Maggio '11 a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini Numero Maggio '11 Numero Maggio '11 EDITORIALE Come forse avrete già avuto modo di notare, a partire da questo mese all'interno del Mucchio le pagine dell'inserto “Fuori dal Mucchio” sono raddoppiate, passando da due a quattro. Perché, anche una volta separato il grano dal loglio, sono sempre di più i dischi italiani “emergenti” di cui ogni mese vale la pena occuparsi. Del resto, già da qualche tempo anche nella sua appendice telematica – che state leggendo – il numero di recensioni e interviste è sensibilmente aumentato, ché il numero di produzioni degne di nota lo richiedeva. Non fa eccezione questo nuovo numero, ricchissimo di band e artisti giovani e meno giovani, e quanto mai variegato dal punto di vista dei generi trattati (indie-rock, metal, canzone d'autore, elettronica, hip hop, prog, e via dicendo). Inutile allora stare a perdere ulteriore tempo in preamboli; spazio alla lettura, nella speranza che sia portatrice di buoni ascolti. Aurelio Pasini Pagina 2 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Anansi Stefano Bannò, 22enne trentino di sangue siciliano, polistrumentista e compositore, è noto col nome d’arte Anansi,creatura mitologica africana dalle sembianze di ragno. Anansi ha partecipato a Sanremo 2011 sez Giovani con il brano “Il sole dentro”, che fa parte del suo secondo album “Tornasole”. Con Stefano abbiamo realizzato la chiacchierata che segue. Sei trentino di nascita, ma sei nato da genitori siciliani. Pensi che questo ti abbia dato già in partenza una spiccata attitudine alla tolleranza, alla curiosità verso le mescolanze? Credo che il fatto di essere stato esposto fin da piccolo a due culture e due mentalità molto diverse fra loro mi abbia insegnato ad analizzare criticamente e a comprendere il valore della mescolanza, dell'incontro, della diversità. Hai vissuto in Irlanda e suonato in varie città britanniche quando eri ancora minorenne. Come mai hai scelto di andare via così giovane? A 17 anni vinsi una borsa di studio attraverso cui ebbi la possibilità di recarmi a studiare in Irlanda. Fin dai primi mesi di quest'esperienza, cominciai a suonare nei pub di Carlow, la città in cui vivevo, per poi fare anche esperienze da busker, per esempio sulla celebre Grafton Street di Dublino. La motivazione di questa “fuga” dall'Italia sta nel fatto che l'ho colta come un'occasione per crescere prima di tutto a livello personale, ma anche musicalmente e artisticamente. Anche dopo sei stato in giro in Germania. Hai una vocazione girovaga? Dove vivi adesso? Ho avuto modo di esibirmi qualche volta in Germania, sia con Roy Paci, sia come solista. Ora vivo a Trento, nella città in cui sono nato, ma il viaggio è sempre un tema ricorrente nella mia vita e nella mia musica. Essere un girovago ti dà il privilegio di essere sempre in Pagina 3 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 viaggio, ma di non dover aver per forza una meta. A proposito, nel 2009 sei entrato nella band Roy Paci & Aretuska. Com’è successo? Cosa ti ha dato e cosa ti ha lasciato questa esperienza? Ho conosciuto Roy nel 2009 a Milano. Io e la mia band partecipavamo a un concorso di cui lui era un giudice. Abbiamo vinto il concorso e lui apprezzò molto il mio stile, tanto che nel giro di un mese mi chiese di entrare negli Aretuska come MC/vocalist. Con Roy Paci & Aretuska ho avuto il piacere e l'onore di partecipare a due tour e a un disco (“Latinista”, Ndr) da co-interprete e co-autore. È inevitabile che ti chieda di Sanremo. Un artista giovane come te riesce a maneggiare il festival senza farsi manipolare? Cosa cercavi? E lo rifaresti? Credo che la partecipazione a Sanremo Giovani sia stata un’esperienza molto formativa, in cui ho avuto la possibilità di conoscere meglio il mondo dello spettacolo italiano, imparando a distinguere gli aspetti positivi da quelli negativi. Sanremo Giovani è indubbiamente una grande vetrina, a cui un giovane artista deve partecipare mantenendo e difendendo sempre la propria identità. Se si tiene questo in considerazione, non ci si fa manipolare. E credo che per me sia stato così. Rifare l'esperienza? Sinceramente al momento non saprei rispondere. E poi arriva l’album “Tornasole”. Dieci diverse gradazioni di colore. È attraversato da un’anima nera ma c’è dentro di tutto, da Andrea Pesce ai Pitura Freska, dagli Africa Unite a Frankie Hi-NRG. Qual è il tratto comune di tante collaborazioni? Mi viene da dire che sono io! I vari generi presenti nel disco riflettono i miei ascolti, le mie esperienze e le mie diverse anime. Qua torna il tema del viaggio, attraverso il quale il girovago vede culture e paesaggi diversi, di cui il filo conduttore è il viaggio stesso. Vorrei chiederti uno sforzo: quello di scomporre gli ingredienti della tua musica. Di cosa sono fatte le tue canzoni, come temi e contenuti da una parte, e dall’altra come stili musicali? Sul piano dei testi, ciò che scrivo rispecchia semplicemente ciò che vedo e ciò che vivo. Nella maggior parte dei casi, i testi delle mie canzoni nascono da discussioni con le persone a me più care sull'attualità, sulla politica come su qualsiasi altro tema. Altrimenti nascono da esperienze direttamente o indirettamente vissute. Musicalmente, "metto in pratica" ciò che ascolto, cercando di assorbire e personalizzare la musica dei miei artisti preferiti e in generale dei miei ascolti. Appunto, quali sono gli artisti con i quali ti sei formato? I tuoi ascolti, i tuoi amori musicali più influenti? Il reggae di Marley,e in seguito di altri artisti,è stato il mio punto di partenza, ma l'artista che mi ha formato di più è Ben Harper. Attraverso la sua incredibile varietà musicale e il suo eclettismo, ho imparato ad apprezzare la musica a 360 gradi: dal reggae al blues, dal pop all'hard rock, senza nessun pregiudizio. In un brano si ripete la necessità di “aprire gli occhi”. Su cosa soprattutto bisogna aprire gli occhi, oggi, secondo te? Il brano in questione e' “La realtà”, nato in collaborazione con Frankie Hi-NRG, che chiude il Pagina 4 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 pezzo dicendo: ”L'immagine ha rubato alla realtà l'immaginazione”. “Aprire gli occhi” in questo senso significa comprendere e affrontare la realtà, abbandonando i sogni e le illusioni che il sistema ci propina ogni giorno, ma creando i presupposti per altri sogni “ad occhi aperti”, che siano invece veri e pieni di speranza. Il futuro ti vedrà imboccare una (o qualcuna) delle dieci gradazioni di colore, oppure ti riconosci pienamente in tutte le sfumature del tuo disco? Ognuna di queste gradazioni meriterebbe di essere percorsa fino in fondo, ma credo che continuerò il viaggio in modo trasversale: di colore in colore. Contatti: www.anansi.it Gianluca Veltri Pagina 5 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Calomito “Cane di schiena” è il secondo album della band milanese che ha esordito con “Inaudito”, uscito per Megaplomb cinque anni fa. Il loro ritorno continua sulla falsariga del debutto: un susseguirsi di input sonori che tengono viva l’attenzione perché sorprendenti. E l’aumento degli ascolti in un calderone avant-jazz-rock pieno di influenze e di esperienze uditive porta ad apprezzarli ancora di più perché si arrivano ad intravedere le sottigliezze. Ne parliamo con Tommaso Rolando: basso elettrico, contrabbasso e synth. Come nascono i Calomito? Anche se questo è il vostro secondo album raccontateci le vostre origini. I Calomito nascono nel lontano 1999 in una cantina dove si montano gli strumenti, si cerca di mettersi alla prova con materiale e composizioni originali e libere da definizioni, ci si iscrive ad un concorso per band emergenti e perbacco lo si vince! Particolare non da poco per dare pepe e spinta al progetto. E il nome Calomito in particolare è quello di un omino macroencefalico nato dalla mente rigogliosa di un mio caro amico. Il primo album "Inaudito" vi ha tolto dall'imbarazzo di iniziare e ha riscosso molti consensi. Spesso i debutti sono un best of di un periodo medio lungo. Anche nel vostro caso? In realtà questa faccenda si è presentata più col secondo disco che col primo. "Inaudito" ci ha messo parecchio a vedere la luce rispetto alle registrazioni, ma raccoglieva materiale di un breve periodo intorno agli inizi del millennio. "Cane di schiena" è frutto del lavoro fatto dal 2007 ad oggi e raccoglie composizioni e brani di periodi molto differenti, ed effettivamente è frutto di una vera e propria cernita tra il materiale che abbiamo avuto per le mani in questi anni. Com'è cambiato il vostro modo di comporre rispetto al primo disco diventando da sestetto quintetto? Pagina 6 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Oltre ad aver ridotto il numero delle persone, c'è stata proprio una rivoluzione dell'organico, pensa che solo io Tommi ed il violinista Filippo, siamo della formazione ufficiale del primo disco. Poi abbiamo imparato a scrivere la nostra musica. Infatti per questo disco parecchie composizioni hanno avuto una stesura su pentagramma e poche modifiche con gli strumenti in mano, altri brani hanno avuto più bisogno di essere "manipolati" dalla band in saletta per acquisire la forma che hanno su disco. Qual è la base di partenza da cui partono musicalmente i Calomito? Come auto-riconoscete di non fuggire da voi stessi? Cacchio, noi fuggiamo proprio da noi stessi! Ovvero non partiamo proprio da un bel niente. Foglio bianco. Nel senso che ci lasciamo aperta ogni possibilità musicale e non. La musica ci piace tutta, ci piace masticarla tutta e filtrare quello che maneggiamo meglio. Non escludiamo prima o poi di confrontarci con la forma canzone o il pop ma forse faremo il prossimo disco metal. Le idee musicali, tra giochi e trame cavalcanti e in bilico si disperdono come suoni familiari e coinvolgenti. Come avviene soprattutto il vostro "costruire" queste storie ricche di significato ma senza parole? Il gioco è parte fondamentale della faccenda. Negli anni poi si va concretizzando una specie di linguaggio. Ecco, forse la sfida è cercare di evitare che questo linguaggio cristallizzi e smetta di rendere il gioco divertente. Quando componete come trovate l'equilibrio condiviso? Qual è insomma il vostro modo di essere gruppo? Ognuno ci mette del suo, ognuno a suo modo, ognuno con i suoi tempi, c'è chi si fa di più il mazzo e chi meno, c'è chi rompe le palle a tutti – e ammetto di essere proprio io - per ottenere piccoli passi avanti nel lavoro di gruppo, c'è chi invece basta che dica due parole e cambia le sorti e il destino dei progetti. Insomma, come nella vita vera fuori della saletta, siamo un micromondo. Dove e come è stato registrato il disco? In modo abbastanza spezzettato, prima da Rico dei Uochi Toki nel Fiscerprais Studio di Pontecurone, poi a Genova da Bandiani allo studio Apollo per poi essere mixato da Mattia Cominotto al GreenFog Studio. Infine del master se ne è occupato Udi Koomran a Tel Aviv. Qual è il consiglio migliore che vi hanno dato finora per migliorare il vostro impatto o il vostro stile o il vostro suono o semplicemente un frammento? Ci dicono che siamo diventati più pop. Quali gruppi apprezzate e trovate vicini a voi e al vostro modo d'intendere la musica? In ordine sparso per quanto riguarda questo periodo: Acoustic Ladyland, Battles, Secret Chiefs 3, Mariposa, Jaga Jazzist, Motorpsycho, Cheval de Frise , RUNI, Zu. Come vi descrivereste voi membro per membro con un aggettivo o un'abitudine o un'attitudine? Tommi, come dicevo prima, rompipalle; Marco autistico; Nando, ogni giorno sempre meglio; Pagina 7 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Pippo, 4'33"; e infine Nico, il ghigno diabolico. Come presenterete questo disco dal vivo? Stiamo già facendolo, con questa formazione con violino, trombone, basso, batteria, chitarra e qualche amenicolo digitale. L'impatto live è bello solido. Quest'album come l'esordio esce per Megaplomb. Cosa vi piace di quest'etichetta in particolare? Chet Martino della Megaplomb ormai è un amico e non ha avuto problemi a collaborare all'uscita, che questa volta vede in prima posizione l'etichetta AltrOck di Marcello Marinone, che ci segue e sostiene ormai da parecchio. Megaplomb rimane comunque nei nostri cuori per essere stata la prima a rendere possibile fare uscire “Inaudito”. Inoltre abbiamo sempre apprezzato anche i lavori degli altri gruppi che escono per Megaplomb, perché troviamo molte affinità e un sottile fil rouge. Per avere il disco cosa bisogna fare? Chiedere appunto a Chet o a Marcello capi delle rispettive etichette Megaplomb e AltrOck. Su Internet si trova tutto! Contatti: www.calomito.com Francesca Ognibene Pagina 8 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Green Like July Atteso da più di un anno, il secondo disco dei Green Like July – pubblicato grazie a Ghost – è un compendio di americana filtrata attraverso la lente di chi, alla fonte di quell’immaginario, si è dissetato giorno dopo giorno. Se nella musica pop i confini sono sempre più labili, il trio di Pavia dimostra che scrivendo canzoni con la convinzione dei propri mezzi si può andare lontano. “Four-Legged Fortune” è il vostro secondo disco ma il suo percorso non è stato certo lineare. Andrea: Il disco ha avuto una genesi particolarmente travagliata. È stato registrato nel Maggio del 2009 e, per molti mesi, è rimasto chiuso in un cassetto. Le ragioni sono state molte ma, essenzialmente, possono essere ricondotte alla consapevolezza di avere tra le mani un buon disco e di volergli dare una degna casa. A tirarci fuori da una situazione di stallo sono stati i ragazzi della Ghost e, in particolare, Marco Ragusa della Warner. Come mai la decisione in grande e andare a fare il disco alla Saddle Creek? L'atmosfera provinciale nostrana vi stava soffocando? Nicola: La provincia non è stato ciò che ci ha portato in Nebraska. Per noi non è mai stato un problema il fatto di essere una band italiana che suona folk rock americano. Nel 2007 sia io che Andrea stavamo uscendo da un periodo di grandi frustrazioni musicali: ai nostri progressi da un punto di vista tecnico e compositivo non corrispondevano riconoscimenti di nessun genere. Tutto era sempre troppo faticoso e insoddisfacente. Uno dei problemi principali erano le registrazioni: avevamo buone canzoni e buone idee ma quello che facevamo qua ci demoralizzava. Premesso che abbiamo sempre seguito da vicino la scena legata alla Saddle Creek, abbiamo pensato che fosse importante registrare il disco dai Mogis più per noi che per avere un prodotto di maggiore qualità in sé: volevamo avere una volta tanto qualcosa che davvero ci soddisfacesse. Questa non è una critica agli studi di registrazione o ai tecnici italiani, tutt'altro: ci sono ovunque buoni o cattivi produttori ma il Pagina 9 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 nostro percorso ci ha portato a Omaha, tutto qua. Come sono andate le registrazioni? Quali sono le differenze principali che avete riscontrato tra l'attitudine italiana e quella americana? N.: Le registrazioni sono state grandiose, sia da un punto di vista professionale che umano. Jake Bellows e AJ Mogis hanno subito abbattuto quel muro di soggezione che poteva dividerci e questa atmosfera si riflette sul disco. Ogni giorno si discuteva degli arrangiamenti e dell’orientamento artistico da dare al disco e poi la sera si beveva whisky o si giocava a biliardo. Non ci sono grandi differenze sul piano tecnico tra Italia e USA: forse noi avevamo bisogno di andare verso le radici di quel suono, di muoverci all'interno di un contesto dove la musica folk e il rock sono dati per scontati per concentrarci di più sul resto: in Italia abbiamo quasi sempre incontrato difficoltà a far digerire quel suono ai tecnici che hanno lavorato con noi. Negli ARC Studios tutto è stato naturale, anzi, erano loro a dare un freno alla nostra passione per la musica roots! Paolo: Le differenze che ho notato rispetto all'Italia le ho riscontrate subito all'inizio, nei suoni. Mi spiego meglio: una volta scelta e microfonata la batteria AJ ha subito trovato il suono giusto. Ha trovato il “mio” suono. Questo aspetto, questa facilità nel trovare il "suono" pensate sia dovuto al fatto che, per dirla brutta, giocavano in casa? N.: Beh certamente, intendo proprio questo. Sembra una cosa ovvia, ma il fatto di avere quel background li facilita tantissimo: per loro il folk, il rock'n'roll, il blues sono punti di partenza, per noi punti di arrivo. Come sono arrivati, i Green Like July, a un disco come “Four-Legged Fortune”? La vostra storia è abbastanza particolare. N.: Andrea ed io ci conosciamo da una vita pur non avendo mai suonato insieme prima di Green Like July. Nel 2004 abbiamo deciso di provare a fare qualcosa uniti da una comune passione per la Band e Dylan. Abbiamo però iniziato con un'attitudine molto lo-fi: abbiamo registrato il nostro primo disco e ci siamo subito accorti che quel modo di suonare ci stava molto stretto. Nel frattempo siamo andati a vivere entrambi nel Regno Unito: io a Southampton ed Andrea a Glasgow. Ognuno di noi ha fatto enormi progressi in questo periodo, siamo entrati in contatto con artisti locali dai quali abbiamo appreso molto, Andrea ha frequentato artisti del giro Reindeer Section. Tornati in Italia avevamo le idee sempre più chiare e pezzi di cui eravamo sempre più convinti: siamo stati molto sfortunati a non trovare in breve tempo una line up ottimale per sviluppare tutto questo. Abbiamo suonato con diverse formazioni fino ad incontrare Paolo che ci ha dato equilibrio. Siete passati da una forma di indie un po' calligrafica a un suono più “classico”. Ci sento molti anni Settanta americani. Tipo il Dylan un po' meno “canonico” (e so che uno dei vostri dischi preferiti è “Nashville Skyline”). A.: Il prendere le distanze da certe sonorità indie è stato uno dei primi obbiettivi. Non credo però che la classicità di cui parli sia dovuta al Nebraska. Paradossalmente, i musicisti con cui abbiamo lavorato ci hanno aiutato a dare al disco un suono più moderno. È vero quanto dici riguardo al nostro amore per certi suoni. Trovo che Dylan sia sempre un’enorme fonte di ispirazione, indipendentemente dal periodo o dai singoli dischi. È vero, però: nei giorni in cui Pagina 10 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 abbiamo arrangiato “Four-Legged Fortune” siamo stati molto ispirati da quel periodo lì: tra “Nashville Skyline” e “New Morning”. Nelle canzoni ci sono molti riferimenti all'idea di movimento e di viaggio. Mi sembra che non sia solo un'ispirazione retorica ma proprio una condizione in cui vi sentite un po' divisi. A.: Forse la ragione principale è che questo disco è stato concepito in diversi luoghi: i testi fotografano un periodo della mia vita caratterizzato da grandi spostamenti: le prime cose sono state scritte quando ancora vivevo a Glasgow. È vero, però, che sono stati anni molti travagliati anche da un punto di vista emotivo e sentimentale: non sempre le strade e le distanze di cui parlo hanno un significato prettamente geografico. Però, “Four-Legged Fortune” nasce da una situazione di maggiore serenità e pace con luoghi e città dove sono nato e cresciuto. Davvero ci vedi così tanta irrequietezza? Contatti: www.myspace.com/greenlikejulycandyapple Hamilton Santià Pagina 11 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 La Blanche Alchimie Ci invitano a entrare, gentili e premurosi, nel loro mondo, lontano e fatato, Federico Albanese (polistrumentista, che destreggia pianoforte, basso elettrico, clarinetto e chitarra, e compositore) e Jessica Einaudi (cantante, capace di una notevole ricerca vocale, e autrice dei testi). Giovani sono giovani, rispettivamente classe 1982 e 1983, i due che da Milano stanno camminando in questo di mondo con il loro gruppo, La Blanche Alchimie, con cui, mossi i primi, multilinguistici, passi, con l'album omonimo d'esordio, uscito per Ponderosa Music & Art nel 2009, sono arrivati a toccare in tour, oltre che il resto d'Europa, gli States. Ora riprendono la loro strada con “Galactic Boredom”, interamente in inglese, pronto di nuovo all'attacco, oltre che all'ascolto nazionale, anche ben oltre il confine. Uscito sempre per la Ponderosa Music & Art, con distribuzione Universal, vede alla produzione lo sguardo attento, ma non invasivo, di Ludovico Einaudi, che, a tutti ben noto notevole musicista, è anche padre. Entriamo nel mondo, di dolce e malinconica nostalgia, di La Blanche Alchimie. Prima di tutto, inevitabile: perché La Blanche Alchimie? E perché proprio in francese, per voi che avete fin qui dimostrato di trovarvi a vostro agio, oltre che con l'italiano, appunto col francese e l'inglese? È partito tutto in un bar di Milano una sera nel dicembre 2006. Ci siamo seduti ad un tavolo e abbiamo visto che sopra c’era una cartolina con scritto Santa Alchimia. Dopo un paio di mesi Federico mi ha passato su chiavetta un paio di suoi brani strumentali. Uno di questi si intitolava “Sacred Alchemy”. Ho scritto un testo e ci ho cantato sopra registrandomi con garage band. Il pezzo funzionava e abbiamo provato con un altro brano che abbiamo intitolato “Contaminazione Bianca”, fino ad ora l’unica canzone in italiano che abbiamo scritto. E poi è arrivata “Little island Girl”, un pezzo metà in inglese metà in francese. Dare un nome al progetto a quel punto è stato semplice, è bastato unire i puntini. Dalla vostra biografia "ufficiale" c'è scritto che “fate squadra”dal 2007. Ma cosa c'è prima di quell'anno per Federico Albanese e Jessica Einaudi? Due strade altrove dalla Pagina 12 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 musica, o due percorsi paralleli, nella musica, che non potevano che avere un punto d'incontro? Entrambi avevamo una band che faceva musica completamente diversa. Federico suonava il basso in un gruppo rock stoner, i Veracrash, mentre io cantavo in un gruppo electro dark pop. Credo ci fosse in entrambi un senso di frustrazione e incompletezza, come se fossimo alla ricerca di qualcos’altro che abbiamo trovato iniziando a lavorare insieme. Qual è la vostra formazione musicale? E se ci sono, i vostri punti di riferimento? Qualcuno ha scomodato, parlando di voi, il duo John Parish/PJ Harvey... Una formazione molto varia che spazia dai Velvet Underground ai Portishead passando per i Radiohead, Eric Satie e gli Archive, fra i tanti. Sicuramente poco italiana anche se un po’ ci dispiace...stiamo cercando di rimediare facendoci una cultura su ciò che di interessante ha avuto in passato e oggi da dire in musica il nostro paese. C’è tanto da scoprire. Evocate con le vostre musiche, “pennellate di lieve decadentismo, un intimismo parecchio romantico, lievi tinte teatrali”: vi ritrovate in questi colori, che indicano come contenga il vostro lavoro uno sguardo di profonda umanità poetica? Jessica, tra l'altro, sei in toto autrice dei testi, che sono vere e proprie poesie. Sì... forse... In realtà non riusciamo a riconoscerci in nessuna definizione. Noi scriviamo quello che ci viene naturalmente, non c’è dietro un pensiero premeditato che ci fa dire “facciamo una canzone romantica o poetica”. Sul testo c’è sempre un gran lavoro, non mi piace scrivere parole a caso. A volte è l’ultimo ad arrivare, perché se non ho la giusta ispirazione, non riesco a scrivere niente e un pezzo resta incompleto anche per dei mesi. Dopo il vostro, omonimo, album di debutto, che era attraversato dalla presenza di canzoni cantate in italiano, francese, inglese, è ora uscito “Galactic Boredom”, scritto solo in inglese. Come mai questa scelta “unica”, e cos'è cambiato da “La Blanche Alchimie” al vostro secondo album? Nel primo album eravamo più immaturi musicalmente. Avevamo il profondo desiderio di fare un disco e abbiamo scritto come dei matti in pochi mesi per correre a registrare e fissare quel momento di svolta importante per la nostra vita. “Galactic Boredom” è un disco più omogeneo, più consapevole, e credo anche più ricco. Ci riconosciamo completamente nel sound che siamo riusciti a creare...anche se di strada ne abbiamo ancora parecchia davanti a noi. Il video del primo singolo di lancio di “Galactic Boredom, è “Fireflies”, che vive in un parallelismo tra sogno e realtà, in cui il mondo decide per un attimo di rivolgersi di nuovo alla magia, dopo l'incontro, possibile, tra un uomo e una donna... ma poi ritornerà la realtà... ed è un po' il mood di “Galactic Boredom” (ovvero noia galattica), che già dal titolo sembra nascondere una critica nei confronti del mondo troppo “reale” che ci circonda. Ma è fuga, presa di coscienza, rigetto nei confronti dell'oggi? “Galactic Boredom” può essere tante cose, ci piace che ognuno ci si immerga a suo modo, interpretandolo in base al proprio vissuto. Però, sì, per noi è una fuga dall’oggi che opprime, che schiaccia. Quando ti rendi conto che l’unica strada è il viaggio mentale, parti e si schiudono dei mondi strabilianti. I ricordi, i sogni e la fantasia sono una ricchezza infinita per Pagina 13 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 chi sente il bisogno di esprimersi in ambito artistico, e non solo, forse. Non vorrei però che si vedesse tutto questo come astrazione dalla realtà e rifiuto di vivere nel mondo. Ci teniamo a precisare che il nostro lavoro parte dal reale e dalle sensazioni scaturite dal reale per allontanarsi e cercare altre soluzioni più magiche e ultraterrene. Avete parecchio girato col tour del vostro primo album, arrivando, oltre che l'Europa, a toccare gli States. Immagino che sia un bel riconoscimento che dà valore al proprio lavoro, che già aveva ricevuto ottime critiche, e dona quella scintilla in più per continuare, crederci. E ora siete di nuovo in viaggio col tour del secondo. Com'è l'incontro col vostro pubblico, e cosa avete provato incontrando un'umanità così varia nei viaggi sul globo? Sì, è vero, girare tanto confrontandosi con luoghi e persone diverse dà una carica incredibile. Perché in fondo è un mestiere che richiede contatto umano, noi ne abbiamo bisogno, è un po’ come una droga. E poi dall’altra parte ascoltare un pezzo su myspace non può essere sufficiente per capire un musicista. C’è troppo di tutto e l’unica cosa che resta è l’unicità dell’esperienza umana. Gran parte delle persone che ci seguono sono venute ai concerti e hanno ricevuto e dato qualcosa. A volte è meraviglioso, il pubblico è quello giusto, e noi ci doniamo completamente. Purtroppo, non ci si deve aspettare che sia sempre un'esperienza top, perché altrimenti se ne esce devastati. Stiamo ancora crescendo, e non siamo abbastanza noti da pretendere che ovunque andiamo la gente ci conosca e canti le nostre canzoni. A volte, ci si sente come in film di David Lynch, a suonare in posti surreali per squallide persone ubriache che preferirebbero sentire le cover di Vasco. Non facile, ve lo assicuro. Attualmente è difficile farsi avanti in una realtà musicale, in cui ci si dimentica, e si è dimenticati, facilmente. Ma voi sembrate ben motivati, e convinti della scelta che avete fatto e portate avanti. E con “Galactic Boredom” dimostrate di fare molto bene! Ma com'è per voi, giorno dopo giorno, questa “lotta”, e cosa vedete intorno a voi, venendo da un luogo come Milano, “piazza” molto complessa? La convinzione ormai non ce la porta più via nessuno. Abbiamo fatto tanti incontri negativi che hanno messo alla prova tutta la nostra passione. Ora siamo meno ingenui e ancora più determinati. Sappiamo che è molto difficile emergere, ma forse a lungo andare le persone si accorgono se un progetto è sincero e con una personalità autonoma, e noi ci terremmo a essere premiati per questo. Milano è una città con grandi potenzialità, ma che dovrebbe essere valorizzata di più. Speriamo fortemente in un cambiamento politico radicale che dia più voce a tutti gli artisti che abitano o transitano in questa città, che meriterebbe di essere davvero una capitale culturale. Quanto può essere impegnativa la presenza di un genitore, di altissima qualità artistica, come Ludovico Einaudi, che è produttore dei vostri lavori, e come vi incontrate con lui? Ludovico, oltre che essere genitore, è un artista con il quale c’è un'ottima intesa artistica. Ci si è sempre confrontati sia sul nostro che sul suo lavoro, e quando abbiamo cercato un produttore per questo ultimo disco la scelta è arrivata spontaneamente. Ci siamo chiesti “Perché guardarci tanto in giro se vicino c’è una persona con cui abbiamo una comprensione istintiva così forte?”. Pagina 14 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Detto questo magari questa collaborazione non si ripeterà...non possiamo dirlo. Siamo ancora giovani e abbiamo il desiderio di sperimentare tante collaborazioni con persone diverse. Cosa vedete per il vostro futuro? Per ora concentrati su “Galactic Boredom”, o già stanno vedendo luce nuovi progetti? Il futuro prossimo vede uno spiraglio sul Regno Unito, dove “Galactic Boredom” uscirà in estate e dove saremo impegnati in attività promozionali e live. Quest’estate suoneremo un po' in Italia e fra una pausa e l’altra svilupperemo un po’ di idee su canzoni nuove che ci frullano per la testa. E poi chissà. Non è ancora il tempo per le certezze, di sicuro quello per le sorprese e l’avventura. Contatti: www.myspace.com/blanchealchimie Giacomo d'Alelio Pagina 15 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 OvO Duo caustico e terrificante, gli OvO sono tra i prodotti da esportazione di punta del nostro paese, che con “Cor cordium” segnano un ulteriore passo in avanti, confezionando un disco estremo nell’accezione più pura e stretta del termine. Giù le maschere per scoprire cosa si nasconde dietro questo muro di umor nero ed atmosfere occulte. Partiamo da “Cor cordium”, che a differenza dei vostri dischi precedenti, è impregnato di rimandi letterari molto forti. Com’è ricaduta la scelta sull’eroe romantico Percy Shelley? Bruno Dorella: A dire il vero qualche riferimento letterario c’era anche prima, ma in effetti mai così esplicito. In questo caso a colpirci non è stato tanto il poeta, né la sua biografia e la sua morte in naufragio in acque italiane, ma la scritta sulla sua tomba: “cor cordium”, “cuore dei cuori”. Si dice che il suo cuore sia rimasto intatto dopo la cremazione. Ma, in generale, l’insieme di queste cose ci ha aperto molte porte a livello di immaginario, e abbiamo deciso di farne il perno teorico del disco. Il romanticismo, l’ignoto, i culti pagani, quale legame hanno con le vostre escursioni musicali più estreme? BD: Ne siamo decisamente ed inguaribilmente affascinati. Sappiamo bene che il limite tra un approccio serio a queste cose ed uno puramente estetico e vuoto di significati è piuttosto labile. Questo ad esempio mi sembra vero per molte black metal band. Allo stesso tempo, da metallari quali siamo, cogliamo in maniera positiva anche gli aspetti ironici di questo tipo di estetica. Insomma, siamo in bilico tra il reale interesse esoterico e un approccio un po’ più divertito all’argomento. L’ironia è sempre stata presente negli OvO. La caratteristica principale, e che balza subito all’orecchio, di “Cor cordium” è l’utilizzo delle sovraincisioni, frutto di una maggiore cura e voglia di porre in risalto i particolari e le sfumature del disco. E’ una semplice scelta stilistica o una decisione Pagina 16 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 dettata dal cambio d’etichetta? La Supernatural Cat è famosa per il suo roster doom e le sue produzioni “gonfie” di suoni, se così si possono definire. BD: Le sovraincisioni in realtà non sono molte, ma il particolare è comunque importante perché è la prima volta in assoluto che le utilizziamo. Fa tutto parte di un approccio meno lo-fi alla registrazione. In passato abbiamo considerato i dischi come semplice testimonianza del live, una fotografia dello stato dei nostri pezzi, che nascevano come improvvisazioni e si formavano poco a poco. I nostri limitati mezzi economici poi non ci permettevano di dedicare molto tempo al lavoro in studio di registrazione. Adesso invece diamo un valore al disco in sé, ed anzi ora componiamo i brani in studio, di modo che sia il live a doversi adattare al disco, e non viceversa. Questa trasformazione è iniziata con Crocevia, il nostro ultimo disco su Load, registrato a New York negli studi di Bill Laswell, è continuata con il disco in collaborazione coi Nadja, registrato negli studi degli Einstürzende Neubauten a Berlino, ed ora con Cor Cordium, registrato nella pace di Lari (piccolo paese vicino a Pisa) con la professionalità incredibile di Ivan Rossi. Il passaggio a Supernatural Cat è avvenuto dopo, quando il disco era già registrato, e segna un incontro importante: la nostra musica è diventata più “quadrata” e prodotta, la loro etichetta sta diventando più trasversale. Ci siamo magicamente incontrati a metà strada. La carriera di Bruno è caratterizzata da un eclettismo ed un estro musicale sovrabbondante, che spazia dal cantautorato oscuro alle estremità doom, passando per le suggestioni cinematografiche dei Ronin e il noise dei Wolfango. Da dove fuoriesce tutta questa abbondanza e commistione di stili? BD: Semplicemente ho sempre ascoltato molta musica, e non ho mai pensato che ascoltare o suonare musica volesse dire ascoltare o suonare un solo genere o un solo strumento. Questa domanda mi sorprende sempre, a me sembra del tutto ovvio non fossilizzarsi. Chiederei piuttosto a chi fa una sola cosa per tutta la vita come fa a non annoiarsi. Le esperienze presenti e passate di Bruno avranno sicuramente fornito un ottimo punto di vista sulla scena indipendente italiana, anche tramite la sua etichetta Bar La Muerte, che ha dato spazio a molti artisti validi (Bugo è il primo che salta in mente). Qual è lo stato di salute in cui si trova oggi questa scena? Sembra che, rispetto al passato, sia molto florida di gruppi interessanti ed alcuni validissimi, ma dalla qualità media abbastanza standardizzata. BD: La scena italiana è sempre stata forte, e lo è anche oggi. Paghiamo solo un po’ di nostro provincialismo, e lo scarso appeal che abbiamo all’estero anche a causa del mercato, che privilegia i gruppi anglosassoni. Ma la scena c’è e vanta gruppi veramente speciali, e per fortuna qualcuno, grazie anche alla porta aperta prima da gruppi come Zu e poi da gruppi come gli OvO, riesce ad ottenere rispetto anche all’estero. Questo mi rende sempre orgoglioso. Le vostre maschere hanno un impatto scenico molto forte. In base cosa le scegliete? Stefania Pedretti: La scelta è dettata principalmente dall’estetica e per le nuove maschere ci andava di avvicinarmi ancor più ad un’ estetica horror, lo si coglierà ancor più nel videoclip che abbiamo appena girato e che sta per uscire. Poi anche la casualità detta le scelte, mi spiego: la maschera che indossa Bruno (da luchador) l’abbiamo comprata in Messico durante un tour che abbiamo fatto lì qualche anno fa. La mia attuale, invece, è fatta Pagina 17 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 ad uncinetto, volevo qualcosa di maneggevole e fatto a mano, quindi ho pensato di farla ad uncinetto e la mia ragazza l’ha fatta per me, ma non sapevo come sarebbe venuta, è stata una sorpresa. Ho comprato il vestito da delle bambine al mercatino di Berlino e poi l’ho riadattato a mio piacimento. Il risultato è che da pochi elementi abbiamo creato dei costumi che ci rendono e ricordano 2 angeli della morte, Boia Bruno e Morte io...ma sempre con l’ironia Ovo. Stefania Pedretti è l’anima più tormentata dei due, nonché autrice dei testi e delle nenie oscure, rivestendo al tempo stesso il ruolo di icona femminile come custode di verità ancestrali e dalle movenze sensuali e isteriche allo stesso tempo. Cosa c’è dietro la maschera che indossa? SP: Sono una persona che si mette in gioco e metto nella musica e nei miei concerti tutta me stessa, anima e corpo. Sul palco, calzando una maschera, divento altro, ma allo stesso tempo racconto la mia vita e condivido le mie ideologie, il tutto non passando dalla mente, non usando il linguaggio consono, ma altro; da cuore a cuore, per chi sa recepire questo... Contatti: ovolive.blogspot.com Luca Minutolo Pagina 18 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Sbizza e la Microrchestra Sbizza è Massimiliano Bevilacqua, già cantante dei Milaus e qui con “Tinamo” è alle prese con la sua nuova band, la Microrchestra nella quale approdare per discernere le emozioni che gli dà il quotidiano e che con la sua sensibilità poetica rende musica. Specchiarsi nelle sue immagini poetiche porta a una fisarmonica emotiva che si spinge all’estremo dell’estetica della parola che racconta storie palpabili e anche no e per questo in entrambi i sensi storie strabilianti. Sbizza e la Microrchestra, nasce dalle ceneri dei Milaus che ascoltando il disco ho percepito lievemente in “Adda” o “Osteoporosi”. Tu adesso ti senti lontano da loro o forse in queste canzoni, appena nominate, tendevi l’orecchio? A dire il vero il disco è nato da un lavoro molto intenso e profondo in cui la mia anima poetica e di scrittore ha incontrato quella di musicista e cantante. E questo è successo nel momento in cui ho iniziato a fare dei reading di poesia cantando anche queste poesie, utilizzando l’italiano - perché con i Milaus si cantava in inglese - e quindi provando a fare anche questo sforzo di dare peso e valore al cantato in italiano è uscita questa esperienza. In questo CD però c’è sicuramente un tocco di Milaus e mi fa piacere che tu me lo faccia notare. Uscire dal tuo ruolo di cantante è sempre facile? Perché io non riesco ad ascoltarti senza immaginarti il protagonista delle tue canzoni? Perché è così. Queste canzoni sono il punto in cui nella mia vita sono arrivato a rielaborare fortemente la mia esperienza autobiografica. Non per niente in questo CD parlo di sordità avendo avuto entrambi i genitori sordomuti. “Tinamo farfalla” o “Adda” sono narrazioni, racconti in chiave poetica di situazioni personaggi ambienti e sensazioni, immagini, proprio dei luoghi che mi sono fortemente vicini quindi veramente c’è un contatto fortissimo tra il lavoro artistico e la mia persona. E forse è anche a tratti troppo coinvolgente. Quindi, per me, lo scopo è di trovare una sorta di equilibrio. Pagina 19 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Come hai dato a “Tinamo frafalla” l’idea del volo e del librarsi senza pronunciare nel testo la parola volare? Credo sia tutta la struttura della canzone e il fatto che sia un ritmo particolare che è in tre quarti, questa parte di fiati che poi stacca e alterna credo dia proprio questa sensazione di volo e di leggerezza. Almeno questo era il mio intento. C’è il desiderio che l’invisibile sbaragli in quella sensazione di freddo, di monotonia, di bianco e nero che l’inverno porta con sé che è bellissima e avvolgente e dall’altra parte però a volte può essere anche pesante, opprimente. Quindi è un tentativo di dare leggerezza a quest’immagine. Anche il tuo nome s’ispira all’inverno. “Sbizza” in un degli infiniti dialetti dei paesini delle nostre parti significa brezza invernale. Quella brezza fastidiosa tagliente. Dietro questa parola metaforicamente c’è il legame col dialetto col nostro territorio, ma anche l’idea che la sbizza serva spesso a risvegliarmi, a tenermi attento, a lasciarmi chiamare e intrappolare; e desiderare dalle cose che mi stanno intorno. Con “Sordiografie” racconti i tuoi genitori. Come hai trovato la chiave giusta? Mi si è accesa la lampadina quando hanno pubblicato un libro che raccoglieva le foto e la storia della Pro Mutis di Sondrio che è un istituto dove i miei genitori hanno vissuto da quando avevano cinque anni e mia madre è stata lì fino ai ventuno anni. Ho rivisto le foto dei miei genitori da quando avevano cinque anni a quando ne avevano venti e li ho visti scorrere negli anni. Li ho visti vicini. In un certo senso mi ha affascinato il fatto che loro si conoscessero da tanto tempo e che poi avessero deciso di sposarsi e allora ho provato a scrivere delle didascalie poetiche che facessero parlare quelle foto e da lì poi una di queste è diventata una canzone. Tu hai una voce fresca e gioviale e sentirti cantare così come fai in un duetto con Roberta Visioli porta ad aumentare le sfumature. Come nasce questa collaborazione e come avete vissuto quest’incontro di voci? È un incontro che è nato gradualmente invitando lei a dei concerti perché tante canzoni avevano una forte componente femminile e quindi conoscendo la bellezza della voce di Roberta, cantante dei Fuseaux, l’ho chiamata. Tra l’altro ha una voce sotto certi aspetti più maschile e quindi è un incontro al contrario perché io ho invece una voce molto flebile con delle tonalità medio alte e anche molto leggere ed è fantastico perché è proprio un contrario. “Catapulte di colore” è impreziosita da degli ospiti speciali. Com’è nata quest’esigenza della canzone? È nata dall’energia che emana. L’immagine è quella del cielo che si costruisce con delle catapulte di colore ed è stata ispirata da una domanda di mio figlio che mi ha fatto qualche anno fa, il quale mi chiedeva: “papà, come si costruiva il cielo tanti anni fa?”. Di fronte a questa domanda mi sono trovato completamente spiazzato e ho provato a rispondere con quest’idea. Era d’obbligo provare a coinvolgere un coro di bambini che poi in alcuni concerti ci segue e tutti con una farfalla sul petto ed è veramente magico avere dei bambini che cantano con te. Pagina 20 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 “Osteoporosi” riporta nella tua vita musicale Fabio Bonelli, oggi Musica da Cucina e membro come te dei Milaus. Com’è stato riaverlo con te? È stato bellissimo e importantissimo. Lui è un personaggio. Siamo amici dal ’92 e abbiamo suonato in vari gruppi oltre ai Milaus e siamo sempre molto uniti. E lui è un vulcano. Ha mille progetti e idee, ma la cosa che mi fa sentire molto legato a lui è che proveniamo dallo stesso luogo e spesso i nostri prodotti artistici sono contaminati dai paesaggi. Averlo avuto nel cd è stato un onore e poi ci tenevo io e ci teneva lui. Anche nei concerti capita a volte che si suoni assieme e che lui apra a noi o viceversa. Fabio è una presenza costante. Pensi con questo progetto d’aver trovato il tuo nuovo gruppo? Penso di sì. Non so come si evolverà in termini musicali ma sicuramente convivo meglio con la mia componente artistica. Le illustrazioni mi sono piaciute molto e soprattutto l’albero rotondo che sembra un abbraccio, ci vuoi raccontare chi le ha fatte? Le ha fatte Lisa Ronconi. Abbiamo coinvolto lei come illustratrice e un grafico. Lei ha sentito le canzoni e ha creato questa farfalla che è a metà tra una farfalla e una foglia e poi Ricki Stefanelli ha preso le illustrazioni e ha applicato l’arte grafica con l’azzurro quasi fosforescente e il marrone terra che appunto sono due colori che apparentemente cozzano tra di loro, ma in realtà caratterizzano molto il lavoro; per la terra perché alcune canzoni scendono anche in profondità, mentre altre come ad esempio “Tinamo farfalla” tentano di librarsi e di andare verso l’azzurro. Contatti: www.myspace.com/sbizza Francesca Ognibene Pagina 21 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 The Death Of Anna Karina I Death Of Anna Karina, con “Lacrima/Pantera” (Unhip), abbracciano definitivamente la lingua italiana mantenendo il proprio peculiare sguardo sul mondo: le chitarre sono sempre affilate, la voglia di leggere la realtà e seminare dubbi acuita dai testi nella nostra lingua. Ecco le loro risposte ai nostri quesiti. Cinque anni di silenzio, seguiti da un ritorno totalmente cantato in lingua italiana. Una frequentazione occasionale in passato, quella con la nostra lingua, per quale motivo vi siete decisi a portare a compimento la svolta con questo lavoro? Il ritorno all’italiano è stata la conseguenza - direi quasi la pulsione ineludibile - dettata dall’insorgenza di una direzione musicale intrapresa attraverso una ricerca lunga e quasi estenuante, che si è andata compiendo con un paziente montaggio di soluzioni operato in sala prove. 
Nel frattempo, in corso di opera, Giulio Bursi ha portato avanti il suo lavoro di elaborazione dei testi e delle metriche lavorando in absentia fino al momento conclusivo della registrazione. Da qualche tempo un certo tipo di approccio (un certo approccio al canto, una solida base rock-noise-hc, in ogni caso robusta e "pesante") ottiene inaspettati consensi di pubblico, si veda il Teatro degli Orrori. Credo mi possiate dire che questo approccio non è una novità, che in area hardcore è la norma o quasi, e che tutto sommato non siete accostabili al Teatro degli Orrori (forse c'è comunità di intenti nel perseguire l'efficacia espressiva), ma mi pare di percepire una sorta di discontinuità positiva nell'accoglienza da parte del pubblico, di rinnovato interesse per un certo modo di porsi, siete d'accordo? Il vostro nuovo disco partecipa di questo slancio, di questa voglia di comunicare ad ampio raggio, non credete? Da quando il disco è stato pubblicato diverse riviste hanno ricorso al paragone, a nostro avviso improprio (come tu stesso noti), con il Teatro degli Orrori. Vorrei rendere noto, soprattutto a quei recensori che avrebbero il compito professionale di informarsi, nel Pagina 22 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 momento in cui commentano un disco, che i pezzi di “Lacrima/Pantera” sono stati concepiti durante un arco di tempo che porta dal 2006 al 2009. La sessione di registrazione ha avuto luogo nell’inverno del 2009. Da quel momento il disco è rimasto in standby per più di un anno, prima di poter raggiungere il pubblico. In altre parole, nel momento in cui stavamo incidendo “Lacrima/Pantera”, “A sangue freddo” del Teatro degli Orrori era ben lungi da uscire. Non vi sono state in nessun modo delle influenze dirette. Al limite, potremmo forse parlare di una certa affinità di sensibilità e gusto musicale, ma solo in termini di comunanza di ascolti, tra alcuni membri dei due gruppi. Se “Lacrima/Pantera” fosse uscito durante la metà del 2010 chissà... forse saremmo stati salutati come vedette o “anticipatori” di questa ondata noise-rock (che, come lo stesso “Mucchio” ha avuto modo di osservare, importa in Italia cose che in altre culture musicali appaiono persino sorpassate). Ora, per un mera occorrenza della “timetable”, veniamo liquidati frettolosamente come epigoni o meri prosecutori. Tutto questo mi sembra sufficiente, ancora una volta, per denudare la stupidità di certe etichette disinformative che discendono da un pensiero frettolosamente merceologico, votato ad incasellare la musica in una parvenza di tassonomia più funzionale ai consigli per gli acquisti che all’esercizio di un magistero critico atto ad indirizzare i gusti del pubblico. Quanto sono ancora importanti le radici per voi? Siete stati e continuate ad essere identificati con il termine screamo, ma mi pare - impressione suffragata dall'ascolto di “Lacrima/Pantera” - che non vi sentiate particolarmente vincolati ad un genere, ad una comunità, pur continuando a rivendicare l'appartenenza alla scena hardcore (con tutte le sue ramificazioni, evoluzioni e contaminazioni), che è il luogo da cui provenite. Le radici sono sempre molto importanti. Suoniamo più volentieri in un festival che supporta una causa, oppure in appoggio ad un movimento di opinione preposto ad evitare lo sgombero di uno spazio occupato, che in quelle situazioni dove il “prestatore d’opera” è tenuto ad eseguire regolarmente il suo compito senza poter aggiungere o togliere niente a quanto è stato prestabilito da un accordo commerciale. I testi non hanno perso l'impronta letterario/filosofico/esistenziale ma soprattutto politica (nel senso più nobile e civico del termine) dei lavori precedenti. Pensate che con l'italiano certe idee possano fare un percorso più lungo? Più in generale, che ne pensate dell'attuale stato di salute della coscienza (in senso ampio anche qui) in Italia? Nell’attuale congiuntura politica e sociale riteniamo sia cruciale spendersi con forza per forzare un’uscita da questa condizione generalizzata di passività, prostrazione, malgoverno, superficialità, violenza latente che stiamo subendo come un incubo ben riuscito, ormai da anni. Per risponderti mi concedo alcuni stralci tolti dagli “Scritti giovanili” di Gramsci. Questo testo, dal titolo “Il diavolo ed il negromante” è stato scritto nel 1918, ma suona così drammaticamente attuale che vengono i brividi): “Esistevano pochi gruppi attivi della classe dirigente, sorti e rafforzatisi [...] attraverso l’intrigo [...] per la creazione di privilegi individuali o di ristrette categorie. [...]. Ed esisteva finalmente il popolo, il paese, una massa enorme di individui disorganizzati in ogni senso [...] indifferenti ad ogni idealità, estranei ad ogni attività collettiva”. Contatti: www.thedeathofannakarina.com Pagina 23 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Alessandro Besselva Averame Pagina 24 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Thee S.T.P. Potremmo stare ore a disquisire, leggesi “perdere tempo”, sulla necessità o meno del rock’n roll nel 2011, io sono convinto che di un gruppo come gli S.T.P. ci sia ancora bisogno, oggi forse più che ieri. Fortunatamente il loro letargo sonoro è finito e ci hanno consegnato “Success Through Propaganda”, un disco solido che ha segnato qualche aggiustamento di rotta senza stravolgere un sound ormai consolidato, ed è un piacere al solito parlarne con Il Metius, un personaggio che potremmo definire un’ “icona”, se solo il termine non lo infastidisse. Un'assenza discografica così lunga ci aveva fatto temere il peggio: come mai questa pausa? Forse era necessario ricaricare le pile per uscire con un disco come "Success Through Propaganda"? Terminato il tour promozionale di "Paradise & Saints", Stiv, chitarrista e membro fondatore degli S.T.P., lasciò la band. Fu un colpo durissimo, ma decidemmo comunque di andare avanti. Riprendemmo a suonare e scrivere con la formazione a quattro, con la quale registrammo tre brani nuovissimi, i primi scritti senza Stiv, e una cover degli Hanoi Rocks. Di quella session ha visto la luce solo "Annie", che è presente nella compilazione "Sounds Of The Underground". Poco più tardi, si unì a noi Dario - già con Retarded e Radio Days - e cominciammo a scrivere altri pezzi. Purtroppo per noi - e fortunatamente per lui - i Radio Days cominciavano ad andare veramente forte: decise così di lasciare gli S.T.P. per concentrarsi sul suo personale progetto power pop. E finalmente negli S.T.P. entrò Bylli, un elemento che ha immediatamente portato nuova energia e idee brillanti nella band. Come puoi capire, il fatto che tra "Paradise & Saints" e "Success Through Propaganda" siano passati cinque anni è dovuto a degli assestamenti interni alla band. E naturalmente al fatto che non avremmo mai inciso un nuovo album senza avere abbastanza belle canzoni! Trovo che l'album nuovo smorzi un po' il rock'n'roll furioso in cambio di maggiore varietà musicale e melodica: concordi? Sono i vostri gusti che cambiano o è la voglia di non ripetersi? Pagina 25 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Diciamo che l'energia si è concentrata più sul suono e sulle atmosfere piuttosto che sulla velocità pura. Un discorso che avevamo già iniziato con "Paradise & Saints". Oramai le nostre porte musicali - quelle sul davanti, ma anche quelle di servizio - sono sempre spalancate: ci piace il rock and roll, tutto il rock and roll! Mi sembra che i brani siano un grosso lavoro di "gruppo" più che un lavoro che parte da una sola testa... Ho preso un abbaglio? Fino a "Paradise & Saints", i pezzi erano principalmente scritti da Stiv e me, con questo album siamo stati costretti a rivedere tutto ed è stato necessario coinvolgere tutta la band per costruire i nuovi pezzi. Com'è stato lavorare con Olly al disco? Il suo è stato, secondo te, un contributo "attivo" alla stesura del disco o si è limitato a dire la sua in sede di registrazione? Olly è stato meraviglioso: ha lavorato con noi già in fase di pre-produzione, dandoci preziosi consigli sulla costruzione delle canzoni e sugli arrangiamenti. Durante le registrazioni, soprattutto quelle delle voci, è stato un produttore perfetto, generoso di buoni consigli, ma sempre attento a non stravolgere il sound degli STP. Ha fatto un lavoro straordinario e il successo che sta avendo come produttore, oltre che come musicista coi The Fire, è meritato al 100 percento! C'è stato un momento, agli inizi del millennio, che il vostro genere ha avuto un'improvvisa popolarità che ora sembra sia passata... c'è qualcosa di nuovo ed eccitante per voi la fuori? Hai qualche nome da farci? C'è sempre qualcosa di buono, la fuori; chiaramente, non bisogna limitarci alle copertine delle riviste inglesi o alle pagine web più visitate. Il rock and roll suonato come piace a noi è vivo e super-pimpante e il pubblico continua ad amarlo alla stragrande. Anche in Italia! Dagli inglesi Jim Jones Revue agli scandinavi Bloodlights, passando per i torinesi Hollywood Killerz e i romagnoli Small Jackets, l'elenco delle band rock and roll che spanna culi è lunghissimo! E il fatto che ai nostri concerti, durante tutto il tour promozionale di "Success" abbiamo radunato così tante ragazze e ragazzi di ogni età, dimostra il fatto che le mode vanno giusto bene per gli sfigati di città, quelli coi jeans troppo stretti e il cervello di plastica: la fuori c'è ancora una gran voglia di vero rock and roll! Cos'è che ti piace di più dell'avere un gruppo? Suonare? La registrazione? E c'è qualche aspetto che proprio non digerisci di questa "passione"? Tiro ad indovinare: le interviste? Suonare in una rock'n'roll band è come essere sposati con quattro brutti uomini. Te li ritrovi al tuo fianco sul palco sudati ed eccitati, ubriachi di brutto un paio d'ore dopo, impegnati a dare la caccia a tutte le donne ancora presenti in sala dopo lo show. E te li ritrovi distrutti la mattina dopo a colazione... Credimi, ti deve proprio piacere tanto 'sta cosa per durare per più di qualche anno! Noi lo facciamo da quindici anni e non abbiamo ancora trovato un motivo valido per smettere. Ci piace tutto il pacchetto, a parte giusto il sound check e lo smontaggio del palco alle quattro di mattina, quando fai fatica a stare in piedi e a pronunciare correttamente la maggior parte delle parole del vocabolario. Il ricordo più bello di un concerto degli S.T.P.? Avrei un aneddoto da tirar fuori Pagina 26 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 quando qualcuno ti fa queste domande banali, no? Dopo quindici anni sulla strada, ce ne sarebbe da scrivere dei libri, quando suoni praticamente ogni weekend, di aneddoti - riferibili e non - te ne succedono praticamente ogni quarto d'ora. Cose bellissime, come dividere il camerino con Slash, a cose meno divertenti, come la distruzione del van prima di imbarcarci per la Sardegna. Spedimmo il furgone a casa con il carro-attrezzi e proseguimmo il tour affittando un camper al volo. A questo punto, potrei tirarti fuori la mia citazione preferita, una frase di Lux Interior, il compianto cantante dei Cramps; lui diceva che nel rock and roll, la musica è solo il 5 percento, ma il restante 95 percento a essere davvero importante. Forse è per questo che siamo ancora tutti qui a eccitarci con i soliti quattro accordi. Contatti: www.theestp.net Giorgio Sala Pagina 27 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Tronco Il loro esordio “Primo annuale e mezzo resoconto” è un vero e proprio compendio in chiave garage punk di vissuti, flussi di coscienza ed ossessioni. Abbiamo parlato di resoconti, della Sincope Records e di feticismo verso il prodotto musicale con Massimo Onza (aka Truculentboy), metà Tronco e gestore dell’etichetta stessa. Ancor prima d'inserire il disco nel lettore, balza subito all'occhio la cura nell'estetica e nel packaging del disco. Da chi è stata disegnata, pensata e a cosa s'ispira?
 Il disegno in copertina è tratto da "Abstraction" di Shintaro Kago, abbiamo fatto un "art traking" (ricalco/plagio) cambiando colore con photo shop. Estetica e packaging sono opera nostra. Ci piaceva molto l’idea di questo viso dolce dai lineamenti “manga” con tubi di natura incerta che gli escono dalla bocca. Lo trovo un buon accostamento: un bel viso candido e qualcosa che non promette nulla di buono, e il tutto espresso con un certo candore. Poi ho una sana passione per gli impaccehtamenti dei dischi. Non credo sia solo feticismo ma anche un certo rapporto affettivo verso forme e sensazioni tattili e visive che un oggetto del genere porta con se. Per la maggior parte mi fa molto piacere che le confezioni siano scelte con cura e siano parte integrante dell’espressione di quello che poi si andrà a sentire.

 Veniamo ora al disco. "Primo annuale e mezzo resoconto" è prima di tutto un flusso di coscienza, vissuto e sensazioni che si accartocciano su se stesse. Come si è svolta la scrittura del disco? Di cosa fate "resoconto"?
 Sono molto d’accordo con quest’affermazione. “Primo annuale e mezzo resoconto” fotografa il nostro primo anno e mezzo circa di attività. Raccoglie parte dei pezzi che abbiamo fatto in questo largo lasso di tempo prova dopo prova, partendo da improvvisazioni e affinando via via il tutto fino ad ottenere una forma sia musicale che testuale che ci convincesse. Poi tra le tante alcune sono state scelte in base al loro valore affettivo personale e in modo che esprimessero bene quello che siamo e ciò che volevamo dire. Col senno di poi posso dirti che è stato un periodo lungo e complesso, emotivamente molto Pagina 28 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 intenso, fatto di accordi ma anche di contrasti accesi, di cose belle e brutte come succede in tutti gruppi e come succede in generale nella vita. Molto del vissuto del gruppo e sia molto del vissuto personale nel bene o nel male è confluito in questi pezzi. Posso dirti che secondo me questo disco ci riguarda più di quanto si possa pensare.

 La vostra miscela garage punk prende le radici da una certa attitudine DIY tipica della scena indipendente americana anni 80, ma si ramifica anche verso diramazioni blues e noise fino a lambire i confini dei CCCP, di cui avete ripreso "Noia". Quali sono le vostre influenze?
 Il DIY americano degli anni ’80 ci ha influenzato molto. Ascoltare gruppi come Minutemen, Hüsker Dü, Wire, Sebadoh, Sonic Youth, ma te ne potrei citare tantissimi, e il seguire etichette storiche come Dischord, SST, Touch and Go, Ebullition, Gravity e tantissime altre per me è stata una cosa importante. Sono alcune delle cose con cui sono cresciuto e alle quali mi sento molto legato sia musicalmente e anche soprattutto dl punto di vista dell'approccio. Quindi rientrano a pieno titolo nelle nostre influenze. Poi certo che suoni del versante blues punk sono sicuramente tra i nostri ascolti, tipo gli Oblivians. Personalmente poi sono molto legato anche alla scena nostrana DIY punk, hardcore e post-punk degli anni 80 e 90. Credo che il nostro paese sia stato popolato da una delle più creative scene indipendenti del pianeta. Solo per farti qualche nome, tra migliaia forse, sicuramente il mio cuore batte per Kina, Wretched, Peggio Punx, Indigesti, Altro, Nuovla Blu, Tempo Zero e come si può vedere anche dalla cover per i CCCP. Tutti gruppi che avevano una personalità molto forte e tante cose da dire. Le parole “do it yourself” per noi hanno una valenza particolare e un’accezione politica di scelta e non di semplice necessità. La Sincope Records è una piccola etichetta gestita da Massimo, che spazia fra stili e generi senza un comune denominatore preciso fra i vari gruppi che hai prodotto. Come ricade la scelta delle tue produzioni?
 Sincope nasce da un lungo percorso cominciato col fare fanzine (Empty 'zine e Mammamiaquantosangue) sul finire dei '90 e gli inizi dell’enigmatico nuovo millennio, e di lì a poco col cominciare a coprodurre dischi punk hard core e dopo noise, harsh, drone e sperimentali con Mastro Titta Produzioni. Ora sincope rispecchia quello che sono adesso e unisce due delle mie grandi passioni ovvero la sperimentazione (noise, drone, ecc. ) e il punk in senso lato in maniera più cosciente. Del resto questi sono i generi in cui sono più coinvolto personalmente militando nei Tronco e nel duo noise-drone Compoundead. Sicuramente i gruppi sono scelti con molta attenzione, rifletto molto su ogni singola uscita e cerco di capire quello che significa per me in prima persona. Ogni singola uscita di sincope deve piacermi molto e deve dirmi qualcosa. Sicuramente cerco musica e suoni di un certo tipo, spesso meno convenzionali del solito, e che abbiano anche una certa attitudine e un certo impegno nell’espressione di se stessi.

 Credi che produrre oggetti in pochissime copie e confezionate con il gusto di qualcosa di raro ed irripetibile sia la giusta via di fuga da questo piattume discografico indipendente? Credo nell’ascoltatore attivo. Una persona realmente interessata a prendersi la briga di ascoltare con attenzione. Come si faceva una volta quando si passavano ore in negozi di dischi oppure a sfogliare cataloghi di mailorder indipendenti per scegliere e trovare proprio il Pagina 29 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 disco che volevi sentire in quel determinato momento, per poi averlo nella propria collezione. Mi piace che il rapporto tra chi produce e chi ascolta sia il più partecipativo possibile. Logicamente questo implica un rapporto diverso che fa slittare la figura del consumatore verso quella di chi partecipa alla “questione”. La cura e l’oggetto, in qualche modo unico, credo accentui questa possibilità. Mi piace molto che ogni uscita sia in qualche modo irripetibile e rara, qualcosa che devi avere, che non può pioverti addosso dal nulla, e che un po’ devi cercare. Contatti: www.myspace.com/titronco Luca Minutolo Pagina 30 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 About Wayne Rushism Nerdsound Incubus, qualcosa dei Queens Of The Stone Age (“Bugs”) ma soprattutto post-grunge e nu-metal anni Novanta. I romani About Wayne masticano wave (“V”) e muri di chitarre elettriche, per dar vita a una musica rumorosa e a suo modo retro'. Materiale che in tempi di revival totale come sono quelli in cui viviamo è destinata a crearsi il suo bacino di utenza ma al tempo stesso, lo ammettiamo, non è proprio con la nostra “cup of tea”. Ce ne facciamo una ragione, scoprendo che il lavoro alla base di questo “Rushism” è un onesto artigianato nemmeno troppo squalificato, messo assieme con un occhio al potenziale pubblico (gli over trenta che ancora ascoltano Deftones, Korn o se va male Nickelback, ma anche i cosiddetti “emo”) e uno alla dignità del prodotto. Quest'ultima nobilitata da una scrittura consapevole, innegabili doti tecniche e qualche colpo di coda, come dimostra una cover della “Eleanor Rigby” dei Beatles meno prevedibile di quanto ci si sarebbe potuti aspettare.
Il resto è un dispiegarsi lineare di ballad acustiche un po' piacione (“Glance Of The Others”), cavalcate epiche di overdrives(“Caries”) e stop & go fulminanti (“Maniac Of The Seventh Floor”), tutto fin troppo in linea con l'immaginario di riferimento. Contatti: www.myspace.com/aboutwayne Fabrizio Zampighi Pagina 31 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 AIM We Are Sailing Via Audio/Venus Tre è un numero magico. Lo dicevano i De La Soul, i Blind Melon e pure Jeff Buckley, pace all’anima sua e a quella di Shannon Hoon. Con le dovute proporzioni, il terzo album degli AIM (un trio, çè un lavoro ben prodotto, ben suonato e soprattutto, ottimamente scritto. A Marco Fiorello (voce e chitarra) e ai fratelli Marco e Matteo Camisasca (rispettivamente basso e batteria) il grande merito di aver composto e riunito 11 brani indie rock in cui gli ascolti di riferimento (nessuna celebrità locale, a quanto pare) si colgono senza tuttavia farsi afferrare, creando a tutti gli effetti un sound magari non nuovo ma sicuramente personale. Nei quaranta e più minuti di ascolto, la chitarra attira spesso i riflettori su di sé, nei momenti concitati come in quelli più ariosi, tanto da mettere in secondo piano il canto. Particolare non da poco. Fiorello, rapito dalle sei corde, sceglie (consapevolmente?) di utilizzare la voce come uno strumento, piegata alla melodia e non portatrice di rime, poesie e dettami tra i piùèò dire ben vinta. Parere nostro? Non solo, a giudicare dalla numerosità di concerti oltre frontiera con cui sono infarciti i loro tour. Dicono che dal vivo sono un portento. Anche su disco non scherzano. Contatti: www.myspace.com/aimitaly Giovanni Linke Pagina 32 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Airportman Nino e l'Inferno Lizard/BTF Ogni anno un dispaccio proveniente dagli Airportman si materializza sul nostro stereo, e ogni volta rimaniamo colpiti dalla limpidezza espressiva del gruppo cuneese. Dopo le ultime divagazioni (il bellissimo disco con Tommaso Cerasuolo dei Perturbazione alla voce, “Weeds”, dedicato a una rilettura del pop anni Ottanta più o meno sotterraneo, la messa in musica di “The Road” di Cormac McCarthy, con la collaborazione di Stefano Giaccone) l'ensemble ritorna ad una dimensione più raccolta. Fino ad un certo punto però. Oltre al consueto trio (Giovanni Risso, Marco Lamberti e Paolo Bergese) entra in gioco per l'occasione il batterista Francesco Alloa, perfettamente integrato nella musica strumentale del gruppo. La cartella stampa tira in ballo, a proposito del nuovo arrivo, gli ultimi Talk Talk e i progetti originatisi dall'evoluzione finale della band britannica (O'Rang, Rustin' Man), e non possiamo che essere d'accordo mentre ascoltiamo il folk atmosferico, dilatato ed etereo ma allo stesso tempo tangibile di questi brevi quadretti strumentali, sottolineati da ritmi ovattatati, chitarre acustiche ed elettriche, pianoforti, tastiere e riverberi atmosferici. La componente musicale è integrata come in passato da quella narrativa: i brani sono la rappresentazione musicale ed emotiva del racconto di Giovanni Risso che dà il titolo al disco, allegato nel booklet e presente anche in forma di videoreading (con le voci di Stefano Giaccone e Peter Brett) nel cd, una toccante storia di vita ai margini orgogliosa e tenace. Difficile trovare un senso più nobile al termine post rock, inteso come attitudine che esiste al di là di forme e stilemi, di quello che viene naturale attribuire a questo progetto. Contatti: www.airportman.com Alessandro Besselva Averame Pagina 33 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Andrea Gianessi La via della seta Reincanto “L'Italia brucia di incenso e solitudine, di lunghe lotte e d'idiozie, e si aspetta l'odore della pioggia, che sale, dalla terra, antico, nel vento”. Sono versi del genere che passo dopo passo listellano la strada che ha tramato Andrea Gianessi per costruire “La via della seta” (uscito nel mese di aprile per la Reincanto Dischi), 45 minuti di mistica sospensione tra sogno e realtà, il sogno evocato dai colori e sonorità (medio)orientaleggianti, partendo da quelli del nostro mediterraneo, con strumenti esotici e freschi di magia d'altrove, su quella via della seta ideale che collega Cina ed Europa; la realtà invece invocata dai testi che vanno accusatori e rivelatori di una condizione attuale, “nell'attesa del crepuscolo di questa nuova era che dispera e spara sui precari a primavera”, come recita la canzone, appunto, “Precari a primavera” Come del resto già faceva il pezzo di apertura disco, citato in precedenza, “Prima delle sabbie”. Testi che vanno ben concreti verso quest'oggi, dimostrando di non voler fuggirlo ma anzi, carichi delle energie e delle speranze che un'altra realtà potrebbe far arrivare, guardare lucidi verso a questa di realtà, per denunciarne la mancanza di promesse mantenute, ma altresì da reclamare, com'è capace di fare, con forza e decisione, l'incedere dei tamburi e delle percussioni, che vanno a unirsi alla varietà timbrica che rende arcobaleno l'album, avendo dalla sua strumenti di tradizioni diverse quali bouzouki, tabla, violino, oltre a chitarra, cajon, riqq, darbouka, flauto traverso, violoncello, fisarmonica, e altri ancora. Ma Andrea Gianessi sa dove ben mettere le mani quando si parla di ricerca, sperimentazione, musica. Ormai attivo da anni nel panorama indipendente italiano, come annuncia la sua biografia è “co-fondatore del collettivo neo-psichedelico Nihil Project, con all'attivo quattro album di cui due per la storica etichetta Materiali Sonori e uno pubblicato esclusivamente in UK, membro della live soundtrack band bolognese Ri-ki Sun Orchestrà, del gruppo neo-folk PsychOut Department, Andrea opera inoltre come compositore e sound designer in progetti di teatro sperimentale e nell'ambito del video e della multimedialità”. Con un panorama esperienziale del genere non poteva che decidere, e l'ha fatto a partire del 2008, di dedicarsi al suo progetto, per togliersi quei piaceri creativi e di libertà completa che forse sentiva ancora da compiersi, o da trattare fino in fondo. Di sicuro l'urgenza c'è, e tutta, in tagli da scalpellate nette, anche se apparentemente morbide grazie alle sonorità cavalcate, essendo invece, decise e incisive, le parole che vanno come il vento sulla via che intraprende nell'album Gianessi. Che non si evita neppure di ricordare il G8 di Genova, e di quei disgraziati giorni nel 2001 in “Atlantide”; e il nucleare, tema di attualità disarmante in queste desolate settimane, in “Effetti collaterali”, la voce di George W. Bush, che a tratti prende banco, e non poteva che esserci lui come esperto di Collateral Damage. E come dimenticare le parole di “Profeti stanchi”, in accusa vibrante di tutti coloro che si ergono come portatori di verità, ma che si basano solo su eccessi di egotismo narcisistico, e su basi di cartapesta? Ma basterebbe solo l'ascolto di “La luna e la candela”, e dell'acuto umano che la innalza, con melodie da menestrello, che ricordano un altrove anche temporale, facendo però guardare, con una luce diversa nello sguardo, il presente che circonda, per convincere a darsi a un attento e assorto ascolto di “La via della seta”. Seguendo lo scorrere di quel “The River”, che conclude anche come brano il viaggio che Andrea Gianessi percorre ispirato, con compagni di viaggio eccellenti musicisti quali Francesco Giorgi, 
Antonello Bitella, Francesco Pagina 34 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Gherardi,
Domenico Candellori, Maria Paola Balducci, Alessandro Zacheo, utilizzando l'italiano per lo più, ma lanciandosi anche in esecuzioni in inglese. Non rimane che mettersi in viaggio su “La via della seta”. Contatti: www.andreagianessi.it Giacomo d'Alelio Pagina 35 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Atome Primitif Three Years, Three Days Urban49/Halidon Il nome è francese, loro sono romani, cantano in inglese. Confusi? Meglio. Non esiste stato d’animo migliore per assaporare la musica degli Atome Primitif. Il loro album d’esordio si chiama “Three Years, Three Days” perché tre sono le candeline sulla loro torta di compleanno e tre sono i giorni in cui hanno inciso queste undici tracce. Nota: a giudicare dalla cura profusa nei suoni, o mentono sul tempo impiegato in studio o abbiamo a che fare con dei geni - o entrambe le cose, ché non c’è niente di male a rendere più esotica una release sheet. Azzurra Giorgi, voce duttile e di rara intensità, guida il quintetto nei meandri di un genere che partendo da melodie trip-hop si lascia infettare da chitarre distorte in puro stile Nineties, ammesso che crediate all’assunto che un decennio possa identificarsi con uno stile chitarristico. Nota: io voglio crederci. E dunque, come salmoni, risalgono la corrente della memoria i nomi di Ruby, di Lhooq, dei primi Sneaker Pimps, una fetta di catalogo 4AD, sprazzi di Cranes e molto altro ancora. Tutti nomi che si ricordano per ottimi motivi, ma che oggi, naturalmente, non possono che ricevere ascolti distratti e distaccati. Allo stesso modo, pur assodata la bravura della band e riconosciute le capacità compositive oggettivamente sopra la media (esponiamoci: “Silver House” è un brano meraviglioso), "Three Years, Three Days” rischia di subire l’“effetto nostalgia”, trovando appassionati e detrattori in parti uguali. Questi ragazzi si meritano di meglio, ma devono guadagnarselo. Contatti: www.myspace.com/atomeprimitif Giovanni Linke Pagina 36 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Batisto Coco Ciapai coe bombe Azzurra Music Ce lo raccontano loro stessi nelle note interne del CD: con questo antologico “Ciapai coe bombe” i Batisto Coco sono arrivati al decimo album di una carriera che dura da venticinque anni. Cinque lustri durante i quali hanno ideato, costruito e sviluppato il loro suono, fatto di ritmi e timbri afro-caraibici, tra rumba, musica spagnola, flamenco e tanto altro, in un andirivieni di influenze e riletture. La forza di questa banda, perché tale è, con i suoi dieci elementi, è di utilizzate l’idioma veneziano, con la sua andatura cantilenante, che si incolla perfettamente alle cadenze musicali. Chiaramente il linguaggio è graffiante, ironico e sarcastico e ricorda i Pitura Freska, anche se qui il reggae è solo accennato e lascia spazio a balli di coppia e figurati a suon di fraseggi latino-americani. Per questo album i Batisto Coco sfoderano il meglio del loro repertorio e titoli come “Cucador”, “El viagra della primavera”, “Anca massa” (modo veneto per ribadire una propria convinzione), “El telefonin”e “Bombe”; che nel ritornello rincorre il titolo del CD, come a dire che siamo sempre di corsa e presi da mille cose inutili; rendono bene il tenore generale dell’album, che nell’unico inedito, l’iniziale “Feisbuk” ci regala una gemma, con la band che schernisce il social network più famoso del mondo. Non è un segreto per nessuno che non amo questo tipo di sonorità, ma i Batisto Coco, ci sanno fare e un sorriso e un applauso sono riusciti a strapparli anche a me. Si dimostrano invece per nulla figli della generazione di Facebook, non segnalando nessun tipo di contatto sul CD. Contatti: www.batistococo.it Gianni Della Cioppa Pagina 37 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Be Forest Cold We Were Never Been Boring Collective Un inverno così freddo non poteva che lasciare lo strascico di un disco come “Cold” – per l’appunto – dei pesaresi Be Forest. Trafelati nelle nebbie più oscure ed intimiste della dark-wave, i Be Forest affondano a piene mani dai lasciti di chi, in quella buia stagione ricca di ossessioni oscure, ne ha scritto pagine indelebili, mantenendo comunque una buona cifra stilistica di fondo, ben custodita nei giochi e riverberi delle chitarre ricoperte da un manto di foglie secche e bagnate da una sottile rugiada dark. È un inverno gelido e immobile quello intagliato nelle lignee trame chitarristiche , spezzate dalla marzialità wave delle percussioni, sempre pronte a rompere il legame ultraterreno che tiene unite le linee melodiche del disco e gli slanci eterei delle voci, e rendere più viscerale quella che, molto facilmente, potrebbe finire per suonare come una derivazione diretta dei dettami stilistici del dark e della new wave più rarefatta e impalpabile. Nove tracce che sono la sublimazione di un gusto pop umido e che penetra nelle ossa, imbevute nelle atmosfere nebbiose di “Buck & Crow” e nell’incedere incalzante di “Florence”, ammiccanti alle tanto compiante The Organ, meteore wave degli anni zero. E con loro condividono più di un aspetto, che va oltre la presenza femminile nel gruppo, fino a lambire un gusto ed un tatto derivativo, ma non invadente, e che riescono a far brillare di propria luce oscura le linee circolari di chitarra di “Dust”, sorrette da un basso pulsante e batterie geometriche. Esordio di tutto rispetto, che potrebbe far battere i cuori oscuri e malinconici di stagioni passate, e non solo. Contatti: www.myspace.com/beforest Luca Minutolo Pagina 38 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 BeMyDelay 
ToTheOtherSideΔ Boring Machines Dispiace. Soprattutto quando a separarsi sono musicisti capaci come Paolo Iocca e Marcella Riccardi. Due che prima con i Franklin Delano e poi con i Blake/e/e/e hanno ridefinito l'alt-country e il psych-folk nostrano e che ora procedono di pari passo ma su progetti solisti divergenti: il primo sotto l'egida Boxeur The Coeur – imminente l'uscita dell'esordio ufficiale -, la seconda impegnata anima e corpo nel qui presente BeMyDelay. 
Il nuovo spazio creativo della Riccardi non si discosta moltissimo da quanto si ascoltava con i Blake/e/e/e, se è vero che da quella formazione riprende il gusto per una psichedelia profondamente legata al folk e al blues primordiale. Nell'ottica di un suono che si fa ancor più circolare, reiterato, senza vie di fuga. Voce filtrata, droni e stratificazione di livelli: l'universo di riferimento di BeMyDelay vive di spazi angusti e minacciosi. Con una strumentazione che prevede percussioni, chitarra e poco altro a intrecciarsi tra le takes di brani costruiti ad hoc sulle impalcature in crescendo del campionatore. Nonostante i limiti formali auto-imposti l'immaginario è comunque di quelli ipnotici e appaganti, velvetiano e “difettoso” nel suo incedere essenziale. Un mood rotto soltanto da una “Tearsandvisions” posta quasi in chiusura che allarga temporaneamente gli orizzonti sfiorando quasi l'ambient. Contatti: www.myspace.com/bemydelay Fabrizio Zampighi Pagina 39 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Boris Savoldelli Biocosmopolitan Moonjune Un bel divertissement: non vorremo sminuire il talento di Boris Savoldelli e il lavoro che c'è indubbiamente dietro al suo essere orchestra-per-sola-voce con questa definizione. Né vorremmo prendere sottogamba “Biocosmopolitan”, perché se sei un album in cui sua maestà Paolo Fresu e sua maestà Jimmy Haslip decidono di partecipare allora minimo minimo ti va dato del lei. Tuttavia il nostro non riesce ad essere un pieno entusiasmo. Inizialmente una sensazione istintiva, poi – visto che con l'istinto non si fanno le recensioni – una serie successiva di ascolti ci ha confermato il sospetto che la scrittura di Savoldelli sia educata, ma manchi di incisività. Esattamente come la sua voce: basta infatti sentire le parti in cui il cantato-guida è tipicamente pop per capire che, calato in un progetto standard di pop-rock, il vocalist bresciano sarebbe semplicemente uno dei tanti. Non lo è, perché già da anni lavora sulla voce come strumento versatile ed autosufficiente, una volta disposto in vari layer che fanno le veci di basso, chitarra, tastiere, ritmica, armonizzazioni varie. Ed è un lavoro che lo ha portato a girare il mondo, con appunto collaborazioni e riconoscimenti importanti. Però ecco, è più affascinante l'idea che il risultato concreto; è migliore la proprietà di linguaggio del contenuto reale e finale. Gradevole e curioso, “Biocosmopolitan”. Ma farlo andare oltre questi due aggettivi sarebbe un po' una forzatura. Ci vorrebbe più coraggio ed iconoclastia, e qua non ci sono. Contatti: www.borisinger.eu Damir Ivic Pagina 40 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Calomito Cane di schiena AltrOck/Megaplomb I Calomito non possono fare a meno del respiro musicale. Quindi la tensione, lo sdoganamento della forma banale della composizione, il repentino incedere e all’improvviso scomparire del motivo sono tutte azioni che fanno venire il fiato corto o grandi sospiri e soprattutto sorprendono per ogni passaggio, ogni movimento del pentagramma. Questo rende il suono di “Cane di schiena” - secondo album della band milanese - assolutamente fresco e immediato anche per chi non si accosta spesso all’avant-prog, intriso di sentimenti folk e jazz. “Fungo” salta fuori subito dal primo ascolto. Una ricamata versione della stessa melodia vista al contrario, poi di nuovo in ordine e poi scucita, ricoperta e amplificata dalla bellezza dei fiati e poi rimessa a posto fino ad esplodere. La traccia che titola il disco ha un approccio corale ma senza voci, bensì in un’esplosione di fiati e con una melodia astratta e coinvolgente fino all’assolo finale della tromba. Eccellenti in tutte le loro forme aliene. Spaziali, enigmatici, concreti, disarmanti. Il disco segue l’esordio del 2005 “Inaudito” uscito per Megaplomb, nel quale erano ancora un sestetto, oggi infatti tornano con un membro in meno ma questo non ha intaccato il loro equilibrio compositivo. La musica è un bene prezioso che mani, teste, braccia dei Calomito sanno far vivere. E finché non smetteranno di cibarsi di essa, sapendo bruciare l’energia con i loro movimenti, ci saranno un futuro florido di belle composizioni come queste e tante ore piacevoli per noi che li ascolteremo. Contatti: www.calomito.com Francesca Ognibene Pagina 41 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Calorifero Mind Warp EP We Were Never Being Boring Collective Un EP in attesa dell’estate, così viene presentato “Mind Warp EP” dai Calorifero, nuova reincarnazione del gruppo un tempo conosciuto come The Calorifer is Very Hot. Quattro canzoni registrate a Oakland, California, dove il moto perpetuo dei concerti li ha portati e si sente l’ambizione internazionale di un sound pop capace di aperture che guardano agli anni Novanta “solari” dei Blur, agli anni Duemila spiritosi degli Ordinary Boys e al piglio sempiterno della migliore tradizione americana che, in contrapposizione a una forma di canzone che richiama la Gran Bretagna, da al tutto un tiro compatto e coeso. Dietro il mixer, del resto, siede Eli Crews, già al lavoro con gente del calibro di Why? e Deerhoof. Le canzoni: “Bright Colors Scene” è il classico pezzo che “ah, se fossero stranieri...”: un pop perfetto, con tutte le cose al suo posto e una melodia accattivante. “Waiting for Summer” te la immagini suonata in un bar di Camden con tutti che cantano in coro. “Starving Star” dura meno di due minuti e si mangia a colazione la produzione di Pete Doherty. “Nice Hips Quake” urla da tutte la parti “ballata” e riesce a mantenere le promesse. Insomma, bel materiale. Pensate che è stato pubblicato in edizione limitata. Io, dopo un loro concerto, l’investimento lo farei. Contatti: www.calorifero.net Hamilton Santià Pagina 42 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Casa del Mirto 1979 Mashhh! Il problema ormai è ricorrente: come porsi di fronte ai revivalismi vintage? Quanto è sottile la barriera fra citazione e astuta appropriazione? Non se ne verrà mai fuori, ci saranno sull'argomento mille opinioni e ciascuna avrà la convinzione di essere più o meno nel giusto. Sta di fatto che ormai fa parte del panorama musicale critico questo riciclo/rimestio, molto post-moderno, di suoni, soluzioni, atmosfere. Ascoltando “1979” veramente viene da chiedersi se sia una ristampa di qualche (buon!) album synth-pop / italo-disco degli anni 80 o una produzione fresca di pacca. Si capisce che la verità sta nella seconda ipotesi giusto analizzando con cura il modo in cui sono trattati i suoni (apparentemente datati ad una prima impressione superficiale, in realtà con un approccio e una consistenza piuttosto contemporanei). Ma per il resto, si cavalca esattamente quel periodo, con quelle atmosfere, quell'uso del sintetizzatore, quel modo di comporre. Ci piacerebbe che Marco Ricci – il primo artefice del progetto Casa del Mirto – osasse un po' di più, si lanciasse in sponde più astratte e psichedeliche. Lo fa alla fine, con “Life Is A Mess”, ed è l'episodio che ci convince di più, anche e non solo perché è quello meno derivativo. Gli sviluppi futuri migliori possono arrivare seguendo questa traccia. Per intanto comunque ci va più che bene questa madeleine che non pretende di cambiare il mondo, ma accompagna l'ascoltatore in modo soffice ed evitandosi cadute di tono (a parte forse il lamentoso cantato di “Pain In My Hands”, anch'esso fuori dal format synth pop italo disco eccetera ma in questo caso non in modo accattivante). Del resto, che ci sia qualcuno che porti avanti con competenza e garbo il sapore di quanto faceva Mike Francis non è e non sarà mai un male. Contatti: www.myspace.com/casadelmirto Damir Ivic Pagina 43 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Chuma Chums Fest-On Boogie/CD Baby Non può esaurirsi in un semplice ascolto, comodi in poltrona, quello della “roba” esplosiva, vedendo poi, in un secondo momento, di che tipo e gusto è quell'esplosività, ma questo è un altro paio di maniche, e de gustibus... Ma, per l'appunto, non è possibile somministrarsene una dose, in acque chete, perché quando arriva è massiccia, vigorosa... Si sta parlando dell'onda anomala delle scariche energiche che i Chuma Chums ci metton dentro, e giù senza pensare a risparmiarsi, e fare prigionieri, nei loro lavori, che son live performance anche se provengono semplicemente dalle casse di uno stereo di casa. Sono uno strano collettivo/banda di amici/buskers, provenienza, dal suono del prodotto tipico dialettale, Veneto, con anche sapori spagnoli, inglesi, un tempo “battitori di tamburi” e qualsiasi altra cosa da percuotere, oggi con in mano chitarre, tastiere, bassi e nella testa un mix di punk, rock, drum’n’bass, musica elettronica, e chi più ne ha più ne metta. Basterebbe mettersi su YouTube e guardarsi uno dei video caricati con le loro distorsioni ultrapartecipate per rendersi conto che il concetto di stare fermi non è annoverabile: oltre 30.000 visioni per la “collaborazione” con i Rumatera, altro gruppo veneto, col video “La Grande V.”, e parecchia attenzione anche per la carica d'assalto, che è “Fakking Band Party”. E il terzo disco della premiata ditta di coproduzione creativa di origine buskers dal titolo, inevitabile, “Fest-On” non fa che ribadire il concetto, con cavalcate che se ne fregano di palati fini, ma pensano soprattutto a divertirsi e coinvolgere, stupendo però ogni tanto per un addolcirsi di toni, come con l'estiva “Ciao patente”, ma non poteva essere altrimenti: parlando di patenti tolte, non era il caso di calcare troppo la mano, venendo meglio una carezza. Proprio in “Fest-On” il progredire indiavolato di “Fakking party band”, che va a formare i 13 brani dell'album, che hanno dalla loro la bella sorpresa di aprire a ogni pezzo una sonorità che non è uguale alla precedente, in un arcobaleno, dirty e selvaggio, che paga pegno di coinvolgimento con la loro origine da artisti di strada. E ne hanno fatta parecchia, di quella strada, da quando erano solo nel 2002, data della loro nascita, con percussioni di djembè a infuocare le strade. Dopo il loro primo album, “L'albero delle mani”, è infatti arrivata la contaminazione, con nuovi strumenti, facendo loro fare il salto di qualità, contenuto tutto in “Take ad Ohm”, secondo album uscito nel 2008. Sostenitori sempre e comunque del concetto “la musica deve essere portatrice di vibrazioni positive, non di messaggi musoni”, creano nella loro casa/comune dove vivono tutti insieme; la casa dei matti, e questo se lo dicono da soli...Come cita il comunicato stampa, “fedeli alla linea del “do it yourself”, del fare la loro cosa lontano da tutti, tra una seduta yoga e un’altra (sedute a cui hanno dedicato un brano dell’album; “So ham-ham so”), cercando la sintonia zen con la gente (tanta) che li segue ai concerti”, sono per questo assolutamente da non seguire in poltrona, come già si diceva all'inizio...Pagando a tratti pegno ai Pitura Freska, come in “Grassie”, ma come evitarselo data anche la provenienza regionale?, davvero pezzo dopo pezzo dimostrano una curiosità e incosciente, giocosa e vitale voglia di sperimentare. Vincitori con nerbo nel 2009 per la miglior esibizione al molto famoso Buskers Festival di Ferrara, partecipando a parecchi altri in giro per l'Italia e oltre confine, non potevano che concludere l'album con un “Deliriovacca”, tutto in live, o presunto tale, con suono sporco all'inizio, voci da fiera o da festival per strada durante, tanta improvvisata, “sborona”, “vera” festa, un tributo alla loro vita sulla strada, tra la gente. Ma Pagina 44 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 pochi pensieri, e più voglia di buttarsi tra la mischia: chi si ferma a pensare è perduto! Da prendere il primo tram per il pianeta Chuma Chums, a fare festa, altrimenti ai piedi le scarpe di cemento delle pantofole da camera. Ma come si diceva, de gustibus... Contatti: www.myspace.com/chumachums Giacomo d'Alelio Pagina 45 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Cinemavolta 
3D(C) Silent Groove/Audioglobe I Cinemavolta hanno esordito ufficialmente, dopo un demo autoprodotto, nel 2005, con il discreto ma non imprescindibile “Weekend”, prodotto da Max Casacci e uscito su Casasonica/EMI. Tre album dopo un esordio comunque promettente, con un album-libro, un EP e le musiche per uno spettacolo di Claudio Bisio nel mezzo, il gruppo ha compiuto un deciso salto in avanti. Non tanto e non solo per la buona qualità della scrittura (non sempre originalissima, ma comunque solida), ma soprattutto per la maturazione negli arrangiamenti e nei suoni. C'è sovente una sottotrama italo-funk ad innervare i pezzi (un'atmosfera alla Lucio Battisti di metà anni Settanta, già nel ritornello della introduttiva “Carnevale '82”, che nella strofa iniziale non ci aveva granché impressionato), un colore sottolineato dal massiccio utilizzo di fiati (il cui ruolo è integrato nelle maglie del suono), ad esempio in “Migliorerrore”, e una certa vena black esplode in maniera persino più evidente nella pulsante “Piante Grasse”. A volte il gioco si fa eccessivo, e un pezzo come “Taxidermia”, anche se ironico, risulta un po' troppo sopra le righe. Ma è un incidente di percorso tutto sommato prescindibile, perché i Cinemavolta hanno trovato la loro strada e la stanno percorrendo con una certa sicurezza. Contatti: www.cinemavolta.it Alessandro Besselva Averame Pagina 46 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Corde Oblique A Hail Of Bitter Almonds Progressivamente/Suono Tra le definizioni che si trovano in circolazioni per il gruppo dei Corde Oblique, “bottega degli artisti del suono” costituita fin dal 1999 dal compositore e musicista Riccardo Prencipe, si possono trovare in rete i termini “ethereal neofolk, darkwave, neoclassica, world music”, e di neoclassico, tinto di onde scure, ma che si schiariscono cristalline, ci dà conferma di intenzioni stilistiche la stessa copertina del nuovo album, il quarto, di questo megaprogetto che ogni volta invita a collaborare musicisti e voci dalle provenienze più svariate, italiane ed europee, scrivendo Prencipe musica su misura per ognuno di essi. La copertina di "A Hail Of Bitter Almonds", questo il titolo dell'album, è proprio a fondo scuro, dove si staglia, gotica e sembrando provenire dall'età dei lumi che tratteggiava Stanley Kubrick con il suo capolavoro in costume “Barry Lyndon”, una dama con il vestito dalla gonna allargata a campana dalle stecche, ma forse si può scomodare anche qualcuno più vicino a noi, come Francesco Rosi con la sua sola fiaba in film, “C'era una volta”, di ambientazione partenopea.,dato che, durante l'ascolto del cd, proprio Napoli viene nominata con calore. Uscendo in una doppia edizione (digipack per l’edizione italiana su Progressivamente/Suono Record il 2 maggio, e superjewelbox per quella francese su Prikosnovenie/Audioglobe il 15 maggio), l'album già dalle prime note del pezzo, omonimo, d'apertura, è trascinante in atmosfere, mediterranee, di altri tempi, ma andando avanti, va ad abbracciare l'Europa, con una purezza magica, in una varietà di strumenti utilizzati, e di voci e cori che si alternano tra femminili e maschili, in italiano e inglese. Ha una formazione in chitarra classica, Prencipe – per questo il M.stro -, diplomatosi al conservatorio di Napoli San Pietro a Majella, e tra il progetto Corde Oblique, e quello precedente Lupercallia, è in tutto al suo sesto album, con una collaborazione pluriennale con l'etichetta Prokosnovenie, e realtà di altri paesi europei. E nelle quattordici tracce che compongono quest'ultimo lavoro davvero la definizione ufficiale, che si può trovare anche nei comunicati stampa, quella di “ethereal neofolk”, non potrebbe essere più azzeccata, soprattutto in quel etereo, leggera brezza, che, trascinante, conquista passo dopo passo lungo lo scorrere dei minuti dell'album, immergendo, e sospingendo, anche mentalmente, in onde leggere, in una danza morbida, che si lascia impennare e scuotere da accelerazioni melodiche sempre armoniose, anche se trascinanti. Ricordando idealmente la Compagnia di Nuovo Canto Popolare, ha però quella personalità in più aggraziata dalle basi classiche che invece di stonare, ingabbiando, permettono di viaggiare lontano, liberi. Numerosissimi, come dicevamo, per i contatti di stima che si sono sviluppati negli anni per Prencipe, gli artisti coinvolti. Oltre appunto a Riccardo Prencipe (chitarra classica, chitarra acustica): dal gruppo Ashram, Alfredo Notarloberti, (violino), Sergio Panarella (voce, piano), Luigi Rubino (piano); Alessio Sica (del gruppo Argine, alla batteria); Umberto Lepore (basso, fretless, contrabasso); Floriana Cangiano (voce); Caterina Pontrandolfo (voce); Annalisa Madonna (voce); Claudia Sorvillo (voce); Francesco Manna (percussioni); Franco Perreca (del gruppo Zezi, al clarino). Con ospiti: i Synaulia, Walter e Luce Maioli (attivi da anni nella ricerca sugli strumenti antichi, due dei loro brani usati nel film “Il Gladiatore” di Ridley Scott); Duncan Patterson (a lungo bassista degli Anathema, ai tempi di “Silent Enigma”, ora attivo con il suo progettto ion, qui al mandolino irlandese); Donatello Pisanello (fondatore degli Officina Zoè, all'organetto ); Spyros Giasafakis (voce e mente dell’ensemble greco Pagina 47 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Daemonia Nymphe, voce). Con ispiratori Lisa Gerrard, Marcel Proust, Simone Martini, tra i quattordici brani la sorprendente cover del brano Radiohead “Jigsaw Falling Into Place", voce femminile alle sue corde emotive, portando una ventata di folk/pop/rock, un album da ascoltare e da riascoltare quando il cuore e l'animo ha bisogno di cacciare via il peso dei pensieri e la stanchezza della giornata, o semplicemente per partire con rinnovata energia nel giorno, avvolto da nuova luce. Contatti: www.cordeoblique.com Giacomo d'Alelio Pagina 48 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Daniele Scardanelli Il buon senso spiegato al mio cane Snowdonia/Audioglobe Una caracollante orchestrina di avanspettacolo è quella che il torinese Daniele Scardanelli sembra allestire nel suo debutto discografico. In queste undici tracce sono tanti e diversi gli stili affrontati, ma medesimo è l'approccio rétro con il quale vengono amalgamati. Sembra quasi di sfogliare un album fotografico in bianco e nero ritraente immagini sfuocate degli anni Trenta, tanto swinganti sono le trame strumentali sulle quali di volta in volta si aggiungono elementi più disparati: da organetti alla Tom Waits a moderne sfumature elettroniche fino a chitarre ora blues ora folk ora acide. Ma ciò che caratterizza fortemente questo lavoro sono i testi senza senso di Scardanelli, per la maggior parte declamati con carica teatrale quasi clownesca, altre volte adottando un più classico approccio cantautorale. Il problema, però, è che le liriche e la loro messa in atto non riescono ad incidere come dovrebbero. Tutto ruota intorno al nonsense, ma la sensazione è che esso sia decisamente troppo fine a se stesso disperdendo così il coraggioso lavoro che sta dietro al tutto. “Il buon senso spiegato al mio cane” si pone vicino ad un ideale incrocio tra Bugo, Dente e Iosonouncane, senza però raggiungere la personalità artistica di quest'ultimi. Ma, come dicevamo, a Scardanelli non manca certo il coraggio di osare (che noi encomiamo), e quando a questo riesce ad abbinare un più contagioso gusto pop i risultati si fanno interessanti come avviene in “Sparare al presidente”, “Per il tuo bene” e “Polvere”. Se in futuro insisterà di più su questa strada forse meno inutile sarà “arginare il caos”. Contatti: www.myspace.com/scardanelliscardanelli Andrea Provinciali Pagina 49 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Devotion Venus Bagana/Audioglobe Grinta ed energia da vendere per i Devotion. Un quartetto che si forma a Vicenza nel 2005 e che arriva a “Venus”, questo il titolo della loro fatica più recente, dopo un EP ed un LP che già ne avevano messo in luce le caratteristiche peculiari. Un sound che può ricordare quello dei Deftones e composto da riff stratificati di chitarre che sanno però aprirsi ad un'intensa vena melodica. Per questo lavoro hanno continuato ad avvalersi dello Hate Studio - che nel campo è ormai una garanzia assoluta - per la fase di registrazione mentre il mastering è stato fatto da Alan Douches, nel suo curriculum gente come Mastodon e Snapcase) a New York. Personalmente non impazzisco per queste sonorità, ma nonostante il pregiudizio inevitabile devo dire che già con le sferzate hardcore di “Golden Axe” ho iniziato a ricredermi; i Devotion sono assolutamente credibili nel loro cantato in inglese, ora urlato (dove li preferisco) ed ora malinconico, e non lasciano trasparire alcuna provincialità nel loro sound. I suoni delle chitarre e del basso sono molto studiati ed i brani aprono orizzonti sonori sempre diversi tra loro. A voler aggiustare qualcosa la mia proposta sarebbe quella di eliminare un paio di brani più lenti per concentrarsi sul lato più psichedelico della loro musica, quasi ad inseguire quei Mastodon coi quali hanno in comune non soltanto il produttore americano. L'unico dubbio, lecito, è dettato dal fatto che per una proposta di questo genere l'Italia va molto stretta, per cui raccomando caldamente di fare un passaporto valido oltreoceano e di puntare subito al Vecchio e al Nuovo Continente; qui regna la Melodia con la M maiuscola, ed i Devotion, fortunatamente, guardano altrove. Contatti: www.myspace.com/devotionsound Giorgio Sala Pagina 50 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 DJ 2P Delivery Vibes autoprodotto Giovanissimo DJ 2P, alias Andrea Ciaudano, ma nei suoi ventitré anni devono essersi già stipati parecchi buoni ascolti. “Delivery Vibes” avrebbe infatti potuto essere l'ennesimo disco dove un turntablist fa vedere quanto è bravo, quanto scratcha bene, quanto costruisce degli incastri ritmici “con la sola imposizione delle mani” (sul vinile), olé. Ed effettivamente Andrea bravo lo è davvero, come prova il suo cursus honorum (DMC, ITF: il gotha del turntablism, affrontato sempre con risultati da assoluto protagonista). Ma è ancora più bravo nell'assemblare questo album, perché invece di investirci di virtuosismi cesella un funk disteso, solare, molto musicale, in certi momenti simile a quanto fa oggi Deda sotto l'alias Katzuma: space funk d'annata talmente ben fatto da non farti pesare il fatto di essere, in teoria, una faccenda molto datata e già sentita. Scelta che denota una maturità notevole ed istintiva. Partendo da queste basi, il futuro non può che essere dalla sua parte. I difetti di “Delibery Vibes” sono infatti tutti risolvibili con la pratica e l'esperienza (ci vorrebbe una maggiore densità e compattezza di suono, faccende che acquisti un po' coi soldi – potendoti permettere mixaggi e masterizzazioni di lusso – un po' smaliziandoti nei vari trick produttivi), i pregi invece ci sono già e parlano di un album che si ascolta molto, molto volentieri dall'inizio alla fine, che si sia appassionati di turntablism o no. Insomma: ne vogliamo ancora (e già così siamo decisamente contenti). Contatti: www.myspace.com/fresh2p Damir Ivic Pagina 51 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Dorian Gray La pelle degli spiriti Coconino Press/Venus-Messaggerie Musicali Siamo convinti che alle crisi discografiche si possa rispondere soltanto con progetti artistici curati in ogni dettaglio. Registrato per la maggior parte in un teatro e prodotto dall’ex Afterhours Andrea Viti - impegnato persino al basso - con il leader e cantante Davide Catinari, “La pelle degli spiriti” non può passare inosservato. Merito, innanzitutto, del notevole artwork, realizzato dal fumettista, illustratore e architetto Manuele Fior: una confezione digipack a forma di libro che racchiude sedici tavole in quadricromia, ripercorrenti alcuni elementi ricorrenti nelle canzoni e provviste persino dei testi. Testi che assumono non poca rilevanza, dato che il tema dell’intero lavoro è la dicotomia tra carne e spirito, affrontata con approccio onirico. Abbiamo così a che fare con un cantautorato pop-rock attento alle sfumature (tra i fiati della delicata “Desert Storm” e i synth ombrosi di “Berlino non va bene”), che a tratti può collegarsi ai Virginiana Miller (l’iniziale “Fanfara fredda”) e a Paolo Benvegnù (le suggestive “Auto da fè” o “Non è bellissima?”), ma che porta con sé persino influenze new wave (una “Quinto stato” che fa pensare a dei Wall Of Voodoo all’italiana). Rimandi che, comunque sia, lasciano il tempo che trovano, dato che la band cagliaritana si è formata alla fine degli anni 80 e stiamo parlando del suo quinto album di studio, a seguire quel “Forse il sole ci odia” che inaugurava un nuovo ciclo dopo quasi un decennio di inattività. Un ritorno che si fa ben volere. Contatti: www.myspace.com/doriangraymc Elena Raugei Pagina 52 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Fabio Zuffanti La foce del ladrone Long Song/Spiral Fabio Zuffanti non è un musicista dell’ultima ora e lo dimostra un curriculum artistico di tutto rispetto, che a partire dal 1994, lo vede coinvolto in diverse identità, stili, formazioni (Hostsonaten e Quadraphonic, Finisterre e La Maschera di Cera, per citarne una manciata). È una premessa importante per poter collocare meglio la sua più recente fatica, questo “La foce del ladrone” che in modo sfacciato omaggia a parole e immagini uno degli album più noti di Franco Battiato e che più discretamente (e con intelligenza), coglie di quel lavoro l’essenza musicale. L’album di Zuffanti non è un divertissement, tantomeno un’enorme masturbazione sonora. Se è vero che come un ladrone pesca a piene mani da illustri predecessori – da cui la foce, non necessariamente il cantautore siciliano - non si coglie la pretesa di sfidare l’ascoltatore ad una estenuante caccia al tesoro. Al contrario, i brani in scaletta hanno la capacità di farsi apprezzare anche, soprattutto, da chi non ha mai seguito o amato Battiato (il quale, in maniera identica, da altre sorgenti ha sempre attinto, senza farne mistero). “1986 (On A Solitary Beach)”, l’intensa “Se c’è lei”, il singolo “Musica strana” sono tra i brani migliori in scaletta, ciascuno a suo modo; quando tra melodie pop e arrangiamenti barocchi si infiltrano echi di musica prog (“In cantina”) Zuffanti raggiunge la perfezione. Probabilmente i puristi odieranno questo disco. Noi odiamo i puristi. Uno pari, palla al centro. Contatti: www.zuffantiprojects.com Giovanni Linke Pagina 53 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Federico Braschi Tra le nuvole e l'asfalto autoprodotto/Goodfellas Pubblicato originariamente sul finire del 2009, soltanto adesso l’esordio del giovanissimo Federico Braschi si è guadagnato una distribuzione “seria” come merita. Già, perché “Tra le nuvole e l'asfalto” è indubbiamente una sorprendente prova di cantautorato italiano (sebbene colorato di spunti a stelle e strisce), ancora di più se si tiene in conto che il suo autore ne scriveva tutti i pezzi prima di compiere diciassette anni, ammaliato dalle sei corde non troppo tempo prima. E se il nume tutelare ha il volto di Fabrizio De André, la scaletta è punteggiata di ospiti che la lezione del poeta genovese l’hanno interiorizzata e declinata in maniera ogni volta diversa: è il caso dei Gang, di Massimiliano Larocca, di Lorenzo Semprini dei Miami And The Groovers, di Franco D’Aniello e Davide Morandi dei Modena City Ramblers. Prodotto in trio da Antonio Gramentieri, Franco Naddei e Diego Sapignoli – che bene hanno saputo dosare elettrico e acustico pigiando spesso su un rock molto “pieno”, stuzzicante per palati non necessariamente avvezzi al genere – il risultato che ne esce fuori è quasi un messaggio in codice che, a prescindere da soluzioni tecniche e di arrangiamento, invita a inseguire una direzione (“ostinata e contraria” verrebbe da dire, per tornare a De André), segnata da tutte le ingenuità del caso ma ancora “pura”, non avvilita da ciò che inevitabilmente verrà dopo. E quello che speriamo è che il dopo di Federico rimanga bello, come e più di adesso. Contatti: www.federicobraschi.com Carlo Babando Pagina 54 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Filo Q FILO Q Il bordo del buio Micropop/Audioglobe Lasciando da parte la raccolta di remix con Tarick1 “Italia remiscelata vol.1”, “Il bordo del buio” è il secondo vero e proprio album di Filo Q, songwriter genovese coinvolto in parallelo nel progetto Magellano e capace di abbinare chitarra acustica e drum-machine, tradizione cantautorale e sonorità contemporanee. Sulla carta, un perfetto esempio di musicista che ha l’umiltà di guardarsi alle spalle senza scordarsi di vivere il presente. Sarà per via della cosiddetta scrittura bop, derivata dalla beat generation nell’assecondare liberamente un’ispirazione filo-jazzistica, le dieci canzoni in programma - che a volte fanno tornare in mente certi esponenti della scena romana, da Riccardo Senigallia a Niccolò Fabi - non lasciano però segni profondi, come se le idee non avessero avuto il tempo di maturare a sufficienza. Se per l’esordio “Le proprietà elastiche del vetro” del 2007 (uscito a nome Q) ci si era fatti aiutare da Paolo Benvegnù, stavolta il collaboratore principale è il pianista e compositore Max Morales, che contribuisce a delineare gli arrangiamenti, mentre la produzione artistica è affidata a Giorgio Pona. Inciso a Londra, il disco si mantiene in equilibrio fra sonorità calde, morbide e confidenziali e lievi battiti elettronici, a supporto di parole che analizzano il senso di perdita avvertito nell’attuale società, in attesa di una nuova luce. Da segnalare il coinvolgimento di Giuliano Dottori degli Amor Fou, Roberto Angelini, membri dello Gnu Quartet, il batterista Pharoah Russell e altri ancora. Contatti: www.myspace.com/noiseq Elena Raugei Pagina 55 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Gaspare Bernardi Cor'n Connexion Alfa Projects/Egea Un pezzo di biografia personale: chi scrive ha una adorazione totale ed assoluta per Nils Petter Molvaer, trombettista norvegese che combina jazz glaciale e malinconico con elettronica di prima qualità. La sua fama, almeno in Italia, continua ad essere abbastanza di nicchia, grazie anche al fantastico (anti)lavoro della major che aveva l'onore e l'onere di promuoverlo (tradotto: non hanno mosso un dito) successivamente ai primi due dischi usciti su ECM. Vederlo dalle nostre parti è quindi raro; ma vedere un suo concerto fissato in un paesino dell'Appennino modenese (Pievepelago) sapeva veramente di pesce d'aprile... per altro fuori tempo massimo, visto che si era a luglio. Bene, ora tutto torna. Non sappiamo se il direttore della rassegna che ha lanciato l'invito a Molvaer lo adorasse assai già da prima o ne sia rimasto definitivamente folgorato dopo aver visto il live (bellissimo, nonostante la temperatura atmosferica gelida), sta di fatto che il suddetto direttore, noto per essere prima di tutto poeta e chansonnier di montagna, ora ha tirato fuori un disco che è strumentale (!) ed è veramente tanto, ma tanto molvaeriano. Con meno maestria negli arrangiamenti e meno glaciale carisma, certo, ma dato che per noi Molvaer è semplicemente il meglio del meglio è ovvio che arrivare al suo livello sia (quasi) impossibile. Bernardi qui si cimenta soprattutto con l'altro suo amore oltre all'uso delle parole, il corno francese; si fa aiutare da qualche amico fra cui l'ottimo Giorgio Li Calzi e crea una decina di affreschi tra analogico ed elettronico, atmosferico e malinconico. Tutto scorre dolcemente ma mai in modo banale e gli squarci poetici ci sono, senza aver bisogno di essere esplicitati a parole. Unico neo la programmazione delle batterie elettroniche: poteva essere fatta decisamente meglio, in modo più creativo e qualitativo, qui suona purtroppo quasi dozzinale. Ma è un peccato venialissimo. Bel lavoro davvero, per palati fini. Contatti: www.gasparebernardi.it Damir Ivic Pagina 56 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Giuseppe Righini In apnea Interno 4/NdA Press Quello del riminese Giuseppe Righini è uno stile asciutto, equilibrato, in cui ogni elemento viene soppesato e utilizzato solo se realmente funzionale al risultato finale. Discorso che vale tanto per la sua prosa quanto per la sua attività musicale – mondi che confluiscono armoniosamente all'interno di “In apnea”, la sua seconda prova in proprio, a tre anni dal debutto solista “Spettri sospetti”. Da una parte, infatti, troviamo un libretto – che peraltro può avvalersi delle suggestive illustrazioni di Alexa Invrea – contenente oltre ai testi dei pezzi anche diciassette racconti brevi: alcuni di una pagina, altri composti soltanto da alcune frasi, accomunati da un'attenta osservazione della quotidianità e dalla sua potenziale trasfigurazione in qualcosa di altro. Un susseguirsi di scenari interiori alla bisogna inquietanti e onirici, pungenti e profondi nella sostanza quanto delicati nel tocco. Dall'altra parte, invece, dodici canzoni (o meglio, undici più un breve recitativo) che spaziano con sicurezza tra cantautorato pop-rock di classe, tocchi sottili di elettronica e rare deviazioni filo-waitsiane; brani in cui, come è logico, le parole giocano un ruolo importante, ma altrettanto fondamentale è l'apporto delle melodie e di arrangiamenti ariosi e lontani dall'appiattimento e dalla banalità che soffocano molte proposte in qualche modo ascrivibili al medesimo ambito sonoro. Nel complesso, un lavoro che sa essere di grande spessore, stimolante e, insieme, sostanzialmente accessibile. Il frutto di una personalità artistica a tutto tondo e di tutto rilievo. Contatti: www.giusepperighini.com Aurelio Pasini Pagina 57 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Hellekin Mascara Wanna Be Dino Il Verso del Cinghiale Tenere in piedi un progetto interamente strumentale richiede, più che di particolari capacità tecniche, fantasia ed intuito musicale che non faccia sentire la minima mancanza di voci nelle proprie composizioni. In poche parole, la dote di riuscire a far parlare gli strumenti da sé, senza che nessuno ci metta il becco. Con “Wanna Be Dino” la fuoriserie degli Hellekin Mascara si ferma a metà itinerario, causa avaria del motore, rimanendo in stallo in un limbo rock indefinito. È in questa “terra di nessuno” che il power trio riesce a creare ottime basi strumentali rock'n'roll potenti, solide e senza troppi fronzoli ed impennate stilistiche, dall’impatto trascinante (“Studentesse a ripetizione”) e deflagranti scorribande punk (“Scartabellati”), senza però riuscire a reggere l’insostenibile leggerezza di alcun apporto vocale, utile punto di fuga dalla ridondanza e dall’eccessiva compiacenza di “Wanna Be Dino”. Come un culturista che ammira i propri bicipiti oliati e pompati da intrugli proteinici davanti allo specchio, gli Hellekin Mascara sono ingabbiati in un eccessivo egocentrismo musicale, che li costringe ad auto citarsi all’infinito, in un vortice narcisistico di rock muscoloso che si ritorce su se stesso, mordendosi la coda. La strada alternativa c’è, basta solamente portarsi un buon navigatore con se, o forse è meglio una cartina consunta. Contatti: www.myspace.com/hellekinmascara Luca Minutolo Pagina 58 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Il Generale Veterano vibrante autoprodotto/Goodfellas Basterebbe questa semplice cosa: il primo autore di un 45 giri ragga in italiano è lui, Stefano Bettini detto Il Generale. Da viverne di rendita, almeno come ascendente sulla scena dei ritmi giamaicani qua dalle nostre parti. Ma Il Generale ha due caratteristiche davvero belle, che sarebbero da prendere da esempio non solo dalle sue parti musicali ma proprio in generale: la capacità di creare in una canzone dei congegni testuali narrativi ed articolati, non solo degli sketch frammentati, e l'autoironia (figlia diretta della capacità/volontà di ragionare, non solo di creare degli inni più o meno da dancehall). “Sto cercando di aprirti il mio cuore / Senza curarmi di stereotipi e di falso pudore”; o anche “Sto provando a non avere preconcetti / A decidere senza emanare verdetti”: due passi estrapolati dalla traccia “Lungo una linea aperta” che riassumono perfettamente il piglio (e il pregio) de Il Generale, che tra l'altro emerge nitidamente forse come mai in passato in questo album, un vero e proprio lavoro della maturità. Nessuna vita di rendita quindi ma un lavoro convincente, che ci prende anche nella scelta di affidarsi a vari riddim preparati da amici e colleghi, piuttosto che affidarsi ad una backing band. Forse in alcune parti la linea vocale poteva essere eseguita meglio, qualche scansione metrica è un po' forzata, ma sono difetti venialissimi e soprattutto poco frequenti e poco significativi nell'economia complessiva del disco. Contatti: www.ilgenerale.it Damir Ivic Pagina 59 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Il Paradiso degli Orchi Il Paradiso degli Orchi Orquestra Per chi scrive ancora di musica con la spia della curiosità ben accesa è inevitabile: quando le note biografiche citano Frank Zappa, congiuntamente a Yes, Genesis, Julian Cope, Primus, Manu Negra e Flaming Lips, pur con le dovute cautele del caso, scatta il primordiale motto “piatto ricco mi ci ficco”, ci si allaccia speranzosi le cinture di sicurezza per affrontare le possibili vertigini e via. Non è peraltro frequente che si tiri in ballo tante e tali sfaccettature e generi diversi, un gioco di equilibrismi ambizioso che i bresciani Il Paradiso degli Orchi (in omaggio al romanzo di Daniel Pennac), pur giovani, affrontano con buona personalità e rilevanti mezzi tecnici ed espressivi. Forse zio Frank avrebbe preferito il cantato in lingua madre e non si sarebbe soffermato su certe, comunque fascinose, malinconiche ballate e progressioni psych-british (“Where Is The Light”, “My Sin”, “Sad Song #51”), magari collocate troppo presto ad inizio album, ma la scrittura, la freschezza, melodie ed impatto sono dalla parte pregevolissima del quartetto chitarra--basso-batteria-percussioni. Quando poi innesca le marce più veloci e dinamiche, corroborate dall’originale scelta delle percussioni, Il Paradiso sa offrire il meglio di sé, alimentando saliscendi sul versante Mars Volta, centrando con “Sofa” uno degli episodi più brillanti ed esaltanti. La strada dunque più impervia e vertiginosa, ribadita in “Pig War” e “Panic Station”, pare quella che potrà raccogliere maggiori soddisfazioni nell’affollato circo underground nazionale, con auspicabili sortite extra-provinciali. Il giro sull’ottovolante si acquieta sulle tristi note di “Sad Song #4”, scendiamo rinfrancati, non esausti, niente scossoni debordanti, con la sensazione di aver incontrato una band di talento, già messa a fuoco, con importanti potenzialità in serbo, ulteriormente da sognare e da scoprire... Nel paradiso degli orchi, naturalmente. Contatti: www.myspace.com/ilparadisodegliorchi Loris Furlan Pagina 60 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Infarto Sul fondo, assieme a tutti gli altri sassi Shove/Dreams Come True/Bear Records/In Limine/Sonatine/Orchidescent/Corpocavernoso Come recitano le note di copertina, “Sul fondo, assieme a tutti gli altri sassi” è un disco che sta per terra, fatto di terra grezza da cui crescerà tutto il resto. Terra bruciata ed arsa dall’hardcore violento e massacrante del quartetto bresciano, che asciutto il proprio nome dal suffisso “Scheisse”, ha corroso il caos post-core degli esordi in una rabbia hardcore deflagrante e dalle spigolosità martellanti. “Sul fondo...” è un disco di cuore, stomaco e nervi tesi fino allo spasmo, in cui le chitarre si affannano in scale al cardiopalma e galoppate ritmiche vertiginose, disseminate in sette tracce nervose, tese da una passione incontenibile e pulsanti di un cuore in fibrillazione post-core, che stilla sangue nella lunga cavalcata “Venticinque decibel” per poi immergersi nei meandri oscuri e le ritmiche spaccaossa di “Richtung Kreuzberg”, affannarsi nei riff metal di “Due dite di testa, per voi” e precipitare dalle pareti scoscese di “Il mio piano di riserva”. Voci tirate allo spasmo, ritmiche serrate e brutalità noise-core sono l’iniezione letale che gli Infarto hanno messo assieme in un disco fatto in casa come la buona tradizione DIY vuole e che, prima di essere un manifesto di totale indipendenza artistica e musicale, è una dichiarazione d’indipendenza attitudinale ed emotiva prepotente e sfrontata. Un disco di persone, luoghi, fatti ed esperienze, canalizzate in un flusso post-core assolutamente trascinante, liberatorio e grondante di vita. Contatti: www.myspace.com/theinfartoscheisse Luca Minutolo Pagina 61 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Laeder Braun Dies irae autoprodotto Forse stanchi di aspettare qualcuno che si interessi a loro o per evitare compromessi (ma oggi quale label – salvo una major – può imporre scelte ai propri artisti?), optano per l’autoproduzione i Laeder Braun, che arrivano da Lecco, la città che aveva dato i natali ai leggendari Biglietto per l’Inferno. E la citazione non è casuale perché i quattro musicisti, richiamano proprio quell’epoca, con rimandi all’hard rock di Campo di Marte, Rovescio della Medaglia e i citati Biglietto per l’Inferno. Un hard rock speziato di progressivo, ma che pende decisamente per la prima soluzione, grazie alla chitarra di Simone Goretti che sceglie soluzioni semplici ed immediate e al cantato, vagamente retorico, ma efficace di Michele Tombini, che si districa bene con l’italiano, conferendo quel tocco di originalità che a tanti colleghi della penisola manca, spinti per comodità a scegliere la facile strada dell’imitazione con l’inglese. Canzoni come “Città nera”, “La fine”, “Lotta” spingono sull’acceleratore, ma il gruppo offre il meglio quando affronta due ballate che sanguinano blues, “Sacrificio” e “Il crepuscolo degli Dei”, dove l’utilizzo delle tastiere diventa fondamentale per amplificare la tensione e i rimandi di Led Zeppelin si fanno carne. Contatti: www.laederbraun.com Gianni Della Cioppa Pagina 62 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 LiPrando Conseguenze Delta Top/Self Il casertano LiPrando (al secolo Francesco Lo Presti) arriva al traguardo dell’album solista dopo una lunga militanza nei Bradipos, uno tra i più noti gruppi italiani di surf'n'roll. L’informazione assume puro valore biografico dopo avere ascoltato “Conseguenze”, tanto l’album suona lontano e in contrasto con quel mondo. Qui la cifra stilistica richiama alla mente quel mix di rock e new wave con cui negli anni 80 si sono incendiati anche da noi numerosi palchi. È un pregio o un difetto? Entrambi. LiPrando ha una voce prossima alla maturazione, ma che ad oggi stenta ad emergere, rischiando di infilarsi in precoci incasellamenti. Se a tratti ricorda Mario Castelnuovo, credeteci o meno, non è nota di demerito, specie se l’alternativa è Piero Pelù. Parallelamente, a questo lavoro hanno collaborato ottimi musicisti (Marco Valerio Cecilia, Francesco Andy e Claudio Bartolucci) per i quali, anche dai solchi, si riesce a cogliere l’affiatamento e l’energia profusa in fase di registrazione. Tale entusiasmo viene però penalizzato da un songwriting che tende ad assestarsi su binari ampiamente collaudati. Non accollarsi alcun rischio non è necessariamente un male, ma osare non è cento, mille volte più eccitante? E forse, data la quantità di materiale a cui un ascoltatore può agilmente accedere, è un’opzione da prendere seriamente in considerazione se si vuole, se non emergere, sopravvivere. Contatti: www.myspace.com/liprando.official Giovanni Linke Pagina 63 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Max Petrolio Telefoni Mortimer Red Birds-Seahorse/Audioglobe La canzone surreale: un genere nobile e troppe volte frainteso, spesso inserito a forza nella categoria del demenziale. Il napoletano Max Petrolio, pur non abbandonando mai una componente umoristica e paradossale, sembra concepire questo formato con totale serietà e immedesimazione. Il ricorso ad un linguaggio fatto di accostamenti improbabili, immagini rigogliose e ardite (ma a tratti pure un po' meccanico nell'accostare forzatamente idee e parole contrastanti) si sposa ad un pop elettronico dalle movenze sinuose, con una attitudine al canto che può far venire in mente un Brian Molko dal passaporto italiano. Per chi scrive è proprio la parte musicale quella più interessante, incastonata com'è tra residui new wave, un certo approccio artigianale da rigattiere elettronico, una versione sedata dei Subsonica e una declinazione decisamente pop di elementi industrial dub (“Piscina con acqua salata”, per citare un titolo). Questo il motivo per cui gli intermezzi recitati da una voce computerizzata suonano a tratti davvero gratuiti, potenzialmente divertenti ma alla lunga semplicemente noiosi. Nel complesso, abbiamo di fronte ad un personaggio sicuramente atipico, senza dubbio mosso da una spontanea ricerca di originalità. La quale, va detto, non sempre viene messa a fuoco a dovere o, meglio, non sempre funziona all'interno del contesto, riconducibile ad un discorso coeso. La speranza è che il cantautore napoletano possa, assecondando questa sua indole, sintetizzare una formula più convincente, poiché ha tutte le carte in regola per riuscirci. Contatti: www.maxpetrolio.it Alessandro Besselva Averame Pagina 64 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Mezzafemmina Storie a bassa audience
 Contro/New Model Label Mezzafemmina è Gianluca Conte, cantautore proveniente dall'immediato hiterland torinese, in precedenza componente dei Melanie Efrem, e questa raccolta di “storie a bassa audience” rappresenta il suo debutto solista. Il disco, prodotto artisticamente e registrato da Gigi Giancursi e Cristiano Lo Mele dei Perturbazione, ce lo mostra in una versione cantautorale piuttosto tradizionale negli schemi compositivi e più colorata e mossa nella scelta degli arrangiamenti, che aggiungono di volta in volta tocchi di elettricità, patine leggere di bassa fedeltà, glockenspiel, fiati e cori. A dispetto di una espressività vocale che non sempre convince appieno, la capacità di scrivere slogan efficaci (si prenda “Insanity Show”, con il suo riuscito schema di botta e risposta e l'attitudine genuinamente à la Rino Gaetano, senza scimmiottamenti) e canzoni semplici e immediate è indubbia. La leggerezza (solo occasionalmente rivestita di una lieve patina di ironia) risiede più nella veste sonora che nei temi, a tratti piuttosto impegnativi: è il caso di “Giochi da grandi”, che affronta il tema della pedofilia in maniera garbata e piuttosto diretta, o la più leggera (e per certi versi più riuscita) “Articolo 1”, che tratta di infortuni sul lavoro e sfoggia un ritornello particolarmente efficace. “Iside” rappresenta il versante più rock del progetto e ci pare un po' meno a fuoco, non brutta ma decisamente più ordinaria. Questo debutto è in ogni caso movimentato e vivace, e più che un punto d'arrivo rappresenta, con tutti i pro e i (pochi) contro, un punto di partenza molto promettente. Contatti: www.mezzafemmina.com Alessandro Besselva Averame Pagina 65 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Orange Rock Your Moccasins GPees Productions/Audioglobe Quanto sarebbe facile stroncare un disco del genere? È uno di quei casi in cui il contesto danneggia il testo: il gruppo del “Nongio”, e capirai. Capirai cosa? Mi permetto un ricordo personale. C'è stata un'estate in cui vedevo Francesco Mandelli ovunque. Erano tutti concerti di un certo tipo, dove non si faceva presenza per far pubblicità a sé stesso. Certo, l'immaginario degli Orange è quello – e uno non può stare tanti anni a Milano senza esserne infettato, lo dice pure Manuel Agnelli! – ma il ragazzo è, in un certo qual modo, uno dei nostri. Nella musica ci crede. E in "Rock Your Moccasins", al di là di ovvi limiti, ci sono anche delle cose buone. Ma prima quel che non va: manca la "botta", lo "scarto", l'elemento disturbante. Si limita qualunque tipo di eccesso sostanzialein gabbie di forma e struttura. Le chitarre sono distorte ma pulitine. La voce sguaiata ma perfettina. Le melodie selvagge ma accudite. Di contro possiamo tributare agli Orange – qui al secondo disco – una volontà, seppur minima, di andare oltre lo stereotipo culturale del rock degli Anni Zero, quel coacervo di pose e banalità maledette che ha fatto la (s)fortuna di Libertines e Strokes. Nella musica di "Rock Your Moccasins" c'è un elemento rabbioso che cerca di venire fuori, delle derive un po' QOTSA che potrebbero, in futuro, regalare cose veramente interessanti. Forse, per far esplodere liberamente qualunque tipo di velleità, Mandelli e socio dovrebbero lasciare una metropoli dove "la scena" sembra aver infettato ogni dove. Contatti: www.myspace.com/orangeso79 Hamilton Santià Pagina 66 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Polar For The Masses Silence Black Nutria Nell'aprile 2009, recensendo il precedente lavoro dei Polar For The Masses, "Blended", si scriveva: “I Polar For The Masses non cadono nel tranello evitando di considerarsi profeti del verbo e limitandosi e fare il loro sporco lavoro nel miglior modo possibile”. Sembra che sia passata una vita. Due anni e molta musica. Forse troppa. Resta però la certezza di trovarsi a scrivere di una delle band più interessanti del recente panorama alternativo. Se in precedenza si citavano i nomi di Fugazi e June Of 44 per descrivere un power-trio di chiara estrazione post-punk, adesso c'è molto di più. Il "nuovo" suono dei Polar For The Masses è avvolgente, sporcato da velleità negre e notevoli dilatazioni spaziali alla ultimo periodo dei Modest Mouse. Va detto che a questa ricerca di espressività, coincide anche un notevole lavoro sulle canzoni: la struttura sembra rifiutare la retorica tradizionale in favore di un impatto quanto più possibile viscerale e "sensoriale". I testi sono spesso frammenti e parole ripetuti che si ergono su pattern sonori reiterati e frammenti elevati a cattedrali del gusto. Ed è un lavoro che funziona. Insomma, in un periodo di ipertrofia creativa – con una qualità inversamente proporzionale alla quantità – i Polar For The Masses sono una notevole boccata d'aria fresca: si intravede l'idea di un lavoro in divenire, una ricerca che non si ferma al contentino di quattro righe favorevoli scritte su una webzine. Contatti: www.myspace.com/polarforthemasses Hamilton Santià Pagina 67 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Riaffiora La Marsigliese Soviet Studio/Wondermark Bei tipi, i padovani Riaffiora. Dopo anni di attività, affidano il loro esordio al produttore Ronan Chris Murphy, uno che, per dire, è stato in cabina di regia con Robert Fripp a remixare i classici dei King Crimson. Ben guidati dall’americano, i quattro si sono lasciati condurre a registrare nelle piazze, nelle chiese. A grattare la storia delle calli veneziane, a rubare riverberi. A scovare lo “spirito del luogo” e ricercare autenticità, per raccontare queste storie di gente che non ce l’ha fatta, anche se ci ha provato. Il cocchiere desolato di San Pietroburgo, la sfortunata “fine di un amore impossibile” saffico tra le lamiere di una Giulietta, l’assassino che racconta le proprie squallide esequie. Le prime tre tracce sono sorprendenti. La scaletta è varia, forse pure troppo. Riff elettrici ostinati in “Mon amour” con ritornello in francese, “Lo schianto” che se ne va in giro con un curioso sapore da West Coast (con “nomination” per Glenn Frey degli Eagles), “Alla fine” che si sorregge su pregevoli jingle-jangle chitarristici (ma quei vocalizzi-con-svolazzo in stile Sangiorgi non giovano). Una vera perla è la lenta, lunga traccia iniziale “L’inverno a Padova”, ballad tenebrosa, funeraria. Un vero e proprio corteo funebre è “Requiem”, che accompagna le spoglie di un killer. Alcuni episodi che fluttuano tra cabaret, blues e vaudeville risultano meno freschi, forse perché “già sentiti” rispetto alle cose più originali che i ragazzi dimostrano d’essere in grado di sfornare. Contatti: www.riaffiora.it Gianluca Veltri Pagina 68 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Runaway Totem Le roi du monde Runaway Totem/Lizard Dispiace, a fronte dell'attenzione sovente riservata a fenomeni effimeri e di scarso spessore, riscontrare quanto poco abbiano finora raccolto i Runaway Totem. Siamo infatti al cospetto di una band geniale, che da due decenni, dipanati con scelte coraggiose, mai scontate, dove Magma, krautrock, musica da camera, jazz, dodecafonia e molto, si incontrano e scontrano, in un bizzarro gioco ad incastro, che fornisce alcune possibili coordinate del passato e del futuro della musica. Ma tant’è: siamo in Italia, e il nazionalismo non è certo il nostro forte. Comunque, se a qualcuno interessa, i Runaway Totem, cinque elementi guidati dal carismatico Chäl de Bêtêl (chitarra, voce, tastiere), sono arrivati al loro ottavo album, che nello specifico è il terzo e conclusivo capitolo dei “4 elementi 5” (e già solo questa definizione dovrebbe farvi accendere la lampadina della curiosità), e si accompagnano con il Modern Totem Ensamble (violino, violoncello, contrabbasso, flauto, oboe, tromba, trombone e vibrafono, oltre a poeta, pittore, webmaster e fotografo), che amplifica la ricerca sonora e visiva. Non è musica che scorre amorfa quella dei Runaway Totem, le due lunghe suite “Il giardino del nocciolo e del melograno” e “La città azzurra del sole”, divise dalla breve (quasi sette minuti!) “Le marriage du Soleil et la Lune”, richiedono attenzione e desiderio di sfida, ma una volta entrati nei meccanismi del percorso è musica che rasserena, che abbevera la nostra curiosità e se ne percepisce fino in fondo il potere melodico, che le voci di liriche e ancestrali di Issirias Moira Dusatti e Raffaello Regoli, non fanno altro che amplificare. Un album coraggioso che ha le stimmate del capolavoro. Se ne accorgerà qualcuno? Contatti: www.runawaytotem.com Gianni Della Cioppa Pagina 69 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Santo Barbaro Lorna Ribèss/Audioglobe Ci sono dischi che riescono a creare un'atmosfera, per non dire un mondo, permettendo all'ascoltatore di entrarci, accogliendolo nei propri solchi senza concedersi con troppa facilità. E questo a prescindere dalla storia che ha alle spalle l'artista, il suo cabotaggio, l'estensione del suo pubblico. “Lorna” dei Santo Barbaro, progetto che fa capo a Pieralberto Valli, Franco Naddei e Diego Sapignoli, è uno di questi. Nello specifico, il “mondo” disegnato dal trio confina con certa sensibilità post rock sporcata di bassa fedeltà (un nome su tutti: gli Hood), le esplorazioni sonore degli ultimi Radiohead (la manipolazione di beat elettronici e tracce vocali soprattutto) e una idea di cantautorato italiano che da De André arriva fino Marco Parente (influenza vocale predominante, a nostro parere, ma fortunatamente non soverchiante). Se l'incisiva “Naufragio” scivola maggiormente sul versante cantautorale, i brevi strumentali “Carosello I” e “Carosello II” approfondiscono l'indole più sperimentale, ma è una encomiabile via di mezzo a fare la parte del leone, perfettamente a fuoco, ad esempio, nella conclusiva “Finisterre”. Laddove la gran parte dei gruppi avrebbe abbracciato l'una o l'altra via, i Santo Barbaro prediligono coraggiosamente il sentiero di mezzo e la scelta li premia con un album di cantautorato onnivoro e in costante evoluzione, le cui ambizioni espressive sono in buona parte realizzate. Davvero una bella sorpresa. Contatti: santobarbaro.blogspot.com Alessandro Besselva Averame Pagina 70 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 SawaraNonEsiste SawaraNonEsiste Happybone L'attitudine musicale dei lecchesi SawaraNonEsiste sta tra il cantautorato e il combat folk (nei testi, nel trasporto vagamente retorico della voce), ma è rivestita di suoni decisamente elettrici, oscillanti tra il rock (quello da stadio di “Midori”, le cui trame sono arricchite da un efficace uso del piano elettrico) e un proto-reggae dalle innumerevoli sfumature (“Vale vale”, un reggae un po' acido scandito da chitarre in levare e tastiere insinuanti, l'esempio più limpido). L'avvicinarsi al tragico G8 genovese del 2001, argomento spinoso e di difficile trattazione (a livello narrativo s'intende), è cauto, posato e sicuro di sé, niente affatto retorico (il brano è “20 luglio 2001”), e questo è il pregio che accomuna la dimensione narrativa di gran parte delle canzoni, mentre la voce maschile fornisce la necessaria originalità al progetto. C'è tuttavia un punto debole: l'assenza di idee davvero brillanti e canzoni che si possano dire memorabili. Insomma, se è senza dubbio pregevole e valida la scelta di rivestire le canzoni con ingredienti non immediatamente riconducibili ad uno stile cantautorale più o meno ortodosso è vincente, i SawaraNonEsiste dovrebbero affinare ancora un po', questa l'umile opinione di chi scrive, la scrittura. Contatti: www.myspace.com/sawaranonesiste Alessandro Besselva Averame Pagina 71 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Sbizza e la microrchestra Tinamo autoprodotto Massimiliano Bevilacqua è uno di quei musicisti, scrittori, poeti che vorresti sempre sul comodino mentre cerchi un contatto con il sogno, con un desiderio ineluttabile di dare musicalità e parola alle sensazioni. E poi un bel giorno arriva davvero. Dopo dieci anni come cantante, chitarrista, violinista nei Milaus riecco il pifferaio Max ora Sbizza - come la brezza invernale in Valtellinese - pronto a portarci con sé tra il cielo azzurro e la terra. Questo disco è come un vaso stracolmo di fiori diversi e caratteristici che raccoglierete e in quanto canzoni ascolterete una alla volta per accorgervi che sono tanti e tutti diversi i tratti percorsi, così passerete dalla storia di una farfalla in “Tinamo farfalla” per dare più importanza all’invisibile, all’“Ora d’aria” per avere un po’ di respiro dall’indifferenza di lui e passare ad un’altra prospettiva. Per raggomitolarsi nell’”Osteoporosi” dell’anima che è una malattia qui quando non si riesce ad aggrapparsi all’inavvertibile e nel caso di Max alla poesia. In “Castagne e lacrime” Sbizza duetta alla voce con Roberta Visioli dei Fuseaux in un connubio tra la fragilità e le spalle larghe, tra un petalo e un cappotto pesante. È un altalena di suoni magici. Un cuore di bimbo in palpitazione all’unisono in un coro che in “Catapulte di colore” di liberano nell’aria e arrivano intorno e laggiù dove il ghiaccio aveva provato ad allargarsi. E il pifferaio dopo averci mostrato il volto dei suoi genitori sordomuti attraverso i suoi occhi, ci rimboccherà le coperte trasportandoci a pensare a “l’angelo che pesa” per fargli trovare la strada e le ali. Contatti: www.myspace.com/sbizza Francesca Ognibene Pagina 72 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Soluzione L’esperienza segna Jost/Audioglobe C’è nel curriculum dei Soluzione, band veneta di Mestre sebbene capitolina d’adozione, anche una collaborazione con Manlio Sgalambro (di cui peraltro si dovrebbero vedere i frutti a breve). Forse è per questo che ci sembra di intuire barlumi di Denovo nella title track d’apertura; e inserti proto-prog in più di un episodio, che forse sarebbero piaciuti al Battiato anni 70. “Anni Settanta” (la seconda canzone in scaletta) stabilisce una rotta sonora fondamentalmente pop, electro e giovanilista, in prevalenza parecchio anni ‘80. Un punto d’incrocio mobile tra new wave e dance, elettronica e glam, stile cantautorale ed espansione psichedelica. “Facili forme”, col suo intimismo orchestrale, potrebbe benissimo essere più che un'outtake dei La Crus; la coda della languida “Luce” è un sabba stroboscopico e confuso; “Tutto e nulla”, prima di evaporare sopra nuvole di suoni, è puro Robert Smith style. I Soluzione confermano il momento di sensibile contatto tra pop d’autore e altre esigenze di comunicazione artistica: il cantante Luca Nuzzolo è anche poeta e scrittore in via di pubblicazione, mentre il di lui fratello Massimiliano, co-produttore del disco, ha già all'attivo la raccolta di versi “Tre metri sotto terra” e il romanzo “L’ultimo disco dei Cure”, che il gruppo negli anni scorsi si è anche dedicato a sonorizzare. Pur senza gridare mai al miracolo, non ci si imbatte i episodi particolarmente poco riusciti. Ma i sedici titoli vanno a costituire una scaletta prolissa, che verso i tre quarti del cd mostra un po’ la corda. Le ultime tre tracce, alquanto valide, sono altrettante versioni alternative di brani precedenti, impreziosite da special guest: Mao (“Anni Settanta”), Federico Fiumani (“Gene”), Garbo (“Luce”). Contatti: www.myspace.com/soluzione Gianluca Veltri Pagina 73 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Stella Diana Gemini Happy Mopy/Audioglobe A seguire l’esordio “Supporto colore” del 2007, “Gemini” corrisponde a un ulteriore passo avanti per gli Stella Diana, formati alla fine degli anni 90 e finalmente giunti a una line-up stabile con i fondatori Dario Torre (voce e chitarra) e Giacomo Salzano (basso), accompagnati da Raffaele Bocchetti alla seconda chitarra elettrica e Massimo del Pezzo alla batteria. Un secondo album che, a dir la verità, nel 2010 aveva già visto la luce all’estero grazie all’etichetta spagnola Siete Señoritas Gritando, a conferma sia dei buoni riscontri ottenuti persino oltreconfine sia delle maggiori difficoltà che tuttora castrano il nostro ambiente underground. Le nove tracce in programma fondono sonorità prettamente influenzate dalla new wave e dallo shoegaze, con occasionali divagazioni noise. Sonorità che non sorprendono di certo per originalità, ma che risultano comunque funzionali e curiosamente abbinate a lodevoli testi in italiano, per quanto le parole siano sovente in secondo piano rispetto alla musica, talvolta comprensibili a stento. L’omogeneità stilistica e un gancio agli anni 80 forse abusato alimentano talvolta una fastidiosa sensazione di revival e non aiutano nello stimolare ascolti reiterati, collegandosi per forza di cose a una lista di inevitabili precursori (dalla scena fiorentina dei Diaframma e compagnia cantando in giù). Detto e ribadito tutto ciò, gli amanti del genere potrebbero comunque individuare sufficienti motivi di apprezzamento. Contatti: www.stelladiana.com Elena Raugei Pagina 74 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 The Secret Tape Archive 1 Moonlight Seguito degli Unknown Pleasures, The Secret Tape è una spumeggiante rock’n’roll band. “Zero fronzuli”, si potrebbe dire parafrasando lo Special One. Il quartetto parmense, in questo esordio prodotto da Dorian Bones dei Whiskey Ritual (anch’essi di Parma), infonde l’urgenza di una gioventù venuta su a pane & garage. Se a tratti vi pare di trovarvi dentro un disco di brit-pop, cogliereste solo una fetta di verità. Intanto, pochi scimmiottamenti moderni (a parte qualche parentela con i Franz Ferdinand). Andrea, Lorenzo, Alessandro e Massimo, voce, due chitarre, basso e batteria, vanno infatti più indietro, e le loro undici tracce possiedono un’arietta d’antan, un ostinato sound a bassa fedeltà che pesca nelle esperienze del decennio di Kennedy e Papa Giovanni, soprattutto oltreoceano. Le influenze più archetipiche, oltre a uno scarno blues elettrico, sembrano quelle di gruppi come Chocolate Watchband, 13th Floor Elevators, Sonics. Insomma l’ABC del garage-rock. Marchi di fabbrica, è presto detto: predilezione per i suoni distorti − non solo le chitarre ma anche la voce − e una tabula armonica alquanto semplice e essenziale; e poi la concisione, la fretta dannata di arrivare al punto. Non mancano neanche dei link abbastanza evidenti a Beatles e Rolling Stones: i Fab Four sono praticamente omaggiati nella prima (“Me, You And Paul”) e nell’ultima traccia (“Albert”); i timbri e i vezzi di Mick Jagger sono evocati nell’unica ballad dell’album, la nostalgica “1957”. Contatti: www.myspace.com/thesecrettape Gianluca Veltri Pagina 75 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Uber Northern Exposure FromScratch Ciò che fa rimanere perplessi, innanzitutto, è riflettere su come e perché certi dischi vengano fuori. Non che “Northern Exposure” degli Uber sia da gettar via completamente, ma riuscire a salvare il salvabile sembra a tratti veramente un impresa ardua. Si ha la netta sensazione, mano a mano tramutatasi in rassegnante certezza, che “Northern Exposure” sia composto da bozze di brani e registrazioni, vuote di qualsiasi cura negli arrangiamenti e vagamente cervellotici nelle costruzioni, totalmente prive di fondamenta solide per poter sorreggere i cambi ritmici improvvisi e le sincopi melodiche, conformate più come errori che come dissonanze volute e ponderate. Sembra veramente di trovarsi avanti ad un abbozzo ancora sommario e da processare al pro-tools (alcune falle ritmiche hanno il programma di editing per eccellenza come unica via di salvezza), in cui le trame ritmiche sconnesse cedono ad effetti elettronici imbarazzanti e di dubbio gusto, trapelate da giochini cinesi senza marchio CE (le tastierine di Disposable), e voci sconnesse da Chipmunks che rasentano il fastidio, rendendo l’impressione in molti frangenti, di ascoltare una cover band alle prime armi dei Battles che non ha ancora imparato a girare le manopoline a dovere. I confini dello scherzo si fanno sempre più labili e sottili, in un disco che, nel dubbio su quale direzione intraprendere, ha inevitabilmente scelto la via sbagliata. Contatti: www.myspace.com/instantuber Luca Minutolo Pagina 76 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Voina Hen Voina Hen autoprodotto Il grunge è un germe che ha intaccato praticamente chiunque sia nato negli anni 80. Nessuno è uscito indenne dallo spleen e dalla disperazione catartica dell’ondata “alternative” per eccellenza. I giovanissimi Voina Hen, nonostante qualche anno di distanza all’anagrafe, questo germe l’hanno incubato e allevato al caldo, lasciandolo libero di moltiplicarsi nei propri embrioni musicali, e di ricoprire in questo disco d’esordio il ruolo di pregio e limite al tempo stesso. Pregio perché nonostante la giovanissima età dei cinque, la materia è ben calibrata e maneggiata nei suoi slanci esistenziali e critici verso un mondo in rovina, inquadrati dall’occhio critico e vivido dei testi e sorretti da una base strumentale secca e senza troppi fronzoli. Allo stesso tempo limitato perché una gabbia così piccola ed asfissiante non permette di scovare vie alternative oltre l’eccessiva logorrea dei testi ed i riff portanti che si fa fatica a distinguere in tutte le 9 tracce del disco, dove il già sentito si nasconde tra gli anfratti di accuse sociali rimasticate e chitarre spinte da insormontabili crisi esistenziali espiate in rabbia e frustrazione giovanile. Disco che oscilla tra l’esistenzialismo di “Sensazioni di petrolio” e i riff graffianti à la Pearl Jam di “Questioni di etica” o l’ammicco dallo specchietto retrovisore di “Grid”, scivolando via indolore fra patemi adolescenziali di “Elena” ed il piglio funky di “Charles”. Grandi pretese bisogna cercarle altrove, per chi cerca un disco lineare e pulito “Voina Hen” è un buon compendio in formato tascabile di angst adolescenziale ben inamidato e con poche sbavature, indubbiamente troppo poche. Bisogna sporcarsi le mani, e di tempo per farsi male ce n’è ancora in abbondanza. Contatti: www.facebook.com/pages/Voina-Hen/201731059848108 Luca Minutolo Pagina 77 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Waines Sto autoprodotto/Audioglobe Innanzitutto una banalità: è sempre un piacere quando, leggendo nella biografia di un gruppo interessante scopri che stanno a Palermo invece di, che so, Milano. È una speranza per tutti. Ma forse questo preambolo i Waines l'avran già letto da qualche altra parte, visto che con il lavoro precedente, “Stu”, avevano calamitato l'attenzione su di loro e su questa strana ed efficace contaminazione di rock'n'roll, blues e lo-fi. Ora è il momento di confermare quanto già sentito con il nuovo lavoro, chiamato “Sto” per la gioia degli amanti delle allitterazioni, e devo dire che il mantra iniziale di “Turn It On” è davvero divertente. Il suono si è fatto ancora più fuzz, e il trio macina riff con ottima perizia. Quando il ritmo rallenta, come nel caso di “Round Glasses”, possiamo gustarci anche una piacevole reminiscenza del primo Beck, ma devo dire che quando premono sull'acceleratore, come nel caso del divertissement “Inner View”, riescono a dare il meglio. Originali, a volte spiazzanti ma affascinanti per la commistione di nuovo e vecchio, i Waines hanno le capacità ed i numeri per poter intraprendere il viaggio dei Mille al contrario e portare così la loro musica anche al nord. La terra della nebbia li aspetta a braccia aperte ed amplificatori accesi. Contatti: www.myspace.com/3waines Giorgio Sala Pagina 78 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Zippo Maktub Subsound Posto come un sigillo irrevocabile e indissolubile “Maktub”, terzo disco dei pescaresi Zippo, sancisce una ulteriore crescita nel sound e nella complessità delle composizioni, che dallo stoner desertico di “The Road To Knowledge” si getta più in là, verso i lidi cervellotici dei Tool, per immergersi in spirali metal da cui è difficile non farsi risucchiare, nelle sue ramificazioni prog e nei sobbalzi sludge. Sempre forte il legame che stringe la band ai rimandi letterari, in questo caso volte alle pagine intimiste e sacrali de “L’Alchimista” di Paulo Coelho, a cui le sette tracce di Maktub sono fortemente ispirate e legate da un filo conduttore elettrico e forte di un magnetismo oscuro. Laddove l’ombra dei Tool campeggia dietro i riff circolari e le esplosioni telluriche di “The Omens” o nelle spirali sulfuree di “Caravan To Your Destiny”, è nei climax di “We People’s Heart” che il cuore tormentato degli Zippo si libra impetuoso in tutta la sua eleganza e possanza, tra arabeschi e atmosfere fumose che esplodono in vortici saturi di carica elettrica, o nell’apporto di Ben Ward degli Orange Goblin a tinteggiare di pece le mura vorticose di “Man Of Theory”. E il caos continua inarrestabile in “Simum”, dove il sax di Luca T. Mai degli Zu deflagra i riff mantrici nel caos primordiale, eclissandosi in un vorticoso buco nero sonoro. “Maktub” è un flusso di coscienze tormentate in cui arrampicarsi fra le sue guglie tortuose implica un esperienza catartica. Un disco metal fatto come Dio Metallo comanda. “Maktub”, “così è scritto”, e non si torna indietro. Contatti: www.myspace.com/zippomusic Luca Minutolo Pagina 79 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 Aidoru Teatro “Elisabetta Turroni”, Sogliano al Rubicone (FC), 7 aprile 2011 È accogliente Sogliano al Rubicone in provincia di Forlì-Cesena. Compare salendo le campagne e i colli romagnoli, e curiosa e sonnacchiosa ti aspetta, oltre che col suo formaggio di fossa (ebbene sì, qui le sue radici...), e l'annuncio per l'estate di un evento da non perdere (Lou Reed in concerto il 23 luglio nella piazza principale), con il piccolo, ma capace, teatro dedicato a Elisabetta Turroni, giovane attrice scomparsa prematuramente anni or sono. Qui, per i Teatri in Residenza, e in resistenza, dati i tagli drastici alla cultura che la provincia ha compiuto mettendo in rovinosa difficoltà sia le sue realtà di cultura di ricerca che un luogo per la musica come Area Sismica di Forlì (per chi fosse in ascolto, e volesse fare volenterosamente qualcosa, battesse un colpo...), ha trovato il suo tempo l'unione di musica, teatro, poesia, video e animazione. È stata il 7 aprile la data che ha infatti qui visto sul palco il “concerto per immagini, parole e sagome di cartone” dell'album “Songs Canzoni_Landscapes Paesaggi”, l'opera più recente degli Aidoru, la band di Cesena in grado con le sue note di evocare veri e propri paesaggi dell'anima. E hanno preso forma le sue vibrazioni con i quattro Aidoru (Mirko Abbondanza, Michele Bertoni, Dario Giovannini e Diego Sapignoli) in ispirata e liquida presenza, accompagnati da quella imponente, ma morbida, dell'attore/performer Leonardo Delogu, proveniente tra l'altro da una comune esperienza, quella del Teatro Valdoca di Cesena. Delogu era alla voce recitante i versi ispirati di Roberta Magnani, già presenti e accennati sul book dell'album, e ritrovabili nell'elegante ed essenziale spillato, dalla carta avorio, distribuito al teatro, impreziosito dalle illustrazioni della bravissima Virginia Mori, anche in scena con la proiezione delle sue animazioni sullo schermo retrostante il palco, a dominare la parete di fronte al pubblico, e nelle sagome in movimento grazie all'azione di Delogu, responsabile appunto anche delle trame scenografiche. A chiudere questo vortice capace di delineare gli spazi dell'uomo, come la città, e il suo soffocante ed estenuante estendersi di cemento, che mette radici anche dentro, i sensibili flash di sguardi a questo mondo del videomaker Daniele Quadrelli: con immagini che passavano dal bianco latte, nebbia in cui confondersi, a sagome in cammino, ombre difficilmente capaci di identità, piogge battenti su asfalto, e tergicristalli che, come metronomi, cercavano di ripulire la pioggia, il tempo a scivolare via, occupava, a fasi alterne, assieme ai tratti, puri, della Mori lo schermo. Ciò che si vedeva acquistava nettezza nello sguardo degli spettatori, che, teatro gremito, erano seduti e immersi in trans, grazie alle scariche sonore degli Aidoru: posizionati ai quattro angoli, quasi in ombra, del palco, lasciavano piena azione di movimento sia alle note, in un ondeggiare di crescendi e di momenti di quiete, che a Delogu. Quest'ultimo creava, volta per volta, con le sagome raccolte della Mori, luoghi urbani, camminati dall'uomo, come già a suo tempo erano presenti nelle immagini del book dell'album. In un percorso a spirale, in avanzata sul palco, che, procedendo verso il basso, faceva sorgere un ultimo “landscape”, un bosco, dove appariva ciò che è primordiale ed essenziale per l'uomo, il suo principio animale, carico di purezza a recuperare ciò che invece è alto, la natura. “Se guardassi il mondo è così vivo nel disperdersi del giorno”, dicono, nel loro incipit, i versi della Magnani. Facendosi giorno in sala, alla fine del concerto/spettacolo, ripresosi da quel sogno così concreto, il pubblico, assorto e commosso, applaudiva i suoi protagonisti, che avanzavano verso la platea, Pagina 80 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Maggio '11 lontane le ombre. Giacomo d'Alelio Non Voglio Che Clara Arterìa, Bologna, 6 Aprile 2011 Cosa c’è di meglio che passare la prima serata di un’estate iniziata con mesi di anticipo in compagnia dei Non Voglio Che Clara? Scherzi a parte, c’è davvero un caldo “straniante” quando alle ventidue circa scendiamo le scalette che conducono allo spazio dedicato al concerto: mura e colonne di pietra che paiono – complice il fascino dell’essere antiche centinaia di anni – sfondo perfetto per le sonorità, sempre a metà tra passato e presente, che contraddistinguono la cifra stilistica dei Nostri. Dopo il breve set dei pugliesi Lenula, snodatosi in mezz’ora di convincenti geometrie che si abbeverano tanto al Capossela più pulp che ai Doors dilatati in atmosfere di organo e delay, è veloce il cambio palco che vede prendere posto Fabio De Min e sodali, mentre in sottofondo rimbombano agghiaccianti dichiarazioni di esponenti della chiesa Cattolica riguardo a temi decisamente forti: scelta coraggiosa, questa di schierarsi, che ce li rende ancora più simpatici. La formazione è fissa sui quattro vertici: batteria, basso, chitarra elettrica/acustica e piano, lasciando occasionale spazio anche a piccole tastiere nascoste e rincorrersi di echi e riverberi. Fondamentale si rivela, in questo senso, l’ottimo lavoro di Stefano Scariot, capace di trasformare le sue sei corde in accenni di partiture di archi e subito dopo in una fantasmagoria di feedback e armonici, determinando a colpi di plettro i repentini cambi di atmosfera che tanto sono piaciuti nell’ultimo lavoro in studio, “Dei Cani”. Ma, in generale, è l’alchimia tra tutti i componenti quella che rende l’intero concerto un’ottima prova, senza momenti di stanca e sorprendentemente più “rumoroso” di quel che ci si potrebbe aspettare. Unico appunto in merito alla scaletta, che ha quasi ignorato l’EP d’esordio “Hotel Tivoli”. Ma forse è solo una fissa di chi scrive, che continua a ritenerlo ciò che di più affascinante abbia mai registrato la compagine bellunese. Carlo Babando Pagina 81 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it