72-73 Editoriale - Aitini - Recenti Progressi in Medicina

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Recenti Prog Med 2012; 103: 69-70
Dal trattamento oncologico alle cure palliative:
i momenti difficili della comunicazione
Enrico Aitini1, Luciano Orsi2, Pier Paolo Vescovi3
Riassunto. Il passaggio dai trattamenti oncologici alle cure
esclusivamente palliative costituisce uno dei momenti più
difficili nella comunicazione di cattive notizie al paziente. Il
medico, anche il più esperto, avverte spesso un profondo
disagio nell’affrontare questi momenti.
From treatment to palliative care: difficult news in oncology.
Summary. The transition from oncological treatment to
palliative care represents one of the most difficult moments
in communicating bad news to patients. Even the most experienced doctor can feel profoundly affected when facing
these moments.
Parole chiave. Cure palliative, fine vita, rapporto medicopaziente, terapia oncologica.
Key words. End-of-life medicine, oncologic treatment, palliative care, patient-physician relationship.
La valutazione della qualità di vita di un paziente affetto da patologie gravi ed invalidanti è un
obiettivo abituale nell’ambito di studi clinici controllati, così come nella pratica medica quotidiana.
Di tale valutazione anche la relazione medico/paziente è divenuta parte integrante. Da alcuni anni,
in particolare, la stretta collaborazione tra l’oncologo medico ed il medico palliativista in una filosofia di presa in carico simultanea («the simultaneous care» degli autori anglosassoni) ha portato a
maturare un rapporto con il paziente neoplastico
caratterizzato da una visione globale del bisogno di
cura: accanto all’identificazione dei bisogni clinici,
l’attenzione si è concentrata non solo sulle modalità della comunicazione e sulle esigenze relazionali,
ma anche su quelle sociali, sugli aspetti etici, sulle
istanze della spiritualità; in una parola: sulla “biografia” della persona malata1-4. Si configura una relazione di cura continuativa che accompagni il paziente durante tutta la malattia e lo affianchi ancor
più intensamente nelle fasi critiche in cui si aggravano problemi non solo di natura sanitaria, ma anche psicologica, familiare e sociale, nonché di adattamento allo stress e alle mutevoli condizioni cliniche.
Le diverse fasi della malattia costituiscono un
banco di prova difficile sia clinico che comunicativo:
il paziente si trova ad affrontare all’inizio un impatto particolarmente angosciante al momento della diagnosi, impatto che lo diventa ancor di più nel
caso di recidiva o di progressione e può assumere toni drammatici allorché si evidenzia l’impossibilità
di proseguire trattamenti specifici. Sono fasi che
non trovano una soluzione preconfezionata; ogni
comportamento deve essere modellato sul singolo
paziente alla luce degli effetti sia fisici sia psicolo-
gici. Le difficoltà sono anche del medico, che ha maturato attenzione e sensibilità nella comunicazione
di una cattiva notizia nell’odierno contesto culturale: un contesto che presenta impreviste oscillazioni
tra un’apodittica fede nel potere della medicina e un
mai risolto terrore di quello che molti, ancor oggi,
definiscono «male incurabile». Medici, psicologi, sociologi, filosofi hanno evidenziato come la rimozione
del pensiero della morte porti con sé l’impossibilità
di restituire dignità ad un evento che fino ai primi
decenni del secolo scorso era in genere percepito nella sua naturalità come parte integrante della vita.
Per poter sostenere una comunicazione leale con il
paziente che versa in gravi condizioni, il medico deve far sua la consapevolezza della propria finitudine, della necessità di relazionarvisi, intendendola
non solo come evento biologico, ma anche esistenziale. Purtroppo questa consapevolezza tende ad essere patrimonio dimenticato da un mondo irretito
dalla tentazione di esiliare la fine dell’esistenza dietro le quinte della vita sociale.
Generalmente, quando il medico comunica una
cattiva notizia cerca di rendere il paziente emozionalmente partecipe di una dimensione più attiva e
progettuale: tenta un atteggiamento propositivo, lo
aiuta a proseguire il dialogo, prospettando il più
realisticamente possibile pur parziali aspettative terapeutiche, alternative che consentano una convivenza con la malattia che, anche se faticosa, riceva
la consolazione della speranza. Tuttavia, i medici
mostrano non di rado serie difficoltà ed una non celata riluttanza nel parlare con i loro pazienti della
fase conclusiva della vita, là dove, invece, dovrebbero essere consapevoli che loro compito è anche
quello di aiutare il malato a non farsi sopraffare dall’angoscia della finitudine5.
1
Struttura Complessa di Oncologia Medica ed Ematologia; 2Struttura Complessa di Cure Palliative; 3Dipartimento di Scienze
Mediche, Ospedale Carlo Poma, Mantova.
Pervenuto il 10 ottobre 2011.
E. Aitini, L. Orsi, P.P. Vescovi: Dal trattamento oncologico alla palliazione
Il livello di istruzione dei pazienti è oggi generalmente incrementato dall’utilizzo di mezzi informatici, di internet e dalla diffusione attraverso i
mass-media di informazioni relative a molte malattie, utilizzo che ha consentito un accesso molto
più ampio, anche se a volte impreciso, ad informazioni riservate in passato alla sola arte medica. Il
malato è oggi in grado di percepire l’opportunità
del trattamento palliativo, ma se il passaggio a
questa fase non è sorvegliato da particolare attenzione, egli diviene preda dell’angosciante pensiero
che la qualità della sua vita sia ormai irrimediabilmente compromessa; angoscia non di rado amplificata dal nucleo familiare.
A rendere più drammatica e difficile questa fase
contribuisce l’inevitabile distacco da alcune figure
professionali che hanno accompagnato il malato durante la storia clinica: non saranno loro a prendersi cura di lui in quest’ultima fase. Nel paziente e
nella sua famiglia sopravviene un sospetto di “abbandono terapeutico”: reazione conseguente è spesso quella di un rifiuto ad accedere in strutture dedicate, non di rado temute come luoghi di ghettizzazione. Il tempo della vita che, anche nelle fasi gravi di malattia, è percepito come tendenzialmente
privo di limiti, appare in questi momenti senza appello concluso, trasformandosi in una sentenza di fine imminente.
Di fronte al rifiuto del paziente e della famiglia,
l’oncologo può trovarsi spesso disarmato, sorpreso
da una complessità emozionale che coinvolge più
persone; ed alle irrazionali aspettative del malato e
dei parenti può sentire forte la tentazione di rispondere abbandonando un dialogo che soffre come
irrealistico. Per la stessa ragione a volte tende erroneamente ad alimentare impossibili recuperi terapeutici ed infondate speranze (il che può in parte
spiegare l’incremento di richieste per ulteriori trattamenti francamente illusori, nella fase conclusiva
della vita6-8).
Indirizzo per la corrispondenza:
Dott. Enrico Aitini
Azienda Ospedaliera Carlo Poma
Struttura Complessa di Oncologia Medica ed Ematologia
Strada Lago Paiolo, 1
46100 Mantova
E-mail: [email protected]; [email protected]
(Sorge, tuttavia, un interrogativo: possiamo
noi arrogarci il diritto di togliere l’ultima speranza a chi vuol mantenerla quale unico, sottile filo
di conforto esistenziale? Se la stessa Costituzione
della Repubblica e i codici deontologici hanno attribuito al paziente il diritto di decidere se accettare o meno una terapia, perché non dovrebbe essergli concesso il diritto di “sperare nell’insperabile”, di privilegiare un’illusione consolatrice piuttosto che un doloroso realismo?)
Se, da un lato, le attuali possibilità terapeutiche
hanno raggiunto livelli impensabili fino a qualche decennio fa, a tal punto da allontanare sempre più l’ombra della fine – misura dell’umano limite – d’altro
canto, esse hanno contribuito a modificare i modi, le
forme e il significato individuale e sociale del morire.
Là dove – nel momento della non-speranza – a volte
anche una semplice carezza, una parola, un silenzio
d’ascolto possono essere in grado di ridimensionare la
solitudine di un’esistenza che si conclude.
Bibliografia
1. Maguire P, Pitceathly C. Key communication skills
and how to acquire them. B Med J 2002; 325: 697-700.
2. Fallowfield L, Jenkins V. Communicating sad, bad, and
difficult news in medicine. Lancet 2004; 363: 312-9.
3. Aitini E, Aleotti P: Breaking bad news in oncology: like a walk in the twilight? Ann Oncol 2006; 17: 359-60.
4. Aitini E. Breaking bad news in onco-hematology: new
hope, new words? Leuk Lymphoma 2011; sep 19 (Epub
ahead of print).
5. Aitini E, Cetto GL. A good death for cancer patients:
still a dream? Ann Oncol 2006; 17: 733-4.
6. Snow A, Warner J, Zilberfein F. The increase of treatment options at the end of life: impact on the social
work role in an inpatient hospital setting. Soc Work
Health Care 2008; 47: 376-91.
7. Giorgi F, Bascioni R. Another infusion of hope. J Clin
Oncol 2009; 27: 1722-3.
8. Aitini E, Adami F, Cetto GL. End of life in cancer patients: drugs or words? Ann Oncol 2010; 21: 914-5.
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