Le proteine - ticino.com

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SDD – Seconde
Proteine
Le proteine
Entriamo nell'ultima parte del nostro viaggio nella chimica iniziato l'anno scorso e incontriamo
finalmente le molecole della vita. Inizieremo ad analizzare la struttura e le funzioni delle proteine.
Analizzando le proteine tuttavia inciamperemo in alcuni concetti di chimica che ancora non
conosciamo. Per questo motivo il capitolo sarà lungo, ma per lo stesso motivo ogni considerazione
teorica sarà agganciata ad aspetti importanti per la fisiologia del corpo umano.
Le funzioni delle proteine
Le proteine hanno molteplici applicazioni all'interno degli organismi
• Trasporto: pensa all'emoglobina che trasporta l'ossigeno nel sangue, oppure ricorda che sulla
membrana cellulare vi sono delle proteine che hanno il compito di trasportare dentro fuori
della cellula determinate sostanze tramite il trasporto attivo.
• Difesa: Gli anticorpi sono una classe di proteine.
• Movimento: Astina e miosina nei muscoli.
• Strutturale: Peli, unghie, penne, squame sono strutture proteiche.
• Riserva energetica: In certi casi anche le proteine vengono utilizzate per produrre energia.
• Catalitica: Le proteine aiutano i processi chimici e metabolici dell'organismo rendendoli più
veloci.
Le proteine sono macromolecole
Le proteine sono costituenti essenziali di tutte le cellule; circa
1/5 del corpo umano è costituito di proteine, che sono
distribuite nelle cellule di tutti i tessuti, ma sono presenti nella
maggior parte nei muscoli. In tutti i processi biologici le
proteine svolgono funzioni essenziali, fra cui assume particolare
importanza quella catalitica; infatti, il maggior numero delle
reazioni che si svolgono negli esseri viventi è catalizzato (reso
più veloce) dagli enzimi che sono una classe particolare di
proteine.
A livello energetico, il metabolismo delle proteine soddisfa solo
una minima parte del fabbisogno di un organismo (in un uomo
adulto circa il 10-15%). Le proteine, infatti, vengono scisse nei
singoli amminoacidi che hanno soprattutto il compito di
costruire le proteine specifiche di cui il corpo ha bisogno, quali
le proteine dei muscoli, dell'epidermide, dei peli, ecc.
(biosintesi delle proteine). Tuttavia in alcuni casi, esse
intervengono come combustibili: quando non sono richieste per
la sintesi di nuove proteine, quando sono in eccesso rispetto alla
quantità richiesta a questo scopo, durante il digiuno o quando,
per altri motivi, L'organismo è carente di carboidrati o questi
non vengono utilizzati propriamente. Il potere calorico medio delle proteine è di 17 KJ/g
(4.1Kcal/g).
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Gli amminoacidi
Le proteine sono polimeri di amminoacidi (aa), la cui struttura generica è:
Il radicale R differenzia un amminoacido da un altro. Gli amminoacidi che costituiscono le proteine
sono 20, di cui 8 sono detti essenziali per l'uomo visto che devono essere assunti con il cibo poiché
il nostro organismo non è in grado di sintetizzarli.
In particolare trovate nelle immagini la rappresentazione di tutti gli amminoacidi. Si può notare
come alcuni di questi hanno radicali apolari, altri invece sono polari se non addirittura ionici (a
dipendenza del pH). Gli amminoacidi polari solitamente di trovano sulla superficie delle proteine
mentre quelli apolari spesso si trovano all'interno delle proteine, senza essere a contatto con l'acqua.
Ci sono poi alcuni amminoacidi particolari. La metionina è molto importante perché, come vedremo
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più avanti, è il segnale di inizio di ogni nuova proteina: ogni proteina inizia quindi con una
metionina. La prolina è l'unico amminoacido che differisce drasticamente, essendo ciclico. Questo
amminoacido forma catene molto rigide ed è soprattutto presente nelle strutture proteiche di
sostegno, cioè nella cartilagine, nei tendini, ecc. È l'amminoacido principale contenuto nel
collagene. Infine la cisteina è anche molto importante perché é in grado di formare dei ponti
disolfuro (vedrete più avanti).
Legame peptidico
Nelle proteine gli amminoacidi
sono legati tra loro con un legame
peptidico, che si stabiliscono tra il
gruppo carbossilico (acido) di una
molecola e il gruppo amminico
(basico) di un'altra; la catena che
così si forma è detta catena
polipeptidica, chiamata anche
peptide.La
reazione
di
formazione dei peptidi è prevede
che per ogni legame tra aa che si
forma si libera una molecola di
acqua.Questa reazione è anche
chiamata
condensazione.
A
livello biologico la reazione di
condensazione di aa per formare
peptidi è controllata da enzimi.
La reazione può anche essere
facilmente invertita e dai peptidi
l'organismo è in grado di
smontare i singoli mattoni che
possono essere riutilizzati per
nuove e diverse strutture. Si può
tranquillamente affermare che
questa catena di montaggio e
smontaggio lavori incessantemente. Le proteine possono
avere svariate dimensioni a
dipendenza del numero di amminoacidi che le formano; possono
raggiungere gradi di complessità
e masse molecolari elevatissime:
un enzima del fegato bovino è formato da 8300 aa e la sua massa molecolare è di circa 1'000'000
uma. La struttura delle proteine può risultare molto complessa; infatti la catena polipeptidica si
avvolge su sé stessa in maniera precisa. Per questo motivo si suddivide la struttura in quattro livelli
di organizzazione.
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Struttura primaria
La struttura primaria esprime la sequenza degli
aa. La sua conoscenza è fondamentale, anche
perché è proprio la sequenza degli amminoacidi
che determina poi i livelli superiori di
organizzazione. La prima dimostrazione di una
sequenza di aa fu eseguita su una proteina molto
importante, l'insulina. Questa scoperta dimostrò
che ogni proteina ha una sua sequenza specifica
di aa, determinata geneticamente. Malattie
gravissime sono collegate all'alterazione anche di
un singolo aa nella sequenza del peptide; per
esempio l'anemia falciforme è dovuta ad un
difetto della molecola dell'emoglobina: in questo
caso solo 2 aa sui 600 che formano l'emoglobina
sono diversi da quelli "normali".
Struttura secondaria
Gli amminoacidi, una volta legatici tra loro
secondo la specifica sequenza della proteina, non
restano lineari ma si avvolgono generalmente ad
elica alfa, oppure a strati beta. Entrambe queste
strutture sono legate alla formazione di specifici
ponti idrogeno. La funzione di una proteina è
strettamente legata alla sua conformazione in 3D.
Struttura terziaria
Può succedere che le eliche e gli strati beta si
aggreghino tra loro formando strutture più
complesse e raggomitolate, ancorché molto
precise e ben definite. Questo raggomitolamento
si chiama struttura terziaria.
Struttura quaternaria
Se singole proteine con la propria struttura si
aggregano tra loro formando una struttura ancora
più complessa, questa viene chiamata struttura
quaternaria.
È
il
caso
per
esempio
dell'emoglobina che è composta da 4 proteine (2 di un tipo e 2 di un altro tipo). Questa aggregarsi è
anche fondamentale e vedremo più avanti il perché, parlando dell'attività degli enzimi.
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Le forze che tengono unite le
proteine
Vi sarete forse posti la domanda: come mai i
peptidi si ripiegano su sé stessi?. Ebbene la
risposta già la conoscete. Tutte le forze che si
osservano tra le molecole e che abbiamo
precedentemente analizzato (capitolo 3) si
ritrovano qui unite a collaborare affinché i
peptidi assumano una forma ben precisa.
Osservando le immagini potete vedere come
all'interno della catena di aa, singoli aa si
attirano tra loro per le diverse forze già
incontrate. È proprio la combinazione di tutte le
innumerevoli forze di attrazione tra i singoli aa
che si trovano in punti anche molto distanti
della catena a far si che questa si ripieghi con
ordine su sé stessa.
Osservando questo fatto potete anche capire la
importanza del pH. se infatti il pH dell'acqua,
nella quale si trova la nostra proteina, varia, può
succedere che alcuni amminoacidi cambino la
propria carica elettrica e la propria caratteristica
morfologica; questa variazione spesso porta alla
distruzione delle specifiche interazioni tra aa e
quindi alla denaturazione della proteina. Una
volta che una proteina perde il proprio ordine
3D, perde automaticamente anche la sua
funzionalità. Spesso poi (lo vedremo più
avanti), questo processo è irreversibile.
Immaginate per esempio la denaturazione che
avviene tramite l'azione del calore sulle proteine
dell'albume dell'uovo. Una volta che è sodo, è
sodo, non torna più "crudo". Ricordate anche
come si produce il formaggio... e l'attività di
laboratorio collegata.
Si osservi la formazione del ponte disolfuro.
Questa è una tipica reazione di ossidoriduzione,
nella quale vengono scambiati degli elettroni.
Per megli interpretare questo dato di fatto
dobbiamo introdurre un nuovo paragrafo
riguardante appunto le ossidoriduzioni e il modo con il quale i chimici conteggiano gli elettroni
scambiati e cioè il numero di ossidazione.
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Definizione di ossidoriduzione
Fu il chimico francese Lavoisier (1743-1794) a introdurre il concetto di ossidazione; con ciò egli
voleva indicare una reazione di combinazione con l'ossigeno, ossia una combustione. Nel
procedimento inverso, chiamato riduzione, venivano scritte tutte quelle operazioni nelle quali
l'ossigeno veniva eliminato da un composto. Questi due concetti vennero poi estesi a tutti i processi
di combustione; si riconobbe che essa non era altro che una rapida ossidazione di una sostanza
combustibile con sviluppo di calore e luce. Un modo per rappresentare la combustione potrebbe
essere:
C + O2 --------> CO2
Siccome poi l'ossigeno è presente nell'atmosfera ed è alla portata di mano, era logico, una volta
riconosciuto il ruolo essenziale che questo elemento giocava nelle combustioni, che le prime
reazioni studiate e analizzate a fondo fossero proprio quelle nelle quali l'ossigeno vi partecipava,
non solo con la sua azione specifica, ma con il suo nome; da qui la parola ossidazione. Anche se più
tardi si riconobbe che le combustioni erano solo casi particolari di ossidazioni, questo nome non
venne più modificato.
Le ossido-riduzioni
Possiamo collegare le reazioni la reazione di formazione di un sale tramite legame ionico alle
reazioni di ossidoriduzione. Queste reazioni rivestono un'enorme importanza, non solo nel settore
della chimica, ma anche in quello della biologia e della biochimica. Occorre ricordare che una
buona parte delle reazioni chimiche che avvengono nell'organismo umano sono reazioni redox
come, ad esempio, quelle che forniscono l'energia indispensabile al funzionamento delle cellule
(respirazione).
Il decorso delle reazioni redox può essere spiegato tramite un trasferimento di elettroni da certi
atomi (o gruppi di atomi) ad altri (questo modo di esprimersi corrisponde a quanto viso nel caso del
legame ionico.
• La perdita di elettroni è definita come ossidazione
• L'acquisto di elettroni è definito come riduzione
Nel caso dei legami ionici è abbastanza facile capire quali sono gli atomi che si ossidano e quali
sono quelli che si riducono. La cosa diventa decisamente più difficile quando si parla di
ossidoriduzione tra i composti covalenti. Per fare questo bisogna il concetto di numero di
ossidazione.
Il numero di ossidazione viene assegnato supponendo che nella formazione di un composto alcuni
atomi cedano elettroni e alcuni li prendano, e questo anche quando il legame che si stabilisce non è
ionico ma covalente puro o polare. In questo caso il passaggio di elettroni (virtuale) avviene
dall'atomo meno elettronegativo verso quello più elettronegativo. Quando nelle reazioni redox
partecipano composti con legami covalenti, gli elettroni di legame vengono assegnati all'atomo più
elettronegativo. Con questa scelta arbitraria tutti gli atomi ricevono delle cariche elettriche virtuali
che definiscono il numero di ossidazione.
Il numero di ossidazione corrisponde al numero reale o apparente di cariche elettriche positive o
negative che possono essere attribuite ad un atomo in un composto, qualora tutti i legami presenti
nella molecola in cui si trova, vengano considerati ionici.
Nello molecola di acqua, per esempio, gli elettroni in comune devono essere completamente
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assegnati all'ossigeno che possiede un'elettronegatività maggiore rispetto all'idrogeno. Procedendo
in questo modo l'atomo di ossigeno riceve4 due elettroni in più rispetto a quando so trova nel suo
stato naturale. Pertanto il N.O. dell'ossigeno è -II. Ogni singolo atomo di idrogeno che ha perso il
suo elettrone assume il N.O. +I.
Nella molecola di CO2 gli elettroni che formano il legame devono essere assegnati agli atomi di
ossigeno che sono più elettronegativi rispetto all'atomo di carbonio. Visto che l'atomo di ossigeno
allo stato naturale appartiene al sesto gruppo, riceve due elettroni ed il suo N.O. è -II. L'atomo di
carbonio è del quarto gruppo e perde quattro elettroni che sono stati messi in comune. Il suo N.O. è
+IV.
Considerando questi primi due esempi si può dedurre che gli N.O. degli atomi nei composti ionici
corrisponde alla carica elettrica realmente posseduta dagli ioni mentre è apparente in tutti gli altri
casi (legame covalente apolare e legame covalente polare) poiché non corrisponde ad uno stato
reale dell'atomo o del gruppo di atomi. Si tratta semplicemente di un artificio che permette di
esprimere in modo semplice il complicato meccanismo delle reazioni di ossido riduzione.
Regole generali per determinare il N.O. degli atomi nei composti
• Il N.O. viene indicato con una cifra romana preceduta dal segno di carica e va posto in alto a
destra del simbolo chimico dell'atomo. Na+I, S-II.
• Il N.O. può essere positivo, negativo o nullo
• Il N.O. degli atomi allo stato libero, non combinato è zero. Infatti quando un atomo non è
combinato, non acquista e non cede elettroni. Per alcuni elementi che allo stato naturale si
presentano sotto forma di molecole il N.O. è pure zero. Fe0, Cu0, O20, ecc.
• il N.O. dell'idrogeno, quando è combinato è sempre +I e il N.O. dell'ossigeno, quando è
combinato è sempre -II (tranne rare eccezioni, per es nell'acqua ossigenata, dove c'è un legame
O-O (-I))
• Il N.O. di ciascun ione in un composto ionico coincide, come numero e segno, con la carica
elettrica effettiva dello ione. Esempio: in NaCl sappiamo che il sodio è presente come ione
Na+ de il cloro come Cl-, e per quanto riguarda gli N.O. possiamo indicare Na+I e Cl-I.
• Il N.O. di ciascun atomo in un composto covalente si determina tenendo conto
dell'elettronegatività per cui, riassumendo, all'elemento più elettronegativo sarà attribuito il
segno meno e rispettivamente il segno più andrà all'elemento meno elettronegativo. Esempi:
vedi quanto detto nel paragrafo precedente.
• Nei composti chimici, in generale, la somma algebrica dei N.O. dei vari atomi che
compongono il composto è pari alla carica totale del composto (e quindi solitamente pari a
zero). Questa regola permette di calcolare il N.O. di molti elementi, deducendolo in funzione
degli altri.
Esempio: NaH2PO4. Dalla regola 4 so che il N.O. dell'idrogeno è +I e quello dell'ossigeno -II. Dalla
tavola periodica so che il sodio (Na) si trova nel primo gruppo ed origina lo ione Na+ quindi il suo
N.O. (regola 5) è +I. Con la regola 7 trovo il N.O. del P: +I*2 (Na) + (+1I)*2 (H2) + (-II)*4 (O4)=
-V. Poiché la somma algebrica deve essere 0 allora il N.O. di P è +V.
Gli enzimi
Una classe fondamentale delle proteine è proprio quella degli enzimi. Gli enzimi sono responsabili
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per il funzionamento di tutti i processi biologici. Rendono
possibili reazioni chimiche che altrimenti necessiterebbero di
temperature e condizioni non accettabili per un organismo
vivente. Pensate per esempio che la combustione del glucosio nel
nostro corpo avviene a temperatura fisiologica, mentre la reazione
diretta, non mediata dagli enzimi, è una normalissima
combustione con tanto di fiamma...
Osserviamo un meccanismo catalizzato da un enzima. L'enzima
sta al suo substrato (la o le sostanze che devono reagire tra loro)
come la serratura sta alla chiave.
Il substrato avendo la forma corretta (cariche corrette, dipoli
corretti, VdW corretti, ecc) si inserisce nell'enzima. (tutta una
serie di deboli forze di attrazione concorrono a far si che avvenga
questo inserimento). Questo permette loro di reagire correttamente
e in modo controllato, formando esattamente il prodotto
desiderato.
Dopo la reazione il prodotto si stacca dall'enzima. Il prodotto è
stato modificato, mentre l'enzima è rimasto integro, ed è pronto
per catalizzare una nuova reazione.
Si osservi anche come gli enzimi hanno specificità non
solo nella reazione chimica da loro catalizzata, ma anche
nelle condizioni esterne nelle quali sono in grado di
funzionare. Piccole variazioni di pH e di temperatura
conducono inevitabilmente alla loro disattivazione.
Per meglio interpretare questo fenomeno dobbiamo
introdurre alcuni concetti teorici di chimica, e cioè la
spontaneità e la velocità delle reazioni chimiche.
Reazioni reversibili e irreversibili
Non sempre si riesce ad individuare una reazione
chimica, poiché non sempre sono percepibili le
differenze tra le sostanze che si hanno prima e quelle che
si ottengono dopo la reazione. Richiamando il concetto
di reazione chimica vediamo di elencare quali
caratteristiche si possono considerare normalmente per
renderci conto che è avvenuta una reazione.
Si ha reazione quando la struttura della materia cambia o, detto in un altro modo, i composti che
ottieni dopo lo svolgimento della reazione non sono per niente uguali a quelli che avevi all'inizio,
prima della reazione.
Un primo parametro che si può prendere in considerazione per giustificare che è avvenuta una
reazione chimica è il cambiamento di colore. Prendiamo una striscia di magnesio; essa presenta
tutte le caratteristiche del metallo che conosci ed è di colore grigio. Bruciandolo otteniamo l'ossido
di magnesio che è una polvere di colore bianco. Nella reazione si osserva anche uno sviluppo di
energia termica e luminosa. Ricorda che tutte le combustioni sono delle reazioni.
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Se noi facciamo friggere un uovo, l'albume, che all'inizio è trasparente, dopo la cottura diventa di
colore bianco; segno che è avvenuta una reazione chimica e più precisamente le proteine
dell'albume si sono denaturate.
Generalizzando possiamo dire che i tipici sintomi che indicano l'avvenuta reazione sono
•
•
•
•
•
Cambiamento di colore
Sviluppo di gas
Formazione di un precipitato
Formazione di gas o di sostanze con odore caratteristico
Sviluppo o assorbimento di energia
La reversibilità delle reazioni
Solitamente si parla di processi reversibili quando si considerano quelli fisici (fusione, ebollizione,
ecc.); si tratta però, in questo caso, di cambiamenti di stato della materia e non di cambiamenti della
sua struttura interna.
La reversibilità esiste anche nei processi chimici? A questa domanda possiamo già rispondere in
modo affermativo pensando per esempio alle soluzioni acquose contenenti un sale saturo oppure,
nel campo acido base, pensando ad un acido debole o ad una base debole e al loro effetto tampone.
I processi chimici possono essere suddivisi, associandoli alla reversibilità, in tre categorie.
Le reazioni irreversibili
Una reazione irreversibile per definizione è la
combustione. Non è mai successo,
considerando per esempio la combustione del
legno, di vedere la cenere che fa una reazione
chimica per ridare il pezzo di legno iniziale,
liberando ossigeno. Occorre considerare
quest'aspetto sotto due punti di vista; il primo
problema è che parte dei composti che si
sono formati durante la combustione di
disperdono nell'ambiente (fumi), è quindi
impossibile tornare indietro se alcuni
composti formatisi vanno persi. Il secondo
problema, quello più importante, è di tipo
energetico. Possiamo rappresentare la combustione del legno, dal punto di vista dell'energia tramite
il grafico seguente:
L'energia di attivazione corrisponde a quella quantità di energia che occorre fornire all'inizio perché
la reazione s'inneschi; quando si accende un fuoco solitamente può essere rappresentata dal
fiammifero che si usa. In natura, nei periodi estivi, è il sole a fornire l'energia che, in certi casi,
innesca l'autocombustione (fenomeno abbastanza frequente a certe latitudini che può causare gli
incedi .
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La differenza di energia tra stato iniziale e
finale è così grande che diventa
inimmaginabile la reazione inversa. La
combustione è descritta di conseguenza,
come reazione irreversibile.
Reazioni irreversibili che in certi casi
diventano reversibili
Questo caso può anche essere visto come
sottocaso del precedente. Partiamo da una
reazione che si conosce bene sulla carta, la
combustione dell'idrogeno
La reazione inversa non si è mai vista (ce ne
saremmo accorti giacché l'idrogeno è
esplosivo). Essa può però avvenire in
condizioni particolari, ossia fornendo un enorme quantità di energia (ciò è possibile con
apparecchiature di laboratorio ma non avverrà mai in natura). Il grafico che ne risulta, dal punto di
vista energetico, è il seguente:
È possibile in laboratorio scomporre l'acqua nei suoi elementi costituenti; occorre fornire però una
certa quantità di energia.
Questi primi due casi che abbiamo considerato sono caratteristici per le reazioni esotermiche, ossia
quelle che liberano energia quando avvengono.
Di per sé, anche la reazione che abbiamo visto potrebbe essere reversibile ma solo a condizioni
particolari, e, visto che in natura esse non si presentano, si può affermare che questa reazione è
irreversibile.
Reazioni reversibili
Il termine reazione reversibile è usato per le
reazioni nelle quali è possibile tornare
indietro. Un esempio tipico è la dissociazione
di un acido debole, per esempio quello
acetico.
Sappiamo che un acido debole non si dissocia
completamente, per cui in una bottiglia
contenente aceto, per esempio, saranno
presenti tutte le componenti indicati nella
reazione. Se le due reazioni (quella di andata
e quella di ritorno) avvengono con la stessa
velocità si parla di equilibrio chimico.
Dal punto di vista energetico si può
rappresentare la reazione riportata sopra con
il seguente grafico:
La velocità di reazione
La difficoltà di individuare una reazione chimica è collegabile, certe volte, alla lentezza con cui essa
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si svolge. La velocità di una reazione si misura in base alla quantità di sostanze che si trasformano.
Tale misura però, riesce agevole solo nei casi in cui qualche proprietà cambia in modo evidente,
come per esempio il colore, ed in un tempo relativamente breve.
La velocità di reazione costituisce un aspetto di particolare rilevanza. Pensa a quello che finora sai
della biologia per quanto concerne gli enzimi che intervengono nella scomposizione degli alimenti
durante la digestione; oppure per esempio, quando siamo confrontati con una reazione
particolarmente lenta: in questo caso ci possono essere dei problemi: in un'industria, ad esempio, un
aumento dei tempi di lavorazione provoca un aumento dei costi di produzione e questo incide
negativamente sul prezzo del prodotto finito. Allo stesso modo una reazione troppo veloce può
risultare incontrollabile e se è istantanea come una combustione esplosiva, diventa certamente
indesiderabile.
Come estremi di velocità di reazione si possono considerare la formazione delle stalattiti e delle
stalagmiti che è un caso di reazione chimica lentissima, mentre l'esplosione di fuochi di artificio è
dovuta a reazioni velocissime.
La velocità di una determinata reazione non è sempre uguale, ma varia in funzione di alcuni fattori:
la superficie di contatto, i catalizzatori, la concentrazione dei reagenti e la temperatura.
La superficie di contatto
Per accendere il fuoco in un barbecue si utilizza la carbonella e on i pezzi grossi di carbone; se
utilizzassimo polvere di carbone si avrebbe una combustione molto più vivace, addirittura
esplosiva. La spiegazione va nella direzione seguente: maggiore è la suddivisione del carbone,
maggiore è la superficie di contatto fra carbone e ossigeno, maggiore è la velocità di reazione.
Pensando al nostro sistema digerente, abbiamo i denti che si occupano della masticazione, che a sua
volta serve ad aumentare la superficie di contatto. Più il cibo viene ridotto in piccoli pezzetti,
maggiore è la superficie di contatto tra l'alimento e la saliva, che contenendo ptialina inizia a
scomporre gli amidi in zuccheri semplici. mangiare lentamente e masticare correttamente vuol dire
allora aumentare la superficie di contatto tra cibo e ptialina, cosa che una masticazione affrettata
non permette di fare.
Il sale da cucina o lo zucchero sono venduti a granelli e non in blocchi interi poiché, in questo
modo, la superficie di contatto è maggiore e di conseguenza si sciolgono più rapidamente.
La concentrazione dei reagenti
La concentrazione dei reagenti è un altro fattore direttamente collegato alla velocità di reazione. Se
aumenta la quantità di uno dei reagenti, aumenta anche la velocità con la quale una reazione
avviene.
A questo proposito pensa a che cosa succede al fuoco quando c'è vento; la quantità di ossigeno è
maggiore, la fiamma è più intensa e la legna brucia più velocemente.
Le reazioni catalizzate da enzimi sono molto veloci; in genere si verificano circa un milione di volte
più velocemente delle reazioni non catalizzate. Anche il ritmo con cui sono fabbricati i prodotti
enzimatici dipende dal fatto che essi possono formarsi più velocemente quando è presente una
maggiore quantità di substrato. Infatti un enzima e il suo substrato si uniscono per effetto di urti
casuali; se sono presenti molecole di substrato in quantità maggiore, le probabilità di collisione
aumenta. Alla fine potrebbe avvenire che tutte le molecole siano saturate dal substrato e perciò, se
si aumenta ancora più la quantità di quest?ultimo senza aumentare la quantità di enzima, il ritmo di
formazione del prodotto non aumenterà. Se invece la concentrazione del substrato è molto bassa la
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velocità di formazione del prodotto sarà proporzionale alla quantità di substrato presente.
La temperatura
Un aumento della temperatura aumenta sempre il decorso di una reazione. Misure sperimentali
hanno provato che se la temperatura aumenta di 10°C, la velocità di reazione raddoppia. Vi sono
due fattori da indicare che spiegano questa osservazione empirica: se si aumenta la temperatura,
aumenta l'energia cinetica delle molecole per cui vi saranno più scontri e gli urti efficaci aumentano
(per poter reagire due molecole devono scontrarsi con un orientamento ben preciso e al momento in
cui le due molecole si scontrano nel modo giusto, reagiscono formando i prodotti: si dice che l'urto
è stato efficace).
L'altro aspetto che occorre considerare è dato dal fatto che se la temperatura aumenta, aumenta
anche l'energia con la quale le molecole si scontrano per cui gli urti, oltre che essere più frequenti,
sono anche più violenti e si raggiunge più in fretta quella che abbiamo chiamato prima energia di
attivazione.
Ritornando a parlare di enzimi, possiamo aggiungere che l'aumento della temperatura accelera le
reazioni chimiche, ma può anche intaccare il funzionamento degli enzimi. L'aumento di
temperatura determina l'aumento dell'energia cinetica delle molecole di substrato e di enzima che si
scontrano più frequentemente e più velocemente aumentando la probabilità di urti efficaci.
Naturalmente c?è un limite alla quantità di calore che può essere immesso in un sistema; gli enzimi
sono delle proteine ripiegate su se stesse con un preciso ordine e il calore altera il loro ordine
interno (denaturazione). Per esempio se la temperatura corporea salisse al di sopra di 42°C i danni
ai sistemi enzimatici sarebbero irreparabili e la morte interverrebbe rapidamente.
Un ragionamento analogo è possibile per il surgelamento dei cibi. Temperature basse impediscono
agli enzimi di lavorare e quindi il deperimento degli alimenti è molto più lento.
Vvelocità di reazione ed equilibrio chimico
A questo punto ci siamo fatti un'idea
abbastanza chiara sul concetto espresso dalla
velocità di reazione; in parole povere ci viene
detto che se una reazione chimica avviene
velocemente oppure no. In termini più precisi
si potrebbe dire che rappresenta la variazione
di concentrazione dei reagenti in funzione del
tempo (velocità di distruzione dei reagenti),
oppure la variazione di concentrazione dei
prodotti in funzione del tempo (velocità di
formazione dei prodotti).
In conclusione possiamo richiamare il
concetto di equilibrio chimico. In questo caso
le due reazioni (andata e ritorno) avvengono esattamente con la stessa velocità.
Possiamo notare come, modificando la temperatura, la concentrazione di uno dei reagenti, la
superficie di contatto o aggiungendo un catalizzatore noi possiamo variare una delle due velocità e
quindi spostare l'equilibrio creandone uno nuovo.
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I catalizzatori
I catalizzatori sono sostanze capaci di accelerare una reazione. Generalmente sono specifici, nel
senso che il catalizzatore di un certo tipo di reazione non risulta efficace per un altro tipo; inoltre, ne
sono sufficienti quantità molto ridotte, che si ritrovano tali e quali alla fine della reazione. Un
catalizzatore non opera però miracoli, cioè non è in grado di far avvenire una reazione che per la
natura stessa dei reagenti non può avvenire; il suo ruolo è quello di accelerare reazioni che
altrimenti avverrebbero in un tempo molto più lungo.
Considerando l'aspetto energetico di una reazione, l'enzima interviene secondo lo schema qui sotto
illustrato: il catalizzatore non fa altro che abbassare l'energia di attivazione di una determinata
reazione. In altre parole, se occorre meno energia per attivare la reazione vuol dire che tutto
sommato ci vuole meno tempo per raggiungere le condizioni alle quali la reazione si innesca; di
conseguenza avviene ad una temperatura più bassa e più velocemente.
I catalizzatori più diffusi sono gli enzimi,
caratteristici catalizzatori biologici, che dal
punto di vista chimico sono proteine. Negli
organismi migliaia di reazioni possono
realizzarsi in condizioni compatibili con la
vita grazie all'azione catalitica di queste
proteine. L'azione degli enzimi è
solitamente altamente specifica, nel senso
che sono in grado di accelerare soltanto
singole reazioni o gruppi di reazioni. Per
esempio nella nostra saliva è contenuto un
enzima, la ptialina, che trasforma l'amido
(che trovi per esempio nel riso, nella pasta
e nel pane) in maltosio. La ptialina è specifica per il polisaccaride amido, la cellulosa, un altro
polisaccaride molto simile non viene intaccato dalla ptialina.
Ripiegamento nativo e non-nativo delle proteine
Molte proteine prodotte nel nostro
organismo (vedremo poi come),
solitamente si ripiega in modo
spontaneo nella sua forma
corretta; in altre parole la
sequenza
di
amminoacidi
determina la struttura secondaria,
terziaria
ed
eventualente
quaternaria della proteina. Queste
proteine sono allo stato nativo.
Ciò significa che possono anche
essere alterate in "maniera
sintetica", ma una volta tolta la
fonte di alterazione tornano alla
loro
forma
originale,
perfettamente funzionanti.
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SDD – Seconde
Proteine
Tuttavia le cose non sono sempre così semplici.
Molte altre proteine vengono modificate dopo la loro preparazione
biologica, e prima della loro messa in funzione. Osserviamo l'esempio
dell'insulina. L'insulina viene dapprima preparata come proinsulina.
Affinché la proinsulina si trasformi in insulina vera e propria l'organismo
provvede a tagliarne letteralmente via un pezzettino.
La proinsulina è una proteina nativa, si ripiega cioè spontaneamente nella
forma corretta. L'insulina invece è una proteina non-nativa. Se venisse
alterata chimicamente, e in un secondo tempo si rimuovesse la fonte di
alterazione, non sarebbe più in grado di tornare ad essere ripiegata nella
sua forma corretta e quindi funzionante. Per questo motivo la sua
denaturazione è irreversibile.Questo è uno dei meccanismi di
funzionamento di farmaci e disinfettanti. Alterare in maniera irreversibile
proteine non native significa sostanzialmente uccidere la cellula che le ha
prodotte perché non sarebbe più in grado di far funzionare i suoi
meccanismi enzimatici.
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