Luglio '11 a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini Numero Luglio '11 Numero Luglio '11 EDITORIALE Rieccoci, nonostante il caldo soffocante, per l'ultimo appuntamento con “Fuori dal Mucchio” della stagione. Al solito, lo caratterizza un sommario ricco di recensioni, segnalazioni e interviste. E, fra queste ultime, vorremmo attirare la vostra attenzione sulla chiacchierata che abbiamo fatto con i responsabili della Fallodischi, piccola quanto attivisttima etichetta la cui produzione è caratterizzata da un'attenzione notevole sia alla diffusione dei file musicali via Internet che all'oggetto-disco; insomma, un mix tra discografia classica e moderne tecnologie che ci sembra rappresenti una strada interessante da seguire per le nuove, piccole label indipendenti. Ciò detto, non ci resta che augurarvi non soltanto buone letture e buoni ascolti, ma anche buone vacanze, e a ritrovarci qui ai primi di settembre, per incominciare insieme un'annata che si preannuncia ricca di avvenimenti, sorprese e novità, di cui però parleremo abbondantemente a tempo debito. Per ora, di nuovo, l'augurio di un'estate serena e, si spera, riposante. Aurelio Pasini Pagina 2 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 Egokid Quarto lavoro per gli Egokid, secondo in italiano dopo “Minima storia curativa”, “Ecce Homo” (Novunque/Self) sembra possedere i crismi per essere definito la prova della maturità. Abbiamo intervistato i due cantanti e leader della band pop-nietzschiana milanese, Diego Palazzo e Piergiorgio Pardo. “Ecce Homo” è una carrellata umana... troppo umana. Possiamo dire che il “kid” è diventato uomo, “un uomo nuovo”? Questo è un disco di formazione, di crescita? Sì, a patto che questo ragazzo diventato uomo non venga considerato talmente “troppo umano” da aver concluso il proprio percorso di crescita. Ragazzi o uomini abbiamo ancora tanti desideri, musicali e non, da realizzare come Egokid. Nell’album ci sono risonanze della musica italiana dell’ultimo mezzo secolo, da Mina in poi, passando per Faust’O (ospite nel CD) e Baustelle. Siete una spugna. Quanto è consapevole questa metabolizzazione? Lo è del tutto. È il pop nel 2011, non solo in Italia, ma nel mondo. Anzi a pensarci bene questo è sempre stato lo spirito del pop, che è di per sé un linguaggio onnivoro, universale e metabolico, che lo suonino i Beatles, o che lo suoni Franco Battiato. Quindi anche se lo suonano gli Egokid. La trasposizione di “Boys And Girls” dei Blur torna all’epoca in cui in Italia venivano tradotte le canzoni di successo straniere. Quanti sapevano che “Senza luce” dei Dik Dik era “A Whiter Shade Of Pale” dei Procol Harum? È il gioco della musica leggera... Com’è nata l’idea? Proprio come dici: giocando al gioco della musica leggera. Avete registrato alle Officine Meccaniche, con uno sforzo produttivo senza precedenti, per voi. In cosa è consistita la differenza rispetto a prima? Pagina 3 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 Nello sforzo produttivo. Le nostre canzoni hanno finito con l’avere una veste più universale, più comprensibile da tutti anche a livello estetico. Il materiale era del tutto pronto a livello di scrittura già prima di entrare in studio, ma il lavoro di produzione lo ha fatto crescere in materia di linguaggi e soluzioni. Quale dote ha portato agli Egokid la collaborazione live di Diego con i Baustelle nel tour dei “Mistici”? Una naturale dinamica di collaborazione e confronto fra artisti e persone amiche. “Credo” è il miracolo dell'umano in sé, una sorta di manifesto non laico, ma, ritengo, direttamente ateo. Come possiamo definire l’ateismo, non semplicemente in contrapposizione a qualcos’altro? Ruberemmo le parole a John Lennon: “God is a concept by which we measure our pain”. Ecco: secondo noi l'ateismo è il concetto che definisce la felicità di sentirsi liberi da qualcosa che necessariamente esiste da prima, per sempre e in una forma incomprensibile dalla ragione e che oltretutto è inspiegabile, come tutte le forme di sofferenza gratuita. In questo senso già la parola ateismo ci sembra concettualmente scorretta. Significa “senza dio”, ma noi non siamo “senza dio”, siamo “CON LIBERTA'”. Conoscendo e intervistando musicisti italiani che compongono in inglese spesso chiedo loro perché non si cimentano con l’italiano. Voi avete effettuato questo percorso. Come ci siete arrivati? Quali sono differenze tra i due approcci? Cantare in italiano ti influenza dal punto di vista compositivo, condizionando, o meglio orientando, la metrica della linea vocale. Devi quindi trovarti una “libertà negli obblighi”, reperire un tuo gusto per scrivere, che renda le tue canzoni credibili ed emozionalmente efficaci innanzitutto al tuo orecchio personale. Oltre alla bellezza di questo lavoro di ricerca, al cantato in italiano si aggiunge anche l’emozione che nasce dal metterti in gioco cantando nella stessa lingua in cui nascono i pensieri. Il cantato in madrelingua è emozionalmente molto più profondo di un cantato in una lingua convenzionale, che finisce comunque col diventare puramente fonetica durante l'esecuzione. Abbiamo parlato di utilizzo di memorie musicali italiane, ma certo non mancano quelle d’oltremanica e d’oltreoceano. La coda di Non mi hai fatto male è west-costiana (a là CSN&Y), altrove ci sono new-wave, pop inglese, Smiths, Beatles... Quali sono i vostri ascolti, i vostri “santini”? Genesis, Police, Bjork, Kate Bush, Yes, David Bowie, Franco Battiato, Umberto Bindi, Stereolab, Orme, Komeda, Mina, Smiths, Patty Pravo, Grandaddy, Lucio Dalla. Contatti: www.egokid.it Gianluca Veltri Pagina 4 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 EX Raccontare in giro che il rock è una musica per i giovani è come voler nascondere circa trenta anni di storia. C’è stato un tempo che il rock era per i giovani, perché esso stesso era giovane; oggi, alle soglie dei sessantanni il rock è una musica: punto e basta. Lo sanno bene i veronesi EX, i cui leader Roby Mancini (voce) e Stefano Pisani (chitarra), hanno mosso i primi passi artistici nei lontani anni Ottanta e oggi, in compagnia di Gabriele Agostinelli al basso e Adriano Marchi alla batteria, continuano a dipingere di note il loro universo parallelo, che qualche volta sfocia nella nostra dimensione e da questo scontro, fatto di sogno e realtà, nasce la loro musica, un rock militante rigorosamente in italiano, perché le cose da dire sono tante e bisogna farsi capire bene. Perché la parola non è un opzione, ma un diritto. Nonostante quattordici anni di storia, è la prima volta che gli EX trovano spazio nel Mucchio Selvaggio. Vogliamo raccontare un po’ di storia e storie della band? Volentieri, e intanto grazie per questa opportunità. Gli EX nascono nel 1997 per volontà del cantante Roby Mancini, unico membro originario rimasto ancora nella formazione attuale. Proveniva dagli Slan Leat, un gruppo che offriva un rock anni 70 condito di ogni tipo di eccesso. Inizialmente le sonorità degli EX erano un po’ più legate all’hard rock e al metal inglese, rispetto a quanto non lo siano ora, ma una cosa che fin da subito è stata una nostra caratteristica peculiare è stato l’uso di testi in italiano, un’idea che tuttora portiamo avanti fieramente. La formazione attuale (che è anche quella del disco appena pubblicato) è - oltre a Roby alla voce - Stefano Pisani alla chitarra (arrivato nel 1999 dopo una lunga esperienza nel metal italico con Spitfire ed Exile, oltre che nel rock italiano/post-grunge di Vertigo, Frenetica e Madreterra), Gabriele “Ago” Agostinelli al basso e voce, Adriano Marchi alla batteria (una sezione ritmica che ha portato nel sound degli EX una ventata di funky/crossover, per uno stile che è sempre rock, ma che in fin dei conti non si rifà a nessuno in particolare, se non a una contaminazione delle esperienze e dei gusti di ognuno dei componenti). Abbiamo all’attivo 4 CD (“Grida” del 1998, “Puro rock” del 2002, “Gion Uein” del 2005 e “Dei” del 2011) e qualche brano sparso inserito in varie compilation. Pagina 5 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 Una nota canzone degli Afterhours dice “Non si esce vivi dagli anni Ottanta”. Io invece vi chiedo come si esce vivi dagli anni Novanta e Zero? Siete in quattro nella band, e almeno due di voi hanno un’esperienza quasi trentennale di musica underground, di concerti davanti a due ubriachi, di viaggi di notte, di palchi sfasciati, di risse, di musica insomma... In linea di massima saremmo anche d’accordo sul discorso degli Afterhours, anche se dobbiamo dire che c’è una cosa da salvare degli anni ’80: il metal, che proprio allora è nato con la NWOBHM (New Wave Of British Heavy Metal) e con il suo contraccolpo anche in Italia. Poiché la nostra cultura e formazione musicale risalgono proprio ad allora, pensiamo che nonostante tutto dagli anni 80 siamo quindi usciti vivissimi. E proprio grazie a quella gavetta siamo tranquilli anche sulla possibilità di uscire vivi dalle ultime due decadi di disastri musicali (ma anche di pietre miliari). In fin dei conti il rock, che era dato per spacciato già ai tempi della sua nascita con Elvis negli anni ’50, è tuttora vivo e vegeto, ed è tuttora la musica più ascoltata, suonata, sfruttata a fini commerciali di tutti i tempi. Quando noi abbiamo cominciato a suonare (o almeno i più “datati” del gruppo...) non c’era quasi niente: niente sale prova, niente locali per suonare, niente internet, niente grafica computerizzata, niente sale d’incisione con un minimo di cultura rock, niente soldi per comprarsi uno strumento decente; erano anche tempi bui a livello sociale, chi faceva rock era un diverso, un drogato, un outsider (beh in effetti - nella testa di qualcuno - è ancora così...). Crediamo che la strada e la musica siano state una scuola durissima, e siamo molto orgogliosi di essere ancora sul palco a raccontare la nostra storia, e a dire ai più giovani di non mollare, di avere il coraggio delle proprie scelte, fino in fondo. Le nostre canzoni parlano molto di questo. Pur suonando un rock bello robusto, usate appunto l’italiano, una scelta coraggiosa. Quanto vi ha aiutato e al contrario danneggiato? L’uso dell’italiano è una nostra caratteristica da sempre, un’arma a doppio taglio con cui ci piace giocare. Abbiamo sempre pensato che non ha senso esprimere le nostre idee, noi stessi, in una lingua che non sia la nostra. Perché dovremmo farlo in inglese? Solo perché secondo alcuni il rock si canta in inglese? Non siamo d’accordo. La nostra cultura musicale è profondamente radicata negli anni d’oro del rock (cioè i ’70), ma non solo inglese e americano: nel nostro DNA ci sono per esempio anche Biglietto per l’Inferno (di cui facciamo l’unica cover del nostro repertorio, “Confessione”), Balletto di Bronzo, Rovescio della Medaglia. È vero, facendo musica originale e in piùè facile trovare degli spazi. Ma noi non ci spaventiamo, tutte le esperienze che abbiamo fatto ci hanno reso molto determinati e resistenti, crediamo in quello che facciamo, e in più ci piace la sfida, abbiamo il gusto della lotta per conquistarci quello che ci meritiamo. Nell’epoca di Internet si può arrivare alla fonte di quasi tutta la musica del mondo, ma la gente sembra disposta solo a prestare il proprio tempo alle certezze, ascoltando e omaggiando sempre i soliti trenta gruppi che hanno fatto la storia del rock. Secondo voi ci sarà mai un periodo di svolta, un momento di vero passaggio, dove ci sarà spazio anche per chi, pur guardando ai classici, prova a esprimersi con un proprio linguaggio? Oggi c’è un bombardamento continuo di impulsi, il che - come tutte le cose - può essere Pagina 6 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 negativo, ma anche positivo perché ci sono molte più opportunità - per chi è curioso - di scoprire situazioni differenti, al limite anche di nicchia. E se c’è intelligenza e voglia di capire, abbiamo una grande abbondanza di elementi per farci un’idea, per approfondire, per sapere. E più si sa, più si ha coscienza della propria individualità e dei propri diritti. Il problema è forse che - se invece manca la curiosità e la voglia di capire - spesso si resta passivi, pigri, ebeti e immobili davanti a una televisione o a un computer. E allora ti possono spacciare qualsiasi cosa per realtà. Anche nella musica. Alla fine la tecnologia fornisce solo degli strumenti: sta a noi far sì che questi siano al servizio di noi stessi, che diventino un mezzo per alimentare idee, personalità, cultura. Non è un caso che il nostro ultimo album si intitoli “Dei”: incredibilmente e stupidamente la società moderna si è resa schiava dei propri strumenti, e si è creata falsi dei che si chiamano denaro, potere, immagine, carriera. E anche questo, purtroppo, spesso lo si vede anche nella musica. Il vostro imperativo è suonare dal vivo, che sembra essere l’unico vero fatto positivo di questo rock targato anni duemila. Avete qualche episodio strano e/o divertente che vale la pena condividere con i nostri lettori? Sì, la dimensione del palco è veramente quella in cui ci troviamo più a nostro agio; tra l’altro tutti i nostri dischi sono stati registrati cercando di mantenere il vero spirito degli EX, che è fatto di essenzialità, immediatezza, aggressività. Poche sovra incisioni, un sound diretto. E sul palco siamo sempre noi stessi, nessun atteggiamento artefatto, nessun falso ammiccamento al pubblico; e chi ci ascolta se ne accorge e - crediamo - apprezza. Tanto per fare un esempio, in occasione di un festival estivo all’aperto, praticamente circondati da forze dell’ordine, durante la presentazione della canzone “Luce e fumo” (presente nel nuovo disco), abbiamo fatto notare che questo titolo potrebbe avere una doppia interpretazione, perché se lo traduci in inglese (cioè “Light And Smoking”) potrebbe anche significare “Accendi e fuma”. Erano i giorni in cui un noto ministro stava calcando la mano sulla (giusta) prevenzione contro la droga, ma con proclami che a volte rasentavano la sciocca demagogia (e - va da sé - in questi casi il rock ci va sempre di mezzo). Dedicammo la canzone a questo ministro, appellandolo diciamo con parole che non erano proprio dei complimenti. C’è stato un momento in cui abbiamo veramente temuto che le forze dell’ordine ci avrebbero tirato giù dal palco! Uno dei brani più belli ed intensi dell’album, “Verona 80”, racconta di una città non da bere, ma dilaniata dalla droga, che svelava i primi segnali di insofferenza verso gli stranieri, di una città lontana da quel modello culturale e di integrazione che sognava di essere. Pensate che da allora qualcosa sia migliorato o stiamo precipitando sempre più in basso, ed eventualmente perché? E in generale la musica ha ancora il potere di regalare idee, sogni, speranze o è solo un surrogato della moda, proprio come una paio di scarpe o un pantalone? Verona è una bellissima città; negli anni della nostra adolescenza era però una città dura da vivere: tantissima droga, terrorismo, la periferia in mano alla mala, molti militari, troppe caserme. Da allora è cambiato molto. Però dal nostro punto di vista, cioè come cittadini e musicisti, abbiamo visto negli ultimi decenni un grandissimo impulso economico che ha oscurato, o meglio fagocitato, quello che poteva essere un’altrettanto grande crescita culturale. Nel senso che il livello culturale di una città non è solo rappresentato dal numero di turisti che vengono a vedere la casa (finta) di Giulietta o il festival areniamo (col bilancio Pagina 7 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 sempre in rosso), bensì dagli spazi che si danno ai giovani, dalle opportunità di crescita personale e socioculturale che si offrono ai cittadini, soprattutto a quelli che saranno i cittadini attivi del futuro. Invece - naturalmente non solo nella nostra città - soldi e potere la fanno da padroni, in mano a pochi porci attaccati alle poltrone; pochi guardano al futuro, pochissimi pianificano uno sviluppo sostenibile, equo e a misura d’uomo. Lo stesso vale un po’ per la musica, che è soprattutto una passione, ma anche un grande veicolo di idee. Quindi se chi la fa ha idee, sicuramente ci regalerà sogni e speranze; se chi la fa ha invece solo in mente un tornaconto economico, un business, allora quello che ne deriverà non sarà altro che futile, inutile, fragile apparenza. Stefano, il chitarrista, ha pubblicato anche alcuni libri di racconti brevi, un po’ come scrivere testi di canzoni. Come riesce a conciliare le due cose e che altro dobbiamo aspettarci dai singoli musicisti degli Ex? A Stefano è sempre piaciuto cercare di comunicare il proprio pensiero, le sue idee, per confrontarsi e a volte anche scontrarsi al fine di approfondire le cose; l’ha fatto anche tramite la scrittura, sia di racconti che di testi di canzoni. Ora però è molto più concentrato sulla musica vera e propria; i testi è giusto che vengano sviluppati da chi poi li canta, quindi negli EX chi scrive i testi è essenzialmente Roba. Negli EX la composizione dei brani non è mai stata un problema: abbiamo un’idea così omogenea della musica e della direzione che deve tenere il gruppo che praticamente mai nessuno deve dire all’altro cosa suonare e come suonarlo; ognuno mette la sua parte ed è sempre la parte giusta che serve al pezzo. Anche se tecnicamente ognuno di noi potrebbe dare di più, nel senso che potrebbe mettere in evidenza e dare fondo a tutte le proprie capacità sullo strumento, come molti musicisti oggi fanno (a volte ottenendo il risultato opposto di triturare i coglioni), il tempo e la lunga convivenza nella band ci hanno insegnato la misura: suonare e dire quello che serve, né più né meno. Contatti: www.myspace.com/expastarock Gianni Della Cioppa Pagina 8 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 Fallodischi Alla ribalta grazie agli EP di L’Amo e La Via degli Astronauti, la piccola etichetta partenopea Fallodischi in poco più di un anno di vita si è lanciata in una produzione senza sosta, confezionando i dischi a mano e promuovendo le proprie band con serie di concerti per tutta Napoli e non solo. “Do it yourself” fino al midollo, abbiamo parlato con Mario Orsini, metà anima dell’etichetta. Anzitutto facciamo un po' di chiarezza. Esiste una scena musicale indipendente napoletana? A discapito dei comodi luoghi comuni, Napoli non è solo popolata da neomelodici, malavita e indolenza sociale. Esiste eccome, Napoli è un po’ come New York, le cose te le devi cercare e lo devi fare anche bene, sennò andrai a vedere sempre la stessa merda. Ma Napoli è anche una città dotata di un’autarchia disarmante. Il napoletano vuole poter fare a meno degli “altri”, e in questo caso gli “altri” sono il resto dell’Italia. È per questo che da noi i neomelodici hanno tutto questo successo, perché sono le “Star” di questo sottosistema. Di indolenza però ce n’è tanta in tutti gli ambienti, non c’è insomma, solo quella “sociale”, ma è anche molto spesso quella leggerezza necessaria con cui affrontare la tragicità della vita. Come è nata l'idea di creare un etichetta indipendente proprio a Napoli? E quali sono le difficoltà che si trovano nel gestire un etichetta lontana territorialmente dal "centro" nevralgico della musica indipendente italiana? Fallodischi è sostanzialmente Alessio e Mario. Alessio va per mare, Mario va al porto a salutarlo con il fazzoletto bianco. Diciamo che io ed Alessio mettiamo i soldi, ma la Fallodischi è una gang, ed i gruppi che ci girano intorno sono formati da nostri amici o da persone che lo sono diventati, perché ci siamo innamorati della loro musica. Beh se vuoi qualche indiscrezione sulla nascita dell’etichetta, sappi che non è stato niente di più complicato di : “Frà ci mettiamo a fare i dischi?”. Per le difficoltà l’unica cosa che mi pare di notare, è una certa mancanza di attenzione da parte di “testate di settore” riguardo ciò che succede a Napoli, ma se stiamo facendo questa intervista, significa che le cose già stanno Pagina 9 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 cambiando. In compenso questa lontananza dal “centro” , mi fa venire in mente il ruolo che hanno avuto i “barbari” nella caduta dell’Impero Romano. Si, noi siamo i Barbari, abbiate paura! I gruppi della Fallodischi sono abbastanza eterogenei, e spaziano dal folk/blues di Rella The Woodcutter alla new wave pungente dei L'Amo. Secondo quali criteri scegliete i gruppi da produrre? Solo l’idiota non cambia mai idea, siamo eterogenei perché scegliamo i gruppi col cuore e la pancia. Poi Alessio è un consumatore di musica vorace. Io voglio far uscire un disco Hip Hop alla Anticon o Anti-Pop Consortium. Insomma è difficile stare dietro alle nostre voglie. Un altra caratteristica della Fallodischi risiede nella cura dell'oggetto musicale. Confezionate e numerate i dischi a mano, con la stessa cura delle lasagne della nonna, ma allo stesso tempo sfruttate anche il download gratuito. Qual'è la vostra politica al riguardo, e cosa pensate dell'ormai affermata tendenza a lasciar scaricare gratuitamente i dischi? Facciamo i dischi a mano, perché non vogliamo essere limitati dai “mezzi economici” e perché poi un po’ di sano artigianato fa sempre fico! Per quanto riguarda il download gratuito, io ed Alessio moriremo poveri, quindi meglio far girare la roba il più possibile, fregandosene dei così detti “criteri di professionalità”. Suvvia viviamo in un paese in cui manco Ligabue vende più i dischi, quindi vai di free download! l’abbiamo fatto noi, puoi “FALLO anche Tu”! Hai anche un tuo progetto musicale, La Via degli Astronauti. Beh, La Via degli Astronauti erano Antonio, Luigi, Raffaele e Mario. Dico erano, perché Antonio e Raffaele hanno abbandonato il progetto per motivi personali. Al momento siamo in restyling, aspettiamo due bei maschioni che prendano il loro posto. “La via degli astronauti” è tutto per me. Volevamo raccontare delle storie, e metterci un sottofondo musicale ossessivo, metropolitano. Pare che in parte ci siamo riusciti. All'interno dell'EP "Storie", c'è un brano tratto da "Tra le più ardenti" di Bukowski. Quanto la letteratura influenza la stesura, e non solo, delle canzoni dei "La Via degli Astronauti"? Ci influenza non più ne meno del “mestiere di vivere”. "Napul'è mille culure", cantava qualcuno tempo fa. Ad oggi qual'è lo stato di salute della Fallodischi, e quali colori state mischiando nella vostra tavolozza? A cazzo duro direi! Abbiamo intenzione di continuare ad organizzare concerti, suonare e far uscire dischi. Al momento siamo in “vacanza” perché Alessio è per mare. Ma non appena tornerà ne faremo delle belle. Abbiamo pronti già tre nuovi EP e finalmente, questo lo dico per chi già conoscesse la Fallodischi, il primo full-length dei L’Amo. Contatti: http://fallodischi.blogspot.com Luca Minutolo Pagina 10 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 Pagina 11 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 Forty Winks Ho mandato ai Forty Winks qualche domanda: l'argomento era l'ultimo album, uscito per Unhip, intitolato "Bow Wow". Mi son arrivate delle risposte forse non troppo dilatate, ma che di certo non si nascondono dietro ad un dito e colgono il segno. E poi qui c'è l'ironia e la grinta, quella stessa energia che potreste trovare ad un loro concerto -o ascoltando i loro lavori- e che si contiene a fatica tra queste parole. Ed ecco a voi, senza troppi giri di parole, i Forty Winks. L'ho notato subito e poi l'ho trovato pure scritto: in questo disco si affacciano prepotentemente gli strumenti a tastiera. E' stato un'innamoramento recente oppure era qualcosa che covava sotto la cenere da tempo? Mah in realtà già nel disco precedente avevamo utilizzato un po' di sintetizzatori. Diciamo che in quest'ultimo "Bow Wow" abbiamo sgravato con organi e Wurlitzer. E’ stato tutto quanto molto spontaneo, tra un trip e l'altro. Ho letto che la fase di scrittura ha avuto qualche ripensamento alla ricerca di nuove influenze. Avevate in mente qualcosa di specifico prima di mettervi a scrivere oppure non eravate solo convinti del materiale? Potete raccontarci com'è andata? Anzitutto dobbiamo dire che era passato un po' di tempo rispetto al lavoro precedente. I primi tre anni siamo stati in giro per concerti, e non ci siamo certo preoccupati troppo a comporre brani nuovi. Passato questo momento ci siamo fiondati in sala, ed abbiamo così registrato sempre tutto quello che veniva fuori ad ogni nuova prova. Poi, semplicemente, molte tracce sono rimaste incomplete, quelle finite le ascolti sul disco. Per la registrazione non vi siete fatti tentare da nomi altisonanti o luoghi fighi, avete optato invece per il vostro fonico in uno studio molto vicino a voi. È stata una scelta ben precisa oppure è stata solo comodità? Beh, Frillone ci segue da sempre, ci conosce molto bene così come noi conosciamo lui. Possiamo anche trattarlo male, tanto a lui piace, poi si incazza, gli viene la gastrite ed il Pagina 12 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 vomito e ci fa molto ridere. Poi senza nulla togliere al Red Angelo che è decisamente uno studio ganzo, non ho mai pensato che ci sia bisogno di nomi altisonanti per fare un disco figo. Quello che serve davvero sono le idee chiare ed un fonico che ci sappia mettere mano. Proprio per questo penso che abbia fatto un ottimo lavoro. Mi avete sempre dato l'impressione di non considerare l'Italia come il vostro principale obiettivo, ho sempre pensato miraste più in alto, all'Europa così come agli States. È vero? E c'è stato un riconoscimento che vi ha fatto pensare "beh, almeno tutta questa fatica vale qualcosa"? Guarda, a livello umano ti devo dire che ne è sempre valsa la pena per un sacco di cose. Ma la frase "beh almeno tutta questa fatica vale qualcosa" mi fa venire in mente un caro amico che tanti anni fa ci telefonò mentre eravamo in tour in America Ci disse proprio "che bello, siete in tour in America, ce l'avete fatta!" (in senso generico). Dall'altra parte della cornetta però c'eravamo noi vestiti naif, pieni di valigie male assortite, in mezzo alla strada e reduci da un concerto davanti a dieci persone. Ah, ad oggi non abbiamo manco mai svoltato, ovviamente. E a tal proposito lascio un messaggio a Cangio (il protagonista dell'aneddoto): Grazie per averci portato fortuna! È il vostro primo lavoro con Unhip, ma di label ormai avete una certa esperienza. Quali sono le caratteristiche che voi vorreste in una label ideale, soprattutto al giorno d'oggi? Avrei coniato un semplice slogan: poche menate, gran baldoria, fattanze e taffiate tipiche. Bologna. Dal di fuori sembra un posto molto vivo, con parecchie band e locali ancora aperti. Per voi che ci vivete le sensazioni cambiano? Barattereste la vostra città per, che so, Londra? Beh, "Pologna è sempre Pologna" (giusto!), si dice così. Sicuramente per un sacco di cose sarebbe da barattare, anche perché ti dirò che per un bel po' di cose è anche peggiorata negli ultimi tempi. Tuttavia ci tocca comunque rimanere, perché a Bologna ci sono i tortelloni. Contatti: www.fortywinkslounge.com Giorgio Sala Pagina 13 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 Gazebo Penguins I Gazebo Penguins sono Capra, Sollo e Piter. “LEGNA”, scritto rigorosamente in maiuscolo, è un disco pesante che colpisce inevitabile proprio come da titolo. Testi in italiano, chitarroni ed una foga viscerale unica sono la cifra stilistica che caratterizza un disco, e una band, tutta cuore e sorrisi. Scopriamo con Capra e Sollo cosa si nasconde dietro questo carico pesante di “LEGNA”. Legna" segna una svolta importante per il vostro gruppo, ovvero il passaggio alla lingua italiana. Cosa vi ha portato a scegliere l'ardua via della lingua nostrana? Capra: A dir la verità, quando eravamo lì che facevamo le ultime prove prima di entrare in studio, per noi la faccenda di cantare in inglese o in italiano era veramente a 50 e 50. Metà dei pezzi avevano un cantato in inglese o una lingua che gli assomigliava, e l’altra metà li cantavamo scarabocchiando qualcosa in italiano. Da una parte c’è stata un po’ la voglia di cambiare, di fare qualcosa di nuovo, giusto per provare; e dall’altra ci siamo detti che comunque non avremmo fatto dei debiti o ricevuto minacce di morte se avessimo cantato in italiano. E poi ci immaginavamo che ai concerti la gente potesse cantarci i pezzi in faccia, che potesse ricordarli meglio, essere più spronata a ripeterli, a godere. A conti fatti, ora, vedendo com’è venuto fuori LEGNA, ci rendiamo conto che non poteva essere altrimenti . Sollo: Avevo questo desiderio recondito di lanciarmi nella scrittura e nel canto di testi in italiano pur non avendo molta esperienza in ambito scrittura di testi in generale. Non ascolto molti gruppi italiani, specie quelli che cantano in italiano. Però durante le prove è venuto naturale lanciare qualche frase a caso in madrelingua sulle strumentali che stavamo componendo. Funzionava e dava anche parecchia soddisfazione. Credo che la cosa più bella del passaggio all’italiano sia stato proprio questo confronto costante, e le battaglie per decidere una parola piuttosto che un’altra sono uno dei ricordi più belli della realizzazione di “LEGNA”. Fin dal titolo, "Legna" risulta un disco pesante, sia a livello sonoro che di significati, forte di testi a cuore aperto. C'è un forte senso di perdita, di persone e cose ormai Pagina 14 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 rinchiuse nel ventre dei ricordi. Sicuramente delle faccende molto personali, ma da cosa sono scaturiti? Capra: La riflessione sul tempo e sui ricordi, sono dei pensieri su cui personalmente ritorno spesso. Certe volte capita che qualcosa sparisca dalla memoria senza che ce ne accorgiamo, e può succedere che per il resto della nostra vita non accada più nulla che ci permetta di riportarlo a galla. Il testo di “ Frate Indovino”, ad un certo punto, dice esattamente questa roba qui: “Ciò che smarrisci ha due verità: da un lato è nulla, e nulla esiste più; dall’altro c’è la percezione che rimanga sempre una tua proprietà”. “Ci mancherà” è una canzone che ha qualcosa a che fare con quei ragazzi che quasi 70 anni fa decisero di fare i partigiani. Paradossalmente, per certe cose, meno si ha paura e meno si è capaci di fare qualcosa di buono. Il pezzo non è esplicitamente un omaggio a loro, ma più che altro la constatazione che oggi, molto probabilmente, noi non saremmo in grado di fare le stesse cose che hanno fatto loro quando la storia glielo ha chiesto. Anche Senza di te voleva raccontare una perdita, ma volevamo che fosse una perdita non chiaramente identificabile, qualcosa che avesse a che fare con una persona e al contempo con un gatto. Il vostro ultimo disco è frutto anche di preziose collaborazioni, come quella con Jacopo Lietti in "Senza di te" ed il packaging in cartone pesante del disco. Com'è nata questa collaborazione? Capra: È andata così. Che nel settembre del 2009 avevamo chiamato i Fine Before You Came a suonare all’iGloo, la nostra sala prove, dove ogni tanto organizziamo dei concerti. E comunque i FBYC vennero e ci siamo conosciuti. Poi son rimasto in contatto con Jacopo e siamo diventati amici. C’era questo pezzo, “Senza di te”, il cui cantato della strofa proprio non ci saltava fuori. Così gli abbiamo mandato i provini, lui si è caricato, noi ci siamo fidati, ed è venuto a registrare. E mentre si parlava del testo e di quanto è bello fare i dischi, è venuta fuori anche la storia che assieme al suo socio Stefano avevano una serigrafia e avrebbero potuto gestire tutta la faccenda della stampa e quant’altro. Sollo: Capra ha un po’ bevuto. Perché i FBYC li abbiamo conosciuti molto tempo prima, a una data che facemmo insieme al Calamita di Cavriago eoni di anni fa. Fu uno spasso e già da li personalmente capii che Jacopo non ci stava prendendo per il culo quando ci diceva che gli piacevamo un sacco. Ricordo mi disse che gli ricordavamo un casino i Braid. Dici poco! La caratteristica principale di questa nuova scena, è la conformazione ed il legame tra i vari gruppi, come il vostro, i Fine Before You Came, ecc. prima di tutto fondati su un senso di amicizia, piuttosto che di collaborazione, che vi infonde un aura di assoluta genuinità e naturalezza. Ha un senso oggi parlare di scena? Capra: Parlare di scena è un modo di classificare. Di rendere le cose più ordinate, e poterle ricordare meglio. Aiuta ad inquadrare, a creare degli schemi. Si è sempre fatto, e non c’è niente di male. Personalmente, dire scena è un altro modo di definire persone che conosco e con cui sto bene. Ivan Illich aveva scritto questa roba: “All’intera cultura si offre oggi di scegliere tra la tristezza della disoccupazione e la gioia del tempo libero”. Ecco, la scena che mi immagino è quella fatta di persone che hanno deciso tirare fuori dal proprio tempo libero più gioia possibile, facendo una delle cose più gratificanti che la vita ci ha dato la fortuna di esperire: suonare. La scena che mi immagino è fatta di gente che suona perché pensa sia Pagina 15 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 una cosa – come mi ha detto una volta Jacopo (Lietti, Ndr) – talmente inutile da essere fondamentale. Anche voi, da inguaribili romantici, avete promosso il disco in free download ed in formato fisico. Riuscireste a spiegare al mondo là fuori che non siete dei fessi, e che questa è solo una buona soluzione per far girare la propria musica, e magari vendere i dischi in formato fisico ed avere gente ai concerti? Capra: Ehi, mondo là fuori che probabilmente non stai leggendo quest’intervista, abbiamo fatto “LEGNA” con la prima preoccupazione di fare una roba che ci gasasse per più tempo possibile, e con la seconda preoccupazione che venisse ascoltato il più possibile. Ehi, mondo: non pensare che arrivino palate di soldi coi dischi come “LEGNA”, perché non è così. Il successo che cercavamo è in realtà quello che è effettivamente successo, e cioè che più di mille persone in ventiquattr'ore si sono scaricate il disco; e poi ne sono arrivate altre mille nel giro di tre giorni, e poi ora dovrei chiedere i conti a Piter per sapere a che punto siamo coi download. E nei primi due concerti abbiamo venduto al banchetto più dischi di quanti ne avessimo venduti del vecchio in due anni di live. Questo per noi è grandioso. Punto. Vivete tra Correggio e Zocca, ovvero la patria di Ligabue e Vasco Rossi. Questo è mai stato un fardello che vi portate sulle spalle, specialmente agli inizi? Sollo: Aneddoto: all’età di 14 anni vivevo con i miei genitori in un appartamento in centro a Correggio precisamente in Galleria Politeama (ex cinema, di quelli a galleria per l’appunto). Devi sapere che i miei genitori di nome fanno Livia Ligabue e Luciano Sologni. Sul campanello di conseguenza campeggiava in maiuscolo: L. LIGABUE - L. SOLOGNI. Un giorno mia mamma entra incazzata dalla porta di casa con una busta tempestata di cuori, baci con rossetto e scritte rosa che citavano “X LUCIANO”. Vaglielo a spiegare. Contatti: http://www.gazebopenguins.com/legna/ Luca Minutolo Pagina 16 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 The Casanovas Uscito lo scorso maggio, “Hot Star” (Ice For Everyone/Audioglobe) è l’album d’esordio dei toscani Casanovas, capace di sposare una ruspante formula garage-rock senza perdere in freschezza e comunicatività. Abbiamo approfondito grazie a un agile “botta-e-risposta” con la frontwoman Diletta Casanova. Com’è nata la band e come vi trovate con la formula del duo? Le associazioni con formazioni come Boss Hog, Kills o White Stripes sono destinate ad abbondare, indipendentemente dalle affinità stilistiche più o meno concrete. I Casanovas nascono come duo nel giugno 2009 con Diletta Casanova al basso e alla voce e Giacomo Dini alla batteria. La formazione resta questa fino al maggio 2010, periodo in cui Giacomo viene sostituito da Sirjoe Stomp. Attualmente i Casanovas stanno inserendo un terzo elemento nell’organico: trattasi di Simone Lalli, che ha tra l’altro preso parte agli arrangiamenti di chitarra, synth ed elettronica su tre delle undici tracce di “Hot Star”. Ecco perché gli accostamenti che riporti andranno inevitabilmente perdendosi, anche se non ci dispiace essere paragonati a Boss Hog, Kills e White Stripes: sono tutti gruppi che amiamo. La scelta di suonare senza chitarra, soltanto con basso e batteria, è più casuale o voluta? I Casanovas dovevano essere in origine tre: il classico “power trio” basso, chitarra e batteria. Diciamo che la scelta è stata casuale in seguito all’abbandono repentino di colui che doveva essere il chitarrista. Avevamo già delle date fissate, un live set da riarrangiare e un nome da scegliere. Il tutto, poi, forte di una forma più delineata e precisa, si è evoluto ed è proseguito come soluzione stilistica sia musicale sia estetica. Però, come ho accennato sopra, adesso le cose stanno cambiando... Le vostre canzoni dall’impronta fortemente garage mi fanno pensare a una certa scena indie-rock americana, che va dalle Bikini Kill alle Sleater-Kinney, ma l’utilizzo Pagina 17 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 parsimonioso dell’elettronica allontana allo stesso tempo l’eco degli anni 90. Come avete bilanciato le due tendenze? Dobbiamo precisare che gli arrangiamenti di elettronica sono stati fatti, appunto, da Simone Lalli, che ha un background musicale completamente diverso dal nostro. All’inizio ero un po’ scettica sulla collaborazione proprio per via di questa differenza, ma abbiamo deciso di provare e andare avanti poiché non volevo che il sound dei Casanovas restasse relegato a un unico, preciso input sonoro, come appunto le melodie dei ‘90 o l’intenzionalità selvaggia del garage Sixties. Il risultato ci ha soddisfatti a tal punto da inserire attivamente Simone nell’organico della band. Nella prima canzone in scaletta, “Radio Days”, si canta dei dischi di Coltrane, Cohen e Ramones comprati a quindici anni. In realtà, quali sono state le vostre influenze primarie, i vostri primi, determinanti ascolti? In effetti quindici anni sono un po’ pochetti, però a diciassette avevo davvero i dischi di Cohen e dei Ramones, soltanto che “seventeen” metricamente non stava nel testo perché avevo bisogno di una parola a due sillabe e non a tre. A parte questo, non saprei dirti quali artisti sono stati più influenti per questo disco, che secondo me è il summit di una serie di ascolti fatti lungo un’intera vita (seppur abbastanza breve). Lungo questa vita, però, direi che è stata determinante la contaminazione con il “Seattle sound” anni 90, che ha segnato la mia adolescenza. In seguito mi sono data a sonorità più vintage, al garage americano ma anche a tanta musica Sixties “made in England”, classici e non, per poi tornare ai tempi più moderni della no-wave, del post-punk, eccetera, eccetera. “Hot Star” è uscito per l’etichetta Ice For Everyone di Appino, che tra l’altro compare come ospite nella conclusiva “Amore a Scampia”. Che rapporto avete instaurato con lui e gli Zen Circus? Con gli Zen Circus ci conosciamo da tanti anni, dai tempi in cui c’era ancora il vecchio batterista Teschio al posto di Karim e si chiamavano semplicemente Zen. Lucca, la città da cui provengo, è sempre stata musicalmente meno attiva rispetto ad altre città toscane come Firenze, Livorno o Pisa, per cui da piccola - e, ahimè, tuttora - mi spostavo spesso altrove per concerti e altro. Ero ancora minorenne quando vidi gli Zen Circus per la prima volta allo storico C.S.O.A. Makkia Nera di Pisa, prima che gli dessero fuoco. Teschio suonava spesso completamente nudo e quella fu, probabilmente, anche la prima volta che vidi dal vero un organo genitale maschile... A proposito, oltre ad “Amore a Scampia” ci sono altre due tracce in italiano. Come vi destreggiate tra l’inglese e la nostra lingua? Come decidete quale adottare per ciascun brano e pensate che in futuro possa prevalere del tutto l’una o l’altra? La scelta della lingua in “Hot Star” non è stata premeditata, bensì frutto di un’esplosione data da un’urgenza espressiva che non ha badato a leggi e regole: per un esordio, ci può stare. In futuro vorremmo costruire i pezzi in maniera diversa, un po’ più “pensata” per così dire. Il fatto di uniformare il linguaggio sarà un elemento in più, ma dobbiamo ancora decidere fra inglese e italiano. Io sono per l’inglese, comunque. La vostra musica si presta a esplodere dal vivo. Progetti in tal senso? Giubbini anti-proiettile ed elmetti protettivi da distribuire gratis ai nostri concerti? Chissà... Pagina 18 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 Contatti: www.myspace.com/thecasanovasgarageloveduo Elena Raugei Pagina 19 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 Unmade Bed Gli Unmade Bed sono un’esperienza sonora, un flusso incantevolmente acerbo e innocente. Lasciarsi andare ai suoni composti e aggraziati da questa formazione è stato davvero piacevole e interessante. Un nuovo tempo caratteristico, personale e domestico, dove la percezione è il mood. Il disco di cui raccontiamo, “Mornaite Muntide”, è il secondo lavoro del trio, ed è uscito per la Red Birds/Audioglobe Come mai la scelta della registrazione binaurale per questo vostro secondo lavoro? Come siete arrivati a sceglierla? Vincenzo: Era necessario che l'ascoltatore potesse essere il destinatario ed il protagonista di quanto gli stesse accadendo tutt'intorno, di quanto i vari personaggi di questo disco gli stessero sussurrando negli orecchi: in un certo senso non avevamo altra scelta che non fosse quella di una ripresa in binaurale anche perché ad un certo punto è apparso chiaro che i brani stessi pretendessero naturalezza, fisicità e dimensione all'atto di essere riprodotti. A ben guardare, potrebbe essere inteso anche come un modo per riappropriarsi della portata comunicativa della musica: in un momento come questo nel quale molti fattori determinano ascolti sempre più disinteressati e proposte artistiche spesso sterili, il riuscire a raccontare una storia senza l'ausilio d'immagini o altri espedienti e restituire tali possibilità d'immedesimazione, la dice lunga sugli spazi di manovra che la musica da sola ancora consente. Ovviamente, però non avevamo in mente tutto questo come obiettivo né come scintilla all'atto di optare per questo tipo di ripresa. Matteo: L'abbiamo scelta per almeno due motivi: il primo è che grazie a questa tecnica abbiamo potuto ricostruire spazialmente lo scenario della nostra storia, che è un elemento fondamentale per l'ascolto del lavoro che proponiamo; il secondo è che riteniamo questo espediente senza ombra di dubbio il modo più naturale di ascoltare musica e che sia doveroso - se non d'obbligo - coinvolgere dal di dentro l'ascoltatore. Quando componevate avevate già questo supporto della registrazione in mente o Pagina 20 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 composizione e registrazione si sono attraversate? M.: C’è venuto in mente durante le fasi di scrittura: più andavamo avanti con i brani e la storia e più ci rendevamo conto che la nostra musica e questa tecnica di registrazione avrebbero dato vita ad un connubio irrinunciabile. Avete suddiviso il disco in capitoli che si sviluppano in un vortice sonoro ora mellifluo, ora compatto, ora spaziale. Cosa si può raccontare del vostro modo di essere gli Unmade Bed? M.: Il progetto Unmade Bed rispecchia nel bene e nel male i nostri svariati lati, da quello romantico a quello schizofrenico. Ragioniamo molto su quello che facciamo, ma per nessun motivo ci precluderemmo mai una fase istintiva, sia in scrittura che nei live. È normale che una determinata sera un nostro brano, per quanto ponderato possa essere, risulti più lunatico o suscettibile del solito: sono i nostri stati d'animo a dargli vita e credo la quarta traccia del disco ne sia l'esempio lampante. V.: Credo l'aspetto fondamentale del nostro progetto sia da individuare nel presupposto di mettersi al servizio di qualcosa. Che siano concetti, sogni o immagini. Le nostre sensibilità e i nostri background musicali non assumono mai la fisionomia di un feto scalpitante, bensì quella di una tavolozza da pittore dalla quale poter attingere in qualunque momento e sulla quale/grazie alla quale sperimentare con precise mete in vista. Un “letto disfatto” ha il sapore di troppe cose perché ci si fermi ad analizzarne solo una: allo stesso modo se dovessimo trasformare in musica ciò che quel letto ha da raccontare non potremmo certo accontentarci di un'unica soluzione o di un unico piano sonoro. Il nostro nome, a ben guardare, dice molto più di quanto non dia a vedere. Senza chi questo disco non sarebbe stato tale? Diremmo in primis Franco Russo che, oltre alla sua grande esperienza sulla registrazione binaurale, è riuscito perfettamente ad interagire con la nostra musica. In secundis Giulio Fazzini con i suoi clarinetti e l'importante partecipazione alla voce nel primo capitolo di Marco Giusti. Quanto è importante il sogno, l'incanto, l'espressività del suono che ride? M.: Ovviamente tantissimo. Questa storia può essere vista tranquillamente come un nostro sogno ricorrente e sentiamo assolutamente di volerla trasmettere con quante più sfumature emotive possibili. Sta poi all'ascoltatore che la riceve, sentirsela addosso come meglio crede. Ci sono dei gruppi che amate tutti e tre e che rappresentano la formazione uditiva degli Unmade Bed? M.: Un album che tutti e tre amiamo alla stessa maniera potrebbe essere "Spiderland" degli Slint, perché lo riteniamo per i suoi concetti musicali e descrittivi un disco importantissimo, ma al pari, ovviamente, di molti altri LP. È una domanda alla quale per noi è molto difficile rispondere. Come presenterete dal vivo il vostro progetto? Sarà complicato allestire un canovaccio sonoro? V.: In realtà dal vivo non ci si discosta affatto da ciò che è stato inciso su disco, nella Pagina 21 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 riproduzione di ciò che veniva ascoltato dalla testa binaurale e quindi di ciò che qualunque essere umano avrebbe ascoltato se fosse stato lì presente. In questo senso i brani di “Mornaite Muntide” sono già nella loro forma completa e opportuna secondo il nostro giudizio, quindi non sono previsti riarrangiamenti o rivisitazioni dal vivo. Certo, il nostro suono non è tra i più semplici da gestire in ambiente live, ma le nostre coordinate sonore sono sempre molto precise e quindi vengono fuori più o meno in qualsiasi contesto. Dove vedete il vostro estimatore ideale ascoltare il vostro CD e perché? M.: Lo vediamo non tanto nella solita "persona stanca per moda dei soliti cliché musicali, che ascolta il nostro CD davanti ad un amico convinto di suscitare la sua attenzione perché ascolta un disco strano", ma piuttosto in una persona disposta a scrollarsi di dosso i pregiudizi sonori, volenterosa di ascoltare un lavoro fatto con sincerità da persone che credono ciecamente in quello che fanno. Con questo disco, e lo dico non solo da musicista ma anche da ascoltatore, ho scoperto di nuovo il piacere di mettermi un paio di cuffie, sdraiarmi sul letto al buio, svuotare la testa e farmi un viaggio. Per avere l'aggiornamento dei vostri concerti e news? Siamo molto attivi su Facebook dove si potranno trovare la nostra fan-page, un gruppo e un omonimo profilo completamente dedicato a “Mornaite Muntide”. Siamo anche su Bandcamp e su MySpace ma siamo raggiungibili anche via e-mail all'indirizzo [email protected] . Contatti: www.myspace.com/unbed Francesca Ognibene Pagina 22 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 ADRIANA SPURIA Il mio modo di dirti le cose La Fabbrika “Il mio modo di dirti le cose”, album d'esordio della siciliana Adriana Spuria, condensa le caratteristiche del pop italiano, con quelle tinte dal jazz al folk dal blues al rock dal funk per ritornare di nuovo al pop, che ha imparato a navigare la cantante in una formazione alla musica in cui ha iniziato a muovere i suoi primi passi fin dai suoi diciassette anni. Aiutata da una timbrica calda e modulata della voce, Adriana Spuria si forma sotto l'egida di Mogol, quando nel 1997 vince una borsa di studio indetta dalla SIAE per accedere al corso compositori del CET voluto dal paroliere. Un cammino che da lì l'ha portata ad aprire nel 2005 anche la sua etichetta, La Fabbrika, con cui tenta già nel 2008 il lancio di un EP, che contiene il brano “Una donna”, che entra nella top ten dei brani più graditi dalle radio, la Indie Music Like curata dal MEI. Ma non viene distribuito, per trovare ora spazio nell'album ufficiale d'esordio che si avvale di tutte quelle caratteristiche efficaci per essere fruito e assimilato in un ascolto del mi piace morbido che appartiene a molta produzione contemporanea del pop melodico italiano. Per i picchi di qualità e di originalità, gli acuti narrativi in musica dell'album, si può andare all'ascolto appunto di “Una donna”, a “Il mio modo di dirti le cose”, a “Non credo”, quest'ultimo portandosi dietro la presenza televisiva di quella Sarah Nile, che si può leggere dalle note del comunicato stampa sia stata protagonista al Big Brother nostrano di un amore saffico, che è anche fulcro narrativo e motivazionale del pezzo e del video che le vede entrambe protagoniste. Album tinteggiato d'amore, della sua storia, durata e soprattutto fine, procede lungo i suoi dieci brani dignitoso, facendosi ricordare soprattutto per una voce che si presta anche a incursioni anglofone, e per le possibilità di futuro che contiene. Contatti: www.myspace.com/adrianaspuria Giacomo d'Alelio Pagina 23 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 AMELIE TRITESSE Cazzo ne sapete voi del rock and roll Interno 4/NdA Press Il progetto Amelie Tritesse nasce dall'incontro tra gli Iver And The Driver e lo scrittore e giornalista Manuel Graziani. Il secondo ci mette testi di taglio squisitamente letterario (in alcuni casi tratti dal suo romanzo breve “La mia banda suona il (punk) rock”, Coniglio, 2007), voce recitante e alcuni contributi strumentali; i primi invece sono responsabili degli arrangiamenti, della gran parte dei suoni, delle melodie e delle voci cantate. Coordinate di massima che in qualche modo rimandano a esperienze importanti come Massimo Volume e Offlaga Disco Pax (questi ultimi anche in virtù dell'uso parziale dell'elettronica), con la differenza che nel caso del quartetto in questione parlato e cantato convivono e si alternano. E, in tutti i casi, quella messa in mostra da “Cazzo ne sapete voi del rock and roll” è una personalità tale da rendere i suddetti paragoni nient'altro che mere indicazioni di massima. Tra intermezzi pianistico-acusticheggianti, nervosa elettricità sottopelle e soffici contaminazioni sintetiche le dieci composizioni del cd scorrono via senza particolari intoppi, e reggono bene alla prova degli ascolti ripetuti, anche perché l'incontro tra canzone e letteratura non si risolve in una mera sovrapposizione, bensì in una compenetrazione organica, un innesto che ha luogo a livello profondo. Un buon esempio di rock autoriale, la cui essenza multimediale viene esaltata da una confezione che racchiude – come da abitudine della Interno 4 – oltre al CD un ricco libretto illustrato contenente un racconto inedito dello stesso Graziani e i testi dei brani, efficaci spaccati di vita di provincia. Insomma, un'operazione che non ci dispiacerebbe affatto avesse un seguito. Contatti: www.myspace.com/amelietritesse Aurelio Pasini Pagina 24 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 ANANDA Wardiaries Seahorse/Audioglobe Solitamente i dischi Seahorse sono abbastanza da prendere sulla fiducia. La qualità dell’etichetta si è sempre posizionata nella fascia medio-alta. Peccato, però, che con questi Ananda si rischia il buco nell’acqua. Il problema, però, sta da un’altra parte: difficilmente i dischi di quest’epoca sono “brutti”. Le canzoni sono fatte bene, i suoni sono curati, i ragazzi vanno tutti a tempo, c’è un tot di quota internazionale che viene pagata per non sembrare troppo ombelicali e così via. La partita si gioca su un altro campo: personalità, carisma, capacità di scrittura. Elementi che, ad oggi, non sembrano essere presenti nelle canzoni di “Wardiaries” in misura sufficiente per parlare di un lavoro che vale la pena recuperare. Siamo dalle solite parti del mix di Nick Cave e 16 Horsepower virato indie post-Nirvana. Roba che ormai è “facile” fare “benino”, “impossibile” fare “male” e “decisamente difficile” da riproporre se si vuole andare oltre qualche ascolto stanco solo ad uso e consumo degli addetti ai lavori che si leggeranno la recensione di turno. Il problema è che quel tipo di immaginario è stato talmente saccheggiato negli ultimi dieci anni che farsi notare è veramente difficile. Ormai siamo schiavi del disco “medio”, e “Wardiaries”, purtroppo, lo è. Contatti: www.anandaband.com Hamilton Santià Pagina 25 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 DELENDA NOIA 
Noia estetica
 Disco Dada Si trova un solido e il più delle volte convincente album pop in fondo a questa collezione di glaciali nostalgie new romantic in salsa italica (qualcuno si ricorda di Diana Est?) proposta dai Delenda Noia, giovane duo di Reggio Emilia. Non che queste canzoni non funzionino così come sono: l'essenzialità e l'asciuttezza degli scenari sintetici valorizza, anzi, le taglienti linee melodiche e l'essenzialità degli arrangiamenti, offrendo alla asettica voce maschile di Klord, catapultata in una paralizzante noia esistenziale, una straordinaria sponda. È solo che alla lunga l'omaggio a temi e situazioni d'epoca mostra un po' la corda, lasciando il sospetto che, se solo volessero, i due potrebbero diventare qualcosa di meno vincolato al revival wave. I cultori del genere ne andranno pazzi, perché i due hanno il physique du role e sanno maneggiare quelle suggestioni con grande abilità, ma la parte di noi che vorrebbe smettere di sentire questa o quella forma di revival un po' protesta, pur riconoscendo i meriti del duo. E li attende al varco con qualcosa di meno vincolato al ricordo di una realtà mai vissuta e per questo così affascinante. Contatti: www.myspace.com/delendanoia Alessandro Besselva Averame Pagina 26 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 DIATHRIBA La realtà aumentata Friction Tanto per rimanere fedeli a un celebre luogo comune della critica musicale, il tanto temuto “difficile terzo album” si deve essere in qualche modo rivelato tale per i Diathriba, che per dare un seguito alla loro opera seconda “Stracielo” hanno atteso qualcosa come undici anni. Anche se, va da detto, nel mezzo c'è stato anche un lungo periodo di pausa, nel quale i membri dell'ensemble modenese si sono dedicati ad altri progetti. Fatto sta che “La realtà aumentata” suona come il lavoro di una band nel pieno della maturità, perfettamente consapevole dei propri mezzi e dei propri punti di forza e ben intenzionata a metterli nel giusto risalto. Nello specifico: un songwriting dai toni impressionistici e sufficientemente profondo, melodie che avvolgono senza mai stuccare e tappeti sonori ficcanti e insieme atmosferici, al crocevia tra rock tradizionale, contaminazioni sintetiche, una puntina di pop e un tocco di epica teatralità che dà al tutto una profondità ulteriore riuscendo a non eccedere mai in enfasi. Complice il contributo in fase di registrazione e produzione del veterano Marco Bertoni (Confusional Quartet, Maccaroni Circus, Fiamma Fiumana), il disco si rivela solido e colpisce per le qualità autoriali e musicali, senza mostrare particolari punti deboli. Certo, non è musica alla moda, e difficilmente i blogger più cool e le webzine più trendy se ne occuperanno, ma forse è meglio così, ché lo hype passa e la sostanza rimane; e, pur senza aver realizzato un capolavoro, la formazione modenese dimostra di meritare ancora gli elogi raccolti un decennio fa. Bentornati. Contatti: www.diathriba.com Aurelio Pasini Pagina 27 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 EMIRO Song trent’anne Nut Label/Audioglobe Un sabba ritmico, entropico, di claxon e tammorre, fa da prologo strumentale all’esordio del napoletano Rosario Acunto alias Emiro. Il risveglio da questo sonno confuso è la sorniona “Scetamme ‘o rione”, a cui fa seguito l’acido rock (calato in una vasca di folk-blues) di “A caruta”. Le nervose battute iniziali di “Song trent’anne” ci portano verso una koinè pan-partenopea, che abbraccia certo Pino Daniele, Senese e Avitabile, Troisi (una battuta di “Ricomincio da tre” è citata esplicitamente) e, forse più di tutti, i 24 Grana di Francesco Di Bella. La mescolanza di tratti melodici e dialettali, ironicamente sentimentali e malinconici, con i ritmi moderni e con elettronica, è l’ingrediente migliore del lavoro di Emiro, che è stato vincitore alla finale del Premio “Arci Suoni Reali” all’ultimo MEI. “Baci e coltelli” si avvale del contributo di Enzo Salerno (E Zezi – Bisca), con, in particolare evidenza, la seconda voce di Giovanna Izzo. se la fattura si mantiene sempre su livelli dignitosi, all’Emiro che in alcune tracce si dispiega più morbido e smaccatamente cantautorale, preferiamo invece quello più mercuriale e corrucciato, incazzoso, inatteso, vulcanico. Questa strada maestra delle prime tracce – strada maestra che vorremmo prevalente – si ritrova nel finale dell’album: “Asse mediano”, con Sergio Maglietta dei Bisca al sax, è una gimkana in mezzo ai rifiuti di Scampia con un tossico che muore mentre i soccorsi tardano ad arrivare; “Mane ‘n mane”, cantata in duo insieme a Zulù dei 99 Posse, è una tammurriata in downtempo. Contatti: www.myspace.com/emiroinbit Gianluca Veltri Pagina 28 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 FABIO CINTI L'esempio delle mele Sounday/Self Da metà giugno sulla rete e sulla radio col nuovo singolo “Waiting For My Bear”, dopo “L'esempio delle mele”, album uscito in precedenza sempre per la Sounday, Fabio Cinti conferma la sua presenza di tutto rispetto nell'empireo delle giovani e promettenti personalità musicali nazionali. Già lanciato tra febbraio e marzo col precedente supporto internauta delle cartelle di ascolto promozionale, Cinti ha dimostrato e dimostra carattere, dopo aver trovato la sua strada autoriale, uscito dall'ombra protettiva di Morgan, che per “L'esempio delle mele” ha dato il suo supporto nell'arrangiamento e produzione di due dei dieci brani, “Amore elettrico” ed “Eccessi”. Con altri contributi eccellenti come quello di Pasquale Panella alla scrittura del testo di “Il punto di vista”; Livio Magnini (Bluvertigo) alla cura delle riprese audio di alcuni pezzi, in contributo voce e chitarra in “Vuoto Mimato”; e molti altri, “L'esempio delle mele” condensa generi e registri, in un elettropop, dove Cinti, ora in italiano, ora in inglese, interpreta testi che danno prova di sensibilità acuta, compresa d'ironia, leggerezza. Ne sono prova il brano d'apertura “Questo mondo fa rumore”, e il gioiello toccante che è “La distrazione”, valorizzato quest'ultimo in rete da un video animato, alla regia Simone Di Turo. Il giovane, non ancora trentenne, cantautore romano parla d'amore, presente, vita. Copertina virata in viola per il precedente singolo “Amore elettrico”, come per quella in sapore di magia di “L'esempio delle mele”, e di “Waiting For My Bear”, Fabio Cinti dà colore al panorama musicale nazionale, andando a reinterpretare morbido anche un capolavoro come “Cucurrucucu paloma”, percorrendo l'arcobaleno in un futuro dalle molteplici possibilità. Contatti: www.fabiocinti.it Giacomo d'Alelio Pagina 29 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 FATA Diviso2 E&F/Audioglobe Attivi dal 2000, i modenesi Fata giungono quest’anno alla seconda prova discografica con “Diviso2”, seguito del fortunato “La percezione del nero”, che giusto tre anni fa impressionò la critica ed ebbe buoni riscontri di pubblico, specie per gli entusiasmanti live set. La band capitanata da Roberto Ferrari pare aver capito da tempo che non basta saper suonare per potersi distinguere in un mare di proposte più o meno valide; una volta letto, riletto, imparato a memoria il vademecum della perfetta rockstar, il quintetto si è messo di buzzo buono per smarcarne ogni singolo punto, a partire dal look e dal suono, figli entrambi di ripetuti ascolti di new wave italiana e straniera . Non paghi, conoscono tutte le pose sciocche e d’effetto, sono padroni di una buona tecnica, trasudano sbruffonaggine in quantità industriali. Circolano pure dei videoclip di cui si pentiranno fra qualche anno. Tutto giusto, eppure tremendamente sbagliato al tempo stesso, perché l’impressione ultima è che un fuoco maggiore in fase di scrittura avrebbe giovato molto più dello smalto sulle unghie. Fatta eccezione per alcune tracce, vere e proprie gemme (su tutte, “Ermetica”) i brani contenuti in “Diviso2” hanno la rara dote di bruciare le tante buone idee nei primi quindici secondi, per poi ritrovarsi in un cul-de-sac compositivo di tre minuti e mezzo, senza arte, né parte, tantomeno un ritornello degno di essere ricordato. È un peccato che, date le indubbie capacità di questi ragazzi, lascia l’amaro in bocca. Contatti: www.myspace.com/fataband Giovanni Linke Pagina 30 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 FRAGIL VIDA Giorni sospesi La Fabbrica/Audioglobe I Fragil Vida mettono tanta carne al fuoco, per cui andrebbero lodati a priori in tempi di omologazione e pretese sin troppo basse. Pensate che la band è composta da sette elementi: David e Daniele Merighi (voci e rispettivamente pianoforte e batteria), Francesco Boni (basso e contrabbasso), Diego Gavioli (chitarre), Gianluca Galletti (voce recitante, nei pressi dei Massimo Volume in “Dormivo ieri”), Federico Alberghini (percussioni) e Andrea Facchini (sassofoni). Pensate che il collettivo emiliano, anziché confezionare semplici canzoni, sembra mettere in musica una vocazione teatrale, una tendenza alla commedia dell’arte dove amarissima denuncia sociale e ironia vanno di pari passo e che sul palco usufruisce persino di costumi e scenografie. Pensate che ogni loro lavoro persegue una ben precisa poetica, se l’album omonimo del 2008 era dedicato all’“amore a tutto tondo” e il nuovo “Giorni sospesi” si concentra sul “beneficio del dubbio”. Perché minare le certezze è di sicuro uno scopo nobile, specie se si riescono ad affrontare argomenti come malavita organizzata (“Archivio di pietra”), immigrazione (“Vele tese”) o mistificazioni etico-culturali (“Giuda”). A dispetto della varietà strumentale, la registrazione in analogico garantisce sonorità ruspanti e scarne. Poco importa, allora, se non tutte le tracce in scaletta possono dirsi convincenti in termini di forma e incisività, soccombendo a momenti alla progettualità cabarettistica che avvolge il tutto. Gli spunti di interesse ci sono. Contatti: www.fragilvida.com Elena Raugei Pagina 31 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 FRANCESCO GIAMPAOLI Mi sposto Sidecar/Goodfellas Quando parte la title track, secondo brano in scaletta, viene da pensare che Francesco Giampaoli abbia un tavolino riservato al Penguin Café: la canzone è un puro distillato della poetica surreale messa in musica dal compianto Simon Jeffes e dai suoi sodali, metabolizzato attraverso una sensibilità peculiare ma partecipe della medesima utopia, un esotismo immaginario che mette in pratica, eludendo le categorie, una magnifica chimera proteiforme: jazz, musiche popolari, un tocco di improvvisazione, una allergia alle connessioni troppo facili ma soprattutto la capacità di inserire il tutto in una confezione ludica e appetibile (ma mai troppo rassicurante) per l'orecchio. “Mi sposto”, il brano, è dunque la rappresentazione musicale di un viaggio impossibile, una rotta Bangkok-Timbuctù sulla quale si inseriscono chitarre elettriche espressioniste e molto, moltissimo altro. Altrove vengono fuori in maniera più netta le radici jazz del bassista e contrabbassista ravennate (componente di Sur e più recentemente della Classica Orchestra Afrobeat), un jazz che è lunare e rarefatto in porto “Porto”, più canterburiano e angolare in “Eb”, ma c'è davvero di tutto: “Fine” contrappone una specie di continua e dissonante opera di disgregazione a un controcanto cameristico molto più lineare, “Sei” si inventa una forma di rock desertico molto sui generis, e poi c'è una versione della celebre “Over The Rainbow” da applausi, una specie di triangolazione Tortoise-Morricone-Calexico che lascia di stucco. In breve, un incantevole disco strumentale, curioso ed eclettico come se ne sentono pochi, troppo pochi, di questi tempi, soprattutto in questo angolo di mondo. Contatti: www.myspace.com/francescogiampaoli Alessandro Besselva Averame Pagina 32 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 GIORGIO BARBAROTTA Snodo GB Produzioni-Atracoustic/Wondermark “Da un lato il cantautorato folk gioioso, dall’altro il rock elettrico, grintoso, talvolta rabbioso, intenso. Sono due elementi indipendenti tra loro, ma solidali, entrambi parte di me.” Annuncia così Giorgio Barbarotta, trevigiano, classe 1972, autore di testi e musiche delle sue canzoni, oltre che poeta di diverse raccolte già in circolazione, il suo nuovo album, in uscita questi giorni, dal titolo così sintomatico di contenuti e volontà convergenti: “Snodo”. Arrivando da “Verso est”, la precedente opera, che proprio dall'est, la Cina, e dal tour che l'aveva percorsa, si era lasciata ispirare due anni fa, Barbarotta delinea nuovi percorsi su cui lasciarsi andare nelle undici tracce del suo “Snodo”: continui scarti e cambi di rotte e direzioni, di registro musicale e contenuti, in un viaggio capace di guardare sia dentro se stessi che al di fuori, in quell'oggi che non permette da tempo di evitare lo sguardo, rivolgendolo altrove. Tracce che cercano di “imbrogliare il tempo”, come canta uno dei pezzi più riusciti dell'album, appunto “Riesci ad imbrogliare il tempo”, ballad folk che morbida e decisa va, tentando di delineare, invocare, un luogo, dentro e fuori d noi, in cui il tempo, che scorre lasciando pochi superstiti, possa essere raggirato, in una partita con la morte, in cui a perdere sarebbero “solo” l'integrità, il rispetto di se stessi, linfa vitale di ogni essere umano. Undici tasselli che costruiscono una strada da camminare in questo tentativo, passando dallo sfruttamento del lavoro nei poderi del sud, a quello dell'abuso dei poteri forti che di terra da arare a proprio piacimento hanno semplicemente tutto il mondo, arrivando ad “affondare le radici” dentro. Un album partecipato e sincero, da sentire con cuore e testa, per trattenere quello che anche in questa calda estate sta continuando a evaporare. Contatti: www.giorgiobarbarotta.it Giacomo d'Alelio Pagina 33 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 Girless & The Orphan Same Names For Different Girls EP Stop! Records Duo eviscerato dalla provincia riminese, i Girless & The Orphan plasmano la tradizione folk d’oltreoceano nelle sue forme più antitetiche e stridenti, alternando vesti punk ardimentose e trascinanti a frangenti sommessi e riscaldati al calor di luna ed una solitudine irresistibile, condensate in cinque pepite grezze di folk estratte a mani nude dal fango del Po, setacciate e poste in download gratuito sul sito della riminese Stop! Records. Banjo infuocati, stomp inarrestabili e canti isterici ad alto tasso alcolemico sono l’elettrizzante veste di fulmicotone che ricopre la traccia d’apertura “Wings Behind Your Backs”, in un rincorrersi costante di rullanti spazzolati, chitarre fuzz ipercinetiche e voci da vecchio cercatore d’oro in delirio alcolico, in una atmosfera da rodeo psicopatico. I toni si abbassano con le ballate “As You Fall” e “November”, vicine alle inclinazioni neo-folk odierne o nella splendida coda di “Another Place”, dove l’anima del Neil Young elettrico si impossessa ebbro di una sensucht viscerale. Esordio immediato e fulminante per questo duo che con “Same Names For Different Girls” pone un assalto frontale all’armata bianca della tradizione folk, sfondando una porta aperta, ma priva di espressioni valide nel nostro paese, lasciando ben auspicare in una evoluzione verso i dettami e le strutture sghembe folk del nuovo millennio, verso cui la nostra scena non ancora riesce a trovare la propria declinazione. Contatti: http://www.stoprecords.it/ Luca Minutolo Pagina 34 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 HUMAN TOUCH Human Touch Universal Degli Human Touch si sa ben poco se non che, sotto la supervisione di Massimo Priviero, si raccolgono il fondatore Stefano Rocchi alla voce, “Lolo” Casucci e “Frasca” Frascadore, attivi sulle scena musicale da anni ma solo ora giunti a pubblicare l’omonimo primo album. Purtroppo il brano di apertura (“All About You”) mostra fin da subito i limiti del progetto, imbastito su un rock radiofonico che punta molto in alto e si brucia con estrema facilità. La band cita gli Ultravox come gruppo di riferimento (gli stessi vengono qui omaggiati con la cover di “One Small Day” a cui partecipa Priviero alla voce) e invero il risultato è poco confortante. L’ascoltatore diventa spettatore di un vacuo flirtare con tutti i peggiori luoghi comuni dell’AOR e del classy-pop anni 80, pallide ombre di Toto e Cars, Scritti Politti e Aztec Camera, banalizzandoli. Il fatto che “Human Touch” sia così ben suonato è la semplice conferma che in Italia ciò che manca non è la tecnica, ma la voglia di portare avanti un discorso davvero personale, fatto sì di influenze e fascinazioni, ma digerite e rimodellate. Questa prima prova discografica della band è la negazione di tale volontà e per questo motivo non può essere presa sul serio. Con tutto che l’entusiasmo di Rocchi è palpabile, sono altresì evidenti i tanti limiti di cui si circonda e che trasformano un semplice “flop” in un tonfo sordo, con tanto di eco. Provinciale. Contatti: www.humantouchmusic.it Giovanni Linke Pagina 35 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 IMPOSSIBILI Senza ritorno autoprodotto Attivi dal 1994, gli Impossibili se ne fregano della scaramanzia, visto che è il diciassettesimo anno di attività, e decidono di autoprodursi il nuovo album: “Senza ritorno”. Un titolo che è anche l’ennesima affermazione di indipendenza e di libertà, forse superflua per chi già li segue ed apprezza ma sempre più difficile da trovare nel soffocante mare nostrum musicale. Troppi gruppi infatti stanno con le antenne ritte per captare qual’è il genere del momento, mentre Araya e sodali guardavano ai Ramones come numi tutelari ben prima che venissero sdoganati al grande pubblico. E pazienza se poi da li non si siano più mossi, perché nonostante tutto abbiamo ancora bisogno di un brano come “Milano”, vero manifesto ironico di odio (e quindi amore) nei confronti della capitale economica. Non guasta poi ribadire un “No nazi” totale, mentre per sorridere ci sono “Alice”, “Laura” e “Ilaria” - lontane parenti di “Susanna ha la terza misura” -, un trittico di donne decisamente non omologate. Scelta felice poi quella di far registrare il tutto a Dario Emari, già mente della Tre Accordi e persona cresciuta a pane e punkrock, capace di cogliere l’energia con efficacia. Gli Impossibili ormai rimangono tra i pochi gruppi dei primi ’90 ad essere ancora in attività, ed ora che anche gli amici Derozer hanno gettato la spugna un disco come “Senza ritorno”, lungi comunque dall’essere un capolavoro, assume ormai il valore di una vera testimonianza e di una volontà dura a morire. Contatti: www.myspace.com/impossibili Giorgio Sala Pagina 36 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 KILLER KLOWN Born To Rock!!! Area Pirata/Goodfellas Tutto quello che c'è da sapere sui Killer Klown probabilmente sta scritto sulla copertina del loro ultimo album, ovvero "Born To Rock!!!". Non che sia una novità per chi segue le gesta dei torinesi, ormai in giro da oltre quindici anni, quanto piuttosto un'assordante rassicurazione. Il suono è quello di sempre: un garage punk grezzo e sferragliante, che fa tesoro delle molteplici lezioni arrivate da città quali Detroit, New York o Sydney. Siamo insomma lontani anni luce da un certo revival pulitino e melodico, di quelli che si ascoltano nel Nord Europa ad esempio. Qui c'è l'organo di Piera che a tratti è lancinante, gioiosamente lancinante. Ma c'è anche qualcosa in più dei tre accordi e via. Nel finale ad esempio troviamo un brano, "The Call", che dall'altro dei suoi quattordici minuti sfoggia tutto lo scibile di cui la band è capace, un po' come se gli Stooges avessero visto qualche concerto dei Grateful Dead. Tra le chicche più "standard" vi segnalo invece "Love Is A Fart", geniale variazione della classica rima cuore-amore. Constatato il buono stato di salute della band, e complimentandoci con Area Pirata per la tenacia e la testardaggine con cui ci propina una musica ormai definitivamente fuori moda non ci resta che trovarci tutti sotto il palco dei Killer Klown. Magari ci scappa anche una bevuta. La musica, come sempre, è il piatto forte. Contatti: www.myspace.com/killerklownmf Giorgio Sala Pagina 37 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 L'ORSO L'adolescente autoprodotto Registrato, mixato e masterizzato da Andrea Suriani dei My Awesome Mixtape, “L'adolescente” è l'EP d'esordio de L'Orso (disponibile anche in free download su lorso.bandcamp.com). Anche se le cinque tracce contenute vedono la presenza di altri strumentisti amici, il progetto è da considerarsi un duo vero e proprio composto dai poco più che ventenni Mattia Barro e Tommaso Spinelli, entrambi nati e cresciuti tra la provincia torinese, il canavese per precisione, e Milano, come tengono a precisare loro stessi. È dalla scorsa primavera che L'Orso ha iniziato a farsi notare sulla Rete soprattutto su social network come Facebook, grazie ai link alle sue canzoni che in molti condividevano. Ed è stato fin troppo facile ad esempio restare contagiati dalla melodia zuccherosa ma ad alto tasso malinconico di “Ottobre come settembre", il brano che apre l'EP. Una voce indolente che azzecca una linea pop a la Belle And Sebastian su un tappeto sonoro acustico che più semplice non si può, evocando scenari lirici romanticamente adolescenziali e ironici con un ritornello che non esce più dalle orecchie. Ecco, proprio l'(auto)ironia è una delle peculiarità della band che emerge con maggior forza grazie soprattutto all'immediatezza e alla facilità pop in bassa fedeltà nelle quali è intessuta. Per questo non siamo distanti dal Dente di “Non c'è due senza te”. Ovviamente non mancano difetti – grandi e piccoli -, sia dal punto di vista lirico sia degli arrangiamenti, ma star qui a puntualizzarli significherebbe soltanto tapparsi le orecchie e trascurare queste melodie a presa rapida incastonate in questo EP autoprodotto. Potevano aspettare a farlo uscire? Pensiamo di no. Si sono fatti notare contagiando. E non è poca cosa. Ora spetta solo a loro, per il futuro, migliorare i testi e diversificare un po' l'approccio musicale per il bene de L'Orso. Contatti: http://www.myspace.com/lorsoband Andrea Provinciali Pagina 38 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 LE MAN AVEC LES LUNETTES Sparkles WWNBB Collective Ascoltare i Le Man Avec Les Lunettes ha ormai grandi capacità terapeutiche. Dopo immersioni non necessarie in esordi senz’arte né parte di gente che oggi c’è e domani chissà, il gruppo ha ormai – prendetela con senso del relativo – le dimensioni del “classico”. È una di quelle certezze in cui ogni tanto è bello perdersi. Meno male, quindi, che anziché decidere di pubblicare album a cadenza dilatata, la band dissemini il proprio talento in frammentati singoli ed Ep che spuntano fuori quando meno te lo aspetti, quando pensi che tutti sia perduto. A parte i toni apocalittici, è veramente importante supportare la qualità e concentrarsi su chi sa scrivere le canzoni. Le quattro canzoni di “Sparkles” si muovono sempre nel riconoscibile territorio dell’indie-pop che i LMALL conosco a menadito. La differenza, qui, sta nel respiro «globale»: è un lavoro da band, concepito fuori dalle camerette e dalle autoreferenzialità, che cerca di capire come girano le cose e di evolversi andando al passo con i tempi (non più Svezia, quindi, ma parecchia America “trasversale”: cioè gli americani che hanno ascoltato gli svedesi). Potrei definire pezzi come “Crawling Down The Stairs” e “Notes” canzoni da “Primavera Sound alle sei del pomeriggio”. Potrebbe essere quella la dimensione perfetta. Contatti: www.lmall.it Hamilton Santià Pagina 39 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 LES SANSPAPIER Aperitivi all'anice K-Brothers/Goodfellas Mettiamola così: i Les SansPapier si collocano a sinistra della Bandabardò e a destra dei Mau Mau in un ipotetico grafico che misuri in termini di conservatorismo e progressismo quel multiculturalismo un po' freak e un po' terzomondista che ha i padri fondatori in gruppi come Mano Negra o Negresses Vertes, e che non ha mai smesso di produrre emuli più o meno ispirati e talentuosi. Insomma, l'immaginario di riferimento di questi giovani musicisti della provincia cuneese che hanno scelto come base operativa, da qualche anno, il quartiere torinese di San Salvario, uno dei più multietnici storicamente e recentemente uno dei più vivaci se si parla di movida, e quello di cui sopra, con tutti i limiti e i vantaggi del caso. I primi risiedono soprattutto nei testi un poco autoreferenziali, legati a situazioni che sono davvero a un passo dal cliché di genere (vedi l'inevitabile canzone sulla sbronza, “Goccia a goccia”). I secondi risiedono soprattutto in un eclettismo che mette insieme qualche sfumatura jazz, una certa teatralità, un po' di Sudamerica, chitarre col twang, qualche traccia di soul e funk (nei fiati e nel groove di “Kalakuta”, per dire, che suona vagamente acid jazz) e molti altri spunti ben amalgamati. Un insieme godibile, che forse meriterebbe qualche azzardo in più, soprattutto in ambito testuale, ma che rappresenta comunque una riuscita forma di intrattenimento. Contatti: www.myspace.com/lesanspapier Alessandro Besselva Averame Pagina 40 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 LULLABIER Verità vestite d’ombra Silentes Il giovane cantautore trevigiano Andrea Vascelleri, che si fa chiamare Lullabier, ha pubblicato due album in pochi mesi. Il primo di essi, “Mai nulla di troppo” (ViVeriVive), è scaricabile gratuitamente. “Verità vestite d’ombra” si compone di otto canzoni, mesmeriche e minimaliste, fin dai titoli, tutti di una parola sola (“Calliope”, “Chance”, “Desiderio”, “Crepuscolo”, ecc.). Litanie accompagnate da chitarre cantilenanti, sostegno ritmico ridotto all’essenziale, voci, qualche linea di elettronica come macchie di Rorschach. Testi profetici, lapidari, mitologici, crepuscolari, il songwriter veneto è un tipo da seguire, una via italica allo slo-core, tendenza poco italiana. Non è che si ecceda in sadcore, ma insomma non mettete Lullabier come sottofondo a una festa, sia chiaro. Sebbene a volte i brani risultino un poco deboli melodicamente nelle parti vocali – su questo Lullabier a nostro avviso deve lavorarci su – la scaletta del disco, anche dopo diversi ascolti, non cessa di accattivare. La semplice, drammatica espressività di Vascelleri fa centro in “Grisù”, che sprofonda minacciosa nello stomaco della terra; “Desiderio” è dream-pop in odore di Cocteau Twins; “Schiavi”, che pullula sopra un tintinnio di chitarre, sgorga lenta da chissà quanti ascolti dei Low; “Cyclette” sembra più aggirarsi nei paraggi degli Amor Fou. E se “Chance” è il momento di musica (più) leggera, tra Battisti e (se non sbagliamo) Grignani, “Neve” si dondola dentro quell’iteratività sospesa nello stile dei Red House Painters di “Ocean Beach”. Contatti: www.lullabier.com Gianluca Veltri Pagina 41 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 MADMARTIGAN Tales From The Edge Of The City El Guscio Records Tenere la mente libera dai preconcetti è affar difficile, specialmente in quest’annata in cui, in ambito italiano, “Maktub” degli Zippo ha sancito un punto di arrivo – e di partenza – per l’heavy nostrano, scagliando inevitabilmente la pietra di paragone verso chiunque. Fosse uscito fuori una decina di anni fa, avremmo speso elogi e panegirici per l’esordio dei Madmartigan “Tales From Edge City”, quintetto milanese che affonda le mani negli oscuri anfratti prog, invischiato e largamente ispirato agli intrecci metal-psichedelici dei mostri sacri Tool, ma come ben si sa, a stuzzicare gli Dei si ritorcono inevitabilmente sciagure e flagelli contro. Unico difetto, per l’appunto, di “Tales From Edge City” è quello di essere uscito con una decade di ritardo. Il metal si è spostato altrove in questi ultimi anni, comprese le sue inflessioni psichedeliche e prog, a cui si sono spalancate le porte dell’esplorazione di onde sonore e di cesellatura delle frequenze armoniche. “Tales From The Edge Of The City” si muove tra i lunghi frangenti strumentali de “La grande tempesta” in cui lo spettro dei Tool aleggia palese e pesante nei suoi saliscendi vorticosi di psichedelia elettrica sfocata dal ribollire di sabbie rock desertiche, e i sospiri grunge di “Hangover”, fin troppo naufragati nei lidi frastagliati dei Soundgarden, proseguendo sulla stessa tabella di marcia lungo tutto il defluire vorticoso, ma domabile, delle otto tracce che compongono l’esordio del gruppo milanese. Un disco ben fatto, ma da cui risulta molto difficile scrollare di dosso il fardello della derivazione, nascosto in ogni più piccola espressione di magniloquenza heavy e di riflessione psichedelica, sfatato solamente nei frangenti percussivi, facendo si che l’aria densa di oscurità si schiarisca a favore di reminiscenze tribali dal retrogusto esotico, e donare ad un lavoro piuttosto lineare quello sprazzo di particolarità che – speriamo- possa sfociare in un lavoro ed una personalità più accentuata e meno derivativa. Contatti: www.myspace.com/themadmartigan Luca Minutolo Pagina 42 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 MARIA TERESA LONETTI La grande danza Sciopero/Venus Trasuda il sapore della sua terra e della fragranza della sua storia, fatta di quotidiano pieno di esigenza di verità, l'album d'esordio di Maria Teresa Lonetti, che con “La grande danza”, fin dai primi passi di avvicinamento all'opera, quel booklet pieno di foto di campagna, grano, balle di fieno, semplicità, colori caldi e scottati dal sole, dichiara amore verso la Calabria e quelle tinte folk e di musica popolare e raffinata che l'artista porta con sé come valore aggiunto. Tredici brani in una “Grande danza” che si fa carica anche di una sorta di passaggio di testimone e consacrazione artistica grazie alla presenza della cover de “La danza dei pesci spada”, inclusa come omaggio ideale agli Yo Yo Mundi, che hanno seguito la vicenda musicale della cantautrice calabrese negli ultimi due anni, e il cui leader, Paolo E. Archetti Maestri, unisce la propria voce a quella della cantante in una sentita reinterpretazione del pezzo. Sono anche gli strumenti utilizzati carichi del sentore di una raffinata semplicità, chitarre acustiche, percussioni, piano, fisarmoniche, fiati, che i visi scolpiti nella profondità del tempo, e anch'essi presenti nel booklet, dei suoi musicisti suonano trasportati dall'interpretazione ispirata, piena di quel sorriso che portano i ricordi d'infanzia quando si cammina nei luoghi che ci appartengono, conducendo con sé nella nostra terra e nella nostra storia. Passando dal canto in italiano a quello del suo dialetto, figlia germinante di quel mediterraneo carico di iodio e del sentore di viaggio e d'estate, Maria Teresa Lonetti, mantenendosi nella tradizione, si presenta come una piacevole sorpresa per accompagnare le onde prossime di vacanza e di scoperta dei mesi a venire, abbracciati dal sole. Contatti: www.mariateresalonetti.com Giacomo d'Alelio Pagina 43 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 MILK WHITE Cigarette Crimes Cosecomuni/Halidon I Milk White, con “Cigarette Crimes”, cercano di dimostrare come non sia necessario piegarsi alle mode e ai riferimenti facili per farsi ascoltare. La loro musica è chiaramente una questione di credo. È una sorta di indie rock ispirato da Sonic Youth, Sleater-Kinney, Pixies, suonato non al massimo della velocità ma sguaiato al punto giusto per inserirsi nel novero di quella micro-nicchia che, fondamentalmente, se ne sbatte di esporsi nei luoghi giusti per continuare a percorrere la propria strada in virtù di una non meglio precisata coerenza. Rispettabilissimo. Anzi, ce ne vorrebbero di più. Il problema è che in Italia non tutti sono i Cat Claws, e se il gruppo di Roma riesce a proiettarsi nel “futuro” senza perdere la propria identità con una ricerca sonora di livello e una buona capacità di scrittura, i pezzi di “Cigarette Crimes” risultano per lo più scontati ed eccessivamente calligrafici. Mi rendo conto che il confine tra “citazione” e “rileborazione” in lavori di questo tipo è molto molto sottile, ma non sembra che la band ne sia ancora consapevole. Detto questo, è sicuramente un lavoro da applaudire per coraggio e voglia di mettersi in gioco. Se sapranno far tesoro dell’esperienza, i Milk White potranno fare qualcosa di buono. Contatti: www.myspace.com/milkwhite1 Hamilton Santià Pagina 44 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 OMPARTY Petra janca Picanto Carico di allori dopo il debutto Omparty di due anni fa salutato con entusiasmo (e premi), il funambolico percussionista Leon Pantarei torna con la seconda puntata. Intorno a lui un manipolo di musicisti la cui bravura è pari alla sensibilità, a partire da Roberto Cherillo (piano) e Pasqualino Fulco (chitarre). Nove composizioni, delle quali due traditional calabresi del tutto stravolti, “Tata ca muaru” e “Occhi turchini”. L’idea di musica dello sciamano Pantarei è una disciplinatissima libertà, un territorio esistenziale nel quale convivono jazz, musica etnica, fusion, folk, world. L’impressionismo, il tantra e la letteratura da viaggio. Come dei reportage emozionali, le tracce cominciano con un tema e lo sfiancano, per tornarvi infine con il bagaglio arricchito del viaggiatore. Nella banda larga degli Omparty – diventati un quartetto con l’arrivo in pianta stabile del contrabbassista Carlo Cimino – si trovano Wayne Shorter e i Weather Report, Miles Davis, Jon Hassell, il Pat Metheny Group e naturalmente Tony Esposito. Quello non di “Kalimba de luna”, ovvio, ma dei primi lavori solisti, onirico e magnifico. Alle prese con un armamentario voluttuario − il tombak armeno modificato da cui estrae sonorità pazzesche, la padella modulabile “fryngframedrum” − Leon non teme di tendere la corda: si ascolti l’impressionante “Mamamambo”, quasi otto minuti in cui basso e percussioni si ostinano, ironici, nella frase ritmica del mambo, mentre attorno a loro si scatena un finimondo, una corrida. Dalle escursioni centrifughe dervisce di “Calle de las Brujas”, il folklore immaginario si sospinge fino alle oscurità yemenite di “Dr Maduk”, con entrambi gli special guest a sfaccettare sonorità: la tromba desertica di Luca Aquino e la chitarra da muezzin di Lutte Berg. Buona anche la seconda, Mr Leon. Contatti: www.myspace.com/omparty Gianluca Veltri Pagina 45 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 PANDORA Sempre e ovunque oltre il sogno AMS Records “Sempre e ovunque oltre il sogno”, chiaro manifesto di intendimenti ideali e musicali, che racchiude emblematicamente tutto l’amore verso l’epopea del rock progressivo italiano. Non importa perdersi in consuete diatribe e contraddizioni, il progetto Pandora è orgogliosamente “regressive”, legato indissolubilmente alle storiche pagine del Banco, PFM, Le Orme e rinomata compagnia. La formula non ammette compromessi né ibridazioni, ma funziona assai bene laddove può essere recepita. Dopo il buon segno lasciato col primo album “Dramma di un poeta ubriaco” (2008), i Pandora ribadiscono i propri intendimenti e propensioni stilistiche con un secondo lavoro ulteriormente arricchito di pathos sinfonico, maestosi intro tastieristici e dinamiche progressioni hard-prog. Le tastiere di Beppe Colombo assurgono sempre ad un ruolo protagonista, ma il figlio Claudio innesta nuove vitaminiche sferzate alla sezione ritmica, in sinergia con le aggressioni chitarristiche di Christian Dimasi, e questo riuscito incontro tra due diverse generazioni rivela probabilmente la forza della band torinese. Non importa se l’impianto lirico mostri le stesse debolezze riscontrabili in certi dischi italiani dei Seventies, neppure certe tipiche ridondanze di genere, quel che conta è l’estetica nel suo unico e coerente abbraccio. Allora si possono apprezzare sia i movimentati ventitré minuti del brano che dà il titolo al disco, sia il commosso”03.02.1974”, in cui Beppe ricorda un magico concerto dei Genesis. Lui c’era, i brividi ancora sulla pelle, e i Pandora ne rivivono l’emozione. Contatti: www.pandoramusic.eu Loris Furlan Pagina 46 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 PAOLO SPACCAMONTI Buone notizie Bosco Rec/Audioglobe Arruolato a forza in una presunta scena neo-cantautorale torinese attiva nel corso dell'ultimo quinquennio (i vari Stefano Amen, Antimusica, Deian, Vittorio Cane, Matteo Castellano e altri ancora), Paolo Spaccamonti ha in realtà ben poco in comune con costoro, se non una condivisione di luoghi, radici e talvolta studi di registrazione (come ospite di dischi altrui). La sua musica è infatti completamente strumentale, per pigrizia riferibile alla categoria-ombrello del post rock ma in realtà frutto di una genealogia e di un lessico più articolati e compositi. Questo suo secondo album, “Buone notizie”, a due anni dal già convincente predecessore “Dieci pezzi facili”, amplia gli orizzonti e offre all'ascolto un suono dove le dinamiche d'insieme hanno un ruolo più prominente. In cabina di regia c'è sempre la chitarra – divisa tra impressionismi atmosferici, fraseggi spigolosi e ripetitivi, sottolineature morriconiane, cattedrali eteree di loop e muri di suono lievitanti – ma sono i contributi esterni, in particolare le architetture ritmiche (a volte opera di batterie altre volte di basi elettroniche, come nel caso di “Tartarughe”, con il contributo di Ezra dei Casino Royale), a delineare ancora più nettamente la personalità delle composizioni. Tra gli ospiti segnaliamo in particolare Fabrizio Modonese Palumbo dei Larsen alla viola elettrica (in “Deh”) e Julia Kent (nella line-up di Antony And The Johnsons) al violoncello, quest'ultima decisiva nel dare all'eccellente “Amici vecchi” l'aspetto credibile di danza popolare, immaginaria quanto plausibile. Contatti: www.myspace.com/paolospaccamonti Alessandro Besselva Averame Pagina 47 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 RADÌS Speriamo sia un fiasco Butture Moderne-Sidecar/Goodfellas Quando si dice un nome programmatico. “Radìs” (fondamentale l'accento sulla i) vuol dire “radici” in romagnolo, ed è proprio alle radici della cultura – non soltanto musicale – di Romagna che punta questo ensemble, giunto all'esordio dopo un paio d'anni di frenetica attività live e riconoscimenti importanti in festival e rassegne come “Musica nelle aie” o “Imola in musica”. Con spirito rispettoso ma allo stesso tempo con piglio moderno, la formazione (otto gli elementi in organico) si tuffa nella tradizione locale, una tradizione fatta di balli frenetici nelle aie, racconti tramandati di padre in figlio e che ora rischiano di andare dimenticati, fiere di paese e spiritelli maligni: tutti elementi che si ritrovano in “Speriamo sia un fiasco” (sottotitolo nostro: “E che sia di vino buono”), un lavoro che sprizza gioia e vitalità da tutti i microsolchi. Stumenti prevalentemente acustici (chitarre, fisarmonica, violino, piva, bouzouki, batteria, con l'unica concessione all'elettricità data dalla presenza del basso) e parole in molti casi in dialetto – ma nel libretto c'è la traduzione dei testi – raccontano di un mondo lontano e insieme vicinissimo, quanto può esserlo una gita fuori porta per andare a trovare i nonni che stanno in campagna. Una salubre ventata d'ara fresca che viene da canzoni che, pur rifacendosi chiaramente al passato, riescono anche a suonare incredibilmente attuali e vivaci, legate a doppio filo col proprio territorio d'appartenenza ma allo stesso tempo – complice anche qualche eco irlandese – universali. Ecco, non ci viene in mente complimento migliore per le tredici composizioni qui contenute, tutte originali tranne una sentita e – incredibile ma vero – non retorica ripresa di “Bella ciao”. Contatti: www.myspace.com/radis2008 Aurelio Pasini Pagina 48 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 RAEIN Ah, As If Sons Of Vesta La parabola dei Raein è una delle perle nascoste del nostro paese, che di tanto in tanto andrebbero tolte dalla teca gettata negli scantinati undergound, per essere sfoggiate con fierezza. Il gruppo forlivese, composto per metà dai La Quiete e metà da membri dei Neil On Impressions, ha costruito il proprio seguito specialmente all’estero, capeggiando fin dall’inizio del nuovo secolo in prima linea su di un versante poco esplorato nel nostro stivale, e collezionando concerti da nervi a fior di pelle e braccia tese verso il cielo, formando uno zoccolo duro di appassionati e devoti. Un cuore inquieto e sanguinante, germinato nel tempo (ahinoi) fuori dai nostri confini, devoto all’estetica ed al credo del DIY, di viaggi interminabili in furgoni fatiscenti e pura rabbia liberatrice, che parte dallo stomaco, intaccando il cuore di bile ed irrorando il cervello di sangue. Un vero e proprio “rush of blood”, come usano chiamarlo gli inglesi. “Ah, As If” posiziona l’ennesimo tassello di una discografia sconfinata, composta da un solo disco vero e proprio, ma anche da una moltitudine di EP e 7’’ condivisi con altrettanti gruppi, qui raccolti in una sola scarica emozionale da nodo in gola. Copertina disegnata per l’occasione dal buon Alessandro Baronciani, ed un pugno di canzoni sferrate nello stomaco compongono una raccolta di B-sides, inediti e pezzi introvabili di sussulti con il cuore in mano, in cui gole arse, chitarre taglienti e ritmiche sistoliche compongono la cifra stilistica che contraddistingue il gruppo da sempre, dando un buon punto di vista sulla evoluzione del sestetto, partito da una matrice screamo classica, che col tempo ha smussato i propri angoli a favore di linee melodiche più incisive (“Blue Lines”) fino a lambire i territori dell’emocore più duro e puro. Per i neofiti un buon punto di partenza per squassarsi il cuore e timpani. Per i veterani, la sbornia emozionale di sempre per placare l’attesa fibrillante del nuovo disco. Contatti: http://www.myspace.com/raein Luca Minutolo Pagina 49 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 SANDRO CODAZZI Sandro Codazzi MCL/Black Fading Ci sono persone che i miti li subiscono e poi c’è Sandro Codazzi che a quanto pare i miti vuole viverli da molto vicino, in una sorta di feticismo audiovisivo. Dopo aver dato vita nel 2004 al duo elettronico dei Silicon Wafer ed essersi lanciato in una carriera solista quattro anni dopo, debuttando con il remix di “Manzotin mantra” dei Post Contemporary Corporation, Codazzi pubblica oggi l’omonimo album di debutto, dichiarazione d’amore verso uno smaliziato elettropop anni 80 (o italo disco, se vogliamo darci un tono), che pur mostrando la propria età oscena e girando intorno a canonici preset di sintetizzatori, riesce misteriosamente a rinnovarsi, di anno in anno, di revival in revival. Della mitologia codazziana i sintetizzatori ne fanno ampiamente parte, così come un gusto finissimo per le melodie, specie se venate da una malinconia sottile. Brani come “Transitions” e “Automatic Love Song”, impreziositi dalla voce di Valentina Giosa (e da tonnellate di vocoder), sono una manna dal cielo in tal senso e hanno tutte le carte in regola per una massiccia esportazione oltre confine. L’altra presenza femminile dell’album, Valentina Castellani, non è da meno con “F.I.A.L.A.S.” (Female Ilusions About Love After Sex), pur spostando le lancette in avanti, in piena fascinazione Nineties. Non che i balzi temporali siano motivo di turbamento per l’artista. Al contrario, pare che il mito più importante per Codazzi sia proprio la rilettura del Passato e non di un singolo decennio; come nell’artwork, omaggio tenue al gentleman driver per eccellenza, Elio De Angelis. Nostalgia a 8-bit. Contatti: www.myspace.com/sandrocodazzi Giovanni Linke Pagina 50 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 SIDERA NOCTIS 
From Lost Space Sidera Noctis/Stella Nera Il veneziano Mauro Martello è un virtuoso del flauto che ha alle spalle una pluridecennale carriera accademica e una militanza in svariati ensemble di musica antica. Fa inoltre parte dell'attuale line up degli Opus Avantra, formazione storica del nostro folk progressivo, e dei Sidera Noctis, al debutto con questo album autoprodotto e distribuito da Stella Nera, storico ramo discografico di “A - rivista anarchica”. Il quartetto guidato da Martello (oltre ai flauti, nel parco strumenti troviamo tastiere, percussioni e una viola da gamba) applica al lungo percorso di ricerca intrapreso dal musicista una veste sobria e moderatamente sperimentale, che attinge a riferimenti noti rielaborandoli con estrema grazia e competenza. In queste composizioni ritroviamo la nobile postura stilistica dei Dead Can Dance più medievali (grazie anche al soprano di Antonella Bresolin, impegnata alla voce oltre che alla già citata viola da gamba), certi aromi del revival celtico, la spiritualità sincretica di “Hosianna Mantra” dei Popol Vuh, occasionali sentori di new age subito smentiti da un approccio sonoro ben poco propenso agli svolazzi calligrafici, musica barocca e pure qualche riferimento progressive. L'autorevolezza e il fascino del progetto derivano dalla capacita nell'amalgamare il tutto rimescolando gli elementi anche secondo vie inattese (lo strumentale “Keplero”, con un impianto percussivo quasi dance che incrocia sulla sua strada antiche architetture), ragion per cui “From Lost Space” è un disco fuori categoria, sospeso tra ricerca e divulgazione, unico nel suo genere, dalla delicata bellezza. Contatti: www.mauromartello.com/Pagina_sidera_noctis.htm Alessandro Besselva Averame Pagina 51 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 SQUADRA OMEGA Squadra Omega Boring Machines Il primo brano, “Murder In The Mountains”, è una specie di lunga e sfiancante (in senso buono) cavalcata, tra il cosmico, il tribale e il post-rock più più psichedelico, qualcosa che fa venire in mente le primissime produzioni dilatate e vagamente pinkfloydiane dei Cerberus Shoal (i Floyd di “Ummagumma”, però). Gli Squadra Omega nascono da una costola dei Mojomatics (troviamo tra le loro fila il batterista del duo veneziano, Matteo Bordin, che si è anche occupato di immortalare su nastro le session nello studio Outside Inside) e da quelle di altri gruppi (The Intelligence, Movie Star Junkies, Vermillion Sands, With Love e Apoteosi Del Mistero). Il secondo brano, “The Mistery Of The Deep Blue Sea”, inserisce dinamiche più rock, generando un'atmosfera alla Hawkwind (batteria metronomica, voci inquietanti captate chissà dove, chitarre sbavate e livide ma con un tiro decisamente hard), e i due brani successivi (quattro in tutto i titoli, per mezz'ora complessiva), “Hemen – Hetan! Hemen – Hetan!” e “Ermete”, trovano vie di mezzo tra le due dimensioni, tirando in ballo anche i fiati. Al di là degli aspetti costitutivi del progetto, e delle influenze più o meno evidenti, la grandezza del gruppo risiede soprattutto nella capacità di generare una specie di malevola e suggestiva vibrazione da esoterismo cinematografico vintage, persistente come una radiazione diffusa e vero e proprio fattore decisivo nella riuscita di questo lavoro. Contatti: www.myspace.com/squadraomega Alessandro Besselva Averame Pagina 52 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 STEVE GANG Steve Gang autoprodotto È curioso constatare che Stefano Coliselli, lo Steve della gang in questione, sia arrivato all’esordio discografico dopo oltre tre decenni di musica suonata in giro per l’Italia. Tante le sue esperienze, prima solo come chitarrista (lo ricordo negli anni Ottanta nei Dea Diva, unica band italiana dell’epoca che suonava brani di Kansas, Journey e Styx, e successivamente in altre avventure) e poi la decisione di mettersi in proprio con la Steve Gang, di cui è anche il cantante, con cui si esibisce da anni come cover band, con un repertorio vastissimo, che omaggia il meglio degli anni Settanta in chiave rock, ma che non disdegna anche puntate nel meglio del nostro cantautorato. Poi, meditata da tempo, ma sempre relegata in un angolo, prende vita la decisione di dare corpo alle proprie idee, con un album di inediti, che gli permette finalmente di liberare il proprio istinto. Con intelligenza e rispetto Steve (accompagnato dall’ottimo bassista Luciano e dalla batteria autorevole di Bruce), non calca un modello preciso, plasma la scrittura al cantato in italiano, ma cerca una propria identità ed anche se la sua chitarra solista è abile e puntuale, cosa rara nel panorama del rock in italiano, è la melodia la carta vincente di “Baby blue”, “Il mio sole”, della scanzonata “È solo amore”, un power pop con un refrain irresistibile che potrebbe raddrizzarvi la vostra peggior giornata, mentre ne “Il sogno”, c’è un coro su un tono minore che strega. Forse Steve non ha una voce potente e sempre sicura, e i suoi testi hanno temi sfruttati, ma sa scrivere belle canzoni e alcune di queste, nelle mani di qualche nostro noto “rocker”, potrebbero veramente avere un’ampia visibilità. Ma sono certo che difficilmente questi giganti delle classifiche, avrebbero l’umiltà di riconoscere i meriti di altri. Quindi ascoltatevi l’originale, procurandovi questo CD, un meritato traguardo per questa gang che crede nel rock da ben prima che diventasse una semplice moda anche qui in Italia. Contatti: www.myspace.com/steveganglive Gianni Della Cioppa Pagina 53 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 THE ROADLESS Whiskey For Breakfast autoprodotto/Atomic Stuff Il classico motto del rock “young, rich and dangerous”, applicato a questo quintetto veronese di recente formazione, si tramuta in “young, poor and rowdy”, ovvero giovani, poveri e casinisti. Infatti amano suonare dal vivo in qualsiasi situazione, divertirsi e divertire e, nonostante la giovane età (media 21 anni), guardano al passato, in un suono che mescola e frulla southern, tracce di hard e – perché no? – FM rock, una miscela di variabili che in Italia ha pochi rappresentanti. Ma ai The Roadless, nati come Free Road, non interessa svendere il proprio credo, alimentano una passione ed un sogno e si battono per questo, con canzoni vere, dove due chitarre si alternano tra ritmiche e soliste, dipinte dalla voce sicura di Sara, che si districa con abilità tra riff e arpeggi con un’inclinazione personale, come dimostrano “Amber Morning”, “Crumbs Of Difference”, “Steps” e la ballata “Lucky”, una potenziale hit. Canzoni che con una produzione più “rotonda e grassa”, suonerebbero ancora più convincenti. Ho avuto l’occasione di ascoltarli dal vivo ed oltre al proprio repertorio sciorinano un bagaglio di influenze che passeggia tra Jefferson Airplane, Hendrix, Black Crowes e Creedence Clearwater Revival. Nonostante sia un’autoproduzione, la confezione del CD è ben curata, un’ulteriore nota di merito per questi cinque ragazzi, i cui passi futuri sono da seguire con attenzione. Contatti: www.myspace.com/theroadlessspace Gianni Della Cioppa Pagina 54 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 TOMME Tratto da una storia che accadrà autoprodotto Giovane pratese classe 1983, Tomme, all'anagrafe Tommaso Rosati, ha una formazione e percorso da batterista e percussionista partito fin dal 2000, riversato in questi ultimi anni in una nuova strada, quella elettroacustica aperta con “Giorno in cui”, lavoro liberamente scaricabile dal sito della label fiorentina Pitjamajusto (http://www.pitjamajusto.com/releases/detail/giorno-in-cui). Ora è alla seconda prova da one man band, alchimista sonoro dalle architetture trasognate e in viaggio, che percorrono gli 8 brani di “Tratto da una storia che accadrà” (Trovarobato) già dal titolo così evocativo, in una strada che per volontà di Tomme andrà a tessere brano dopo brano un approdo lunare, in “forme libere e armonie che guardano al jazz e all'avanguardia”. Brani che “nascono disegnati su un taccuino e su computer, camminano fino all'arrangiamento, arrivano all'editing finale e molti suoni sono quelli del mondo che mi circonda, ridisegnati attraverso il sound design”, continua la guida all'ascolto scritta da Tomme. Annunciati da titoli che racchiudono il germe di una storia, quali “Ninna nanna per un gemello”, “Jucas gioca con una scatola”, “Il pensiero del macchinista”, vanno le onde sonore che condensano strumenti, tra il pianoforte, il rasoio degli archi, le inevitabili percussioni, amalgamate, elencate da impulsi, contratture elettriche, in passi armonici e in controtempo, andando a ricordare a tratti, ma mantenendo propria personalità, certe onde dei Boards Of Canada. Ma qui, facendo i debiti distinguo, si trovano altri territori, tagliati di romanticismo in volontà narrativa. Narrazione che acquista il suo valore sensibile nelle immersioni live di cui è capace Tomme (da vedere in Rete le sue performance). Una bella novità, che invita su veicolo meccanico, sempre utilizzando le parole di Tomme a “Siedi, addenta una mela e ascolta.” Contatti: http://tomme.altervista.org Giacomo d'Alelio Pagina 55 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 Underfloor Solitari blu Suburban Sky/Audioglobe I fiorentini Underfloor tornano a tre anni di distanza dal primo, vero e proprio album “Vertigine”, che già si era fatto apprezzare supportato da esibizioni al di sopra della media imperante. Nel frattempo, sono cambiate non poche cose, a partire dalla prematura scomparsa di Ernesto De Pascale, da sempre sostenitore della band e ancora una volta impegnato alla co-produzione. Per di più la formazione si è trasformata da trio a quartetto con l’azzeccato innesto di Giulia Nuti, che garantisce ulteriori nuance destreggiandosi fra viola e tastiere. Al fianco di Lorenzo Desiati alla batteria, l’altro componente storico, il bassista Guido Melis, si è poi assunto il compito di cantare al posto del dimissionario Matteo Urro, sostituito da Marco Superti alle chitarre, sia elettriche sia acustiche. OK, passiamo alla musica suonata, che nel caso di “Solitari blu” corrisponde a nove brani che amalgamano bene rock melodico e una tendenza alla psichedelia a tratti affine ai Verdena, a tratti pronta a lambire certi scenari filo-prog (si ascolti l’apertura a effetto della title track, che supera i sette minuti di durata). Detto di un’eccellente resa sonora e delle belle opere fotografiche di Gianfranco Chiavacci a impreziosire l’artwork, si passa dalle malinconie con tanto di quartetto d’archi di “Nell’aria” al tiro post-wave di “Come se fossi miele” o al sax tenore che irrompe in “Solo un altro sogno”, a conferma della cura certosina prestata agli arrangiamenti, a ogni singolo passaggio strumentale. Contatti: www.underfloor.it Elena Raugei Pagina 56 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 Vetrozero Temo solo la malattia Vrec Mentre scrivo queste righe, i Vetrozero danno gli ultimi ritocchi alla lucidatura del loro repertorio, visto che suoneranno di apertura agli Skunk Anansie al Pistoia Blues, una vetrina che potrebbe offrire nuovi scenari alla band trentina, guidata da Glauco Gabrielli, cantante e chitarrista e soprattutto autore di ogni singolo nota dei dodici pezzi di questo esordio. Un esordio elaborato in quasi un decennio che è, come scrive Glauco nelle note del CD, uno sport estremo, un album di ricordi, un’ossessione, una tenacia perseveranza che merita almeno una speranza. In effetti, ottimamente confezionato in digipack, questo album, dovrebbe conquistare una chance da chi apprezza il rock in italiano ad ampio raggio, diciamo dai Timoria ai primi Verdena (quelli legati alla forma-canzone), che sa ben impressionare anche nei testi spettrali del leader. Glauco ha un’attitudine vera, con una voce grintosa e passionale. ereditata dal grunge, che si muove sinuosa in un telaio chitarristico e ritmico che in alcuni casi appare ripetitivo, ma che quando trova la trama giusta, “Grisou”, l’altalena melodica de “Il mostro”, gli arpeggi elettrici che alimentano “Io + solo – vivo”, sa regalare emozioni. Il tocco di classe arriva con “Solubile” dove appare, in veste di ospite, Emanuele “N.A.N.O.” Lapiana dei mai dimenticati C.O.D. (una delle band più sottovalutate del rock tricolore), un languida passeggiata nei sentieri del dark pop, preludio ad una stralunata “Ninna nanna” che chiude un bell’album, con qualche intoppo e qualche passaggio prevedibile di troppo, ma che salutiamo con un bell’applauso. Contatti: www.vetrozero.com Gianni Della Cioppa Pagina 57 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 Vince Invisibili distanze Disco Dada Vincenzo Pastano, quando non incide musica a nome Vince, è il chitarrista di Luca Carboni. Quando, viceversa, assume il suo nome d'arte, produce un cantautorato che si potrebbe definire, in canzoni come “In questo inferno vero”, una ipotesi di Battiato in salsa shoegaze-dub. Sì, perché nelle otto tracce c'è un sostrato pop italico inconfondibile, sinuoso e talvolta ipnotico, comunque sempre limpido nell'atto di generare melodie, ma alla quadratura del cerchio contribuisce in maniera decisiva una cura sul suono che ha poco di peninsulare e denuncia approfondite frequentazioni internazionali, sedimentate nel tempo. Tutte le canzoni funzionano grazie a questa duplice spinta, e in particolare coinvolge ed emoziona “Disordine Universale” che è quasi un pezzo degli Amor Fou immaginato dagli Slowdive e lo si ascolterebbe più e più volte, lasciandosi avvolgere dalla nebbia diafana che lascia emergere, appena percettibile, il canto. Una sensazione che lascia impercettibilmente spaesati e ritorna in molte delle canzoni, le quali appartengono a una unica, accogliente visione dai contorni volontariamente sfocati ma ricca di sfumature, particolari, sottigliezze. Un bell'esempio di cantautorato pop rock contaminato e mai banale. Contatti: www.myspace.com/vincenzopastano Alessandro Besselva Averame Pagina 58 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 Upload Festival 2011 Alumix, Bolzano, 11 giugno 2011 L'Alumix è un enorme capannone industriale riadattato per ospitare eventi e manifestazioni culturali. Uno spazio dall'indubbio fascino e dalle notevoli potenzialità, appena scalfite da qualche inevitabile problema di acustica, peraltro quasi nullo quando la sala principale si riempie. È successo in occasione della serata conclusiva di “Upload”, manifestazione quest'anno premiata da un successo di adesioni senza precedenti: ben 421, infatti, sono stati gli artisti e le band provenienti da tutta Italia che si sono iscritti, da quali sono emersi i nomi dei quattro finalisti, tutti di livello più che buono, tanto da rendere niente affatto facile il lavoro di una giuria di che tra i suoi membri contava anche Cristiano Godano dei Marlene Kuntz e Paul Cheetham (dello staff del “Popkomm” di Berlino). Alla fine a spuntarla sono stati gli abruzzesi Management del Dolore Post-Operatorio con il loro post-punk energico e graffiante (oltre che “impegnato”), reso ancora più efficace dalla presenza in organico di un front-man dall'indubbio carisma come Luca Romagnoli. Un ritorno in grande stile, il loro, già arrivati in finale nella precedente edizione. Importante oltre che meritata la loro vittoria, perché notevole era anche la qualità della proposta delle altre band in lizza: i bolognesi El Karmaso col loro potentissimo crossover: i genovesi Just Add Melody, guidati dalla grintosa cantante Silvia Criscenzo; gli aretini Sycamore Age e il loro rock vivace e tanto ricco di stimoli quanto lontano dagli stereotipi e dalle facili classificazioni, arricchito da piacevoli venature canterburiane. A completare il programma della serata, chiusa alla grande dall'unico show in terra italica dei Gang Of Four, l'esibizione di tre band locali: Biforsix (vincitori del locale Festival Studentesco), Hill Street Blues Band (selezionati dai lettori del quotidiano “Alto Adige”) e Moscaburro, già apprezzati in fase di semifinale grazie ai loro fascinosi intrecci di voci e strumenti acustici. Presenze tutt'altro che di secondo piano, che hanno contribuito a rendere speciale l'evento e ad accrescere ulteriormente lo spessore di un concorso tra i più importanti nel proprio genere a livello nazionale. Aurelio Pasini Pagina 59 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 El Señor Pablo Due le definizioni che i diretti responsabili danno del progetto El Señor Pablo: “band in franchising”, visto che la formazione ha due incarnazioni diverse, una a Roma e l'altra in Sicilia, di taglio prevalentemente acustico la prima e più elettrico la seconda; “collettivo cantautorale”, perché in entrambi i casi al centro di tutto vi sono la voce (e chitarra) e le composizioni di una sola persona, Federico Doria. Abbastanza per incuriosirci, non c'è dubbio. E il bello è che i cinque brani contenuti nel primo parto del gruppo-cantautore, un CD-R senza titolo, si rivelano il frutto di una personalità artistica interessante e tutt'altro che accomodante, schegge di pop-folk a volte di taglio intimistico e riflessivo, altre più vicine a certe cadenze e soluzioni tipiche del pop psichedelico britannico (non a caso il nome che più spesso viene alla mente è quello di Syd Barrett). Musiche sghembe, testi sufficientemente visionari e un innegabile gusto per arrangiamenti semplici ma non banali e per melodie cantilenanti e felicemente appiccicose: un antipasto di tutto rispetto nell'attesa – speriamo non troppo lunga – di un album che possa garantire a Doria e colleghi una maggiore visibilità. Contatti: www.facebook.com/elsenorpablo Aurelio Pasini Kairo Dei Kairo si conosce poco o nulla. Sono un trio classico che più classico non si può, chitarra, basso e batteria, cresciuti e pasciuti sotto l’ombra silente del Vesuvio, e fissati in studio dalla chiave inglese della Fallodischi. Punto. A parlare sono due semplici tracce apparse su Internet, magniloquenti e più che esaustive. “Mai più”, una cavalcata post-hardcore che si snoda su di un riff ipnotico dal testo ermetico e declamatorio che ruota attorno ad un ossessione reiterata (“Non ci resta che rinunciare a tutto / mai più”), e “Poetessa” col suo lento incedere largamente ispirato agli intagli riflessivi dei Massimo Volume, sorretto lievemente da un intreccio di chitarra a far da contorno alle liriche di oscura decadenza. Frutti ancora acerbi i Kairo, che custodiscono negli intrecci strumentali e nella foga incontrastata un germe che speriamo proliferi al più presto possibile nelle loro giovani menti ancora libere da ogni preconcetto di stile e forma. Foga giovanile e un pugno di canzoni sono dunque lo scarno biglietto da visita di questo trio partenopeo da cui possono stillare buoni spunti, e vista la giovanissima età – diciotto anni a malapena – hanno tutto il tempo per crescere e definire meglio i propri contorni. Aspettiamo almeno il tempo tecnico per finire gli esami di stato. Contatti: www.myspace.com/kairo013 Luca Minutolo Pagina 60 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio '11 Malpratico Tra le varie definizioni possibili per la proposta dei Malpratico una in particolare ci sembra particolarmente centrata: rock d'autore. Perché sì, le sonorità sono all'insegna dell'elettricità e dell'impatto, sempre però filtrati da una certa raffinatezza di fondo, che non inficia minimamente la portata e la sincerità del messaggio, ma lo arricchisce di dettagli importanti e sfumature; e, allo stesso modo, il piglio compositivo è indubbiamente autoriale, nella ricerca delle linee melodiche e ancora di più nello spessore dei testi. Un mix non nuovo, forse, ma indubbiamente ben congegnato quello messo in pratica dall'ensemble capitolino guidato dal cantante-chitarrista Matteo Campa in un CD-R omonimo contenente dieci canzoni vibranti, urbane, notturne e abbastanza varie, oltre che ricche di buoni spunti in fase esecutiva e di arrangiamento-produzione (più che sufficienti a compensare la relativa scolasticità di qualche passaggio). Buona la personalità e palpabile la maturità messe in campo nelle nove composizioni originali, rispettose per la tradizione ma non prive di contaminazioni in odor di elettronica; notevole il piglio con cui viene ripresa e fatta propria “La ballata dell'amore cieco” di Fabrizio De André. Gli appassionati del genere non se lo facciano sfuggire. Contatti: www.myspace.com/malpraticosound Aurelio Pasini Pagina 61 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it