Management e cultura: risorse strategiche dell’India 35 December 2014 Author: Alberto Cossu Language: Italian Keywords: Indian management culture Cross-cultural management Innovative way of management ISSN: 2281-8553 © Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie ABSTRACT Since the early 1990’s India has taken significant steps toward a market-oriented economy. A management culture, whose roots can be traced to the multicultural features of the Indian society, had an active role in achieving this goal. This paper is aimed to explore how deeply the roots of the Indian modern philosophy of management are a result of the Hindu values and the influence they still exert in India today. The aim of this study is to emphasize the need to create a new understanding and innovative way of management to include the cultural differences of a multi-polar world, that are in accordance with the recommendations of UN and European Council. A broad analysis of the world literature about the topic was accomplished. The main finding was that Hindu values permeate the Indian management style, exerting a strong impact. The Indian style of management and India’s ancient culture are and will continue to be some of the most important assets of the country in the near future. The Indian capacity of doing things with limited resources, thinking out of the box, and the ability of managing different cultures will be important in a multi-polar and multi-cultural world and could represent a pattern to follow. India could become one of the four largest powers in the world in the next decades, gaining a stronger position in the Asian and global geopolitical scenarios. One of the strongest points of India is being on the verge of becoming a trendsetter in different fields such as culture and management style which could make India a dynamic and proactive player on the world stage. ALBERTO COSSU Senior Management Consultant, certified by Apco (Italian Institute of Management Consultants). Master in Business Administration, Sogea, Genoa. [email protected] Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie 2 Premessa Oggetto del presente articolo è la nuova cultura di management che si è sviluppata in India negli ultimi venti anni. Essa ha contribuito alla crescita del Paese portandolo ai vertici mondiali nel settore dell’information technology (IT) e delle nuove tecnologie. Questa nuova cultura costituisce una risorsa su cui l’India potrà contare per il futuro. Essa è il risultato di un mix originale di valori della cultura indiana e di tecniche occidentali che hanno generato una visione positiva delle prospettive economiche dell’India. Siamo consapevoli che l’India è il Paese delle contraddizioni e delle grandi dimensioni, per cui come sostiene Bill Emmot: «tutto ciò che si pensa dell’India è corretto. Ma anche l’opposto è a sua volta vero»1. Perciò, se è vero che l’India rappresenta l’avanguardia mondiale nelle nuove tecnologie informatiche, come già nel 2004 sosteneva il celebre editorialista del “New York Times” Thomas Friedman nel suo libro The World is flat2, è vero anche che continua a essere un Paese in cui la povertà è alta, gli agricoltori si tolgono la vita per debiti, la corruzione è diffusa, l’analfabetismo compromette lo sviluppo del Paese, la sanità pubblica è in condizioni deplorevoli, lo stato delle infrastrutture è precario e rallenta la crescita industriale. Prendiamo quindi atto delle contraddizioni dell’India ben descritte da Amaratya Sen nel suo ultimo libro intitolato Una Gloria incerta. L’India e le sue contraddizioni3, coscienti che non esistono modelli in grado di fornire facili interpretazioni per un Paese caratterizzato da diversità religiose, culturali, antropologiche, geografiche e diseguaglianze economiche enormi. 1 B. Emmot, Asia contro Asia. Cina, India, Giappone e la nuova economia del potere. Rizzoli, Milano, 2008, p. 174. 2 T. Friedman, The world is Flat, London, England, Penguin Books, pp. 5-12. 3 J. Dreze, A. Sen, Una Gloria incerta. L’India e le sue contraddizioni, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2014. www.istituto-geopolitica.eu L’articolo intende, dunque, gettare luce sull’emergere di una cultura di management che trova le sue radici nel sistema di valori indiani e che presenta forti elementi di originalità anche rispetto ai modelli dominanti in Occidente. Essa è ancora circoscritta ad alcune élite economiche e urbane, ma si sta lentamente diffondendo anche in altri strati sociali e nelle aree rurali4. Abbiamo scelto di focalizzarci su quello che riteniamo sia un punto forte del sistema economico indiano, ma su cui la letteratura scientifica non si è sufficientemente soffermata, perché costituisce una risorsa strategica per il futuro economico dell’India. Infatti, se è vero come sostiene Subhash Sharma5 che l’India ha subito da parte dell’Occidente una forte colonizzazione intellettuale, soprattutto nel campo del management, negli ultimi venti anni è cresciuta una diversa consapevolezza. È emersa una nuova cultura che dimostra come l’India può percorrere una strada relativamente autonoma nel disegnare le sue prospettive di sviluppo, ispirandosi anche all’esempio del Giappone che è riuscito a coniugare tecniche occidentali con il sistema di valori giapponesi6. Abbiamo rinunciato a entrare nel dettaglio dei punti deboli del sistema come la povertà, la corruzione, l’analfabetismo, ecc., in quanto la letteratura scientifica vi dedica sufficiente attenzione. Nel corso dell’articolo rimandiamo ai principali studi in materia. Infatti, l’economia dell’articolo non ci permette di soffermarci più del necessario, se 4 N. Radjou, J. Prabhu, S. Ahuja, Jugaad innovation, Jossey-Bass A Wiley Imprint, San Francisco, 2012, p. 1-3. 5 S. Sharma, Indian ethos, Indian culture and Indian management: towards new frontiers in management thinking, in “Indian culture and management”, conference proceedings of the ICSSR (Indian Council of Social Science Research) and COSMODE workshop, held in Hyderabad, April 14th – 16th, 2005. 6 P. Puddinu, La cultura giapponese incontra la tecnologia occidentale, in A.A.V.V., Umanesimo in Asia. Le culture non tecnologiche parlano all’Occidente, Università degli Studi di Sassari, Sassari, p. 160. www.geopolitica-rivista.org Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie 3 non in funzione dei nostri obiettivi. Un gruppo di docenti e ricercatori della Wharton School – University of Pennsylvania7 ha tentato di definire i tratti salienti del modello di management indiano ed evidenziato i seguenti elementi: gestione olistica dell’organizzazione, creatività e adattabilità, senso di dovere nei confronti della comunità. Le aziende che s’ispirano a questo modello dimostrano di avere uguali successi economici rispetto a quelle occidentali. Esse mettono al primo posto i collaboratori, tengono conto della comunità e della sostenibilità. Il modello occidentale, in particolare statunitense, mette invece al primo posto i profitti e remunera principalmente gli azionisti. In questo senso si sostiene che il management ispirato dal sistema di valori indiani costituisce un modello da tenere presente anche in Occidente in quanto ha caratteristiche che possono rappresentare il futuro del management8. L’India con un’economia dinamica e con l’impegno a creare ricchezza in modo partecipativo e sostenibile può costituire un “paradigma alternativo” che merita di essere approfondito e considerato al di là dei molti stereotipi che ancora oggi pesano sull’economia di questo Paese9. 1. La crescita economica dell’India L’India è stata per lungo tempo chiusa agli scambi e agli investimenti internazionali fino alla fine degli anni ‘70, quando è iniziata una lenta liberalizzazione, che è divenuta sistematica e profonda dall’inizio degli anni ‘90. Fin dai primi anni dopo l’indipendenza dal Regno Unito l’intervento dello Stato nell’economia è stato preponderante e si è sviluppato attraverso lo strumento dei piani 7 P. Cappelli, H. Singh, J. Singh, M. Useem, The India Way, Harvard Business Press, Boston, 2010, cap. 1. 8 D. Kirkpatrick, The world most modern management: in India, “Fortune”, April 14th, 2006. 9 M. Kamdar India. L’invasione mite, Sperling&Kupfer, Milano, 2007, pp. 6-8. www.istituto-geopolitica.eu quinquennali10. La crescita è stata molto lenta rispetto agli altri Paesi asiatici proprio a causa di un modello economico eccessivamente autarchico e fortemente basato su principi socialisti11. Con l’inizio degli anni ‘90, l’ingresso nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OCM) e la progressiva destatalizzazione, l’India ha inaugurato un periodo di sviluppo economico sostenuto. La forte crescita economica a partire dagli anni ‘90 ha comportato un cambiamento del contributo dei principali settori del Prodotto Interno Lordo. Infatti, si registra una notevole crescita del settore terziario, una marcata riduzione del settore primario e una lieve crescita del settore secondario industriale12. Il modello economico dell’India si caratterizza, pertanto, per un forte sviluppo del terziario e in particolare dell’IT. L’India ha costruito un sistema in grado di accogliere e sviluppare forme di outsourcing sempre crescenti, dalla semplice catalogazione di dati alla progettazione, sviluppo e manutenzione di software13. Nelle forme più evolute questa industria ha compreso i cosiddetti IT service, i servizi fruibili attraverso il web globale. Quella che inizialmente si configurava come l’esternalizzazione di attività circoscritte è diventata gradualmente un fenomeno che ha riguardato interi processi: il Business process outsourcing (Bpo). Si sono sviluppate inoltre call center di banche, assicurazioni e multinazionali occidentali principalmente di origine statunitense e britannica. Inoltre, si 10 R. Dietmar, Storia dell’India, Il Mulino, Bologna, 2007, p. 95; si veda anche A. Armellini, L’elefante ha messo le ali, Università Bocconi, Milano, 2008 pp. 277-298; sulle vicende economiche e politiche più recenti: M. Torri, Ripresa economica, conflitti sociali e scandali politici in India, in Asia Maior, Osservatorio Italiano sull’Asia, 2010, I libri di Emil, Bologna, 2011; M. Torri, Rallentamento dell’economia e debolezza della politica, in Asia Maior, Osservatorio Italiano sull’Asia 2012, I libri di Emil, Bologna, 2013. 11 S. Chiarlone, L’economia dell’India, Carocci, Roma, 2008, pp. 9-10. 12 R. Orlandi (a cura di), L’India tra i grandi della terra, Il Mulino, Arel, Bologna, 2009, p. 26. 13 S. Chiarlone, Ecco dove l’India può battere la Cina, “Eastonline”, n. 4, 2007, pp. 16-22. www.geopolitica-rivista.org Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie 4 possono considerare attività di back office quali la gestione dati, la certificazione di bilancio, la movimentazione dei conti bancari, l’amministrazione delle paghe, attività legate all’editing e all’editoria in generale, fino a servizi professionali e tecnici, nella ricerca, sviluppo e ideazione dei prodotti14. Gurcharan Das15 ripercorre l’evoluzione economica di questi ultimi trenta anni, scrivendo che nel 1980 l’atteggiamento verso il settore privato ha iniziato gradualmente a cambiare. Infatti, grazie agli sforzi del Primo Ministro Rajiv Gandhi, sono state messe in atto diverse politiche rivolte a riformare il sistema economico che hanno avuto l’effetto di far crescere il PIL del 5,6%. Tuttavia, nel 1990 l’India si è trovata nel mezzo di una crisi fiscale che ha condotto il Paese a promuovere delle riforme più radicali verso le liberalizzazioni che hanno consentito una maggiore integrazione nell’economia globale e hanno aperto la strada ad alti tassi di sviluppo. L’architetto di queste riforme è stato il Ministro delle Finanze Manmohan Singh, poi futuro Primo Ministro negli anni 20042014. La politica di liberalizzazione è stata la conseguenza da un lato del contesto economico internazionale caratterizzato da un’accelerazione della globalizzazione dell’economia e dall’altro delle richieste del FMI di privatizzare e deregolamentare, ridurre la presenza dello Stato, favorire l’iniziativa privata, diminuire la spesa pubblica con tagli agli aiuti e incoraggiare investimenti nazionali ed esteri16. Queste politiche hanno contribuito a definire il modello di sviluppo indiano fondato su settore terziario, tecnologie avanzate, consumi interni e imprese nazionali che lo hanno differenziato da quello cinese, incentrato, invece, sull’export e sul settore industriale. In questo contesto si è affermata una classe imprenditoriale e manageriale portatrice di una nuova visione del management e con un approccio internazionale. Nei settori dell’alta tecnologia, in particolare informatica, biotecnologie e telecomunicazioni, sono emerse nuove imprese come Infosys, Wipro, HCL, Biocon, Bharati Telecom, Dr. Reddy e Rambaxy che operano a livello globale e rappresentano il nuovo volto dell’India nello scenario internazionale17. Sono quelle aziende che fanno affermare al giornalista del “New York Times” Thomas Friedman, dopo la visita al quartier generale di Infosys, che il mondo è piatto, nel senso che qualsiasi servizio è erogabile attraverso le nuove tecnologie perché è possibile farlo da qualsiasi parte del mondo18. Le nuove imprese indiane sono capaci di muoversi in un contesto globale, di generare innovazione con risorse molto limitate e di essere competitive con quelle occidentali. Per la prima volta una parte del sistema economico dell’India si presenta al mondo come avanguardia delle tecnologie19. Adam Segal ha sostenuto sulla rivista “Foreign Affairs” che il vantaggio tecnologico degli Stati Uniti e del mondo occidentale basato sulla velocità di sviluppo di nuove tecnologie si sta riducendo e sono i Paesi dell’Asia, principalmente India e Cina, a mettere in discussione questo primato, diventando poli globali d’innovazione. In questo contesto, il competitivo costo del lavoro diventa solo uno dei fattori di successo delle economie asiatiche20. 17 14 F. Mazzei, V. Volpi, Asia al centro, Università Bocconi, Milano, 2006, p. 209; O. Kenichi, Il prossimo scenario globale, Etas, Milano, 2005 cap. 6. 15 D. Gurcharan, The India Model, “Foreign Affairs”, July/August 2006; dello stesso autore, India grows at night, “The Globalist”, January 11th, 2013, www.theglobalist.com. 16 V. Castronovo, Un passato che ritorna. L’Europa e la sfida dell’Asia, Editori Laterza, Bari, 2006, p. 240. www.istituto-geopolitica.eu R. Kumar, A. K. Sethi, Fare affari in India, Etas, Milano, 2008, p. 24; D. Smith, Il dragone e l’elefante, Il Sole 24 Ore, Milano, 2007, cap. 5, L’economia digitale dell’India, pp. 172-226. 18 T. Friedman, The world is Flat, cit., pp. 1-5. 19 H. L. Sirkin, J. W. Hemerling, A. K. Bhattacharya, Globalist. Competere con tutti ed in ogni luogo, Etas, Milano, 2008, pp. 38-42. 20 A. Segal, Is America losing its edge?, “Foreign Affairs”, November/Dicember, 2004. www.geopolitica-rivista.org Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie 5 Tutto questo accade, come molti osservatori sostengono, nonostante il peso soffocante di una burocrazia che sembra paralizzare il Paese. Ecco come Das Gurcharan descrive la situazione dell’India, il cui sviluppo è frenato da un apparato burocratico che grava pesantemente sulla società civile: «what is most remarkable is that rather than rising with the help of the state, India is in many ways rising despite the state. […] Today, Indians believe that their bureaucracy has become a prime obstacle to development, blocking instead of shepherding economic reforms»21. L’India ha uno Stato percepito debole e penetrato da una corruzione diffusa, ma una società civile forte che trascina, nonostante tutto, il Paese verso una prospettiva di sviluppo. In base all’indice di corruzione percepita, l’India figura al 94° posto su 175 Paesi presi in considerazione con un punteggio che la colloca nella fascia bassa, fra quelli a più alta intensità di corruzione22. Se è vero che lo Stato costituisce il più delle volte un freno allo sviluppo, altrettanto non si può dire per la crescita del settore informatico che, come riconosce David Smith, è il risultato anche «del successo di una strategia pubblica che ha inteso dare priorità a questo settore»23. Infatti, l’industria informatica indiana moderna è venuta alla luce quando il Governo ha cominciato, già negli anni ’50, a investire in ricerca e sviluppo in precisi settori, come difesa, nucleare e spaziale24. Successivamente negli anni ’70 il Governo ha portato avanti un progetto d’indigenizzazione 21 D. Gurcharan, India grows at night, cit. Tansparency International corruption perceptions 2013, Berlino, www.transparency.org; si veda anche Global Corruption Barometer 2013, Berlino, www.transparency.org. 23 D. Smith, Il dragone e l’elefante, cit., p. 180. 24 R. Kumar, A. K. Sethi, Fare affari in India, cit., cap. 3, Breve storia dell’industria indiana del software, pp. 47-62. 22 www.istituto-geopolitica.eu del settore strategico dell’elettronica che ha comportato l’assemblaggio dei computer in India. Gradualmente si è creata nel Paese un’industria informatica che nel 1974 ha iniziato a esportare software come nel caso di Tata Consultancy Services (TCS), che è oggi una delle principali aziende di software dell’India. Nel 1977 il Governo ha deciso di espellere dal Paese diverse multinazionali statunitensi, come per esempio IBM. Questa decisione è divenuta la molla per una rapida crescita dell’industria del software indiano. Negli anni ’80 sono nate Wipro e Infosys che, grazie alla politica d’incentivi per l’esportazione di software attuata dal Governo di Rajiv Gandhi, si sono affermate a livello internazionale. Ed è in questi anni che le grandi multinazionali statunitensi ed europee iniziano a interessarsi all’India come centro mondiale di sviluppo di software, non solo perché il costo del lavoro è basso, ma anche perché ci sono le competenze tecniche e una cultura predisposta positivamente verso le nuove tecnologie. Negli anni ’90 il Governo ha istituito i Software Technology Park (STP) che forniscono infrastrutture di livello internazionale a tutto il comparto informatico. Inoltre, le agevolazioni fiscali previste hanno contribuito ulteriormente a far decollare definitivamente il settore a livello globale. Secondo NASSCOM, l’associazione indiana delle aziende dell’IT25, il settore ha generato un fatturato di 100 miliardi di dollari nel 2012 con un export pari al 77% del valore della produzione, che rappresenta circa il 25% dell’export totale dell’India. Tutto questo è stato possibile anche grazie a politiche mirate del Governo rivolte a sostenere l’IT, al basso costo del lavoro, alle capacità imprenditoriali del settore privato, all’educazione universitaria e ad alcune scuole tecnologiche di eccellenza che hanno trovato un terreno fertile nel sistema culturale indiano. 25 NASSCOM, www.nasscom.in. Annual Report 2011-2012, www.geopolitica-rivista.org India Cina Settori economici PIL % (2012) Occupazione % (stima 2011) PIL % (2012) Occupazione % (stima 2011) Agricoltura 17,4% 47,20% 10,1% 34,8 Industria 25,8% 24,70% 45,3% 29,5% Servizi 56,9% 28,10% 44,6% 35,7% Tabella 1. India e Cina a confronto. The World Fact Book CIA 2012. Infatti, come sostengono T.R.N. Rao e S. Kak26 dell’università della South West Louisiana nel libro Science in Ancient India, la storia del software indiano potrebbe avere le sue radici negli antichi Veda. Queste scritture, infatti, esaltano il pensiero astratto logico e razionale e costituiscono la base dell’istruzione degli Indiani. La matematica vedica è basata su sedici sutra, o formule di parole, che descrivono il modo in cui lavora la mente umana. I primi programmi software, intesi come frasi logiche per risolvere problemi astratti furono scritti da matematici e astronomi indiani tra il 476 d.C. e il 628 d.C. Certamente non s’intende spiegare in questo modo il grande successo dell’IT e del Bpo indiani, cui hanno contribuito come precedentemente descritto diversi fattori, ma evidenziare come il potenziale indiano in alcuni settori sia strettamente collegato con le radici culturali27. Se si compara la composizione del PIL dell’India e della Cina si comprende immediatamente quanto diversi siano i due modelli di sviluppo. Emerge che in India il peso dei servizi è molto più significativo rispetto alla Cina: «L’India risponde in inglese alle esigenze di multinazionali e consumatori. Ne sono espressione diffusa i call center, i centri di ricerca, le software house, le aziende di progettazione. La Cina ha, invece, conquistato un ruolo manifatturiero unico. È la maggiore destinazione d’investimenti produttivi al mondo»28. L’India in questi ultimi anni sta investendo 26 R. Kumar, A. K. Sethi, Fare affari in India, cap. 3, Breve storia dell’industria del software, pp. 47-48, citazione 2. 27 D. Smith, Il dragone e l’elefante, p. 179. 28 R. Orlandi (a cura di), L’India tra i grandi della terra, cit., p. 26. risorse per far crescere il settore industriale che accanto a settori come il tessile, la pelletteria, può vantarne alcuni all’avanguardia come la farmaceutica, la meccanica, l’automotive e l’aerospaziale29. Pertanto, se è vero che l’India è l’ufficio del mondo e forse continuerà a esserlo nei prossimi anni, bisogna però dire che questa espressione sembra riduttiva alla luce dello sviluppo industriale più recente30. L’economia dell’India con un PIL pari a 1.841 miliardi di dollari è fra le dieci economie più grandi al mondo, secondo i dati della World Bank31 aggiornati al dicembre 2012. L’India precede il Canada, l’Australia e la Spagna. Nei prossimi anni supererà l’Italia dalla quale la separano meno di 200 miliardi. La crescita è basata su consumi, investimenti ed export ed ha raggiunto un tasso medio intorno all’8% nel quinquennio dal 2004 al 200832. L’economia dell’India, secondo dati dell’ Economist Intelligence Unit e della Banca Mondiale, è cresciuta nel 2004 del 7.9%, nel 2007 ha raggiunto il 9,8% per rallentare poi a 3,9% nell’anno 2008 segnato dalla crisi finanziaria mondiale. Nel 2010 ha toccato una punta di sviluppo del 10,5% per poi rallentare nuovamente negli anni successivi. Il FMI33 prevede che se il tasso di crescita si dovesse attestare intorno al 7% annuo l’India sarebbe in grado di raggiungere 29 F. Mazzei, V. Volpi, Asia al centro, cit., pp. 207212. 30 Per i più recenti sviluppi del settore manifatturiero in India: The masala Mittelstand. Manufacturing is taking off in India, “The Economist”, August 11th, 2012; Special Report Business in Asia, “The Economist”, May 31st, 2014. 31 World Bank Indicators database, www.worldbank.org. 32 The Economist Intelligence Unit, 2008, World Bank Indicators database. 33 Vedi sito www.imf.org e PricewaterhouseCoopers LLP, World in 2050. The Brics and beyond prospects, challanges and opportunities, January 2013. Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie 7 il PIL di Italia e Regno Unito in pochi anni, fra il 2015 e il 2020, e nel decennio successivo avvicinare il PIL di Giappone e Germania attestandosi al terzo posto tra le grandi economie mondiali. Sebbene tra il 2011 e il 2013 l’economia indiana abbia faticato non poco a crescere, le previsioni della Banca Mondiale la rivedono ritornare a tassi di sviluppo apprezzabili (7%) tra il 2015 e il 2016 tanto da confermare le previsioni del FMI e della società PricewaterhouseCoopers che la ipotizzano nel gruppo di testa delle economie mondiali nel 2030. Stessa previsione viene formulata nel Global Trend 2030 pubblicato dal NIC degli USA che scrive: «In 2030 India could be the rising economic powerhouse that China is seen to be today»34. La forte crescita economica, basata su un modello trainato dai settori avanzati, ha generato evidenti ineguaglianze di reddito, un’accentuazione della disomogeneità dello sviluppo nel Paese tra aree sviluppate e arretrate, e si è dimostrata incapace di creare sufficienti posti di lavoro, generando una crescita senza lavoro (jobless growth)35, e d’incrementare in misura minima i redditi dei settori tradizionali. Questo, secondo Sen36, è accaduto «perché la crescita è stata fortemente concentrata in settori a elevata professionalità piuttosto che in quelli tradizionali ad alta incidenza di manodopera». Questo fatto ha consentito allo strato più istruito della forza lavoro di guadagnare stipendi e salari molto più alti, ma ha penalizzato coloro che, invece, sono impiegati nell’agricoltura e nei servizi tradizionali. Bisogna, però, precisare che anche i settori a più alta intensità di manodopera, per via di un’automazione spinta, stanno creando posti di lavoro inferiori alle attese sia nei Paesi avanzati che nelle economie dei Paesi emergenti. Questo vuol dire che: 34 National Intelligence Council, Global Trends 2030, December 2011, www.dni.gov/nic/globaltrends. 35 J. Dreze, A. Sen, Una Gloria incerta. L’India e le sue contraddizioni, cit., p. 43, nota 27. 36 Ibid. www.istituto-geopolitica.eu «the real winner of the future will not be the providers of cheap labor fortune will instead favor those who can innovate and create new products, services, and business model»37. In questo senso l’India, almeno nei settori avanzati sembra essere in linea con questa tendenza che vede una classe creativa «capturing most of the rewards and a long tail consisting of the rest of the participants»38. Lo sviluppo di questi anni ha permesso di attenuare il fenomeno della povertà, come dichiara il rapporto della Banca Mondiale39, ma non di sradicarlo. Come diversi studiosi riconoscono si tratta di uno dei punti maggiormente controversi perché si arriva a contestare i metodi di determinazione della povertà da parte dello Stato indiano. In questa direzione si muove Michelguglielmo Torri, il quale sostiene che «la soglia di povertà quale è quella definita dallo Stato si è progressivamente trasformata in un indice statistico privo di significato»40. Non è certo questa la sede per affrontare una tale controversia, possiamo solo citare ancora una volta Sen, il quale afferma che: «indipendentemente da dove si tracci la soglia, il ritmo di riduzione della povertà negli ultimi venti anni circa è stato molto più lento in India che nell’insieme dei Paesi in via di sviluppo, nonostante la crescita economica sia stata molto più rapida in India»41. 37 E. Brynjolfsson, A. McAfee, M. Spence, New world order. Labor, Capital, and Ideas in the Power Law Economy, “Foreign Affairs”, July/August 2014, p.1. 38 Ibid. 39 Perspective on poverty in India, The World Bank, 2011, p.4; «India has continued to report steady progress in reducing consumption poverty. Focusing on the experience of the last 20 years and using the official poverty lines, in 2004-05, 28 percent of people in rural areas and 26 percent of people in urban areas lived below the poverty line, down from 47 percent and 42 percent, respectively, in 1983». 40 M. Torri, I costi sociali dello sviluppo, R. Orlandi (a cura di), L’India tra i grandi della terra, cit., p. 249, nota 14. 41 J. Dreze, A. Sen, Una Gloria incerta. L’India e le sue contraddizioni, cit., p.41. www.geopolitica-rivista.org Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie 8 Il modello di sviluppo incentrato su politiche neoliberali ha mostrato i suoi limiti tanto da far dichiarare al Primo Ministro Singh: «Perché, anche dopo anni di sviluppo e tassi di crescita sempre più elevati, non siamo stati in grado di mettere fine alla povertà di massa e di dare lavoro a tutti? Perché alcune regioni del Paese continuano a rimanere indietro? […] L’India non può diventare una nazione con isole di forte crescita e vaste aree non toccate dallo sviluppo, una nazione dove i benefici della crescita tornano esclusivamente a vantaggio di pochi»42. Il premio Nobel per l’economia Amartya Sen comparando i risultati dell’India con quelli di altri Paesi asiatici dichiara che: «L’India non ha avuto difficoltà a innalzare il tasso di crescita economica eliminando vincoli e restrizioni e sfruttando le opportunità offerte dal commercio. Gran parte della società indiana rimane, tuttavia, esclusa dal benessere economico»43. Il tasso di alfabetizzazione, ancora molto basso nel 2010 – 63% della popolazione adulta – costituisce un vincolo che rallenta il pieno dispiegamento delle potenzialità del Paese, come la Tabella 2 evidenzia in rapporto, soprattutto, ai Paesi dell’Asia orientale44. Lo stesso autore, evidenziando le carenze del sistema educativo indiano e la bassa alfabetizzazione della popolazione adulta mette, però, in evidenza «come un gran numero di Indiani – una minoranza, ma pur sempre numerosa – riceve un’eccellente istruzione in patria»45. Ci sono scuole, università, centri di formazione di assoluto valore come gli Indian Institutes of technology (IITs) e gli Indian Institutes of Management (IIMs) in grado di fornire formazione di alta qualità di cui le aziende indiane si avvalgono per essere competitive non solo nei lavori a medio-bassa qualificazione ma anche in quelli che implicano ricerca, innovazione e progettazione. Geograficamente lo sviluppo economico ha toccato principalmente i poli urbani di Mumbai, Nuova Delhi, Calcutta e Chennai; quest’ultima ha costituito un asse industriale con Bangalore e un corridoio privilegiato con Hyderabad, considerata la più grande High Tech City dell’Asia. Questi poli attirano tradizionalmente la maggior parte degli investimenti esteri e costituiscono centri tecnologici e di alta formazione di livello mondiale46. Nel 2012 l’India risultava essere la quarta destinazione mondiale per gli investimenti esteri (superata solo da Stati Uniti, Cina e Regno Unito) generati dall’Europa per il 38,6%, dagli Stati Uniti per il 19,7%, dal Giappone per il 10% e ancora a livello poco significativo dalla Cina per l’1,5%. Principalmente essi si concentrano nel settore dell’IT e in misura minore nel manifatturiero; in particolare nelle città di Chennai con una quota di circa il 13,3% dell’ammontare totale d’investimenti nel periodo 2007-2012, Mumbai 8,1%, Pune 5,9%, Nuova Delhi 10%, Bangalore 12,9% e Hyderabad circa 6%; quest’ultima sta attirando quote crescenti d’investimenti dal Giappone e dalla Cina47. 42 Bill Emmott, Asia contro Asia, Rizzoli, Milano, 2008, p. 189. 43 Franco Mazzei, Vittorio Volpi, Asia al centro, cit., p. 209, nota 30. 44 Jean Dreze, Amartya Sen, Una Gloria incerta. L’India e le sue contraddizioni, cit., pp. 125-127. 45 Ivi, pp.140-141. www.istituto-geopolitica.eu 46 Franco Mazzei, Vittorio Volpi, Asia al centro, cit., p. 211. 47 EY’S attractiveness survey. India 2014. Enabling the projects, Enerst&Yung Global Limited, UK www.ey.com/growingbeyond. www.geopolitica-rivista.org 1960 1980a 2010b India 28 41 63 Bangladesh 22 29 57 Nepal 9 21 60 Pakistan 15 26 55 Sri Lanka 75 87 91 Cina n/d 65 94 Indonesia 39 67 93 Malaysia 72 83 95 Asia Meridionale Asia Orientale Filippine 72 83 95 Thailandia 68 88 94 Vietnam n/d 84 93 Tabella 2. Tasso di alfabetizzazione tra adulti (% di persone alfabetizzate nella fascia di età a partire da 15 anni). a: 1981 per Bangladesh, India, Nepal, Pakistan, Sri Lanka; 1979 per il Vietnam; 1982 per la Cina. b: 2006 per l’India; 2009 per l’Indonesia e il Pakistan; 2008 per le Filippine; 2005 per la Thailandia. World Bank, World Development Report 1980 tab. 23, per i dati 1960; World Bank, World Development indicators per gli altri anni. In questo contesto gli Stati interni dell’India come, per esempio il Bihar, hanno stentato, invece, a dare impulso a una crescita con tassi elevati e dispongono di un reddito pro capite quattro volte inferiore a quello degli Stati più ricchi. Questo quadro, però, si sta modificando come sostiene su “Foreign Affairs” Ruchir Sharma, capo economista per i mercati emergenti di Morgan Stanley, il quale disegna una situazione in cui lo sviluppo si sta spostando verso Nord e può contare su leadership forti in alcuni Stati come il Gujarat e il Bihar48. Lo sviluppo economico indiano si basa su una struttura politica democratica. I valori che la animano si possono rintracciare nella matrice multiculturale indiana, costituita da un mix unico di diverse culture, dal buddismo al sikhismo, che come sostiene lo storico Fernand Braudel, ha nell’induismo l’asse portante, tanto da fargli affermare che «more than a religion or a social system, it is the core 48 R. Sharma, The rise of the rest of India, “Foreign Affairs”, September/October 2013. of Indian civilization»49. Sir Monier Williams, docente di sanscrito all’Università di Oxford, ne spiegò i punti forti in questo modo: «esso (l’induismo) è del tutto tollerante […]. Ha il suo aspetto spirituale e il suo aspetto materiale, quello esoterico e quello popolare, quello soggettivo e quello oggettivo, quello razionale e quello irrazionale, quello puro e impuro. […] Ha un lato per l’elemento pratico, un altro per quello rigorosamente morale, un altro per quello devozionale e immaginifico, un altro per quello sensibile e sensuale e un altro ancora per quello filosofico e speculativo»50. Come sostiene lo scrittore bengalese Nirad Chaudhuri è difficile avere un’idea ben 49 S. P. Huntington, The Clash of Civilizations. Remaking of World Order, Touchstone, New York, 1996, p. 45, nota 5. F. Braudel, On History, University of Chicago Press, Chicago,1980, p. 226. 50 Z. Fared, L’era post-americana, Rizzoli, Milano, 2008, p. 161. Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie 10 definita dell’induismo, che rappresenta un sistema di valori che non dà risposte ma solleva domande, come si può evincere dai Rig Veda, dove nell’Inno alla Creazione un passo recita: «Chi conosce veramente e può giurare di sapere, come è avvenuta la creazione, quando o dove! Anche gli dei sono comparsi dopo il giorno della creazione. Chi conosce veramente, chi può davvero dire quando e come la creazione ha avuto inizio? Ne è stato Lui l’artefice? Oppure no? Egli solo lo sa, lo sa, forse; o forse non lo sa nemmeno Lui»51. Questo fatto contribuisce a creare negli Indiani, in particolare induisti, un profondo spirito pratico che rende gli uomini d’affari capaci di fare compromessi con la realtà e prosperare in diversi continenti dall’Africa, all’Est europeo all’America. L’India ha dunque costruito un modello di sviluppo economico nel quale la società dei servizi ha generato e messo in moto la crescita economica. Anche se nel futuro il settore manifatturiero rappresenterà un motore per l’economia indiana, il settore terziario avanzato costituirà sempre l’asse centrale. Il sistema multiculturale di valori, che sviluppa un’elevata flessibilità cognitiva capace di conciliare la spiritualità con la ricerca di elementi materiali come il denaro, fornirà la base su cui si poggerà la crescita dell’India. In questo contesto si può pertanto citare Rajendra Pawar, amministratore delegato della società informatica NIIT, il quale sostiene: «l’Occidente ha creato ricchezza attraverso la rivoluzione industriale; l’Asia occidentale attraverso il petrolio. Ora è la volta dell’India. Loro l’hanno creata usando l’abbondanza che la natura ha offerto all’uomo, ma noi Indiani la creeremo usando ciò che è in noi stessi, nella mente dell’uomo. Nel XXI secolo, che passerà alla storia come il secolo della mente, l’India avrà la rara 51 Ivi, p. 162. www.istituto-geopolitica.eu opportunità di riconquistarsi con orgoglio la sua posizione tra le nazioni del mondo»52. La cultura millenaria degli antichi testi Veda che ha concorso in modo “invisibile” a determinare la grande affermazione dell’industria del software e del settore dei servizi avanzati, come abbiamo detto in precedenza, continuerà a formare il sostrato culturale su cui si potrà fondare il successo economico indiano. aspetti interculturali del 2. Gli management indiano In questa parte del report ci proponiamo di comprendere il sistema di valori induisti, quali sono le origini e come influiscono sul management, coscienti che la cultura indiana è caratterizzata da una tale complessità da rendere difficile ogni generalizzazione. La difficoltà deriva dal fatto che il sistema dei valori dell’India ha una natura multiculturale e deriva dal contributo rilevante che anche le componenti minoritarie forniscono all’identità indiana, fattore indipendente dalla consistenza numerica, come nel caso del buddismo o del giainismo. Inoltre, una serie di influenze che vanno dal dominio islamico al colonialismo britannico e più recentemente la globalizzazione si aggiungono a rendere più complesso il sistema di valori indiano. Tuttavia, nonostante queste influenze, ci troviamo d’accordo con Fernand Braudel, nel sostenere che le basi della cultura indiana ruotano intorno ai principi fondamentali dell’induismo, che rappresenta la religione maggioritaria, l’80% dell’intera popolazione. L’induismo ancora oggi forma il pensiero e il comportamento della maggioranza degli Indiani, ma ha anche una straordinaria capacità di pervadere gli altri sistemi di valori e a sua volta di farsi influenzare53. Ci sembra opportuno, prima di entrare nell’analisi del sistema di valori indiano, 52 R. Kumar, A. K. Sethi, Fare affari in India, cit., p. 47. 53 Ivi, p. 65. www.geopolitica-rivista.org Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie 11 definire che cosa intendiamo per management e il rapporto con la cultura. Una definizione classica identifica il management come un complesso di attività rivolte a conseguire degli obiettivi organizzativi attraverso l’impiego di risorse umane e materiali54. Il management che in italiano si può tradurre con gestione e/o direzione comporta prendere decisioni relative a che cosa fare, come farlo, quando farlo, dove farlo, chi deve fare e, elemento più importante di tutti, se fare o no qualcosa. Perciò le funzioni classiche di un’attività manageriale in organizzazioni private e pubbliche si possono identificare nelle seguenti: • • • • programmazione: definisce ciò che deve essere fatto e gli obiettivi da raggiungere; organizzazione: decidere come utilizzare risorse tecnologiche, economiche e umane, e chi deve fare ciò che è stato programmato; direzione: realizzare le attività programmate motivando le persone che devono fare ciò che è stato stabilito; controllo: monitorare le persone e il loro lavoro per verificare che le cose stabilite siano fatte. Queste attività sono svolte in linea di massima in tutte le organizzazioni e in differenti Paesi. Pertanto si può dire che ciò che fanno i manager è uguale in tutto il mondo. Tuttavia, come giustamente sottolinea Peter Drucker55, come essi lo fanno è condizionato dalla cultura del contesto in cui vivono e operano. Il management, inteso come complesso di strumenti di gestione, ha una certa omogeneità in molti Paesi sia occidentali che orientali. Cambia, però, la modalità in cui quegli strumenti vengono utilizzati poiché il loro uso è influenzato dalla cultura. A proposito di cultura il dibattito scientifico si polarizza su due approcci: il primo sostiene che il ruolo della cultura è marginale perché i manager si comportano nello stesso modo in tutti i Paesi in quanto guidati da uno stesso approccio razionale incentrato sul profitto; il secondo sostiene invece che il ruolo della cultura è rilevante nel determinare differenti comportamenti organizzativi e di gestione56. In questo articolo si propende per la seconda tesi la quale prende atto che le differenti culture organizzative, nazionali, regionali, danno luogo a molteplici comportamenti gestionali anche in presenza di strumenti e metodi manageriali simili. La letteratura scientifica registra numerose definizioni del termine cultura, in quanto esso viene interpretato da discipline differenti: l’antropologia, la sociologia, la filosofia, fino alle discipline manageriali. Per un’ampia panoramica della letteratura in materia poiché non è nostro obiettivo entrare nel dettaglio del dibattito scientifico in merito al concetto di cultura, si rimanda al primo volume del libro Cross cultural management curato da G. Redding e B. W. Stening in cui la complessità e la vastità della tematica è affrontata nella sua interezza57. Una delle più efficaci definizioni che si ritrova nella letteratura del cross-cultural management, poiché è in grado di concentrare in poche parole il significato di cultura, è quella elaborata da Geert Hofstede, che la paragona ad un programma di computer che distingue un gruppo organizzato da un altro e che agisce in modo sottile e spesso a livello inconscio ed è in questo modo in grado di determinare i comportamenti di 58 un’organizzazione . La letteratura manageriale ha considerato per un certo periodo le differenze culturali 56 54 M. S. Colby, Selig Alkon, Introduction to business, Harper Collins Publishers, New York, 1991, p. 77. 55 P. Drucker, Il futuro che è già qui. La professione del dirigente nella società post-capitalista, Etas, Milano, 1999. www.istituto-geopolitica.eu G. Redding, B. W. Stening, Cross cultural management. The theory of culture, Vol. I and II, Edward Elgar Publishing Limited, UK, 2003, p. 12. 57 Ibid. 58 M.J. Gannon, Global-Mente, Baldini Castoldi Dalai Editore, Milano,1997, p. 29. www.geopolitica-rivista.org Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie 12 come una fonte di problematiche per le organizzazioni piuttosto che come un’opportunità per migliorare il funzionamento organizzativo e indirizzarlo verso prestazioni di eccellenza59. Essa, almeno nel passato, si è concentrata nello studio degli aspetti negativi delle differenze culturali considerandole come “sabbie mobili” in grado di paralizzare e portare alla rovina le organizzazioni. Solo più recentemente la prospettiva è cambiata e le differenze culturali sono viste come una fonte di vantaggio competitivo capace di generare dei benefici e non più come un ostacolo allo sviluppo60. In questo senso l’India può essere un buon modello da osservare per trarre utili indicazioni su come gestire al meglio le diversità derivate dalla multiculturalità della sua società. L’India è, infatti, il Paese delle diversità, certamente una delle nazioni più eterogenee al mondo dal punto di vista geografico, etnico, linguistico e culturale. Per la vastità delle sue dimensioni è la settima nazione al mondo, mentre è la seconda per popolazione. Le città indiane di Mumbai, Chennai, Bangalore, Calcutta, Nuova Delhi, Hyderabad sono tra gli agglomerati urbani più popolosi del pianeta. Tuttavia, l’eterogeneità religiosa è uno dei tratti distintivi dell’India come si può evincere dalla Tabella 3: Religione % Induista 80,5 Musulmana 13,4 Cristiana 2,3 Sikh 1,9 Buddista 0,8 Altre (Ebrea, Parsi, Bahai, Animista) 0,7 Giainista 0,4 La vita religiosa costituisce il tema centrale e il cardine attorno a cui ruota la nazione61. Tutte le maggiori religioni al mondo sono presenti in India, sia le orientali che quelle di tradizione monoteista, comprese alcune scomparse nei luoghi di origine come il cristianesimo siriaco-nestoriano o l’antica religione zoroastriana dei Parsi62. Il Paese è allo stesso tempo un’antica civiltà e una nazione moderna e democratica. L’India è anche un’enorme babele linguistica poiché accanto all’hindi, la lingua ufficiale, e all’inglese, che ha unificato il Paese, ce ne sono altre ventidue riconosciute dalla Costituzione indiana. Tuttavia, assieme alle lingue nazionali vi sono un centinaio di lingue parlate da oltre 10.000 persone e 234 lingue parlate da meno di 10.000 persone63. L’India presenta anche una marcata diversità antropologica nella sua popolazione. Infatti, i quattro principali Stati dell’India meridionale (Tamil Nadu, Andhra Pradesh, Karnataka e Kerala) sono abitati da etnie di origine dravidica, un ceppo proto mediterraneo che si ritiene migrato in India tra il terzo e il quarto millennio a.C. Le lingue hanno struttura e alfabeti assai diversi rispetto a quelle del Nord, che hanno invece derivazione dal sanscrito64. Il Nord e il centro dell’India sono abitati da popolazioni di ceppo indo-ariano, emigrate dall’Asia centrale nel Nord dell’India intorno al XVI secolo a.C. sospingendo le popolazioni di origine dravidica verso sud e distruggendo la loro avanzata civiltà urbana. L’India è anche il Paese con il più grande aggregato di popolazioni tribali al mondo, 84 milioni di persone, l’8,2% della popolazione totale. Il numero di tribù censite è di 635 costituite da popolazioni autoctone, precedenti alle migrazioni ariane e dravidiche65. Tabella 3. Religioni dell’India. India Census 2001. 59 C. Hamden-Turner, The boundaries of business: the cross-cultural quagmire, Harvard Business Review, September-October 1991. 60 L. Hoecklin, Managing cultural differences: strategies for competitive advantage, Economist Intelligence Unit/Addison Wesley, London, 1995. www.istituto-geopolitica.eu 61 R. Orlandi (a cura di), L’India tra i grandi della terra, cit., p. 35. 62 Ivi, pp.35-70. 63 Ivi, p. 59. 64 Ivi, p.62. 65 Ivi, p.64. www.geopolitica-rivista.org Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie 13 Nehru, uno dei padri dell’India, scrisse: «la diversità dell’India è tremenda; è ovvia; si trova in superficie […] ed è immediatamente visibile a tutti […]. Ma un sogno di unità ha occupato la mente dell’India fin dalle origini della civiltà. Questa unità non è stata concepita come qualcosa imposto dall’esterno, una standardizzazione esteriore e di credenze. Era qualcosa di più profondo e nel suo ambito era praticata la più ampia tolleranza di credenze e di costumi e ogni diversità veniva riconosciuta e anche incoraggiata»66. Lo stesso Nehru all’indomani dell’indipendenza dell’India affermò che il compito principale della classe politica non era solo lo sviluppo economico, ma anche l’integrazione emotiva e psicologica delle popolazioni indiane. A sessant’anni di distanza si può dire che il risultato è stato conseguito ed è stata sconfitta l’idea di Churchill, il quale considerava l’India una mera “espressione geografica”67. Le forti diversità esistenti in India hanno sviluppato in una parte degli Indiani un senso di grande rispetto, tolleranza, umiltà e altruismo. Alcune componenti della società indiana credono nel Sarva Dharma Sambhavana68, cioè nell’eguale rispetto di tutte le religioni e culture. Per duemila anni l’India è stata quasi completamente induista, ma anche il buddismo e il giainismo hanno giocato un ruolo rilevante. Nell’ultimo millennio la cultura di questo Paese ha subito diverse influenze, da quella musulmana a quella britannica e occidentale che hanno prodotto rilevanti cambiamenti. Perciò se non si può affatto sostenere che la cultura indiana sia di matrice esclusivamente induista, non si può comunque prescindere dalla cultura induista se si vuole comprendere questo Paese. Il termine induismo fu utilizzato per la prima volta dagli Inglesi nel XIX secolo per indicare il credo e i valori di coloro che non erano né cristiani né musulmani69. L’espressione indù era, invece, utilizzata principalmente dai persiani per indicare le popolazioni che vivevano lungo il fiume Indo verso il VI secolo a.C. Una caratteristica dell’induismo è stata la capacità di inglobare in sé idee di altre concezioni tanto da diventare una religione che ha da dare e dire qualcosa a tutti, dalla classe dei bramini alle masse70. L’induismo propone una concezione onnicomprensiva della realtà e per questo è difficile capire quali siano effettivamente i contorni, dandone una definizione. Da un’altra prospettiva non pretende di offrire risposte certe, anzi si mantiene nell’ambiguità, e per queste sue caratteristiche porta a sviluppare un forte carattere di tolleranza, non rifiutando gli apporti esterni, ma incorporandoli in sé. Le fondamenta dell’induismo sono contenute in un corpo di scritture religiose denominate Veda (“conoscenza”) e in particolare nell’ultimo dei Veda, l’Upanishad. Nella cultura tradizionale induista, i Veda sono considerati impersonali e senza inizio o fine. Ciò significa che le verità contenute nei Veda sono eterne e non un’invenzione umana71. L’India vedica si costituì intorno alla metà del secondo millennio ad opera degli arya una popolazione di lingua indoeuropea proveniente dall’Asia centrale. Essi costruirono una società di caste, che è rimasta nei secoli uno degli elementi distintivi dell’India fino ai giorni nostri, distinta in quattro gruppi sociali detti varna: sacerdoti (bramini), guerrieri, principi, grandi signori (ksatrya), mercanti, artigiani (vaisya), contadini (sudra) ed, infine, vi è la categoria dei “senza casta” perché impuri e quindi 69 66 Ivi, p. 36. 67 Ibid. 68 V.N. Saxena, Indian Management, Thoughts and Practices, Himalaya Publishing House, Mumbai, 2012, p. 4. www.istituto-geopolitica.eu R. Kumar, A. K. Sethi, Fare affari in India, p. 65 e H. Zimmer, Filosofie e religioni dell’Asia, Mondadori, Milano, 2001. 70 F. Zakaria, L’era post-americana, cit., pp. 161-162. 71 R. Kumar, A. K. Sethi, Fare affari in India, cit., p. 65. www.geopolitica-rivista.org Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie 14 intoccabili (dalit)72. Come sostiene Franco Mazzei, in questo modo «la società indiana fin dai tempi più antichi ha assunto specifiche caratteristiche, quali la separazione, l’esclusione e l’ineguaglianza, ma ha anche sviluppato, una forte tolleranza e capacità di integrazione»73. L’elemento della tolleranza e del dialogo viene inoltre sviluppato, come precisa Amartya Sen nel suo L’Altra India, dal giainismo e dal buddismo. Questi valori sono stati successivamente radicati con l’Imperatore buddista Askoka e consolidati in tempi più recenti con l’Imperatore musulmano Akbar74. L’induismo crede in una realtà ultima trascendentale chiamata Brahman75, che è l’opposto dell’illusione (maya) propria del mondo fenomenico in cui siamo immersi ogni giorno. L’energia vitale (atman) di Brahman è in ogni cosa, l’uomo deve cercare di congiungere il proprio io interiore con la realtà ultima di Brahman. Questo è il dovere di ogni induista che costituisce il cuore della spiritualità dell’induismo. Un concetto cardine dell’induismo è la dottrina del Karma che ha un’influenza diretta sui comportamenti degli Indiani. In breve, essa sostiene che le persone nella vita futura saranno premiate per le buone azioni e punite per quelle cattive. Chi ha un buon Karma potrà aspirare a liberarsi dal mondo illusorio e conquistare la liberazione (moksha) cioè il congiungimento con Brahman e interrompere la catena dei ritorni; coloro, invece, che hanno un cattivo Karma rinasceranno in contesti sociali peggiori rispetto al precedente e il raggiungimento della liberazione sarà più difficile76. Questa dottrina può indurre comportamenti fatalistici e pessimisti. Forse ha certamente pesato sull’atteggiamento degli Indiani, tuttavia, il fatto che il futuro dipenda dai comportamenti attuali e non solo dal passato costituisce un elemento di speranza che genera ottimismo, come acutamente coglie Dominique Moisi, fondatore dell’Institut Francais de relations internationales (FRI), quando scrive: «il contrasto tra i poveri del Marocco e i poveri dell’India è nettissimo: mentre i primi percepiscono la globalizzazione come una sfida persa in partenza, gli altri, contro ogni probabilità, la considerano un’opportunità […]. Umiliazione a Ifrane, speranza a Mumbai»77. La speranza nel futuro è, infatti, il principale fattore che sta alla base del successo economico indiano. L’induismo ha un forte orientamento verso la spiritualità che condiziona la vita degli individui tanto da regolarla in quattro fasi che sono quella dello studente, della persona sposata, dell’allontanamento dal mondo del maya e, l’ultima, quella della rinuncia al mondo78. Ancora oggi nel mondo induista queste fasi sono seguite fino alla preparazione spirituale per il congiungimento con il Brahaman. Un altro concetto importante per comprendere la mentalità induista è quello di dharma che si riferisce al comportamento moralmente giusto a cui l’individuo si deve attenere. Esiste un dharma universale e un dharma specifico che l’individuo deve avere l’abilità di adattare alla situazione particolare. Da qui deriva spesso una certa indulgenza anche nei confronti di chi si distacca dal dharma che può essere perdonato e ritornare a una vita virtuosa. Questo messaggio di 72 A. Armellini, L’elefante ha messo le ali, cit., pp. 6970. 73 F. Mazzei, V. Volpi, Asia al centro, cit., pp. 191193. 74 A. Sen, L’Altra India, cit., pp. 17-44. 75 H. Zimmer, Filosofie e religioni dell’Asia, cit., pp. 280-377. www.istituto-geopolitica.eu 76 R. Kumar, A. K. Sethi, A. K., Fare affari in India, cit., p. 66. 77 D. Moisi, Geopolitica delle emozioni, Garzanti, Milano, 2009, pp. 17-18. 78 R. Kumar, A. K. Sethi, Fare affari in India, cit., p. 67. www.geopolitica-rivista.org Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie 15 tolleranza applicato con una troppa indulgenza può aver contribuito a creare un ambiente favorevole alla giustificazione della corruzione che è uno dei mali che affligge la società indiana79. La corruzione in India è alimentata da diversi fattori tra cui l’assenza di sistemi di accountability e d’informazione efficaci, la difficoltà di esercitare l’azione penale, ma anche, come sostiene Sen, da un ambiente sociale di tolleranza dei misfatti, indipendentemente da quanto “morali” le persone tendano a considerare tali reati80. Quello che si vuole mettere in evidenza in questa sede è la convinzione diffusa che la corruzione sia un “comportamento normale” che trova le sue radici nel sistema di valori indiano e in una certa indulgenza. Gli Indiani hanno un’idea di ciò che è giusto o sbagliato, come sostiene Pavan Varna81, più legata all’efficacia che non a nozioni assolute di moralità. Questo fatto porta loro a valutare la corruzione in funzione dei risultati che genera e spesso a giustificarla. Tra le virtù del sistema di valori indiano ci sono la capacità di condurre una vita generosa e altruista, la sincerità, la capacita di limitare la propria bramosia e il rispetto per gli anziani. In India gli anziani svolgono un ruolo di guida spirituale nei confronti dei più giovani dando spesso origine a forme di paternalismo che è ancora oggi molto diffuso, così come il patronage82. Un ultimo concetto che caratterizza l’India è quello della gerarchia. Gli Indiani credono che il cosmo e ogni cosa siano disposti in ordine gerarchico. La classificazione ad esempio delle caste rappresenta un sistema stratificato, chiuso, in cui la mobilità verticale è quasi impossibile. La società e le organizzazioni hanno un orientamento collettivista: è il gruppo che prevale e quest’aspetto si manifesta con una forte adesione ai valori di un’impresa, ma anche con il rispetto nei confronti della gerarchia. L’Indiano obbedisce tanto da creare una forma di dipendenza dal proprio capo che è uno degli elementi che caratterizza la cultura organizzativa indiana. Sinha scrive che la genesi della strategia comportamentale di rendersi completamente dipendenti dai propri superiori in modo da responsabilizzarli e obbligarli moralmente a prendersi cura dei loro subordinati, ha una lunga tradizione nella storia dell’India e deriva dai Veda83. La dipendenza totale la si ritrova nel rapporto tra guru (maestro) e shishya (studente), nel quale quest’ultimo deve avere una fede incrollabile nel maestro84. Se è vero che il senso della gerarchia è molto forte in India, corre però l’obbligo di ricordare che le cose stanno cambiando rapidamente e soprattutto nelle multinazionali indiane sta emergendo un orientamento molto forte alla valorizzazione delle risorse umane. “Harvard Business Review”85 riporta una ricerca effettuata su un campione composto da circa un centinaio di dirigenti di grandi imprese indiane dalla quale è emerso che: «nessuno di coloro che sono stati intervistati ha dichiarato che la propria azienda ha avuto successo grazie alla propria personale genialità in fatto di strategia o agli sforzi del top management […]. Quasi senza eccezione tutti hanno detto che la fonte del loro vantaggio competitivo si trova nel profondo delle loro aziende: nel personale […]. La stragrande maggioranza delle imprese indiane intreccia strategia e missione sociale»86. Nell’avanguardia delle imprese 79 Ivi, p. 97. J. Dreze, A. Sen, Una Gloria Incerta. L’India e le sue contraddizioni, cit., pp. 108-109. 81 R. Kumar, A. K. Sethi, Fare affari in India, p. 97, nota 6. P. Varma, Being Indian, Peguin/Viking, India, 2004. 82 B. R. Virmani, The challenges of Indian Management, Response Book, New Delhi, 2007, p. 28. 80 www.istituto-geopolitica.eu 83 R. Kumar, A. K. Sethi, Fare affari in India, pp. 8285. 84 H. Zimmer, Filosofie e religioni dell’Asia, p. 62. 85 P. Cappelli, H. Singh, J. Singh, M. Useem, Lezioni di Leadership dall’India, “Harvard Business Review”, Marzo 2010, p. 81. 86 Ibid. www.geopolitica-rivista.org Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie 16 multinazionali indiane si scorge un modello di management che acquisterà forza nel futuro e che sta ripensando alcuni valori del sistema di valori indiano per stimolare la creatività, l’innovazione e creare strutture organizzative più dinamiche rivolte alla valorizzazione delle risorse umane e della missione sociale dell’impresa. L’induismo ha una visione olistica e organicistica del mondo per cui gli induisti tendono a entrare in comunione con la natura e diventare un tutt’uno con essa perché questa è la naturale forma di relazione dell’essere umano con il mondo87. In questo senso l’induismo non ha una concezione lineare del tempo ma circolare, in cui il tempo è una pura illusione della mente umana e non è altro che una successione di cicli. Un altro elemento che caratterizza la cultura induista è la concezione del lavoro, che deve essere svolto con il massimo impegno, ma non pensando ai risultati e ai benefici materiali che se ne possono ricavare88. In questa concezione si ritrova ancora un forte orientamento spirituale. Un altro elemento interessante che emerge è l’improvvisazione89. Jugaad è un termine hindi che vuol dire capacità di risolvere un problema di vario genere con l’inventiva. Jugaad implica la capacità di pensare fuori dagli schemi e rifiuto di modelli prestabiliti, ma anche capacità d’inventare soluzioni con mezzi limitati. È questa capacità che l’India sta utilizzando per far crescere il suo sistema economico e le sue aziende che generano soluzioni innovative con investimenti finanziari esigui. Questo tipo di approccio del management indiano nasce dalla convivenza con una burocrazia soffocante, infrastrutture fatiscenti, scuole e altri servizi pubblici inadeguati. Questo tipo di contesto ha fatto maturare nel management ostinazione, capacità d’improvvisazione e creatività90. 87 R. Kumar, A. K. Sethi, Fare affari in India, cit., p. 70. 88 M. Gannon, Global Mente, cit., p. 407. 89 R. Kumar, A. K. Sethi Fare affari in India, cit., pp. 94-96. 90 P. Capelli, H. Singh, J. Singh, M. Useem, Lezioni di Leadership dall’India, cit., p. 87. www.istituto-geopolitica.eu Queste capacità si sposano con la flessibilità cognitiva che permette di conciliare aspetti della vita che spesso sono contrastanti come il perseguire obiettivi materiali come il denaro e, nello stesso tempo, aspirare ad una vita spirituale. Per quanto riguarda lo stile comunicativo, che definisce alcune peculiarità della cultura nazionale, come nelle altre culture asiatiche, è fortemente contestuale: dipende dalla natura dei rapporti tra le persone e dalla situazione in cui ci si trova91. Per esempio in un contesto organizzativo indiano, dove domina la cultura gerarchica, il dipendente terrà un atteggiamento molto deferente verso il superiore e sarà molto riluttante ad avviare una comunicazione diretta e fornire informazioni. Questo tipo di stile è spesso indiretto. Per esempio non è opportuno dire “no” apertamente per paura di offendere la controparte e non viene affrontato direttamente un cliente, cosa che a volte porta a situazioni imbarazzanti come ritardi e generazione di costi eccessivi. Quando si sente dire molto spesso da un Indiano che non c’è nessun problema si vuole in realtà dire che «lo so che ci saranno problemi, ma da parte mia farò il mio meglio», quindi viene adottato uno stile che deve essere costantemente interpretato da parte dell’interlocutore. Lo stile comunicativo indiano è molto elaborato piuttosto che breve e rapido. Gli Indiani amano infatti parlare molto e spesso a lungo, esaminando nel dettaglio tutte le possibili sfaccettature di un problema. Spesso la loro gestualità può indurre confusione e comunica un messaggio che è in contrasto totale con quello che comunemente viene accettato dalla cultura occidentale. Lo studioso di management Virmani92 ha analizzato in una ricerca su campo le specificità della culturale manageriale indiana. Egli sostiene che, sebbene il management indiano sia tributario di quello 91 R. Kumar, A. K. Sethi, Fare affari in India, cit., p. 139. 92 B. R. Virmani, The challenges of Indian Management, cit., pp. 11-16. www.geopolitica-rivista.org Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie 17 statunitense, giapponese e in genere occidentale, e gran parte della classe dirigente sia stata formata in scuole di business occidentali o che si ispirano ad esse, l’India rimane un Paese duale in cui ciò che è insegnato spesso non viene messo in pratica e il sistema di valori indiano prende il sopravvento su idee e metodologie importate93. L’executive director di Tata Sons ha spiegato questo elemento in maniera efficace, riferendosi ai manager indiani: «we think in English and act in Indian»94. In India sempre di più si sta sviluppando la consapevolezza che la cultura indiana può fornire l’impalcatura capace di reggere un nuovo modo di concepire il management, auspicato anche da Gary Hamel95 nel suo ultimo libro Il Futuro del management. L’idea di alcuni studiosi indiani di management è che l’approccio olistico dovrebbe essere integrato nel moderno management, così come la dimensione spirituale e sociale. La cultura rappresenta il terreno su cui l’India potrà affermarsi. Inoltre, il mondo delle imprese, in particolare negli Stati Uniti, ha iniziato a scoprire e apprezzare alcuni aspetti della visione manageriale indiana. Una serie di cosiddetti “guru” del management stanno introducendo nelle business school e nelle aziende un nuovo approccio di gestione. Più attenzione al ruolo allargato dell’impresa, cioè non solo agli azionisti ma anche ai consumatori, alle comunità, all’ambiente, ai dipendenti. Apprezzamento del profitto, ma con una certa moderazione e, in concreto, il rifiuto di considerarlo come un valore assoluto. La novità è inoltre rappresentata dal fatto che sono Indiani i fautori di questo nuovo modo di fare impresa. Swami Parthasarathy, per esempio, è un autore molto conosciuto in India di testi di Vedanta, un’antica scuola di filosofia induista che si occupa della natura della realtà. Recentemente 93 B. R. Virmani, P. Mahurkar, Dualism in Indian Management, in www.indianmanagement.org. 94 P. Cappelli, H. Singh, J. Singh, M. Useem, The India Way, cit., p. 14. 95 G. Hamel, Il futuro del management, Etas, Milano, 2008. www.istituto-geopolitica.eu ha visitato diverse business school degli Stati Uniti per insegnare come si gestisce lo stress e ha incontrato uomini d’affari per spiegare loro la differenza tra il fare fortuna e il raggiungere la felicità. Il 10% dei professori delle Università di Harvard, Michigan e Kellogg sono di origine indiana, come riporta la rivista americana “Business Week”, definendo questo fenomeno come Karma Capitalism96. L’India non è dunque solamente l’ufficio del mondo, ma un luogo dove spesso si elaborano valori e cultura gestionale che una parte dell’Occidente sta accettando d’importare. Sembra ormai un dato di fatto non più una previsione, ciò che è stato sostenuto dalle colonne del “The Economist”: «Un giorno saranno loro (le imprese indiane) a insegnarci le nuove regole del mestiere d’impresa, proprio come nell’ascesa del Giappone la Toyota divenne l’azienda pilota mondiale, che rivoluzionò il modo di fare automobili»97. Il contributo alla teoria del management da parte dell’India è recente. Esso si sviluppa negli ultimi anni in particolare attraverso studiosi, quali per esempio C. K. Prahalad98, che descrivono da un lato le nuove pratiche manageriali delle imprese multinazionali indiane e dall’altro formalizzano alcuni modelli come nel caso di Vijay Govindrajan99. In particolare, quest’ultimo ha teorizzato un modello di gestione strategica del business100, applicato da Infosys, che s’ispira dichiaratamente a concezioni radicate nel sistema di valori induista e nello specifico alle tre divinità Brahma, Shiva e Vishnu, 96 P. Engardio, J. McGregor, Karma Capitalism, “Business Week”, October 30th, 2006. 97 F. Rampini, La speranza Indiana, Mondadori, Milano, 2007, p. 31. 98 Per un profilo biografico, http://en.wikipedia.org/wiki/C._K._Prahalad. 99 Per un profilo biografico, http://en.wikipedia.org/wiki/Vijay_Govindarajan. 100 V. Govindarajan, C. Trimble, Il ruolo del Ceo nella reinvenzione del business model, “Harvard Business Review”, Gennaio-Febbraio 2011. www.geopolitica-rivista.org Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie 18 rappresentanti le dimensioni di creazione, distruzione e conservazione, e che vengono applicati alla gestione del cambiamento strategico. Nel libro The India Way101 gli autori definiscono un modello del sistema di management indiano su quattro variabili. Esso è stato ricavato da una ricerca diretta su campo che ha riguardato le maggiori imprese indiane, ossia le protagoniste dello sviluppo economico. Esso è costituito dalla seguenti dimensioni: gestione organicistica dell’organizzazione, cura e attenzione alla risorsa umana, creatività e improvvisazione, e infine responsabilità sociale. In questo senso si può sostenere che il modello di management indiano nei termini in cui lo abbiamo descritto rientra in alcune delle tendenze future del management delineate da Hamel102 di cui citiamo solo le principali: • • • il lavoro e la gestione delle organizzazioni sarà orientato a fini più elevati: le prassi manageriali del futuro si concentreranno sul conseguimento di obiettivi nobili e socialmente rilevanti; il management incorporerà i concetti di comunità e cittadinanza riconoscendo l’interdipendenza di tutti i gruppi di stakeholder; il management svilupperà e gestirà la diversità che è fonte di creatività, innovazione e cambiamento, fattori vitali in un sistema di globalizzazione sempre più avanzato. Il sistema di valori indiano, che poggia sulla multiculturalità, costituisce una risorsa su cui l’India potrà contare nei prossimi anni perché è in grado di alimentare la creatività manageriale, generando nuovi modelli spesso all’avanguardia nel settore della gestione delle imprese. La capacità di gestire situazioni multiculturali, in un mondo sempre più globalizzato, è, infatti, un fattore che potrebbe avvantaggiare l’India anche in una prospettiva esterna, soprattutto, in aree in cui la conflittualità minaccia la sicurezza e la stabilità del Paese. Un esempio che si può considerare in questo contesto è l’industria cinematografica indiana, potente strumento attraverso cui vengono diffusi i valori culturali indiani in tutto il mondo. Come sostenuto dallo scrittore indiano Shashi Tharoor: «Bollywood is Indian secret weapon, producing five times as many films as Hollywood and taking India to the world, by bringing its brand of glitzy entertainment not just to the Indian diaspora in the USA or UK but to the screen of Syrian and Senegalese»103. La forza della cinematografia indiana è quella di avere un forte appeal sulle popolazioni islamiche, in quanto è capace di superare le barriere culturali che dividono indiani musulmani e indiani induisti. Questa capacità di costruire ponti tra culture diverse non è riscontrabile alla stessa maniera nell’industria cinematografica di Hollywood. Osservando ai prodotti offerti dal cinema indiano si può, pertanto, sostenere che: «there is something unique about Indian culture; a spirit of inclusiveness and tolerance pervades the Indian culture. While the West often tries to discuss the world in black and white terms, distinguishing itself from either the evil empire or axis of evil, the Indian mind is able to see the world in many different colors»104. Le novità che il management indiano sta apportando fanno ipotizzare che esso possa 101 P. Cappelli, H. Singh, J. Singh, M. Useem, The India Way, cit. 102 G. Hamel, Le grandi sfide per il management del XXI secolo, “Harvard Business Review”, Aprile 2009. www.istituto-geopolitica.eu 103 K. Mahbubani, The New Asian Hemisphere, Public Affairs, New York, 2008, p. 170. 104 Ivi, p.172. www.geopolitica-rivista.org Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie 19 costituire una nuova frontiera su cui anche l’Occidente si dovrà misurare. 3. Conclusioni Negli ultimi venti anni l’economia dell’India per effetto di vaste riforme è riuscita a crescere a ritmi sostenuti. L’India è stata in grado, attraverso un modello economico fondato sulla crescita del terziario e dei servizi basati sull’IT a sviluppare una knowledge society che ha trainato successivamente anche l’industria manifatturiera, sia quella tradizionale basata sul tessile, la pelletteria e la gioielleria, che quella avanzata (farmaceutico, aerospaziale, biotecnologie, automotive, industria cinematografica). L’India, nonostante i ritmi di crescita sostenuti, non è però ancora riuscita a risolvere alcuni dei principali problemi che ostacolano lo sviluppo di vaste aree interne. Diversi apparati infrastrutturali rimangono ancora arretrati anche se per i prossimi anni sono previsti ingenti investimenti per il loro miglioramento; la burocrazia onnipresente e corrotta costituisce un freno alla crescita economica; le diseguaglianze sociali permangono e sembrano allargarsi. Tuttavia, il modello di sviluppo indiano poggia su basi solide ed è trainato dall’entusiasmo e dalla fiducia che gli Indiani hanno per il futuro. In questo senso, i valori tradizionali della società indiana possono contribuire a generare un’atmosfera positiva e di fiducia nel Paese e nei singoli, esprimendosi in particolare in una nuova cultura di management. Oggi l’India esporta non solo servizi tecnologici avanzati, ma anche tecniche manageriali che si stanno diffondendo tra le aziende statunitensi e solo in parte tra quelle europee. In questo contesto il continente africano sta diventando un luogo dove il soft power105 indiano si sta lentamente affermando come descritto nel rapporto della società di consulenza McKinsey, Joining hands to unlock Africa’s potential, in cui l’India si accredita come solutions partner per 105 R. D. Mullen, S. Ganguly, The rise of India’s soft power, “Foreign Policy”, May 8th, 2012. www.istituto-geopolitica.eu i Paesi africani106. Un’altra area strategica sulla quale l’India esercita una certa influenza, attraverso management e cultura, e nella quale gode di una buona reputazione, è quella rappresentata dai Paesi del Golfo107. Nuova Delhi ha interessi economici rilevanti nel settore delle costruzioni, dell’IT e della sanità. Il commercio bilaterale ha raggiunto un valore di 159 miliardi di dollari tanto che questi Paesi sono tra i maggiori partner commerciali dell’India108. In quest’area l’India sta investendo in particolare nel settore privato del management di strutture sanitarie109. Certamente, nei prossimi anni, almeno in Europa, si dovrà abbandonare i tipici stereotipi legati all’India e abituarci invece a un modello in cui spiritualità, capacità gestionale e perseguimento degli obiettivi in un’ottica rispettosa dei valori sociali dell’impresa si affermerà sempre più. L’India sembra essere, in questo contesto, il paese leader della nuova fase di “globalizzazione sorvegliata”110 perché la cultura manageriale e i valori ereditati dal suo passato le consentono di interloquire con le multinazionali occidentali da una posizione di autonomia con una maggiore consapevolezza della responsabilità sociale d’impresa tanto da disegnare le nuove regole della globalizzazione. Tra i Paesi dell’Asia, l’India appare dunque quello con le maggiori potenzialità per fornire nuovi modelli di management a livello globale. 106 McKinsey Asia Center, Joining hands to unlock Africa’s potential, March 2014; R. D. Kaplan, Center Stage for the 21st Century, “Foreign Affairs”, MarchApril 2009. 107 O. M. Mohamed, India-GCC ties can boost regional stability, “Gulf News”, June 7th, 2014. 108 GCC as an investment destination, “Alpen Capital”, November 2013. 109 V. Govindarajan, R. Ramamurti, Delivering World Class Health Care, Affordably, “Harvard Business Review”, November 2013. 110 I. Bremmer, Le nuove regole della globalizzazione, “Harvard Business Review”, Gennaio-Febbraio 2014. www.geopolitica-rivista.org