della band – la dipartita del batterista e il seguente avvicendamento di sostituti fino allo stabilizzarsi dell’attuale line up ad esempio – e nel privato dei componenti per cui si è arrivati alla composizione di un secondo disco solo con questi tempi. In fin dei conti devo dire che il fatto che le cose siano andate in questo modo, spontaneo, mi rende sereno; si, si pubblica quando c’è qualcosa da dire. Vogliamo partire dal titolo, “Dodici gradi di grigio”? Come lo spiegate e cosa rappresentano i vari livelli di grigio? Metafore della vita o cosa altro? Niente di troppo pretenzioso in fondo. Se penso a un’immagine che ben descriva il lavoro penso a questo piccolo album fotografico con dodici scatti. Penso anche a quanto le persone Pagina 10 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 che conosco vedano tutto o “bianco” o “nero”, quindi o la “positività” o “il grigio”. Ecco per me il grigio ha delle sfumature. Mi andava di parlarne. Il vostro nuovo album suona fresco, frizzante, le canzoni hanno energia e personalità. In che modo componete e come decidete che un brano è arrivato alla versione definitiva? Spesso suonare dal vivo è il banco di prova, vi capita di cambiare arrangiamenti e strutture, dopo aver provato i pezzi in concerto? Ti ringrazio delle tue parole. Questo disco è il primo lavoro di una band. Precedentemente componevo da solo e i ragazzi mi aiutavano ad arrangiare. Le dodici tracce di questo disco così come le senti, invece, sono per lo più frutto del lavoro in sala. Succede spesso, piuttosto, che nella dimensione live le canzoni si evolvano, cambino sfumature, questo si. Come provereste a descrivere la vostra musica a chi non vi conosce? Di solito trovo efficace la formula “tentiamo di coniugare melodia e rumore”. Avete diviso il palco con artisti importanti come Marlene Kuntz, Giorgio canali, Bugo e tanti altri. Ci sono stati feedback particolari e cosa si impara da esperienze di questo tipo? Beh banale dire quanto sia istruttivo seguire da vicino personaggi che, chi più chi meno, ti han formato musicalmente. Altro discorso è invece il fattore umano. Lì vale la medesima varietà in cui ti imbatti ogni giorno: ci sono bei personaggi e personaggi orrendi. Sguazzandoci da anni, che idea vi siete fatti dell’indie rock italiano? Ha un pubblico interessato o si tratta di venti passeggeri, legati a qualche nome di parziale successo? Da anni emergono solo gruppi nuovi, che la critica coccola con qualche recensione di belle speranze, regalandogli un briciolo di illusoria notorietà, per poi dimenticarli e sostituirli con altri nomi. Ma secondo voi c’è ancora spazio perché qualcuno segua la scia di Afterhours e Marlene Kuntz? Sono sinceramente disinteressato ad un’idea di “scena” che non sia un conglomerato di persone che abbiano capito che fare musica è qualcosa di contro culturale oramai - nel senso meno “fascinoso” sia chiaro – e che abbiamo quindi come solo grande denominatore comune questa difficoltà. Mi sento di “appartenere” a questo tipo di persone, quando le incontro mi viene da abbracciarle. Ad altre “appartenenze” sono veramente poco interessato. Chiamami banale e retorico ma la musica in Italia vive un momento che sembra non conoscere fondo, questo non perché non ci siano band di caratura pari a quelle che citi, ma perché proprio culturalmente la gente sembra sempre meno interessata al live, alla musica che non sia di sottofondo ballabile. Direi infastidita quasi e il fatto che i grandi network televisivi dedicati alla musica abbiano smesso di passare persino le cose risibili che nulla avevano a che fare con la musica a cui ci avevano abituati negli ultimi anni, a vantaggio delle serie tv, qualcosa vorrà dire. Arrivate da Napoli, una zona che spesso riporta di cronache che nulla hanno a che vedere con il concetto di musica come divertimento giovanile. Quanto abitare in Campania, influenza il vostro scrivere e suonare? Esiste una scena rock dalle vostre parti, che possa in qualche modo rappresentare un’alternativa al disagio delle nuove generazioni? Pagina 11 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 Faccio musica per necessità e non ho mai avuto alcuna pretesa di lanciare messaggi di svolta o di disagio generazionale; il mio limite è di non saper scrivere di nient’altro che di me, delle mie cose. Credo ovviamente di essere un privilegiato a poter far musica. La scena esiste eccome, ci sono ottime band, ma non so dirti se possa rappresentare alternative ad alcunché finché la musica è così sottovalutata. Contatti: www.myspace.com/ilvortice.net Gianni Della Cioppa Pagina 12 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 La Linea di Greta Luca Cattolico ed Emiliano Viccaro, colonne portanti degli I.R.A. (Iniziativa Ribelle Atipica), tornano sulle scene romane con un gruppo nuovo e un disco, “Cani di banlieue” (autoprodotto), che porta gli anni 90 di peso nel contemporaneo. Tra le note biografiche si definiscono un gruppo postumo e gioia dalla sconfitta. Partiamo da lontano, da I.R.A. Una sigla qiasi sconosciuta ai giovani lettori. Che storia è stata? Come la ricordate? Eravamo tutti attivisti, centri sociali e dintorni. Annusavamo l’aria e ci sembrava di presentire ciò che sarebbe esploso di lì a poco con Seattle e poi con Genova. Pensavamo sarebbe stato bello creare da noi la colonna sonora di quanto stavamo vivendo. È così che è nata l’I.R.A. Del resto, era un momento interessante per la scena romana, oltre a noi c’erano Elettrojoyce, Frangar Non Flectar, Atom Pig Neon, c’era fermento, le collaborazioni intrecciate tra gli artisti. Per un paio d’anni c’è sembrato che la vita prendesse una certa direzione, con i passaggi in radio, i concerti, i successi in un paio di concorsi importanti, le recensioni, la stima corroborante degli addetti ai lavori. Poi i dissidi interni presero il sopravvento e proprio il giorno dopo un concerto andato benissimo, e alla vigilia della firma di un contratto, il gruppo non esisteva più. Una storia come tante. Che però, avremmo scoperto, non era ancora finita. La Linea di Greta è nata nel decennio che passa dalla fine di I.R.A. a oggi, oppure è una creazione estemporanea legata alle esigenze del momento? La seconda che hai detto. In realtà non ci siamo più visti né parlati per anni. Poi due di noi hanno riallacciato i contatti ed è stato un attimo. Soprattutto grazie all’energia nuova portata da Giorgiana Viccaro, Federico e Silvano Lama, “pischelli” di talento e con le idee chiare: se il gruppo sta in piedi e sta crescendo, molto si deve a loro. Nonostante le differenze “generazionali” si è creata da subito una reazione chimica sorprendente, che ci è scoppiata in faccia, travolgendo stanchezze e resistenze, consentendoci di archiviare definitivamente il retaggio dell’I.R.A. Nel giro di pochi mesi eravamo pronti per un disco, con l’esigenza Pagina 13 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 assoluta di tradurre la nostra musica in qualcosa di tangibile, che affermasse oltre ogni dubbio il nostro grado di esistenza. Poi è successo che è nata una bambina, Greta per l’appunto, e abbiamo pensato che non ci fosse nulla di meglio che farci dare la “linea” da lei. Il penultimo pezzo del disco, “In memoria di noi”, termina con la frase “in fondo facevamo solo noise”. Il disco è nato come una commemorazione laica, l’estremo saluto a tutto quanto eravamo stati. Forse avevamo bisogno di lasciar andare i nostri fantasmi, finalmente. E “In memoria di noi” è stato il primo pezzo che abbiamo scritto insieme. Una sorta di ringraziamento, questo sì postumo, per tutti coloro che hanno vissuto quel pezzo di storia molto privata. Tuttavia evitando celebrazioni enfatiche. “In fondo facevamo solo noise”. Appunto. Poi il disco ha preso un’altra piega. Abbiamo mescolato alcuni pezzi nuovi con altri pezzi che erano rimasti chiusi nel cassetto per anni. E forse questo si sente. Ci sono alcune cose evidentemente datate, ma d’altro canto non avevamo alcuna voglia di selezionare, l’idea era proprio quella di realizzare un disco “ponte”. Un disco necessario, che c’è venuto eterogeneo perché non c’era altra scelta. Anche grazie alla collaborazione aperta con artisti e amici come Giulia Anania, Andrea Ruggiero, Ilario Febi. Col prossimo ci piacerebbe usare di più la testa, coltivando con metodo l’eterogeneità e valorizzando ulteriormente le nostre diverse sensibilità musicali. Lo stile “meticcio” vorremmo divenisse un marchio di fabbrica. Musicalmente, ora, quali sono i vostri riferimenti e le vostre scelte stilistiche? L’assunto di base è continuare a fare musica non rassicurante né consolatoria per chi ascolta, mantenendo la massima libertà stilistica a livello di suoni e generi, mescolando, ricombinando. Ci divertiamo a inventare per noi definizioni tipo “rock ai tempi del colera” oppure “punk anni zero”, ormai anni ’10, ma la verità è che non ci importa di incastrarci in un dato genere, passiamo da un pezzo all’altro saltando di palo in frasca per vedere l’effetto che fa. Poi naturalmente ascoltiamo tanta musica e nutriamo un profondo rispetto per artisti come Afterhours, Assalti Frontali, Radiohead, Sigur Ròs, e allo stesso tempo ci dichiariamo debitori nei confronti di Slint, Nirvana, Cccp, Massimo Volume. E oggi guardiamo con grande interesse e ispirazione al collettivo La Tempesta, di cui stimiamo artisti come TARM, Il Teatro degli orrori, Moltheni. E ascoltiamo musica elettronica, drum’n’bass, techno, hip hop, vissute dal profondo della scena rave e delle serate free style. Insomma, un caos multiforme che proviamo a liberare nelle nostre serate in sala prove. “Cani di banlieue” è stato presentato il 30 gennaio al Sinister Noise di Roma. Come è stato accolto? È stata una serata strana che si è risolta in un modo fantastico. Pensavamo di dover gestire ansia e tensione da “prima volta” o, per alcuni di noi, da “nuovo inizio”; poi siamo saliti sul palco e quello che si è reso evidente da subito è stato che eravamo semplicemente felici di essere lì. Nessuna posa, nessuna aspettativa, eravamo felici e basta. E per i reduci dell’I.R.A. è stata davvero una prima volta. Emiliano dice che dieci anni fa quando salivamo su un palco sembrava andassimo in guerra, tutti presi dai significati che ci sembrava di dover rappresentare. Adesso ci sembra tutta paccottiglia enfatica e magniloquente. In fondo si tratta solo di andar su e suonare le proprie canzoni. Poi, certo, non è stato un dettaglio da poco vedere la sala piena. Pagina 14 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 Tra il pubblico vecchi fan degli I.R.A.? Qualche nuovo accolito? Soprattutto nuovi accoliti. Alcuni molto giovani. È quello che ci ha sorpreso di più. E naturalmente qualcuno della vecchia guardia. Anzi, cogliamo l’occasione per ringraziarli tutti, anche da queste pagine, per l’affetto con cui ci hanno abbracciati. I testi parlano di disillusione, quasi di sconfitta. Forse i “Cani di Banlieue” non sono solo nelle periferie romane al di là del raccordo o nei ghetti parigini. Forse siamo tutti cani in una grande banlieue. Siamo d’accordo. Tuttavia una cosa è raccontare i termini di una sconfitta e le sue conseguenze, altra cosa è la disillusione, che non abbiamo alcun interesse a rappresentare nelle nostre canzoni. La sconfitta è un dato di fatto. E su questo è bene provare a esser chiari, per non correre il rischio di inciampare nella retorica lacrimosa intorno a “ciò che è diventato il Mio Paese”: questo è un paese di merda e non è il Nostro paese, se intendiamo con “nostro” la solennità trombona dell’interesse generale, dell’unità nazionale, dei nostri bravi soldati che vanno a portare la pace in giro per il mondo. Siamo nati qui per un accidente casuale e fortuito, un evento stocastico, dovuto al gioco delle probabilità. E ciò che stiamo vivendo è il frutto della mutazione antropologica che ha investito la società italiana dagli anni 80 in poi, fino all’immagine orribile delle/degli adolescenti con le sopracciglia depilate che guardano “Amici” e “X Factor”, sperando di “farcela” andando anche loro a Sanremo. Su quei giovani – citando Manuel Agnelli – ci scatarriamo su anche noi. In tale contesto è difficile non dichiararsi culturalmente sconfitti. Ma non vinti, non rassegnati, non disillusi. Ciascuno con la consapevolezza di un ruolo da giocare, scelte da fare con ancora maggiore forza, come base di partenza per il nostro modo di partecipare, quindi di “prender parte”, la parte di chi in questi anni, dal basso, ha provato a riscrivere la grammatica dei diritti e delle libertà, fuori e contro il simulacro della rappresentanza politica. E su tutto questo abbiamo cose da dire. “Scritto sui muri”, prima traccia del disco, è il primo tassello di una nostra personale Trilogia sull’Italia, la cui seconda e terza parte saranno al centro del prossimo disco. Veniamo alle scelte di marketing: nel folder e sulla facciata del disco è stampato ben visibile il marchio Creative Commons. Una cosa abbastanza insolita. Che rapporto avete col copyright? Semplicemente non ci interessa. Siamo nell’era della connettività globale e ci piace così. Troviamo positiva e condivisibile la creazione dal basso di un codice di auto-regolamentazione, come patto interno tra artisti, e in questo senso il progetto Creative Commons sviluppa il discorso in modo esemplare. Sulla SIAE invece non abbiamo frasi memorabili o sentenze lapidarie da consegnare. Ovviamente, siamo contrari ad ogni forma di lucro sulla proprietà intellettuale, che saccheggia la natura cooperativa e comune dell’arte, della produzione culturale, dei saperi. La SIAE fa il suo mestiere, c’è chi si riconosce nelle sue regole e chi invece cerca (e per fortuna spesso trova) vie di fuga in rete. Certo, non consentiremmo a nessuno di appropriarsi di un nostro pezzo per trarne profitto. Ma per il resto, ricordiamo sempre con affetto una frase di Massimo Troisi: “La poesia non è di chi la fa, ma di chi gli serve”. Contatti: www.myspace.com/lalineadigreta Pagina 15 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 Marco Manicardi Pagina 16 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 Luca Gemma L’assonanza di cantautore pop spesso fa venire in mente atmosfere volutamente leggere e mai sopra le righe. Con Luca Gemma questa regola può essere disattesa. Lo incontriamo dopo un concerto in una domenica pomeriggio sonnacchiosa d’inizio primavera a Rimini nella sobria location della Domus di Bacco. Un’esibizione molto fisica, coinvolgente, un equilibrio fra ragione e istinto, fra la leggerezza e l’immediatezza che è un po’ la caratteristica di Gemma, con il supporto di Andrea Viti (ex Afterhours) al basso, Ray Tarantino alla chitarra, oltre che produttore e collaboratore col Nostro nel disco “Folkadelic”(Ponderosa/Universal) e Nick Taccori alla batteria. Come è nato il tuo sodalizio con Ray Tarantino? Ci conosciamo da diversi anni. Avevamo già collaborato al mio album precedente “Tecniche di illuminazione” su alcune parti musicali. Con questo disco ci siamo visti e frequentati di più dando vita a una collaborazione più intensa. In pre-produzione è venuto fuori un suono molto interessante e lui ha dimostrato in maniera più chiara dove volesse portare le canzoni per cui è diventato naturale che lo producesse. Nei testi di “Folkadelic” si denota il tuo modo di vedere il mondo e il nostro modo di rapportarci a esso. Sì, uno dei pezzi dove viene fuori questo è “L’educazione sentimentale”, dove faccio continuamente la domanda “Hai un idea di cosa ci può salvare?”. Una ricerca dell’ottimismo e del fatto che la bellezza intorno a noi ci possa ancora salvare nonostante le cose oscene che ci sono intorno a livello materiale e di sentimenti. Sono ancora convinto che il contatto con l’armonia, la bellezza e la ricerca di quelle cose possa causare la nostra rieducazione sentimentale e farci diventare persone migliori. Mi riferisco molto alla nostra situazione in Italia di decadimento culturale e sentimentale che c’è da tanti anni. In altre canzoni viene fuori una necessità di pulizia, immediatezza e spontaneità nei Pagina 17 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 rapporti umani. Non solo. “Nudi” è uno sfogo erotico e carnale di incontrarsi senza barriere e maschere, la capacità di mettere in mano all’altro, anche se non per sempre, la propria vita. Lasciarsi andare, sentirsi liberi che diventa approccio fisico anche nella batteria e nell’arrangiamento. “Ogni cosa d’amore” invece è molto più allargato. Lo spunto è stato di cantare la pari dignità dell’amore compreso l’amore gay. In “AnimaProiettile” musicalmente viene fuori la psichedelica col tuo lato più folk, un esperimento che si potrebbe accostare al Battisti di “Anima latina”? Proprio quel disco è stato fonte di ispirazione per la copertina di “Folkadelic”, che preferisco a quelli con “la canzone perfetta”. C’è una sorta di ricerca melodica ostinata su pochi accordi, un gioco divertente scritto insieme a Ray Tarantino tranne la fine in cui diventa reggae e cambia faccia. Citando “Un miliardo”, basterebbe questa cifra per quantificare l’arte? Singolarmente sì. Per comprendere tutta l’arte del mondo ovviamente no. Quella canzone rappresenta un po’ la rapina del cantante, il sogno della classica rapina in cui non torci un capello a nessuno. È una provocazione, mi serviva come spunto per la situazione di precario che l’arte e cose affini ti offrono da sempre e forse in questo periodo ancora di più. A differenza di altri, nella tournée ti sei voluto circondare di musicisti dalla forte personalità più che da session man. È sempre stato così per me avendo sperimentato per lungo tempo una situazione di band come coi Rossomaltese. Ho sempre avuto, sia a livello di suoni che a livello di rapporti personali, tutto ciò che si instaura all’interno di una band. Del resto mi piacciono cantautori che hanno una band con un suono ben definito come i Bad Seeds per Nick Cave o altri. Il mondo dei turnisti non mi piace, malgrado ce ne siano di bravi. Durante gli anni 90 sembrava fosse nata una rinascita nella musica italiana, che hai vissuto in prima linea coi Rossomaltese, ma che è venuta fuori anche con gli Afterhours, Marlene Kuntz, Casino Royale e altri. Adesso sembra che, in generale, non ci sia stato un ricambio generazionale di autori e realtà musicali. Pensi che ormai, tranne rari casi, le nuove leve provengano ormai solo da talent show come “X Factor” e “Amici”? Dai talent show non c’è da aspettarsi nessun ricambio, sono dei contest basati più che altro sull’interpretazione, sul personaggio, sulla lacrima e sul luccicone ma non certo sulla parte autoriale. Inoltre si inseriscono in meccanismi totalmente diversi da quelli che la musica ti richiede. Un tipo di gavetta fatta di palchi diversi, di serate con tre persone davanti e altre con cinquecento, la capacità di sapere in studio cosa vuoi ottenere. Tutti quei ragazzi non hanno modo di sperimentare nulla di questo.
 Come generazione successiva citerei i Baustelle ad esempio come anche Dente. È diventato anche più difficile: negli anni 90 noi suonavamo tantissimo dal vivo facendo un centinaio di concerti l’anno, un sacco di festival estivi, i club facevano programmazione tutte le sere. Adesso i club sono diminuiti, quei pochi programmano venerdì e sabato di cui una delle due serate cover band. Posti attrezzati peggio di dieci anni fa, scarsa volontà di proporre cose nuove al pubblico, di rischiare, di investire. Come fosse una genia diversa di gestori, tutti a vendere birra e basta, mentre negli Pagina 18 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 anni 90 avevano un ruolo di mediatori culturali. Ora se ne trovano pochissimi anche se succede che qualcosa viene sempre fuori nonostante le difficoltà. Contatti: www.myspace.com/lucagemma Beppe Ardito Pagina 19 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 The Please Dopo il primo EP "Bitch" del 2008, il trio milanese è giunto al debutto ufficiale con "E'ltica Sermon Your Nihilism" (Il Verso del Cinghiale). Costeggiando vari generi e ascolti, alla fine i The Please si sono trovati in mano, un concept album sulla fine del mondo. Il dark elegante dei Tinderstick qui c'è tutto. Ne parliamo con Marco Airoldi, il cantante. Questo è il vostro esordio, ma quando vi siete conosciuti qual era la vostra idea di gruppo? Quando abbiamo iniziato a suonare insieme, cercavamo più che altro di imitare la musica inglese, quindi: Blur, Smiths, Pulp, Cure ecc. Poi, circa due anni fa, abbiamo deciso di chiuderci nella nostra sala prove, cercando nuovi orizzonti più personali e intimi. Da li è iniziato il lavoro che ci ha portati a “E'ltica” La vostra musica tocca punti "sensibili" nell'ascoltatore, grazie all'arte della seduzione musicale che applicate su di essa. Quando componete, questo aspetto della vostra musicalità viene fuori? Innanzi tutto grazie per il complimento. Per quanto riguarda la composizione, a differenza degli arrangiamenti, che vengono affrontati in un altro momento, la componente sensibile e intimista ha un grande ruolo. Si può dire che sia un flusso di idee sviluppate da situazioni o vissuti che vengono poi canalizzate nella musica. Ognuno porta del suo, per questo ciò che ne deriva è fortemente personale e ci può solo fare piacere che venga percepito da chi ci ascolta.

 Chi o cosa pensate vi abbia portato ai The Please? Quali dischi, quali episodi, qual è stata la vostra genesi? Per me e Mattia è stata un'evoluzione continua, da quando abbiamo iniziato a suonare insieme, otto anni fa, fino ad ora. Ci ha sempre legato un gusto comune nel modo d’intendere la musica e di conseguenza negli ascolti che ne derivano. Mentre per quanto Pagina 20 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 riguarda Luca era in un momento in cui aveva voglia di impegnarsi seriamente nella musica e ha scelto d’approdare nel gruppo. Di episodi ce ne sono tantissimi. Oltre che essere "colleghi" siamo amici e non sapremmo individuarne uno più significativo dell'altro. Ognuno di noi ascolta molta musica, sicuramente Sigur Rós, Motorpsycho, Crosby, Still, Nash & Young, Eels, assieme a tanti altri e un po’ tutti amiamo i Beatles. Più in generale ci accomuna un grande piacere nell'ascoltare e cercare di riprodurre atmosfere melodiche creative. Come mai tanti pseudonimi sul cartoncino in mezzo al CD e non i vostri nomi. Chi si nasconde dietro e qual è la storia? “E'ltica” è un concept album e abbiamo voluto omaggiare quello che per noi è il più bel concept album della storia, "Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band" dei Beatles. In quell'album storico i Beatles si presentavano come alter ego di loro stessi per dimostrare alla gente un cambio di prospettiva e percezione verso la quale volevano muoversi. Per noi è lo stesso tentativo di affrancamento dalla realtà. Raccontiamo la fine del mondo in un nostro personalissimo linguaggio metaforico. Questo rimane comunque uno dei moltissimi omaggi che sono celati all'interno del disco e lo abbiamo plasmato in tutte le sue sfaccettature, dalla copertina, ai titoli, dagli arrangiamenti ai nomi. Chi ha collaborato a questo disco, affinché risultasse, così suonato, così registrato e così prodotto? Tutto questo disco, lo diciamo con fierezza, è un prodotto totalmente pensato e arrangiato da noi The Please. Ha contribuito poi alla realizzazione finale una folta schiera di musicisti, nostri amici, i quali hanno portato il loro talento alla nostra causa, cioè quella di creare un disco orchestrale. Questa nostra opera prima è stata registrata da Fabio Intraina, che ci ha saputi indirizzare nella scelta dei giusti suoni. Cosa deve avere una canzone dei The Please per esserlo? Non c'è un'unica risposta a questa domanda. Tra tutte le canzoni che scriviamo, emergono da sole quelle più forti, più rappresentative. Sono in realtà essenze dotate di vita propria che non mantengono mai nel corso del tempo la stessa faccia. Ci sono canzoni che si svelano a poco a poco, altre sono dei lampi. Se cerchiamo un filo conduttore, ognuno di noi trova un suo personale significato. Quando scrivo le liriche, le riempio di mie visioni che in qualche modo trovano delle rispondenze negli altri della band e nella gente che ci ascolta.

 Dovendo raccontare questo disco ad un amico, come fosse un sogno, come lo descrivereste magari attraversando i vostri testi? Partendo dal fatto che molti di quelli che hanno ascoltato il disco lo giudicano un buon CD da macchina, potremmo dedurre che il disco sia la metafora di un viaggio. Ebbene, in questo viaggio cerchiamo di traghettare noi stessi e chi ci ascolta nella dimensione atemporale di una fine del mondo che non solo sembra piuttosto prossima, ma che già è in questo momento. L'apertura con “Humans Fakes”, fa da preludio all'inizio della fine. Ci si trova in un punto di partenza dove tutto è saturo e non c'è più spazio per nulla. E' poi tutto un crescendo di stati d'animo in cui la presa di coscienza che tutto stia finendo si fa più forte, e il “we are fools!” ripetuto ostinatamente ne è l’esempio lampante, nell'attesa di un'apertura, una Pagina 21 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 boccata d'aria fresca. Prima che tutto si concluda abbiamo una serie di propositi e considerazioni da “Brand New Form” che inneggia a ripensare al rapporto uomo-società. Il brano "May You Come", liberamente tratto dal libro di Cormac McCarthy "La strada",fa riferimento allo stato d'animo dell'allontanamento da un affetto che una fine comporta. Stesso tema è trattato da "Clementine": dietro la facciata di una ballata “allegrotta” è narrata la storia di una coppia che si perde. “Hello You” e “Time” sono canzoni con un respiro più ampio, forse anche rassegnato ma sono comunque rasserenanti. Il viaggio si conclude con la ghost track "Sermon Your Nihilism"che per noi è l'inno finale, dove tutto ciò che doveva accadere è ormai accaduto. Come cambia la vostra musica dal vivo? Ultimamente per comodità ed esigenze ci stiamo muovendo in acustico con una formazione spesso ridotta rispetto ai dodici elementi del disco. Questo ci permette di portare in giro il nostro progetto senza troppi impedimenti, dato che soprattutto in questo paese, i locali live spesso non sono attrezzati per ospitare uno show come il nostro al completo. Per le nostre date attuali, in acustico, ci affidiamo alle fasi ritmiche del nostro percussionista, Ygnazio Salvador Taglìa. Per le date che richiedessero un show al completo stiamo lavorando al momento con un turnista.

 Com'è avvenuto l'incontro con Il Verso del Cinghiale che ha pubblicato il vostro disco? In realtà Fabio, il fonico che ha registrato il disco, che conosciamo da diversi anni è uno dei tre soci della Il Verso del Cinghiale. Dopo esserci accollati noi stessi le spese di studio, i ragazzi del Cinghiale ci hanno dato una mano nella realizzazione finale del prodotto, facendo uscire le prime cinquecento copie e supportandoci per le date e la promozione. Contatti: www.myspace.com/thepleaseplease Francesca Ognibene Pagina 22 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 The Record's Dopo l'esordio autoprodotto “Money's On Fire” del 2008, i bresciani The Record's tornano per l'etichetta Foolica con il nuovo disco “De fauna et flora”. Le sonorità sono attuali e ostinatamente british, tanto che può sembrare davvero di trovarsi di fronte una band d'oltremanica. The Record's suonano spesso e suonano bene, con un nutrito seguito di fan e forse si comincia a parlare di loro anche al di fuori degli ambienti indipendenti e underground del Paese. Innanzitutto devo chiedervi che cosa ci fate in Italia. Sembra che le sonorità anglosassoni siano impresse nel vostro DNA, oltre che nel suono che esce dai dischi. Mah... a volte ce lo chiediamo anche noi. La verità è che nonostante tutte le storture del nostro Paese ci stiamo bene e coltiviamo amicizie e collaborazioni con persone che ci stimolano. Per fortuna questo è ancora possibile. C'è già o sperate che arrivi una distribuzione che varchi i confini dell'Italia? Avete già suonato all'estero? È notizia fresca che a giugno saremo distribuiti in Giappone, a settembre usciremo in Inghilterra. L’intento della Foolica è trovare partner seri per la distribuzione un po’ ovunque, ci stanno lavorando alacremente. E nel bresciano che aria tira? Questa è la domanda più frequente che ci viene rivolta ultimamente ed è già di per sé una conferma che la nostra scena sia ormai una realtà evidente e riconosciuta. Il numero e la qualità delle produzioni e delle strutture dedicate a questo scopo è davvero considerevole. La spinta parte spesso anche dall’esterno della cerchia degli addetti ai lavori, ad esempio si può verificare che un’associazione culturale creata da ragazzi si prodighi per trovare i fondi per produrre una compilation di inediti di band bresciane, pagando l’intero costo dell’operazione, studio di registrazione compreso. Questo è un chiaro sintomo che la musica Pagina 23 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 non sia più solo un’esigenza di chi la fa, ma un vero valore culturale per tutti. Rispetto all'album d'esordio, nel nuovo “De fauna et flora” mi sembra che abbiate un po' ripulito il suono. Sembrate meno ruvidi, più levigati ma anche carichi d'esperienza.
 Abbiamo deciso di assecondare al massimo la tendenza della nostra scrittura, che nel tempo si è modificata, ha subito un'evoluzione. Oggi non mettiamo in primo piano l’energia o l’impatto rock’n’roll, ma questa non è una scelta premeditata, è la normale conseguenza del nostro nuovo approccio. Di base il nostro obiettivo era e resta quello di scrivere musica per tutti, non di incuriosire una nicchia di esperti o appassionati dell’indie rock. In fondo suonate musica “vecchia” (tipo Kinks) e la tirate a lucido rinnovandola. Si può dire che fate parte dell'ondata revival? Non è una definizione che ci piace molto... il revival è una ripresa molto fedele e didascalica di generi e stili passati, contenuti compresi. Per noi è solo un linguaggio, ormai metabolizzato, che usiamo per parlare di ciò che ci riguarda. Ovviamente gli elementi sono riconducibili a una cultura ben definita, l’immaginario che ci siamo formati nel tempo è quello che tu descrivi. Trovo che ci sia molta cura nell'arwork di entrambi i vostri dischi. Quanto conta per voi, l'immagine? E come è si è evoluta dai tempi di “Money's On Fire” al nuovo “De fauna et flora”? Si è molto importante. Siamo sempre stati fedeli a uno stile minimale ed elegante, calzava a pennello con il sound asciutto e senza fronzoli cha abbiamo proposto fin dagli inizi. Per questo disco però il materiale sonoro ha da subito stimolato i nostri collaboratori ( grafico, fotografo, stylist) a concepire un artwork più elaborato, aderente alla varietà di suoni e atmosfere presenti nell’album. Il passaggio dall'autoproduzione all'etichetta è stato naturale o avete accettato dei compromessi, non dico nel suono quanto nel modo di fare le cose? Nessun compromesso, Foolica sta lavorando come un’etichetta dovrebbe lavorare nel 2010. In questo siamo stati molto fortunati perché abbiamo trovato in loro molta preparazione e competenza, unite ad una dose smodata di entusiasmo. Questo è forse il valore aggiunto che porta a sfinirsi di lavoro per perseguire un risultato, ed essere oltremodo felici quando la mattina ci si guarda allo specchio. E vale per qualsiasi professione o attività, io credo. Sul Twitter di Nicola della Foolica Records ho trovato, cito testualmente: “I The Record's hanno fatto nascere un bambino”. Questa me la dovete spiegare. È stata un’esperienza abbastanza forte che ci è capitata dopo una data a Cesenatico. Alle quattro del mattino siamo stati svegliati dai lamenti di una donna, che si aggirava per i corridoi dell’albergo in cui eravamo alloggiati. La povera signora, sola ed in evidente stato di shock, ha allarmato l’intero piano. Neppure il tempo di chiamare un’ambulanza e ha dato alla luce un bimbo, nello stupore generale. Non abbiamo più ripreso sonno quella mattina. Contatti: www.myspace.com/therecordsrocks Pagina 24 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 Marco Manicardi Pagina 25 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 Vinegar Socks Jordan DeMaio, voce e chitarra, americano trapiantato a Roma, ha dato vita poco più di un anno fa, insieme al violoncellista Paolo Petrocelli, ai Vinegar Socks. Un duo occasionalmente aperto al contributo di altri musicisti, il cui debutto omonimo, prodotto dall'etichetta americana Grinding Tapes, ci ha regalato una della più belle sorprese di questo 2010, mescolando con decisa personalità e un eclettismo mai forzato suggestioni folk prive di precise connotazioni geografiche, spaziando tra ballate, gighe, infiltrazioni balcaniche e un piglio a volte rock che fa venire in mente i Decemberists. Abbiamo scambiato qualche chiacchiera con Jordan. Prima di tutto, domanda forse scontata ma doverosa: cosa ti ha portato a Roma e come hai incrociato la tua strada con quella di Paolo? Ero in viaggio per l’Europa. Sono venuto in Italia pensando di rimanere solo poco tempo ma ho conosciuto una donna italiana di cui mi sono innamorato. È stato per questo motivo che sono rimasto. Poi ho passato un periodo di crisi. Non trovavo lavoro, mi avevano appena licenziato. A volte mi mettevo a suonare la chitarra e a cantare, giusto per passare il tempo. E’ stata la mia compagna Elena a convincermi a trovare dei collaboratori. Ho conosciuto Paolo tramite un amico... fin da subito c’è stata una forte intesa artistica. Come mai un duo? C'è di mezzo anche una questione di agilità organizzativa? In due ci si muove (e si suona, e si compone) meglio? Anche, ma siamo flessibili. Spesso suoniamo in tre o quattro. Più che altro è che non c’è bisogno di essere sempre in tanti. Il suono, in due, è già molto pieno. Il vostro progetto mi sembra da un lato molto legato al songwriting, dall'altra ricco di riferimenti musicali molto ampi ed eclettici: è un disco folk, che però cerca di interpretare l'idea della musica folk come un intreccio di elementi anche molto Pagina 26 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 distanti, ci sono sonorità irlandesi, balcaniche, e molto altro. La tradizione, anzi le tradizioni, sono una chiave per moltiplicare le possibilità espressive anziché onorare semplicemente il passato. Sì, ma non è intenzionale. La musica che esce fuori è sempre molto naturale, senza troppe riflessioni. Credo che a volte ci sia parodia, ironia e forse anche “satira”, ma su queste possibilità deve essere l’ascoltatore a decidere! Una delle caratteristiche peculiari del vostro suono è l'utilizzo del dobro anziché della classica chitarra acustica... uno strumento dal suono particolare, più risonante, che mi pare legato alla necessità di fornire un suono più corposo, forte, a canzoni che nascono dalla pura e semplice interazione di due strumenti. Anche se sul disco ci sono altri musicisti a darvi una mano e a infittire le trame... Esattamente come dici tu! Evoca anche una sonorità più legata al blues ed è molto adatta allo slide. A proposito della interazione tra i musicisti, come avviene la costruzione dei brani? I brani sono tuoi, ma un grande spazio è affidato al violino di Paolo e ad altri strumenti, in che modo si inseriscono le altre parti nella struttura delle tue canzoni? Ogni brano è diverso, ma in genere sono io a portare un’idea a una prova, e poi ci lavoriamo insieme. Se poi sentiamo che manca qualcosa, iniziamo ad immaginare come arrangiarlo in un’altra maniera o ad inserire altri strumenti. Le scelte sono molto intuitive e non potrei spiegare bene il perché della decisione di utilizzare uno strumento piuttosto che un altro, in genere comunque arriviamo ad un momento in cui diciamo ‘sì, adesso il brano ha un senso”. Il disco esce per una etichetta straniera, tu sei americano, ma la vostra base operativa è naturalmente a Roma... come vivete questa doppia prospettiva, l'Italia e l'estero? In Italia state comunque suonando parecchio... Siamo felici di essere in Italia, anche se puntiamo a portare la nostra musica al maggior numero di persone possibile, anche in America. Alla fine non ha mai costituito un disagio questa doppia vita, siamo stimolati dalle differenze che ognuno porta al progetto, comunque devo ammettere che, in effetti, non ci penso così tanto. Per me è stato tutto molto fluido. Ormai sono abituato a non avere una “casa”, anzi, la mancanza di un posto, un paese fisso, mi costringe a non diventare troppo compiaciuto, e a cercare sempre nuovi modi per costruire ed esprimere la mia identità. Contatti: www.myspace.com/vinegarsocks Alessandro Besselva Averame Pagina 27 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 Alessandro Ducoli Piccoli Animaletti Merendine Musica Alessandro Ducoli è un ancor giovane cantautore della Valcamonica che ha pubblicato la media di un lavoro all’anno, se non di più, negli ultimi 10, forse 15. E tutti questi lavori, spaziando dal puro stile cantautorale con venature jazz fino allo sfogo rock del gruppo Bacco il Matto prima e degli Spanish Johnny oggi, hanno avuto qualcosa di importante da dire. L’ultimo album, l’introspettivo ma per molti versi anche corale “Piccoli animaletti”, è uscito in febbraio, si avvale della partecipazione di musicisti del calibro di Ellade Bandini, Michele Gazich o Andrey Kutov e ancora una volta testimonia quanto questo autore sia prolifico, intelligente, anticonformista e fieramente poco incline al mercato. Di certo c’è che canzoni del calibro di “Una nuova città”, “Piccoli animaletti”, “Dialogo di guerra” o “Sopra il davanzale”, sono piccole grandi perle nel triste panorama della musica italiana del 2010, e da sole seppelliscono l’intero ultimo festival di Sanremo. Ci sono episodi interlocutori, gridati o sussurrati, forse troppo jazz, vicini al Tom Waits più stralunato, come “La malura”, “Una Silvia”, “Il mulo”, “Il laccabue” o “Un germano irreale”, ed è in questi casi che il Ducoli eccede nell’osare, anche se lo fa consapevolmente. La tromba de “Il carro” ci porta addirittura nel West. Nel complesso il progetto è di ottima fattura, cantato magistralmente, perfettamente suonato e con una confezione che comprende anche un libretto di raccontini abbinati ad ogni canzone. Un excursus ricchissimo diviso in animali “pseudonotturni”, “quasidiurni” e “luminoneutri” che ci fa conoscere un artista che vale la pena di incontrare sulla propria strada. Se le sue produzioni fossero state maggiormente centellinate e avessero goduto di qualche taglio in più, oggi non avrebbero niente da invidiare ai dischi dei maggiori cantautori italiani. Dal vivo poi è un fiume in piena di ironia dissacrante. Resta un vero peccato che sia ancora relegato nel ghetto dell’autoproduzione, ma ormai sembra il destino comune di tutti coloro che hanno qualcosa di interessante da dire in questo paese. Citando: “Sono sempre un viaggiatore meno della metà, sono diventato cattivo per la necessità...”. Non perdetelo. Contatti: www.ducoli.eu Marco Quaroni Pagina 28 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 Andrea Carboni La terapia dei sogni Red Birds-Seahorse/Audioglobe Una storia abbastanza particolare, quella di Andrea Carboni, nato a Pisa ma cresciuto a Ginevra, dove è rimasto sino alla fine del 2007. A seguire l’EP “L’amore manifesto” del 2006, il pianista/chitarrista/bassista prosegue il suo percorso solistico con un vero e proprio esordio sulla lunga distanza, registrato allo studio fiorentino Danza Cosmica con la collaborazione di Alessandro Baris alla batteria, Andrea Cattani alla viola e al violino ed Elisa Pieschi al violoncello. “La terapia dei sogni” è così un disco che non teme di puntare a composizioni abbastanza articolate, sicuramente ricercate nell’elaborazione delle trame sonore: ci sono canzoni nel senso letterale del termine, che rivelano finanche un’apprezzabile cura testuale, così come lodevoli strumentali (l’elettrico “Magici mondi” tra Marlene Kuntz e Giardini di Mirò, il classicheggiante “Il piacere della lettura”). Piuttosto che il rock, il panorama di riferimento è però un cantautorato adulto che evita comunque le pretenziosità fini a se stesse. Il programma è compatto, sebbene prodigo di sfumature funzionali all’atmosfera dei singoli episodi: la title track, “L’ecosistema”, la suggestiva “Fingi”, “Salviamo almeno le forme”, “Tiritera dell’amore di un minuto” o il recupero della medesima “L’amore manifesto” parlano di un songwriter provvisto di una propria, colta visione artistica, al di là dei possibili margini evolutivi. C’è spazio persino per un brano in francese, l’enfatico “Des larmes et leurs cendres”. Contatti: www.myspace.com/andreacarbonimusica Elena Raugei Pagina 29 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 Bad Apple Sons Bad Apple Sons autoprodotto Nel 2008 i Bad Apple Sons hanno vinto la ventesima edizione del Rock Contest, giocando praticamente in casa. Provenienti appunto da Firenze, Clemente Biancalani (testi, voce, tastiere e percussioni), Andrea Cuccaro (basso), Andrea Ligia (batteria e percussioni) e David Matteini (chitarre e voce) hanno così ottenuto la chance di registrare il loro omonimo esordio sulla lunga distanza, a seguire l’EP “Cowards” del 2007. Un album che, al pari delle energiche performance dal vivo, mette chiaramente in evidenza certi punti di riferimento: dai Birthday Party al primo Nick Cave oppure dagli Einstürzende Neubauten ai Sonic Youth, mentre la scelta di esprimersi in lingua inglese evita paragoni diretti con i Marlene Kuntz degli albori. L’effetto déjà vu è però abbastanza forte, specie nei pezzi maggiormente irruenti e dissonanti: “The Claim”, “Take This Moral Sea” e “Namby Pamby”, dove le elettriche esplodono e il cantato si fa furente. Pur con i rimandi new wave del caso, la personalità del quartetto emerge, invece, negli episodi che prediligono le dilatazioni morbose: la melodica “Backroom Facials”, l’atmosferica “Whales Are Watching”, l’estesa “I’m The Cutter”, l’intimista “Brag About”. Alle dieci vere e proprie canzoni si aggiungono due brevi, funzionali intermezzi a base di recitazioni, trame elettroacustiche e il violino di Wassilij Kropotkin/Francesco D’Elia, che assieme a Samuel Katarro e altri si presta anche ai cori per la straniante “Y.O. (Screaming Monkey)”. Buoni lavori in corso. Contatti: www.myspace.com/badapplesons Elena Raugei Pagina 30 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 Canemorto Canemorto Music Valley Canemorto è l’eccentrico progetto solistico di Andrea Nardi, già nel rockeggiante gruppo Colya, al debutto per una major con l’EP “Laura” del 2005. Stavolta l’obiettivo è relazionarsi con il cantautorato senza perdere contatto con i giorni correnti, ovvero senza arenarsi in forme bolse ed eccessivamente seriose. Un obiettivo centrato per mezzo di dieci canzoni dalle melodie accattivanti e al tempo stesso dagli arrangiamenti atipici, che si sposano al meglio con liriche brillanti, non di rado ironiche. L’eclettico songwriter toscano, dalla formazione classica alle spalle, si destreggia fra microfono, violino, chitarra e basso, accompagnato da Leopoldo Giachetti alle altre chitarre e ai cori, Martino Mugnai alla batteria e alle percussioni e il co-produttore Pio Stefanini – collaboratore di Irene Grandi e Noemi alle programmazioni e al piano. L’ispirazione dichiarata viene da mostri sacri come Fabrizio De André, Giorgio Gaber (omaggiato esplicitamente con “Se ritornasse il Signor G”, uno dei brani più vivaci all’interno di un disco prevalentemente morbido) o Ivan Grazian (omaggiato direttamente con la reinterpretazione di “Firenze (canzone triste)”). Una proposta singolare, dunque, che poggia tanto sul profondo rispetto di certi modelli storici quanto sul desiderio di suonare moderno e antidogmatico. La scaletta presenta episodi più o meno riusciti, ma nel complesso scorre via in scioltezza e mette in luce le potenzialità di una voce fuori dal coro. Il che non è poco. Contatti: www.canemorto.com Elena Raugei Pagina 31 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 De Grinpipol De Grinpipol autoprodotto Se negli ultimi anni le percentuali di band autoprodotte in Italia è aumentato a dismisura è perché, finalmente, anche da noi si è capito che farsi pubblicare con un marchio a caso tanto per farsi pubblicare è inutile. Meglio fare le cose per conto proprio. Per lo meno, si ha la certezza di tenere a quello che si fa. Forse, poi, l’autoproduzione è il modo ideale per portare avanti anche una proposta senza cadere a questa o quella campana mediatica. Spesso le label “de noantri” pubblicano in base al “giro” che una band riesce a creare o se vede possibilità di infilarsi in qualche nicchia. OK, direte voi, e la musica? Ed è quello che ci chiediamo pure da queste parti. E probabilmente se lo chiedono pure i De Grinpipol, gruppo di Sassari che si autoproduce perché autore di un tipo di pop che non troverebbe nessun tipo di mercato. Si sente che il quintetto si è fatto le ossa sui dischi dei Modest Mouse e ha cercato di ricreare quel tipo di suono che a inizio millennio aveva fatto pensare ad un ritorno del rock’n’roll. Insomma, un suono che poteva essere di moda quattro o cinque anni fa ma che ora resta ancorato ad un’idea di passione, collezionismo e melomania più autentica di quanto si sente in giro di questi tempi. Non è per crogiolarsi sempre nel “piccolo, duro e puro”, ma un semplice dato di fatto: se ci credi, si sente. E si perdonano difetti come la non eccessiva personalità di scrittura (si prenda “Clap Your Hands” per capire come uno dei dischi più ascoltati dai nostri sia “Good News For People Who Love Bad News”). Contatti: www.myspace.com/degrinpipol Hamilton Santià Pagina 32 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 Eimog Scenario Sudway “Scenario” è il primo, suggestivo album sulla lunga distanza per i siciliani Eimog, a seguire il demo-tape autoprodotto “Untitled” e l’EP “Early” - che aveva riscosso riscontri positivi persino oltreconfine - nonché una considerevole attività dal vivo, compreso un tour in compagnia dei Fine Before You Came. Registrato ai Vertigo Studios di Siracusa con la supervisione di Toti Valente (Albanopower), masterizzato ai Nautilus Studios di Milano e in procinto di essere distribuito anche in Giappone, c’è da dire subito che il lavoro evidenzia una raffinatezza che non lascia indifferenti. Abbiamo difatti a che fare con un post-rock dal retrogusto ambient e al contempo memore della lezione di formazioni come Mogwai o Sigur Rós, poiché a prevalere sono senz’altro le atmosfere, la cura del dettaglio e dei preziosi intarsi sonori. Rosario Cimino, Vincenzo Greco, Davide Lo Iacono e Carmelo Barcellona – ai quali si è successivamente aggiunto Davide Indelicato, non accreditato nel disco - si distribuiscono fra chitarre, basso, batteria e piano, mentre Jascha Parisi e Sarah Diana apportano i loro funzionali contribuiti con violoncello e violino. La scaletta si articola in sei composizioni estese, per circa cinquantasette minuti di durata complessiva: non si corre comunque il rischio di annoiarsi, dato che i coinvolgenti saliscendi emotivi sono sostenuti al meglio da note pennellate con gusto e misura. Per chi fosse disposto ad addentrarvisi con le dovute attenzioni, un esordio meritevole di ripetuti ascolti. Contatti: www.myspace.com/eimogmusic Elena Raugei Pagina 33 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 Elton Junk Loophole Forears Il cambiamento è evidente: meno new wave spigolosa e nevrosi sincopate, più forma articolata e contaminazione. I richiami stilistici degli Elton Junk si espandono a dismisura rispetto al passato, toccando la frontiera polverosa di “All Along The Horizon”, i Gun Club di “Loophole”, i Sons & Daughters slabbrati di “Lost”, i Clash in levare di “Particular Skills”, la psichedelia da crooner di “The Power Of Love”. Anche in quei pochi esperimenti in italiano che qui più che altrove presagiscono un futuro roseo per la formazione toscana, tra i chiaroscuri blues di “Al fiume”, il post-rock conciso in odore di canzone d'autore di “Ieri ho mangiato la strada” e l'elettronica minimale di “Del miele” (forse il brano più riuscito della terna).
Tanti collaboratori, come Matteo Cucini, Nicola Manzan (Bologna Violenta, Il Teatro degli Orrori) e Giulia Sarno (UnePassante), impegnati a intessere una tela di synth, ottoni, violini che contribuisce a moltiplicare le chiavi di lettura di un disco in bilico tra indolenza e parentesi vibranti. Un'opera che da una parte sacrifica la concisione e la mano ferma del precedente “Because Of Terrible Tiger” in favore di una maturità più strutturata e dall'altra manda chiari segnali di solidità. Contatti: www.myspace.com/eltonjunk Fabrizio Zampighi Pagina 34 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 Fabio Abate Itinerario precario Narciso/Universal Si sta spendendo molto Carmen Consoli per sponsorizzare questo debutto di Fabio Abate: non solo ha messo a disposizione la sua etichetta, la Narciso, per mettere in circolazione “Itinerario precario”, ma ha anche deciso di portarselo dietro nella versione teatrale del suo tour 2009/2010 come set d'apertura. Di tutte le scelte artistiche della Consoli (il raffinato pop de La Camera Migliore, il recupero filologico dei Lautari...) questa dobbiamo dire è quella che ci convince di meno. Abbiamo avuto modo di vederlo prima dal vivo, Abate, e solo dopo l'abbiamo sentito su disco. Già live non ci aveva convinto: ancora acerbo, ancora con un po' di carisma da maturare, ancora un po' forzato nei toni, tra emozione ed affettazione – nulla di irrimediabile, certo. L'ascolto del lavoro in studio invece di lenire i dubbi li ha in qualche modo confermati. Interessante senz'altro la voglia di creare dei testi dall'impianto che sia narrativo, ma l'affabulazione ogni tanto galleggia su luoghi comuni e in generale non ci sono invenzioni fulminanti, di quelle che restano impresse davvero. Musicalmente poi qualche colpo azzeccato c'è (“Guapo”, per esempio), ma la sensazione ricorrente è quella di avere a che fare con un nuovo Branduardi leggermente immerso in sapori Avion Travel: i sapori Avion Travel sono però troppo leggeri e Branduardi, beh, sinceramente anche l'originale ci ha stufato parecchi anni fa. Insomma, siamo un po' perplessi. Contatti: www.fabioabate.it Damir Ivic Pagina 35 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 Flora Traiettorie di volano Lizard – Tea-Kettle/BTF- GT Music – Eventyr I Flora da Piacenza, dopo dieci anni dalla loro prima mossa, ovvero mettersi insieme, ne hanno passate di esperienze anche con altri gruppi collaterali come i Curious George, band messa poi da parte. Claudia Nicastro, che cantava in quel gruppo e che canta anche qui, oltre a suonare il glockenspiel, è presenza importantissima per questo disco perché è lei che tocca meravigliosi angoli dell’essere e del divenire, del non pretendere e del non trattenere. Nel il precedente album omonimo del 2006 Claudia c’era, ma solo a tratti; qui invece è molto più presente, senza contare che ci sono stati dei cambi di formazione e scambi di strumenti che alla fine hanno dato i loro frutti affinché questo gruppo venisse fuori meglio. I bellissimi testi di Paolo Nicastro (fratello di Claudia), che invece c’è sempre stato dall’inizio della storia del gruppo come bassista e ora anche seconda voce, divengono onde del mare, ruscelli di montagna, nuvole di primavera che giocano a nascondino cantati da lei. Le canzoni di “Traiettorie di volano” cercano nuove corrispondenze emotive alla forma canzone cantata soprattutto in italiano. Gli strumentali come “Rami”, “Ed Hopper” e “Insalata n. 5” mostrano un altro aspetto forte dei ragazzi: quello di rendere immaginifiche le musiche con cambi, improvvisazioni, pagine musicali che si girano senza sbavature, mentre i sassofoni di Pina Muresu proiettano le speranze di felicità in bella vista. Ottima la batteria di Michele Tizzoni, che si districa con maestria sui vari versanti delle canzoni, e le melodie sono rette bene da Fabrizio Lusitani ed echeggiate poi da Pietro Beltrami alle tastiere. Contatti: www.myspace.com/florakiki Francesca Ognibene Pagina 36 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 G.o.D. Generation On Dope Bagana/Edel Un gruppo come i G.o.D. mancava in Italia. Mi spiego meglio: era da troppo tempo – facciamo dai Thee STP? – che da queste parti non si sentivano band suonare del sano rock’n’roll senza troppe sovrastrutture. E questi quattro ragazzi, un tempo noti come Razzle Dazzle e con un buon bagaglio d’esperienza sia live che in studio, colmano questo vuoto. L’esordio “Generation On Dope” infatti è una sintesi attuale di hard rock, punk e melodie di facile presa, ed il termine di paragone che m’è saltato subito in testa sono i Backyard Babies. Di questi ultimi hanno il piglio melodico, e l’apripista “Cinnamon” riuscirebbe anche a piacere a qualche patito della dance, e l’attitudine non troppo seriosa, il tutto con un tocco di metal ed una voce più graffiante. Proprio la voce, e nella fattispecie la pronuncia ed i testi, sono forse l’aspetto che più meriterebbe attenzione, infatti a differenza della parte strettamente musicale sembra mancare qualcosa per ottenere il miglior risultato, anche se ad onor del vero i testi sono più interessanti della media degli italiani che si cimentano con l’inglese. Più luci che ombra insomma, e soprattutto un po’ di buon vecchio r’n’r, semplice e diretto. Ce n’è oggi più che mai un gran bisogno. Contatti: www.myspace.com/generationondope Giorgio Sala Pagina 37 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 Gaben Cane Benka/Halidon Esce sull'etichetta dell'ex cantante dei Giuliodorme, Giulio Corda, la Benka Records (in catalogo pure l'alter ego musicale di Violante Placido, Viola), il disco d'esordio di Alessandro Gabini, in arte Gaben, un lungo passato di bassista per conto terzi e un predente in cui ha deciso di mettersi in gioco in prima persona come autore. Le canzoni di “Cane” si muovono tra chitarre in bassa fedeltà, una minima impalcatura tecnologica e certo immaginario estetico-musicale prettamente indie. Nulla di rivoluzionario per intenderci, ma senza dubbio quella che emerge è una scrittura piacevole, abbastanza varia, volutamente un po' naif ma mai troppo di maniera. Insomma, un disco che si potrebbe definire “carino”, senza per questo sottendere chissà quale tipo di atrocità musicale commessa dall'autore, anche se è vero che il termine ha ormai assunto una connotazione quasi del tutto negativa. Forse manca ancora un po' di personalità nell'interpretazione vocale, ma del resto è proprio l'understatement la chiave di lettura del tutto. Al sottoscritto, dovendo citare qualche brano, piace molto “Quello che ti sembra”, una ipotesi di Bugo meno agitato e meno sghembo, comunque efficace nel veicolare la visione musicale disincantata, ironica e senza troppe pretese dell'autore. Contatti: www.myspace.com/gabencane Alessandro Besselva Averame Pagina 38 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 Gasparazzo Fonostorie autoprodotto/Goodfellas Combat-folk (il nome del gruppo è tratto dal cognome di un carbonaio tra i protagonisti della rivolta di Bronte, in Sicilia, del 1860, assimilato attraverso l'omonimo personaggio fumettistico anni Settanta, opera di Roberto Zamarin, inoltre la formazione è impegnata da anni in vari progetti legati al recupero della memoria della Resistenza), ritmi in levare, qualche chitarra dalle vaghe parentele surf/rockabilly, un basso che rotola e rimbalza con grande agilità. Ma anche rumori, elettricità, piccoli disturbi sonori: non quello che ci si aspetta esattamente dal filone cui il gruppo sembrerebbe appartenere. C'è poi un elemento che emerge su tutti gli altri, nel nuovo album di questi teramani trapiantati a Reggio Emilia: una presenza vocale, quella del cantante Alessandro Caporossi, istrionica e trascinante, a tratti al limite della autoparodia ma comunque sempre capace di catalizzare l'attenzione. In alcuni casi, “L'albero che non c'è” si affacciano ricordi anni Novanta, con un crossover che tira in ballo rap, patchanka, ska e funk e riesce a suonare attuale nonostante l'impronta inevitabilmente legata a stilemi passati, mentre altrove il passo si fa decisamente reggae (“Nuvola Park”), e “Miraggi” ha l'andatura di Manu Chao, un omaggio evidente ma sentito. Si è già detto molto, forse pure troppo, utilizzando questi suoni e queste parole, ma i Gasparazzo riescono ad elevarsi al di sopra dei cliché, efficaci nel delineare una via di fuga tutta loro. Contatti: www.gasparazzo.it Alessandro Besselva Averame Pagina 39 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 Gianluca Grasso Vortex autoprodotto In questo folle e caotico mercato discografico del terzo millennio è possibile scoprire che un musicista sperimentatore e di alto livello come Gianluca Grasso debba cercare visibilità nei meandri dell’underground esattamente come una qualsiasi rock band di ragazzini alle prime armi. D’altronde, da tempo il jazz e la fusion, territori all’interno dei quali si muove la creatività del Nostro, sono diventate espressioni musicali destinate a un’élite di appassionati, per non dire intenditori. Non possiamo però nascondere che i legami che questi generi hanno stretto con il rock, soprattutto in chiave prog, ne hanno da tempo cancellato l’aspetto snob e naïf. Ecco perché è lecito sperare che un album come “Vortex”, possa raggiungere un interesse maggiore, che uno spazio destinato spesso agli emergenti. Magari un’attenzione se non di pubblico, almeno di critica. Infatti i motivi di interesse di questo CD sono davvero tanti, con i suoi saliscendi melodici, le sue strutture ad ampio respiro, con quel suo essere innovativo e classico, vicino agli standard jazz rock, ma allo stesso tempo saper esplorare paesaggi, è in grado di offrire stimoli sia ai fruitori di jazz/fusion che a quelli di prog e rock. Nonostante la giovane età, Gianluca Grasso vanta un curriculum di tutto rispetto, la fusion dei Janguì, il jazz rock del Koan Quartet e le collaborazioni con Luca Aquino e Gio Gentile, viatico per un esordio solista, questo “Vortex”, autoprodotto e disponibile anche sulle varie piattaforme digitali. Il rischio in sonorità di questo tipo è di apparire freddi e distaccati, ma qui il pericolo viene scongiurato, perché il tastierista inserisce strutture variegate e delinea passaggi sempre ben armonizzati che guardano ai maestri dello strumento, cercando sempre di estrapolare una propria identità. “Vortex” è un lavoro chiaramente destinato ad un certo tipo di pubblico, che – ne sono certo – ne ricaverà solo buone vibrazioni. Contatti: www.myspace.com/gianlucagrasso Gianni Della Cioppa Pagina 40 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 Ilaria Pastore Nel mio disordine Totally Unnecessary Records/Audioglobe Album d’esordio per Ilaria Pastore, cantastorie che invita gentilmente a entrare nella sua “casa caotica, piena di storie vere, di riflessioni, vestiti da riordinare, calzini spaiati, perplessità ma anche parole di conforto”. “Nel mio disordine”, che arriva finalmente a sintetizzare un decennio di concerti, studi, concorsi e demo, allinea dieci canzoni – scritte, arrangiate e prodotte in prima persona, quantunque con il supporto dei fidi musicisti Lucio Fasino e Antonio Fusco nonché del chitarrista/produttore Gipo Gurrado - che suonano per la verità ben organizzate nel miscelare acustiche, cantato melodico sufficientemente personale e sfumature fiabesche, dai colori decisi (a tratti viene in mente la disciolta band toscana La Camera Migliore, per chi se la ricordasse). A livello tematico si traccia un ideale itinerario narrativo cementato dal senso del tempo, percorrendo le varie fasi, quando gioiose quando dolorose, dell’esistenza. Episodi come “La chiamano notte”, “Occhi lucidi”, “A volte” e “Ora” evidenziano l’abilità nel gestire i dettagli, nell’inserire elementi, come elettriche mai troppo invasive, fiati immaginifici o tasti sognanti, in grado di impreziosire, valorizzare composizioni sicuramente gradevoli nella loro fragrante, morbida semplicità di base. La songwriter lombarda sa insomma come muoversi e lo fa aggirando le banalità del pop sin troppo orecchiabile, votandosi viceversa alla ricerca, all’affinamento di un proprio linguaggio espressivo. Da incoraggiare. Contatti: www.myspace.com/ilariapastore Elena Raugei Pagina 41 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 JudA Malelieve Il verso del Cinghiale JudA è un trio milanese formato da Marco Antoci D'Agostino (basso tenebroso e voce), Sergio Fossati (chitarra monolitica e potente), Alberto Mangili (batteria come un elicottero) che imprime in “Malelieve” undici tracce per un'ora esatta di psichedelia e stoner di quelli pesanti, anzi heavy. Le parti arpeggiate, come l'incipit di “Lontano dagli occhi”, sembrano dei Marlene Kuntz dei tempi de “Il vile”. Ma la maggior parte dell'album è uno schiacciasassi che incede a velocità alterne su tutto ciò che incontra, in pezzi variabili dai tre ai dieci minuti abbondanti, come dei Deftones senza miriadi di chorus e delay nella voce e più vene in rilievo sulle braccia che picchiano sugli strumenti. Una carrellata d'ospiti correda il monumento: Paolo Fusini degli Spread, Stefano Antoci D’Agostino che alcuni conoscono come Stead in ‘”Trema”, Laura Spada, voce degli Psychovox, nella nenieggiante “3c”, e Xabier Iriondo, uno che ha bisogno di poche presentazioni, nella lenta, melodica e alienante “Invasa da umori a distanza”. Un disco da dondolare al buio, con gli occhi chiusi e i pugni stretti fino al sangue. Forse un poco pacchiani gli arrangiamenti, un po' troppo prevedibili e quadrati, ma il risultato finale è un ottimo lavoro duro e pesante che schiva di un pelo l'ossessività del genere in favore della freschezza del suono. “Malelieve” è anche adatto alla – e forse figlio legittimo della – nevrosi da metropoli. Un disco da sparare a tutto volume dalla macchina al posto del clacson. Farà sicuramente piazza pulita di fronte al vostro tragitto. Contatti: www.myspace.com/judabox Marco Manicardi Pagina 42 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 København Store Hi 42/Halidon Per molti versi ambizioso il nuovo progetto in cui si sono imbarcati i København Store, a un paio d’anni dall’uscita del loro primo album, “Action, Please!”: quella di realizzare – sempre con il supporto della 42 Records – una trilogia di EP, il primo dei quali è “Hi” (i prossimi saranno intitolati “Low” e “You”). Sei le canzoni al suo interno, all’insegna di un gustoso indie-rock collocabile all’incirca a mezza via tra un gusto tipicamente post per le circolarità e le stratificazioni progressive e l’orchestralità un po’ teatrale e non poco intensa degli Arcade Fire. Una materia non facilissima da maneggiare, perché il rischio di cadere nell’autocompiacimento o nell’eccesso di enfasi è sempre presente, ma che la formazione – affiancata da ospiti quali Paolo Torreggiani dei My Awesome Mixtape o Nicola Manzan – dimostra di saper gestire con equilibrio e sapienza, e che si concretizza in composizioni vibranti e ricche di pathos, di impatto ma anche curatissime nelle sfumature, con archi e chitarre liquide a reggere strutture articolate e di invidiabile solidità. Se il buongiorno si vede dal mattino, nel suo insieme questo tris di dischi è destinato a regalare buone soddisfazioni. Adesso non rimane che attendere “Low”, previsto per l’estate, che vedrà la partecipazione di B. Fleischmann. Contatti: www.myspace.com/kobenhavnstore Aurelio Pasini Pagina 43 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 Letherdive The Closet Disco Dada/Venus Ci vuole del coraggio, nel 2009, per mettersi a trafficare con i codici del trip hop. Ma questo coraggio viene abbondantemente ripagato, e questo è il caso del progetto Letherdive, partnership tra la cantante degli Ofeliadorme, Francesca Bono, e il produttore Trif_o, nel caso che ci si avvicini alla materia con spirito nuovo e curioso. Non un recupero nostalgico, quindi, ma una riflessione sulle potenzialità ancora attuali di un fenomeno che, fatta eccezione per pochi, illuminati eretici, si è quasi immediatamente fossilizzato in maniera quando si è manifestato al principio degli anni Novanta. Le canzoni di “The Closet” si muovono in territori oscuri e metropolitani, accompagnate da bassi abissali e scansioni ritmiche lente e minacciose, potendo contare sull'espressività vocale e della Bono, capace di spaziare dal fondale più etereo alla coloritura black. In brani come “The Bravest” sembra di assistere ad un recupero attualissimo dei Massive Attack di “Mezzanine”, con quella tensione sotterranea che minaccia costantemente di esplodere, ma l'approccio ai suoni è senz'altro al passo coi tempi, mentre la caracollante ritmica di “Repentance” fa venire in mente i Boards Of Canada a braccetto con Beth Gibbons. Impressionante davvero: un disco “di genere” quanto basta, curatissimo, ispirato, non completamente svincolato dai modelli di riferimento i quali vengono però trattati con grande equilibrio, gusto e la giusta percentuale di innovazione. Molto bravi. Contatti: www.myspace.com/letherdive Alessandro Besselva Averame Pagina 44 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 Lisagenetica Ex vuoto Latlantide/Giucar Non sono gli ultimi arrivati i cuneesi Lisagenetica, hanno superato i dieci anni di attività e questo nuovo album, che arriva dopo due EP autoprodotti e uno split su RedLed, condiviso con i Wah Companion (la rock band di Ru Catania degli Africa Unite), ma soprattutto dopo cinque anni di silenzio discografico – ma non artistico – è la testimonianza che non solo non hanno perso il gusto per un certo tipo di rock cantautoriale, ma sono addirittura maturati nella scrittura, negli arrangiamenti e nei testi. Ed è questo il passaggio fondamentale, perché oggi come non mai assistiamo, all’interno della scena rock nazionale, a un proliferare di superficialità nell’approccio alle liriche, spesso camuffate dietro un inglese di circostanza che globalizza ed appiattisce tutto o, peggio, ad un ritrito . I Lisagenetica hanno il loro equilibrio, in bilico tra una brezza poetica e una vena hard rock, affidata ad una sezione ritmica funzionale, con un grande lavoro di basso, al resto pensa Riccardo Sereno Regis, punto fermo del gruppo dagli esordi, che si occupa della chitarra ritmica (la solista è di Federico Memme), delle tastiere e naturalmente della parti cantate, che con il suo timbro che ricorda il grande Ivan Graziani, è la vera ossatura delle dieci tracce dell’album, che offrono un bagaglio di scrittura variegato. Infatti se l’apertura di “Strega” (presente anche come videoclip bonus), è un singolo ad ampio respiro, “Irresistibile” suona come una moderna filastrocca, con i suoi ghirigori melodici e se si incunea duttile nella nostra mente, “Quadro di Botero” e “Miocard” sono due pop song estive, dal refrain adescante, due singoli perfetti insomma. Bella e credibile anche la rilettura di “Summer On A Solitary Beach” di Franco Battiato. É evidente che di tanto in tanto appare l’ombra docile dei concittadini Marlene Kuntz, ma i Lisagenetica risolvono il tutto con un’attitudine più morbida, caratteristica che potrebbe aprire, se ben direzionato, anche opportunità radiofoniche. Contatti: www.myspace.com/lisagenetica Gianni Della Cioppa Pagina 45 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 Lush Rimbaud The Sound Of The Vanishing Era FromScratch – Brigadisco – BloodySound – HotViruz – SweetTeddy – NarvaloSuoni/Audioglobe Uscito nel 2007, “Action From The Basement”, il primo album targato Lush Rimbaud, ha dato una certa visibilità agli anconetani, arrivando a suscitare anche l'interesse del settimanale britannico “New Musical Express”, il quale ne lodava l'impatto sonoro, nella fattispecie parlando di “teso flusso sonico” e “ipnotica andatura elettronica”. Il seguito, “The Sound Of The Vanishing Era”, registrato da Fabio Magistrali, ribadisce la potenza di tiro dei quattro, e la loro propensione a mescolare gli schemi ciclici e ripetitivi di certo krautrock con una fresca e convincente passione per il post punk britannico più tagliente. Caratteristica quest'ultima che nel trapestio di “They Make Money (We Make Noise)” lascia nell'aria una vaga traccia della misantropia sferragliante dei Fall. La tempesta elettrica, volutamente pestona, selvatica e un po' sconnessa (ma capace di aggregarsi in vortici di sequencer) di “Space Ship” è un livido incubo elettro-country, pieno di entusiasmo però, che non può lasciare indifferenti, e infatti ci convince ben presto di essere il brano migliore del lotto. All'interno di un disco che, in ogni caso, è bello denso e pieno di energia, e non ha momenti di stanca, attraversato com'è da una persistente e molesta tensione elettrica. Bravi, e parecchio. Contatti: www.lushrimbaud.com Alessandro Besselva Averame Pagina 46 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 Marquez Il rumore migliore autoprodotto “Paradossale”. Così i cesenati Marquez descrivono la loro opera seconda, “Il rumore migliore”, che arriva cinque anni dopo l’esordio “L’incredibile storia del malinteso tra il dottor Poto e la banda dell’acqua minerale”. Paradossale perché, sono sempre parole loro, “perennemente in bilico tra il pop italiano e le sonorità sporche più note al mondo dell’indie”. E in effetti, se dal punto di vista della grana degli strumenti l’ambito in cui ci si muove è ancora quello, per così dire, “alternativo”, le melodie hanno un respiro che non sempre in tali contesti è di casa. Si può parlare di rock d’autore, allora, equilibrato negli arrangiamenti e nelle forme, con le chitarre che tingono i pezzi di elettricità ma li sanno anche rivestire di calde tinte acustiche, facendosi alla bisogna da parte per cedere il passo a pianoforte e archi. Le liriche, poi, riflettono una certa inquieta tensione, sia quando parlano di sentimenti che quando, invece, affrontano problemi più prosaici (il mondo del lavoro, la società). Forse servirebbe un poco di personalità in più, per dare al tutto quel tocco di unicità che qui ancora manca; e tuttavia, la qualità media delle canzoni è tale da far passare la questione in secondo piano. Una doppietta come “Signora mia dell’ignoranza” e “Quello che Federica non sa”, in effetti, non se le possono permettere tutti, e sono trampolini che speriamo consentano al quartetto romagnolo di raggiungere il pubblico sia dei rock club che – per intenderci – del Club Tenco. Contatti: www.marquezonline.com Aurelio Pasini Pagina 47 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 Massimo Ferrante Jamu Felmay Terza uscita solista di Ferrante, “Jamu” (“andiamo” in dialetto calabrese) prosegue l’esplorazione della tradizione folklorica che il musicista di Joggi va conducendo. Presenze più o meno fisse: Enrico Del Gaudio alla batteria, Francopaolo Pereca al clarinetto, Lello Petrarca al basso e Lutte Berg alle chitarre. Già spalla di Daniele Sepe, Ferrante è oggi un cantastorie prezioso nel nostro panorama. Uno che musica la bellissima poesia di Ignazio Buttitta “Lingua e dialettu”, manifesto programmatico dei subalterni, e la sistema in testa e in coda all’album, divisa in due parti. Perché sia un memento costante che “un popolo diventa servo quando gli rubano la lingua”. La lingua dei padri è anche quella d’oc, e con l’aiuto di Lutte Berg, viene riarrangiato il tradizionale “La Piov e la Fai Soulelh” – la Calabria è sede di enclave valdesi da secoli – che diventa un folk-rock elettrico. Stesso trattamento subisce “’U monacu”, appartenente alla tradizione dell’Alta Calabria, percorsa da una trascinante elettricità. Ferrante ripropone un “Lamento” (“pi la morte di Turiddu Carnivali”) di Otello Profazio e una tarantella in minore di Danilo Montenegro; leva inoltre la polvere a “Tu compagno” del Canzoniere delle Lame (un canto del 1973), che viene rieseguito con l’aiuto degli E Zèzi. “Ari cinqu” è una filastrocca di Joggi, il paese d’origine di Ferrante”, eseguita con arrangiamento bandistico, e medesima provenienza ha la “Ninnananna joggese”, riproposta nella versione materna. Jamu, Ferrante è al suo meglio. Contatti: www.massimoferrante.it Gianluca Veltri Pagina 48 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 Miss Fraülein The Secret Bond MK/Venus Cosentini di discendenza stoner, autori di un rock granitico infiltrato da massicce dosi di melodia e caratterizzato da una decisa (e ispirata) propensione per il pop, i Miss Fraülein pubblicano questo secondo album a distanza di un bel po' di anni da quello che era stato il loro esordio adulto, “Aprofessionaldinnerout” del 2003. Le canzoni di questo disco si posizionano a metà strada tra certe sonorità college rock anni Novanta (“Battle On Ice”) e monumentali riff catatonici che si insinuano in numeri di eclettismo pop alla Motorpsycho (“Sleepy Golden Storm”), transitando di tanto in tanto per sedimentazioni più antiche, dove innesti di southern rock e amore per i primissimi Black Sabbath si incontrano: è il caso di “See You Men”. La formula è compatta, né troppo circoscritta né troppo elastica, ricca di spunti anche molto diversi, tenuti sempre sotto controllo da una attenta regia. Un disco anche parecchio ambizioso, come indicano i fiati solenni che aprono il sipario sulla conclusiva “The Secret Bond”, brano in cui gli stessi fiati, una sezione ritmica in fregola funk e chitarre distorte si inseguono e si intrecciano a lungo prima di consegnarsi ad una progressione di riff che tira in ballo scenari blaxploitation, divagazioni free e un hard rock dalle geometrie asciutte. Una ambizione suffragata dai mezzi, che fa intuire un talento pronto per approdare a nuovi lidi. Che molto difficilmente, insomma, si accontenterà di restare dov'è. Contatti: www.missfraulein.com Alessandro Besselva Averame Pagina 49 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 Opa Cupa Centro di permanenza temporanea 11/8 Records Cesare Dell’Anna proviene da una famiglia di musicisti bandisti da generazione. Il suo balkan-jazz sforna ora il terzo lavoro, sotto la ditta Opa Cupa. La fascinazione per la sponda orientale dell’Adriatico, per lui salentino, un senso egalitario inesausto e un profluvio di fiati: questa è la ricetta con gli ingredienti di Opa Cupa. Diciotto tracce, quasi tutte strumentali, fiato alle trombe. In “Due inutili parole” e “Extasi di stelle salenti” la voce è di Irene Lungo e le parole del poeta Giuseppe Semeraro, socio dell’Hotel Albania, la casa-laboratorio da cui è nato il cammino di Dell’Anna che porta fin qui. La prima racconta la delusione di un migrante, viaggiatore, profugo (extracomunitario, clandestino, senzatetto): “speravo di incontrare un popolo nuovo e ho incontrato invece due guardiani come altri”. La seconda, introdotta da un violino in lacrime, è un tango sotto le stelle di un amore perduto. I pezzi originali si alternano in scaletta a traditional e persino a standard. “Baresh”, “Ciganja” – un western albanese – e “Opa Cupa” appartengono al repertorio tradizionale; “Ebb Tide”, preceduta da uno spezzone tratto dal film “I clowns” di Fellini (la cantò Frank Sinatra) e la coltraniana “My Favorite Things” sono declinate alla maniera delle bande di paese. “Balkan trap” ondeggia nel caratteristico 7/8 del jazz balcanico degli Opa Cupa; particolarmente felice e trascinante “Neelie”. In coda frammento di un minuto, con “God Save the Queen” à la Opa Cupa. La vendita del CD sostiene il Poliamburatorio di Emergency a Palermo, che presta gratuita assistenza alla popolazione immigrata. Contatti: www.11-8records.com Gianluca Veltri Pagina 50 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 Outopsya Sum Videoradio Un giovane progetto musicale che sa superare da subito gli steccati e gli stereotipi di genere è già di per sé un piccolo caso underground degno di considerazione. Outopsya ha origini trentine, forse un po’ erede delle storiche trasversalità aliene dei concittadini Runaway Totem e Universal Totem Orchestra, e in quanto fresco virgulto proiettato più decisamente su evolute matrici new metal. Nel crocevia dei riferimenti stilistici ed estetici, ideati da Luca Pianini (chitarra, voce, synth, percussioni) e Evan Mazzucchi (basso), confluiscono svariate influenze: l’ossessivo trash-prog-metal ai confini del math-rock, talune asperità industrial stemperate scorrevolezze heavy-fusion, cenni electro-psichedelici, sinanche oscure ambientazione gothic-death. Tante idee dunque e complessità compositive che si sviluppano in devianti progressioni ritmiche, talvolta fin troppo compresse e condizionate da un’eccessiva, frenetica meccanicità, che trae linfa anche da una gestione marcatamente elettronica (ben poco decisiva la scelta nel brano “Sum”, sintesi che strizza, comprime, accelera tutto l’armamentario ascoltato nei sette brani precedenti). Più felice ed efficace la presenza vocale di Ylenia Zenatti in “Mothal” e “Don’t Mind”, tale da alimentare sentori di epicità Zehul e di certe schizofrenie Zappiane. Basta e avanza per un plauso di merito complessivamente convinto e benaugurante, suffragato anche dalla nitida sensazione di ragguardevoli potenzialità sviluppabili in prospettiva. Contatti: www.myspace.com/outopsya Loris Furlan Pagina 51 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 P.A.Y. La ragazza col coltello Punkrocker’s Se mi consentite un piccolo preambolo il problema, se così possiamo chiamarlo, dei P.A.Y. è che visto il genere che fanno, ed il paese in cui son nati, sono “troppo”. Troppo intelligenti i testi e troppa cura nel fare le cose; tutte peculiarità che altrove sarebbero apprezzate e che invece qui rischiano di essere un handicap. L'equivoco forse potrebbe cadere con “La ragazza col coltello”, ovvero il ritorno ad un album convenzionale dopo l'avventura del concept di “Federico Tre”. Cinque anni senza un disco “vero” non son passati invano; una crescita musicale che ha portato i P.A.Y. a frequentare molto più i lidi dell'indie rock che non quel punk che è rimasto più come attitudine che non come suoni. E senza più l'obbligo di raccontare una storia sola anche le tematiche dei testi prendono direzioni impreviste: l'attualità vista di sbieco di “Se le madri uccidono”, la resa completa al proprio muscolo cardiaco di “Desdemona e il panico”, ma anche lo sguardo ironico di “La Conquista dell'Universo”. L'esperienza del mini “Elettro '80” poi viene fuori nitida nella drum machine di “Zombies”, ed è un piacere vedere come un gruppo con la loro esperienza riesca ad avere una vivacità creativa che non ritrovo spesso nemmeno in gruppi all'esordio. Sarete anche “troppo”, ma andate benissimo così. Contatti: www.ammore.net Giorgio Sala Pagina 52 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 Sakee Sed Alle basi della roncola Chemical Archives Sono bergamaschi che fumano e bevono, almeno da quello che percepiamo da “Alle basi della roncola”. Sono quasi americani nel suono, di quell'America agricola da saloon nebbiosi col piano appoggiato in un lato del locale e il pianista negro che soddisfa le richieste dei cowboys ubriachi. Usano strumenti vintage come chitarre acustiche, elettriche sporche, vibrafoni, banjo, ukulele, organi. Ritmo blues e da cabaret, voci rauche ma non troppo, come Tom Waits al primo pacchetto della giornata; un piano sul quale dita esperte picchiano a occhi chiusi e il bicchiere di wishky sulla cassa. A volte sembrano i Pavement trapiantati nel vecchio West (come in “Happy Thomas” e “Mrs. Tennessee”), ma più spesso sono dei vecchi crooner con la propensione per l'avanspettacolo (“Walzer”). Ho usato due volte la parola vecchio, ma i Sakee Sed sono nati a metà degli anni '80 e il loro suono così esperto – perché, intendiamoci, siamo di fronte a gente che sa suonare bene e lo sa – è talmente insolito da sembrare uno scherzo. In “Alle basi della roncola” c'è esperienza e soprattutto un quantitativo spropositato di alcool, non solo nei titoli delle canzoni (“Whisky & Coke”, “Vermouth & Baby”, “I'm Drunk”), e c'è un cantato in italiano stralunato con testi mai lasciati al caso ma ben ponderati, sguaiati e alticci. I Sakee Sed sono gente con la quale passeresti volentieri una nottata fumosa a bere, scherzare e ballare in un locale di legno dell'ovest degli Stati Uniti. Oppure a Bergamo, che si beve bene anche lì. Contatti: www.myspace.com/sakeesedfamily Marco Manicardi Pagina 53 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 The Hutchinson Clan Wallace/Audioglobe Monomaniaci e ossessivi, ma nella migliore accezione possibile: i quattro Hutchinson tornano a dire la loro con questi sette brani come sempre invischiati in trame kraut-funk-hard, intenti a ribadire fino allo sfinimento idee dotate di una forza e di un impatto tali da scongiurare, a dispetto della ripetitività, ogni rischio di annoiarsi. Più che canzoni, si tratta di cavalcate in loop che si imbattono in incidenti di percorso perfettamente orchestrati, leggi cambi di tempo, litigi in forma di fraseggi math-rock, distorsioni e volumi che salgono come in un incidente tra i King Crimson e “La mala ordina”. Il contrappunto vintage delle tastiere, dal gusto cinematografico, non prende mai il sopravvento sulle chitarre e sulle immutabili evoluzioni krautrock, con il lessico che a tratti si incattivisce e chiama in causa granitici space rock alla Hawkwind (“Atom Ama”). “Linfame”, invece, spinge sul versante più funk, con batteria, chitarra e basso che si rimpallano note e rullate e i sintetizzatori sullo sfondo a creare un gelido contrappunto, una situazione che si ripete, solo più acida e inquieta, con denso raggrumarsi di chitarre wah wah, nella traccia finale, “Dood”. Insomma, il gruppo dimostra ancora una volta di riuscire a mantenere sempre altissima la tensione, pur utilizzando schemi in qualche modo facilmente collocabili. Una musica di situazione e di atmosfera, ma nitida e pulsante, sempre in movimento. Contatti: www.wallacerecords.com Alessandro Besselva Averame Pagina 54 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 The Jains Holy Changing Spirit! AcidCodra/Venus Terzo album e terzo passo in avanti per le Jains. Il duo formato da Kris Reichert, volto di MTV ma soprattutto voce e chitarra, e dalla batteria di Anna di Pierno con questo “Holy Changing Spirit!” non rinnega il rock abrasivo e quasi rrriot ma lo affianca ad atmosfere acustiche, assecondando finalmente quella vena compositiva che finora covava sotto la cenere. Merito di questo va anche al produttore, ovvero Amaury Cambuzat (Ulan Bator) che ha insistito affinché brani come “Find Your Way” o la stessa title track rimanessero così come sono nati senza riarrangiamenti rock. Un disco dalle due anime, capace di farti ballare con il singolo “No Limits” ma anche cullarti con ballate acustiche, e con la stessa credibilità in entrambi i casi. Decisamente un passo in avanti per affrancarsi da modelli che ormai avevano mostrato tutti i limiti e una maturazione artistica che fa comprendere tutte quelle potenzialità che prima si potevano solo intravedere. Abituati alla voce arrabbiata di Kris riusciamo ancora a stupirci della dolcezza di “Light Above My Head”, e tutto sembra mettersi a posto. Credo proprio che con quest'album le Jains abbiano spiccato il volo. E che il “cambiamento di spirito” sia stato una vera benedizione. Contatti: www.thejains.it Aurelio Pasini Pagina 55 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 Vallanzaska iPorn Maninalto!/Venus Una premessa fondamentale: chi scrive ama molto i giochi di parole, e in tal senso ha sempre trovato divertente quello che sta alla base della ragione sociale Vallanzaska. Da qui a pensare di coinvolgere nel loro nuovo lavoro Renato Vallanzasca – che, lo ricordiamo, è in carcere, accusato fra le altre cose di un buon numero di omicidi –, oltretutto sbandierandolo ai quattro venti in fase di promozione, ci pare una cosa quantomeno raccapricciante. Poi, se non altro, il contributo del “bel René” sostanzialmente si riduce a una canzone sola, “Expo 2015”; ma, come si dice, è il pensiero che conta. Mettiamo però da parte i giudizi sull’operazione, e concentriamoci sul disco. L’ambito è grosso modo quello di sempre, tra ska, reggae, hip hop, una spruzzata di elettronica e un filo di distorsioni; contesti nei quali l’ensemble è già da parecchi anni uno dei nomi di punta. Per quanto riguarda le tematiche, invece, si passa dal faceto (“Monitor”, dedicata al proprio tecnico del suono, “Spaghetti ska”) al serio, con liriche che di volta in volta si concentrano sulla diffusione delle tecnologie di consumo e della pornografia in Rete, sul consumismo esasperato, sugli intrecci tra economia e politica, su una Milano dove è sempre più difficile fare musica, su Berlusconi e sul modo in cui i media hanno trattato la morte di Carlo Giuliani. Buone intenzioni che nei fatti si traducono in canzoni sì curate; divertenti e sovente impegnate, per lo meno nelle intenzioni, ma che sono destinate a non lasciare alcun ricordo nella memoria, se non ai fan della linea dura e a chi mangia e dormono solo in levare. Insomma, anche al netto della “questione morale”, non c’è molto qui che valga la pena di essere ricordato, a livello di spunti musicali e compositivi; anzi, la cover di “Smells Like Teen Spirit” dei Nirvana speriamo di dimenticarcela il più presto possibile. Contatti: www.vallanzaska.com Aurelio Pasini Pagina 56 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 Velvetians Plastic Glam Lottarox Pare che da queste parti si sia deciso di dimenticarsi le velleità nu-wave, le mode passeggere, il punk-funk e quello che succede nei locali hip di Milano. E questo potrebbe essere già abbastanza per ascoltare i Velvetians e trovarne un gruppo “puro”, “appassionato”, sicuramente in grado di riconoscersi in note che i lustrini e le paillette le hanno abbandonate nel 1980. Sì, insomma, uno non è che chiama il disco “Plastic Glam” così, a caso. Però, se devo dirla tutta, mentre in giro leggo di Marc Bolan, di Dead Boys, di New York Dolls mi viene in mente che alcuni si siano persi qualche decennio di musica pop. Perché ad ascoltar bene l’esordio degli umbri, ci si rende conto come il glam sia solo un punto di partenza ideale (come se per un cantautore si citasse Bob Dylan), gli antenati, i pro-genitori. Ci sono due nomi che sono tornati costantemente durante l’ascolto. Uno in minuscolo, l’altro in maiuscolo: blur e SUPERGRASS. Ecco. Se siamo arrivati qui è perché a un certo punto ci sono musiche che rimangono e altre che si dimenticano. Probabilmente, le velleità in quanto tali spariranno alla prossima grande onda da trend-setter coi Wayfarer. A quasi vent’anni di distanza, invece, siamo ancora qui a canticchiare “Parklife” e “Caught By The Fuzz”. Un motivo ci sarà. Contatti: www.myspace.com/velvetians Hamilton Santià Pagina 57 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 Vivianne Viveur 
Rain Feelings My Fay Records Dei Vivianne Viveur ci è sempre piaciuta l'attenzione maniacale per suoni e atmosfere. Chiaroscuri in passato riconducibili a un'obliquità un po’ alla Blonde Redhead e ora stabilmente posizionati dalle parti di un rock elegante con inflessioni dark-noir. L'altra faccia della medaglia era ed è una scrittura difficilmente etichettabile, talvolta contraddittoria, in bilico tra sussulto vaporoso e dispersività, formalismo aristocratico e autoreferenzialità, morbidezza evocativa e accumulazione.
Il terzo disco della formazione italo-inglese – base a Londra per Vienne Langelle, Enrico Aurigemma e Jonny Burgess – non fa eccezione in questo senso, collezionando un pugno di brani che gioca con una chanson decontestualizzata (“Victorian Rain”), onirismi assortiti (“Hard Feeling”), malinconie decadenti (“Daydream Syndrome”), sviluppi post-rock mascherati (“My Rainstorm”). Per un suono barocco che sa di romanticismo oscuro ed avvolgente. A dar man forte al trio alcuni collaboratori di rilievo tra cui Richie Stevens (Simply Red, Jamiroquai, Gorillaz), Andrea Cajelli, Christian Rainer e Simone Basso, chiamati a perfezionare una formula raffinata capace di mescolare archi, chitarre elettriche, Rhodes, synth, flauto, pianoforte, corno inglese, basso e batteria. Non tutto è necessario, ma il fascino non manca. Contatti: www.myspace.com/vivianneviveur Fabrizio Zampighi Pagina 58 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 Yokoano Yokoano Canapa/Venus Nonostante siano una band all’esordio, i comaschi Yokoano, hanno parecchie frecce nel loro arco. Li guida infatti Daniele “Dani” Marceca, per anni chitarrista/cantante dei Pornoriviste, che qui ha deciso di allargare gli orizzonti compositivi e di sostituire i rigidi schemi del punk, con un’imprevedibilità che si coglie sin dalle prime note di “Vengo dal vuoto”, che si apre con un canto quasi drammatico e poi si estende in un furente metal rock. Inoltre l’album è il primo capitolo dell’etichetta Canapa, edificata dai Punkreas che dimostrano di tenere fede a quello che era il loro proposito fondamentale, ovvero non ingaggiare solo band di derivazione... Punkreas. Infatti le undici tracce delineano un trio (Dani è affiancato dal bassista Zak e dal batterista Dario, giovani e tecnicamente dotati), che suona potente ed aggressivo, ma non sembra seguire nessuna linea in particolare, se non quella che vuole l’istinto legarsi alla ragione e d’altronde Dani è chiaro quando spiega “Quello che penso lo esprimo in musica e disegni e le parole le prendo dai sogni che faccio”. Nasce così un crossover d’assalto che si lega tanto al metal, quanto al punk e a certo hardcore , ma a trascinare il tutto, nonostante l’euforia della potenza di fondo, è un senso di freschezza che traspare ovunque, da “U.o.m.o.” a “Voglio la guerra” a “Kinder”, tutte canzoni dove la sezione ritmica svolge un ruolo determinante. Ma gli Yokoano riescono a stupirci quando aprono “Qui” come una filastrocca degli anni zero, mentre in “Mai”, “In alto mare” e “Fatto” recuperano un’andatura geometrica che ha reso unici gente come Helmet e Henry Rollins. In chiusura le prove melodiche di “Buonanotte” e “Shhhhh”, che odorano di Timoria versione metal. Da ascoltare anche i testi, cantati con voce semplice, ma ben comprensibili, nonostante la coltre di elettricità. Trentacinque minuti di energia pura, ma di quella intelligente. E adesso cerchiamoli in tour. Contatti: www.myspace.com/yokoano Gianni Della Cioppa Pagina 59 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Aprile '10 Elettra Una ragazza con una voce suadente e basi elettroniche fatte come Dio comanda prende il nome di Elettra e registra “My EPness”, cinque tracce che sono l'embrione di un progetto che speriamo veda un seguito. Si parte con “La sua figura”, un pezzo di Giani Russo con campionamenti di Dvorak, archi in stile sanremese che si mescolano a un'elettronica esperta e pulita. Poi l'inedita “My Name With Blood (Just Hold Me Close)” che sembra un pezzo di Madonna come Madonna non ne fa da anni, voce compresa. Segue una cover di “Surrender” dei Depeche Mode, chiaramente numi tutelari di Elettra, e altri due inediti: “Artificial Plus Min(e)or Mood”, con un campionamento da Twin Peaks, ancora un mood da Madonna in estasi dance e una lunga coda invertita, e “Do U Want To...” piena di glitch e carezze elettroniche ed elettriche che chiudono l'EP. Sul MySpace di Elettra c'è un appello scritto senza mezzi termini: si cercano musicisti che l'accompagnino per portare avanti quanto iniziato in solitudine. Fatevi avanti. Contatti: www.myspace.com/eletart Marco Manicardi Pagina 60 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it